«Non lo so. Tutt'a un tratto ho sentito di non averne bisogno. Ero felice», rispose Rhun richiudendo gli occhi per studiare meglio le proprie azioni e i motivi che lo avevano spinto. «Ho pregato. Non che io dubiti dei poteri della santa, ma all'improvviso mi è sembrato di non dover neppure desiderare la guarigione... di dover offrire il mio male spontaneamente, non come prezzo di un favore. Tutti portano offerte ai santi e io non ho altro da offrire. Pensate che possa essere accettato? Lo faccio con profonda umiltà.»
Quanti, fra i devoti della santa, avrebbero potuto fare un'offerta più costosa? si domandò Cadfael. Quel figliolo aveva percorso una strada lunga e difficile che lo aveva portato a comprendere che privazione, dolore e invalidità non contano niente di fronte all'intima convinzione della grazia, alla segreta pace dell'anima. Una conclusione che può essere accettata soltanto per se stessi, mai per qualcun altro. Il dolore degli altri non dev'essere tollerato, se si può fare qualcosa per alleviarlo.
«E hai dormito bene?»
«No. Ma non mi importava. Sono rimasto tranquillo per tutta la notte, cercando di sopportare il dolore con gioia. Non ero sveglio soltanto io.» Certo, dovevano esservi molti altri, là nel dormitorio degli uomini, che soffrivano quanto lui, oltre ai malati più gravi e ai possibili contagiosi che fratello Edmund aveva isolato nell'infermeria.
«Anche Ciaran era irrequieto», riprese Rhun. «Quando è stato tutto tranquillo, dopo le laudi, si è alzato senza fare rumore, cercando di non disturbare, e si è avviato verso la porta. Ma mi è sembrato strano che portasse con sé la sua cintura e la bisaccia...»
Cadfael ascoltava con maggiore attenzione, ora. Difatti, quale poteva essere il motivo per cui un uomo, al quale abbisognava soltanto un po' di riposo, decideva di caricarsi sulle spalle tutto ciò che possedeva e di portarselo via? Era però vero che l'abituale paura dei ladri, in una promiscuità come quella, poteva perdurare anche in un uomo mezzo addormentato e per di più in un convento.
«Davvero? E poi che cos'è accaduto?»
«Il pagliericcio di Matthew è proprio vicino al suo e anche la notte lui sta con una mano tesa a toccare Ciaran. Inoltre sembra che capisca per istinto che cosa lo tormenta. Così si è alzato immediatamente anche lui e lo ha afferrato per un braccio. E Ciaran ha fatto un salto, trattenendo il respiro, si è guardato in giro sbattendo le palpebre, come se fosse stato svegliato bruscamente, e ha sussurrato che stava sognando e nel sogno gli era sembrato che fosse l'ora di rimettersi in cammino. Allora Matthew gli ha preso la bisaccia e l'ha rimessa al suo posto, poi entrambi si sono coricati di nuovo e tutto è tornato tranquillo. Ma non credo che Ciaran abbia dormito molto, dopo: quel sogno lo aveva turbato troppo. L'ho udito girarsi e rigirarsi a lungo.»
«Si erano accorti che eri sveglio anche tu e che avevi udito tutto?»
«Non lo so. Non ho fatto finta di dormire, avevo tanto male, non potevo fare a meno di rigirarmi e mi avranno udito di certo, penso. Ma naturalmente non ho lasciato capire che li avevo uditi, sarebbe stato scortese.»
Così dunque quella fuga era stata mascherata da sogno, forse a beneficio di Rhun o di chiunque altro potesse essere sveglio come lui. Certo, era possibile che un malato irrequieto sentisse il bisogno di alzarsi di notte e lo facesse furtivamente per non disturbare il compagno. Ma poi, se quel compagno si fosse comunque svegliato e avesse cercato di trattenerlo, lui non avrebbe dovuto fare altro che spiegare perché si era alzato e andarsene. Invece no, quello aveva tirato in ballo un sogno ingannevole e si era coricato di nuovo. Tuttavia, chi si alza mentre sta sognando si muove pure senza fare rumore, quasi di soppiatto. Poteva essere, doveva essere semplicemente ciò che sembrava.
«Hai percorso alcune miglia con quei due, Rhun. Come vi siete trovati, camminando così tutti insieme? Dovresti essere arrivato a conoscerli abbastanza bene.»
«Siamo rimasti insieme dopo che mia sorella era stata sul punto di venire travolta da un cavallo: Matthew allora era corso a prenderla fra le braccia e aveva saltato il fosso con lei, perché loro camminavano lentamente come noi. Ci stavano quasi raggiungendo, in quel momento, e in seguito abbiamo proseguito tutti assieme per farci compagnia. Ma non direi che siamo arrivati a conoscerli... Quei due hanno occhi soltanto l'uno per l'altro. Inoltre Ciaran soffriva molto e non parlava quasi mai. Però ci ha detto dove stava andando e perché. Melangell e Matthew, poi, erano sempre dietro, per ultimi, e lui portava le nostre poche cose, invece di lasciarlo fare a lei, dato che aveva ben poco di suo da portare. Ma non mi sono mai stupito che Ciaran fosse tanto taciturno, considerato ciò che doveva sopportare. E del resto zia Alice sa parlare per due», concluse innocentemente Rhun.
Senza dubbio, e di sicuro lo aveva fatto, per tutto il resto del tragitto, fino a Shrewsbury.
«Ma quei due, Ciaran e Matthew», riprese Cadfael proseguendo nel suo cauto sondaggio, «non vi hanno detto come mai fossero insieme? Se erano parenti, o amici, o se si erano semplicemente incontrati e avevano deciso di farsi compagnia? Hanno all'incirca la stessa età, sembrano più o meno dello stesso ceto, due giovani abbastanza istruiti, preparati per un posto di segretario o di scudiero, direi, eppure in un certo modo tanto diversi. Viene da chiedersi come mai si siano imbarcati insieme in questo viaggio. Vi siete incontrati a sud di Warwick, vero? Chissà se venivano da qualche posto ancora più a sud!»
«Non ne hanno mai parlato», disse Rhun, pensandoci lui stesso per la prima volta. «Ma è stato un conforto avere la compagnia di un uomo giovane e robusto, almeno uno. Le strade possono essere pericolose per due donne accompagnate soltanto da uno storpio come me. Ma, ora che ne avete parlato... No, non abbiamo mai saputo da dove venissero né che cosa li unisse. A meno che non ne abbia parlato Matthew con mia sorella.» Rhun si accomodò in maniera da aiutare fratello Cadfael nelle sue manipolazioni. «A volte loro due chiacchieravano molto, come vecchi amici, dietro a noi.»
Cadfael dubitava molto che l'argomento delle loro conversazioni, mentre camminavano a fianco a fianco lungo le strade assolate, avesse riguardato altro che loro stessi; lei con il costante ricordo del momento in cui era stata afferrata e portata oltre il fosso stretta contro il cuore di Matthew, lui in costante contemplazione della deliziosa creatura che danzava al suo fianco e col ricordo del suo peso lieve, caldo e impaurito contro il proprio petto.
«Ma adesso la guarda appena», continuò Rhun con rammarico. «È troppo legato a Ciaran e Melangell sarebbe un'intrusa. Ma gli costa comunque fatica stare lontano da lei.»
Cadfael massaggiò un'ultima volta la gamba deformata e si raddrizzò per pulirsi le mani. «Ecco, basta così per oggi. Ma resta lì tranquillo a riposare un poco prima di andartene. La prenderai la medicina, stasera? Tienitela almeno vicino e fa' come ti sembra meglio e giusto. Tuttavia ricorda che a volte è una cortesia accettare un aiuto, una cortesia verso chi te lo offre. Vuoi infliggerti volontariamente un tormento, come Ciaran? No, non tu. Sei troppo modesto per atteggiarti a eroe, il più bravo di tutti e il più degno di ammirazione! Ma non pensare di fare qualcosa di male risparmiandoti qualche sofferenza. Comunque, tocca a te scegliere: fa' quello che ti sembra più opportuno.»
Quando Rhun, reggendosi alle sue grucce, s'incamminò lungo il sentiero che portava alla corte principale, Cadfael rimase a guardarlo da lontano per osservare i suoi progressi senza metterlo in imbarazzo, ma non notò alcun cambiamento. Il pollice distorto osava appena sfiorare il terreno ed era sempre rivolto verso l'interno. Eppure i nervi, pur così annodati, conservavano una certa forza, invece di essere rinsecchiti e atrofizzati come lui si sarebbe aspettato. Se potessi averlo con me abbastanza a lungo, rifletté, potrei restituire un po' di funzionalità a quella gamba. Ma purtroppo dovrà andarsene così com'è venuto. Fra tre giorni sarà tutto finito, ormai, la festa sarà conclusa e la foresteria si starà svuotando. Ciaran e il suo guardiano se ne andranno nel Galles e Alice Weaver si riporterà a Campden i suoi pulcini. E quei due, che avrebbero potuto formare una coppia felice se la situazione fosse stata diversa, se ne andranno ognuno per la propria strada e non si rivedranno mai più. È nella natura delle cose che coloro che si radunano in gran numero per le feste della Chiesa abbiano poi a disperdersi di nuovo, tornando alle proprie occupazioni. Ma non è detto che tutti se ne vadano via immutati.
