Armadio a Sorpresa.

“Quanto guadagni vendendo i giornali?”Sulla terrazza di un caffè di Montparnasse, Radek, rovesciato sulla sedia con un sorriso più che mai terribile sulle labbra, fumava un avana. Una povera vecchia scivolava fra i tavolini e offriva i giornali della sera ai clienti mormorando una preghiera indistinta. Era ridicola e miserabile da capo a piedi.

“Quanto... io?” Non capiva, e il suo sguardo spento dimostrava che in lei non c’era più che un barlume di intelligenza.

“Siedi qui... Berrai un bicchiere con me. Cameriere!... Una chartreuse per la signora...” Gli occhi di Radek cercarono Maigret, ch’egli sapeva seduto poco lontano.

“Prendi! Comincio intanto col comprarti tutti i giornali... Suvvia, contali...” La vecchia, sbalordita, non sapeva se doveva obbedire o andarsene.

Ma il cèco le mostrò un biglietto da cento franchi ed ella si mise febbrilmente a contare i giornali.

“Bevi!... Hai detto che sono quaranta? A cinque soldi l’uno... Aspetta!... Vuoi guadagnare altri cento franchi?...” Maigret che vedeva e sentiva, non fiatava, non aveva neppure l’aria di accorgersi di quanto stava avvenendo.

“Duecento franchi... Trecento... Prendi!... Eccoli... Ne vuoi cinquecento?... Solamente per guadagnarli, bisogna che tu ci canti qualcosa... Giù le zampe!... Prima canta...” “Che cosa devo cantare?” L’idiota era sconvolta. Una goccia di liquore le calava vischiosa sul mento irto di peli grigi. Intorno la gente si dava di gomito.

“Canta quel che vuoi... Qualche cosa di gaio... E se balli avrai cento franchi di più.” Era una cosa crudele. La disgraziata non abbandonava con gli occhi i biglietti di banca. E mentre con voce fioca incominciava a cantare un’aria impossibile a riconoscersi, la sua mano si tendeva verso il danaro.

“Basta!”fecero alcuni.

“Canta!”ordinò Radek.

Seguitava a spiare Maigret. Si levarono proteste. Un cameriere si avvicinò alla donna per mandarla via.

Lei s’ostinava, attaccata alla speranza di guadagnare una somma favolosa.

“Canto per questo signore... Mi ha promesso...” La fine fu ancora più odiosa. Intervenne un agente e portò via la vecchia, senza che essa avesse ricevuto un centesimo, mentre un cameriere la rincorreva per restituirle i giornali.

Di scene del genere ne erano avvenute dieci in tre giorni. Da tre giorni il commissario Maigret, la fronte solcata di rughe ostinate, la bocca amara, seguiva passo passo Radek, dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina.

Il cèco aveva dapprima tentato di riallacciare la conversazione. Aveva più volte ripetuto:  “Visto che ci tiene alla mia compagnia, camminiamo insieme! Sarà più divertente...” Maigret aveva rifiutato. Alla ”Coupole” o altrove, lui si sedeva ad un tavolo vicino a quello di Radek. Per strada camminava ostentatamente dietro a lui.

L’altro s’impazientiva. Era una lotta di nervi.

C’erano stati i funerali di Crosby, seguiti dalla folla più diversa, da quella fastosa della colonia americana di Parigi a quella variopinta di Montparnasse.

Le due donne, come aveva predetto Radek, erano in lutto stretto. E il cèco aveva anche lui seguito il corteo fino al cimitero, senza fiatare, senza rivolgere la parola a nessuno. Erano passati tre giorni di una vita così inverosimile che talvolta assumeva l’aspetto di incubo.

“Non capirà nulla ugualmente!”ripeteva di quando in quando Radek voltandosi verso Maigret.

Questi fingeva di non udire e rimaneva impassibile, impenetrabile come un muro.

A stento il suo compagno era riuscito un paio di volte a cogliere il suo sguardo. Lo seguiva, ecco tutto.

Non sembrava che volesse ottenere qualcosa. Era una presenza allucinante, ostinata di ogni minuto.

Radek trascorreva le mattinate nei caffè a non far nulla. D’improvviso ordinava al cameriere: “Chiami il direttore...” E quando questi si presentava: “Ha notato che il cameriere che mi ha servito ha le mani sporche?” Non pagava che con biglietti da cento o da mille franchi, riponeva il resto in una qualsiasi delle sue tasche.

Al ristorante rimandava indietro i piatti che non erano di suo gusto. Un giorno, dopo aver speso per una colazione centocinquanta franchi, annunciò al capo cameriere: “Niente mancia! Non siete stati abbastanza premurosi...” E la sera ciondolava nei cabaret, nei locali notturni, offriva da bere alle ragazze, che faceva stare sulle spine fino all’ultimo momento, poi di improvviso gettava un biglietto da mille in mezzo alla sala dicendo: “Per quella che arriva a prenderlo”.

