SE PROVI A FARE UN ALTRO PASSO FALSO TI RIPORTIAMO
DRITTO FILATO A CASA!»
Cadde un silenzio assoluto. La busta rossa, caduta dalla mano di Ron, prese fuoco e si contorse fino a ridursi in cenere. Harry e Ron sedevano attoniti, come se gli fosse passata sopra l'onda di un maremoto. Alcuni risero e lentamente si levò di nuovo un brusio di voci.
Hermione chiuse il libro e abbassò lo sguardo sulla testa di Ron.
«Be', non so cosa ti aspettassi, Ron, ma...»
«Non dirmi che me lo sono meritato» sbottò lui.
Harry allontanò il suo porridge. Si sentiva bruciare dai sensi di colpa. Il signor Weasley sarebbe stato sottoposto a un'inchiesta. Dopo tutto quel che i Weasley avevano fatto per lui, durante l'estate...
Ma non ebbe tempo di rimuginare su questi pensieri; la professoressa McGranitt si stava avvicinando al tavolo del Grifondoro per distribuire gli orari delle lezioni. Harry prese il suo e vide che per cominciare avrebbero fatto due ore di Erbologia con i Tassorosso.
Harry, Ron e Hermione lasciarono insieme il castello, attraversarono il fazzoletto d'orto e si diressero verso le serre dove venivano custodite le piante magiche. Per lo meno, dalla Strillettera una cosa buona era venuta: sembrava che Hermione pensasse che i suoi amici fossero stati puniti abbastanza ed era tornata amichevole come sempre. Avvicinandosi alle serre videro il resto della classe in attesa della professoressa Sprite. I tre ragazzi avevano appena fatto in tempo a unirsi ai compagni quando lei apparve attraversando il prato a gran passi, accompagnata da Gilderoy Allock. Portava una bracciata di bende e con un'altra fitta al cuore Harry vide da lontano che il Platano Picchiatore aveva molti rami fasciati. La professoressa Sprite era una strega piccola e tarchiatella, con un cappello tutto rattoppato sui capelli scompigliati; in genere aveva i vestiti tutti sporchi di terra e le sue unghie avrebbero fatto svenire zia Petunia. Gilderoy Allock, invece, era inappuntabile nei suoi svolazzanti abiti color turchese, con le chiome dorate che brillavano sotto un cappello in tinta e bordato d'oro, indossato in modo impeccabile.
«Salve a tutti!» salutò Allock rivolgendo un sorriso radioso agli studenti lì riuniti. «Ho appena finito di mostrare alla professoressa Sprite il modo corretto di medicare un Platano Picchiatore! Ma non voglio che pensiate che io sia più esperto di lei in Erbologia! È solo che nei miei viaggi mi è
capitato di vedere molte di queste piante esotiche...»
«Serra numero Tre, ragazzi!» disse la professoressa Sprite che appariva decisamente contrariata e non allegra come al solito.
Ci fu un mormorio di curiosità. Fino a quel momento avevano lavorato soltanto nella Serra numero Uno. Ma nella numero Tre c'erano piante molto più interessanti e pericolose. La professoressa Sprite si staccò dalla cintura una grossa chiave e aprì la porta. Harry percepì un odore di terra umida e di concime, che si mischiava al greve profumo di alcuni fiori giganti, delle dimensioni di un ombrello, appesi al soffitto. Stava per entrare dietro a Ron e a Hermione quando Allock tese una mano verso di lui.
«Harry! Volevo dirti una parola... Non le spiace, vero, professoressa Sprite, se glielo rubo per un paio di minuti?»
A giudicare dall'espressione accigliata della professoressa le spiaceva eccome, ma Allock disse: «Questo è lo scotto» e le chiuse la porta della serra in faccia.
«Harry» disse Allock scuotendo il capo e mettendo in mostra i suoi grandi denti candidi che brillavano al sole. «Harry, Harry, Harry!»
Nel più completo imbarazzo, Harry non disse niente.
«Quando ho sentito dire... be', naturalmente è stata tutta colpa mia. Mi sarei mangiato le mani».
Harry non aveva la minima idea di che cosa volesse dire. Stava per aprire bocca, ma Allock proseguì: «Non sono mai rimasto tanto scioccato. Far volare un'automobile fino a Hogwarts! Be', naturalmente ho capito subito perché l'avevi fatto. Era lampante. Harry, Harry, Harry». Era incredibile come riuscisse a mostrare uno per uno quei suoi denti smaglianti anche quando non parlava.
«Ti ho fatto provare il gusto per la pubblicità, non è vero?» proseguì Allock. «Ti ho contagiato. Sei finito sulla prima pagina del giornale insieme a me e non vedevi l'ora che accadesse di nuovo».
«Oh no, professore, vede...»
«Harry, Harry, Harry» ripeté Allock allungando un braccio e passandoglielo intorno alle spalle. « Io ti capisco. È naturale voler riassaporare una cosa che si è gustata per la prima volta... e io devo rimproverarmi per esserne stato la causa, perché dovevo prevedere che ti avrebbe dato alla testa... Ma vedi, giovanotto, non puoi cominciare a far volare le automobili per cercare di farti notare. Ti devi calmare, d'accordo? Avrai tutto il tempo per farlo quando sarai più grande. Sì, sì, lo so cosa stai pensando! 'Fa presto a parlare lui che è già un mago famoso in tutto il mondo!' Ma quando avevo dodici anni non ero proprio nessuno, come te adesso. Anzi, direi che ero ancor meno che nessuno! Voglio dire che qualcuno ha già sentito parlare di te, non è così? Tutte quelle storie a proposito di Colui-Che-NonDeve-Essere-Nominato!» Lanciò un'occhiata alla cicatrice a forma di saetta sulla fronte di Harry. «Lo so, lo so che non è piacevole come vincere cinque volte di fila il Premio per il Sorriso-Più-Affascinante indetto dal Settimanale delle Streghe, come è successo a me... ma è comunque un mo- do per iniziare, Harry, è un modo per iniziare». Gli strizzò l'occhio con aria complice e si allontanò a grandi passi. Harry rimase lì impalato per alcuni secondi poi, ricordandosi che avrebbe dovuto essere nella serra, aprì la porta ed entrò senza far rumore. La professoressa Sprite era in piedi dietro a un bancone poggiato su due cavalietti, al centro della serra. Sul bancone erano posate circa venti paia di paraorecchi di colore diverso. Quando Harry ebbe preso posto tra Ron e Hermione l'insegnante disse: «Oggi rinvaseremo le mandragole. Allora, chi sa dirmi le proprietà della mandragola?»
Nessuno fu sorpreso nel vedere la mano di Hermione alzarsi per prima.
«La mandragola è un efficace ricostituente» disse Hermione che, come al solito, sembrava avere inghiottito tutto il libro di testo. «Si usa per riportare nella condizione originale le persone che sono state trasfigurate o sottoposte a un incantesimo».
«Ottimo. Dieci punti per il Grifondoro» disse la professoressa Sprite.
«La mandragola è un componente fondamentale della maggior parte degli antidoti. Ma è anche pericolosa. Chi sa dirmi perché?»
La mano di Hermione mancò di poco gli occhiali di Harry.
«Il pianto della mandragola è fatale a chiunque lo ascolti» disse prontamente.
«Proprio così. Altri dieci punti» disse la professoressa Sprite. «Ora, le mandragole che abbiamo qui sono tutte molto giovani».
Così dicendo indicò una fila di vaschette profonde, e tutti si sporsero in avanti per vedere meglio. Dentro, tutte in fila, vi crescevano un centinaio di pianticelle ricche di ciuffi color verde marcio. A Harry, che non aveva la minima idea di quel che intendesse Hermione quando aveva parlato del
'pianto' della mandragola, non parvero particolarmente degne di nota.
«Ognuno prenda un paio di paraorecchi» disse la professoressa Sprite. Ci fu una mischia perché nessuno voleva finire con un vaporoso paraorecchi rosa.
«Quando vi dirò di indossarli, assicuratevi di avere le orecchie comple- tamente coperte» disse la professoressa. «Quando non sarà pericoloso toglierli, vi farò un cenno. Bene... indossate i paraorecchi». Harry eseguì il comando. I paraorecchi escludevano completamente qualsiasi suono. Anche la professoressa Sprite ne indossò un paio rosa e vaporoso, si tirò su le maniche, afferrò saldamente una piantina cespugliosa e tirò forte. Harry ebbe un fremito di sorpresa che nessuno avvertì.
Al posto delle radici, dalla terra venne fuori un minuscolo neonato coperto di fango e terribilmente brutto. Le foglie gli spuntavano direttamente dalla testa. Aveva la pelle verdastra tutta chiazze ed era chiaro che stava urlando con quanta forza aveva nei polmoni.
La professoressa Sprite prese un grosso vaso da sotto il tavolo e vi ficcò
dentro la mandragola, sotterrando il pupo sotto uno strato di concime nero e umido e lasciando fuori soltanto i ciuffi di foglie. Poi si scrollò la terra dalle mani, dette il segnale convenuto e si tolse i paraorecchi.
«Poiché le nostre mandragole sono solo piantine da semenzaio, il loro pianto ancora non uccide» disse tranquilla, come se non avesse fatto niente di più emozionante che annaffiare una begonia. «Però possono mettervi fuori combattimento per molte ore e poiché sono sicura che nessuno di voi vuole perdersi il primo giorno di lezioni, quando ci lavorate assicuratevi di indossare correttamente i paraorecchi. Quando sarà ora di interrompere, vi farò il solito cenno.
«Quattro per ogni vaschetta... lì c'è una grossa riserva di vasi... il concime è nei sacchi, là... e fate attenzione ai Tentacoli Velenosi, stanno mettendo i denti». Cosi dicendo colpì seccamente una pianta rosso scuro, tutta aculei, facendole ritirare i lunghi tentacoli che fino a quel momento le avevano strisciato sulle spalle a mo' di serpenti. A Harry, Ron e Hermione si unì un ragazzo riccioluto del Tassorosso, che Harry conosceva di vista ma con cui non aveva mai parlato.
«Justin Finch-Fletchley» si presentò allegramente, stringendo la mano a Harry. «So chi sei, naturalmente, il famoso Harry Potter; e tu sei Hermione Granger, sempre la migliore in tutto...» (Hermione sorrise radiosa mentre il ragazzo stringeva la mano anche a lei), «e tu, Ron Weasley. La macchina volante non era la tua?»
Ron non sorrise. Era chiaro che aveva ancora in mente la Strillettera.
«Quell'Allock è veramente eccezionale, non trovate?» disse Justin garrulo mentre cominciavano a riempire i vasi di concime allo sterco di drago.
«È un tipo terribilmente coraggioso. Avete letto i suoi libri? Io sarei morto di paura se fossi stato intrappolato in una cabina telefonica da un lupo mannaro; ma lui no, ha mantenuto il sangue freddo e... zac... Semplicemente fantastico.
«Io avrei dovuto andare a Eton, sapete? Ma non so dirvi quanto sono felice di essere venuto qui. Naturalmente mia madre è rimasta un po' delusa, ma da quando le ho fatto leggere i libri di Allock credo che abbia cominciato a capire quanto sia utile avere in famiglia un mago bene addestrato...»
Dopo di che non ebbero molte altre occasioni di parlare. Avevano indossato di nuovo i paraorecchi e dovevano concentrarsi sulle mandragole. A sentire la professoressa Sprite sembrava una cosa estremamente facile, ma non lo era affatto. Alle mandragole non piaceva venire fuori da sotto terra, ma non sembrava piacergli neanche tornarci dentro. Si dimenavano, scal-ciavano, battevano i piccoli pugni e digrignavano i denti; Harry passò dieci minuti buoni a cercare di cacciarne una particolarmente grassa in un vaso. Alla fine della lezione Harry, come gli altri, era sudato, dolorante e tutto sporco di terriccio. Fecero ritorno al castello per darsi una lavata veloce, e poi i Grifondoro si affrettarono per la lezione di Trasfigurazione. Le lezioni della professoressa McGranitt erano sempre pesanti, ma quel giorno fu particolarmente difficile. Tutto quel che Harry aveva imparato l'anno prima sembrava essergli uscito completamente dalla testa durante l'estate. Quel che gli veniva richiesto, quella mattina, era di trasformare uno scarafaggio in un bottone, ma riuscì solo a far fare un bel po' di ginnastica al suo scarafaggio, che scorrazzava sulla scrivania evitando la sua bacchetta magica.
Nel frattempo Ron era alle prese con problemi assai peggiori. Aveva aggiustato alla meglio la sua bacchetta con del nastro adesivo magico preso in prestito, ma sembrava danneggiata irreparabilmente. Di tanto in tanto scoppiettava, lanciava scintille nei momenti più impensati e ogni volta che Ron la usava per trasformare il suo scarafaggio, quello gli spruzzava addosso un puzzolente fumo grigio. E dato che questo gli impediva di vedere quel che faceva, Ron schiacciò inavvertitamente il suo scarafaggio con il gomito, e quindi dovette chiederne un altro. La professoressa McGranitt non fu molto contenta.
Harry fu molto sollevato nell'udire la campanella del pranzo. Si sentiva il cervello come una spugna strizzata. Tutti uscirono in fila dalla classe tranne lui e Ron, che stava sbatacchiando furiosamente la bacchetta magica sul banco.
«Stupido... inutile... aggeggio...»
«Scrivi a casa e fattene mandare un'altra» suggerì Harry, visto che la bacchetta emetteva una raffica di esplosioni come petardi.
«Ah, si, per ricevere indietro un'altra Strillettera!» disse Ron ficcando nella cartella la bacchetta che ora sibilava. «È COLPA TUA SE LA BACCHETTA SI E ROTTA...»
Scesero a pranzo, dove l'umore di Ron non migliorò di certo quando Hermione mostrò la manciata di perfetti bottoni da soprabito da lei prodotti durante la lezione di Trasfigurazione.
«Cosa abbiamo questo pomeriggio?» chiese Harry affrettandosi a cambiare argomento.
«Difesa contro le Arti Oscure» rispose pronta Hermione.
«E perché» chiese Ron strappandole di mano l'orario, «hai incorniciato tutte le lezioni di Allock con dei cuoricini?»
Hermione si affrettò a riprendersi l'orario arrossendo violentemente. Terminato il pranzo uscirono in cortile: il cielo era tutto nuvoloso. Hermione si sedette su un gradino di pietra e sprofondò di nuovo nella lettura di In viaggio con i vampiri. Harry e Ron rimasero a parlare di Quidditch per qualche minuto prima che Harry si rendesse conto che qualcuno lo stava osservando attentamente. Alzando lo sguardo scorse il ragazzo mingherlino, dai capelli color topo che la sera prima aveva visto provarsi il Cappello Parlante. Lo fissava come pietrificato. Si teneva stretta quella che sembrava una comune macchina fotografica da Babbani e quando Harry lo guardò arrossì violentemente.
«Tutto bene, Harry? Io sono... sono Colin Canon» disse ansimando e azzardando un passo avanti. «Anch'io sono del Grifondoro. Pensi... sarebbe possibile... posso scattarti una foto?» chiese sollevando speranzoso la macchina fotografica.
«Una foto?» ripeté Harry senza capire.
«Così potrò dimostrare di averti incontrato» disse Colin Canon tutto eccitato avvicinandosi ancora un poco. «Io so tutto di te. Tutti ne parlano. Che sei sopravvissuto quando Tu-Sai-Chi cercò di ucciderti e che lui è
scomparso e tutto il resto e che tu hai ancora sulla fronte una cicatrice a forma di saetta» (e qui i suoi occhi scrutarono rapidamente l'attaccatura dei capelli di Harry), «e un ragazzo del mio dormitorio ha detto che se svilupperò la pellicola nella pozione giusta, le foto si muoveranno» . Colin tirò un profondo respiro di emozione che lo fece fremere e proseguì: «È meravi- glioso qui, non è vero? Io non ho mai saputo che tutte le strane cose che riuscivo a fare erano magiche fino a che non ho ricevuto la lettera da Hogwarts. Mio padre fa il lattaio, e neanche lui voleva crederci. Per questo sto scattando montagne di foto da mandargli. E sarebbe davvero stupendo averne una tua» guardò Harry con aria implorante, «forse la potrebbe scattare il tuo amico così io mi metto accanto a te? E poi me la potresti firmare?»
« Foto autografate? Distribuisci foto autografate, Potter?»
Nel cortile risuonò, sonora e aspra, la voce di Draco Malfoy. Si era fermato proprio dietro a Colin, scortato, come sempre quando era a Hogwarts, da quei due teppisti di grossa stazza che erano suoi amici Tiger e Goyle.
«Tutti in fila!» tuonò Malfoy alla folla. «Harry Potter distribuisce foto con l'autografo!»
«Ma non è vero!» disse Harry furibondo, stringendo i pugni. «Chiudi il becco, Malfoy!»
«È solo che sei geloso» si sentì la vocina di Colin che, tutto intero, era alto più o meno quanto il collo di Tiger.
« Geloso? » disse Malfoy che ora non aveva più bisogno di gridare, dato che metà del cortile lo stava ascoltando. «E di che cosa? Grazie tante, ma non voglio certo una stupida cicatrice sulla fronte. Per quanto mi riguarda, non penso che farsi spaccare la testa in due renda così speciali». Tiger e Goyle ridacchiavano come due ebeti.
«Ma vai a farti un bagno, Malfoy!» disse Ron arrabbiato. Tiger smise di ridere e cominciò a strofinarsi con aria minacciosa le nocche grandi come castagne.
«Attento a te, Weasley» fece Malfoy con una smorfia. «Non vuoi cacciarti in un altro guaio, vero? Altrimenti la tua mammina dovrà venire a prenderti e a portarti via da scuola». E con voce acuta e penetrante proseguì: «SE PROVI A FARE UN ALTRO PASSO FALSO...»
A queste parole, un gruppetto di Serpeverde del quinto anno scoppiò a ridere sonoramente.
«Ehi, Potter, c'è Weasley che vorrebbe una foto con l'autografo!» ghignò
Malfoy. «Varrebbe molto più di tutta casa sua!»
Ron tirò fuori la bacchetta magica rattoppata, ma Hermione chiuse il libro con un colpo secco e bisbigliò: «Stai attento!»
«Cosa succede qui?» Gilderoy Allock si stava avvicinando con l'abito turchese svolazzante. «Chi è che sta distribuendo autografi?»
Harry aveva cominciato a spiegarsi, ma fu interrotto da Allock che gli mise un braccio intorno alle spalle e tuonò con voce gioviale: «Non c'era bisogno di chiederlo! Ci incontriamo un'altra volta, Harry!»
Incollato al fianco di Allock e rosso per l'umiliazione, Harry vide Malfoy sgattaiolare tra la folla col suo solito ghigno.
