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IL TRUFFATORE DEI LEGITTIMISTI

Arrivando per la seconda volta all'Hôtel de la Loire, Maigret rispose senza calore alla confidenziale accoglienza di Tardivon, che lo accompagnò in camera e gli fece vedere delle grandi buste gialle arrivate per lui.

Con il rapporto del medico legale c'erano i processi verbali della gendarmeria e della polizia di Nevers.

E la polizia di Rouen aveva mandato altre informazioni sulla cassiera Irma Strauss.

«E non è tutto!» esultò l'albergatore. «È venuto il brigadiere della gendarmeria per parlare con lei. Ha detto di telefonargli appena arrivato... E per finire c'è una donna che si è già presentata tre volte, sicuramente per l'annuncio del banditore...».

«Chi è?».

«La Canut, la moglie del giardiniere di fronte... Le ho parlato del piccolo castello, se lo ricorda?».

«Non ha detto niente?».

«Mica scema! Con la ricompensa che c'è in ballo, non sarà certo lei a farsi soffiare quello che sa, ammesso che sappia davvero qualcosa...».

Maigret aveva poggiato sul tavolo il fascicolo rosa insieme alla fotografia di Gallet.

«La faccia venire, e mi chiami al telefono la gendarmeria...».

Poco dopo era in comunicazione con il brigadiere, il quale gli annunciava che secondo le istruzioni ricevute aveva radunato tutti i vagabondi nel raggio di dieci leghe, e che li teneva a sua disposizione.

«C'è qualcuno di interessante?».

«Sono dei vagabondi!» si limitò a rispondere il gendarme.

Per tre o quattro minuti Maigret restò solo in camera di fronte al mucchio di carte.

E ne aspettava altre! Aveva già telefonato a Parigi per avere informazioni su Henry Gallet e sulla sua amica. Per ogni evenienza aveva chiesto alla gendarmeria di Orléans se in città esisteva un certo Clément.

Non aveva ancora avuto neanche il tempo di esaminare la camera del delitto, né i vestiti del morto che vi erano stati depositati dopo l'autopsia.

All'inizio sembrava un caso insignificante. Un uomo, che aveva tutte le apparenze di un bravo borghesuccio, era stato assassinato da uno sconosciuto in una camera d'albergo!

E invece tutto quello che si veniva a sapere anziché semplificare il problema lo complicava.

«La devo far salire da lei, commissario?» gridò una voce dal cortile. «C'è la Canut...».

Una robusta e sussiegosa comare, che per la circostanza doveva essersi ripulita con più cura del solito, entrò, cercando subito Maigret con lo sguardo diffidente della contadina.

«Lei ha qualcosa da dirmi? Si tratta del signor Clément?».

«Si tratta di quel signore che è morto, e che aveva la foto sul giornale. È vero che c'è una ricompensa di cinquanta franchi?».

«Sì, se l'ha visto sabato 25 giugno!».

«E se l'ho visto due volte?».

«Be', allora potrebbe averne anche cento! Coraggio...».

«Prima di tutto deve promettermi di non dir niente al mio uomo. Non è che lui ci tenga al padrone, ma è per i cento franchi che si andrebbe a scolare... E poi, per me, è meglio che nemmeno il signor Tiburce sappia che ho parlato... Perché quel signore che hanno ammazzato l'ho visto proprio con lui... La prima volta era di mattina, verso le undici. Passeggiavano tutti e due nel parco...».

«È sicura di averlo riconosciuto?».

«Come riconoscerei lei... Non ce n'è mica tanti come lui... Avranno parlato per un'ora... Poi, nel pomeriggio, li ho visti attraverso la finestra del salotto che avevano l'aria di litigare...».

«Che ore erano?».

«Erano appena suonate le cinque... Allora sono due volte, no?».

E la donna non distolse gli occhi dalla mano di Maigret che prendeva un biglietto da cento franchi nel portafoglio, poi sospirò come se si rammaricasse di non aver seguito, quel sabato, le tracce del signor Clément.

«Ho proprio l'impressione di averlo rivisto una terza volta...» disse esitando. «Ma probabilmente non conta... Qualche minuto dopo il signor Tiburce l'ha riaccompagnato fino al cancello...».

«Effettivamente non conta!» tagliò corto Maigret spingendola verso la porta.

Accese la pipa, si mise il cappello in testa, e quando fu nel caffè si fermò di fronte a Tardivon.