Due volte ci fu una vera battaglia e una donna fu espulsa dal locale, mentre Radek, come al solito, cercava di capire l’impressione che aveva prodotto su Maigret.

Non cercava di sfuggire alla sorveglianza di cui era oggetto. Al contrario! Se prendeva un taxi aspettava che Maigret ne avesse fermato uno a sua volta.

La sepoltura di Crosby era avvenuta il 22 ottobre.

Il 23, alle undici di sera, Radek finiva di pranzare in un ristorante dei ChampsElysées. Alle undici e mezzo uscì, seguito da Maigret, scelse con cura un’automobile comoda e diede l’indirizzo a bassa voce.

Due automobili correvano poco dopo, l’una dietro l’altra, sulla strada di Auteuil. Inutilmente si sarebbe cercato sulla faccia del poliziotto traccia d’emozione, d’impazienza o di stanchezza, sebbene non dormisse da quattro giorni.

I suoi occhi erano solamente un po’ più fissi del solito.

Il primo taxi seguì la riva, attraversò la Senna al ponte Mirabeau e s’inoltrò tranquillamente per la strada che porta alla ”Citanguette”.

A cento metri dalla trattoria, Radek fece fermare la macchina, disse qualcosa all’autista e s’avvicinò con le mani in tasca alla banchina di scarico, posta di fronte alla locanda. Lì sedette sopra una bitta da ormeggio, accese una sigaretta e, assicuratosi che Maigret l’avesse seguito, restò immobile.

A mezzanotte, non era ancora accaduto nulla.

Nella trattoria, tre arabi giocavano ai dadi, in un angolo un uomo sonnecchiava, probabilmente smaltendo una sbornia.

Il padrone lavava i bicchieri. Al piano superiore non v’era alcuna luce. A mezzanotte e cinque, un taxi avanzò nella via, si fermò davanti alla locanda e ne scese una figurina femminile che, dopo una breve esitazione, entrò.

Gli occhi sarcastici di Radek cercavano Maigret più che mai. La donna era ora illuminata dalla lampada senza paralume.

Indossava un soprabito nero con un largo collo di pelliccia scura.

Era impossibile non riconoscere Ellen Crosby.

China sul banco di zinco si mise a parlare a bassa voce al padrone. Gli arabi avevano smesso di giocare per osservarla.

Dal di fuori non si udivano le voci. Ma si indovinava lo stupore del padrone e il disagio dell’americana.

Qualche istante dopo, l’uomo si diresse verso la scala che stava dietro il banco. Lei lo seguì. Poi una finestra del primo piano si illuminò: la finestra della camera occupata da Joseph Heurtin dopo l’evasione.

Quando il padrone ridiscese, era solo. Gli arabi lo interrogarono e, nel rispondere loro, egli fece un gesto con le spalle che poteva tradursi in un: “Non ci capisco più nulla! Ba’!. Non è cosa che ci riguardi...” Al primo piano le finestre erano senza imposte.

Le tende erano sottili e si poteva seguire l’andirivieni dell’americana nella camera.

“Una sigaretta, commissario?” Maigret non rispose. La giovane donna, lassù, si era avvicinata al letto e ne toglieva le coperte e le lenzuola.

Sollevò qualcosa di informe e di pesante. Poi si accinse a un lavoro strano, si agitò, si avvicinò d’improvviso alla finestra, come presa da inquietudine.

“Si direbbe che se la prenda col materasso, non è vero? O m’inganno; o sta per scucirlo... Buffa occupazione per chi ha sempre avuto una cameriera...” I due uomini erano a meno di cinque metri l’uno dall’altro. Trascorse un quarto d’ora.

“Sempre più complicato, perbacco!...” La voce di Radek tradiva l’impazienza. Ma Maigret si guardava bene dal fiatare. Era poco più di mezzanotte e mezzo quando Ellen Crosby apparve nuovamente nella sala della trattoria, gettò del denaro sul banco, uscì rialzando il collo di pelliccia e si precipitò verso il taxi che l’aveva attesa.

“Commissario, la seguiamo?” I tre taxi si misero in marcia quasi in fila indiana. Ma la signora Crosby non tornò a Parigi. Mezz’ora dopo erano a SaintCloud e lei lasciò l’automobile in prossimità della villa.

La sua snella figura percorse il marciapiede dall’altra parte della strada, esitando. All’improvviso attraversò la carreggiata, prese una chiave nella borsetta, e un istante dopo era nella villa, mentre il cancello si chiudeva con un rumore cupo.