«Allora, coraggio, signor Canon» disse Allock rivolgendo a Colin un sorriso radioso. «Una foto a tutti e due; non potrei immaginare una cosa più giusta di questa e te la firmeremo entrambi» . Tutto confuso, Colin afferrò maldestramente la macchina fotografica e scattò la foto proprio nel momento in cui suonava la campanella delle lezioni pomeridiane.
«Fuori tutti, svelti» disse Allock rivolto agli studenti, e si incamminò
verso il castello con Harry ancora attaccato al fianco, che avrebbe dato qualsiasi cosa per saper fare un incantesimo e sparire.
«A buon intenditor poche parole, Harry» gli disse Allock in tono paterno mentre entravano nell'edificio per la porta laterale. «Io ti ho coperto, con il giovane Canon... Con una foto scattata anche a me, i tuoi compagni non penseranno che tu ti creda chissà chi...»
Sordo al balbettio di Harry, Allock lo trascinò lungo un corridoio gremito di studenti curiosi e poi su per una scala.
«Voglio soltanto dirti che distribuire foto autografate in questa fase della tua carriera non è molto sensato... anzi, per parlare chiaro ti fa sembrare un ragazzo presuntuoso, Harry. Verrà, verrà il tempo in cui, come me, dovrai tenere una pila di foto a portata di mano dovunque vai, ma...» fece una risatina, «non mi pare che tu sia già arrivato a quel punto». Avevano raggiunto la classe di Allock, che finalmente lasciò andare il ragazzo. Harry si riassestò i vestiti e andò a sedersi molto in fondo, dove fu occupatissimo a impilare tutti e sette i libri di Allock davanti a sé, in modo da risparmiarsi la vista dell'autore in carne e ossa.
Il resto della classe entrò chiacchierando e Ron e Hermione andarono a sedersi accanto a Harry.
«Ti si potrebbe friggere un uovo sulle guance» disse Ron. «Speriamo che Canon non incontri Ginny, altrimenti mettono su un Fan Club di Harry Potter».
«Chiudi il becco!» sbottò Harry. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era che Allock sentisse la frase 'Fan Club di Harry Potter'. Quando tutta la classe fu entrata Allock si schiari rumorosamente la gola e cadde il silenzio. Lui si avvicinò ai banchi, prese la copia del suo Trekking con i troll dal banco di Neville Paciock e la sollevò per mostrare il proprio ritratto ammiccante in copertina.
«Io» disse indicandolo e ammiccando lui stesso, «Gilderoy Allock, Ordine di Merlino, Terza Classe, Membro Onorario della Lega per la Difesa contro le Arti Oscure e cinque volte vincitore del premio per il Sorriso più
Seducente promosso dal Settimanale delle Streghe... ma lasciamo stare. Non mi sono certo liberato della strega Bandon facendole un sorriso!»
Aspettò che tutti ridessero. Ma soltanto poche labbra si incurvarono leggermente.
«Vedo che tutti avete la serie completa dei miei libri... molto bene. Oggi pensavo di iniziare con un piccolo quiz. Niente di cui preoccuparsi... solo per verificare con quanta attenzione li avete letti, quanto avete assorbito...»
Quando ebbe distribuito i testi della prova, tornò davanti ai banchi e disse: «Avete trenta minuti. Pronti... via!»
Harry guardò i suoi fogli e lesse:
1. Qual è il colore preferito di Gilderoy Allock?
2. Qual è l'ambizione segreta di Gilderoy Allock?
3. Secondo voi, qual è il risultato più importante conseguito finora da Gilderoy Allock?
E continuava così per altre tre pagine, fino all'ultima domanda:
54. Quando cade il compleanno di Gilderoy Allock, e qual è il regalo ideale per lui?
Mezz'ora dopo Allock raccolse i fogli e li esaminò davanti a tutta la classe.
«Oh, oh... quasi nessuno ricordava che il mio colore preferito è il lilla. Lo dico in Un anno con lo yeti. E poi alcuni di voi dovranno leggere con più attenzione A passeggio con i lupi mannari... Nel capitolo dodici dico chiaramente che il mio regalo di compleanno ideale sarebbe l'armonia tra il popolo dei maghi e dei non maghi... anche se non rifiuterei una bella bottiglia di Whisky Incendiario Ogden Stravecchio!»
Lanciò alla scolaresca un'altra occhiatina maliziosa. Ron lo fissava con un'espressione incredula; Seamus Finnigan e Dean Thomas, che sedevano ai primi banchi, erano scossi da sussulti di riso represso. Hermione, invece, ascoltava Allock con attenzione rapita e trasalì quando lui pronunciò il suo nome.
«...invece, la signorina Hermione Granger sapeva che la mia ambizione segreta è di liberare il mondo dal maligno e mettere in vendita tutta la mia gamma di pozioni per la cura dei capelli. Brava ragazza! E infatti...» voltò
il foglio del suo compito, «ha ottenuto il massimo dei voti! Dov'è la signorina Hermione Granger?»
Hermione alzò una mano tremante.
«Ottimo!» sorrise Allock. «Veramente ottimo! Lei conquista dieci punti per il Grifondoro! E ora, al lavoro...»
Si chinò per raccogliere una grossa gabbia coperta da un panno e la posò
sulla cattedra.
«Ora... un avvertimento! Il mio compito è quello di armarvi contro le più
orrende creature note alla stirpe dei maghi! In questa stanza potrete trovarvi a dover affrontare le vostre peggiori paure. Sappiate soltanto che niente di male potrà accadervi fintanto che io sono qui. Vi chiedo solo di rimanere calmi». Suo malgrado, Harry si sporse oltre la pila di libri per guardare meglio la gabbia. Allock mise una mano sul panno. Ora Dean e Seamus avevano smesso di ridere. Neville, nel suo banco in prima fila, si era fatto piccolo piccolo.
«Devo chiedervi di non gridare» disse Allock abbassando la voce. «Potrebbe aizzarli». Mentre la classe tratteneva il respiro Allock tolse la coperta.
«Ebbene sì» disse in tono drammatico. «Folletti della Cornovaglia appena catturati». Seamus Finnigan non riuscì a controllarsi. Sbottò in una risata che neanche Allock riuscì a prendere per un grido di terrore.
«Ebbene?» sorrise a Seamus.
«Be', non sono... non sembrano molto... pericolosi» disse Seamus soffocando dalle risate.
«Se fossi in te non ne sarei tanto sicuro» disse Allock scuotendo un dito ammonitore in direzione del ragazzo. «Possono essere tipetti discretamente diabolici!»
I folletti erano di colore blu elettrico, alti circa venti centimetri, con visetti appuntiti e voci così penetranti che era come sentire il cicaleccio di un nugolo di pappagallini. Appena tolta la coperta avevano cominciato a ciarlare e a saettare di qua e di là, scuotendo le sbarre e facendo le boccacce a quelli seduti più vicino.
«Bene» disse Allock ad alta voce. «Vediamo che cosa siete capaci di farne!» E aprì la gabbia.
Ci fu un pandemonio. I folletti schizzavano in tutte le direzioni come missili. Due di loro afferrarono Neville per le orecchie e lo sollevarono in aria. Molti si fiondarono contro le finestre, innaffiando di vetri rotti quelli dell'ultima fila. Gli altri si impegnarono a distruggere la classe meglio di un rinoceronte infuriato. Afferrarono i calamai e spruzzarono inchiostro dappertutto, ridussero a brandelli libri e fogli di carta, strapparono i quadri dalle pareti, rovesciarono il cestino della carta, afferrarono borse e libri e li scaraventarono fuori dalle finestre rotte; nel giro di pochi minuti metà della classe si riparava sotto i banchi e Neville oscillava appeso al candelabro sul soffitto.
«Su, muovetevi, radunateli, radunateli! In fondo sono soltanto folletti...»
gridava Allock.
Si tirò su le maniche, brandì la bacchetta magica e ruggì: « Peskipiksi Pe- sternomi! »
Non accadde assolutamente nulla; uno dei folletti ghermì la bacchetta di Allock e scaraventò anche quella fuori dalla finestra. Allock strabuzzò gli occhi e si tuffò sotto la cattedra, evitando per un pelo di essere schiacciato da Neville, che si schiantò al suolo perché il candelabro aveva ceduto. La campanella suonò e ci fu un fuggi fuggi verso l'uscita. Nella calma relativa che seguì Allock si rialzò in piedi, vide Harry, Ron e Hermione che avevano quasi raggiunto la porta e disse: «Bene, affido a voi il compito di acchiappare quelli che sono rimasti fuori e di rimetterli nella gabbia». Li sorpassò come una saetta e si chiuse rapidamente la porta alle spalle.
«Roba da non credere!» tuonò Ron mentre un folletto gli mordeva un orecchio.
«Vuole semplicemente farci fare esperienza» disse Hermione mentre immobilizzava in un colpo due folletti con un astuto Incantesimo di Congelamento e li rimetteva nella gabbia.
«Esperienza?» disse Harry cercando di agguantare un folletto che si teneva fuori tiro e faceva le linguacce. «Hermione, te lo dico io: non aveva la più pallida idea di quel che stava facendo».
«Sciocchezze» disse Hermione. «Hai letto i suoi libri... Guarda tutte le cose strabilianti che ha fatto...»
«Che dice di aver fatto» bofonchiò Harry.
Capitolo 7
Mezzosangue e mezze voci
Nei giorni successivi, Harry passò molto tempo a mimetizzarsi ogni volta che intravedeva Gilderoy Allock per un corridoio. Più difficile da evitare era Colin Canon, che sembrava avesse imparato a memoria i suoi orari. Niente sembrava emozionarlo di più del chiedergli sei o sette volte al giorno: «Tutto bene, Harry?» e del sentirsi rispondere da lui un laconico ed esasperato «Ciao, Colin». Edvige ce l'aveva sempre con Harry per il disastroso viaggio in macchina e la bacchetta magica di Ron era ancora in avaria: aveva superato se stessa il venerdì mattina, quando era sfuggita dalle mani di Ron durante la lezione di Incantesimi e aveva colpito il piccolo professor Vitious dritto in mezzo agli occhi, procurandogli un grosso e doloroso foruncolo verde. Perciò, fra una cosa e l'altra, Harry fu molto contento che fosse arrivato il week-end. Lui, Ron e Hermione volevano andare a trovare Hagrid il sabato mattina. Ma proprio quel sabato Harry fu svegliato da Oliver Baston, il capitano della squadra di Quidditch del Grifondoro, diverse ore prima di quanto avrebbe voluto.
«Che succede?» chiese mezzo intontito.
«Allenamento di Quidditch!» disse Baston. «Giù dalle brande!»
Harry sbirciò fuori della finestra. Sospesa tra il rosa e l'oro del cielo c'era una nebbiolina sottile. Ora che si era svegliato non riusciva a capire come avesse potuto dormire con tutto il baccano degli uccelli.
«Ma Oliver» gracchiò, «è appena l'alba!»
«Appunto» disse Baston. Era un ragazzo del sesto anno, alto e tarchiato, e in quel momento lo sguardo gli brillava di un folle entusiasmo. «Fa parte del nostro nuovo programma di allenamento. Muoviti, prendi il tuo manico di scopa e andiamo» disse concitato. «Nessuna delle altre squadre ha cominciato gli allenamenti, noi saremo i primi in classifica quest'anno...»
Tra brividi e sbadigli Harry scese dal letto e cominciò a cercare la tuta da Quidditch.
«Molto bene, vecchio mio» disse Baston. «Ci vediamo sul campo tra un quarto d'ora».
Trovata la tuta scarlatta e buttatosi sulle spalle il mantello per scaldarsi un po', Harry scarabocchiò un biglietto per Ron spiegandogli dove era andato e, Nimbus Duemila in spalla, scese la scala a chiocciola che portava alla sala comune. Aveva quasi raggiunto il varco coperto dal ritratto quando udì un rumore alle sue spalle: era Colin Canon che scendeva come un razzo giù per la scala a chiocciola, con la macchina fotografica appesa al collo che oscillava furiosamente e qualcosa stretto in mano.
«Ho sentito qualcuno fare il tuo nome per le scale, Harry! Guarda che cosa ho qui! L'ho fatta sviluppare, volevo mostrartela...»
Harry guardò sbalordito la foto che Colin gli stava sventolando sotto il naso.
Un Allock in bianco e nero strattonava un braccio che Harry riconobbe come suo. Fu con piacere che vide la propria immagine fotografica lottare niente male e rifiutarsi di essere inquadrata. Poi vide Allock rinunciare e cadere, ansimando, contro il bordo bianco della foto.
«Me la firmi?» chiese Colin ansioso.
«No» rispose Harry in tono deciso, guardandosi intorno per controllare che nella stanza non ci fosse nessuno. «Scusami, Colin, ma ho fretta... allenamento di Quidditch». Si arrampicò su per il varco lasciato libero dal quadro.
«Oh, che bello! Aspettami! Non ho mai visto una partita di Quidditch!»
E Colin si arrampicò dietro di lui.
«Sarà una cosa molto noiosa» si affrettò a dire Harry, ma Colin, che scoppiava di entusiasmo, lo ignorò.
«Tu sei il giocatore più giovane del Grifondoro negli ultimi cento anni, non è vero, Harry? Di', non è vero?» insistette Colin trotterellandogli a fianco. «Devi essere molto bravo. Io non ho mai volato. È facile? E quella scopa è proprio tua? È la migliore che esiste?»
Harry non sapeva come liberarsi di lui. Era come avere un'ombra estremamente chiacchierona.
«Non ho capito bene come si gioca a Quidditch» proseguì Colin col fiato corto. «È vero che si gioca con quattro palle? E che due palle svolazzano qua e là cercando di buttare giù i giocatori?»
«Sì» disse infine Harry rassegnandosi a spiegare le complicate regole del Quidditch. «Si chiamano Bolidi. Ogni squadra ha due Battitori muniti di mazze per allontanare i Bolidi. I Battitori del Grifondoro sono Fred e George Weasley».
«E le altre palle a che cosa servono?» chiese Colin incespicando e rotolando due gradini perché continuava a guardare Harry a bocca aperta.
«Be', la Pluffa - una palla rossa, piuttosto grossa - serve per fare goal. Tre Cacciatori per ogni squadra si lanciano la Pluffa e cercano di farla passare attraverso i pali all'estremità del campo: sono tre lunghi pali con in cima degli anelli».
«E la quarta palla...»
«...è il Boccino d'Oro» disse Harry, «che è molto piccolo, molto veloce e difficilissimo da prendere. Ma quello è compito dei Cercatori, perché la partita non finisce fino a che non viene preso il Boccino d'Oro. E il Cercatore che ci riesce guadagna altri centocinquanta punti per la sua squadra».
«E tu sei il Cercatore del Grifondoro, non è vero?» chiese Colin con reverente ammirazione.
«Sì» rispose Harry; intanto erano usciti dal castello e si avviavano giù
per il pendio bagnato di rugiada. «E c'è anche il Portiere. A difesa delle porte. Tutto qua, davvero».
Ma non ci fu verso che Colin smettesse di tempestarlo di domande mentre attraversavano i prati che degradavano verso il campo da gioco e Harry riuscì a levarselo di torno soltanto quando arrivò agli spogliatoi. Colin gli gridò dietro con la sua vocetta stridula: «Vado a scegliermi un posto in prima fila, Harry!» e spiccò una corsa verso le tribune. Anche gli altri giocatori della squadra del Grifondoro avevano raggiunto gli spogliatoi. Baston sembrava l'unico davvero sveglio. Fred e George Weasley se ne stavano seduti con gli occhi gonfi di sonno e i capelli scompigliati vicino a una ragazza del quarto anno, Alicia Spinnet, che sembrava sul punto di addormentarsi in piedi contro la parete. Dalla parte opposta le sue compagne Cacciatrici, Katie Bell e Angelina Johnson, sbadigliavano una accanto all'altra.
«Finalmente sei arrivato, Harry! Cosa ti è successo?» chiese brusco Baston. «Bene. Prima di entrare in campo volevo fare due chiacchiere con voi, perché ho passato l'estate a mettere a punto un nuovo programma di allenamento che secondo me cambierà radicalmente le cose...»
Baston aveva in mano la grande pianta di un campo di gioco, su cui erano state tracciate linee, frecce e croci con inchiostri di colore diverso. Tirò
fuori la bacchetta magica con cui diede un colpetto al suo grafico e le frecce cominciarono a contorcersi come millepiedi. Mentre Baston si lanciava in una dissertazione sulla sua nuova tattica Fred Weasley abbandonò la testa sulla spalla di Alicia Spinnet e cominciò a russare. Ci vollero circa venti minuti per spiegare il primo grafico, ma sotto a quello ce n'era un altro e poi un terzo. Harry cominciò a sonnecchiare mentre Baston, con voce monotona, continuava le sue spiegazioni.
«Allora!» concluse Baston scuotendo Harry da una nostalgica fantasia al pensiero di quel che avrebbe potuto mangiare a colazione, in quel preciso momento, su al castello. «Tutto chiaro? Ci sono domande?»
«Sì, io ne ho una, Oliver» disse George che si era svegliato di soprassalto. «Perché tutto questo non ce l'hai detto ieri, quando eravamo svegli?»
A Baston l'osservazione non piacque.
«Statemi bene a sentire tutti» disse guardandoli torvo. «L'anno scorso avremmo dovuto vincere il Campionato di Quidditch. Siamo senz'altro la squadra migliore. Ma purtroppo, a causa di circostanze indipendenti dalla nostra volontà...»
Seduto dove si trovava, Harry si fece piccolo piccolo per la vergogna. L'anno prima, quando era stata giocata la partita finale, lui era ricoverato in infermeria, privo di sensi, e questo aveva comportato che il Grifondoro era rimasto a corto di un giocatore e aveva subito la peggiore sconfitta degli ultimi trecento anni.
Baston ci mise qualche secondo per riprendere il controllo. Era chiaro che quell'evento gli scottava ancora atrocemente.
«Quindi quest'anno ci alleneremo molto più di quanto non abbiamo mai fatto... Bene, ora andiamo a mettere in pratica le nostre nuove teorie!» esclamò Baston afferrando il suo manico di scopa e precedendoli fuori dagli spogliatoi. Con i muscoli freddi e ancora sbadigliando, la squadra lo segui. Erano rimasti cosi a lungo negli spogliatoi che il sole era ormai sorto del tutto, anche se sull'erba dello stadio ristagnava ancora qualche residuo di nebbia. Quando Harry entrò in campo vide Ron e Hermione seduti sugli spalti.
«Non avete ancora finito?» chiese incredulo Ron.