CAPITOLO V
Fratello Adam di Reading, ospitato nel dormitorio con i monaci dell'abbazia, aveva avuto la possibilità di osservare gli altri pellegrini della foresteria soltanto alle funzioni religiose e nei loro occasionali andirivieni dentro le mura. Tuttavia un giorno, a metà pomeriggio, gli accadde di tornare dal giardino insieme con Cadfael proprio mentre Matthew e Ciaran stavano attraversando la corte diretti verso il recinto del chiostro per sedersi là al sole per un paio d'ore prima del vespro. C'era molta gente, in giro, monaci, servitori laici e ospiti, variamente occupati, eppure la figura di Ciaran e il suo passo lento e guardingo attirarono subito la sua attenzione.
«Quei due li ho già visti», osservò fermandosi. «Ad Abingdon, dove ho trascorso la prima notte dopo la partenza da Reading. Hanno dormito là anche loro.»
«Ad Abingdon!» esclamò Cadfael soprappensiero. «Sicché sono venuti dall'estremo sud. Li avete mai rivisti in seguito?»
«Non era molto probabile che li rivedessi. Io ero a cavallo e avevo quell'incarico del mio abate per Leominster, che mi ha portato fuori strada. No, li rivedo soltanto ora. Ma, visti una volta, non si può più dimenticarli.»
«Che cosa ci facevano ad Abingdon?» domandò Cadfael seguendo con lo sguardo le due figure inseparabili finché non furono scomparse nel chiostro. «Direste che fossero in cammino da lungo tempo, prima della sosta di quella notte? Uno ha fatto voto di arrivare scalzo fino ad Aberdaron e non ci saranno volute molte miglia per rovinargli i piedi.»
«Zoppicava già, allora. Ed entrambi erano già abbastanza impolverati. Sarebbe anche potuto essere il loro primo giorno di viaggio, ma ne dubito.»
«Ieri è venuto da me a farsi curare i piedi e debbo vederlo di nuovo oggi, prima di sera. Due o tre giorni di riposo lo rimetteranno in sesto per la prossima tappa del viaggio.» Da una giornata o più di cammino a sud di Abingdon fino all'estrema punta del Galles... Una bella passeggiata davvero! «Un atto di devozione abbastanza strano, persino sbagliato, direi, addossarsi ostentatamente tali patimenti quando c'è al mondo tanta povera gente afflitta da sofferenze non volute e sopportate con santa umiltà!» esclamò Cadfael.
«Le anime semplici credono che la sofferenza procuri qualche merito», osservò in tono tollerante fratello Adam. «E forse, in mancanza di altre virtù particolari, lui si aggrappa a questa convinzione.»
«Oh, ma quell'uomo non è un'anima semplice, credetemi!» ribatté con fermezza Cadfael. «Mi ha detto di essere affetto da una malattia mortale e di voler finire i suoi giorni nella pace benedetta di Aberdaron ed essere poi sepolto nell'isola di Ynys Enlli. Una nobile ambizione per un uomo di sangue gallese. La sua deliberata ostentazione del dolore potrebbe persino essere una sfida, una sorta di sberleffo alla morte. E potrei capirlo, ma non approvarlo.»
«È più che naturale da parte vostra», convenne Adam con sorridente indulgenza. «Voi siete addestrato ad alleviarle, le sofferenze, le sentite come un nemico sacrilego. Per la stessa virtù di queste piante che abbiamo imparato a usare.» Batté una mano sulla piccola bisaccia di pelle che portava alla cintola e gli rispose il mormorio sommesso dei semi che essa conteneva. Cadfael gli aveva mostrato la propria raccolta e lui se n'era fatte dare due o tre specie che non aveva nel proprio erbario. «È un drago da combattere non meno degli altri di questo mondo, il dolore.»
Si stavano avvicinando alla gradinata in pietra che portava all'ingresso principale della foresteria, senza fretta, godendosi l'inconsueta animazione della corte, quando fratello Adam si fermò di colpo, spalancando gli occhi.
«Guarda guarda, credo che forse vi siete acquistato qualcuno dei nostri peccatori meridionali, oltre ai nostri santi in erba!»
Cadfael, sorpreso, seguì la direzione del suo sguardo aspettandosi che fratello Adam aggiungesse qualcos'altro perché l'individuo in questione sembrava, a prima vista, non avere assolutamente niente di eccezionale. Se ne stava fermo accanto alla portineria, uno dei tanti che sostavano abitualmente in quel punto per assistere ai nuovi arrivi e curiosare intorno. Un uomo grande e grosso, eppure così ben proporzionato che le sue misure non apparivano fuori del comune, con i pollici infilati nella cintura della veste semplice e ampia, di buon taglio e di una foggia non da gentiluomo ma nemmeno da popolano, la veste di un uomo solido e rispettabile, di ceto medio e ben provvisto di denaro, probabilmente un mercante. Uno di quelli che costituivano la spina dorsale di molte città inglesi e potevano permettersi un pellegrinaggio come una forma di vacanza ben meritata. Si guardava in giro con un'espressione benevola sul viso grassoccio, scaltro e ben rasato e un largo sorriso soddisfatto che sembrava di generosa approvazione per tutto il creato.
«Quello», spiegò Cadfael, «è, o così almeno mi hanno detto, un certo Simeon Poer, un mercante di Guildford venuto in pellegrinaggio per la salute della sua anima e perché la stagione promette di essere bella e invitante. E perché non avrebbe dovuto? Sapreste dirmene qualche motivo?»
«Può anche farsi chiamare Simeon Poer o in dieci modi diversi in caso di necessità», ribatté fratello Adam. «Non ho mai saputo come si chiamasse veramente, ma la sua faccia e la sua figura le conosco fin troppo bene. Il padre abate affida a me gran parte dei suoi affari fuori del chiostro, perciò ho l'occasione di visitare numerosi mercati e fiere nella nostra contea e dintorni. E quel tipo l'ho visto in una quantità di posti, non vestito come un borgomastro com'è adesso, ma pur sempre con l'aria di cavarsela benissimo. In giro per le fiere, a coltivare la compagnia dei tanti giovani spacconi e sempliciotti che frequentano tali assembramenti. Per il contenuto delle loro tasche, naturalmente. Dadi, per lo più. E per lo più truccati. Per quanto non direi certo che sdegnasse qualche borseggio, in mancanza d'altro. Un mezzo più spiccio, anche se più rischioso, per raggiungere lo stesso scopo.»
Adam era dunque un confratello bene informato ed esperto delle cose del mondo quale Cadfael non aveva incontrato da anni fra tanti uomini semplici. Tante escursioni fuori del chiostro per conto del suo abate erano senza dubbio servite ad allargare i suoi orizzonti. Cadfael si girò a guardarlo con affettuoso rispetto, poi tornò a osservare con occhio più attento il benevolo, sorridente mercante.
«Siete certo che si tratti proprio di lui?»
«Che sia lo stesso uomo sì, senz'alcun dubbio. Ma altrettanto certo delle sue malefatte, al punto di sfidarlo apertamente, no, perché non si è mai fatto cogliere con le mani nel sacco, tranne una volta e anche allora è riuscito a sfuggire di mano allo sceriffo. Però tenetelo d'occhio, chissà che non abbia a fare proprio qui uno scivolone, come accade prima o poi a tutti i bricconi, e ricevere il compenso che si merita.»
«Ma, se le cose stanno come voi dite, non vi pare che si sia spinto piuttosto lontano dal suo nido? L'esperienza di tanti anni, in passato, mi ha insegnato che tipi come lui lasciano di rado la regione della quale conoscono il terreno meglio di qualsiasi balivo. Oppure al sud la terra ormai gli scottava sotto i piedi tanto da spingerlo a cercare un territorio più fresco? Questo sottintenderebbe qualcosa di peggio che l'imbroglio coi dadi.»
Fratello Adam alzò dubbioso le spalle. «Potrebbe essere. Una parte della nostra feccia ha scoperto che la lotta tra opposte fazioni può essere molto proficua, per i suoi scopi, quanto può esserlo, per i loro, a signori e padroni. Le battaglie non si addicono ai furfanti: sono troppo pericolose per la salute. Ma i disordini che nascono nelle città dove si scontrano i partiti avversi sono pane per i loro denti. Borse da svuotare, risse che si possono provocare restando in disparte, al sicuro, innocui vecchi dall'aspetto danaroso cui sarebbe facile dare una bastonata in testa o una coltellata alle spalle o tagliare, nella confusione, i cordoni della borsa... Tutto ciò è più semplice e sicuro che starsene rintanati nei boschi a vivere come selvaggi nell'attesa della preda, come fanno i loro simili nelle campagne.»
Assembramenti, pensò Cadfael. Come quello di Winchester, dove un uomo era stato per l'appunto accoltellato alle spalle e lasciato a morire per la strada. Non poteva essere che quel benevolo mercante fosse stato costretto ad allontanarsi tanto dal suo abituale terreno di caccia perché al sud era ricercato dalla legge? E ricercato per qualche colpa più grave dell'aver alleggerito del proprio denaro stolti giovincelli, servendosi di dadi truccati? Qualcosa di orribile come un omicidio?
