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Charlotte al Pélican
«Eccoti finalmente, signor Maigret!».
In piedi sulla porta del suo appartamento in boulevard Richard-Lenoir, il commissario non riuscì a trattenere il sorriso, e non perché sua moglie lo avesse chiamato «signor Maigret», cosa che faceva spesso quando era in vena di scherzare, ma perché la folata calda che lo aveva investito in pieno viso gli aveva ricordato...
Si trovava lontano da Saint-Cloud e apparteneva ad un ceto ben diverso da quello dei finti coniugi Donge... Eppure al suo rientro aveva trovato la signora Maigret con l’ago in mano, non in cucina ma in sala da pranzo, con i piedi sulla stufetta anziché dentro il forno, e avrebbe scommesso che anche a casa sua, da qualche parte, ci fossero i resti di una torta.
Sopra il tavolo rotondo pendeva un lampadario. Sulla tovaglia, una grossa zuppiera panciuta, una caraffa per il vino, una per l’acqua e due tovaglioli nel loro anello d’argento. L’odore che veniva dalla cucina era identico a quello dello stufato di Charlotte...
«Ti hanno cercato tre volte...».
«Dalla Ditta?».
Lui e i suoi collaboratori chiamavano così la Polizia giudiziaria.
Si tolse il cappotto con un sospiro di soddisfazione, scaldò un attimo le mani sopra la stufetta e si rammentò che poco prima Prosper Donge aveva fatto lo stesso gesto.
Infine alzò il ricevitore e compose un numero.
«È lei, commissario?» chiese la voce bonaria di Lucas all’altro capo del filo.
«Come va?... Niente di nuovo?... Io invece ho alcune cosette da dirle, sono rimasto qui apposta... Per cominciare, l’istitutrice...
«Quando è uscita dal Majestic, l’ha pedinata Janvier... E sa cosa pensa?... Secondo lui quella, dalle sue parti, non faceva l’istitutrice ma il gangster...
«Pronto?... Be’, le racconto in due parole quel che è successo... Poco dopo il vostro colloquio la ragazza ha lasciato l’albergo... Invece di prendere il taxi che le aveva chiamato il portiere, è saltata in un altro che girava in cerca di clienti. È un miracolo se Janvier non se l’è fatta scappare...
«Sui Grands Boulevards si è precipitata nel metrò... Poi è entrata in una casa ed è uscita dalla porta di servizio... Janvier è riuscito a starle dietro fino alla Gare de Lyon... Aveva paura che la ragazza salisse su un treno perché non aveva abbastanza soldi con sé...
«Dal binario 4 stava per partire il Roma-Express... Questione di una decina di minuti... Ellen Darroman ha passato in rassegna tutti i vagoni... Quando ormai stava per andarsene indispettita, è arrivato un uomo alto, elegantissimo, con una borsa da viaggio...».
«Oswald J. Clark...» suggerì Maigret che lo ascoltava guardando la moglie senza vederla. «Voleva avvertirlo, è chiaro...».
«Dal modo di salutarsi, secondo Janvier, parevano due buoni amici più che un’impiegata e il suo datore di lavoro... Ha mai visto Clark?... È un pezzo d’uomo, asciutto, ma ben piantato, con una faccia sana e aperta da giocatore di baseball...
Hanno cominciato a camminare avanti e indietro lungo il binario discutendo fra loro, come se Clark fosse tentato di partire lo stesso... Quando il treno si è messo in moto, lui non doveva essere ancora del tutto convinto, perché ha avuto uno scatto quasi volesse saltare sul predellino...
«Alla fine sono usciti dalla stazione ed hanno chiamato un taxi. Pochi minuti dopo erano già all’ambasciata americana in avenue Gabriel...
«Poi sono andati in avenue Friedland, da un procuratore legale americano, un solicitor, come dicono loro...
«Il solicitor ha telefonato al giudice istruttore. Poco meno di un’ora dopo sono arrivati tutti e tre al Palazzo di Giustizia e sono stati introdotti immediatamente nell’ufficio del giudice...
«Non so cosa sia successo là dentro, ma il giudice la prega di richiamarlo al più presto... Pare che sia della massima urgenza...