Nessuna lampada si accese. La sola traccia di vita nella casa disabitata fu una piccola luce intermittente, nelle camere del primo piano, come se qualcuno di tanto in tanto avesse acceso un fiammifero.

La notte era fresca. I lampioni della strada erano velati da un alone d’umidità. I taxi di Maigret e di Radek erano fermi a duecento metri dalla villa, mentre quello della signora Crosby era quasi al cancello.

Il commissario era sceso dall’auto e andava su e giù con le mani affondate nelle tasche, fumando nervosamente la pipa.

“Ebbene?... Non va a vedere che cosa succede?” Maigret non rispose e continuò la sua monotona passeggiata.

“Forse ha torto, commissario! Supponga che fra poco, o domani, si trovi laggiù un altro cadavere...” Maigret non mosse ciglio e Radek gettò a terra la sigaretta, consumata solo a metà, dopo averne lacerato la carta con le unghie.

“Le ho ripetuto cento volte che non verrà a capo di nulla... Le ripeto ora che...” Il commissario gli volse le spalle. Trascorse quasi un’ora. Tutto era silenzio. Non si vedeva più, dietro alle finestre della villa, nemmeno la fiamma tremolante del fiammifero.

Inquieto, l’autista della signora Crosby era disceso dal suo sedile e si era avvicinato al cancello.

“Supponga, commissario, che ci sia un’altra persona nella casa...” Allora Maigret guardò Radek negli occhi in tal modo, che questi si decise finalmente a tacere.

Qualche istante dopo Ellen Crosby usciva correndo e saliva nel taxi. Aveva fra le mani qualcosa, un oggetto lungo una trentina di centimetri, avvolto in una carta bianca o in un pezzo di tela.

“Non è curioso di sapere che cosa?...” “Dica un po’, Radek...” “Che cosa?...” Il taxi dell’americana si allontanava verso Parigi. Maigret non fece neppure il gesto di seguirlo.

Il cèco appariva nervoso. Le sue labbra erano agitate da un leggero tremito.

“Vuole che entriamo anche noi?” “Ma...” Esitò, con l’aria di un uomo che ha preparato un programma e che si trova all’improvviso davanti a un incidente imprevisto.

Maigret gli posò pesantemente una mano sulla spalla.

“Noi due insieme, capiremo tutto: non le sembra?” Radek rise, ma rise male.

“Esita?... Teme, come diceva poc’anzi, di trovarsi davanti ad un nuovo cadavere? Ba’! chi potrebbe essere?...

La signora Henderson è morta e sepolta... La sua cameriera è morta e sepolta... Crosby è morto e sepolto... Sua moglie è uscita or ora, viva. E Joseph Heurtin è al sicuro nell’infermeria speciale della Sante...

Chi resta dunque? Edna? Ma che cosa sarebbe venuta a fare qui?” “La seguo!”borbottò Radek fra i denti.

“Allora cominceremo dal principio. Per entrare nella casa, occorre una chiave...” Ma non fu una chiave che il commissario trasse di tasca. Fu una piccola scatola di cartone, legata con lo spago, che Maigret impiegò molto ad aprire e dalla quale prese infine la chiave del cancello.

“Ecco. Non ci resta che entrare come in casa nostra, perché non c’è nessuno... Perché non c’è nessuno nella casa, non è vero?” Com’era avvenuto questo mutamento? E perché? Radek non guardava più il suo compagno con ironia, ma con un’inquietudine che era incapace di nascondere.

“Vuole mettersi in tasca questa scatola? Potrà servirci fra poco...” Maigret girò l’interruttore, batté la pipa contro il tacco della scarpa per farne cadere il tabacco bruciato e la riempì di nuovo.

“Saliamo... Noti che l’assassino della signora Henderson ha avuto gli stessi vantaggi che abbiamo noi...

Due donne addormentate! Neppure un cane da guardia!... Niente portinaio!... Inoltre tappeti dappertutto...

Andiamo!” Il commissario non si curava di osservare il cèco.

“Aveva ragione lei poco fa, Radek... Sarà una brutta sorpresa per me se troveremo un altro cadavere...

Conosce di fama il giudice Comeliau... Lui già mi rimproverava di non aver saputo impedire il suicidio di Crosby, che è quasi avvenuto in mia presenza... Non mi perdona di non essere capace di svelare il mistero di questo dramma...

“Immagini ora, se vi fosse un altro morto! Che dire?... Ho lasciato filare la signora Crosby... Quanto a lei, caro Radek, impossibile accusarla, poiché non si è allontanato da me neanche di un passo...