«In foresteria ve ne sono altri due o tre sul conto dei quali nutro qualche dubbio», disse infine Cadfael. «Ma, a quanto ho potuto vedere, questo finora non ha avuto alcun contatto con loro. Tuttavia starò all'erta, li terrò d'occhio e dirò a fratello Denis di fare altrettanto. E prima di sera riferirò anche a Hugh Beringar ciò che mi avete raccontato. Lui e il borgomastro saranno ben contenti di essere stati avvisati.»
Ciaran se ne stava tranquillamente seduto nel chiostro e a fratello Cadfael parve un delitto costringerlo ad attraversare tutto il giardino e l'erbario per andare a farsi medicare, quando lui aveva piedi robusti e calzati di solidi sandali. Andò dunque a prendere l'unguento usato il giorno avanti per le sue piaghe e lo spirito che gli avrebbe tonificato e indurito le piante dei piedi e li portò al chiostro. Si stava bene là, al sole, con l'erba folta, morbida e fresca sotto i piedi scalzi. Le rose erano in piena fioritura e il loro profumo aleggiava nell'aria come una benedizione. Eppure quei due volti erano così chiusi e senza sole! Davvero uno dei due era condannato a una morte prematura e l'altro destinato a perdere e a piangere un amico tanto caro?
Mentre Cadfael si avvicinava, Ciaran stava parlando e a tutta prima non si avvide di lui. Comunque, anche quando si rese conto della sua presenza, proseguì sino alla fine. «...Stai soltanto sprecando il tuo tempo, perché non accadrà. Non cambierà niente, non aspettartelo. Mai! Tanto vale che mi lasci perdere e te ne torni a casa.»
Uno dei due credeva nei poteri di santa Winifred e pregava e sperava in un miracolo? E l'altro, il malato, la pensava come Rhun e offriva con ardore la propria morte prematura come un volontario sacrificio, invece di chiedere la guarigione?
Matthew non si era ancora accorto di Cadfael. La sua voce profonda, misurata e risoluta, ribatté: «Risparmia il fiato! Perché io verrò con te, passo per passo, sino alla fine».
Soltanto quando Cadfael fu davanti a loro si riscossero dalle proprie angosce private, assunsero un atteggiamento difensivo, e si sforzarono di affrontare il mondo esterno con un'espressione serena. Si scostarono un poco sulla panca, accogliendo il monaco con un sorriso un po' stiracchiato.
«Non ho ritenuto necessario farvi venire da me quando è tanto più facile per me venire da voi», disse Cadfael inginocchiandosi e aprendo la sua bisaccia sul lucente tappeto verde. «Mettetevi comodo, dunque, e lasciatemi vedere che cosa si può fare ancora perché possiate rimettervi in viaggio a cuor leggero.»
«Siete molto buono, fratello», replicò Ciaran, alzandosi con un sospiro. «Ma state tranquillo, io vado a cuor leggero, perché il mio pellegrinaggio è breve e l'arrivo certo.»
«Amen!» sussurrò la voce di Matthew all'altro capo della panca.
Poi più nessuno parlò, mentre il monaco spalmava l'unguento sulle piante tumefatte e le massaggiava vigorosamente con lo spirito per farlo penetrare nella pelle maltrattata - certo avvezza, prima d'allora, a essere sempre ben protetta da ottime calzature - e infine medicava con la pomata di attaccavesti le escoriazioni in via di guarigione.
«Ecco fatto! Cercate di non camminare ancora per tutto domani, salvo che per andare alle funzioni cui pensate di dover assistere. Qui non avete bisogno di muovervi molto. Tornerò a vedervi domani e vi metterò in condizioni di poter stare in piedi un po' più a lungo posdomani, quando si riporterà a casa la santa.» Quando parlava di lei, ora, Cadfael non sapeva più molto bene se alludesse alle spoglie mortali di santa Winifred (che, come tutti credevano, sarebbero dovute essere in quella bara incrostata d'argento), oppure a una sorta di benefico distillato del suo spirito, capace di colmare di santità persino una bara vuota, o addirittura una che contenesse pietose, fallibili ossa umane, immeritevoli della sua grazia ma soggette, come ogni cosa mortale, alla capricciosa, sorridente mercé di quelli lassù, al di fuori di ogni discussione. Se, quando accadeva un miracolo, si fosse potuto ragionare in base alla logica, non sarebbe più stato un miracolo, no?
Si strofinò le mani con un cencio di lana e si alzò in piedi. Mancava poco al vespro, ormai.
Era quasi arrivato all'arcata che immetteva nella corte principale quando udì dei passi affrettati alle proprie spalle; poi una mano lo prese esitante per una manica e la voce di Matthew gli disse all'orecchio: «Fratello Cadfael, avete dimenticato questo».
Era il suo vasetto di unguento, di ruvida terracotta verdastra, quasi invisibile fra l'erba. Il giovane lo teneva sul palmo di una mano larga, forte, avvezza al lavoro, dalle dita lunghe e ben fatta, mentre occhi scuri, riservati eppure curiosi, scrutavano il viso del monaco.
Cadfael prese il vasetto, ringraziando, e lo ripose nella bisaccia. Ciaran era rimasto seduto come Matthew lo aveva lasciato, col viso e lo sguardo ardente rivolti verso di loro che ora stavano a una certa distanza, fra lui e il resto del mondo, e per un attimo apparve come un'anima abbandonata nell'assoluta solitudine in un mondo popoloso.
Cadfael e Matthew rimasero per qualche momento a guardarsi negli occhi, con esitante curiosità. Questo dunque era il giovane abile e svelto, balzato al soccorso di Melangell in pericolo, un giovane cui lei aveva rivolto il suo cuore giovane e inesperto e che Rhun aveva certo considerato una via che si apriva per la sorella, senza preoccuparsi per se stesso. Di buona razza, rampollo della piccola nobiltà, che aveva imparato un po' di latino oltre al maneggio delle armi. Che cosa, se non un amore insano, poteva avere spinto un giovane siffatto a vagare per il paese come un vagabondo povero in canna, senza alcun legame né affetto, se non per un moribondo?
«Siate sincero con me», disse Cadfael. «È proprio vero... è certo che Ciaran sta camminando incontro alla morte?»
Matthew non rispose subito. I suoi occhi parvero farsi più grandi e più scuri quando disse finalmente, con voce sommessa ma risoluta: «Sì, è vero. È già segnato per la morte. A meno che la vostra santa non ci faccia un miracolo, niente potrà salvarlo. Né lui né me», finì bruscamente, poi girò sui tacchi per tornare alla sua devota vigilanza.
Rinunciando alla cena in refettorio, Cadfael uscì nel sobborgo e si avviò verso la città. Raggiunse il ponte sul Severn, oltrepassò la grande porta, salì la curva in pendio del Wyle e arrivò alla casa di città di Hugh Beringar. Appena entrato, si sedette e si mise a coccolare il suo figlioccio Giles, un bel bambinone capriccioso, biondo come sua madre, con braccia e gambe lunghe che facevano presagire come un giorno avrebbe superato di un bel po' il suo bruno e sardonico genitore che non spiccava certo per la sua altezza. Aline portò cibo e vino per l'ospite e per il marito, poi ritornò al proprio lavoro di cucito, gettando di tanto in tanto ai due uomini una sorridente occhiata di intima soddisfazione. Quando Giles si addormentò sulle ginocchia del monaco, andò a prenderlo per portarlo a letto. Era già troppo pesante per lei, ma aveva imparato a reggerlo in modo da distribuire il peso fra il braccio e la spalla e Cadfael la seguì con uno sguardo affettuoso mentre passava nella stanza attigua e si richiudeva la porta alle spalle.
«È mai possibile che quella figliola diventi ogni giorno più bella e radiosa? A volte il matrimonio fa perdere ogni splendore anche a una bella donna. A lei invece si addice come l'aureola a una santa.»
«Oh, c'è molto da dire sul matrimonio», ribatté Hugh sorridendo. «Vi sembra che a me abbia fatto male? Benché mi renda conto che possa essere difficile giudicare per un uomo come voi, dopo un così lungo celibato... e chissà quali avventure di gioventù! Non dovete avere mai avuto una grande opinione del matrimonio, altrimenti vi ci sareste avventurato anche voi. Avete pronunciato i voti soltanto dopo i quarant'anni e dopo essere stato un crociato e avere percorso in lungo e in largo le terre e i mari d'oriente. Chi può dire che non abbiate avuto anche voi una vostra Aline nascosta da qualche parte, che vi era cara quanto la mia è per me? E forse persino un vostro Giles», aggiunse maliziosamente, «un Giles Dio sa dove, ormai adulto...»
Il silenzio e l'immobilità del monaco, per quanto sereni e compiaciuti, parvero tuttavia un tacito avvertimento all'acuta sensibilità di Hugh che, quasi assopito tra i cuscini dopo una lunga, faticosa giornata all'aperto, fissò socchiudendo gli occhi il viso assorto dell'amico e poi cambiò prudentemente discorso.