«Per chiudere con il rapporto di Janvier... I tre, lasciato il Palazzo di Giustizia, si sono recati all’Istituto di Medicina legale per riconoscere ufficialmente il corpo... Poi sono tornati al Majestic: Clark ha preso due whisky al bar assieme al solicitor, mentre la ragazza è salita in camera...
«È tutto, capo... Sembra che il giudice abbia una gran fretta di parlarle... Che ore sono?... Fino alle otto lo trova a casa: Turbigo 25-62... Dopo è a cena da amici, mi ha dato il numero... Aspetti... Galvani 47-53...
«Ha ancora bisogno di me, capo?... Buonasera... Stanotte resta di guardia Torrence...».
«Posso servire la minestra?» chiese la signora Maigret con un sospiro, scrollando il vestito per far cadere i fili.
«Preparami prima lo smoking...».
Poiché erano le otto passate, Maigret chiamò Galvani 47-53. Era il numero di un giovane sostituto procuratore. Quando una cameriera rispose, il commissario udì un rumore di forchette ed un vociare allegro.
«Le chiamo il signor giudice... Chi devo dire?... Il commissario Négret?...».
Attraverso la porta aperta della camera da letto vedeva la signora Maigret che tirava fuori lo smoking dall’armadio a specchi.
«È lei commissario?... Uhm... Ehm... Volevo sapere... Lei non parla inglese, vero?... Pronto! È in linea?... Come pensavo... Ecco... Uhm... Certo che riguarda questo caso... Insomma, sarebbe meglio che lei non si occupasse... Voglio dire non si occupasse direttamente... del signor Clark e del suo personale...».
Sulle labbra di Maigret affiorò un vago sorriso.
«Il signor Clark è venuto da me oggi pomeriggio assieme all’istitutrice... È un personaggio piuttosto importante, ha conoscenze in alto loco... Prima del suo arrivo avevo ricevuto una telefonata dall’ambasciata americana che mi dava ottime referenze su di lui... Lei mi ha già capito... Vista la situazione, bisogna andarci con i piedi di piombo...
«Il signor Clark era accompagnato dal suo solicitor e ha voluto che registrassi la sua deposizione...
«Pronto! È ancora in linea, commissario?...».
«Ma certo, signor giudice! La sto ascoltando...».
Un rumore di forchette in sottofondo. La conversazione si era interrotta. Gli invitati del sostituto procuratore stavano di certo seguendo con attenzione il monologo del giudice.
«Le spiego in due parole... In ogni caso domani mattina il cancelliere le trasmetterà il testo della dichiarazione... Il signor Clark doveva effettivamente recarsi a Roma e poi in altre capitali per affari... Da qualche tempo era fidanzato con Miss Ellen Darroman...».
«Scusi, signor giudice, ha detto “fidanzato”? Credevo che il signor Clark fosse sposato...».
«Sì, sì, certo!... Comunque era in procinto di divorziare... Anche se la moglie non ne sapeva nulla... Quindi possiamo dire che era fidanzato... Ha colto l’occasione del viaggio a Roma...».
«Per passare prima una notte a Parigi in compagnia di Miss Darroman...».
«Proprio così. Ma questo suo tono ironico, commissario, mi sembra del tutto fuori luogo. Clark mi ha fatto un’ottima impressione. Gli americani hanno una mentalità diversa e il divorzio dalle loro parti... Insomma, mi ha raccontato spontaneamente come aveva trascorso la notte... Ad ogni buon conto, dato che lei non c’era, ho chiesto all’ispettore Ducuing di effettuare una verifica, ma sono convinto che Clark non abbia mentito... Vista la situazione, non è certo il caso di...».
Il che significava in realtà:
«Siamo di fronte a un pezzo grosso, protetto dall’ambasciata degli Stati Uniti.
Quindi è meglio che lei ne resti fuori, perché potrebbe mancare di tatto e commettere qualche indelicatezza. Lei interroghi il personale dei sotterranei, i camerieri e chi altri le pare. Ma di Clark mi occupo io personalmente!».
«D’accordo, signor giudice! I miei rispetti, signor giudice...».
E girandosi verso sua moglie:
«Adesso puoi servire, signora Maigret!».
