Necrologio

Mio marito, Lancelot, legge sempre il giornale all'ora di colazione. La prima cosa che vedo di lui quando appare, è la sua faccia sottile e svagata, con quell'eterna espressione di rabbia e frustrazione, lievemente perplessa. Non mi saluta, e il giornale, accuratamente aperto e pronto per lui, sale a nascondere il suo viso.

Poi, vedo solo il suo braccio che compare da dietro il foglio per prendere un'altra tazza di caffè, in cui ho versato il solito cucchiaio raso di zucchero: la quantità giusta, né troppo né troppo poco, se non voglio ricevere un'occhiataccia.

Ormai la cosa non mi fa più soffrire. Se non altro, mi permette di mangiare con tranquillità.

Però, stamattina, all'improvviso, la pace è stata interrotta da una esclamazione di Lancelot:

“Accidenti! Quello stupido di Paul Farber è morto. Di un colpo!”

Ricordavo a malapena il nome. Lancelot ne aveva parlato di tanto in tanto, e io sapevo che era un collega, un altro fisico teorico. Dall'irritazione che c'era nell'epiteto di mio marito, capii che doveva quasi sicuramente trattarsi di un uomo in qualche modo famoso, che doveva aver raggiunto quel successo che era mancato a Lancelot.

Mise giù il giornale e mi fissò con stizza. “Perché, poi, riempiono i necrologi con queste balle?” domandò. “Ne parlano come se fosse un secondo Einstein, e solo perché è morto di un colpo.”

Se c'era un argomento che avevo imparato a evitare era quello dei necrologi. Non osai neppure fare un cenno di assenso.

Buttò il giornale e se ne andò, lasciando le uova a metà e senza neanche toccare la tazza del suo secondo caffè.

Sospirai. Che altro potevo fare?

Naturalmente Lancelot Stebbins non è il vero nome di mio marito, poiché, fin dove mi è possibile, e per coprire il colpevole, cambio nomi e circostanze. Il fatto è, ad ogni modo, che se anche usassi nomi veri, nessuno riconoscerebbe mio marito.

In questo, Lancelot ha una specialità, la specialità di farsi scavalcare e di passare inosservato. Le sue scoperte vengono regolarmente precedute o oscurate da qualche altra scoperta più grande, che viene fatta nello stesso periodo. Ai congressi scientifici, le sue relazioni sono scarsamente seguite, sempre perché in un'altra sezione è in corso qualcosa di più importante.

Questo naturalmente ha avuto il suo peso su di lui, e lo ha cambiato.

Appena lo sposai, venticinque anni fa, era uno splendido partito. Aveva avuto una grossa eredità ed era un fisico già avviato, di forti ambizioni e molto promettente. Quanto a me, credo di essere stata bella, allora, ma fu per poco. Quello che invece rimase fu il mio carattere introverso, la mia incapacità di far colpo in società, prerogativa indispensabile per la moglie di un giovane professore universitario che vuol fare carriera.

Forse questo ha contribuito ad assecondare l'inclinazione di Lancelot a passare inosservato. Con un altro tipo di moglie, avrebbe forse potuto brillare di luce riflessa.

Che se ne sia accorto anche lui dopo qualche tempo? È forse per questo che si è allontanato sempre più da me, dopo i primi due o tre anni di ragionevole felicità? Talvolta ho creduto che fosse così e mi rimproveravo amaramente.

Ma poi pensavo che si trattava solo della sua sete di notorietà, tanto più forte quanto meno riusciva a soddisfarla. Aveva lasciato il posto alla facoltà per costruire un laboratorio per proprio conto, lontano dalla città, perché, diceva, il terreno non costava molto ed era isolato.

Non avevamo problemi di denaro. In quel campo il governo era prodigo di sovvenzioni e quelle Lancelot riusciva sempre a ottenerle. Per di più impiegava anche il nostro denaro privato, senza parsimonia.

Tentavo di oppormi, e dicevo: “Ma, Lancelot, tutto questo non è necessario. Non abbiamo noie di natura finanziaria. E non è che t'abbiano detto che la tua opera non è più necessaria, all'università. Tutto quello che desidero, sono dei figli e una vita normale.”

Ma c'era un fuoco dentro di lui che lo rendeva cieco di fronte a qualsiasi altra cosa. Sfogava con me la sua rabbia. “Prima deve venire qualcosa. Il mondo della scienza deve riconoscermi per quello che sono, un... un... grande ricercatore.”

A quei tempi, esitava ancora a definirsi un genio.

Non servì a nulla. Puntualmente, ogni volta, la fortuna gli voltava le spalle. Il lavoro ferveva nel suo laboratorio; pagava ai suoi assistenti salari molto alti; lui stesso ci si buttò con slancio e senza riserve. Ma senza risultato.

Continuavo a sperare che, un giorno o l'altro, avrebbe mollato, che saremmo ritornati in città e che ci sarebbe stato possibile fare una vita normale e tranquilla. Aspettavo, ma ogni volta che avrebbe potuto darsi per vinto, si profilava una nuova battaglia in cui impegnarsi, un nuovo tentativo di assalto ai bastioni della fama. Ogni volta partiva alla carica, animato dalla stessa speranza, e ricadeva nella stessa disperazione.

E ogni volta se la prendeva con me; perché, se il mondo lo schiacciava, lui poteva sempre rifarsi schiacciando me. Non sono una donna decisa, ma mi stavo convincendo che dovevo lasciarlo.

Eppure...