«Bene, dunque il nostro Simeon Poer è ben noto al sud. Sono molto grato a voi e a fratello Adam per la segnalazione, anche se finora quel messere non ha fatto niente di irregolare. Ma quegli altri che mi avete descritto... Alla taverna di Wat, al Foregate, sono bene esercitati nell'individuare i forestieri che arrivano qui per una festa o una fiera e si aggirano per la città. Wat ha detto ai miei uomini che c'è un gruppo di buontemponi che frequenta il suo locale: alcuni di essi sono forestieri, e chissà che non siano quelli di cui avete parlato voi. Certi, naturalmente, sono i soliti giovani della città e del sobborgo, con più denaro che cervello, che bevono molto e giocano ai dadi. Ma a Wat non piace il modo in cui quei dadi cadono.»
«Come pensavo», annuì Cadfael. «Per ognuna delle nostre messe, loro celebreranno una 'messa del giocatore' da qualche altra parte. Lasciando che gli sciocchi puntino il proprio denaro come credono meglio, così le probabilità sembrano pari. Ma Wat sa riconoscere un dado truccato, quando ne vede uno.»
«E sa anche come liberare la sua taverna da avventori indesiderabili. Ha sussurrato all'orecchio di uno dei forestieri che essa è sorvegliata e che sarebbe meglio per loro se andassero a divertirsi altrove. E stasera ha un uomo di guardia, per scoprire dove si incontreranno. Così domani sera potremo sorprenderli e liberarvi di loro prima della vostra festa, se tutto va bene.»
E sarebbe stata una liberazione molto gradita, pensava Cadfael mentre riattraversava il ponte nel primo, limpido crepuscolo, con l'acqua del fiume che turbinava sotto di lui riflettendo la luce in mille sprazzi argentei fra i quali, nella magra estiva, si disegnavano isolotti di erba scura. Ma nessuna luce, nemmeno riflessa in bagliori spettrali, si spandeva ancora su quella morte avvenuta tanto lontano, nella regione del sud dal quale veniva Simeon Poer. In pellegrinaggio per la sua rispettabile anima? O per sottrarsi a una legge ridestata (con troppo vigore, per sentirsi al sicuro) da qualcosa di più grave del gabbare gli sciocchi? Eppure Cadfael non si considerava abbastanza saggio per compiacersi neppure di quello, benché fosse opinione generale che chi barava al gioco, qualunque disavventura gli capitasse, se l'era meritata.
Il portone dell'abbazia era chiuso, ormai, ma il portello era spalancato e lasciava entrare l'ultima luce del sole al tramonto. In quella luce Cadfael si trovò a spalla a spalla con un'altra persona che entrava e fu un po' sorpreso di sentirsi sospingere con deferenza da una mano ferma che gli si era posata su un gomito.
«Buonanotte a voi, fratello», gli sussurrò all'orecchio una voce calda, e la figura solida, vigorosa e ben vestita di Simeon Poer, sedicente mercante di Guildford, lo sorpassò veleggiando maestosa verso la gradinata in pietra della foresteria.
CAPITOLO VI
La mattina del ventuno giugno, vigilia della traslazione di santa Winifred, fedeli e confratelli stavano uscendo dalla messa solenne nella luce radiosa del sole quando il padre abate, che procedeva senza fretta verso il proprio alloggio, fu bruscamente costretto a fermarsi da un grido di sgomento tra la folla che si stava disperdendo. Un improvviso trambusto ne scompose le file aprendo un solco dal quale emerse una figura esagitata, a piedi nudi, che avanzò barcollando verso l'abate e, dopo essersi piegata ad afferrare un lembo del suo saio, esplose in un appello appassionato.
«Padre abate, siate buono con me e rimediate a un'ingiustizia! Sono stato derubato! Un ladro, c'è un ladro fra noi!»
Stupito e preoccupato, padre Radulfus abbassò gli occhi a guardare in viso Ciaran, sconvolto e congestionato per il risentimento e l'angoscia.
«Vi scongiuro, padre, vedete che sia fatta giustizia! Sono perduto se voi non mi aiutate!»
Rendendosi conto, un po' in ritardo, della sconveniente veemenza del proprio comportamento, il giovane si gettò ai piedi dell'abate. «Oh, perdonatemi, perdonatemi! Sono stato troppo impetuoso e molesto, ma quasi non so quello che dico!»
Lo scompiglio tra i fedeli in festa si era acquietato a un tratto ma, invece di allontanarsi, tutti si strinsero intorno ai due a guardare e ascoltare incuriositi, mentre i confratelli, impediti a proseguire ordinatamente per la loro strada, indugiavano contrariati. Cadfael guardò oltre la figura genuflessa e implorante di Ciaran alla ricerca della sua anima gemella e vide Matthew che si faceva strada fra la ressa, con la bocca aperta e gli occhi spalancati per lo stupore, e si fermava a qualche passo dall'amico, girando uno sguardo perplesso da lui all'abate nel tentativo di capire quale fosse la causa di quell'improvviso subbuglio. Possibile che a uno di quei due inseparabili fosse accaduto qualcosa che l'altro non sapeva?
«Alzatevi!» disse calmo l'abate. «Non è necessario che stiate in ginocchio. Dite ciò che avete da dire e vi sarà resa giustizia.»
Il silenzio generale dilagò fino ai limiti estremi della corte principale e quelli che si erano già allontanati tornarono indietro, con gli occhi spalancati e le orecchie tese, aggiungendosi alla cerchia dei curiosi.
Ciaran si rialzò barcollando. «Padre, avevo un anello, copia di uno che monsignore il vescovo di Winchester tiene per le occasioni importanti, con il suo stemma e il suo motto. Ne dà sempre uno uguale, come lasciapassare, a coloro che manda in missione per lui, insieme con la sua benedizione, perché apra loro le porte e serva a proteggerli durante il viaggio. E ora me l'hanno rubato, padre!»
«Ve lo ha dato personalmente Enrico di Blois, questo anello?» domandò Radulfus.
«No, padre, non personalmente. Ero al servizio del priore dell'abbazia di Hyde, come segretario laico, quando sono stato colto da una malattia mortale e ho fatto questo voto di trascorrere il resto dei miei giorni al canonicato di Aberdaron. È stato appunto il priore - sapete che a Hyde non hanno un abate - a chiedere a monsignore il vescovo che avesse la bontà di concedermi qualunque protezione fosse in grado di darmi per il viaggio...»
Quello dunque era stato il punto di partenza di quel lungo cammino a piedi nudi, pensò Cadfael, vedendo finalmente una luce. La stessa Winchester, o le sue immediate vicinanze, perché il vescovo della Cattedrale Nuova, sempre gelosa rivale della Vecchia, dove imperava Enrico di Blois, trent'anni prima era stato costretto ad abbandonare la sua residenza in città ed era stato confinato a Hyde Mead, alla periferia nord-occidentale. Non correva troppo buon sangue tra Enrico e la comunità di Hyde, perché era stato proprio lui a manovrare per tenerla così a lungo senza abate, spinto dalla propria ambizione di trasformare l'abbazia in un monastero episcopale. La contesa si era prolungata alquanto, tra il vescovo che ricorreva a stratagemmi vari per raggiungere il proprio scopo e il priore che usava ogni mezzo per impedirglielo. A quanto pareva, tuttavia, Enrico aveva avuto ancora la bontà di mostrare compassione anche per un servitore della casa nemica, quando la sventura di una malattia mortale si era abbattuta su di lui. Un viaggiatore sul quale il legato papale aveva steso la sua mano protettrice sarebbe passato indisturbato ovunque la legge conservasse ancora la propria forza. Soltanto dei fuorilegge incalliti avrebbero osato infastidirlo.
«E ora il mio anello è sparito, padre, rubato proprio stamattina. Ecco, guardate, era appeso a queste funicelle tagliate.» Ciaran mostrò la bisaccia di lino scuro che portava appesa alla cintola, indicando i due capi recisi di netto. «Una lama affilata... Qualcuno qui deve avere un'arma del genere. E il mio anello non c'è più!»
Il priore Robert si era avvicinato all'abate, una volta tanto meno fedele alla propria argentea compostezza. «Ciò che dice quest'uomo è vero, padre. Mi ha mostrato quell'anello. Donato per assicurargli aiuto e ospitalità durante il suo viaggio, che ha un tristissimo e solenne significato. Se ora non si trova più, non dovremmo far chiudere il portone, mentre iniziamo le ricerche?»
«Si faccia», convenne Radulfus e rimase a guardare in silenzio fratello Jerome che, sempre solerte e assiduo alle calcagna del priore, correva a provvedere perché si eseguisse l'ordine. «Ora calmatevi, figliolo, il vostro anello non può essere andato molto lontano. Non lo portavate, dunque, ma lo tenevate sempre ben legato dentro la vostra bisaccia?»
«Sì, padre. Era prezioso oltre ogni dire, per me.»
«E quando avete controllato che fosse sempre lì, al sicuro?»
«Stamattina stessa, padre, ne sono certo. Le poche cose che posseggo sono qui, davanti a voi. Come avrei potuto mancare di vederlo se questa fune fosse stata tagliata durante la notte, mentre io dormivo? No, no, stamattina tutto era come lo avevo lasciato ieri sera. Mi era stato ordinato di riposare perché i miei piedi potessero risanarsi. Sono uscito soltanto stamattina per la messa. E proprio qui in chiesa, in mezzo alla calca dei fedeli, un malvagio ha infranto ogni regola e si è impadronito del mio anello.»