Mancava poco a mezzanotte. L’immenso corridoio della Polizia giudiziaria era deserto, male illuminato e invaso da una sorta di nebbia polverosa. Le scarpe di vernice, che Maigret non metteva quasi mai, scricchiolavano come quelle di un bambino alla prima comunione.
Arrivato in ufficio, per prima cosa attizzò il fuoco nella stufa e si scaldò le mani, poi, con la pipa fra i denti, entrò nella stanza degli ispettori.
Vi trovò Ducuing intento a raccontare a Torrence una storia che pareva divertente, visto l’umore allegro dei due uomini.
«Allora, vecchio mio?».
Maigret sedette su un angolo del tavolo di legno tutto macchiato di inchiostro e scosse per terra la cenere della pipa. Là dentro poteva mettersi in libertà, spingere il cappello sulla nuca. I due ispettori si erano fatti portare della birra dalla Brasserie Dauphine e il commissario notò con piacere che non si erano dimenticati di lui.
«Lo sa, capo, che è un tipo ben strano questo Clark? Sono andato al bar del Majestic giusto per dargli un’occhiata e ficcarmi in testa i suoi connotati... A vederlo così, ha l’aria dell’uomo d’affari, e di quelli duri anche... Be’, adesso che so come ha passato la notte scorsa, le assicuro che è un vero bamboccio...».
Torrence non poteva fare a meno di sbirciare lo sparato del commissario, d’un bianco impeccabile, impreziosito da due perle. Non capitava spesso di vederlo così elegante.
«Stia a sentire... Prima lui e la ragazza hanno cenato in un ristorantino da dodici franchi di rue Lepic... Si immagina la scena?... Il padrone li ha notati, non gli ordinano champagne tutti i giorni... Poi hanno chiesto dove potevano trovare una giostra, di quelle coi cavalli... Si spiegavano malissimo... Alla fine li hanno mandati al luna park, alla Foire du Trone...
«Lì sono riuscito a rimettermi sulle loro tracce... Non ho idea se siano saliti sui cavalli, ma non mi stupirebbe. Sono andati anche al tirassegno, lo so perché Clark ci ha lasciato più di cento franchi, una somma sbalorditiva per la proprietaria...
«Ha presente il genere?... Mano nella mano, tra la folla, come due ragazzini innamorati... Ma si tenga forte... Perché il bello deve ancora venire...
«Conosce il baraccone di Eugène-braccio-d’acciaio?... Alla fine dell’esibizione Eugène ha sfidato la folla... Adesso c’è con lui una specie di colosso che fa il catch...
Be’, il nostro Clark ha raccolto la sfida... È andato a spogliarsi dietro un pezzo di tela lercia e giù a menare di brutto il colosso... L’istitutrice, ci scommetterei, era in prima fila ad applaudirlo... Pare che la gente urlasse:
«“Dai, yankee!... Spaccagli il muso!...”.
«Dopodichè i nostri due piccioncini si sono fermati a ballare al Moulin de la Galette... Verso le tre erano alla Coupole che mangiavano salsicce ai ferri, e poi, m’immagino, via da bravi a nanna...
«All’Hôtel Aiglon non c’è portiere, ma di notte resta un guardiano che dorme in un bugigattolo e da lì apre senza star troppo a controllare chi entra... Ricorda di avere sentito parlare in inglese verso le quattro del mattino... Sostiene che dopo non è uscito nessuno...
«Fine della storia! Cosa ne dice, una serata un po’ strana per due clienti del Majestic, no?».
Maigret non si pronunciò, guardò l’orologio da polso che portava solo nelle grandi occasioni - regalo per i vent’anni di matrimonio - e lasciò il tavolo su cui si era seduto.
«Buonanotte, ragazzi...».
Era già sulla porta quando si ricordò della birra e tornò indietro a vuotare il bicchiere. Prima di trovare un taxi dovette farsi due o trecento metri a piedi.
«Rue Fontaine...».
Era l’una di notte e Montmartre era più animata che mai. Sulla porta del Pélican il commissario fu accolto da un nero e costretto a lasciare al guardaroba cappello e cappotto. Entrò nella sala, dove volavano stelle filanti e palline di cotone colorate, con il passo tentennante di chi non si sente troppo a suo agio.