In questo ultimo anno mi accorsi che si stava preparando per un'altra battaglia. L'ultima, pensavo. C'era in lui una tensione più viva, un'inquietudine che non avevo mai visto prima. Aveva preso l'abitudine di borbottare fra sé e di ridacchiare per cose da nulla. A volte passava giorni e notti senza toccare cibo e senza prendere sonno. Cominciò persino a tenere gli appunti di laboratorio in camera da letto, al sicuro, come se temesse i suoi stessi assistenti.

Naturalmente, io ero sicura che anche questo tentativo sarebbe fatalmente fallito. E, in questo caso, alla sua età, avrebbe certamente dovuto riconoscere d'aver perduto l'ultima occasione. Stavolta avrebbe dovuto smetterla.

Quindi decisi di aspettare, con tutta la pazienza di cui ero capace.

Ma la faccenda del necrologio a colazione giunse come una scossa. Una volta, in un'occasione del genere, gli avevo fatto osservare che lui poteva contare su un certo riconoscimento, almeno nel suo necrologio.

Probabilmente non era una osservazione molto intelligente, ma le mie osservazioni non lo erano mai. Volevo dire qualcosa di allegro, tirarlo fuori dalla depressione i cui stava piombando, e che, lo sapevo per esperienza, l'avrebbe reso insopportabile.

Forse, inconsciamente, c'era anche un po' di dispetto in quello che avevo detto. Sinceramente, non saprei dire.

Lui, comunque, s'era scatenato contro di me. Con quel suo corpo esile che tremava tutto e le sopracciglia aggrottate sugli occhi infossati mi aveva urlato in faccia con la voce in falsetto: “Ma non capisci che io non leggerò mai il mio necrologio? Anche questo mi sarà negato!”

E mi aveva sputato addosso. Di proposito.

Io ero corsa a chiudermi nella mia stanza.

Non si era mai scusato, ma, dopo qualche giorno in cui avevo fatto di tutto per evitarlo, la nostra vita aveva ripreso nell'indifferenza di sempre. Né io né lui avevamo più parlato di quell'incidente.

Adesso saltava fuori un altro necrologio.

In qualche modo, mentre ero là, sola, seduta al tavolo della colazione, mi resi conto che questa, per lui, era stata la goccia che fa traboccare il vaso, il culmine del suo lungo fallimento.

Sentivo che sarebbe scoppiata la crisi e non sapevo se temerla o sentirmi sollevata. Forse sarebbe stato un bene. A questo punto qualunque cambiamento non avrebbe potuto che migliorare la situazione.

Pochi minuti prima di pranzo, entrò all'improvviso in soggiorno. Un cesto di piccoli lavori di cucito teneva occupate le mie mani, e la mia mente era concentrata su un programma televisivo banale.

Senza preamboli mi disse: “Ho bisogno del tuo aiuto.”

Erano vent'anni, o forse più, che non mi diceva una cosa del genere e, involontariamente, ebbi un moto di affetto verso di lui. Appariva eccitato in modo anormale. Le sue guance, di solito pallide, erano infuocate. Gli dissi: “Sarei molto contenta se potessi far qualcosa per te.”

“Puoi. Ho dato ai miei assistenti un mese di vacanza. Sabato se ne andranno, e allora tu e io lavoreremo da soli in laboratorio. Te lo dico subito, perché tu non prenda nessun altro impegno per la settimana prossima.”

Mi spaventai un po'. “Ma, Lancelot, lo sai che non posso aiutarti nel tuo lavoro. Non ci capisco...”

“Lo so benissimo” disse in tono di disprezzo totale “ma non è necessario che tu capisca qualcosa del mio lavoro. Basta che tu segua molto attentamente poche semplici istruzioni. Il fatto è che, finalmente, ho fatto una scoperta che mi darà tutta la fama che merito...”

“Oh, Lancelot” mi scappò detto. Avevo già sentito troppe volte queste parole.

“Ascoltami bene, stupida donna, e, per una volta tanto, cerca di comportarti da adulta. Stavolta ci sono. Stavolta nessuno può precedermi perché la mia scoperta è basata su un principio così rivoluzionario che nessun fisico vivente, eccetto me, è abbastanza geniale da concepirlo, almeno per tutta la prossima generazione. E quando la mia scoperta esploderà sul mondo, sarò forse celebrato come il più grande scienziato di tutti i tempi.”

“Sono molto contenta per te, Lancelot. Davvero.”

“Ho detto “forse”. C'è molta ingiustizia nell'attribuzione di riconoscimenti in campo scientifico. Troppe volte ho dovuto rendermi conto di questo. Quindi, non basterà semplicemente annunciare al mondo la mia scoperta. Anzi, se lo farò, tutti ci si affolleranno intorno, e in poco tempo io non sarò che un nome nei libri di storia e la mia gloria illuminerà tanti altri plagiari.”

Penso che l'unica ragione per cui mi parlò allora, tre giorni prima di mettersi al lavoro per realizzare quel suo misterioso progetto, era che non riusciva più a trattenersi. Era fuori di sé e io per lui ero una tale nullità che poteva anche dirmi tutto.

Disse: “Voglio che alla mia scoperta sia data tanta importanza, voglio che prorompa di fronte all'umanità con tale fragorosa risonanza, da non lasciare a nessuno la possibilità che il suo nome venga accostato al mio, mai.”

Si stava spingendo troppo oltre, e ebbi paura delle conseguenze che un'altra delusione avrebbe potuto avere su di lui. E se l'avesse fatto impazzire? Gli dissi: “Ma, Lancelot, che ce ne importa? Perché non lasciamo perdere tutto questo? Perché non ci prendiamo una bella vacanza? Hai lavorato molto e duramente, Lancelot. Potremmo fare un viaggio in Europa. L'ho sempre desiderato...”

