Nobili radici
Spesso le false etimologie ci insegnano piú di quelle vere. Per esempio, tutti sanno che la parola posh, in inglese sinonimo di «snob», è un acronimo di «Port Out, Starboard Home», che sta a indicare il lato della barca meno soleggiato e piú ambito nel lungo viaggio imperiale di andata e ritorno dall’India. Ciò che tutti sanno, tuttavia, è pittoresco da un punto di vista sociologico, ma etimologicamente parlando è privo di fondamento. [L’Oxford English Dictionary rimanda i dubbiosi a un articolo di George Chowdharay-Best pubblicato dalla rivista «Mariner’s Mirror», gennaio 1971, pp. 91-92].
Stessa cosa per mangel-wurzel, bietola da foraggio. L’espressione nacque come mangold-wurzel, letteralmente «radice della bietola»; ma la gente (ovvero i Tedeschi) la fraintese per mangel-wurzel, «radice della penuria». Il che aveva una sua logica, poiché solo il terreno gelato e lo stomaco che brontola potrebbero indurre a considerare l’idea di mangiare una radice. Questa trasformazione uditiva e la sua grafia si insinuarono opportunamente nella lingua inglese. I Francesi, piú tradizionalmente inclini a preservare il loro idioma, la tradussero alla lettera, rendendola con racine de disette, che conserva la falsa etimologia in gelatina.
«Radice della penuria»: i Francesi hanno sempre trattato i tuberi con due pesi e due misure, da veri snob. Trovano innumerevoli virtú nella rapa; invece devo ancora incontrare qualcuno in Francia che abbia consapevolmente ingerito una pastinaca. Di recente una signora francese mi ha confessato di non aver mai mangiato il carciofo di Gerusalemme, figurarsi una rutabaga, ma aveva sentito di disperati che durante la guerra si erano ridotti a cibarsene. Lo conferma Simple French Food di Richard Olney, che propone un paio di ricette per la rapa, ma nemmeno una per la pastinaca, per il carciofo di Gerusalemme, la rutabaga o, se per questo, per la barbabietola. Elizabeth David, in French Provincial Cooking, riporta di sfuggita che la pastinaca «si usa in quantità ridotte per insaporire i pot-au-feu o le zuppe».
Forse tutto dipende proprio dalle parole. In inglese swede, la rutabaga, sembra piú commestibile a sentirla nominare, essendo per metà già ammorbidita; mentre le rutabaga francese è un boccone di fonemi gommoso e indigesto. Idem per le topinambour, i cui estremi contengono casualmente la parola tambour («tamburo»), e sembrano pertanto evocare lo sfiato spaccatimpani di un colon in seguito all’ingestione di un potentissimo carciofo di Gerusalemme. E visto che siamo in tema di etimologie fuorvianti, la parte su «Gerusalemme» non si riferisce ad alcun presunto luogo d’origine, ma è una storpiatura del francese girasol, «girasole», che è genericamente associato al suddetto gas-ciofo.
Ricordo la mia perplessità, la prima volta che andai in Francia, davanti a un segnale stradale che si intravedeva spesso nelle zone rurali: un triangolo rosso di pericolo con su scritta una parola sola, BETTERAVES, «barbabietole». Perché mai i contadini francesi mietevano e trasportavano questo mirabile prodotto con tanta noncuranza da far sí che diventasse un pericolo stradale? I segnali, infatti, si riferivano quasi sicuramente alla barbabietola da zucchero; ma anche cosí, assimilare le betteraves agli altri pericoli stradali non commestibili quali gravillons, chutes de pierres e chaussée déformée pareva fargli un piccolo oltraggio.
Del resto la barbabietola ha avuto una carriera costellata di alti e bassi. Édouard de Pomiane osserva che Oribasio, medico di corte di Giuliano l’Apostata, ne parlava molto male. Mi capitò di menzionare questa informazione astrusa in un’e-mail allo studioso di Aristotele Jonathan Barnes, solo per sentirmi rispondere che «gran parte di ciò che scrive Oribasio non è che la copia di brani tratti da Galeno». Oh, perfetto, allora: Galeno parlava molto male della barbabietola. Credeva andasse lessata due volte per poterci fare qualcosa, e sarebbe difficile collocare la sua lode su una scala valutativa: «Mi stupirei se, una volta bollita, fosse meno nutriente di qualsiasi altra pianta della stessa specie». E ancora: «Come lassativo, si potrebbe dire che non è né efficace né dannosa».