«Un tavolo vicino alla pista?... Da questa parte!... È solo?...».
Il maître non lo aveva riconosciuto e Maigret fu tentato di mormorargli un
«imbecille!».
Il barman invece l’aveva individuato da lontano e stava già bisbigliando qualcosa all’orecchio di due entraîneuses appoggiate al bancone di mogano.
Maigret si mise a sedere come un cliente qualunque e, non potendo ordinare birra, prese un’acquavite allungata con l’acqua. Non erano passati neanche dieci minuti che il padrone, prontamente avvertito, gli si piazzò davanti.
«Niente guai, spero, commissario... Lei sa che qui da me è sempre tutto in regola e...».
Cercava nella sala chi avesse provocato quella visita inaspettata della polizia.
«No» fece Maigret. «Avevo voglia di distrarmi...».
Tirò fuori di tasca la pipa, ma, a uno sguardo del padrone, ve la ripose con un sospiro.
«Se ha bisogno di qualche informazione...» mormorò l’altro strizzandogli l’occhio.
«Anche se conosco bene il personale... Credo che al momento non ci sia nessuno che possa interessarle... Quanto ai clienti... Il solito tran tran... Stranieri, gente che viene da fuori... Guardi là in fondo... Quel signore assieme a Léa, per esempio, è un deputato...».
Maigret si alzò e si diresse col suo passo pesante verso la scala che portava ai bagni. Era un locale del seminterrato molto luminoso, con le pareti rivestite di piastrelle azzurrognole. Un paio di cabine telefoniche in mogano verniciato. Specchi.
Aggeggi vari disposti su un lungo tavolo: pettini, spazzole, un astuccio per la manicure, ciprie di ogni sfumatura, rossetti...
«Ogni volta che balli con lui è sempre la stessa storia! Passami un paio di calze, Charlotte...».
Una giovane donna in abito da sera si era seduta su una sedia e si era già tolta una calza. Se ne stava là, con le gonne rialzate, a contemplarsi il piede nudo mentre Charlotte frugava in un cassetto.
«Sempre un 44 velato?».
«Sì, sì!... Da’ qua!... Certo che quando uno non sa ballare dovrebbe almeno...».
Notò Maigret nello specchio e continuò a infilarsi le calze nuove lanciandogli di tanto in tanto un’occhiata. Charlotte si girò e vide a sua volta il commissario, al quale non sfuggì il suo improvviso pallore.
«Ah! È lei...».
Ebbe un riso forzato. Era una donna ben diversa da quella che teneva i piedi dentro il forno e si rimpinzava di dolci nella piccola casa di Saint-Cloud.
I capelli biondi erano pettinati con tale cura da sembrare scolpiti. La pelle era di un rosa confetto. Le forme morbide erano messe in risalto da un vestito di seta nera semplicissimo, sopra il quale sfoggiava un grembiulino tutto pizzi come ormai non ne portano che le servette delle commedie.
«Te le pagherò assieme al resto, Charlotte...».
«Sì, sì...».
La ragazza capì che il visitatore aspettava solo che lei se ne andasse. Così, infilate le scarpe, si affrettò a salire le scale.
Allora Charlotte, che fingeva di riordinare gli oggetti per la toilette, si decise a chiedergli:
«Che cosa vuole da me?».
Maigret non rispose. Si era accomodato sulla sedia che si era appena liberata, e visto che si trovava nel seminterrato ne approfittava per caricarsi con gesti lenti e meticolosi la pipa.
«Se pensa che io sappia qualcosa, si sbaglia...».
Non è strano che siano proprio le donne di temperamento placido a tradire di più le emozioni? Charlotte avrebbe voluto rimanere calma, ma non poteva impedire al suo viso di chiazzarsi di rosso né alle sue mani di afferrare gli oggetti così maldestramente che un lucidaunghie finì per cadere a terra.
«Guardi che prima, a casa, da come mi guardava ho capito benissimo a che stava pensando».
«Ovviamente lei non ha mai conosciuto una ballerina o un’entraîneuse di nome Mimi, vero?».
