XVII
Il principe nelle tenebre
Il golpe più utile è quello non riuscito.
Paolo Cucchiarelli e Aldo Giannuli1
Fallito il golpe, Borghese fu costretto a espatriare nella Spagna di Franco con altri cospiratori. A quanto pare, la polizia (e forse anche la marina), non nuova a questo genere di azioni, ne coprì la fuga per permettergli di restare in contatto con gli amici, uno dei quali fu probabilmente Otto Skorzeny, anch’egli esiliato nel paese iberico.2
I pochi arrestati furono rilasciati il 1° dicembre 1973, data in cui venne annullato anche il mandato di cattura contro il principe, che però tornò in Italia forse solo clandestinamente prima della sua morte, avvenuta nel 1974.
Le prime elezioni dopo la fuga di Borghese si tennero nel 1972 e videro l’alleanza tra l’MSI e i monarchici raccogliere l’8,7 per cento dei suffragi. Ciò creò non poche apprensioni tra i democristiani che comunque, nonostante il timore di una migrazione di voti a destra, riuscirono a nominare Andreotti a capo di un governo dal quale i missini erano esclusi. Nel 1973, inoltre, vennero a mancare alla destra gli aiuti americani, in seguito all’arrivo in Italia dell’ambasciatore statunitense John Volpe, chiamato a sostituire Martin che era partito per Saigon. Sempre in quell’anno, in ottobre, il segretario del PCI Enrico Berlinguer si fece promotore di un accordo con la Dc e qualche mese più tardi vi sarebbe stata una nuova apertura a sinistra.
Nel frattempo, emersero altre indiscrezioni sul golpe. Nei giorni precedenti il 7 dicembre, Spiazzi aveva saputo che un ex ministro della Difesa aveva chiesto a Borghese di organizzare una manifestazione di protesta contro la visita di Tito, giunto in Italia per discutere della situazione di Trieste e dell’Istria.3 Spiazzi fece questa rivelazione nel corso di un’intervista televisiva e le sue parole furono in seguito riprese in un libro e ribadite nelle sue memorie pubblicate nel 1995, ma nessuno ritenne opportuno commentarle, il che è quantomeno singolare.
Tuttavia, nel 1974 l’inchiesta fu riaperta dopo l’arresto di Spiazzi, avvenuto in gennaio. Le forze armate reagirono con una decisa presa di posizione, in particolare il corpo ufficiali, che protestò presentandosi come vittima di un complotto di giudici di sinistra. La ripresa delle indagini ebbe come conseguenza la rimozione dai vertici del SID del generale Miceli, destituito dal suo incarico il 31 luglio 1974 e sostituito con il più gradito ammiraglio Mario Casardi. Verso la fine dell’anno precedente, Miceli aveva ordinato al capo del Raggruppamento Centri Cs (Controspionaggio) del SID di Roma, il colonnello Federico Marzollo, di inviare agenti in Toscana per indagare su Gelli. Il rapporto che ne era risultato era stato poi presentato al generale Gian Adelio Maletti, capo del reparto D del SID, e Miceli aveva pagato quell’iniziativa con la vendetta del capo della P2. Come ha scritto Viviani, «qualcuno organizzò un incontro … tra un’alta personalità conosciuta dal Gelli e il Capo del reparto D del quale erano noti i contrasti con il Capo del SID».4
Verso la fine dell’anno cambiò di nuovo il governo e Maletti fu rimosso dal suo incarico il 22 dicembre 1975. Il 27 marzo 1976, lui e il colonnello Labruna vennero arrestati e condannati. Maletti, punito con quattro anni di carcere, fuggì dall’Italia e si rifugiò in Sudafrica. Lì è stato recentemente interrogato dalla Commissione stragi, alla quale ha dichiarato che gli unici responsabili di quanto accadde furono i politici, dal momento che i servizi segreti prendevano ordini da loro.