«Non abbiamo neanche cominciato» rispose Harry guardando con invidia il toast e la marmellata d'arancia che Ron e Hermione si erano portati dalla Sala Grande. «Baston ci ha insegnato delle nuove mosse». Inforcò il suo manico di scopa, si dette la spinta e si sollevò in volo. L'aria fredda del mattino gli sferzò la faccia, svegliandolo assai più del lungo sermone di Baston. Era meraviglioso trovarsi di nuovo sul campo di Quidditch. Sorvolò lo stadio a tutta velocità, facendo a gara con Fred e George.
«Che cos'è questo rumore di scatti?» chiese Fred prendendo una curva a tutta birra.
Harry si voltò a guardare verso le tribune. Colin era andato a sedersi su una delle file più in alto: brandiva la macchina fotografica e scattava foto all'impazzata, e nello stadio deserto il rumore veniva stranamente amplificato.
«Guarda da questa parte, Harry! Da questa parte!» gridò con la sua vocetta acuta.
«E quello chi è?» chiese Fred.
«Non ne ho idea» menti Harry, e diede un'accelerata che lo portò il più
lontano possibile da Colin.
«Che succede?» chiese Baston accigliato, raggiungendoli in volo. «Perché quel ragazzo del primo anno scatta foto? Non mi piace. Potrebbe essere una spia dei Serpeverde che cerca di saperne di più sul nuovo programma di allenamento».
«È del Grifondoro» si affrettò a dire Harry.
«E, Oliver, i Serpeverde non hanno bisogno di spie» spiegò George.
«Perché dici così?» chiese Baston con aria inquisitoria.
«Perché sono qui di persona» disse George indicando con la mano. Un gruppetto in tuta verde stava facendo il suo ingresso in campo, manici di scopa in resta.
«Non ci posso credere!» sibilò Baston indignato. «Il campo l'ho prenota-to io per tutta la giornata! Adesso la vedremo!»
Scese in picchiata e, arrabbiato com'era, atterrò più bruscamente di quanto non fosse sua intenzione, tanto che una volta smontato barcollò
leggermente. Harry, Fred e George lo seguirono.
«Flitt!» gridò Baston al capitano dei Serpeverde. «Questo è il nostro turno di allenamento. Ci siamo alzati di buon'ora apposta. E ora fuori dai piedi!»
Marcus Flitt era ancora più grosso di Baston. Sul viso aveva un'espressione di diabolica furbizia: «C'è spazio a volontà per tutti, Baston» rispose. Si erano avvicinate anche Angelina, Alicia e Katie. Non c'erano ragazze nella squadra dei Serpeverde... che, spalla a spalla, facevano muro davanti ai Grifondoro gettando occhiate maliziose a qualcuno dietro di loro.
«Ma il campo l'ho prenotato io!» ribatté Baston sputacchiando saliva per la rabbia. «L'ho prenotato io!» insistette.
«Ah!» replicò Flitt, «ma io ho un permesso speciale del professor Piton. Il sottoscritto, professor S. Piton, autorizza la squadra del Serpeverde ad allenarsi oggi sul campo di Quidditch per l'istruzione del suo nuovo Cer- catore».
«Avete un nuovo Cercatore?» chiese Baston preoccupato. «E dov'è?»
E da dietro ai sei possenti personaggi che fronteggiavano la squadra dei Grifondoro ne comparve un settimo: era un ragazzo più mingherlino e il suo viso pallido e appuntito era illuminato da un sorriso gongolante. Era Draco Malfoy.
«Non sei per caso il figlio di Lucius Malfoy?» chiese Fred guardando il ragazzo con aria disgustata.
«Strano che tu nomini il padre di Draco» disse Flitt mentre gli altri sorridevano ancora più apertamente. «Lascia che io ti mostri il generoso dono che ha fatto alla squadra dei Serpeverde».
Tutti e sette sfoderarono la propria scopa. Al sole del primo mattino, sette manici lustri e sette targhette d'oro fino, con su scritto 'Nimbus Duemila Uno' brillarono sotto il naso dei Grifondoro.
«Ultimissimo modello. È uscito soltanto il mese scorso» disse Flitt con aria indifferente togliendo un granello di polvere dalla sua scopa. «Credo che superi di molto il vecchio modello Duemila. Quanto poi alle Scopalinda» proseguì con un sorriso maligno a Fred e George che avevano entrambi una Scopalinda Cinque, «potete anche spazzarci il campo!»
Sul momento nessuno del Grifondoro trovò di che replicare. Malfoy ghignava così soddisfatto che gli occhi gli si erano ridotti a due fessure.
«Oh, guardate» disse Flitt. «Un'invasione di campo».
Ron e Hermione si stavano avvicinando per vedere cosa stesse accadendo.
«Che succede?» chiese Ron a Harry. «Perché non giocate? E lui che ci fa qui?»
Guardò Malfoy, che nel frattempo stava indossando la tuta dei Serpeverde.
«Io sono il nuovo Cercatore dei Serpeverde, Weasley» gli rispose il ragazzo con aria compiaciuta. «E tutti stanno ammirando i manici di scopa che mio padre ha comprato alla nostra squadra».
Ron rimase a guardare a bocca aperta i sette superbi manici di scopa che gli si paravano davanti agli occhi.
«Belli, vero?» disse Malfoy con voce suadente. «Ma non è detto che anche la squadra dei Grifondoro non riesca a mettere insieme un po' di soldi per comprarsi delle scope nuove. Se mettete all'asta quelle vecchie carrette della Scopalinda Cinque, vedrete che qualche museo pagherà per averle». La squadra dei Serpeverde scoppiò in una risata fragorosa.
«Per lo meno, nessuno nella squadra del Grifondoro si è dovuto compra- re l'ammissione» commentò Hermione aspra. « Loro sono stati scelti per il talento».
L'aria soddisfatta di Malfoy vacillò.
«Nessuno ha chiesto il tuo parere, sporca mezzosangue» buttò lì. Harry capì subito che Malfoy doveva aver detto una cosa veramente cattiva perché le sue parole suscitarono un'istantanea ribellione. Flitt dovette tuffarsi davanti a Malfoy per impedire che Fred e George gli saltassero addosso; Alicia strillò: « Ma come osi!» e Ron affondò la mano nelle pieghe del vestito, estrasse la bacchetta magica gridando: «Questa la paghi, Malfoy!» e la puntò furibondo contro di lui. Uno scoppio tremendo risuonò per tutto lo stadio: un fascio di luce verde uscì dalla parte sbagliata della bacchetta di Ron, lo colpì allo stomaco e lo scaraventò a terra.
«Ron! Ron! Tutto bene?» gridò Hermione.
Ron fece per parlare ma non riuscì a dire neanche una parola. Emise invece un potente rutto e dalla bocca gli uscirono una quantità di lumache che gli caddero sulle ginocchia.
La squadra dei Serpeverde era paralizzata dal ridere. Flitt era piegato in due e per non cadere si reggeva al suo nuovo manico di scopa. Malfoy era caduto a quattro zampe e picchiava freneticamente il pugno a terra. I Gri-fondoro erano tutti intorno a Ron, che continuava a vomitare grosse lumache lucenti. Sembrava che nessuno volesse toccarlo.
«Forse è meglio portarlo da Hagrid, che è più vicino» disse Harry a Hermione, la quale annuì coraggiosamente; entrambi cominciarono a tirare Ron per le braccia.
«Che cosa è successo, Harry? Che cosa è successo? Sta male? Ma tu puoi curarlo, non è vero?» Colin si era precipitato giù dalla tribuna e ora gli saltellava intorno, mentre loro lasciavano il campo. Ron ebbe un altro enorme conato di vomito, anche questo seguito da una fuoriuscita di lumache.
«Oooh!» esclamò Colin affascinato, brandendo la macchina fotografica.
«Harry, riesci a tenermelo fermo?»
«Fuori dai piedi, Colin!» gli gridò Harry infuriato. Poi, insieme a Hermione, trascinò Ron fuori dello stadio e poi giù, attraverso i campi, verso il limitare della foresta.
«Siamo quasi arrivati, Ron» disse Hermione quando si intravide il capanno del guardiacaccia. «Vedrai che fra un attimo starai bene... siamo quasi arrivati...»
Erano a meno di sessanta metri dalla capanna di Hagrid quando la porta si apri, ma a uscirne non fu il guardiacaccia, bensì Gilderoy Allock, che quel giorno indossava un abito color malva pallido.
«Svelti, nascondetevi qua dietro» sibilò Harry trascinando Ron dietro a un cespuglio lì vicino. Hermione lo seguì, anche se con una certa riluttanza.
«È semplice, se sai quel che fai» stava dicendo Allock a Hagrid parlando a voce molto alta. «Se hai bisogno di aiuto, sai dove trovarmi! Ti farò avere una copia del mio libro... Mi sorprende che tu non l'abbia già. La firmo stanotte e poi te la mando. Bene, arrivederci!» e si allontanò a gran passi verso il castello.
Harry attese che Allock fosse sparito, quindi estrasse Ron dal cespuglio e lo trascinò fino alla porta del capanno. Bussarono con impazienza. Hagrid apparve all'istante; aveva un'aria immusonita ma quando li vide si illuminò.
«Be', gliel'avete fatta a venire a trovarmi... Entrate... entrate... Credevo che era un'altra volta quel professore lì...»
Harry e Hermione aiutarono Ron a entrare nell'unica stanza della capanna che conteneva un letto enorme in un angolo e un fuoco scoppiettante nell'altro. Hagrid non sembrò affatto impensierito dal problema delle lu-mache che Harry si affrettò a spiegargli mentre aiutava l'amico a mettersi seduto.
«Meglio fuori che dentro» disse allegramente, scaraventandogli davanti ai piedi un grosso bacile di rame. «Buttale fuori tutte, Ron».
«Credo che non ci sia altro da fare che aspettare che finiscano» disse Hermione ansiosa, osservando Ron. «Già è una magia difficile in condizioni ottimali, figuriamoci con una bacchetta rotta...»
Hagrid si stava dando da fare a preparare un tè. Thor, il suo cane da caccia nero, faceva le feste a Harry.
«Che cosa voleva Allock da te, Hagrid?» chiese il ragazzo dando a Thor una grattatina sulle orecchie.
«Uh, mi diceva come cavare gli spiritelli dal pozzo» grugnì Hagrid togliendo dal tavolo malconcio un galletto mezzo spennato e poggiandovi la teiera. «Non c'ho capito niente. E poi come aveva fatto a sgominare non so che streghe. Mi mangio il paiolo se c'era solo mezza parola di vero!»
Non era da Hagrid criticare un insegnante di Hogwarts e Harry lo guardò
sorpreso. Ma Hermione disse con un tono di voce un po' più alto del solito:
«Penso che tu sia un po' ingiusto. È ovvio che il professor Silente ha pensato che fosse il migliore per quell'incarico...»
«Il solo, non il migliore» disse Hagrid offrendo ai ragazzi un vassoio di caramelle mou, mentre Ron tossiva e vomitava nel bacile. «Solo come l'occhio di un orbo nel paese dei ciechi. Diventa sempre più tosto rimediare qualcuno per le Arti Oscure. Girano tutti al largo, capito? Pensano che la materia porta male. Nessuno resiste a lungo. Ma ditemi un po'» proseguì
accennando con il capo a Ron, «chi ha cercato di incantare?»
«Malfoy ha insultato Hermione. Dev'essere stata una cosa pesante perché tutti si sono arrabbiati».
« Era pesante» disse Ron con voce roca sollevando la testa pallido e sudato. «Malfoy l'ha chiamata 'mezzosangue', Hagrid...»
Ron si interruppe per via di una nuova ondata di lumache. Hagrid s'indignò moltissimo.
«Ma davvero?» ruggì rivolto a Hermione.
«È proprio vero» rispose lei. «Ma non so che cosa significa. Naturalmente ho capito che era veramente offensivo...»
«Forse è la cosa più offensiva che gli poteva venire in mente» disse Ron boccheggiante, riemergendo da sopra il bacile. «'Mezzosangue' è un insulto spregevole e significa un mago nato Babbano... voglio dire, da genitori non maghi. Alcuni - come la famiglia di Malfoy, per esempio - pensano di essere meglio di tutti perché sono quello che la gente chiama 'purosangue'». Ebbe un lieve conato e questa volta un'unica lumaca gli cadde nella mano tesa. La gettò nel bacile e proseguì: «Tutti quanti noi sappiamo che non fa nessuna differenza. Prendi Neville Paciock: lui è un purosangue, eppure non riesce neanche a fare star dritto un paiolo».
«Mentre non l'hanno ancora fatto l'incantesimo che 'sta streghetta non sa fare» disse Hagrid tutto orgoglioso, e a queste parole le guance di Hermione divennero di un bel rosso papavero.
«È una cosa disgustosa da dire a una persona» disse Ron asciugandosi con mano tremante il sudore che gli imperlava la fronte. «Sangue misto. Come dire sangue sporco. È roba da matti. Tanto, oggigiorno, quasi tutti i maghi sono mezzosangue. Se non avessimo sposato dei Babbani saremmo tutti estinti».
Fu scosso da un altro conato e si tuffò di nuovo sul bacile.
«Be', avevi ragione a fargli qualcosa, Ron» disse Hagrid a voce alta per coprire i tonfi di altre lumache che cadevano nel bacile. «Ma magari è meglio che hai fatto cilecca. Se gli avevi incantato il piccolo, Malfoy grande era già qui a strepitare. Almeno non sei nei guai».
Harry avrebbe voluto dire che non vedeva guaio peggiore del dover vomitare lumache, ma non ci riuscì; la caramella mou che gli aveva dato Hagrid gli aveva cementato le mascelle.
«Oh, Harry» disse Hagrid tutt'a un tratto come colpito da un pensiero improvviso. «Ora che ci penso... Com'è che mandi in giro le tue foto a tutti tranne che a me?»
Furibondo, Harry riuscì a staccare i denti da quella morsa appiccicosa.
«Io non mando in giro foto con l'autografo» disse accalorandosi. «Se Allock mette ancora in giro questa voce...»
Ma poi vide che Hagrid rideva.
«Ci sei cascato!» disse dandogli una manata gioviale sulla schiena che lo mandò a sbattere con la faccia sul tavolo. «Lo sapevo che non eri stato tu. Gliel'ho detto al professor Coso: tu non ce n'hai bisogno, sei più famoso di lui senza sbracciarti tanto».
«Scommetto che non gli è piaciuto» disse Harry raddrizzandosi e strofinandosi il mento.
«Mi sa di no» disse Hagrid gongolante. «E gli ho pure detto che non ho mai letto manco uno dei suoi libri e a quel punto se n'è andato. Una caramella mou, Ron?» disse quando Ron riapparve.
«No, grazie, meglio non rischiare» rispose il ragazzo con voce flebile.
«Guardate un po' cosa mi sto coltivando» disse Hagrid quando Harry e Hermione ebbero finito di bere il tè.
Nel piccolo orto dietro alla capanna c'era una dozzina di zucche, le più
grosse che Harry avesse mai visto. Avevano le dimensioni di un macigno.
«Vengono su bene, eh?» disse Hagrid tutto felice. «Sono per Halloween e per allora saranno grosse giuste».
«Con che cosa le hai concimate?» chiese Harry.
Hagrid si guardò intorno per controllare che fossero soli.
«Be', sapete com'è... l'ho un po'... aiutate» . Harry notò l'ombrello rosa a fiori di Hagrid appoggiato alla parete, in fondo alla capanna. Harry aveva già avuto ragione di credere che quell'ombrello non fosse soltanto quel che sembrava; in realtà, aveva la netta impressione che vi fosse nascosta la bacchetta magica dei tempi in cui Hagrid frequentava la scuola. Hagrid non poteva usare la magia. Era stato espulso da Hogwarts quando faceva il terzo anno, ma Harry non era mai riuscito a scoprire perché: un minimo accenno all'argomento e subito Hagrid cominciava a schiarirsi fragorosamente la gola e diventava stranamente sordo, fino a che non si cambiava discorso.
«Un Incantesimo di Ingozzamento, suppongo» disse Hermione tra il critico e il divertito. «Be', hai fatto un buon lavoro».
«Lo dice pure tua sorella piccola» disse Hagrid accennando a Ron. «L'ho incontrata proprio ieri». Hagrid lanciò a Harry un'occhiata sbieca mentre rideva sotto i baffi. «Diceva che stava facendo un giretto, ma mi sa che sperava di beccare qualcun altro, qui». Strizzò l'occhio a Harry. «Se vuoi sapere la mia, a lei non farebbe affatto schifo la tua foto con...»
«Oh, chiudi il becco!» disse Harry. Ron scoppiò a ridere e l'orto fu nuovamente cosparso di lumache.
«Ehi, occhio!» tuonò Hagrid scostando Ron dalle sue preziose zucche. Era quasi ora di pranzo e poiché da quando si era alzato all'alba Harry aveva mangiato solo una caramella mou era alquanto ansioso di sedersi a tavola.
Salutarono Hagrid e tornarono al castello. Ogni tanto Ron era scosso da un singhiozzo, ma vomitò solo due lumache molto piccole. Non avevano fatto in tempo a mettere piede nella gelida sala d'ingresso che udirono una voce. «Eccovi finalmente, Potter, Weasley». La McGranitt veniva verso di loro con aria severa. «Questa sera sconterete tutti e due la vostra punizione».
«Che cosa dovremo fare, professoressa?» chiese Ron cercando nervosa-mente di reprimere un rigurgito.
« Tu luciderai l'argento nella sala dei trofei insieme a Gazza» disse la McGranitt. «E niente magie, Weasley... olio di gomito». Ron deglutì. Gazza, il custode, era odiato da tutti gli studenti della scuola.
«E tu, Potter, aiuterai il professor Allock a rispondere alle lettere dei suoi ammiratori» proseguì la McGranitt.
«Oh, no... Non posso andare anch'io a lucidare l'argento?» chiese Harry disperato.
«Certo che no» rispose la McGranitt sollevando le sopracciglia. «Il professor Allock ha chiesto espressamente di te. Alle otto in punto. Tutti e due».
Harry e Ron si trascinarono fino alla Sala Grande in uno stato di profonda prostrazione, seguiti da Hermione che aveva inaugurato un'espressione del tipo così-imparate-a-violare-il-regolamento. Harry non gustò il pasticcio di carne e puré come aveva pensato. Sia lui che Ron ritenevano di essere stati trattati ingiustamente.
«Gazza mi terrà lì tutta la notte» disse Ron depresso. «Niente magia! In quella stanza ci saranno almeno cento coppe da lucidare. Io non sono bravo nelle faccende da Babbani!»
«Io farei il cambio in qualsiasi momento» disse Harry con voce spenta.
«Ho fatto un sacco di pratica con i Dursley. Ma rispondere alle lettere degli ammiratori di Allock... sarà un incubo...»