In realtà, rifletté Cadfael girando lo sguardo sul cerchio dei curiosi, non doveva essere stato difficile per un ladro, in quella ressa, individuare le funicelle cui era legato l'anello, sfilarle dal loro nascondiglio, tagliarle e andarsene indisturbato senza che nessuno badasse a lui e senza che la vittima si rendesse conto dell'accaduto. Un lavoretto pulito, fatto con tanta perizia che nemmeno Matthew, cui non sfuggiva mai niente di ciò che riguardava l'amico, si era accorto di quell'impudenza. Perché ora se ne stava li con gli occhi sbarrati, palesemente colto di sorpresa, senza sapere come comportarsi in quella circostanza. Col viso imperscrutabile e gli occhi socchiusi, girava lo sguardo da un volto all'altro, via via che fossero Ciaran o l'abate o il priore a parlare. Cadfael notò che Melangell gli si era avvicinata furtivamente e lo aveva preso esitante per una manica. E lui non si era liberato. Un lieve movimento del capo e degli occhi rivelò a Cadfael che sapeva chi lo aveva toccato e infatti la sua mano cercò quella di lei e la strinse, mentre la sua attenzione sembrava concentrata per intero su Ciaran. Poco lontano da loro, Rhun si reggeva sulle stampelle e aggrottava la fronte sbigottito, mentre zia Alice gli stava al fianco, attenta, ardendo di curiosità. Siamo tutti qui, pensò Cadfael, e nessuno sa che cosa passi per la mente degli altri, né chi ha fatto ciò che è stato fatto, né che cosa potrà derivarne.
«Non siete in grado di dire chi ci fosse accanto a voi durante la messa?» domandò il priore Robert inquieto e addolorato. «Se davvero qualcuno è stato tanto sacrilego da approfittare addirittura della celebrazione di una santa messa per commettere un furto...»
«Padre, io guardavo soltanto l'altare.» Ciaran tremava di sacro fervore, tenendo la bisaccia aperta davanti a sé, con le sue poche cose bene in vista. «Eravamo così stretti, con tutta quella gente... com'è naturale in un santuario simile... Matthew era appena dietro a me, come sempre, ma come potrei dire chi altro poteva essermi accanto? Eravamo tutti circondati da ogni parte.»
«È vero», confermò il priore Robert, che si era molto compiaciuto di quell'eccezionale affluenza. «Padre, il portone ora è chiuso, quanti hanno assistito alla messa sono tutti qui. E certo desideriamo tutti che questo torto venga riparato», disse poi rivolgendosi all'abate.
«Tutti tranne uno», corresse questi. «Colui che ha portato qui dentro un coltello o un pugnale, abbastanza affilati da recidere nettamente queste corde. Se avesse poi avuto altre intenzioni, sarà meglio che rifletta e tremi per la sua anima. Robert, si deve ritrovare questo anello. Tutti gli uomini di buona volontà, qui, offrano il proprio aiuto e mostrino senza riserve quanto hanno con sé. Altrettanto faranno tutti i nostri ospiti, che non abbiano furti o sacrilegi da nascondere. E vedete anche che si faccia un'indagine per sapere se sia venuto a mancare qualcos'altro di prezioso. Perché un furto significa che c'è un ladro, dentro queste mura.»
«Sarà fatto senz'altro, padre», assicurò con fervore Robert. «Nessun pellegrino onesto e devoto rifiuterà il proprio aiuto. Chi può accettare di condividere con un ladro l'ospitalità ricevuta?»
A quelle parole seguì un mormorio di approvazione e di consenso, forse con un leggero ritardo perché tutti, uomini e donne, avevano dato un'occhiata ai propri vicini prima di parlare. Provenienti da direzioni diverse, sconosciuti l'uno all'altro fino a quel momento, diventati più o meno amici lì, nell'euforia della vacanza, come potevano sapere chi fosse immacolato e chi disonesto, dopo quella sconcertante scoperta?
«Padre», invocò Ciaran ancora sudato e tremante per l'angoscia, «in questa bisaccia c'è tutto ciò che ho portato con me. Esaminate il suo contenuto, accertatevi che sono stato davvero derubato. Sono venuto scalzo, ogni mio avere è qui nelle vostre mani. E il mio compagno Matthew aprirà lui pure la propria bisaccia davanti a voi, senza riserve, come esempio per tutti gli altri, che potranno liberarsi così da ogni sospetto. Nessuno vorrà rifiutarsi di fare ciò che noi facciamo.»
A quelle parole, Matthew aveva ritirato bruscamente la mano che stringeva quella di Melangell per spostare sul fianco la bisaccia scura, uguale a quella di Ciaran. Le poche cose di quest'ultimo ora erano nelle mani del priore, che le andava riponendo via via nella sacca.
«Ecco, a voi, padre», disse Matthew facendosi avanti e sganciandosi la bisaccia dal fianco.
Robert accettò l'offerta con un grave cenno del capo, aprì la borsa e ne esaminò con delicatezza il contenuto. Una camicia e mutande di lino, sgualcite per essere state così ammucchiate e probabilmente lavate più volte nel corso del viaggio, un rasoio, un pezzo di sapone, un breviario rilegato in pelle, un magro portamonete... Robert tirò fuori l'unico oggetto che si sentì in obbligo di mostrare: un pugnale inguainato quale qualsiasi gentiluomo avrebbe potuto portare al fianco, poco più lungo di una spanna.
«Sì, è mio», disse subito Matthew, guardando dritto negli occhi l'abate Radulfus. «Ma non è stato quello a tagliare quelle funi. Non è uscito dalla mia bisaccia da quando ho messo piede nell'abbazia, padre abate.»
Radulfus girò lo sguardo dal pugnale al suo proprietario e fece un breve cenno di assenso. «Capisco perfettamente che nessun uomo si metterebbe in viaggio sulle nostre strade, oggi, senza un mezzo per difendersi. Tanto più se ha qualcun altro da difendere, qualcuno che non porta armi. Capisco la vostra situazione, figliolo. Tuttavia non avreste dovuto portare armi dentro queste mura.»
«E che altro avrei potuto fare?» ribatté Matthew in un tono quasi di sfida.
«Ciò che dovete fare ora», dichiarò con fermezza l'abate. «Affidarlo al frate portinaio, come hanno già fatto altri. Potrete riaverlo quando partirete.»
Non restava che chinare il capo e rassegnarsi con garbo, cosa che Matthew riuscì a fare in maniera decente, anche se a contraggenio. «Lo farò subito, padre, e vi prego di perdonarmi se non ho chiesto consiglio prima.»
«Ma padre, il mio anello...» gemette Ciaran, ansioso. «Come potrò sopravvivere senza il mio salvacondotto?»
«Non temete, lo cercheremo dappertutto», lo rassicurò Radulfus. «E nessuno rifiuterà di lasciar ispezionare la propria roba, se non ha niente da temere», aggiunse alzando la voce perché potessero udirlo anche i più lontani, tra la folla silenziosa. «Provvedete voi, Robert!»
Finalmente il padre abate proseguì per la propria strada e i fedeli, rimasti per qualche momento immobili a seguirlo con lo sguardo, si dispersero con un improvviso mormorio di concitati commenti, mentre il priore Robert, prendendo Ciaran sotto le proprie ali, se ne andava con lui verso la foresteria per chiedere l'aiuto di fratello Denis nelle ricerche dell'anello. E Matthew, dopo una titubante occhiata a Melangell, girò sui tacchi e li seguì.
Non sarebbe stato facile trovare un gruppo di persone più candide e volonterose degli ospiti dell'abbazia di Shrewsbury in quel giorno. Tutti si affrettarono ad aprire fagotti o cassette, ansiosi di provare la propria immacolata virtù. Le ricerche, condotte con la maggiore delicatezza possibile, si protrassero per tutto il pomeriggio, ma dell'anello non si trovò alcuna traccia. In compenso, un paio degli ospiti più abbienti del dormitorio comune, che fino a quel momento non avevano avuto occasione di rovistare in fondo ai loro bagagli, andarono incontro a dolorose sorprese, quando dovettero farlo. Un piccolo proprietario terriero di Lichfield trovò il proprio portamonete di riserva alleggerito di oltre metà del proprio contenuto. Mastro Simeon Poer, che era stato uno dei primi a mettere in mostra ciò che possedeva e il più chiassoso nel condannare un crimine cosi blasfemo, dichiarò di essere stato derubato di una catena d'argento che intendeva offrire all'altare il giorno seguente. Un povero parroco di campagna, che con quel pellegrinaggio aveva realizzato il più bel sogno della sua vita, lamentò la scomparsa di un cofanetto, fabbricato da lui stesso più di un anno avanti e decorato con intarsi d'argento e vetro, nel quale aveva sperato di riportarsi a casa un ricordo del viaggio, qualche fiore essiccato del giardino o magari addirittura due o tre fili staccati dalla frangia della tovaglia d'altare sotto il reliquiario di santa Winifred. Infine un mercante di Worcester non riuscì più a trovare la bella cintura in pelle della sua veste migliore che intendeva indossare il giorno seguente e altre due persone ebbero il sospetto che alcuni loro oggetti fossero stati manomessi e poi sprezzati, il che, per loro, fu probabilmente un'offesa ancora più grave.