Quanto a Miceli, finì in carcere il 31 ottobre 1974, ma il 7 maggio 1975 venne rimesso in libertà (ricevendo un telegramma di felicitazioni da Aldo Moro). Eletto deputato nelle file dell’MSI, durante un confronto alla Camera con Andreotti rivelò che il SID aveva svolto indagini sui politici con l’appoggio della Nato, rifiutandosi però di entrare nei dettagli e chiedendo di potersi avvalere dell’immunità parlamentare.
Nonostante la revoca del mandato di cattura a suo carico, Borghese non tornò in patria, avendo maturato la convinzione che l’esperienza di combattente non l’avesse preparato a difendersi dalle macchinazioni della politica italiana. Si sospetta, comunque, che venisse di nascosto a Roma per vedere una donna alla quale era legato, tant’è vero che nel 1974, quando la magistratura ricevette il rapporto del SID e riaprì l’inchiesta, i servizi segreti cercarono di catturarlo. Ma il principe morì prima.
Dopo il tentativo di golpe, Borghese fu avvistato anche in Grecia, a Corfù, Zante e Atene. Nell’aprile 1974, si recò con Delle Chiaie in Cile, dove il giorno 29 fu ricevuto dal generale Pinochet. Partecipò all’incontro anche il capo della polizia segreta cilena, il colonnello Jorge Carrasco.5
Borghese morì a Cadice, in Spagna, il 26 agosto 1974, all’età di sessantotto anni.
Ambrogio Viviani anticipa la data della scomparsa di due giorni, dicendo che il 24 agosto mancò in Spagna «il principe B.», deceduto letteralmente tra le braccia di una donna. La signora in questione era una principessa romana, contattata dal SID tramite gli amici di una baronessa rumena vedova di un nobile italiano che continuava a lavorare come spia per la Romania, il Vaticano e altri.
A quanto pare, il decesso di Borghese avvenne per cause naturali e, sotto certi di punti di vista, è questa la spiegazione più plausibile. Sempre secondo Viviani, la principessa «aveva saputo creare uno stress più forte di quello procurato dalle munitissime difese inglesi del porto di Alessandria, dove il principe B., con audace e coraggiosa impresa, aveva affondato durante la guerra due corazzate nemiche, guadagnandosi una medaglia d’oro al valor militare». Non è chiaro, però, se questo stress fosse «fortuito … oppure volutamente provocato».6
Nella vicenda raccontata da Viviani possiamo ragionevolmente scoprire la causa del decesso del Principe nero, che morì tra le braccia della principessa romana, la quale fuggì dopo aver «trovato solo il tempo di vuotare i due bicchieri di Dom Perignon ancora pieni sul comodino».7
È vero che molte persone furono sollevate dalla provvidenziale morte di Borghese, avvenuta pochi giorni prima della presentazione, disposta da Andreotti, di un rapporto degli agenti del SID in merito a un caso che si doveva discutere in settembre.8
Va notato che Spiazzi, in un’intervista, dichiarò di essere certo che Borghese fosse stato assassinato, un’ipotesi, questa, ribadita da Virgilio Ilari, secondo il quale il principe «morì in Spagna in circostanze che fecero sospettare un avvelenamento».9
Solo dodici giorni prima, Guido Giannettini, un discusso informatore del SID ricercato dalla giustizia, si era consegnato alla polizia. Borghese morì, ha scritto il generale Viviani, «in circostanze alquanto oscure e con una fortunosa coincidenza». Se fosse tornato in Italia a testimoniare al processo, avrebbe potuto mettere in imbarazzo un certo numero di politici. Per l’opinione che ci siamo fatti della vicenda, non sbaglia Ferraresi a collegare il tutto alla deposizione resa da Vincenzo Vinciguerra davanti al procuratore distrettuale di Venezia, Felice Casson, al quale disse che era Borghese a tenere «i contatti con persone appartenenti ad apparati dello Stato (italiano e non) e centri di potere occulti».10
Oggi non siamo ancora in grado di far luce completa sulle modalità e sulle ragioni della morte del Principe nero, ma forse nei prossimi anni qualcuno troverà elementi nuovi che aiuteranno a chiarire le cose. Comunque, il rapporto del SID ha avuto conseguenze interessanti ed è stato oggetto di letture diverse da parte di vari autori. La relazione della Commissione stragi, firmata dal senatore Giovanni Pellegrino, lo giudica preciso, accurato e attendibile nel dimostrare l’intenzione dei cospiratori di mettere in atto il colpo di Stato con la protezione di funzionari dei servizi segreti.