Gli sembrò che quel sabato pomeriggio fosse volato via e in men che non si dica furono le otto meno cinque; Harry si avviò di malavoglia lungo il corridoio del secondo piano, verso l'ufficio di Allock. Strinse i denti e bussò.
La porta si spalancò subito. Allock gli rivolse uno dei suoi sorrisi smaglianti.
«Ah, ecco il furfante!» esclamò. «Entra, Harry, entra pure». Sulle pareti pendevano un'infinità di sue fotografie, incorniciate e illuminate dalla luce di molte candele. Alcune erano anche autografate. Sulla scrivania ne troneggiava un'altra pila.
«Puoi scrivere gli indirizzi sulle buste!» disse Allock a Harry con l'aria di fargli una grande concessione. «La prima è per Gladys Gudgeon, che Dio la benedica, una mia grande ammiratrice».
I minuti passavano con lentezza esasperante. Harry si lasciava scorrere addosso la voce di Allock e di tanto in tanto rispondeva con un «Mmm»,
«Giusto», «Già». Sporadicamente faceva caso a una frase del tipo: «La fama è un'amica volubile, caro Harry», oppure: «La celebrità è passeggera, non dimenticarlo mai».
Le candele si consumavano lentamente e la loro luce tremula danzava sugli innumerevoli volti mobili di Allock che lo guardavano. Harry allungò la mano indolenzita su quella che doveva essere la millesima busta e scrisse l'indirizzo di Veronica Smethley. 'Dovrebbe essere quasi l'ora di andarsene' pensò. 'Dio mio, fa' che stia per finire...'
Poi udì qualcosa, qualcosa di molto diverso dallo sfrigolio delle candele morenti e dalle ciance di Allock sulle sue ammiratrici. Era una voce, una voce che gelava il sangue, una voce così velenosa da togliere il respiro, una voce gelida come il ghiaccio.
« Vieni... vieni da me... Ti squarterò... Ti farò a pezzi... Ti ucciderò... »
Harry fece un gran salto e sull'indirizzo di Veronica Smethley cadde una grossa macchia d'inchiostro lilla.
« Cosa? » disse ad alta voce.
«Lo so» disse Allock. «Sei mesi di seguito in cima alle classifiche dei best-seller! Ho polverizzato ogni record!»
«No» disse Harry. «Dicevo, quella voce!»
«Prego?» disse Allock con l'aria perplessa. «Quale voce?»
«Quella... la voce che ha detto... non l'ha sentita?»
Allock fissava Harry completamente attonito.
«Ma di che cosa stai parlando, Harry? Forse sei un po' stanco? Per tutti i gargoyle... guarda che ora è! Abbiamo lavorato per quasi quattro ore! Non l'avrei mai detto... il tempo è volato, non pare anche a te?»
Harry non rispose. Tendeva l'orecchio, ma ora l'unico suono era la voce di Allock che gli diceva di non aspettarsi una punizione gratificante come quella ogni volta che si fosse beccato una consegna. Completamente stordito, Harry lasciò la stanza. Era così tardi che la sala comune dei Grifondoro era quasi deserta. Harry salì dritto filato al dormitorio. Ron non era ancora tornato. Indossò il pigiama, si infilò a letto e rimase in attesa. Mezz'ora più tardi arrivò l'amico, massaggiandosi il braccio destro e portandosi dietro nella stanza buia una gran puzza di lucidante per l'argento.
«Non mi sento più i muscoli» gemette sprofondando nel letto. «Mi ha fatto strofinare quattordici volte la coppa del Quidditch prima di essere soddisfatto. E poi ho avuto un altro attacco di lumache e ho vomitato tutto sopra un Premio Speciale per i Servigi resi alla Scuola. Mi ci sono voluti secoli per togliere tutta quella bava... Come è andata con Allock?»
Parlando a bassa voce per non svegliare Neville, Dean e Seamus, Harry gli raccontò per filo e per segno quel che aveva udito.
«E Allock ha detto che non la sentiva?» chiese Ron. Alla luce della luna, Harry lo vide aggrottare la fronte. «Non hai pensato che stesse mentendo?
Ma non capisco... anche un essere invisibile avrebbe dovuto aprire la porta».
«Lo so» disse Harry tornando a stendersi e fissando il baldacchino sopra la sua testa. «Neanche io capisco».
Capitolo 8
La Festa di Complemorte
Arrivò ottobre, che stese una coltre di freddo umido sui campi e nel castello. In infermeria, Madama Chips ebbe il suo daffare a curare un'improvvisa epidemia di raffreddore che aveva colpito professori e studenti. Il suo decotto Tiramisù aveva un effetto immediato, anche se lasciava con le orecchie fumanti per molte ore. Ginny Weasley, che aveva anche lei un'aria smunta, fu costretta da Percy a berne un po'. E col fumo che le usciva da sotto i capelli rosso fuoco sembrava proprio che avesse la testa in fiamme.
Per giorni e giorni, gocce di pioggia grosse come pallottole picchiarono sulle finestre del castello; il livello del lago salì, le aiuole divennero rigagnoli fangosi e le zucche di Hagrid raggiunsero le dimensioni di capanni da giardino. Ma l'entusiasmo di Oliver Baston nell'organizzare regolarmente gli allenamenti non venne meno; fu per questo motivo che in un tempestoso sabato pomeriggio, pochi giorni prima di Halloween, Harry fu visto far ritorno alla torre del Grifondoro fradicio fino al midollo e completamente inzaccherato. A parte la pioggia e il vento, non era stato un allenamento felice. Fred e George, che avevano spiato la squadra dei Serpeverde, avevano constatato con i propri occhi la superiorità delle nuove Nimbus Duemila Uno. Riferirono che la squadra dei Serpeverde era composta da sette forme indistinte, di colore verdastro, che saettavano nell'aria come aerei da decollo verticale. Harry aveva imboccato il corridoio, sciaguattando con le scarpe piene d'acqua, quando incontrò qualcuno dall'aria preoccupata quasi quanto la sua. Nick-Quasi-Senza-Testa, il fantasma della Torre del Grifondoro, stava guardando cupamente fuori dalla finestra e bofonchiava tra sé e sé: «...non risponde ai requisiti... un centimetro e mezzo, a dir tanto...»
«Salve, Nick» gli fece Harry.
«Salve, salve» rispose lui sobbalzando e guardandosi intorno. Di traverso sui lunghi capelli ondulati portava un magnifico cappello piumato e indossava una tunica con una gorgiera che nascondeva la sua testa quasi del tutto recisa dal collo. Era pallido come un cencio e attraverso il suo corpo diafano Harry poteva vedere il cielo scuro e la pioggia che veniva giù a catinelle.
«Mi sembri preoccupato, giovane Potter» disse Nick ripiegando una lettera trasparente e riponendola nel farsetto.
«Anche tu» disse Harry.
«Ah» Nick-Quasi-Senza-Testa agitò una mano con gesto elegante. «Una questione di scarsa importanza... non è che proprio desiderassi di entrare a far parte... avevo pensato di fare domanda, ma a quanto pare 'non rispondo ai requisiti'».
A dispetto del tono disinvolto, la sua faccia esprimeva una profonda amarezza.
«Ma non avresti pensato anche tu» sbottò tutto d'un tratto ritirando fuori la lettera, «che essere stati colpiti al collo quarantacinque volte con un'ascia non affilata avrebbe dovuto rappresentare un buon passaporto per partecipare alla Caccia dei Senzatesta?»
«Be'... sì» rispose Harry, da cui il fantasma si aspettava ovviamente un consenso.
«Voglio dire, nessuno più di me avrebbe desiderato che tutto avvenisse nel modo più rapido e pulito e che la mia testa si staccasse come si deve... voglio dire... mi avrebbe risparmiato un bel po' di dolore e di ridicolo. Tuttavia...»
Nick-Quasi-Senza-Testa spiegò la lettera e lesse con voce furibonda: Possiamo accettare soltanto Cacciatori la cui testa si sia completamente separata dal corpo. Lei comprenderà certamente che altrimenti non sa- rebbe possibile ai soci partecipare ad attività di caccia quali i Giochi di Destrezza a Cavallo con Lancio e Ripresa della Testa e il Polo con le Te- ste al posto della Palla. E quindi la informiamo, con grandissimo ramma- rico, che lei non risponde ai nostri requisiti. Con i migliori auguri, Sir Pa- trick Delaney-Podmore.
Fumante di collera, Nick-Quasi-Senza-Testa ripose la lettera.
«Per un centimetro e mezzo di pelle e di tendine che mi tengono attacca-ta la testa al collo, Harry! Chiunque penserebbe che uno debba considerarsi bello decapitato, e invece no, per Sir Decapitato-a-Puntino Podmore non basta».
Nick-Quasi-Senza-Testa tirò alcuni respiri profondi e poi, con tono più
calmo, disse: «Allora... cos'è che ti preoccupa? Posso fare qualcosa per te?»
«No» rispose Harry. «No, a meno che tu non sappia dove potrei trovare gratis sette Nimbus Duemila Uno per la nostra partita contro i Ser...»
Il resto della frase fu coperto da un acuto miagolio all'altezza delle sue caviglie. Abbassò lo sguardo e vide un paio di occhi gialli e grossi come fanali che lo fissavano. Era Mrs Purr, la scheletrica gatta grigia di cui Gazza si serviva come arma segreta nella lotta senza fine contro gli studenti.
«È meglio che te ne vada di qui, Harry» si affrettò a suggerirgli Nick.
«Mastro Gazza non è di buon umore. Prima di tutto ha l'influenza e poi alcuni studenti del terzo anno gli hanno impiastricciato di cervello di rana tutto il soffitto del sotterraneo numero cinque. Lui ha passato la mattina a pulire e se ti vede schizzare fango dappertutto...»
«D'accordo» disse Harry sottraendosi allo sguardo accusatore di Mrs Purr. Ma non fu abbastanza rapido. Attirato sul luogo dalla forza misteriosa che sembrava legarlo alla sua malefica gatta, tutt'a un tratto Gazza schizzò fuori da un arazzo alla destra di Harry, ansimante e stralunato, alla caccia del trasgressore. Intorno alla testa portava una pesante sciarpa scozzese e aveva il naso rosso come un peperone.
«Sudiciume!» gridò con la pappagorgia tremula e gli occhi che mandavano pericolosi bagliori, indicando la pozza fangosa prodotta dalla tuta di Harry. «Disordine e sporco dappertutto! Adesso ne ho abbastanza! Seguimi, Potter!»
Harry fece un saluto depresso a Nick-Quasi-Senza-Testa e seguì Gazza giù per le scale, moltiplicando le impronte fangose sul pavimento. Prima di allora Harry non era mai stato nell'ufficio di Gazza; la maggior parte degli studenti cercava di tenersene alla larga. Era un locale squallido e privo di finestre, illuminato da un'unica lampada a petrolio che pendeva dal basso soffitto. Su tutto, aleggiava un vago odore di pesce fritto. Lungo le pareti erano appoggiati degli armadi da archivio di legno e dalle etichette Harry capì che contenevano i rapporti su tutti gli alunni puniti da Gazza. Fred e George Weasley avevano un intero cassetto tutto per loro. Appesa sulla parete dietro alla scrivania, faceva mostra di sé una collezione lustra e smagliante di catene e manette. Tutti sapevano che Gazza implorava conti-nuamente Silente di lasciargli appendere qualche studente al soffitto per le caviglie.
Gazza afferrò una penna d'oca da un calamaio posto sulla scrivania e cominciò a frugare in cerca di una pergamena.
«Sterco» imprecava furioso, «gran caccole sfrigolanti di drago... cervelli di rana... intestini di topo... non ne posso più... tanto per fare un esempio... dov'è il modulo... ecco...»
Recuperò un grosso rotolo di pergamena dal cassetto della sua scrivania e lo srotolò davanti a Harry, intingendo nel calamaio la lunga penna nera.
« Nome... Harry Potter. Reato... »
«Era solo un pochino di fango!» protestò Harry.
«Solo un pochino di fango per te, ragazzo, ma per me è un'ora di più da sgobbare!» sbraitò Gazza mentre una sgradevole gocciolina gli pendeva dal naso bitorzoluto. « Reato... Insudiciava il castello... Condanna propo- sta... »
Strofinandosi il naso gocciolante, Gazza socchiuse gli occhi e rivolse uno sguardo antipatico a Harry che aspettava il verdetto col fiato sospeso. Ma Gazza non aveva fatto in tempo ad abbassare la penna quando un colpo tremendo sul soffitto dell'ufficio fece tremare la lampada a olio.
«Pix!» tuonò Gazza buttando via la penna in un impeto di rabbia. «Questa volta ti prendo, vedrai se non ti prendo!»
E senza degnare più di uno sguardo Harry, si precipitò fuori dall'ufficio seguito a ruota da Mrs Purr.
Pix il Poltergeist era il folletto del castello, una minaccia volante dal ghigno malevolo, che viveva per provocare scompiglio e dare il tormento. A Harry, Pix non stava molto simpatico, ma non poté fare a meno di essergli grato per il suo tempismo. Confidava che qualsiasi danno avesse combinato (questa volta sembrava che l'avesse fatta grossa), avrebbe allontanato da lui l'attenzione di Gazza. Pensando di dover aspettare il ritorno del custode, Harry si lasciò cadere nella poltrona tarmata vicino alla scrivania, su cui era appoggiato un solo oggetto, a parte il modulo lasciato a metà: una grossa e lucida busta color viola, con qualcosa scritto in lettere d'argento. Harry lanciò un rapido sguardo alla porta per controllare che Gazza non stesse tornando, la prese e lesse:
SPEEDYMAGIC
Corso di Magia per Corrispondenza
per Principianti
Incuriosito, aprì la busta ed estrasse un foglio di pergamena. In svolazzanti caratteri d'argento, la prima pagina diceva:
Non vi sentite al passo nel moderno mondo della magia? Vi accorgete di ricorrere a qualsiasi scusa pur di non eseguire gli incantesimi più sempli- ci?
Siete mai stati presi in giro per gli esiti scadenti della vostra bacchetta magica?
Ecco la risposta per voi.
SpeedyMagic è un nuovissimo corso dai risultati garantiti, rapido e di facile apprendimento. Maghi e streghe a centinaia hanno tratto grandi be- nefici dal metodo SpeedyMagic!
Ecco cosa ci scrive la Signora Z. Ortica di Topsham:
« Non ricordavo nessun incantesimo e in famiglia le mie pozioni erano una barzelletta. Ora, dopo il corso SpeedyMagic, sono diventata il centro dell'attenzione a tutti i ricevimenti e gli amici non fanno che chiedermi la ricetta del mio Decotto di Scintillazione! »
E il mago D.J. Prod di Didsbury:
« Mia moglie mi prendeva sempre in giro per i miei mediocri incantesi- mi, ma dopo un mese del vostro favoloso corso SpeedyMagic sono riuscito a trasformarla in uno yak. Grazie, SpeedyMagic! »
Affascinato, Harry esaminò il resto del plico. Perché mai Gazza voleva seguire il corso SpeedyMagic? Forse significava che non era un mago nel vero senso della parola? Harry si stava accingendo a leggere la prima lezione: Come tenere la bacchetta magica (suggerimenti pratici), quando dei passi strascicati lungo il corridoio annunciarono il ritorno di Gazza. Rimise tutto dentro la busta e fece appena in tempo a scaraventarla sulla scrivania che la porta si apri.
Gazza aveva l'aria trionfante.
«Quell'armadietto che scompare è stato molto utile!» stava dicendo allegramente a Mrs Purr. «Questa volta, gioia mia, Pix ce lo siamo tolto dai piedi».
I suoi occhi caddero su Harry e poi subito dopo sulla busta della SpeedyMagic che, come Harry si rese conto troppo tardi, si trovava a mezzo metro da dove Gazza l'aveva lasciata.
La faccia grigia del custode divenne paonazza. Harry si preparò a essere sommerso da un'ondata di furore. Incespicando Gazza si avvicinò alla scrivania, afferrò la busta e la gettò dentro al cassetto.
«L'hai... l'hai letta?» farfugliò.
«No» si affrettò a mentire Harry.
Gazza si torceva le mani nodose.
«Se mai dovessi pensare che tu hai letto la mia corrispondenza privata... non che sia mia... è per un amico... ma comunque sia...»
Harry lo fissava allarmato; il custode non gli era mai sembrato così fuori di sé. Strabuzzava gli occhi, e una delle sue guance flaccide era in preda a un tic che la sciarpa di lana scozzese non riusciva a nascondere.
«Molto bene... vattene pure... e acqua in bocca... non che... e comunque, se dici che non l'hai letta... ora vattene pure. Devo scrivere il rapporto di Pix... vattene».
Stupefatto di tanta fortuna, Harry si catapultò fuori e fece il corridoio e le scale di corsa. Venire via dall'ufficio di Gazza senza una punizione era probabilmente una sorta di record scolastico.
«Harry! Harry! Ha funzionato?»
Nick-Quasi-Senza-Testa sgusciò furtivo da una classe. Dietro di lui, Harry vide il relitto di un grosso armadio nero e oro che sembrava fosse stato fatto cadere da una grande altezza.
«Ho convinto Pix a farlo cadere esattamente sopra l'ufficio di Gazza»
disse Nick eccitato. «Ho pensato che potesse distrarlo...»
«Sei stato tu?» chiese Harry pieno di gratitudine. «Sì, ha funzionato. Non mi sono beccato neanche una punizione. Grazie, Nick!»
Si avviarono insieme lungo il corridoio. Harry notò che Nick-QuasiSenza-Testa aveva ancora in mano la lettera di rifiuto di Sir Patrick.
«Come vorrei poter fare qualcosa per aiutarti a partecipare alla Caccia»
disse Harry.
Nick si fermò di scatto e Harry gli passò attraverso. Avrebbe voluto non averlo fatto: fu come passare sotto una doccia gelata.
«Eppure c'è qualcosa che potresti fare per me» disse Nick trepidante.
«Harry, forse è chiederti troppo... ma no, non vorresti per caso...»
«Di che si tratta?» chiese Harry.
«Bene, quest'anno, a Halloween, ricorre il cinquecentesimo anniversario della mia morte» spiegò Nick raddrizzandosi tutto e assumendo un contegno solenne.
«Oh!» esclamò Harry che non sapeva bene se dovesse dimostrarsi addolorato o felice dell'evento. «Bene».
«Darò una festa giù in una delle grandi sale dei sotterranei. Verranno amici da ogni parte. Sarebbe un tale onore se ci fossi anche tu! Anche il signor Weasley e la signorina Granger sarebbero i benvenuti, naturalmente... ma forse preferisci la festa della scuola?» e guardava Harry come fosse sui carboni ardenti.