«Mai!».
«Eppure lei ha lavorato a Cannes per parecchio tempo come entraîneuse, e proprio quando questa Mimi...».
«Di locali ce ne sono tanti a Cannes, e poi mica si può conoscere tutti...».
«Lei era alla Belle Étoile o sbaglio?».
«E allora?».
«Niente... Sono soltanto venuto a fare due chiacchiere con lei...».
Rimasero zitti per cinque minuti buoni, perché era sceso un cliente che si era lavato le mani, pettinato e poi aveva chiesto uno straccio per lucidarsi le scarpe di vernice.
Quando finalmente se ne andò lasciando una moneta nel piattino, il commissario riprese:
«Prosper Donge è un uomo che mi piace... Scommetto che non ce n’è uno migliore di lui...».
«E sì che lo conosce appena!...» s’infervorò Charlotte.
«Ha avuto un’infanzia difficile ed immagino che abbia sempre dovuto lottare per...».
«Pensi che non ha neanche la quinta elementare e che tutto quello che sa l’ha imparato da solo... Se andasse a cercare nella sua caffetteria, troverebbe libri che gente come noi non legge di certo... Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter studiare...
Il suo sogno sarebbe stato...».
Si interruppe bruscamente e cercò di darsi un contegno.
«È suonato il telefono?».
«Ma no...».
«Che cosa stavo dicendo?».
«Che il suo sogno sarebbe stato...».
«Bah! Non è un segreto... Gli sarebbe piaciuto avere un figlio, aiutarlo a diventare qualcuno... Poveretto, con me è capitato male... Da quando mi hanno operata, non posso più averne...».
«Conosce Jean Ramuel?».
«No! So che fa il contabile, che è malato e basta. Prosper mi parla poco del Majestic... Non è come me che gli racconto tutto quello che succede qui...».
Adesso che l’aveva rassicurata, Maigret cercò di fare un altro passo avanti.
«Vede, la cosa che mi ha colpito è che... Non dovrei dirglielo... C’è il segreto istruttorio... Ma sono sicuro che resterà fra noi... Pensi che la pistola che abbiamo trovato nella borsa di Mrs Clark era stata comprata il giorno prima da un armaiolo di faubourg Saint-Honoré... Che ne dice, non lo trova strano?... Una donna ricca, sposata, una madre di famiglia, che arriva da New York, alloggia in un Hôtel di lusso degli Champs-Élysées e all’improvviso sente il bisogno di comprarsi una pistola...
Badi bene, non una di quelle graziose, da signora, no, un’arma seria...».
Evitava di guardarla: si fissava la punta lucida delle scarpe, quasi stupito della propria eleganza.
«Se poi si tiene conto che qualche ora dopo quella stessa donna è scesa nei sotterranei dell’albergo passando per la scaletta di servizio... Come non pensare che avesse un appuntamento?... E come non concludere che l’arma fosse stata acquistata proprio in vista di quell’appuntamento?... Supponga ora che questa donna divenuta così rispettabile abbia avuto un passato burrascoso e che qualche vecchia conoscenza abbia cercato di ricattarla... Non sa se Ramuel sia stato per un certo tempo sulla Costa Azzurra?... E uno che chiamano Zebio e che fa il ballerino di professione?...».
«Non lo conosco».
Non aveva bisogno di guardarla per sapere che era vicina alle lacrime.
«Ce n’è un altro che avrebbe potuto ucciderla, il portiere di notte... È sceso nel sotterraneo verso le sei del mattino... Prosper Donge ha sentito i suoi passi sulla scala di servizio... Senza contare poi i camerieri dei piani... Un vero peccato che lei non abbia conosciuto Mimi a Cannes... Avrebbe potuto dirmi chi frequentava allora...
Pazienza!... Mi sarei risparmiato volentieri un viaggio a Cannes... Il colmo sarebbe andare fin là e non trovare nessuno che si ricordi di lei...».
Si alzò, vuotò la pipa e frugò nelle tasche come per cercare qualche spicciolo da mettere nel piattino.
«Non ci pensi nemmeno!» protestò Charlotte.
«Buonanotte... Chissà a che ora parte il primo treno...».