È interessante notare che il SID presentò tre rapporti: uno sul golpe Borghese, uno sulla Rosa dei venti (un’organizzazione segreta di stampo neofascista) e uno sul golpe, definito «bianco», che il partigiano anticomunista Edgardo Sogno aveva progettato nel 1974. Di questi documenti, quello su Borghese fu redatto soprattutto sulla base delle ricostruzioni fatte da Remo Orlandini al capitano Antonio Labruna e al colonnello Giorgio Genovesi, membro dell’unità speciale del famoso reparto D, nel corso di colloqui riservati avvenuti a Lugano, dove Orlandini era fuggito.11 Il costruttore parlò a ruota libera perché pensava che il SID l’avrebbe aiutato, ma in realtà si stava rivolgendo agli interlocutori sbagliati, a coloro che volevano la testa del generale Miceli.
Maletti presentò il rapporto su Borghese prima al ministero della Difesa e solo in seguito al capo del SID, Miceli. Il ministero gli ordinò di alleggerirlo, cosa che lui fece, stralciando i passaggi più scottanti e alcuni nomi (tra cui quello di Gelli e vari riferimenti alla Nato). In altri termini, il documento fu censurato prima di essere consegnato alla magistratura, tanto che Pecorelli, riferendosi alle due diverse versioni, parlò dell’esistenza di un «malloppo» e di un «malloppino».12
C’era una forte rivalità tra il capo del SID, il generale Miceli, e il capo del reparto D del SID, il generale Maletti, il cui collaboratore, Labruna, raccolse il materiale per stendere il rapporto. Maletti non approvava la politica filoaraba perseguita da Miceli ed era un sostenitore di Andreotti, divenuto ministro della Difesa il 15 marzo 1974. Come suo primo atto da titolare del dicastero, nel giugno 1974, l’attuale senatore a vita rilasciò un’intervista al periodico «il Mondo» bruciando un confidente del SID che militava negli ambienti dell’estrema destra, Guido Giannettini, il quale era coautore di alcuni pamphlet e di un interessante manuale sulla guerra non convenzionale e, stando a quanto si dice, era in contatto con il gruppo della strage di piazza Fontana.13
Andreotti alimentò la profonda rivalità tra Miceli e Maletti. Fu a lui, in quanto ministro della Difesa, che Maletti consegnò il dossier sul golpe Borghese che poi sottopose al suo capo, Miceli, il quale lo giudicò un po’ vago. Il dossier in seguito fu portato all’attenzione di altre autorità e soltanto alla fine di tutti questi passaggi consegnato alla magistratura. In un’intervista rilasciata a un quotidiano, Andreotti annunciò il licenziamento di Miceli, cogliendo di sorpresa lo stesso Consiglio dei ministri, al quale non era stata fatta alcuna comunicazione in proposito. Quasi contemporaneamente, il procuratore distrettuale di Padova, Giovanni Tamburino, incriminò il generale per il suo coinvolgimento nell’affare Borghese.