«No» si affrettò a rispondere, «verrò volentieri...»
«Caro ragazzo! Harry Potter alla mia Festa di Complemorte! E...» esitò,
«pensi sia possibile che tu dica a Sir Patrick quanto mi trovi spaventoso e impressionante?»
«Ma... naturalmente» rispose Harry.
Nick-Quasi-Senza-Testa lo gratificò di un sorriso radioso.
«Una Festa di Complemorte?» commentò Hermione interessata quando Harry, dopo essersi cambiato, finalmente raggiunse lei e Ron nella sala comune. «Scommetto che non sono molti i vivi che possono vantarsi di aver partecipato a uno di questi festini... Sarà affascinante!»
«Ma chi può desiderare di festeggiare il giorno della propria morte?»
chiese Ron che aveva fatto solo metà dei compiti di Pozioni ed era di umore piuttosto irritabile. «Mi sembra così deprimente...»
La pioggia continuava a battere contro i vetri, che ora erano neri come l'inchiostro, ma dentro l'atmosfera era calda e allegra. I bagliori del fuoco illuminavano le soffici poltrone dove i ragazzi erano sprofondati chi a leggere, chi a parlare, chi a fare i compiti o, come nel caso di Fred e George Weasley, a scoprire cosa sarebbe successo se una salamandra avesse inghiottito un fuoco d'artificio Filìbuster. Infatti, Fred aveva 'salvato' da una lezione di Cura delle Creature Magiche una Salamandra del Fuoco di un bel colore arancio brillante, che in quel momento stava bruciando dolcemente su un tavolo, circondata da un capannello di curiosi. Harry stava per raccontare a Ron e Hermione di Gazza e del corso SpeedyMagic quando d'un tratto la salamandra schizzò in aria con un fischio, scoppiettando e sprigionando botti e scintille, e cominciò a vorticare all'impazzata per la stanza. La vista di Percy che imprecava contro Fred e George fino a perdere la voce, lo spettacolo di stelle grosse come mandarini che piovevano dalla bocca della salamandra e la sua fuga nel fuoco, accompagnata da esplosioni, fecero sparire sia Gazza che il corso Spee-dyMagic dalla mente di Harry. Nei giorni che lo separavano da Halloween, Harry ebbe tutto il tempo di rimpiangere la promessa affrettata di partecipare alla Festa di Complemorte. Tutti gli altri stavano felicemente pregustando l'evento organizzato dalla scuola; la Sala Grande era stata decorata con i soliti pipistrelli vivi, le colossali zucche di Hagrid erano state svuotate e trasformate in lanterne tanto grandi da ospitare tre uomini seduti e si vociferava che Silente avesse ingaggiato una compagnia di scheletri danzanti per uno spettacolo.
«Ogni promessa è debito» ricordò Hermione a Harry con tono categorico. «Sei stato tu a dire che saresti andato alla Festa di Complemorte». Fu cosi che il giorno di Halloween, alle sette di sera, Harry, Ron e Hermione oltrepassarono la porta della affollatissima Sala Grande, da cui provenivano invitanti bagliori di piatti d'oro e di candele, per raggiungere i sotterranei.
Anche il corridoio che conduceva alla sala della festa di Nick-QuasiSenza-Testa era stato illuminato da candelabri, ma l'effetto era tutt'altro che allegro: candele lunghe e sottili, nere come l'ebano, la cui vivida luce blu gettava un cupo riflesso spettrale anche sui vivi. La temperatura scendeva a ogni passo. Harry rabbrividì e si strinse addosso gli abiti; in quello stesso momento, udì un rumore come di mille unghie che grattavano un'enorme lavagna.
«E questa sarebbe la musica?» chiese Ron a bassa voce. Svoltarono un angolo e videro Nick-Quasi-Senza-Testa in piedi, davanti a una porta addobbata con un panneggio di velluto nero.
«Miei cari amici» disse cupo, «benvenuti, benvenuti... sono così contento che siate potuti venire...»
Si levò il cappello piumato e, con un inchino, li introdusse nella sala. Fu una visione incredibile. Il sotterraneo brulicava di centinaia di figure trasparenti, dal colorito perlaceo, che ondeggiavano su una pista da ballo danzando un valzer al suono spaventoso e tremulo di trenta seghe che un'orchestra su un palco, anch'esso drappeggiato di nero, suonava con altrettanti archetti di violino. Dal soffitto, un candelabro diffondeva una luce blu notte da un altro migliaio di candele nere. Ogni respiro dei tre ragazzi si trasformava in nuvolette di vapore; fu come entrare in una cella frigorifera.
«Diamo un'occhiata in giro?» suggerì Harry che voleva scaldarsi un po' i piedi.
«Stai attento a non passare attraverso gli spettri» disse Ron nervoso, e si avviarono lungo il bordo della pista da ballo. Passarono accanto a un grup-po di malinconiche suore, a un uomo stracciato in catene e al Frate Grasso, un allegro fantasma del Tassorosso, che stava parlando con un cavaliere con una freccia conficcata in fronte. Harry non fu sorpreso di vedere che gli altri fantasmi facevano largo intorno al Barone Sanguinario, un fantasma dei Serpeverde, macilento, dallo sguardo fisso, coperto di macchie di sangue argenteo.
«Oh, no!» disse Hermione fermandosi di colpo. «Giratevi dall'altra parte! Non voglio parlare con Mirtilla Malcontenta...»
«Chi?» chiese Harry mentre facevano un rapido dietrofront.
«Abita nel bagno delle ragazze al primo piano» spiegò Hermione.
«Abita in un bagno?»
«Sì. È tutto l'anno che è fuori uso perché lei non fa altro che avere crisi di nervi e allaga tutto. Io non ci andavo mai, se potevo evitarlo. È terribile cercare di andare al gabinetto con quella che non la smette di piagnucolare...»
«Guardate, si mangia!» esclamò Ron.
Dall'altra parte del sotterraneo c'era un lungo tavolo, anch'esso coperto di velluto nero. Si avvicinarono entusiasti, ma si fermarono di botto, inorriditi. L'odore era assolutamente disgustoso. Grandi pesci putridi erano stati disposti su bei vassoi d'argento; torte bruciate, nere come il carbone, erano ammonticchiate su altri piatti da portata; c'erano poi una zuppiera di frattaglie verminose, una forma di formaggio coperto di uno spesso strato di muffa verde e pelosa e, al posto d'onore, un'enorme torta grigia a forma di pietra tombale su cui, tracciata con glassa color catrame, c'era la seguente iscrizione:
Sir Nicholas de Mimsy-Porpington
Morto il 31 ottobre 1492
Harry guardò esterrefatto un fantasma corpulento avvicinarsi al tavolo, piegarsi e attraversare un salmone puzzolente a bocca spalancata.
«Riesci a sentire il sapore, se ci passi attraverso?» gli chiese Harry.
«Quasi» rispose triste il fantasma, e si allontanò.
«Immagino che lo abbiano fatto andare a male per renderlo più saporito»
commentò Hermione con aria saccente, tappandosi il naso e avvicinandosi per guardare meglio le frattaglie putride.
«Possiamo andare da un'altra parte? Mi sento male» disse Ron. Ma non avevano fatto in tempo a girarsi che all'improvviso, da sotto il tavolo, sgusciò fuori un ometto che gli si parò davanti, a mezz'aria.
«Salve, Pix» disse Harry cauto.
A differenza dei fantasmi presenti, il folletto Pix era tutto meno che pallido e trasparente. Indossava un cappellino di carta arancione, una cravatta a farfalla che girava come un'elica, e sul faccione maligno era stampato un largo sorriso.
«Volete sgranocchiare?» disse affabilmente, offrendo una ciotola di noccioline ammuffite.
«No, grazie» disse Hermione.
«Vi ho sentito parlare della povera Mirtilla» disse Pix con gli occhi che gli danzavano nelle orbite. «Siete stati crudeli con la poverina». Fece un respiro profondo e gridò: «EHI! MIRTILLA!»
«Oh, no, ti prego, Pix, non riferirle quel che ho detto, ci rimarrà malissimo» bisbigliò Hermione tutta affannata. «Non intendevo... Non mi importa se lei... Ehm, salve Mirtilla». Il fantasma tarchiato di una ragazza si era avvicinato furtivamente. Aveva la faccia più malinconica che Harry avesse mai visto, per metà nascosta dai capelli dritti come spinaci e da un paio di spessi occhiali periati.
«Dicevate?» domandò scontrosa.
«Come stai, Mirtilla?» chiese Hermione con finta disinvoltura. «È bello vederti per una volta tanto fuori dei gabinetti».
Mirtilla tirò su col naso.
«La signorina Granger stava proprio parlando di te...» le sussurrò subdolamente all'orecchio Pix. Mirtilla squadrò Hermione con sospetto.
«Dicevo... dicevo che stasera sei veramente carina!» disse Hermione lanciando un'occhiataccia a Pix.
«Vi state prendendo gioco di me» disse, e i piccoli occhi trasparenti le si riempirono subito di lacrime argentee.
«No... sul serio... Non stavo proprio dicendo quanto è carina Mirtilla?»
disse Hermione mollando a Harry e a Ron una potente gomitata nelle costole.
«Come no...»
«Ma certo...»
«Non mi raccontate frottole» singhiozzò Mirtilla; ora le lacrime le inondavano la faccia, mentre Pix se la rideva felice sopra la sua spalla. «Pensate che non sappia quel che la gente mi dice dietro? Mirtilla grassona! Mirtilla racchiona! Mirtilla piagnona, malcontenta, Mirtilla che fa le boccac-ce!»
«Ti sei dimenticata 'Mirtilla brufolosa'» le sibilò Pix all'orecchio. La malcontenta Mirtilla scoppiò in singhiozzi disperati e abbandonò il sotterraneo. Lanciandole dietro le noccioline ammuffite, Pix la rincorse gridando: « Brufolosa! Brufolosa! »
«Mamma mia!» esclamò tristemente Hermione.
In quel momento, Nick-Quasi-Senza-Testa avanzava verso di loro, facendosi largo tra la folla.
«Vi state divertendo?»
«Sì, molto» mentirono i ragazzi.
«Niente male come festa» disse lui orgoglioso. «Pensate che la Vedova Velata si è fatta tutto il viaggio dal Kent... È quasi ora del mio discorso; è
meglio che vada ad avvisare l'orchestra...»
Ma proprio in quel momento l'orchestra tacque. Tutti, compresi i tre ragazzi, ammutolirono, guardandosi intorno eccitatissimi. Un corno da caccia prese a suonare.
«Ah, ecco che comincia!» disse Nick a denti stretti.
Attraverso le pareti del sotterraneo irruppero una dozzina di cavallifantasma, montati da cavalieri senza testa. Il pubblico applaudì entusiasta; anche Harry cominciò ad applaudire, ma smise subito alla vista della faccia di Nick-Quasi-Senza-Testa. I cavalli arrivarono al galoppo al centro della pista da ballo e lì si fermarono, impennandosi e poi ricadendo in avanti. Alla testa della squadra, un fantasma corpulento che teneva sottobraccio la propria testa barbuta e suonava il corno, balzò a terra, sollevò in aria la testa per avere una visione panoramica della folla (risate generali) e, ricacciandosela poi sul collo, si avviò a gran passi verso Nick.
«Nick!» tuonò con voce stentorea. «Come te la passi? Sempre con la testa mezza attaccata?»
Scoppiò in una sonora risata e gli batté sulla spalla.
«Benvenuto, Patrick» disse Nick tutto rigido.
«Esseri viventi?» esclamò Sir Patrick scorgendo Harry, Ron e Hermione; fece un balzo di finto stupore e la testa gli rotolò via dal collo (il pubblico si torceva dalle risate).
«Molto divertente» commentò Nick-Quasi-Senza-Testa con aria cupa.
«Non fate caso a Nick!» gridò la testa di Sir Patrick da terra dove si trovava. «È ancora arrabbiato perché non lo abbiamo ammesso alla Caccia. Ma voglio dire... guardatelo, il nostro amico...»
«Io trovo» snocciolò Harry tutto d'un fiato a un'occhiata d'intesa lanciatagli da Nick, «trovo che Nick mette veramente paura... incute terrore e... ehm...»
«Ma sentitelo!» gridò la testa di Sir Patrick. «Scommetto che te l'ha chiesto lui di dire così!»
«Signore e signori, se posso avere la vostra attenzione, è arrivato il momento del mio discorso» disse Nick-Quasi-Senza-Testa alzando la voce, e si arrampicò sul podio sotto il fascio della gelida luce bluastra di un riflettore.
«Miei compianti signori, signore e gentiluomini, è con grande dolore...»
Ma nessuno udì più di questo. In quello stesso momento, Sir Patrick e gli altri Cacciatori Senzatesta avevano iniziato una partita di Hockey con Lancio della Testa e tutti si erano girati a guardare. Nick cercò di riconquistare l'attenzione dell'uditorio, ma quando la testa di Sir Patrick gli volò
davanti al naso, seguita da un applauso fragoroso, rinunciò. Ormai Harry si sentiva letteralmente congelato, per non parlare della fame.
«Non credo che riuscirò a resistere ancora» bofonchiò Ron battendo i denti, mentre l'orchestra rientrava in azione e i fantasmi tornavano a occupare la pista da ballo.
«Andiamocene» convenne Harry.
Indietreggiarono fino alla porta, salutando e facendo inchini, e un attimo dopo correvano a gambe levate lungo il corridoio illuminato dalle candele nere.
«Forse il pudding non è ancora finito» disse speranzoso Ron precedendo i suoi amici su per le scale che portavano all'ingresso. Poi Harry l'udì di nuovo.
« ...squartare... fare a pezzi... uccidere... »
Era la voce di prima, la stessa voce fredda e sinistra che aveva sentito nell'ufficio di Allock.
Inciampò e dovette fermarsi, aggrappandosi al muro di pietra; tese l'orecchio fino allo spasimo, si guardò intorno, scrutò in lungo e in largo il corridoio debolmente illuminato.
«Harry, che cosa...?»
«È ancora quella voce... zitto un attimo...»
« ...tanta fame... da tanto tempo... »
«Ascoltate!» disse Harry in fretta e, guardandolo, Ron e Hermione si sentirono gelare.
« ...uccidere... giunto il momento di uccidere... »
La voce andava affievolendosi. Harry fu certo che si stesse allontanando, spostandosi verso l'alto. Mentre fissava il soffitto buio, fu preso da un misto di paura e di eccitazione: come faceva la voce a spostarsi verso l'alto?
Era forse un fantasma, per il quale i soffitti di pietra non significavano nulla?
«Da questa parte!» gridò, e cominciò a correre su per le scale raggiungendo la Sala d'Ingresso. Lì, non c'era speranza di sentire qualcosa, perché
dalla Sala Grande veniva il chiasso della festa. Harry imboccò di corsa la scala di marmo che conduceva al primo piano, con Ron e Hermione che cercavano di tenergli dietro.
«Harry, che cosa stiamo...»
«Sssh!»
Harry tese l'orecchio. In lontananza, dal piano di sopra, udì la voce, sempre più debole: « ...Sento odore di sangue... SENTO ODORE DI SAN- GUE! »
Gli venne un crampo allo stomaco. «Sta per ammazzare qualcuno!» gridò, e ignorando le facce stupefatte di Ron e di Hermione salì a tre alla volta i gradini dell'ultima rampa di scale, cercando di ascoltare al di sopra del rumore dei suoi passi.
Sempre correndo a perdifiato, superò il secondo piano, seguito a stento da Ron e Hermione, e non si fermò fino a che non ebbe girato un angolo, trovandosi davanti all'ultimo corridoio deserto.
«Harry, che diavolo è successo?» chiese Ron asciugandosi il sudore dalla faccia. «Io non ho sentito niente...»
Ma d'un tratto Hermione ebbe un soprassalto e indicò l'estremità del corridoio.
« Guardate!»
Sulla parete davanti a loro luccicava qualcosa. Si avvicinarono lentamente, scrutando le tenebre. Sulla parete tra le due finestre, era stata dipinta una scritta a lettere cubitali e luccicava alla luce delle torce.
LA CAMERA DEI SEGRETI È STATA APERTA
TEMETE, NEMICI DELL'EREDE
«Cos'è quell'affare che pende... là sotto?» chiese Ron tradendo un leggero brivido nella voce. Si avvicinarono, e Harry per poco non ci scivolò sopra: sul pavimento c'era una grossa pozza d'acqua. Ron e Hermione lo riacciuffarono e si spostarono lentamente verso la scritta, con gli occhi fissi su un'ombra scura sottostante. Capirono subito cosa fosse e fecero un balzo all'indietro spruzzando l'acqua della pozzanghera. Mrs Purr, la gatta del custode, pendeva appesa per la coda dal braccio della torcia. Era rigida come uno stoccafisso e gli occhi spalancati fissavano il vuoto. Per qualche secondo rimasero impietriti. Alla fine Ron disse: «Andiamocene via».
«Ma non sarebbe il caso di aiutarla...» disse Harry in tono incerto.
«Date retta a me» disse Ron. «Non ci conviene farci trovare qui». Troppo tardi. Un rombo, come tuoni in lontananza, annunciò la fine della festa. Dall'estremità del corridoio giunse lo scalpiccio di centinaia di piedi che salivano le scale e il cicaleccio soddisfatto di chi ha ben mangiato; un attimo dopo, gli studenti irruppero nel corridoio. Cicaleccio, brusio e rumore si spensero di colpo alla vista della gatta. Harry, Ron e Hermione erano soli, in mezzo al passaggio, quando il silenzio cadde tra la folla degli studenti che si accalcavano per vedere quell'orrendo spettacolo. Poi, nel silenzio, qualcuno gridò.
«Temete, Nemici dell'Erede! La prossima volta tocca a voi, mezzosangue!»
Era Draco Malfoy. Si era aperto un varco tra la folla ed era arrivato di fronte a loro; i suoi occhi gelidi brillavano e il suo viso di solito esangue era in fiamme, mentre ghignava alla vista della gatta inerte.
Capitolo 9
La scritta sul muro
«Che cosa succede qua? Che cosa succede?»
Certamente attratto dal grido di Malfoy, Gazza arrivò facendosi largo a spallate tra la folla. Poi vide Mrs Purr e cadde all'indietro, coprendosi il viso per l'orrore.
«La mia gatta! La mia gatta! Cosa è successo a Mrs Purr?» gridava. I suoi occhi sbarrati si posarono su Harry.
« Tu! » gridò, « Tu! Sei stato tu a uccidere la mia gatta. Sei stato tu a ucciderla! Io ti ammazzo! Io...»
« Gazza! »
Silente era giunto sulla scena del delitto, seguito da molti altri insegnanti. Superò velocemente Harry, Ron e Hermione e in un attimo staccò Mrs Purr dal braccio della torcia dove era appesa.