Pestò i piedi. “Vuoi smetterla con queste stupide lagne? Sabato verrai in laboratorio con me.”

Dormii pochissimo, le tre notti seguenti. Non l'avevo mai visto così agitato. E se, per caso, fosse stato già pazzo?

Questa poteva essere pazzia, pensavo, una pazzia, generata da un cumulo di delusioni divenute insostenibili, e fatta esplodere dal necrologio. Aveva mandato via i suoi assistenti e adesso mi voleva nel suo laboratorio. Non mi aveva mai permesso di entrarci, prima. Certamente aveva intenzione di tentare qualcosa su di me, di far di me la cavia di qualche folle esperimento, o di uccidermi sul colpo.

Durante quelle penose notti di terrore pensavo di avvertire la polizia, di scappare, di fare qualcosa, insomma,

Ma poi veniva il mattino e pensavo che dovevo proprio essere matta e che certamente non mi avrebbe fatto del male. Anche quella volta che mi aveva sputato addosso non era stato un vero e proprio atto di violenza, e in realtà non aveva mai tentato di farmi del male fisicamente.

E così, alla fine, rimasi: e il sabato mi avviai incontro a quella che poteva essere la mia morte, docile come un agnellino. Insieme, in silenzio, percorremmo il viale che portava dalla nostra casa al laboratorio.

Il laboratorio mi faceva paura già in sé e mi aggiravo intorno guardinga, ma Lancelot mi disse secco: “Oh, piantala di lanciare occhiate attorno, come se ti aspettassi che qualcosa possa farti del male. Tu pensa solo a fare quello che ti dico io e a guardare dove ti dico di guardare.”

“Sì, Lancelot.” Mi aveva portato in una stanzetta piccola e aveva sprangato la porta. Il locale era pieno di oggetti molto strani e di una gran quantità di filo metallico.

Lancelot disse: “Ed ora, incominciamo. Vedi questo recipiente di ferro?”

“Sì, Lancelot.” Era un recipiente piccolo, ma profondo, di metallo pesante e con macchie di ruggine qua e là, all'esterno. Era coperto da una grossa rete metallica.

Lancelot mi disse di avvicinarmi e vidi che dentro c'era un topolino bianco, con le zampe anteriori aggrappate alla parte interna e il piccolo muso affacciato alla rete metallica: l'animaletto si agitava freneticamente, pieno di curiosità, o, forse, di ansietà. Temo di aver fatto un balzo indietro, perché la visione inaspettata di un topo fa sempre una certa impressione, almeno a me.

Lancelot brontolò: “Non ti farà niente di male. Adesso torna ad appoggiarti al muro e osserva quello che faccio.”

Tutti i miei timori mi ripresero violentemente. Fui spaventosamente certa che da qualche parte si sarebbe sprigionata una scarica elettrica che mi avrebbe incenerita, o che sarebbe apparso qualche mostruoso oggetto metallico che mi avrebbe schiacciata o...

Chiusi gli occhi.

Ma non accadde nulla; almeno a me. Udii soltanto un “pfft”, come se un petardo avesse fatto cilecca; poi Lancelot mi disse: “Allora?”

Aprii gli occhi. Mi guardava, e il suo viso brillava orgoglioso. Lo fissai senza espressione.

Mi disse: “Guarda qui, non vedi, cretina? Qui, qui.”

Di fianco al primo recipiente, a pochi centimetri di distanza, ce n'era un altro. Non avevo visto Lancelot metterlo lì.

“Vuoi dire il secondo recipiente?” chiesi.

“Non è proprio un secondo recipiente, ma il duplicato del primo. Sotto tutti i punti di vista, si tratta dello stesso recipiente, atomo per atomo. Prova a confrontarli. Vedrai che hanno le stesse macchie di ruggine.”

“Hai ricavato il secondo dal primo?”

“Sì, ma con un procedimento speciale. Creare materia nuova richiederebbe normalmente una quantità enorme di energia. Sarebbe necessaria la fissione totale di cento grammi di uranio per creare un grammo di nuova materia, e in condizioni di massimo rendimento. La grande scoperta che per caso ho fatto è che la duplicazione di un oggetto a uno stadio nel futuro richiede pochissima energia, se questa è impiegata correttamente. Vedi, mia ... cara, l'essenza di questa straordinaria impresa, cioè di produrre un duplicato e trasportarlo indietro nel tempo, è che io ho realizzato qualcosa che equivale al viaggio nel tempo.

Il fatto che si fosse rivolto a me con un termine affettuoso dava la misura del suo trionfo e del suo entusiasmo.

“Ma è straordinario!” dissi, e, in realtà, ero davvero impressionata. “C'è anche il topo dentro?”

Guardai nel secondo recipiente, ed ebbi un altro brutto colpo. C'era un topolino bianco, dentro: morto.

Lancelot arrossì leggermente. “Questa è una lacuna. Sono in grado di trasportare indietro nel tempo la materia vivente, ma non come materia vivente. Quando giunge nel presente, è morta.”

“Che peccato. Come mai?”

“Non lo so, ancora. Mi sembra che i duplicati siano assolutamente perfetti nella struttura atomica. Certamente non c'è difetto visibile. È dimostrato dalla dissezione.”

“Potresti chiederlo...”

Fui zittita bruscamente dalla sua occhiata. Decisi che era meglio non proporre nessun tipo di collaborazione; sapevo per esperienza che, in questi casi, invariabilmente, al collaboratore sarebbe andato tutto il merito della scoperta.