Era tutto finito, e senza risultato, quando Cadfael poté finalmente rifugiarsi nel suo laboratorio giusto in tempo per aspettare Rhun, che arrivò puntuale all'ora fissata, pensieroso e sconcertato, e si sottomise senza parlare alle manipolazioni del monaco, che si spingevano ogni giorno un po' più a fondo nei suoi tessuti nodosi e ostinati.
«Fratello», disse finalmente alzando gli occhi, «non avete trovato nessun altro pugnale nella borsa di qualcuno?»
«No, nessuno.» Si era trovato, naturalmente, un certo numero di coltelli comuni, di quelli che occorrono a un uomo per tagliare il pane e la carne nelle locande lungo le strade o per un pasto al riparo di una siepe, ma, per quanto molti fossero abbastanza affilati per la maggior parte delle occorrenze quotidiane, nessuno lo era tanto da recidere di netto due funi, senza il minimo strappo che potesse dare l'allarme. «Ma gli uomini che non portano la barba hanno bisogno di un rasoio e un rasoio non affilato sarebbe un'assurdità. Quando un ladro entra nel recinto, figliolo, è difficile per gli uomini onesti tenergli testa. Chi è senza scrupoli è sempre in vantaggio su chi si attiene alle regole. Ma ora non stare ad angustiarti, tu non hai fatto male a nessuno. Non lasciare che questo incidente ti rovini la giornata di domani.»
«No», mormorò il ragazzo, sebbene apparisse preoccupato. «Però, fratello, qualcun altro ha un pugnale... almeno uno. Con fodero e tutto e piuttosto lungo. Lo so, ero premuto contro quell'uomo ieri a messa. Ero in piedi, sulle mie grucce, e lui aveva alla cintura una grande bisaccia di lino che mi premeva contro la mano e il fianco. Così ho sentito la forma del pugnale, la croce dell'impugnatura e tutto. Ne sono certo! Però non lo avete trovato.»
«E chi era l'uomo che se ne stava così armato a messa?» domandò Cadfael continuando a manipolare con cura i tessuti che non cedevano sotto le sue dita.
«Quel mercante grande e grosso con quella bella veste... di lana della valle. Simeon Poer. Ma il pugnale non lo avete trovato. Forse lo avrà consegnato anche lui al frate portinaio, come Matthew.»
«Forse», convenne Cadfael. «Te ne sei accorto ieri, hai detto. E oggi? Era di nuovo vicino a te?»
«No, oggi no.»
No, quel giorno era rimasto a guardare tranquillo lo spettacolo, con occhi e orecchie all'erta, pronto ad aprire la sua borsa lì davanti a tutti, se fosse stato necessario, sorridendo compiaciuto mentre l'abate disarmava un altro. Lui non aveva di certo il pugnale con sé, quale che fosse il luogo in cui l'aveva messo nel frattempo. V'erano nascondigli a sufficienza, lì dentro le mura dell'abbazia, per un'arma come per qualsiasi oggetto di valore rubato. Le stesse ricerche effettuate nel pomeriggio erano state soltanto un'ostentazione di zelo, a meno che l'autorità non fosse preparata a tenere le porte chiuse e gli ospiti relegati lì dentro finché non fosse stato cavato ogni metro dei giardini e non si fosse fatto a pezzi ogni letto e ogni panca del dormitorio e della sala. I peccatori cominciano sempre come uomini onesti.
«Non è stato giusto far consegnare il pugnale a Matthew mentre un altro si teneva il suo», osservò Rhun. «E il povero Ciaran è così atterrito da avere persino paura a muoversi, senza il suo anello. Rifiuta addirittura di uscire dal dormitorio, fino a domani. È disperato per averlo perduto.»
Sì, era verosimile. Tuttavia, rifletté Cadfael, non era strano che un uomo che aveva dichiarato con la massima calma di essere un condannato a morte si angosciasse tanto per la perdita del suo salvacondotto? Come mai tanta paura? Ogni paura sarebbe dovuta essere morta.
Mah, gli uomini sono strani, disse a se stesso. E una morte serena e benedetta ad Aberdaron, ben preparato e circondato dalle preghiere e dalla pietà di altri uomini devoti, poteva sembrare tutt'altra cosa, rispetto a una morte per mano di un predone sconosciuto, lungo una strada deserta.
E quel Simeon Poer... Se portava un pugnale il giorno avanti, poteva ben averlo avuto anche quel giorno, tra la folla presente alla messa. In tal caso, come se ne era liberato tanto in fretta, prima che Ciaran si avvedesse della scomparsa dell'anello? E come aveva saputo di dover sbarazzarsene al più presto? Chi poteva aver sentito una tale necessità, se non il ladro?
«Non stare più a scervellarti», disse Cadfael osservando il bel viso vulnerabile di Rhun. «Né per Matthew né per Ciaran. Pensa soltanto a domani, quando sarai vicino alla santa. Lei e Dio vedono tutto, non hanno bisogno che diciamo loro di che cosa abbiamo bisogno noi. Dobbiamo soltanto starcene tranquilli ad aspettare ciò che sarà. Perché, qualunque cosa sia, non sarà fatta a caso. Hai preso la tua medicina, ieri sera?»
Gli occhi chiari e brillanti di Rhun erano spalancati, sole e ghiaccio, di una limpidezza abbagliante. «No. Era stata una buona giornata, e volevo rendere grazie. Oh, non è che non apprezzi tutto ciò che fate per me. Volevo soltanto dare qualcosa anch'io. E ho dormito, ho dormito bene, davvero...»
«Allora fallo anche stasera», disse affettuosamente il monaco, passando un braccio sotto il corpo del suo piccolo paziente per aiutarlo a tirarsi su. «Di' le tue preghiere, pensa tranquillo a ciò che dovresti fare, fallo e dormi. Nessun uomo al mondo, né re né imperatore, può fare di più o di meglio e fidare in messe più ricca.»
Quel giorno, Ciaran non si mosse dalla foresteria. Lo fece invece Matthew, emergendo per la prima volta senza il compagno sotto l'arcata della porta e fermandosi in cima alla gradinata di pietra, con le braccia tese a toccare gli stipiti e la testa lievemente piegata all'indietro a inalare profonde sorsate d'aria. Era appena passata l'ora di cena, e poca gente si aggirava nella corte principale, godendosi la fresca, piacevole calma prima di compieta.
Fratello Cadfael aveva lasciato la sala del capitolo prima che fossero finite le letture perché aveva alcune cosucce da fare nel suo erbario. Si era diretto verso il giardino quando scorse il giovane, ritto all'inizio della gradinata, che respirava a pieni polmoni e con evidente piacere. Chissà come, Matthew sembrava più alto, così solo, e più giovane, mentre il viso riservato pareva sereno nella morbida luce della sera. Quando si mosse e cominciò a scendere i gradini, Cadfael cercò istintivamente la figura che sarebbe dovuta essere appena dietro a lui, o come al solito un passo avanti, ma Ciaran non comparve. Bene, era stato sollecitato a riposare e probabilmente era ben contento di farlo, tuttavia Matthew non si era mai allontanato da lui, prima d'allora, né di giorno né di notte, in movimento o in riposo che fossero. Neppure per seguire Melange!!, tranne che con lo sguardo e suo malgrado.
La gente è infinitamente misteriosa, pensò il monaco proseguendo senza fretta per la propria strada, e io sono infinitamente curioso. Un peccato da confessare, non c'era dubbio, e che meritava certo una penitenza. Ma è la curiosità che tiene vivo un uomo. Perché la gente fa quello che fa? Perché, se sai di essere malato, prossimo alla morte, e desideri raggiungere un porto tranquillo prima della fine, condanni volontariamente te stesso a compiere il lungo viaggio a piedi nudi, col carico di una pesante croce al collo? Per renderti così più accettabile a Dio, quando invece avresti potuto dare una mano, durante quello stesso viaggio, a qualche infelice compagno storpio per natura, e non per caparbietà, come il povero Rhun? E perché tu, invece, consumi la tua gioventù e il tuo vigore seguendo passo passo un uomo per miglia e miglia e perché lui accetta che tu sia la sua ombra, quando dovrebbe mettersi il cuore in pace e congedarsi discretamente dagli amici, invece di imporre loro il proprio peso?
Cadfael aggirò l'angolo della siepe di tasso che fiancheggiava il roseto e si fermò di botto. La figura che stava seduta sull'erba al lato opposto delle aiuole in fiore, con lo sguardo perduto oltre il campo dei piselli, sulle acque argentee e scintillanti del torrente Meole, non era un amico, bensì un'amica, immobile e solitaria, con le ginocchia alzate fino al mento e serrate, nel cerchio delle braccia incrociate. Alice Weaver doveva essere certo occupatissima a chiacchierare con una mezza dozzina di matrone della sua stessa età e Rhun era senza dubbio a letto, così Melangell se l'era svignata in silenzio, per rifugiarsi lì nella pace del giardino ad accarezzare i propri fragili sogni e le proprie indomabili speranze. Una piccola ombra scura, aureolata d'oro contro il cielo illuminato dal tramonto. Un cielo che prometteva per l'indomani, festa di santa Winifred, una giornata splendente e senza nubi.