«È da molto tempo che il signor de Saint-Hilaire abita nel piccolo castello?».

«Da una ventina d'anni».

«Che tipo è?».

«Una simpaticissima persona! È piccolo e grassottello. Un allegrone! Ed è anche un tipo alla mano! Quando ci sono i clienti, d'estate, si vede poco, perché malgrado tutto è di un altro ambiente... Ma durante la stagione della caccia viene spesso qui...».

«Ha famiglia?».

«È vedovo... Noi lo chiamiamo quasi sempre signor Tiburce, perché è un nome non comune... Tutte le vigne che vede su in collina sono sue... Se ne occupa personalmente. Ogni tanto va a far bisboccia a Parigi e poi torna a rimettersi le scarpe coi chiodi... Che diamine le ha raccontato la Canut?».

«Crede che sia in casa?».

«È probabile. Oggi non ho visto passare l'automobile...».

Maigret raggiunse il cancello e mentre suonava ebbe il tempo di notare che la Loira faceva un'ansa a partire dall'albergo, e che, essendo la villa l'ultima casa del paese, era possibile uscire ed entrare a qualunque ora senza essere visti.

Oltre la postierla il muro di cinta seguitava per altri tre o quattrocento metri, dopo di che non c'era più che bosco ceduo.

Un uomo con i baffi spioventi e un grembiule da giardiniere venne ad aprire, e dall'odore di alcol il commissario dedusse che doveva essere il marito della Canut.

«È in casa il padrone?».

Nello stesso momento Maigret vide un tipo in maniche di camicia che esaminava una innaffiatrice meccanica. Lo sguardo del giardiniere gli confermò che si trattava proprio di Tiburce de Saint-Hilaire, il quale, abbandonato l'attrezzo, si girò verso il visitatore e attese.

Ma dato che Canut aveva l'aria a dir poco impacciata, finì per avvicinarsi dopo aver raccolto la giacca posata sull'erba.

«Vuol parlare con me?».

«Commissario Maigret, della Polizia giudiziaria... Potrebbe concedermi qualche minuto?».

«Ancora quel delitto?» borbottò il castellano indicando col mento l'Hôtel de la Loire. «Che cosa posso fare per lei?... Venga! Non la invito a entrare in salotto perché il sole ha battuto sui muri di casa tutto il giorno... Staremo meglio sotto questa pergola... Baptiste!... Dei bicchieri e una bottiglia di spumante!... La fila in fondo...».

Era esattamente come l'aveva descritto l'albergatore: piccolo, grassottello, rubicondo, con le mani corte e poco curate, un vestito cachi di quelli venduti in serie per la caccia e la pesca dalla Manifattura di Saint-Étienne.

«Lei conosceva il signor Clément?» chiese Maigret sedendosi in una delle poltrone di ferro.

«Secondo il giornale non sarebbe il suo vero nome, ma si chiamerebbe... com'è?...

Grelet?... Gellet?...».

«Sì, Gallet. Non ha importanza! Trattava affari con lui?».

In quell'istante Maigret avrebbe giurato che Saint-Hilaire non era molto a suo agio.

Tant'è vero che sentì il bisogno di sporgersi dalla pergola e mormorare:

«Quell'imbecille di Baptiste è capace di prendere una bottiglia di semisecco... E

suppongo che lei preferisca un vino secco, come me... È della tenuta, trattato con il metodo champenois... A proposito di quel Clément - tanto vale chiamarlo ancora così - che posso dirle? Sostenere che ero in affari con lui sarebbe esagerato! Ma non sarebbe neanche esatto dire che non l'ho mai visto...».

E mentre Saint-Hilaire parlava, il commissario pensava a un altro interrogatorio, quello di Henry Gallet. I due uomini avevano un atteggiamento completamente diverso. Il figlio della vittima non faceva niente per rendersi simpatico e si preoccupava poco della stranezza del suo comportamento. Aspettava le domande con aria sospettosa, temporeggiava, soppesava le parole.

Tiburce invece era loquace, sorrideva, agitava le mani, andava e veniva, cercava in tutti i modi di apparire affabile.

Ma in entrambi si intuiva una stessa angoscia latente, la paura, forse, di non riuscire a nascondere qualcosa.

«Sa... Noi castellani riceviamo gente di ogni tipo!... E non parlo soltanto dei rappresentanti di commercio, degli ambulanti... Per tornare a quel Clément... Ah, ecco il vino!... Va bene così, Baptiste!... Puoi andartene!... Dopo vengo a vedere l'innaffiatrice... Soprattutto che non ti venga in mente di toccarla...».