Lancelot disse in tono amaramente divertito: “In realtà, ho chiesto. Un esperto biologo ha fatto l'autopsia di alcuni dei miei animali, e non ha scoperto nulla. Naturalmente nessuno sapeva da dove venivano, e io stavo attento a portarli via prima che potesse accadere qualcosa, e che qualcuno lo scoprisse. Figurati che nemmeno i miei assistenti sono al corrente dei miei esperimenti.”

“Ma perché li tieni così segreti?”

“Proprio perché non sono in grado di trasportare nel presente i duplicati vivi. Ci deve essere una piccola confusione molecolare. Se rendessi noti i miei risultati, probabilmente qualcun altro troverebbe il modo evitare questa imperfezione, aggiungerebbe un lieve perfezionamento a una scoperta che fondamentalmente è mia, e ne avrebbe una fama più grande, essendo in grado di riportare indietro nel tempo un uomo vivo che potrebbe darci informazioni su futuro.”

Mi resi conto che aveva perfettamente ragione. Non era nemmeno necessario che dicesse che “forse” sarebbe andata così. Era inevitabile. In realtà, per quanto lui avesse fatto, il merito non sarebbe andato a lui. Ne ero sicura.

“Tuttavia” continuò, parlando più a se stesso che a me “non posso più aspettare. Devo annunciare la mia scoperta, ma in un modo tale per cui essa resti sempre e indelebilmente associata al mio nome. L'annuncio deve essere fatto in modo sensazionale, deve produrre un effetto tale che, da allora in poi, nessuno potrà parlare del viaggio nel tempo senza pensare a me, anche se altri uomini in futuro faranno altre scoperte. Io preparerò la messinscena e tu reciterai la tua parte.”

“Ma cosa vuoi che faccia io, Lancelot?”

“Sarai la mia vedova.”

Mi aggrappai al suo braccio. “Lancelot, vuoi dire...” Non saprei descrivere con esattezza i sentimenti contrastanti che mi agitavano in quel momento.

Si svincolò rudemente. “Solo per poco tempo. Non intendo suicidarmi. Ho semplicemente intenzione di trasportare me stesso nel presente, da tre giorni nel futuro.”

“Ma al ritorno sarai morto.”

“Non io, solo il mio duplicato, quello che è trasportato nel presente. L'originale rimarrà vivo. Come il topolino bianco.” I suoi occhi corsero al quadrante e disse: “Tra pochi secondi sarà l'ora zero. Osserva il secondo recipiente e il topolino morto.”

Davanti ai miei occhi il recipiente sparì e ci fu di nuovo quel “pfft”.

“Dove è andato a finire?”

“Da nessuna parte” disse Lancelot. “Era soltanto un duplicato. Quando siamo giunti a quello stadio nel tempo in cui il duplicato si era formato, è svanito naturalmente. L'originale, il primo topolino, è ancora lì, vivo e vegeto. Lo stesso accadrà a me. Un mio duplicato giungerà nel presente, morto. L'originale sarà vivo. Tre giorni dopo, raggiungeremo il momento in cui il mio duplicato si era formato, usando la mia persona reale come modello, ed era stato trasportato indietro nel tempo. In quel momento preciso, il duplicato svanirà e rimarrà l'originale, vivo. È chiaro?”

“Mi sembra pericoloso.”

“Non lo è. Appena il mio corpo senza vita apparirà, il medico firmerà il mio certificato di morte, i giornali pubblicheranno la notizia e l'impresario di pompe funebri disporrà ogni cosa per la mia sepoltura. Allora io ritornerò alla vita e annuncerò come ho potuto realizzare tutto questo. Io non sarò solo lo scopritore del viaggio del tempo; sarò l'uomo che è morto e poi risorto. Tutti parleranno del viaggio nel tempo e di Lancelot Stebbins, e le due cose saranno così legate l'una all'altra che nulla mai potrà dissociare il mio nome dal pensiero del viaggio nel tempo.”

“Lancelot” dissi dolcemente “perché non possiamo semplicemente annunciare la tua scoperta? Questo piano è troppo complicato. Un semplice annuncio ti renderà famoso come desideri, e forse potremo andare a vivere in città...”

“Zitta! Farai ciò che ti dico.”

Non so per quanto tempo Lancelot avesse pensato tutto questo, prima che il necrologio gli desse la spinta decisiva. Naturalmente, non intendo sottovalutare la sua intelligenza. Malgrado la sua eccezionale sfortuna, nessuno può dubitare delle sue brillanti capacità.

Prima di congedarli, aveva informato i suoi assistenti degli esperimenti che aveva in animo di fare durante la loro assenza. Se avessero dovuto testimoniare, sarebbe apparso del tutto naturale che egli fosse intento a studiare una particolare serie di reagenti chimici e che fosse morto per avvelenamento da cianuro, secondo tutte le apparenze.

“Quindi, tu fai in modo che la polizia si metta in contatto immediatamente con i miei assistenti” continuò. “Sai dove raggiungerli. Non voglio che ci sia qualche sospetto di omicidio o suicidio, o altro. Deve apparire un incidente, un naturale e spiegabilissimo incidente. Voglio che il medico stenda subito il certificato di morte e la notizia venga immediatamente comunicata ai giornali.”

“Ma, Lancelot, e se trovano te, l'originale?”