Arrivato in sala, pagò subito la consumazione e si precipitò nel caffè di fronte, un bar tabacchi frequentato dal personale di tutti i locali notturni del quartiere.
«Il telefono, per favore...».
Chiamò la centrale telefonica.
«Parla la Polizia giudiziaria. Fra un po’ dal Pélican dovrebbero chiedervi un numero di Cannes. Non passate la comunicazione troppo in fretta... Aspettate il mio arrivo...».
Il tempo di saltare in un taxi, e poi di corsa alla centrale. Mostrò il distintivo al caposervizio di turno.
«Dove mi metto per l’ascolto?... Hanno già chiesto Cannes?».
«Un attimo fa... Ho cercato a cosa corrispondeva il numero... È la Brasserie des Artistes, che resta aperta tutta la notte... Passo la comunicazione, adesso?».
Maigret si mise la cuffia e aspettò. Alcune impiegate, anche loro con le cuffie, lo guardavano incuriosite.
«Le passo il 18-43 di Cannes, signorina...».
«Grazie... Pronto! La Brasserie des Artistes?... Con chi parlo?... Sei tu, Jean?...
Sono Charlotte... Io, sì!... Charlotte della Belle Étoile... Aspetta... Chiudo la porta...
Mi sembra che ci sia qualcuno...».
Maigret la sentì parlare, forse con un cliente. Poi ci fu il rumore di una porta che veniva chiusa.
«Ascolta, Jean... È una cosa importante... Ti scriverò per spiegarti tutto... Anzi no!
È troppo rischioso... Verrò a trovarti più avanti, quando la faccenda sarà risolta... È
ancora da te Gigi?... Cosa?... Sempre la stessa... Devi assolutamente dirle che se le fanno delle domande su Mimi... Te la ricordi?... No, già, tu non eri ancora arrivato...
Insomma, qualsiasi cosa le chiedano su Mimi... Bravo! Lei non sa niente!... E non una parola su Prosper, mi raccomando...».
«Quale Prosper?» domandò Jean dall’altro capo del telefono.
«Lascia stare che è meglio... Lei non conosce nessun Prosper, chiaro?... E nessuna Mimi... Pronto! Non interrompete... Chi è in linea?...».
Maigret capì che si era messa in allarme: doveva esserle balenata l’idea che qualcuno li stesse ascoltando.
«Hai capito, Jean?... Posso contare su di te?... Adesso attacco perché c’è un cliente...».
Maigret tolse anche lui la cuffia e riaccese la pipa.
«È riuscito a sapere quello che voleva?» chiese il caposervizio.
«Altro che!... Mi passi la Gare de Lyon... Devo sentire a che ora c’è un treno per Cannes... Spero solo...».
Si guardò lo smoking, seccato. Sperava solo di avere il tempo di...
«Pronto!... Sì?... Alle quattro e diciassette?... Con arrivo alle due del pomeriggio?...
Grazie...».
Giusto il tempo di fare un salto in boulevard Richard-Lenoir e di sorridere del malumore della signora Maigret.
«Il mio completo, sbrigati... Una camicia... I calzini...».
Alle quattro e diciassette era sul treno diretto verso la Costa Azzurra, seduto di fronte a una signora che teneva sulle ginocchia un orrendo pechinese e che, forse sospettando in lui uno scarso amore per i cani, lo guardava di traverso.
Più o meno alla stessa ora Charlotte saliva in taxi. Era un taxi che lavorava soprattutto con la clientela del Pélican e che ogni notte la riportava a casa gratis.
Alle cinque Prosper sentì sbattere una portiera, poi un motore che si avviava, dei passi e la chiave che girava nella serratura.
Ma non sentì il solito sibilo del gas in cucina. Senza fermarsi al pianterreno, Charlotte si precipitò su per le scale e spalancò la porta gridando:
«Prosper!... Ascoltami! Non fare finta di dormire... Il commissario...».
Prima di continuare il discorso sganciò il reggiseno e allentò la giarrettiera: le calze le si afflosciarono attorno alle gambe.
«Dobbiamo parlare seriamente! Dài, tirati su!... Cosa credi, che sia facile farlo con uno che se ne sta sdraiato a letto?...».