Mentre parlava, toglieva lentamente il tappo e riempiva i bicchieri senza che andasse perduta una sola goccia di schiuma.

«Per concludere, una volta è venuto qui, già un bel po' di tempo fa... Probabilmente lei sa che i Saint-Hilaire sono un'antica famiglia, di cui io sono attualmente l'ultimo rampollo... Ma è un miracolo se non faccio lo scribacchino in qualche ufficio di Parigi o di qualche altra parte... Se non avessi ereditato da un cugino che ha fatto fortuna in Asia!... Insomma, volevo dire che il mio nome figura negli albi della nobiltà...

«Una quarantina d'anni fa, mio padre era noto per le sue idee legittimiste... Quanto a me, per la verità...».

Sorrise, bevve lo spumante facendo schioccare la lingua in modo molto democratico, e aspettò che Maigret avesse vuotato il bicchiere per riempirlo di nuovo.

«Il nostro Clément, che non avevo mai visto né conosciuto, è dunque venuto a trovarmi. Mi ha fatto leggere delle lettere di raccomandazione scritte da nobili francesi e stranieri, poi mi ha fatto capire di essere una specie di rappresentante ufficiale del movimento legittimista in Francia... Io lo lasciavo parlare... E lui è arrivato al dunque... Mi ha chiesto duemila franchi per la propaganda... Poi, visto che mi rifiutavo di darglieli, si è messo a parlare di non so quale antica famiglia caduta in miseria per cui era stata aperta una sottoscrizione... Da duemila franchi eravamo già scesi a cento... Alla fine gliene ho dati cinquanta!».

«Quanto tempo fa è successo?».

«Qualche mese fa. Non saprei con precisione. Era la stagione della caccia. Quasi ogni giorno c'era una battuta in qualche castello dei dintorni. Ho sentito parlare del nostro uomo un po' dappertutto e mi sono convinto che era uno specialista in questo genere di raggiri. Ma non era il caso di sporgere denuncia per cinquanta franchi, non le pare?... Alla sua salute!... L'altro giorno ha avuto la faccia tosta di tornare... Ecco tutto!».

«Che giorno?».

«Boh!... Alla fine della settimana...».

«Sì, sabato! É venuto addirittura due volte, se non sbaglio...».

«Lei è un asso, commissario! Due volte, è vero! La mattina ho rifiutato di riceverlo... Nel pomeriggio mi ha abbordato nel parco...».

«Voleva dei soldi?».

«Diamine! È strano ma non mi ricordo più per che cosa, però era sempre una storia di restaurazione monarchica... Forza! Finisca il bicchiere! Non vale la pena di lasciare il fondo della bottiglia! Dica un po'! Lei non crede piuttosto che si sia suicidato?

Probabilmente era ridotto molto male...».

«Hanno sparato da sette metri di distanza e la pistola non è stata ritrovata...».

«In tal caso... è chiaro che... Cosa ne pensa?... Magari un vagabondo che è passato di lì e che...».

«Mi sembra difficile! Il sentiero su cui danno le finestre della camera porta solo al parco...».

«A un'entrata ormai chiusa!» protestò il signor de Saint-Hilaire. «Sono anni che il cancello del sentiero delle ortiche non viene aperto e io non so neanche dov'è finita la chiave... Se facessi portare un'altra bottiglia?».

«No, grazie... Suppongo che lei non abbia sentito niente...».

«Sentito che cosa?».

«La detonazione, sabato sera».

«Assolutamente niente! Vado a letto presto... Ho saputo del delitto solo il giorno dopo, dal mio cameriere».

«E non le è venuto in mente di parlare alla polizia della visita di Clément?».

«A dire il vero...».

Per nascondere il turbamento, si sforzò di ridere.

«Mi sono detto che quel povero diavolo era stato già punito abbastanza! Quando si porta un nome come il mio, non fa molto piacere ritrovarlo sui giornali, se non nella cronaca mondana...».

Maigret aveva sempre la stessa vaga e spiacevole sensazione, persistente come un ritornello, che intorno alla morte di Émile Gallet tutto suonasse falso, tutto stridesse, dal morto stesso alla voce del figlio e al riso di Tiburce de Saint-Hilaire!