“E perché mai?” mi investì. “Se tu trovi un cadavere, ti metti a cercare anche la sua copia vivente? Nessuno mi cercherà, e nel frattempo io me ne starò tranquillo nel mio rifugio. C'è il bagno comodissimo e posso far rifornimento di panini imbottiti per sostentarmi. Dovrò fare a meno del caffè, però, finché tutto non sarà concluso. Qualcuno potrebbe trovare molto strano che ci sia odore di caffè qui, dove dovrebbe esserci solo un morto. È troppo rischioso. Non importa, c'è acqua quanta ne voglio, e si tratterà solo di tre giorni.”

Strinsi le mani nervosamente e dissi: “Ma anche se ti trovano, non è la stessa cosa? Vedranno che c'è un Lancelot Stebbins vivo e uno morto...” Era me stessa che cercavo di consolare, me stessa che tentavo di preparare alla delusione inevitabile.

Ma egli mi investì, urlando: “No, non sarebbe affatto la stessa cosa. Apparirebbe soltanto una grossa burla non riuscita. Diventerei famoso, ma per la mia stupidità.”

“Ma, Lancelot” dissi timidamente “ogni volta c'è qualcosa che non funziona.”

“Non questa volta.”

“Tu dici sempre “non questa volta”, eppure sempre qualcosa...”

Era pallido di rabbia e le pupille brillavano cupe e nitide nel bianco degli occhi. Mi afferrò il gomito. Mi faceva molto male, ma non osai urlare. Disse: “C'è una cosa solo che può non funzionare, e quella sei tu. Se tu ne parli in giro, se non reciti la tua parte perfettamente, se non segui scrupolosamente le mie istruzioni, io... io...” Sembrava che cercasse una punizione. “Io ti ucciderò.”

Allontanai la testa di scatto, terrorizzata, e cercai di liberarmi, ma egli continuò a tenermi stretta con ferocia. Era incredibile la forza che aveva quando era infuriato. Disse: “Ascoltami bene. Tu mi hai già nuociuto abbastanza solo con l'essere quella che sei, ma io me la sono sempre presa con me stesso, prima di tutto per averti sposato e poi per non aver mai trovato il tempo di divorziare. Ma stavolta, nonostante te, finalmente ho la possibilità di trasformare la mia vita in una serie di trionfi. Se mi farai perdere anche questa occasione, io ti ucciderò. E so quello che dico.”

Non ne dubitavo. “Farò quello che mi dirai di fare” balbettai, e lui mi lasciò andare.

 

Lancelot passò una giornata intera a revisionare la sua macchina. “Non ho mai trasportato più di cento grammi, finora” disse calmo e intento.

Io pensavo: “Non ce la farà. Come potrebbe?”.

Il giorno dopo sistemò i congegni in modo che io dovessi semplicemente chiudere un interruttore. Per esercitarmi, mi fece azionare quell'interruttore attraverso un circuito chiuso, per un tempo che mi parve interminabile.

“È chiaro, ora? Hai capito bene cosa devi fare?”

“Sì.”

“Allora fallo quando questa luce si accenderà, non un istante prima.”

“Andrà male” pensavo. “Sì” dissi.

Si mise in posizione e rimase calmo, in silenzio. Portava un grembiule di plastica sulla casacca da laboratorio.

La luce si accese e tutto il mio esercizio si dimostrò utile, perché tirai l'interruttore meccanicamente, ancor prima che qualche pensiero potesse bloccarmi la mano o farmi esitare.

Per un istante, davanti a me ci furono due Lancelot, uno di fianco all'altro; quello nuovo aveva gli stessi abiti di quello vecchio, ma più spiegazzati. Poi, il nuovo crollò a terra e rimase immobile.

“Benissimo” esclamò il Lancelot vivo, balzando fuori dalla zona accuratamente marcata. “Aiutami. Prendi le gambe.”

Ero incantata a guardare Lancelot. Come poteva, così, senza batter ciglio, senza dare alcun segno di disagio, trascinare il suo corpo senza vita, il suo corpo di tre giorni dopo? Eppure lo sorreggeva sotto le ascelle e non sembrava più impressionato che se avesse portato un sacco di grano.

Io presi il corpo per le caviglie e mi venne il voltastomaco quando lo toccai. Era ancora caldo; era morto da poco. Insieme lo trascinammo per tutto il corridoio, su per una rampa di scale, lungo un altro corridoio, e infine lo deponemmo in una stanza.

Lancelot aveva già disposto tutto. Una soluzione gorgogliava in uno strano congegno tutto di vetro, dentro una parete chiusa da uno sportello mobile che faceva da divisorio.

Altri strumenti chimici erano sparsi qua e là, certamente in modo studiato per dare l'impressione di un esperimento in corso. Sul banco, in evidenza fra tutte le altre, c'era una bottiglia con una vistosa etichetta: “Cianuro di potassio”. Vicino, sul banco, c'erano pochi cristalli sparsi: cianuro, immagino.

Con cura, Lancelot dispose il cadavere accasciato a terra, come se fosse caduto dallo sgabello. Gli mise dei cristalli sulla mano sinistra e altri sul grembiule di plastica; infine ne sparse un po' anche sul mento.

“Basteranno a suggerire l'idea” borbottò. Diede un ultimo sguardo intorno e continuò. “Adesso tutto è a posto. Torna a casa e chiama il medico. Dirai che eri venuta a portarmi un panino perché non avevo interrotto il lavoro per far colazione. Il panino è là.” E mi indicò un piatto in frantumi e un panino a terra, nel punto in cui io avrei dovuto lasciarlo cadere. “Strilla un po', ma non esagerare.”

 

Quando venne il momento, non mi riuscì difficile urlare o piangere. Ne sentivo il bisogno da giorni, e fu un sollievo poter sfogare il mio isterismo.