«Seguimi, Gazza» disse al custode. «E anche voi, signor Potter, signor Weasley e signorina Granger».
Allock si fece avanti baldanzoso.
«Il mio ufficio è il più vicino, signor Preside... qui al piano di sopra... la prego di fare come se fosse a casa sua...»
«Grazie, Gilderoy» disse Silente.
La folla ammutolita indietreggiò per lasciarli passare. Allock, infervorato e dandosi arie di grande importanza, si affrettò dietro a Silente, seguito dalla McGranitt e da Piton.
Quando entrarono nel suo ufficio completamente buio si udì un grande fermento su tutte le pareti: Harry vide scomparire dalle cornici appese al muro molte fotografie di Allock con i bigodini in testa. Allock - quello in carne e ossa - accese le candele sulla scrivania e si fece da parte. Silente stese Mrs Purr sul piano lucido e cominciò a esaminarla. Harry, Ron e Hermione si scambiarono un'occhiata nervosa, poi andarono a sedersi in un angolo fuori dal cono di luce e rimasero a guardare. La punta del lungo naso aquilino di Silente si trovava a poco più di un centimetro dal pelo di Mrs Purr. La stava osservando da vicino, attraverso i suoi occhiali a mezzaluna e le sue dita tastavano e premevano con garbo. Anche la McGranitt era china sulla bestiola, quasi altrettanto vicina, e i suoi occhi erano due fessure. Piton si teneva in disparte dietro di loro, per metà in ombra, e sul volto aveva l'espressione più strana che si potesse immaginare: era come se stesse facendo di tutto per non sorridere. Quanto ad Allock, gironzolava di qua e di là avanzando ipotesi.
«È stata certamente una maledizione a ucciderla... probabilmente la Tortura Transilvanica. L'ho vista fare molte volte. Peccato che non fossi presente: conosco il contro-incantesimo che l'avrebbe salvata...»
I commenti di Allock erano punteggiati dai singhiozzi secchi e rumorosi di Gazza. Il custode si era lasciato cadere pesantemente su una sedia accanto alla scrivania con il viso tra le mani, incapace di guardare Mrs Purr. Per quanto lo detestasse, Harry non poté fare a meno di provare pena per lui, ma non quanta ne provava per se stesso. Se Silente avesse creduto alla versione di Gazza, lui sarebbe stato certamente espulso. Intanto Silente mormorava strane parole, colpendo delicatamente Mrs Purr con la bacchetta magica, ma non accadde nulla: la gatta continuava ad avere l'aspetto di un animale appena impagliato.
«...Ricordo che a Ouagadougou è accaduto qualcosa di molto simile» diceva intanto Allock. «Una serie di aggressioni: racconto tutto nella mia autobiografia. Allora riuscii a dare agli abitanti alcuni amuleti che risolsero la situazione una volta per tutte...»
Allock parlava, e le sue foto appese alle pareti annuivano in segno di approvazione. Una di loro aveva dimenticato di togliersi la retina dai capelli. Finalmente Silente si tirò su.
«Non è morta, Gazza» disse tranquillamente.
Allock interruppe di colpo la litania di tutti gli omicidi che era riuscito a sventare.
«Non è morta?» disse Gazza con voce soffocata guardando Mrs Purr da dietro le mani con cui si era coperto la faccia. «Ma allora perché è così... rigida e congelata?»
«È stata pietrificata» disse Silente («Proprio quel che pensavo!» esclamò
Allock). «Ma non sono in grado di dire come...»
«Lo chieda a lui!» strillò Gazza volgendo verso Harry la faccia chiazzata e rigata di lacrime.
«Nessun allievo del secondo anno può aver fatto questo» disse Silente con fermezza. «È una cosa che richiede la più sofisticata Magia Nera...»
«Sì, sì, è stato lui!» continuava a gridare Gazza con il viso gonfio e paonazzo. «Lei ha visto quel che ha scritto sul muro! Ha scoperto... nel mio ufficio... lui sa che io sono... che io sono...» il viso gli si contorse in una smorfia orribile. «Lui sa che io sono un Magonò!» concluse.
«Io non ho mai neanche sfiorato Mrs Purr» disse Harry a voce molto alta, con la sgradevole certezza che tutti, comprese le foto di Allock appese alle pareti, lo stessero guardando. «E non so neanche che cosa sia un Magonò!»
«Sciocchezze!» sbraitò Gazza. «Ha visto la lettera che mi è arrivata da SpeedyMagic!»
«Preside, mi permette una parola?» La voce di Piton proveniva dall'angolo buio dove lui si trovava e i presentimenti di Harry si fecero ancor più
cupi. Era sicuro che qualsiasi cosa avesse detto Piton non avrebbe certo giovato alla sua situazione.
«Può darsi semplicemente che a Potter e ai suoi amici sia capitato di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato» disse Piton con un sorriso che gli incurvava le labbra in una smorfia, come se dubitasse delle sue stesse parole. «Ma qui abbiamo una serie di circostanze sospette. Perché si trovavano nel corridoio del terzo piano? E perché non erano alla festa di Halloween?»
Harry, Ron e Hermione si lanciarono in una spiegazione circostanziata della Festa di Complemorte: «...c'erano centinaia di fantasmi; loro potranno dirvi che eravamo là...»
«Ma perché, dopo, non siete andati alla festa?» chiese Piton con gli occhi neri che brillavano alla luce delle candele. «Perché siete saliti fino a quel corridoio?»
Ron e Hermione guardarono Harry.
«Perché... perché...» cominciò lui con il cuore che gli martellava in petto; qualcosa gli diceva che se avesse raccontato che aveva seguito una voce disincarnata che soltanto lui aveva udito sarebbe parsa una spiegazione molto stiracchiata. «Perché eravamo stanchi e volevamo andare a letto»
disse.
«Senza cena?» chiese Piton, e un sorriso trionfante gli guizzò sul volto ossuto. «Non sapevo che, alle loro feste, i fantasmi offrissero cibo commestibile per i vivi».
«Non avevamo fame» spiegò Ron, con lo stomaco che brontolava. Sul volto di Piton il sorriso malevolo si fece ancora più largo.
«Preside, secondo me Potter non sta dicendo tutta la verità» disse. «Sarebbe bene che egli venisse privato di certi privilegi fino a che non si decide a vuotare il sacco. Personalmente, ritengo che fintanto che non si sente disposto a essere sincero dovrebbe essere espulso dalla squadra di Quidditch di Grifondoro».
«Ma insomma, Severus!» disse la professoressa McGranitt con voce tagliente. «Non vedo il motivo di impedire al ragazzo di giocare a Quidditch. La gatta non è stata colpita alla testa da un manico di scopa. Non ci sono prove che Potter abbia fatto qualcosa di male».
Silente lanciò a Harry un'occhiata inquisitoria. Sotto lo sguardo dei suoi scintillanti occhi azzurri il ragazzo si sentì come trapassato da parte a parte.
«Innocente fino a prova contraria» sentenziò Silente con fermezza. Piton pareva furibondo. E anche Gazza.
«La mia gatta è stata pietrificata!» strillava con gli occhi che mandavano saette. «Qualcuno deve essere punito!»
«Riusciremo a curarla, Gazza» disse Silente con grande pazienza. «Ultimamente, la professoressa Sprite è riuscita a procurarsi alcune Mandragole. Non appena saranno cresciute farò una pozione che riporterà in vita Mrs Purr».
«Lasci fare a me» si mise in mezzo Allock. «Devo averla fatta centinaia di volte. La Pozione ricostituente alla mandragola so prepararla a occhi chiusi ...»
«Fino a prova contraria» disse Piton glaciale, «l'esperto di Pozioni in questa scuola sono io».
Segui una pausa imbarazzata.
«Voi potete andare» disse Silente a Harry, Ron e Hermione. I tre ragazzi uscirono più in fretta che poterono senza dare l'impressione di tagliare la corda. Quando ebbero messo un piano di distanza tra loro e l'ufficio di Allock entrarono in una classe vuota e, senza far rumore, si richiusero la porta alle spalle. Harry scrutò i volti accigliati dei due amici.
«Pensate che avrei dovuto dirgli della voce?»
«No» rispose Ron senza esitazione. «Udire voci che nessun altro sente non è un buon segno, neanche tra i maghi».
Qualcosa nel tono di Ron spinse Harry a chiedere: «Ma voi, mi credete?»
«Certo» si affrettò a rispondere Ron. «Ma... devi ammettere che è misterioso...»
«Lo so che è misterioso» disse Harry. «Tutta la storia è misteriosa. Che cos'era quella scritta sulla parete? La Camera dei Segreti è stata aperta... cosa diavolo vuol dire?»
«Sai, mi ricorda qualcosa» disse lentamente Ron. «Forse qualcuno una volta mi ha raccontato la storia di una camera segreta a Hogwarts... può essere stato Bill...»
«E cosa diavolo è un Magonò?» lo interruppe Harry.
Con sua sorpresa, Ron soffocò una risata.
«Be'... veramente non è tanto da ridere... ma pensando a Gazza...» disse.
«Un Magonò è uno nato in una famiglia di maghi, ma privo di qualsiasi potere magico. Un po' il contrario dei maghi nati nelle famiglie dei Babbani, solo che i Maghinò sono rari. Se Gazza sta cercando di imparare la magia con un corso SpeedyMagic penso che sia perché è un Magonò. Questo spiegherebbe molte cose. Per esempio, perché odia cosi tanto gli studenti». Ron sorrise soddisfatto. «È invidioso».
In lontananza si udirono i rintocchi di un pendolo.
«Mezzanotte» disse Harry. «È meglio che andiamo a letto prima che arrivi Piton e provi ad accusarci di qualcos'altro». Per alcuni giorni, a scuola, non si parlò d'altro che dell'attentato a Mrs Purr. Ci pensava Gazza a tenerne desto il ricordo, pattugliando il corridoio dove era avvenuto il misfatto, come se pensasse che il colpevole sarebbe tornato sulla scena del delitto. Harry lo aveva visto darsi da fare con il Solvente Magico di Nonna Acetonella per Ogni Tipo di Sporcizia, per cancellare il messaggio scritto sulla parete, ma invano. Le lettere continuavano a luccicare sulla pietra, imperterrite. Quando Gazza non montava la guardia al luogo del misfatto si appiattava nei corridoi con gli occhi iniettati di sangue e poi saltava fuori all'improvviso davanti agli studenti ignari, pretendendo di punirli accusandoli di 'respirare rumorosamente', oppure di 'avere l'aria felice'.
Ginny Weasley sembrava molto sconvolta per la sorte toccata a Mrs Purr. A detta di Ron, amava molto i gatti.
«Ma in fondo tu Mrs Purr non l'hai neanche conosciuta» le disse Ron per rincuorarla. «Te lo assicuro, senza di lei stiamo tutti molto meglio». A Ginny tremarono le labbra. «Cose di questo genere non capitano spesso a Hogwarts» la rassicurò il fratello. «Vedrai che acciufferanno quel matto che l'ha aggredita e lo sbatteranno fuori in un batter d'occhio. Spero solo che prima di venire espulso ce la faccia a pietrificare Gazza. Sto scherzando...» si affrettò ad aggiungere, perché Ginny era sbiancata come un cencio. L'attentato aveva avuto ripercussioni anche su Hermione che aveva sempre letto moltissimi libri, ma ora non faceva quasi più nient'altro. Né
Harry né Ron riuscivano a farle spiccicare parola quando le chiedevano cosa avesse in mente. Questo fino al mercoledì successivo, quando lo scoprirono. Harry era stato trattenuto alla lezione di Pozioni, dove Piton lo aveva incaricato di ripulire le scrivanie dai vermi. Dopo un pranzo veloce Harry si era avviato di sopra per incontrarsi con Ron in biblioteca, quando si vide venire incontro Justin Finch-Fletchley del Tassorosso, di ritorno dalla lezione di Erbologia. Harry aveva appena aperto bocca per salutarlo, ma Justin, scorgendolo, gli aveva voltato d'improvviso le spalle ed era scappato nella direzione opposta.
Harry trovò Ron in fondo alla biblioteca, alle prese con i compiti di Storia della Magia. Il Professor Rüf aveva chiesto un tema lungo un metro su:
'Il Consiglio dei Maghi nell'Europa Medievale'.
«Non ci posso credere, mi mancano ancora venticinque centimetri...»
disse Ron furibondo mollando la pergamena che tornò ad arrotolarsi. «E
pensare che Hermione ha fatto un tema di un metro e mezzo, e per giunta ha una calligrafia piccola!»
«Dov'è Hermione?» chiese Harry prendendo il metro a nastro e srotolando il suo compito.
«Laggiù, da qualche parte» disse Ron indicando gli scaffali. «In cerca dell'ennesimo libro. Credo che voglia leggere tutta la biblioteca prima di Natale».
Harry raccontò a Ron di Justin Finch-Fletchley che era scappato per evitarlo.
«Non so perché te la prendi tanto; pensavo che fosse un ragazzo un po'
stupido» commentò Ron continuando a scribacchiare e cercando di ingrandire più che poteva la sua calligrafia. «Tutte quelle stupidaggini sulla grandezza di Allock...»
Hermione emerse da dietro gli scaffali. Pareva irritata e finalmente disposta a parlare con loro.
« Non c'è più una copia disponibile di Hogwarts: storia di una Scuola di Magia» disse andandosi a sedere vicino ai suoi amici. «E c'è una lista d'attesa di due settimane. Come vorrei non aver lasciato la mia a casa! Ma con tutti quei libri di Allock non sono riuscita a farlo entrare nel baule!»
«Perché ti serve?» chiese Harry.
«Per lo stesso motivo per cui lo cercano tutti» rispose Hermione, «per leggere la storia della Camera dei Segreti».
«E sarebbe?» chiese subito Harry.
«Non lo so. Non mi ricordo» disse Hermione mordicchiandosi le labbra.
«E non riesco a trovare la leggenda da nessun'altra parte...»
«Hermione, fammi leggere il tuo tema» chiese Ron disperato, controllando l'ora.
«Non se ne parla neanche!» lo redarguì lei, divenuta d'un tratto severa.
«Hai avuto dieci giorni per finirlo».
«Ti prego, mi mancano soltanto sei centìmetri...»
La campanella suonò. Battibeccando, Ron e Hermione si avviarono alla lezione di Storia della Magia.
Storia della Magia era la materia più noiosa del programma. La teneva il professor Rüf, l'unico insegnante fantasma, e la cosa più eccitante mai accaduta durante le sue lezioni era il suo ingresso in aula attraverso la lavagna. Decrepito e avvizzito, molti dicevano che non si era accorto di essere morto. Era accaduto semplicemente che un giorno, alzatosi per andare a lezione, aveva lasciato il proprio corpo su una poltrona davanti al camino, nella stanza dei professori; ma anche così, le sue abitudini non erano mi-nimamente cambiate. Quel giorno, come al solito, la lezione era noiosa. Rüf aprì i suoi appunti e cominciò a leggere: la sua voce era un ronzio monotono, come un vecchio aspirapolvere, tanto che tutta la classe cadde in un torpore profondo, risvegliandosi di tanto in tanto per prendere nota di un nome o di una data, e poi tornando a dormire. Rüf parlava da circa mezz'ora, quando accadde qualcosa di assolutamente inedito: Hermione aveva alzato la mano. Il professore, sollevando lo sguardo nel bel mezzo di una lezione mortalmente noiosa sulla Conferenza Internazionale dei Maghi del 1289, parve stupito.
«Signorina... ehm...»
«Granger, professore. Mi chiedevo se lei poteva dirci qualcosa sulla Camera dei Segreti» chiese la ragazza con voce limpida. Dean Thomas, che fino a quel momento aveva guardato fuori dalla finestra, uscì dalla trance con un sussulto; Lavanda Brown rialzò la testa che aveva appoggiato sulle braccia e a Neville scivolò il gomito giù dal banco. Il professor Rüf sbatté le palpebre.
«La mia materia è Storia della Magia» disse con la sua vocetta secca.
«Io mi occupo di fatti, signorina Granger, non di miti e leggende». Si schiarì la gola con un piccolo schiocco, come di un gessetto che si spezzasse, e proseguì: «Nel settembre di quello stesso anno, un sotto-comitato di stregoni sardi...»
Si interruppe un'altra volta. La mano di Hermione sventolava di nuovo in aria.
«Signorina Grant?»
«Granger, signore... Mi scusi, ma le leggende non si basano sempre su un fatto reale?»
Il professor Rüf la guardò talmente sbalordito che Harry ebbe la certezza che mai studente, né vivo né morto, lo avesse interrotto prima di allora.
«Be'» rispose lentamente, «sì, suppongo che questa tesi sia sostenibile». Scrutò Hermione come se fino a quel momento non avesse mai visto bene in faccia uno studente. «Ma la leggenda di cui lei parla è un racconto talmente fantastico, addirittura ridicolo... »
Ora però, tutta la classe pendeva dalle sue labbra. Lui li fissò con il suo sguardo un po' perso; tutti gli occhi erano puntati su di lui. Harry avrebbe giurato che il professore era completamente sconvolto da quella insolita manifestazione di interesse.
«Oh, molto bene» disse lentamente. «Vediamo un po'... la Camera dei Segreti...
«Naturalmente, sapete tutti che Hogwarts è stata fondata più di mille anni fa - si ignora la data precisa - dai due maghi e dalle due streghe più famosi dell'epoca. Le quattro Case prendono nome da loro: Godric Grifondoro, Tosca Tassorosso, Priscilla Corvonero e Salazar Serpeverde. Insieme, essi costruirono questo castello, lontano dagli occhi curiosi dei Babbani, perché a quel tempo la magia era molto temuta dalla gente comune, e maghi e streghe erano crudelmente perseguitati».
S'interruppe, volse intorno alla stanza uno sguardo opaco e proseguì:
«Per alcuni anni, i quattro fondatori lavorarono insieme in grande armonia, andando in cerca di giovani che mostrassero doti magiche e portandoli al castello per educarli. Ma un giorno tra loro nacquero dei dissapori. Fra Serpeverde e gli altri cominciò a crearsi una spaccatura. Serpeverde voleva essere più severo nella scelta degli studenti da ammettere a Hogwarts. Era convinto che il sapere magico dovesse essere custodito nelle famiglie di maghi. Non gli piaceva prendere studenti nati in famiglie di Babbani: li riteneva inaffidabili. Dopo qualche tempo, tra Grifondoro e Serpeverde scoppiò una gravissima lite al riguardo e Serpeverde lasciò la scuola». Il professor Rüf si interruppe di nuovo e increspò le labbra: pareva proprio una vecchia tartaruga grinzosa.