Il generale Viviani, ex comandante del reparto D, ha scritto che fu in conseguenza di quel rapporto che Miceli venne prima licenziato e sostituito con il generale Casardi e poi accusato di aver partecipato al colpo di Stato. Arrestato nell’ottobre 1974, fu scarcerato nel maggio dell’anno seguente (quando si insediò un nuovo governo) e infine prosciolto, in parte perché «gli eventi non facevano ritenere la sussistenza di una vera e propria insurrezione armata» e in parte perché «il fatto non sussisteva».14
Altri alti ufficiali affrontarono lo stesso iter giudiziario, con assoluzione finale. Tuttavia, per qualche tempo, lo scandalo costrinse sia il SID sia il servizio informazioni del ministero dell’Interno a un «periodo di pausa … e più tardi a una riorganizzazione». In altre parole, i politici sfruttarono il golpe Borghese in vari modi. Nel caso di Andreotti, per adottare toni antifascisti e preparare l’«apertura a sinistra».15
Il dubbio circa la serietà del golpe Borghese è inevitabile. Il tentativo è stato definito una «buffonata», una valutazione condivisa dai giudici romani nel 1984, anche se è possibile che a indurli a tale conclusione fossero stati i servizi segreti. Resta, però, il fatto che altri ne hanno messo in dubbio la serietà, tra cui il Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato e la Commissione stragi, istituita per indagare sugli attentati terroristici che hanno segnato gli anni di piombo.16
Alla luce dei fatti noti, il golpe era probabilmente votato al fallimento sin dall’inizio. Le dichiarazioni di Orlandini – per cui i cospiratori erano in contatto diretto con la Casa Bianca tramite Talenti e Fenwich – non possono essere confermate. Nixon potrebbe anche avere ordinato un’azione segreta di quel tipo, ma l’idea secondo cui l’avrebbe seguita personalmente, lasciandone fuori la vasta rete dell’intelligence americana, sembra assai poco credibile. Semmai, più verosimilmente, avrebbe mantenuto un ruolo defilato, sebbene sia stato scritto che quattro navi della marina statunitense lasciarono Malta dirette a nord la sera del golpe. Si tratta, tuttavia, di un’informazione che non siamo in grado di confermare.17
Resta, inoltre, da chiarire chi prese la decisione di fermare l’operazione. Secondo Spiazzi, l’avvocato e poi parlamentare democristiano Filippo De Jorio sapeva qualcosa al riguardo, avendone parlato con Borghese. Potrebbe essere stato un ex ministro della Difesa o il colonnello Condò.18
La famosa lista delle persone che in seguito al golpe avrebbero dovuto essere internate alle Eolie è un altro mistero. Il suo contenuto non è mai stato reso noto, ma il «New York Times» afferma che i nomi erano 1617. Si sospetta che esistesse una seconda lista, detta «della morte». A quanto si dice, fu ritrovata a casa del dottor Paolo Porta Casucci e includeva esponenti della sinistra e del centrosinistra, nonché il leader dell’MSI.
Una parte degli avversari politici, molti dei quali membri del Partito comunista, avrebbe dovuto essere deportata in aereo o in nave. Come rivelò al giudice istruttore Guido Salvini, il capitano Labruna era venuto a conoscenza di questo dettaglio perché il proprietario delle navi che avrebbero dovuto essere utilizzate allo scopo gliene aveva parlato durante un trasferimento di armi in Sardegna per conto del reparto D del SID.19
Secondo la commissione presieduta da Pellegrino, il golpe mai avvenuto potrebbe essere stato semplicemente un’intimidazione di Licio Gelli e soci, un avvertimento lanciato ai politici e al governo qualora qualcuno avesse osato sfidare il loro potere. Se così fosse, Borghese sarebbe stato solo un burattino manovrato dall’alto. Se invece lo scenario fosse diverso, allora è lecito supporre che, a un certo punto, ai cospiratori venne a mancare l’avallo fondamentale degli Stati Uniti e l’appoggio dei carabinieri, senza i quali il tentativo non poteva riuscire.20
Nel 1973 il Cile, il cui governo mostrava propensioni di sinistra, subì un colpo di Stato supportato dagli Stati Uniti. La stessa cosa era capitata alla Grecia nel 1967 con il «golpe dei colonnelli», i cui fomentatori in seguito avevano cooperato con la destra italiana e con esponenti dell’FN, al punto che nel 1970, in occasione dell’anniversario del colpo di Stato, cinquantuno estremisti di destra si erano recati ad Atene ed era stato loro offerto «da bere e da mangiare a volontà in due caserme».21
Se è vero che questi regimi di destra approfittarono dell’occasione per punire le loro frange più estremiste (com’era nelle intenzioni di Gelli), è anche vero che in pochi anni caddero tutti. È pertanto assai più probabile che la manovra politico-strategica in Italia non fosse concepita per riuscire. Era sufficiente mostrare i muscoli e, dopo la notte dell’Immacolata, i militanti del PCI si resero conto che il pericolo era nell’aria.