Il medico si comportò esattamente come Lancelot aveva previsto. La bottiglia di cianuro fu praticamente la prima cosa che vide. Si accigliò. “Ahimé, signora Stebbins, vostro marito era un chimico imprudente.”

“Deve essere stato così” dissi, singhiozzando. “Non avrebbe dovuto lavorare da solo, ma i suoi assistenti erano tutti e due in vacanza.”

“Quando un uomo tratta il cianuro come se fosse sale, è una gran brutta cosa.” E il medico scosse la testa con aria grave di disapprovazione. “Adesso, signora Stebbins, devo chiamare la polizia. Si tratta di avvelenamento accidentale da cianuro, ma è un caso di morte violenta e la polizia...”

“Sì, sì, chiamatela” e subito dopo mi sarei mangiata la lingua per il tono impaziente delle mie parole, che poteva destare dei sospetti.

I poliziotti arrivarono con un medico legale, che osservò con un grugnito di disgusto i cristalli di cianuro sulla mano, sul grembiule e sul mento del cadavere. I poliziotti se ne disinteressarono completamente, e chiesero solo dati statistici riguardo al nome e all'età. Mi chiesero se potevo occuparmi io dei funerali. Dissi di sì, e se ne andarono.

Poi avvertii i giornali e due agenzie di stampa. Col tono di una che sapeva che non si sarebbe scritto nulla di male sul defunto, dissi che avevo pensato che sarebbero andati alla polizia a raccogliere notizie sulla morte e che speravo che non avrebbero dato molto rilievo al fatto che mio marito era stato un chimico imprudente. Dopo tutto, continuai, lui era un fisico nucleare, e non un chimico, e ultimamente avevo avuto l'impressione che stesse passando qualche guaio.

In questo seguii alla lettera le istruzioni di Lancelot, e anche questo funzionò. Un fisico nucleare nei guai? Spie? Agenti stranieri?

I cronisti mi piovvero addosso. Diedi loro un ritratto di Lancelot da giovane, e un fotografo riprese fotografie dei capannoni del laboratorio. Gli feci visitare alcune stanze del laboratorio centrale, perché ne prendesse altre. Nessuno, né la polizia né i cronisti, fece domande sulla stanza chiusa, né mostrò di averla notata.

Fornii abbondante materiale professionale e biografico che Lancelot stesso mi aveva preparato e raccontai molti aneddoti, scelti allo scopo di mettere in evidenza insieme le sue doti di umanità e le sue brillanti capacità. In ogni cosa cercavo di seguire alla lettera le sue istruzioni, eppure non riuscivo ad aver fiducia. Qualcosa non avrebbe funzionato, ne ero certa.

E sapevo che, allora, se la sarebbe presa con me. E stavolta aveva giurato che mi avrebbe ucciso.

Il giorno dopo gli portai i giornali. Li lesse, li rilesse da cima a fondo, con gli occhi che brillavano per l'eccitazione. L'articolo su di lui spiccava a titoli di scatola, a sinistra in basso della prima pagina del “New York Times”. Il “Times” e l'“A. P.” sorvolavano sugli aspetti misteriosi della sua morte, ma la prima pagina di un rotocalco portava un titolo allarmante: “MISTERIOSA MORTE DI UNO SCIENZIATO ATOMICO”.

Quando lo vide, uscì in una fragorosa risata, e dopo averli letti tutti, ricominciò daccapo.

Alzò gli occhi e mi lanciò un'occhiata imperiosa.

“Non andar via. Ascolta quello che dicono.”

“Li ho già letti, Lancelot.”

“Ascolta, ti dico.”

Me li lesse ad uno ad uno a voce alta, indugiando sulle parole di elogio per il morto; poi, con gli occhi splendenti di soddisfazione, mi disse:

“Pensi ancora che qualcosa andrà male?”

Timidamente azzardai: “Se i poliziotti tornassero a chiedermi come mai avevo pensato che tu fossi nei guai...”

“Sei stata abbastanza vaga. Rispondi che avevi fatto dei brutti sogni. Quando e se decideranno di fare indagini approfondite, sarà troppo tardi.”

Era vero, andava tutto bene. Ma non riuscivo a sperare che sarebbe andata avanti così. E, tuttavia, la mente dell'uomo è bizzarra; continua a sperare anche quando le circostanze sono contrarie.

“Lancelot, quando tutto questo sarà finito e tu sarai famoso, veramente famoso, allora potrai ritirarti. Potremmo tornare in città e vivere in pace.”

“Sei proprio una stupida. Non capisci che una volta riconosciuto, dovrò per forza andare avanti? I giovani si affolleranno intorno a me. Questo laboratorio diventerà un grande Istituto di Ricerche Temporali. Diventerò leggendario ancora in vita. La mia grandezza salirà a un livello così alto che chiunque altro, dopo, non potrà mai essere intellettualmente che un nano al mio confronto.” Si alzò in punti di piedi, con gli occhi raggianti come se vedesse già il piedestallo sul quale l'avrebbero innalzato.

Era stata la mia ultima, piccola speranza di qualche briciola di felicità per me. Sospirai.

Chiesi all'impresario di pompe funebri se potevo tenere in laboratorio il cadavere nella bara, prima di seppellirlo nella cappella della famiglia Stebbins a Long Island. Gli chiesi anche di non imbalsamarlo; l'avrei tenuto in una stanza grande e refrigerata a una temperatura di 2, 3 gradi. Gli chiesi di non trasportarlo all'obitorio.