Fra di loro si stendeva in tutta la sua ampiezza il giardino delle rose, e la fanciulla dunque non si avvide del monaco che percorreva il sentiero erboso fino al suo laboratorio dove, benché tutto apparisse in perfetto ordine, controllò i tappi di tutti i recipienti e si assicurò che il braciere fosse completamente spento e freddo. Fratello Oswin era giovane, entusiasta e volonteroso, tuttavia gli accadeva talvolta di trascurare qualche particolare, anche se, grazie a Dio, aveva vinto la sua tendenza a rompere le cose. Non v'era alcuna fretta, ora; un'occhiata intorno non fece scoprire a Cadfael niente fuori posto e, prima di compieta, gli restava tempo per starsene lì seduto nella penombra odorosa di legno a riflettere. Tempo per gli altri per ritrovarsi assieme e usare o sprecare quegli ultimi momenti della giornata. Per quei tre irreprensibili viaggiatori - Walter Bagot guantaio, John Shure sarto e William Hales maniscalco - c'era tempo sufficiente per recarsi là dove la loro scuola di dadi si sarebbe riunita quella sera e infilare quindi il collo nella trappola tesa da Hugh. E c'era tempo per quell'altro ambiguo individuo, Simeon Poer, per schivare o inciampare nello stesso laccio, o addirittura andarsene dalla parte opposta, a occuparsi di qualche altra impresa notturna. Cadfael aveva visto due di quei tre uscire assieme dalla portineria e il terzo seguirli pochi minuti dopo ed era certo che il sedicente mercante di Guildford non avrebbe tardato molto a fare altrettanto. E c'era tempo, anche, per quel giovane inesplicabilmente solo, sciolto per qualche motivo dalla sua catena, per esplorare il territorio che si apriva all'improvviso davanti a lui e, chissà, forse incontrarsi per caso con la solitaria fanciulla.
Cadfael stese le gambe sulla panca di legno e chiuse gli occhi per un breve riposino.
Matthew fu lì alle sue spalle prima che lei se ne avvedesse. Il fruscio improvviso dell'erba seccata dal sole al margine del campo la colse di sorpresa: allarmata, si girò di scatto, scivolando sulle ginocchia e guardandolo in viso cogli occhi sbarrati, mezzo accecata dallo splendore del tramonto che aveva fissato tanto a lungo. Il viso di lei era aperto, infantile e vulnerabile, così come era apparso quando lui l'aveva presa fra le braccia e portata con un balzo oltre il fosso, lontano dai cavalli lanciati al galoppo. Così lo aveva guardato allora, spalancando gli occhi, ancora confusa e impaurita, e così la sua paura si era dissolta in meraviglia e piacere, vedendo in lui soltanto sicurezza, cortesia e ammirazione.
Quell'incontro di occhi innocenti non durò a lungo. Lei sbatté le palpebre, scosse lievemente la testa per schiarirsi la vista, poi guardò oltre le spalle di lui, cercando, non riuscendo a credere che fosse lì solo.
«Ciaran...? Avete bisogno di qualcosa per lui?»
«No», rispose Matthew, distogliendo per un momento lo sguardo. «È a letto.»
«Ma voi non lo lasciate mai, nemmeno a letto!» esclamò lei stupita, persino un po' ansiosa. Benché fosse un poco gelosa di Ciaran, aveva compassione di lui.
«Be', come vedete, ora l'ho lasciato», ribatté seccamente Matthew. «Avevo bisogno anch'io di qualcosa... di una boccata d'aria. E lui sta benissimo dov'è, non si muoverà.»
«Lo sapevo che non eravate uscito per cercare me», mormorò Melangell con rassegnata amarezza. Si mosse per alzarsi, senza sforzo alcuno, ma lui tese ugualmente una mano, quasi contro la sua volontà, per aiutarla. Ma la ritrasse bruscamente quando lei l'evitò, alzandosi da sola. «Ma se non altro, non siete fuggito quando mi avete vista. Dovrei esservene grata!» esclamò allora la ragazza.
«Non sono libero», protestò lui, piccato. «Lo sapete meglio di me.»
«Non lo eravate nemmeno quando vi siete accompagnato a noi», ribatté con forza Melangell, «quando vi siete caricato sulle spalle la nostra roba e mi siete rimasto sempre vicino, lasciando che Ciaran andasse zoppicando davanti a noi, senza poter vedere i sorrisi, le gentilezze e addirittura le premure che avevate per me e come mi parlavate dolcemente, quasi che vi beaste della mia vicinanza. Perché non mi avete avvertita allora che non eravate libero? O, meglio ancora, non ve ne siete andato col vostro amico per un'altra strada, lasciandoci per conto nostro? Allora avrei potuto riprendermi in tempo, e col tempo dimenticarvi. Ma ormai non potrò più dimenticarvi, mai più, per tutto il resto della mia vita!»
Le labbra e le guance di Matthew si contrassero e si indurirono sotto i suoi occhi, distorcendosi in un'espressione che non le riuscì di capire se fosse di collera o di dolore. Lo stava osservando troppo da vicino e con troppa passione per poter vederlo bene. Poi lui girò bruscamente la testa, evitando di guardarla.
«Sì, avete ragione di accusarmi», disse in un sussurro roco. «Ho sbagliato. Non avrei mai dovuto illudermi che potesse esistere una felicità così dolce e pulita per me. Avrei dovuto lasciarvi, ma non ho potuto... Dio mio! Pensate che avrei potuto abbandonare lui? Si era attaccato a voi, alla vostra buona zia... Sì, avrei dovuto avere la forza di tenermi lontano da voi, di lasciarvi...» Rapidamente come aveva girato la testa prima, tornò a voltarla verso di lei, le prese il mento con una mano, con tale forza da farle male, e la costrinse a guardarlo. «Lo sapete quanto sia difficile ciò che mi chiedete? No! Questo volto voi non lo avete mai visto, se non attraverso gli occhi di qualcun altro. Chi può pensare di darvi uno specchio per guardarvi? In qualche stagno, forse, se mai vi siete presa il disturbo di chinarvi a guardare. Come potreste sapere che cosa è capace di fare questo viso a un uomo già perduto? E vi stupite che io abbia voluto bere tutta la mia acqua in un solo sorso, quando l'avevo accanto a me? Oh, vorrei essere morto, invece di essere rimasto vicino a voi, turbando così la vostra pace! Che Dio mi perdoni!»
Melange!!, che era di cinque anni più vicina di lui all'infanzia (mettendo in conto anche i due o più anni di vantaggio che una fanciulla ha sui suoi coetanei), fu affascinata, persino un po' impaurita, da quel fervore e indicibilmente commossa dall'angoscia che sentiva emanare da lui come un odore aspro e travolgente. Non solo le lunghe dita che le stringevano il mento, ma anche tutto il corpo di Matthew era scosso da brividi. Alzò una mano e la chiuse su quella di lui, sentendo svanire la propria infelicità di fronte a quel tormento tanto più grande e inesplicabile.
«Non oso parlare per Dio», disse la fanciulla con voce ferma, «ma qualunque cosa vi sia da perdonare da parte mia è già perdonata. Non è colpa vostra se vi amo. Voi non avete fatto altro che essere gentile con me, più di chiunque mi sia accaduto di conoscere da quando ho lasciato il Galles. E sapevo, amore mio, che avevate fatto un voto: me lo avevate detto voi stesso, allora, e se io avessi prestato maggiore attenzione alle vostre parole... Quello che non mi avete mai detto... Oh, ma non angustiatevi, anima mia, non angustiatevi così...»
Mentre se ne stavano così assorti, la luce del tramonto si era incupita, bruciando a poco a poco fino a trasformarsi in cenere splendente, e la prima, lieve ombra del crepuscolo sfiorò il loro viso, come la fugace ala di un rondone, per trasformarsi all'improvviso in una luce perlacea e radiosa. I grandi occhi di lei erano orlati di lacrime, quasi come quelli di lui. E quando egli si chinò, non vi fu modo di sapere chi fosse stato il primo a baciare.
La campanella di compieta echeggiò cristallina attraverso i giardini, in una serata così limpida, e strappò immediatamente fratello Cadfael dal suo sopore. In quel rifugio della sua maturità, non meno che durante la sua guerresca giovinezza, era avvezzo a destarsi vigile e attento anche dal sonno più profondo, ricavando il meglio dei mondi gemelli del giorno e della notte. Si alzò e uscì nella prima, accesa immagine della sera, richiudendosi la porta alle spalle.
Bastavano pochi momenti per raggiungere la chiesa, attraverso l'erbario e il roseto, e Cadfael s'incamminò di buon passo, felice per la bellezza della sera e per la promessa del domani, e non seppe nemmeno lui perché si fosse girato a guardare verso occidente, se non forse perché da quella parte l'immensa distesa del cielo appariva così delicata, pura e commovente come il rossore di una giovinetta. Vide così le due ombre, strette l'una all'altra, nettamente stagliate contro il rossore del cielo sull'orlo del pendio che scendeva verso il torrente. Matthew e Melange!!, inconfondibili, l'uno fra le braccia dell'altra, uniti in un bacio che durò per tutto il tempo impiegato dal monaco per arrivare, oltrepassarli e scivolare via verso le sue ben diverse devozioni, ma con quell'immagine indelebilmente stampata negli occhi, anche mentre pregava.