«Tutto ciò proviene da fonti storiche sicure» proseguì, «ma questi fatti chiari e inoppugnabili sono stati offuscati dalla fantasiosa leggenda della Camera dei Segreti. Si racconta che Serpeverde costruì nel castello una stanza segreta, di cui gli altri fondatori ignoravano l'esistenza.
«Stando alla leggenda, Serpeverde sigillò la Camera dei Segreti affinché
nessuno potesse aprirla fintanto che non fosse giunto il suo vero erede. Soltanto lui sarebbe stato in grado di spezzare il sigillo apposto sulla Camera dei Segreti, sprigionare gli orrori che vi erano racchiusi e servirsene per epurare la scuola da tutti coloro che erano indegni di studiare la magia». Il professor Rüf concluse il racconto nel silenzio generale, ma non era il solito silenzio sonnacchioso, tipico delle sue lezioni. Gli alunni continuavano a fissarlo sperando che la storia avesse un seguito, ma nell'aria si avvertiva un certo disagio. Il professore aveva un'aria lievemente annoiata.
«Senza dubbio, si tratta di stupidaggini belle e buone» disse. «Naturalmente la scuola è stata perquisita molte volte in lungo e in largo dai maghi e dalle streghe più colti per trovare la prova dell'esistenza di un luogo simile. Ma quella stanza non esiste. È una storia che si racconta per spaventare i creduloni».
Hermione aveva alzato di nuovo la mano.
«Signore... che cosa intende dire esattamente con 'orrori' racchiusi nella Camera?»
«Si ritiene che si tratti di una specie di mostro, da cui solo l'erede di Serpeverde riesce a farsi obbedire» rispose il professor Rüf con la sua solita voce esile e asciutta.
I ragazzi si scambiarono occhiate nervose.
«Statemi a sentire bene, questa cosa non esiste» disse Rüf riordinando gli appunti. «Non esiste nessuna Camera dei Segreti e non esiste nessun mostro».
«Ma, signore» disse Seamus Finnigan, «se la Camera può essere aperta soltanto dal vero erede di Serpeverde, nessun altro può trovarla, non le pare?»
«Stupidaggini, Gannifin» disse Rüf annoiato. «Se tanti direttori e direttrici di Hogwarts non hanno trovato...»
«Ma, professore» saltò su Calì Patil, «probabilmente per aprirla bisogna fare ricorso alla Magia Nera...»
«Il semplice fatto che un mago non ricorra alla Magia Nera, non vuol dire che non sappia usarla, signorina Palì Catil» la rimbeccò il professor Rüf. «Ripeto, se figure della levatura di Silente...»
«Ma forse bisogna che ci sia un legame con Serpeverde; per questo Silente non è riuscito...» cominciò a dire Dean Thomas. Ma Rüf ne aveva abbastanza.
«Basta così» disse tagliando corto. «È un mito! Non esiste! Non c'è la minima prova che Serpeverde abbia mai costruito neanche un armadio per le scope che sia segreto! Mi rincresce di avervi raccontato una storia tanto insensata! E ora, se non vi dispiace, torniamo alla storia, ai fatti concreti, credibili, verificabili!»
Nel giro di cinque minuti la classe era sprofondata di nuovo nel torpore di sempre.
«L'ho sempre saputo che Salazar Serpeverde era un vecchio pazzo strampalato» disse Ron a Harry e a Hermione mentre, finita la lezione, si facevano largo nell'affollato corridoio per andare a posare le cartelle prima di pranzo. «Ma non sapevo che fosse stato lui a inventare questa storia dei purosangue. Non vorrei essere nella sua Casa per tutto l'oro del mondo. Sinceramente, se il Cappello Parlante avesse cercato di mettermi tra i Serpeverde avrei ripreso di filato il treno per tornarmene a casa...»
Hermione annuiva calorosamente, ma Harry taceva. Gli si era chiuso lo stomaco, ed era una sensazione decisamente sgradevole.
Harry non aveva mai raccontato a Ron e a Hermione che il Cappello Parlante aveva preso in seria considerazione la possibilità di mandare lui dai Serpeverde. Ricordava come fosse stato ieri quel che gli aveva detto all'orecchio la vocina, un anno prima, quando si era messo il cappello in testa: Potresti diventare grande, sai: qui, nella tua testa, c'è di tutto, e Ser- peverde ti aiuterebbe sulla via della grandezza, su questo non c'è dubbio... Ma Harry, che aveva già sentito dire che la Casa di Serpeverde aveva fama di aver formato molti maghi oscuri, aveva pensato disperatamente: Non a Serpeverde, non a Serpeverde! Allora il cappello aveva detto: Be', se sei proprio così sicuro... meglio Grifondoro!
Mentre venivano spintonati tra la folla, gli passò accanto Colin Canon.
«Ciao, Harry!»
«Ehilà, Colin!» gli rispose meccanicamente Harry.
«Harry... Harry... un ragazzo in classe mia ha detto che tu sei...»
Ma Colin era così basso di statura che non riusciva a contrastare il flusso di persone che lo sospingevano verso la Sala Grande; non avevano fatto in tempo a sentirlo strillare: «Ci vediamo, Harry!» che era già scomparso.
«Cos'è che direbbe di te il suo compagno di classe?» chiese Hermione.
«Che sono l'erede di Serpeverde, immagino» rispose Harry con lo stomaco che gli si era chiuso ancora di più al ricordo improvviso di come era scappato Justin Finch-Fletchley quando lo aveva incontrato.
«La gente qui riesce a credere a qualsiasi cosa» disse Ron con aria disgustata. La folla si diradò e i tre risalirono senza difficoltà la successiva rampa di scale.
«Pensi veramente che esista una Camera dei Segreti?» chiese Ron a Hermione.
«Non lo so» rispose lei aggrottando la fronte. «Silente non è riuscito a curare Mrs Purr, e questo mi fa pensare che qualsiasi cosa abbia colpito la gatta non è... ehm... umana».
Chiacchierando, i tre ragazzi girarono un angolo e si trovarono proprio all'estremità del corridoio dove era avvenuto il fattaccio. Si fermarono a guardare. La scena era esattamente come l'avevano vista la sera prima, tranne che ora al braccio della torcia non c'era appeso nessun gatto rigido e stecchito come un baccalà, mentre invece, contro la parete c'era una sedia con su appoggiato il seguente messaggio: 'La Camera è stata aperta'.
«È qui che Gazza monta la guardia» bofonchiò Ron.
Si scambiarono un'occhiata. Il corridoio era deserto.
«Non c'è niente di male a dare un'occhiatina in giro» disse Harry liberandosi della cartella e mettendosi a quattro zampe per cercare indizi.
«Segni di bruciature!» disse. «Qui... e qui...»
«Vieni a vedere!» esclamò Hermione. «È strano...»
Harry si rialzò in piedi e si avvicinò alla finestra, accanto al messaggio scritto sulla parete. Hermione indicava il pannello di vetro in alto, dove una ventina di ragni si davano alla fuga azzuffandosi per passare attraverso una piccola fenditura. Un lungo filo argenteo pendeva a mo' di fune, come se tutti, nella fretta di andarsene, se ne fossero serviti per arrampicarsi.
«Hai mai visto dei ragni comportarsi in questo modo?» chiese Hermione pensierosa.
«No» disse Harry. «E tu, Ron? Ron?»
Si voltò a guardare. Ron si teneva scrupolosamente in disparte e sembrava si trattenesse a stento dal correre via.
«Cosa c'è?» gli chiese Harry.
«Non... mi... piacciono... i ragni» rispose nervoso.
«Non lo sapevo» disse Hermione guardandolo sorpresa. «Hai maneggiato ragni migliaia di volte, nelle pozioni...»
«Se sono morti è un altro conto» rispose Ron guardando ovunque tranne che verso la finestra. «Non mi piace come si muovono...»
Hermione rise.
«Non c'è niente da ridere» disse Ron arrabbiato. «Se proprio volete saperlo, quando avevo tre anni Fred ha trasformato il mio... il mio orsacchiotto in un orrendo ragno grossissimo, perché io gli avevo rotto il suo manico di scopa. Neanche a voi piacerebbero, se quando tenevate in braccio il vostro orsacchiotto tutt'a un tratto gli fossero spuntate zampe da tutte le parti e...»
Si interruppe e rabbrividì. Naturalmente Hermione stava ancora facendo di tutto per non ridere. Harry si rese conto che era meglio cambiare argomento e disse: «Vi ricordate tutta quell'acqua per terra? Da dove sarà venuta? Qualcuno l'ha asciugata».
«Era pressappoco qui» disse Ron che si era ripreso ed era riuscito a fare qualche passo oltre la sedia di Gazza, indicando un punto, «all'altezza di questa porta».
Allungò la mano sulla maniglia d'ottone, ma la ritrasse di colpo come se si fosse ustionato.
«Cosa c'è?» chiese Harry.
«Non si può entrare» disse Ron abbassando la voce. «È la toilette delle ragazze».
«Oh, Ron, di sicuro non c'è nessuno» disse Hermione avvicinandosi.
«Questo è il regno di Mirtilla Malcontenta. Vieni, su, andiamo a dare un'occhiata». E ignorando il grosso cartello 'GUASTO' aprì la porta.
Era il bagno più squallido e deprimente dove Harry avesse mai messo piede. Sotto un grosso specchio rotto e macchiato c'era una fila di lavandini in pietra sbreccati. Il pavimento era bagnaticcio e rifletteva la luce fioca di alcuni mozziconi di candela; le porte di legno dei gabinetti erano graffiate e scorticate e una ciondolava fuori dai cardini. Hermione si mise un dito sulla bocca e si avviò verso il gabinetto in fondo. Lì disse: «Salve, Mirtilla, come stai?»
Harry e Ron si avvicinarono per guardare. Mirtilla Malcontenta era sospesa a mezz'aria sopra la cassetta dello scarico e si stava strizzando un brufolo sul mento.
«Questo è un bagno per ragazze» disse lanciando un'occhiata sospettosa a Ron e Harry. « Loro non sono ragazze».
«E vero» convenne Hermione. «volevo soltanto fargli vedere come... ehm... come è carino qui».
E con gesto vago indicò il vecchio specchio tutto sporco e il pavimento bagnato.
«Chiedile se ha visto niente» le sussurrò Harry.
«Che cosa vi state bisbigliando?» disse Mirtilla guardandolo fisso.
«Niente» si affrettò a dire Harry. «Volevamo chiederti...»
«Vorrei che la gente la smettesse di parlarmi dietro alle spalle!» disse Mirtilla con la voce rotta dal pianto. «Ho anch'io dei sentimenti, sapete, anche se sono morta».
«Mirtilla, nessuno vuole farti star male» disse Hermione. «Harry voleva solo...»
«Nessuno vuole farmi star male, eh? Questa sì che è buona!» gemette cupa Mirtilla. «In questo posto la vita non mi ha dato che infelicità e ora mi vogliono rovinare anche la morte!»
«Volevamo chiederti se ultimamente avevi visto per caso qualcosa di strano» si affrettò a spiegare Hermione, «perché proprio di fronte alla tua porta, il giorno di Halloween, qualcuno ha fatto un attentato a un gatto».
«Hai visto nessuno aggirarsi qui intorno, quella notte?» chiese Harry.
«Non ci ho fatto caso» rispose Mirtilla con aria melodrammatica. «Pix mi ha sconvolto così tanto, quella sera, che me ne sono venuta qui e ho cercato di ammazzarmi. Poi naturalmente mi sono ricordata che sono... che sono...»
«Che sei già morta» concluse Ron venendole in aiuto.
Mirtilla fece un sospiro tragico, si sollevò in aria, si voltò e si tuffò a capofitto nella tazza, spruzzando acqua tutt'intorno e scomparendo; dalla direzione da cui provenivano i suoi singhiozzi smorzati, si sarebbe detto che si fosse fermata da qualche parte nel sifone.
Harry e Ron rimasero a bocca aperta, ma Hermione scrollò stancamente le spalle e disse: «Questa sera Mirtilla era davvero quasi di buon umore... Andiamo via, su!»
Harry aveva appena richiuso la porta sui singhiozzi gorgoglianti di Mirtilla, quando uno scoppio di voce li fece saltare tutti e tre.
«RON!»
Percy Weasley si era fermato di botto in cima alle scale, con il cartellino di Prefetto che gli luccicava sul petto e sul volto un'espressione completamente sconvolta.
«Ma quello è il bagno delle ragazze!» Era senza fiato. «Che cosa stavate...?»
«Stavamo semplicemente dando un'occhiata in giro» disse Ron facendo spallucce. «Cerchiamo indizi, sai...»
Percy si gonfiò in un modo che a Harry non poté non ricordare mamma Weasley.
«Fuori... di... qui...» disse avvicinandosi a grandi passi, e cominciò a inseguirli battendo le mani. «Non vi importa proprio niente di quel che si potrebbe pensare di voi? Tornare qui mentre tutti sono a pranzo...»
«E perché mai non dovremmo essere qui?» disse Ron risentito, fermandosi e dando un'occhiataccia al fratello.
«Senti un po', guarda che la gatta noi non l'abbiamo sfiorata neanche con un dito!»
«È quel che ho detto a Ginny» disse Percy con foga, «ma a quanto sembra, lei continua a pensare che sarete espulsi: non l'ho mai vista così sconvolta, piange come una fontana. Potreste anche pensare a lei: tutti quelli del primo anno sono assolutamente sovreccitati per questa faccenda...»
«È a te che non importa niente di Ginny!» disse Ron con le orecchie rosse dalla rabbia. «L'unica cosa che ti preoccupa è che io possa rovinarti la promozione a Caposcuola!»
«Cinque punti in meno al Grifondoro!» tagliò corto Percy indicando il suo cartellino di Prefetto. «E spero che questo ti insegni qualcosa. Niente più giocare al detective o scrivo a mamma!»
E si allontanò a gran passi, con la collottola rossa quanto le orecchie di Ron.
Quella sera, quando si riunirono nella sala di ritrovo, Harry, Ron e Hermione andarono a sedersi più lontano possibile da Percy. Ron, ancora di pessimo umore, continuava a imbrattare il suo compito di Incantesimi. Quando poi, distrattamente, prese la bacchetta magica per eliminare le macchie, diede fuoco alla pergamena. Fumando quasi quanto il suo compito, chiuse di malagrazia il secondo volume del Manuale degli incantesimi. Con grande sorpresa di Harry, Hermione fece altrettanto.
«Ma allora chi può essere?» disse a bassa voce, come riprendendo una conversazione interrotta poco prima. «Chi può volere che tutti i Maghinò e i figli dei Babbani abbandonino Hogwarts?»
«Aspetta, fammi pensare» disse Ron con finta perplessità. «Chi conosciamo che pensa che i figli di Babbani siano il rifiuto della società?»
Fissò Hermione, che gli ricambiò l'occhiata, poco convinta.
«Stai parlando di Malfoy?»
«E di chi altro?» disse Ron. «L'hai sentito: 'La prossima volta tocca a voi, mezzosangue!' Dài, basta che gli guardi quella stupida faccia da topo per capire che è lui...»
«Malfoy l'Erede di Serpeverde?» commentò Hermione scettica.
«Guarda la sua famiglia» disse Harry chiudendo anche lui il libro. «Sono stati sempre tutti Serpeverde, lui non fa che vantarsene in continuazione. Non è impossibile che discendano da Serpeverde in persona. Il padre di Malfoy è decisamente abbastanza cattivo per esserlo».
«Forse possiedono la chiave della Camera dei Segreti da secoli» disse Ron, «e se la tramandano di padre in figlio...»
«Be'» disse cauta Hermione, «è possibile...»
«Ma come possiamo dimostrarlo?» chiese Harry cupo.
«Un modo ci sarebbe» disse lentamente Hermione, abbassando ancora di più la voce e lanciando una rapida occhiata a Percy, all'altro capo della stanza. «Naturalmente è difficile. E pericoloso, molto pericoloso. Se lo facessimo, immagino che infrangeremmo almeno cinquanta regole della scuola».
«Se fra un paio di mesi vorrai degnarti di spiegarcelo faccelo sapere, eh?» disse Ron irritato.
«Va bene» disse Hermione in tono gelido. «Dovremmo introdurci nella sala di ritrovo dei Serpeverde e fare a Malfoy qualche domanda senza che lui sappia che siamo noi».
«Ma è impossibile!» disse Harry, e Ron scoppiò a ridere.
«No che non lo è» replicò Hermione. «Basterebbe un po' di Pozione Polisucco».
«E che cos'è?» chiesero all'unisono Ron e Harry.
«L'ha nominata Piton in classe, alcune settimane fa...»
«Pensi proprio che durante le lezioni di Pozioni non abbiamo niente di meglio da fare che ascoltare Piton?» borbottò Ron.
«È una pozione che ti trasforma in un'altra persona. Pensateci! Potremmo trasformarci in tre studenti del Serpeverde. Nessuno saprebbe che siamo noi. È assai probabile che Malfoy sputerebbe fuori tutto. Forse se ne sta vantando nella sala di ritrovo dei Serpeverde in questo preciso momento, se solo potessimo ascoltarlo».
«Questa roba Polisucco mi sembra un po' pericolosa» disse Ron aggrottando la fronte. «E se ci rimane addosso per sempre la faccia dei tre Serpeverdi?»
«Dopo un po' svanisce da sola» disse Hermione con un gesto d'impazienza. «Resta il fatto che impadronirsi della ricetta sarà molto difficile. Piton ha detto che si trova in un libro intitolato De Potentissimis Potionibus, che viene custodito nel Reparto Proibito della biblioteca». C'era un solo modo per poter prendere un libro dal Reparto Proibito: avere un permesso firmato da un professore.
«Il difficile è spiegare perché lo vogliamo» disse Ron, «se non per cercare di eseguire una delle ricette».
«Io penso» disse Hermione, «che se lo facessimo passare per il desiderio di approfondire lo studio teorico avremmo una possibilità...»
«Ma che dici! Nessun insegnante ci cascherà» la rimbeccò Ron. «Dovrebbero essere veramente ottusi...»
Capitolo 10
Il Bolide fellone
Dal giorno del disastroso episodio con i Folletti della Cornovaglia Allock non aveva più portato in classe creature vive. Ora leggeva agli alunni brani dai suoi libri e a volte inscenava alcuni degli episodi più drammatici. In genere chiamava Harry a farsi aiutare in queste ricostruzioni; fino a quel momento Harry era stato costretto a recitare la parte di un contadino sempliciotto della Transilvania che Allock aveva curato per un Incantesimo Tartagliante, uno yeti incimurrito e un vampiro che da quando Allock gli aveva prestato le sue cure non era riuscito a mangiare nient'altro che lattuga. Durante l'ultima lezione di Difesa contro le Arti Oscure, Harry fu chiamato alla cattedra, questa volta per impersonare un lupo mannaro. Se non avesse avuto un'ottima ragione per non voler guastare l'umore di Allock si sarebbe rifiutato di farlo.