L'impresario portò la bara in laboratorio con un'aria di fredda disapprovazione. Senza dubbio, il conto finale ne risentì. La spiegazione che diedi, e cioè che volevo averlo vicino per quel poco tempo che restava e che volevo che i suoi assistenti avessero la possibilità di vedere il cadavere, zoppicava ed era facile accorgersene.

Anche in questo caso, Lancelot mi aveva dato istruzioni precise su quello che dovevo dire.

Appena il cadavere fu composto nella bara, lasciata scoperta, andai da Lancelot.

“Lancelot” gli dissi “l'impresario era piuttosto seccato. Probabilmente sospetta che ci sia qualcosa di strano in questa faccenda.”

“Bene” disse Lancelot soddisfatto.

“Ma...”

“Dobbiamo aspettare ancora un giorno solo. Prima di allora non verranno a capo di nulla basandosi su semplici sospetti. Domattina il cadavere scomparirà; almeno, così dovrebbe essere.”

“Vuoi dire che forse non scomparirà?” Lo sapevo. Lo sapevo.

“Ci potrebbe essere un po' di ritardo, o di anticipo. Non ho mai trasportato un oggetto di questo peso e non sono sicuro di quanto le mie equazioni siano valide ed esatte. Una delle ragioni per cui voglio che il cadavere sia qui, e non in una camera mortuaria, è che mi è necessario tenerlo sotto osservazione.

“Ma in una camera mortuaria scomparirebbe davanti a testimoni.”

“Mentre qui pensi che sospetteranno che sia stato tutto uno stratagemma?”

“Naturalmente.”

Sembrava divertito: “Diranno: perché ha mandato via i suoi assistenti? Perché ha compiuto lui esperimenti che anche un bambino sarebbe stato in grado di fare, e tuttavia è riuscito ad avvelenarsi mentre li faceva? Perché il cadavere è sparito per caso, senza testimoni? Diranno: non c'è nulla che possa provare questa assurda storia del viaggio nel tempo. Avrà preso dei narcotici che l'hanno gettato in uno stato di catalessi ipnotica, e i medici si sono ingannati. È questo che pensi, vero?”

“Sì” dissi, debolmente. Come aveva fatto a capire tutto questo?

“E poi” continuò “quando io insisterò nel sostenere di aver trovato la formula del viaggio nel tempo e dirò che la dichiarazione del medico prova in modo assolutamente incontestabile che ero morto e non vivo, allora gli scienziati mi accuseranno pubblicamente, con animosità, di essere un impostore. Ebbene, nel giro di una settimana, non ci sarà un uomo in tutta la terra a cui il mio nome non sia divenuto familiare. Non si parlerà d'altro. Allora io mi dichiarerò pronto a dare una dimostrazione pratica attraverso un circuito televisivo intercontinentale. L'interesse del pubblico costringerà gli scienziati ad assistervi e i padroni delle reti a concedere il permesso. Non importa se la gente starà a guardare in attesa di un miracolo o di un linciaggio. Mi guarderanno! Sarà allora che io mi affermerò: e quale scienziato potrà mai dire che la sua vita è giunta a un culmine più fantastico?”

Per un attimo rimasi abbagliata, ma qualcosa dentro di me ostinatamente ripeteva: “Troppo lungo, troppo complicato; qualcosa non funzionerà”.

Quella sera arrivarono i suoi assistenti e cercarono di mostrarsi deferenti e addolorati davanti al cadavere. Due testimoni in più che avrebbero giurato di aver visto Lancelot morto; due testimoni in più che avrebbero portato altra confusione e contribuito a far precipitare l'azione verso la sua incredibile conclusione.

La mattina dopo, alle quattro, eravamo già nella stanza refrigerata, infagottati nei cappotti, in attesa dell'ora zero.

Lancelot, eccitatissimo, continuava a controllare i suoi strumenti, armeggiando in modo strano. Sul banco, il calcolatore funzionava costantemente, anche se io non saprei proprio dire come facesse Lancelot, con le dita gelate, a manovrare i tasti così agilmente.

Quanto a me, mi sentivo terribilmente depressa. Ero lì al freddo, con un cadavere nella bara e un futuro tanto incerto davanti a me.

Mi sembrava che fossimo lì da un'eternità, quando alla fine Lancelot disse: “Andrà tutto bene. Andrà tutto come previsto. Al massimo, la sparizione si verificherà con un ritardo di cinque minuti per il fatto che si tratta di una massa di settanta chili. La mia analisi delle forze temporali è davvero magistrale.” Mi sorrise, ma sorrise anche al suo cadavere con altrettanto trasporto.

Notai che la sua casacca, che non aveva mai tolto in quei tre giorni, sicuramente neanche quando andava a dormire, era tutta spiegazzata e logora. Aveva preso più o meno l'aspetto di quella del secondo Lancelot, quello morto, al momento della sua apparizione.

Lancelot sembrò indovinare i miei pensieri, o forse si accorse soltanto della mia occhiata, perché abbassò gli occhi sulla casacca e disse: “Ah, sì, sarà meglio che mi metta il grembiule di plastica. Il mio alter ego lo indossava, quando è apparso.”

“E se non lo mettessi, che differenza farebbe?” chiesi in tono inespressivo.

“Dovrei metterlo dopo. È una cosa necessaria. Qualcosa me lo avrebbe fatto venire in mente. Altrimenti, uno dei due non lo avrebbe indosso.” Strinse gli occhi. “Pensi sempre che qualcosa non funzionerà?”

“Non so” mormorai.

“Pensi che il corpo non scomparirà, o che magari scomparirò io al suo posto?”