“In realtà sarebbe difficile, da tre giorni, dire quale di noi due si appiccichi ai passi dell’altro... È lei che segue me?... O sono io che seguo lei?” Sembrava parlasse a se stesso. Erano intanto arrivati al primo piano e Maigret attraversava il salotto ed entrava nella camera dove la signora Henderson era stata assassinata.

“Radek, entri... Suppongo che non la impressioni il pensiero che qui due donne sono state uccise...

“Un particolare che lei forse ignora: non si è ritrovato il coltello... Si è supposto che Heurtin, fuggendo, l’avesse gettato nella Senna.” Maigret sedette sulla sponda del letto, proprio dove era stato scoperto il corpo dell’americana.

“Vuole sapere la mia idea?... Ebbene, il coltello l’assassino lo ha semplicemente nascosto qui... Ma lo ha nascosto così bene che noi non l’abbiamo veduto... Guarda! Guarda... Ha notato la forma del pacchetto che ha portato con sé la signora Crosby?... Lungo circa trenta centimetri... Qualche centimetro di lar ghezza... Insomma le dimensioni di un robusto pugnale... Aveva ragione, Radek, è una faccenda terribilmente complicata... Ma... Olà!...” Si chinò sul pavimento tirato a cera ove si distinguevano nettamente impronte di passi. Si poteva riconoscere un minuscolo tacco, il tacco di una scarpa da donna.

“Ha buoni occhi?... Allora mi aiuti, e cerchi di seguire queste impronte... Chissà, forse sapremo in tal modo che cosa la signora Crosby è venuta a fare qui questa notte...” Radek esitò, guardò Maigret attentamente, come se si domandasse quale parte il commissario gli faceva recitare. Ma nulla si poteva leggere sul viso del grosso Maigret.

“Le impronte ci portano nella camera della dama di compagnia, non è vero?... E poi?... Si chini, vecchio mio... Lei non pesa ancora cento chili.

Lei... Eh! Le orme conducono davanti a quell’armadio. È chiuso a chiave?... No! Aspetti prima di aprire.

Ha parlato di cadavere... Come? Se ce ne fosse uno là dentro!...” Radek accese una sigaretta. Gli tremavano le dita.

“Suvvia, bisogna decidersi ad aprire... Avanti, vecchio mio...” E così parlando Maigret si aggiustava la cravatta davanti allo specchio, senza però perdere di vista il suo compagno.

“Dunque?...” La porta dell’armadio venne aperta.

“Un cadavere?... Che cosa?...” Radek era arretrato di tre passi. E ora fissava con stupore una giovane donna dai capelli biondi che usciva da quel nascondiglio un po’ goffamente ma per nulla spaventata.

Era Edna Reichberg. Guardò a volta a volta Maigret e il cèco, come se attendesse una spiegazione. Non era affatto turbata.

Semplicemente l’imbarazzo di chi recita una parte alla quale non è abituato.

In quanto a Maigret, senza neppure occuparsi di lei, si era rivolto verso Radek, che si sforzava di ritrovare la sua baldanza.

“Che cosa ne dice? Ci aspettavamo un cadavere o piuttosto, lei mi aveva preparato a quest’idea ed ecco che troviamo una graziosa signorina, viva...” Anche Edna si era voltata verso il cèco.

“Ebbene! Radek...”riprese Maigret di buon umore.

Silenzio.

“Credi ancora che non riuscirò a capire nulla?... Che ne dici?...” Senza togliere gli occhi di dosso al giovanotto la giovane svedese aprì la bocca per gettare un urlo di spavento, che le morì in gola.

Il commissario si era di nuovo voltato verso lo specchio e col palmo della mano si lisciava i capelli. Il cèco aveva tratto di tasca una rivoltella e, preso di mira il poliziotto, tirò il grilletto nel momento preciso in cui la giovane tentava invano di gridare.

Accadde qualcosa di stupefacente ed insieme di ridicolo. Si udì un piccolissimo rumore metallico, come quello di un giocattolo. Nessuna pallottola partì. Radek premette il grilletto una seconda volta.

Il resto avvenne così rapidamente che Edna non ci capì nulla. Maigret aveva tutta l’aria di essere solidamente piantato al suo posto. Eppure in un secondo si slanciò e piombò con tutto il suo peso sul cèco facendolo ruzzolare a terra.

Cento chili!... aveva detto.

Infatti schiacciava il suo avversario che, dopo due o tre sussulti, rimase immobile, con le mani imprigionate nelle manette.

“Mi scusi, signorina...”mormorò il commissario rialzandosi.”È tutto finito... C’è un taxi per lei alla porta...

Io e Radek abbiamo ancora un mucchio di cose da raccontarci...” Il cèco si era alzato rabbioso, inferocito. La pesante mano del commissario calò sulla sua spalla.

“Non è vero, caro il mio ometto?”disse Maigret.