«Ha preso alloggio dal nostro ottimo Tardivon? Lo sa che faceva il cuoco in casa di grandi signori?... Si è fatto un bel gruzzolo da allora!... Proprio sicuro?... Non vuole un altro bicchiere?... Quell'idiota di giardiniere ha rotto l'innaffiatrice meccanica e quando lei è arrivato stavo cercando di ripararla... Bisogna fare di tutto in campagna... Se si ferma qualche giorno, commissario, venga ogni tanto, la sera, a chiacchierare con me... Con tutti quei turisti, la vita in albergo dev'essere impossibile...».

Al cancello prese una mano che non gli veniva tesa e la strinse con esagerata cordialità.

Mentre camminava lungo la Loira, Maigret annotò mentalmente due punti. In primo luogo, Tiburce de Saint-Hilaire, il quale non poteva ignorare l'annuncio del banditore, e quindi l'importanza attribuita dalla polizia a tutto ciò che poteva riferirsi a Clément nella giornata di sabato, aveva aspettato di essere interrogato, e in pratica aveva parlato soltanto quando si era reso conto che il suo interlocutore era già al corrente.

In secondo luogo, aveva mentito almeno una volta. Aveva infatti affermato che il sabato mattina si era rifiutato di ricevere il visitatore e che nel pomeriggio questi lo aveva «abbordato nel parco».

E invece era di mattina che i due uomini avevano passeggiato nel parco. E nel pomeriggio avevano avuto un incontro «nel salotto della villa».

«Quindi può darsi che anche il resto sia falso!» concluse il commissario.

Stava arrivando all'altezza del sentiero delle ortiche. Da un lato si innalzava il muro intonacato a calce che chiudeva il parco di Saint-Hilaire. Dall'altro si stagliava il corpo di un edificio a un piano, che faceva parte dell'Hôtel de la Loire.

Il sentiero era invaso dall'erba selvatica, dai rovi e dalle ortiche bianche, e vi impazzavano le vespe. In compenso era protetto dalla magnifica ombra delle querce.

A circa cento metri finiva davanti a un vecchio cancello di stile molto classico.

Maigret, incuriosito, arrivò fino a quel cancello che secondo il proprietario era chiuso da anni, e di cui si era persa la chiave. Dando un'occhiata alla serratura si accorse subito che sullo spesso strato di ruggine che la copriva c'erano delle scrostature recenti. Ma fece di meglio: con la lente individuò senza ombra d'errore i graffi lasciati da una chiave infilata con difficoltà.

«Da far fotografare domani!» annotò mentalmente.

A testa bassa tornò sui suoi passi, cercando di ricomporre la figura di Gallet: cercando, in un certo senso, di aggiornarla.

Invece di farsi più completo e più decifrabile, il personaggio stava diventando inafferrabile... La fisionomia dell'uomo con la finanziera troppo stretta si andava via via offuscando fino a non avere più niente di umano...

Alla foto, sola immagine tangibile e teoricamente completa che Maigret possedesse, si sostituivano altre immagini sfuggenti che rifiutavano di sovrapporsi, mentre avrebbero dovuto fornire il ritratto di un unico uomo.

Il commissario rivedeva, nel cortile della scuola, quella mezza faccia, il petto magro e villoso, mentre il dottore scalpitava di impazienza alle sue spalle. Ma subito dopo evocava il barchino blu costruito da Émile Gallet a Saint-Fargeau, gli attrezzi da pesca perfezionati, la signora Gallet, prima vestita di seta viola pallido, poi con la veletta a lutto, quintessenza della piccola borghese quieta e affettata.

... L'armadio a specchi, davanti al quale Gallet doveva infilarsi la finanziera... E tutte quelle lettere intestate alla ditta di cui non faceva più parte!... Le note spese accuratamente registrate diciotto anni dopo aver smesso di fare il rappresentante di commercio!...

... Quei bicchieri, quelle palette da dolce che si comprava lui stesso!

«A proposito! La valigetta con il campionario non è stata ritrovata!» pensò per inciso Maigret. «Doveva certo depositarla da qualche parte...».

Si era fermato senza accorgersene qualche metro prima della finestra attraverso la quale l'assassino aveva puntato l'arma contro la sua vittima. Ma neanche la guardava.

Si sentiva un po' agitato perché, a tratti, aveva l'impressione che sarebbe bastato un piccolo sforzo per riunire in una sola immagine tutti gli aspetti di Émile Gallet.

In quel momento rivide invece Henry, come l'aveva conosciuto, rigido e sdegnoso, con il vestito della prima comunione e quel suo viso asimmetrico.