Le indagini sul golpe hanno messo in luce soprattutto il notevole sforzo organizzativo che esso richiese e il consistente numero di persone che vi furono implicate. Anche se quella sera non ci furono spargimenti di sangue, è però sorprendente che non si sia dato peso al fatto che successivamente alcune persone persero la vita forse a causa di quel fallito tentativo. A titolo di esempio in questo senso, si possono citare la misteriosa morte di Borghese e quella del colonnello Condò, il quale fu stroncato da un attacco cardiaco a quarantadue anni, pochi giorni prima di essere interrogato da Luciano Violante, allora giudice istruttore della procura di Torino.22 Nelle sue memorie, Spiazzi scrive di aver avuto per un certo periodo l’impressione di essere lui stesso in pericolo. Ricorda una volta in cui, mentre era in custodia, fu lasciato in aperta campagna con la possibilità di fuggire, ma capì che avrebbe rischiato la vita se avesse tentato di scappare.23
Gelli aveva forti legami con gli Stati Uniti e accesso diretto alle alte sfere della politica e dei servizi segreti americani, se non alla CIA sicuramente all’FBI. In realtà, la sua posizione di potere non fu pienamente compresa fino agli anni Ottanta, quando il risultato del lavoro della commissione d’inchiesta sulle attività della loggia P2 riempì circa 200 volumi. Sul possibile coinvolgimento della CIA e dell’FBI nel golpe Borghese circolano voci, ma non ci sono documenti, anche se l’FBI, che in teoria ha competenze limitate alle questioni americane, potrebbe aver operato nell’ombra in Europa o all’interno di settori delle intelligence Usa e Nato.24
Secondo varie fonti, Gelli era in contatto con Borghese, essendo stato uno dei primi a aderire al Fronte nazionale. Ma benché fosse un intimo del principe, non ammise mai di aver partecipato al complotto, anzi giunse a definirlo una beffa, poiché non appena si era messo a piovere tutti avevano fatto ritorno a casa.25
L’inchiesta del giudice istruttore Salvini coinvolse testimoni i quali dissero che il ruolo di Gelli nel golpe era quello di arrestare personalmente il presidente della Repubblica, dal momento che aveva accesso alla sua residenza. Da queste testimonianze, Gelli parrebbe il regista dell’intera operazione. Nel 1998 Oscar Luigi Scalfaro, allora capo dello Stato, negò al ROS (Reparto operativo speciale) dei carabinieri l’autorizzazione a consultare i documenti del Quirinale, per cui l’elenco degli ospiti della residenza presidenziale nella sera del 7 dicembre 1970 non è mai stato esaminato.26
In ogni caso, sarebbe un errore imputare la responsabilità del colpo di Stato, tentato o solo minacciato, unicamente alla destra. Di sicuro i suoi esponenti hanno goduto di una certa protezione da parte dei servizi di sicurezza. Come ha sostenuto Salvini, è molto probabile che il coinvolgimento di organismi dello Stato nell’espansione del terrorismo di destra fosse da considerarsi non una deviazione, bensì una normale attività, facente parte delle loro funzioni istituzionali.27
E nemmeno sarebbe corretto accusare i servizi segreti italiani (e quelli della Nato) per la strategia della tensione. Tali organismi non possono operare nel lungo periodo senza un notevole grado di collaborazione e pianificazione, anche se l’emergere di una situazione di caos consente una «plausibile smentita» alla classe politica dirigente. Alla base di questa follia c’è un metodo e nel caso Borghese fu fingere che i leader politici fossero completamente all’oscuro dell’operato dei servizi segreti.28
Salvini concluse che molti avvenimenti non avrebbero potuto svolgersi se non fossero stati parte di un piano politico e strategico comune, molto probabilmente volto a mantenere il nostro paese nel Patto Atlantico. In altre parole, una tale strategia della tensione, pur servendosi di numerose organizzazioni di destra, aspirava non a instaurare un regime fascista, ma a «destabilizzare per stabilizzare» il paese al fine di scongiurare possibili cambiamenti del ruolo strategico dell’Italia.29
Vincenzo Vinciguerra, in un’analisi molto acuta, ha avanzato l’ipotesi secondo cui movimenti quali AN e ON fossero non solo in relazione con i servizi segreti italiani e della Nato, ma anche costituiti da loro uomini.30 Vero è che i loro militanti costretti a riparare all’estero sotto falso nome trovarono aiuto in Francia e nella Spagna di Franco, così come in Portogallo e a Londra.