«Un bell'ululato, Harry... proprio così... e poi, che ci crediate o no, gli sono piombato addosso... così... l'ho scaraventato a terra... così... con una mano sono riuscito a tenerlo fermo e con l'altra gli ho ficcato la bacchetta magica in gola. Poi ho raccolto le ultime forze e ho eseguito il difficilissimo Incantesimo Omosembiante. Lui ha emesso un lamento pietoso... forza, Harry... più forte... bene così... il pelo è scomparso, le zanne si sono ritratte e lui è tornato uomo. Semplice, e tuttavia efficace... E un altro villaggio mi ricorderà sempre come l'eroe che li ha liberati dal terrore degli attacchi del lupo mannaro, che si ripetevano tutti i mesi». La campanella suonò e Allock balzò in piedi.
«Compiti a casa: comporre una poesia sulla sconfitta da me inferra al lupo mannaro Wagga Wagga! La migliore verrà premiata con una copia firmata di Magicamente io». Gli alunni cominciarono a uscire. Harry si precipitò in fondo alla classe, dove Ron e Hermione lo stavano aspettando.
«Pronti?» bisbigliò Harry.
«Aspettiamo che escano tutti» rispose Hermione nervosa. «Adesso...»
Si avvicinò alla cattedra, tenendo stretto in mano un pezzo di carta. Harry e Ron la seguirono.
«Ehm... professor Allock?» balbettò Hermione. «Volevo... prendere questo libro dalla biblioteca. Solo per una lettura propedeutica». Gli porse il pezzo di carta con la mano che le tremava leggermente. «Ma il fatto è
che il libro si trova nel Reparto Proibito della biblioteca e quindi serve che un insegnante mi firmi l'autorizzazione... Sono sicura che mi aiuterà a capire quel che lei dice nel suo A spasso con gli spiriti a proposito dei veleni ad azione ritardata...»
«Ah, A spasso con gli spiriti!» disse Allock prendendo il biglietto che gli tendeva Hermione e rivolgendole un grande sorriso. «Forse è il mio libro preferito. Le è piaciuto?»
«Oh, sì!» esclamò Hermione con entusiasmo. «Cosi astuto il suo modo di intrappolare l'ultimo con il passino del tè...»
«Bene, sono sicuro che nessuno troverà niente da ridire se offro un piccolo aiuto extra alla migliore studentessa della scuola» disse Allock con calore, tirando fuori un'enorme penna di pavone. «Carina, vero?» disse fraintendendo l'espressione disgustata sul volto di Ron. «In genere la uso per firmare i miei libri».
Tracciò un'enorme firma tutta svolazzi e ghirigori e restituì il biglietto a Hermione.
«Allora, Harry» disse Allock mentre Hermione ripiegava il biglietto e con dita tremanti lo riponeva nella cartella, «domani, se non sbaglio, si gioca la prima partita di Quidditch della stagione. Grifondoro contro Serpeverde, vero? Mi dicono che sei molto bravo. Anch'io giocavo come Cercatore. Mi chiesero di entrare nella Nazionale, ma ho preferito dedicare la vita a combattere le Forze Oscure. Se dovessi sentire il bisogno di allenarti un po' privatamente, non esitare a chiedermelo. Sono sempre felice di trasmettere la mia esperienza a giocatori meno abili...»
Harry fece un suono indistinto con la gola e si affrettò a seguire Ron e Hermione.
«Non riesco a crederci» disse mentre tutti e tre contemplavano la firma sul biglietto. «E non ha neanche letto che libro volevamo».
«Questo perché è un imbecille senza cervello» disse Ron. «Ma che ce ne importa! Abbiamo quel che ci serve».
« Non è un imbecille senza cervello» lo rimbeccò Hermione alzando la voce mentre si avviavano quasi di corsa verso la biblioteca.
«Solo perché ti ha detto che sei la migliore studentessa di quest'anno...»
Entrando nel silenzio ovattato della biblioteca, abbassarono la voce. Madama Pince, la bibliotecaria, era una donna magra e irritabile che assomigliava a un avvoltoio denutrito.
« De Potentissimis Potionibus?» ripeté sospettosa cercando di prendere il biglietto dalle mani di Hermione, che non voleva mollarlo.
«Mi chiedevo se potevo tenerlo» disse in un soffio.
«Su, dài» disse Ron strappandoglielo di mano e gettandolo alla Pince.
«Ti procureremo un altro autografo. Allock è capace di firmare qualunque cosa che stia ferma abbastanza a lungo per dargli il tempo di farlo». Madama Pince mise il biglietto sotto la luce come se fosse decisa a scoprire un falso, ma la prova fu superata. Sparì tra gli alti scaffali e dopo un po' tornò con un grosso libro ammuffito. Hermione lo ripose cautamente nella cartella e i tre ragazzi uscirono, cercando di non affrettare troppo il passo o di non avere l'aria colpevole.
Cinque minuti dopo erano barricati di nuovo nel bagno 'guasto' di Mirtilla Malcontenta. Hermione aveva scartato le obiezioni di Ron spiegando che era l'ultimo posto dove chiunque sano di mente sarebbe andato, e che quindi potevano contare su una certa riservatezza. Mirtilla stava piangendo rumorosamente nel suo gabinetto, ma la ignorarono e lei fece altrettanto. Hermione aprì cautamente il tomo e tutti e tre si chinarono sulle pagine macchiate di umidità. Bastò un'occhiata per capire perché venisse custodito nel Reparto Proibito. Alcune pozioni avevano effetti raccapriccianti soltanto a pensarli e c'erano alcune illustrazioni molto sgradevoli, tra cui quella di un uomo che sembrava fosse stato rivoltato come un guanto, e di una strega sulla cui testa spuntavano numerose paia di braccia.
«Eccola qua» disse Hermione emozionata quando ebbe trovato la pagina intitolata La Pozione Polisucco. Era illustrata con disegni di persone colte nell'atto di trasformarsi in qualcun altro. Harry sperò con tutto il cuore che l'artista avesse soltanto immaginato l'espressione di intenso dolore sui loro volti.
«È la pozione più complicata che io abbia mai visto» disse Hermione mentre esaminavano la ricetta. «Mosche Crisopa, sanguisughe, erba fondente e centinodia» lesse quasi tra sé, scorrendo con il dito la lista degli ingredienti. «Bene, non è difficile procurarseli, sono nella dispensa degli studenti, possiamo prenderli da soli. Oh, guardate, polvere di corno di Bicorno: questo non so proprio dove andremo a pescarlo... pelle tritata di Girilacco: anche questo sarà complicato... e naturalmente, un pezzetto della persona nella quale desiderate trasformarvi».
«Scusa, cos'hai detto?» chiese Ron con voce aspra. «Che significa 'un pezzetto della persona nella quale desiderate trasformarvi'? Io non intendo bere niente che contenga le unghie dei piedi di Tiger...»
Hermione proseguì come se non lo avesse sentito.
«Di questo non dobbiamo preoccuparci, per il momento, perché sono ingredienti che vanno aggiunti per ultimi...»
Ron, ammutolito, si voltò a guardare Harry, il quale era stato colto da un'altra preoccupazione.
«Ti rendi conto di quante cose dovremo rubare, Hermione? Pelle tritata di Girilacco! Questa roba non si trova certamente nella dispensa degli studenti. Cosa faremo? Scassineremo il deposito privato di Piton? Non mi pare tanto una buona idea...»
Hermione chiuse il libro con uno schiocco.
«Sentite, se voi avete paura ad andare avanti, per me va bene» disse. Aveva due macchie rosso vivo sulle guance e gli occhi erano più accesi del solito. « A me non piace infrangere le regole, lo sapete bene. Ma penso che minacciare i figli dei Babbani sia molto peggio che preparare una pozione complicata. Ma se non vi interessa scoprire se è Malfoy, io vado dritta dritta da Madama Pince e le restituisco il libro...»
«Non avrei mai creduto che sarebbe venuto il giorno in cui tu avresti cercato di convincere noi a violare le regole» disse Ron. «Va bene, facciamolo. Ma niente unghie dei piedi, d'accordo?»
«Quanto ci vorrà per prepararla?» chiese Harry mentre Hermione, molto più contenta, riapriva il libro.
«Bene, visto che l'erba fondente va raccolta con la luna piena e le mosche Crisopa vanno fatte cuocere a fuoco lento per ventuno giorni... direi che ci vorrà circa un mese, se riusciamo a procurarci tutti gli ingredienti».
«Un mese?» esclamò Ron. «Per allora Malfoy potrebbe aver fatto fuori metà dei figli di Babbani!» Ma poiché Hermione stringeva di nuovo pericolosamente gli occhi, si affrettò a soggiungere: «Ma siccome è il piano migliore che abbiamo, io dico: avanti tutta!»
Poi, mentre Hermione controllava se avevano via libera per uscire dal bagno, Ron bisbigliò a Harry: «Avremo meno problemi se domani riesci semplicemente a buttare giù Malfoy dalla sua scopa!»
Sabato mattina Harry si svegliò di buon'ora e rimase a letto pensando all'imminente partita a Quidditch. Lo innervosiva il pensiero di quel che avrebbe detto Baston se il Grifondoro avesse perso, ma anche l'idea di dover affrontare una squadra che montava le più veloci scope da corsa reperibili sul mercato. Mai come in quel momento aveva desiderato battere i Serpeverde. Rimase mezz'ora steso a letto a rimuginare tutti questi pensieri, poi si alzò, si vestì e scese a fare colazione. Era presto, e nella Sala Grande trovò gli altri compagni di squadra del Grifondoro seduti intorno al lungo tavolo semideserto, taciturni e tesi.
Sul far delle undici, tutta la scuola cominciò ad avviarsi allo stadio. Era una giornata umida e coperta, e nell'aria c'era odore di temporale. Ron e Hermione arrivarono di corsa per augurare buona fortuna a Harry che stava entrando negli spogliatoi per cambiarsi. La squadra indossò la tuta scarlatta dei Grifondoro e poi si sedette ad ascoltare, come di consueto, il fervorino di Baston prima della partita.
«I Serpeverde hanno scope migliori delle nostre» cominciò, «inutile ne-garlo. Ma a cavallo delle nostre scope ci sono giocatori più valenti. Ci siamo allenati più di loro, abbiamo volato col sole e con la pioggia...»
(«Troppo vero» bofonchiò tra sé George Weasley. «Non ricordo di avere mai indossato vestiti completamente asciutti, da agosto fino a oggi») «...e gli faremo rimpiangere il giorno che hanno permesso a quello schifoso di Malfoy di comperarsi l'ammissione nella squadra».
Con il petto gonfio per l'emozione, Baston si girò verso Harry.
«Starà a te» gli disse, «dimostrargli che per essere un bravo Cercatore non basta avere un babbo coi quattrini. Metti le mani su quel Boccino prima di Malfoy anche a costo della vita, Harry, perché oggi dobbiamo vincere, dobbiamo assolutamente vincere».
«Tanto per non metterti sotto pressione, Harry» commentò Fred strizzandogli l'occhio. Quando entrarono in campo furono accolti da un boato, soprattutto applausi, perché il Tassorosso e il Corvonero erano ansiosi di vedere battuto il Serpeverde, ma in mezzo alla folla, questi ultimi fecero sentire anche i loro fischi e le loro grida. Madama Bumb, l'insegnante di Quidditch, chiese a Flitt e a Baston di scambiarsi una stretta di mano, cosa che loro fecero lanciandosi occhiate velenose e stringendo un bel po' più del necessario.
«Al mio fischio» disse Madama Bumb, «tre... due... uno...»
La folla esultò al decollo dei giocatori; i quattordici ragazzi si sollevarono nel cielo plumbeo. Harry volava più in alto di tutti, scrutando in cerca del Boccino.
«Tutto bene, Sfregiato?» gli gridò Malfoy saettando sotto di lui come se volesse mostrare la velocità della sua scopa.
Harry non ebbe il tempo di replicare. In quel preciso istante, un pesante Bolide nero gli si scagliò contro; lui lo evitò per un pelo, tanto che si sentì
scarmigliare i capelli al suo passaggio.
«Fuori uno, Harry» gli disse George sfrecciandogli accanto a tutta velocità con la mazza in resta, pronto a colpire il Bolide e rinviarlo ai Serpeverde. Harry lo vide centrarlo con un gran fendente in direzione di Adrian Pucey, ma a mezza strada il Bolide cambiò rotta e puntò di nuovo su Harry.
Il ragazzo si abbassò prontamente per schivarlo e George lo colpì di nuovo con forza, in direzione di Malfoy. Ancora una volta il Bolide deviò
come un boomerang, dirigendosi sparato sulla testa di Harry. Con uno scatto di velocità, Harry si precipitò verso l'estremità opposta del campo. Dietro di sé, sentiva il sibilo del Bolide. Che cosa stava succe-dendo? I Bolidi non prendevano mai di mira un solo giocatore, perché il loro compito era quello di disarcionarne il più possibile. Fred Weasley aspettava il Bolide all'altra estremità del campo. Harry lo schivò e Fred lo colpì con tutta la forza che aveva, dirottandolo.
«E con questo è fuori uso!» gridò felice Fred. Ma si sbagliava. Come attratto magneticamente da Harry, il Bolide si scagliò di nuovo contro di lui e il ragazzo fu costretto ad allontanarsi a tutta velocità. Aveva cominciato a piovere; Harry sentì alcune gocce pesanti cadergli sul viso e schizzargli gli occhiali. Non aveva la minima idea di come se la stessero cavando i suoi compagni, fino a quando non udì Lee Jordan, che faceva la radiocronaca, annunciare: «I Serpeverde sono in vantaggio per sessanta a zero».
La superiorità delle scope dei Serpeverde stava dando i suoi frutti, mentre il Bolide impazzito faceva di tutto per disarcionare Harry. Fred e George gli volavano talmente vicini che Harry non vedeva altro che un agitarsi di braccia e non riusciva a individuare il Boccino, figuriamoci acchiapparlo.
«Qualcuno... ha manomesso... questo... aggeggio...» borbottò Fred colpendo violentemente il Bolide, che si era di nuovo lanciato a caccia di Harry.
«Qui ci serve un intervallo» disse George cercando di fare un segnale a Baston e, al tempo stesso, di impedire al Bolide di spaccare il naso a Harry.
Baston aveva colto il messaggio. Si udì il fischio di Madama Bumb e Harry, Fred e George si tuffarono verso terra, sempre cercando di evitare il Bolide impazzito.
«Che succede?» chiese Baston quando la squadra del Grifondoro si fu riunita, mentre i Serpeverde facevano partire una bordata di fischi. «Ci stanno facendo a pezzi. Fred, George, dove eravate quando l'altro Bolide ha impedito ad Angelina di segnare?»
«Stavamo sei metri sopra di lei, cercando di evitare che l'altro massacrasse Harry» disse George tutto arrabbiato. «Qualcuno lo ha truccato. Non ha lasciato in pace Harry neanche un attimo, per tutta la partita non ha inseguito nessun altro. I Serpeverde devono avergli fatto qualche incantesimo».
«Ma dall'ultimo allenamento i Bolidi sono rimasti sempre chiusi a chiave nell'ufficio di Madama Bumb, e allora funzionavano bene...» disse Baston ansioso. Madama Bumb si stava avvicinando. Alle sue spalle, Harry vedeva la squadra dei Serpeverde fischiare e indicare dalla sua parte.
«Sentite» disse Harry mentre lei si avvicinava, «se voi due mi volate intorno tutto il tempo, il Boccino lo potrò prendere soltanto se mi si infila dentro una manica. Tornate col resto della squadra e lasciate che me la cavi da solo con quell'aggeggio».
«Non essere sciocco» disse Fred, «quello ti stacca la testa». Lo sguardo di Baston andava da Harry ai fratelli Weasley.
«Oliver, è pazzesco!» disse Alicia Spinnett tutta arrabbiata. «Non puoi lasciare che Harry affronti quel coso da solo. Chiediamo un'indagine...»
«Se ci fermiamo adesso perdiamo la partita!» disse Harry. «E non ci lasceremo certo sconfiggere dai Serpeverde solo per un Bolide impazzito!
Su, Oliver, convincili a lasciarmi in pace!»
«E tutta colpa tua» disse George risentito a Baston. «'Prendi il Boccino anche a costo della vita'. Non potevi dirgli una cosa più stupida!!»
Madama Bumb era con loro.
«Pronti a riprendere la partita?» chiese a Baston.
Quest'ultimo colse l'espressione risoluta di Harry.
«E va bene» disse. «Fred, George, avete sentito Harry? Lasciategli affrontare il Bolide da solo». Ora la pioggia cadeva più fitta. Al fischio di Madama Bumb Harry scalciò con forza sollevandosi in aria, e subito udì il sibilo che tradiva la presenza del Bolide alle sue spalle. Il ragazzo volò sempre più in alto. Descrisse ampie curve e scese a capofitto, si mosse a spirale, a zig-zag e si capovolse. Anche se lievemente stordito, riusciva a tenere gli occhi bene aperti. La pioggia picchiettava sui suoi occhiali e, quando Harry dovette fare una capriola per evitare un'altra picchiata feroce del Bolide, gli si infilò su per le narici. Da terra, gli giungeva l'eco delle risate della folla; si rendeva conto di essere molto ridicolo, ma il Bolide fellone era pesante e non poteva cambiare direzione rapidamente come lui. Cominciò a salire e scendere in picchiata lungo tutto il perimetro dello stadio, cercando di distinguere, attraverso il fitto lenzuolo di pioggia argentea, la porta del Grifondoro, dove Adrian Pucey stava cercando di superare Baston... Un sibilo vicino all'orecchio gli disse che il Bolide lo aveva mancato un'altra volta per un pelo; girò immediatamente e si diresse a tutta velocità
dalla parte opposta.
«Ti alleni per il balletto, Potter?» gli gridò Malfoy mentre Harry era costretto a fare una stupida piroetta a mezz'aria per evitare il Bolide. Harry volò via sempre con il Bolide alle calcagna, che lo tallonava a breve distanza. Poi, mentre si girava per lanciare uno sguardo carico d'odio a Malfoy, lo vide: eccolo li, il Boccino d'Oro. Era sospeso pochi centimetri sopra l'orecchio sinistro di Malfoy che, troppo impegnato a farsi beffe di lui, non se n'era accorto.
Per un attimo, Harry rimase immobile, sospeso a mezz'aria, senza osare lanciarsi verso Malfoy per paura che lui alzasse gli occhi e vedesse il Boccino.