Quando fu introdotta in Inghilterra per la prima volta, nel diciassettesimo secolo, venne considerata una dolce prelibatezza dai mille impieghi; esiste persino una ricetta del Settecento per preparare i «biscotti cremisi di barbabietola rossa». Nondimeno, qualche tempo dopo subentrò il puritanesimo autoctono: questo ortaggio è buono e dolce di natura, perciò rendiamolo aspro e disgustoso. Mrs Beeton propone solo due modi per mangiarla: sottaceto e bollita; per quanto citi pure la poco entusiasmante ricetta del dottor Lyon Playfair per un pane nero di bassa lega che si prepara raschiando la radice e mescolandola a pari quantità di farina. E se tutto ciò non è bastato a farvi passare la voglia di questa verdura, esistevano metodi ancora piú recherché. Un corrispondente a Oldham mi disse che il suo nonno paterno si rifiutava di toccare la barbabietola perché da giovane l’aveva vista nelle aiuole dei cimiteri. Per tutta la vita, i rimandi funebri prevalsero senza riserve sulle papille gustative.
Per la maggior parte del secolo scorso, generazioni di scolari impararono a trasalire davanti a rondelle rancide che macchiavano la deliziosa carne in scatola nei loro piatti. Per quel che mi riguarda, la radice è associata alla forchetta da sottaceti di mia nonna, una di quegli esemplari di metallo placcato in argento con due rebbi e una traversina scorrevole per rimuovere quel che si è inforcato. Nella mia mente di bambino, tutto ciò che questo strumento raccoglieva sembrava disgustosamente ripugnante. D’altronde, lo si poteva dedurre dalla natura stessa del marchingegno: il dispositivo di rimozione andava usato perché nessuno sano di mente avrebbe voluto toccare con le dita la disgustosa cipollina, cetriolino, barbabietola o qualsiasi altra cosa sottaceto.
Ai vecchi tempi, le patatine si facevano soltanto con le patate; oggi sgranocchiamo assortimenti di tuberi misti, e c’è chi scarta pastinaca e sedano rapa per piluccare quelle color porpora senatoria. Sempre ai vecchi tempi, bollivamo le barbabietole in casseruole di alluminio, badando di spuntarle soltanto senza tagliarne l’apice, sí da provocare un lieve sanguinamento anziché un’emorragia vera e propria; ora le arrostiamo in forno a cottura lenta, con il termostato regolato al massimo a 1 o 2, e il dissanguamento è lieve. Ai vecchi tempi, in una sera d’inverno, ci si poteva concedere un piatto di boršč; ora qualunque cosa, fino al raffinato e squisito Consommé di Barbabietola in Gelatina con Panna Acida ed Erba Cipollina di Simon Hopkinson. È quasi impossibile ordinare un’insalata mista al ristorante senza trovarvi diverse foglie con vene e arterie violacee. Si propongono Gratin e Tarte Tatin di Barbabietola. A dispetto di Galeno – il quale sosteneva che la barbabietola, a metà cottura, «causa flatulenza e mal di stomaco, e a volte provoca coliche» – c’è una ricetta per il Risotto alla Barbabietola, secondo cui si cucina solo una metà della radice tagliata alla julienne e si aggiunge l’altra metà quasi alla fine; a me è sempre andata bene, e non ha mai fatto correre nessuno in bagno.
I Francesi ci sono arrivati un po’ prima di noi. Secondo Elizabeth David fu Pomiane a infrangere per primo i consolidati pregiudizi contro questa verdura. La serviva calda con la lepre decenni prima che lo facesse Michel Guérard. La mescolava (sempre calda) con la panna e l’aceto, «un accostamento molto poco francese, – afferma David, – e senza dubbio non l’unico suggerimento insolito nell’ambito della cottura delle verdure che abbia suscitato lo sdegno dei reazionari».
È dunque possibile che la barbabietola abbia raggiunto il suo apice? Dopo essere stata dapprima recuperata e poi trasformata in verdura di moda, è oggi un cliché? Di sicuro può esserlo diventata nelle mani di certi chef-decoratori, ai cui piatti aggiunge semplicemente colore a prescindere dall’attinenza gastronomica. Ogni moda ha un suo ciclo, persino quella delle cose piú semplici e necessarie. Prendete le patate novelle: in passato si pelavano, poi si lasciava la buccia, in seguito le strofinavano in modo sommario per creare chiazze di buccia artisticamente casuali; prima si facevano bollite, poi al forno, poi arrosto, e cosí via. Gli alimenti di base secondari passano dall’essere di moda al non esserlo piú in maniera ancora piú drastica.
Può darsi che per la barbabietola sia giunto il momento di prendersi una pausa, insieme al kiwi, alla citronella, ai pomodori secchi e agli stinchi di agnello. Ciò che consola è che (a differenza dei periodi di guerra e carestia, quando ci riduciamo alle «radici della penuria») qualcosa passa di moda, in genere, solo perché qualcos’altro lo diventa. Non è da escludere che presto arrivi il turno delle ghiande, del cavolo rapa, del prezzemolo di Amburgo e del cavolo marino tanto amato da Jane Grigson. E un giorno, forse, i Francesi si degneranno persino di provare con le papille gustative la pastinaca.