Non diedi nessuna risposta, e allora mi disse quasi urlando: “Non ti rendi conto che il mio destino finalmente è cambiato? Non vedi che tutto va liscio, secondo i miei piani? Sarò l'uomo più grande di tutti i tempi. Svelta, fa' bollire l'acqua per il caffè.” Ritornò improvvisamente calmo. “Lo berremo per celebrare l'addio al mio sosia e il mio ritorno alla vita. Sono tre giorni che non prendo il caffè.”

Spinse verso di me la scatola del caffè istantaneo. Non era gran che ma, dopo tre giorni, andava bene anche quello. Con le dita gelate, armeggiai goffamente intorno al fornello del laboratorio, finché Lancelot mi spinse rudemente da parte e mise un lambicco pieno d'acqua a bollire.

“Ci vorrà un po' di tempo” disse, regolando la manopola al massimo. Guardò il suo orologio e poi altri quadranti sulla parete. “Quando l'acqua bollirà, il mio sosia non ci sarà più. Vieni qui e sta' a guardare.” Andò a mettersi di fianco alla bara.

Esitavo. “Vieni” disse in tono perentorio.

Mi avvicinai.

Contemplava se stesso con infinita soddisfazione. Io aspettavo. Aspettammo insieme, con gli occhi fissi sul cadavere.

Ed ecco che ci fu il solito “pfft”, e Lancelot esclamò eccitato: “Meno di due minuti di ritardo.”

In un batter d'occhio, il cadavere era sparito.

Nella bara aperta erano rimasti i soli indumenti, vuoti. Gli indumenti, naturalmente, non erano quelli che il sosia indossava quando era stato trasportato nel presente. Erano lì, reali, tangibili. Erano lì nella bara: la biancheria, e, sopra la camicia e i pantaloni, la cravatta e la giacca. Le scarpe si erano rovesciate e i calzini vuoti pendevano in fuori. Il corpo non c'era più.

Sentii che l'acqua bolliva.

“Il caffè” disse Lancelot. “Prima di tutto il caffè. Poi avvertiremo la polizia e i giornali.”

Preparai il caffè per me e per lui. Presi il solito cucchiaino dal barattolo dello zucchero, la quantità giusta, né troppo né troppo poco. Anche in quella situazione, anche se per una volta ero sicura che non gliene sarebbe importato nulla, l'abitudine era troppo forte.

Sorseggiai il mio caffè, senza panna o zucchero, come al solito. Era caldo e ci voleva proprio.

Lancelot mescolò il suo caffè. “Finalmente!” disse piano “non aspettavo che questo.” Portò la tazza alle labbra con un ghigno di trionfo e bevve.

Furono le sue ultime parole.

 

Adesso che tutto era finito, mi invase una specie di frenesia. Riuscii a spogliarlo e a rivestirlo degli indumenti rimasti nella bara. Non so come riuscii a sollevarlo e a comporlo nel cofano. Gli incrociai le braccia sul petto. Il cadavere del sosia le aveva così.

Poi ripulii il lavabo e la stanza, per cancellare ogni traccia di caffè. Pulii anche il barattolo dello zucchero. Lo sciacquai accuratamente diverse volte, finché tutto il cianuro, che io avevo sostituito allo zucchero, fu eliminato.

Portai la casacca da laboratorio e gli altri indumenti nella cesta dove avevo ammassato quelli che indossava il sosia quando era stato trasportato nel presente. Naturalmente, questi non c'erano più, e ci misi gli altri.

Poi aspettai.

Alla sera, pensai che il cadavere si era raffreddato abbastanza e chiamai l'impresario di pompe funebri. Non c'era ragione perché si stupisse. Si aspettava di trovare un cadavere, e il cadavere era lì. Lo stesso cadavere. Proprio lo stesso. Nello stomaco aveva persino quel cianuro che l'altro avrebbe dovuto avere.

Credo che avrebbero potuto rendersi conto della differenza tra il cadavere di un uomo morto da dodici ore e quello di uno morto da tre giorni e mezzo, anche se era stato tenuto in una stanza refrigerata. Ma perché avrebbero dovuto preoccuparsi di appurarlo?

E infatti non lo fecero. Inchiodarono il coperchio, portarono via la bara e la seppellirono. Era il delitto perfetto.

In realtà, dato che Lancelot era legalmente morto quando io lo uccisi, mi chiedo se a rigor di logica il mio sia stato veramente un omicidio. Naturalmente non ho intenzione di chiedere il parere di un avvocato, su questo punto.

 

Vivo in pace, adesso; sono tranquilla e serena. Ho abbastanza denaro. Vado a teatro. Ho molti amici.

E non ho rimorsi. Certo, Lancelot non sarà mai riconosciuto come l'inventore del viaggio nel tempo. Prima o poi, quando qualcun altro lo scoprirà, il nome di Lancelot Stebbins, oscuro, riposerà nelle tenebre dello Stige. Ma, in fondo, io glielo avevo detto che, nonostante tutti i suoi piani, sarebbe morto senza fama. Se io non lo avessi ucciso, qualche altra cosa avrebbe rovinato tutto, e allora lui avrebbe ucciso me.

No, non ho rimorsi.

In realtà, ho perdonato tutto a Lancelot: tutto fuorché l'avermi sputato addosso. C'è una certa ironia nel fatto che, prima di morire, mio marito ha avuto un momento di genuina felicità: gli è stata infatti concessa una possibilità che pochi hanno avuto; e lui, più degli altri, ne ha tratto grande soddisfazione. Nonostante la sua rabbia di quando mi aveva sputato addosso, Lancelot è riuscito a leggere il suo necrologio.

 

Titolo originale: Obituary - 1959