Il 28 agosto 1974, il «Corriere della Sera» pubblicò l’annuncio della morte di Borghese, raccontando che «Domenica sera, mentre era in vacanza a Conil, tra Gibilterra e Cadice, era stato colpito da fortissimi dolori e gli amici con i quali si trovava lo avevano portato d’urgenza alla clinica». Il quotidiano riferiva inoltre che la salma era stata trasportata dall’ospedale al cimitero di Cadice, dove soltanto uno dei figli era presente al funerale, e che sarebbe stata traslata in Italia dopo l’imbalsamazione.
Il 31 agosto, sempre il «Corriere della Sera» scrisse che il feretro era arrivato la sera precedente alle 19.30 con il volo Iberia 351, accompagnato dai figli Livio, Paolo ed Elena Maria.31
Borghese non voleva cerimonie solenni. Voleva che sulla sua lapide ci fosse scritto semplicemente: «Questo è un soldato che ha bene servito il suo Paese». Per rispettare il suo desiderio, non ci furono manifestazioni pubbliche, anche se migliaia di ex marò della X MAS giunsero a Roma per rendergli l’ultimo omaggio.32
Il 1° settembre, il «Corriere della Sera» pubblicò un altro articolo sulla morte di Borghese, in cui si diceva che la cerimonia di sepoltura era stata fissata per il giorno seguente. Il principe sarebbe stato seppellito nella basilica di Santa Maria Maggiore, in Vaticano, accanto a un suo illustre antenato, papa Paolo V. Il Vaticano dovette spiegare che la scelta della sede era motivata dal fatto che i Borghese seppellivano i familiari in quella chiesa fin dal 1611.
Il 2 settembre, lo stesso quotidiano riferì che la cerimonia si era svolta alle 11.00 in una cappella della basilica, non nella navata centrale. Al termine, alcuni giovani dei movimenti di destra – erano presenti circa 2000 persone – superarono la debole resistenza delle guardie svizzere, sollevarono il feretro e lo portarono fuori dalla chiesa al grido di «Italia, Italia, viva la X MAS», quindi rientrarono nella cappella.
Borghese fu sempre il guerriero pronto a dare la propria vita per ciò che riteneva più giusto per il suo paese. Con la sua condotta influenzò alcuni dei personaggi e degli avvenimenti più importanti dell’epoca, ma non poté nulla contro la Seconda guerra mondiale, la guerra fredda e il passare del tempo. E così si concluse l’esistenza di colui che aveva combattuto per il passato e non per il futuro.
L’unità nella quale Borghese si identificò fino a divenirne il simbolo, la X MAS, ha lasciato un’eredità di tradizioni e professionalità, per quanto riguarda gli aspetti delle operazioni speciali e subacquee, tuttora custodita in alcune unità di élite della marina militare.