Il caso che l'ispettore Grenier di Nevers definiva «un fastidioso caso di poco conto», e che Maigret aveva affrontato controvoglia, si dilatava a vista d'occhio man mano che il morto si trasformava fino a diventare funambolesco.

Dieci volte Maigret respinse con la mano una vespa che gli volteggiava intorno alla testa, ronzando come un aereo in miniatura.

«Diciotto anni!...» disse a mezza voce.

Diciotto anni di lettere false firmate Niel, di cartoline rispedite da Rouen, e contemporaneamente diciotto anni di vita banale, mediocre, senza lusso, senza emozioni, a Saint-Fargeau!

Il commissario conosceva la mentalità dei malfattori, criminali o imbroglioni.

Sapeva che è sempre sorretta da una qualche passione.

Ed era appunto ciò che cercava in quel viso con la barbetta, le palpebre livide, la bocca smisurata.

«Fabbricava attrezzi da pesca perfezionati e smontava vecchi orologi!».

A questo punto Maigret si stizziva.

«Uno non mente diciotto anni per questo! Non si riduce a fare una doppia vita, così difficile da organizzare!...».

E non era quella la cosa più sconcertante. Ci sono situazioni ambigue che si possono far durare qualche mese, magari qualche anno.

Ma diciotto anni! Gallet era invecchiato! La signora Gallet si era appesantita e il suo atteggiamento rigido e contegnoso si era accentuato! Henry era cresciuto... Aveva fatto la prima comunione, la maturità, era diventato maggiorenne... Si era stabilito a Parigi e alla fine si era fatto anche l'amante...

Ed Émile Gallet continuava a spedirsi lettere della ditta Niel, a preparare in anticipo cartoline indirizzate alla moglie, a copiare pazientemente falsi ordini di acquisto!

«Era a dieta...».

Maigret sentiva ancora la voce della signora Gallet. Ed era talmente preso dai suoi pensieri, che gli acceleravano il polso, da lasciar spegnere la pipa.

«Diciotto anni senza farsi beccare!».

Inverosimile! Il commissario, che era del mestiere, se ne rendeva conto meglio di chiunque altro. Senza quel delitto Gallet sarebbe morto tranquillamente nel suo letto, dopo aver riordinato tutte le carte. E il signor Niel sarebbe rimasto stupefatto nel ricevere una partecipazione!...

Era davvero pazzesco! E dal quadro che il commissario se ne faceva emanava un'angoscia indefinibile, come quella suscitata da certi fenomeni che contrastano col nostro senso della realtà.

Fu quindi un caso se alzando la testa il commissario vide una macchia più scura sul muro bianco del parco, proprio di fronte alla camera del delitto.

Nell'avvicinarsi si rese conto che era una fessura fra due pietre allargata di recente e graffiata dalla punta di una scarpa. Un po' più in alto c'era una traccia analoga, ma meno visibile.

Qualcuno si era arrampicato in quel punto, aggrappandosi a un ramo sovrastante...

Il commissario stava per ricostruire il movimento dello sconosciuto, quando si girò di scatto con la sensazione di una presenza insolita in fondo al sentiero, vicino alla Loira.

Ebbe appena il tempo di scorgere una figura femminile, alta, piuttosto robusta, capelli biondi, un profilo duro e regolare da statua greca.

La giovane donna si era mossa quando Maigret si era girato, il che sembrava dimostrare che prima lo stava osservando.

All'investigatore venne spontaneo di pensare a Éléonore Boursang. Fino a quel momento non aveva neppure tentato di immaginarsi l'amante di Henry Gallet. E

tuttavia, di colpo, fu praticamente certo che si trattasse di lei.

Affrettò il passo e arrivò sul lungofiume mentre la donna scompariva all'angolo della strada statale.

«Più tardi!» gridò all'albergatore che cercava di fermarlo al volo.

Mentre la fuggitiva non poteva vederlo, fece qualche passo correndo, in modo da ridurre la distanza che li separava. Non soltanto quella era proprio la figura che si addiceva al nome di Éléonore Boursang, ma corrispondeva perfettamente al tipo di donna che un uomo come Henry si poteva scegliere.

Maigret arrivò a sua volta all'incrocio e vide, contrariato, che era scomparsa. Frugò invano con lo sguardo nella penombra di un negozietto di alimentari e nella fucina lì accanto.

Poco male, comunque, dato che sapeva dove ritrovarla.