CAPITOLO VII
Il messaggero dell'inviato del legato papale (o sarebbe stato più giusto dire dell'imperatrice?) giunse in città la sera di quello stesso giorno, il ventuno giugno. Al corpo di guardia del castello lo indirizzarono al cortile dove Hugh Beringar stava preparando una mezza dozzina di uomini che dovevano scendere al ponte e prendere parte, una parte del tutto imprevista, ai piani di Simeon Poer e soci. Questi ultimi sarebbero stati quasi certamente armati, trovandosi tanto lontani da casa e in territorio fino a quel momento inesplorato. Quella visita fu per Hugh una grossa seccatura, ma era troppo consapevole dei pericoli che minacciavano da ogni parte il partito del re per congedare senza cerimonie il messaggero. Qualunque fosse l'ambasciata, doveva conoscerla e fare i debiti preparativi al riguardo.
«Mio signore lo sceriffo, la Signora dell'Inghilterra e monsignore il vescovo di Winchester vi pregano di ricevere benevolmente il loro inviato, che viene a voi con offerte di pace e di ordine in loro nome e in loro nome chiede il vostro aiuto per risolvere i mali del reame. Io sono qui per annunciarvi il suo arrivo.»
Sicché l'imperatrice aveva assunto il titolo tradizionale della regina non ancora incoronata! La situazione cominciava a sembrare irrevocabile.
«L'inviato di monsignore il vescovo sarà il benvenuto», disse Hugh. «Sarà ricevuto con tutti gli onori nella nostra città e io porgerò un orecchio attento a tutto ciò che avrà da dirmi. Purtroppo, però, in questo momento debbo sbrigare qualcosa che non può attendere. Di quanto precedete il vostro signore?»
«Di un paio d'ore, direi.»
«Bene, allora avrò il tempo per risolvere il mio piccolo problema e provvedere ai preparativi necessari per riceverlo. Con quante persone al seguito arriverà?»
«Soltanto due uomini d'arme, mio signore, e me.»
«Allora vi affiderò al vicesceriffo che provvederà a far preparare gli alloggi per voi e i vostri uomini qui al castello, mentre il vostro signore sarà ospite in casa mia, dove sarà il benvenuto. Vogliate scusarmi ora se vi lascio così, senza cerimonie, ma il mio impegno va sbrigato di sera e non può aspettare. Farò ammenda più tardi.»
Il messaggero fu ben contento di vedere il suo cavallo strigliato e ricoverato nella scuderia e di essere poi accompagnato dal vicesceriffo, Alan Herbard, in un comodo alloggio dove poté sfilarsi stivali e casacca di cuoio, mettersi a proprio agio e godersi con calma la carne e il vino che gli vennero serviti. Il giovane vicesceriffo sapeva essere un anfitrione perfetto. Non occupava da molto tempo quel posto e svolgeva ogni incarico che gli veniva affidato con lo zelo del novellino. Hugh li lasciò e scese in città con i suoi sei uomini.
A quell'ora, dopo compieta, non c'era né luce né buio. Quando raggiunsero la High Cross e svoltarono giù per la ripida curva del Wyle, i loro occhi si erano ormai abituati a quella vaga luce crepuscolare. D'altra parte, col buio completo la loro selvaggina avrebbe potuto avere maggiori probabilità di eclissarsi non vista, mentre di giorno sarebbe stato troppo agevole farsi avvistare anche da lontano. Se non erano sciocchi, quegli imbroglioni avrebbero certo messo una sentinella nel posto adatto per dare un tempestivo allarme. Ai piedi della curva, in prossimità delle mura e della porta inglese, scaturì dall'ombra un ragazzino tutt'occhi, con le gambe magre e i capelli ispidi, che tirò Hugh per una manica. Era il figlio di Wat, un monello del Foregate che scoppiava d'orgoglio per l'importanza della missione che gli era stata affidata e la propria bravura nel portarla a termine. Aveva scovato la selvaggina e non vedeva l'ora di trasmettere l'informazione.
«Mio signore, si sono incontrati... Tutti i quattro dell'abbazia e una dozzina o più di nostrani, per la maggior parte della città.» Una sfumatura di disprezzo sottintendeva che erano molto più svegli nel sobborgo. «Ma sarà meglio che smontiate e andiate a piedi. Uomini a cavallo, a quest'ora... Se la darebbero a gambe non appena posaste uno zoccolo sul ponte. I rumori arrivano lontano, di notte.»
Molto sensato, se il punto di ritrovo era nei dintorni. «Dove sono ora?» domandò Hugh balzando di sella.
«Sotto l'ultima arcata del ponte, mio signore... perfettamente all'asciutto e ben riparati.» Senza dubbio, con l'acqua bassa dell'estate. Soltanto quand'era in piena, il fiume impediva il passaggio sotto quell'arcata: ora la riva doveva essere un gradevole nido di erba secca.
«Hanno un lume, allora?»
«Una lanterna cieca. Non si vede un filo di luce da qualunque parte si guardi, a meno che non si scenda fino all'acqua. È illuminata soltanto la grossa pietra piatta dove gettano i dadi.»
Facile spegnerla al primo allarme, dunque, e sparpagliarsi in ogni direzione come passeri spaventati. Primi fra tutti e più veloci i tosatori. Un certo numero dei tosati sarebbe anche potuto cadere nella rete, ma la loro colpa sarebbe stata soltanto quella della stupidità, non del furto o dell'imbroglio.
«Lasciamo qui i cavalli» disse Hugh, decidendo quale via seguire. «Lo avete sentito. Sono sotto il ponte. Debbono avere seguito il sentiero che porta al Gaye, lungo la riva. Dall'altra parte dell'arcata ci sono troppi cespugli. Allora: tre uomini per parte, io andrò coi tre a ponente. Lasciate perdere i nostri giovani sempliciotti, se riuscite a distinguerli, ma i forestieri teneteli ben stretti.»
Così scaglionati diedero inizio alla battuta. Attraversarono il ponte uno o due per volta, sopra le acque del Severn, tremolanti di luce riflessa e qui e là chiazzate di bassifondi erbosi, e si disposero sui due lati, scaglionati tra la frangia di cespugli lungo la sponda. Frattanto anche l'ultimo riverbero del tramonto si era spento all'orizzonte e la notte avanzava come una mano di velluto. Hugh procedette guardingo finché non scorse un fievole raggio di luce sotto l'arcata di pietra. Erano là. Se avesse immaginato che potessero essere in tanti si sarebbe portato un maggior numero di uomini. Del resto lui non mirava ai bricconi di Shrewsbury. Che se la svignassero pure e se ne tornassero a casa loro, nel loro letto, a riflettere sui loro sogni di mungere vacche grasse, risultate poi più secche della sabbia. Ci avrebbe pensato il borgomastro, agli idioti locali. Lui voleva quegli altri.
Aspettò che il cielo fosse ancora un po' più scuro prima di mettersi in azione. La notte si fece più fonda, avvolgendo ogni cosa nelle sue morbide ali, sotto il cielo senza luna. Allora Hugh lanciò un fischio e gli uomini avanzarono sui due lati.
Fu il fruscio dei folti cespugli lungo la riva, nella notte senza vento, a tradirli anzitempo. Chi stava a montare la guardia là sotto aveva l'udito fino. Un fischio breve e acuto, e la lanterna si spense immediatamente, nel buio fitto sotto l'arcata. Hugh e i suoi uomini si lanciarono avanti, barattando la cautela con la rapidità. Ombre nere si separarono, si scontrarono, si diedero alla fuga, senz'altro rumore che quello dei respiri affannati dalla paura. Gli uomini di Hugh avanzarono fra i cespugli, bloccando il passaggio sotto l'arcata, e i malandrini rimasti imprigionati sotto il ponte fuggirono chi a destra e chi a sinistra, non osando risalire il pendio per non trovarsi fra le braccia che erano ad aspettarli, ma gettandosi a guado attraverso i bassifondi e dibattendosi in acque più profonde. Alcuni se la filarono verso la riva opposta: giovani del posto che conoscevano bene il fiume e sapevano nuotare come i suoi pesci fin quasi dalla nascita. Che se ne andassero pure, erano nati e cresciuti a Shrewsbury e se avevano perduto denaro, tanto peggio per loro. Ma che se ne tornassero pure nel loro letto, a pentirsi in pace. Se le loro mogli glielo avessero consentito.
Eppure, sotto l'arcata del ponte, c'erano anche quelli che non avevano l'acqua del Severn nelle vene ed erano meno disposti a bagnarsi più dei piedi anche nell'acqua bassa. E furono questi uomini che, a un tratto, ebbero un'arma fra le mani e presero ad aprirsi una via di scampo menando fendenti a destra e a sinistra, squarciando e pugnalando senza scrupoli. Non durò a lungo. Nell'oscurità che sembrava scossa da un terremoto, in ordine sparso tra l'erba pesticciata della riva, i sei uomini di Hugh agguantarono e tennero stretti tutti quelli su cui riuscirono a mettere le mani, tergendosi il sangue da graffi e ferite, mentre i tonfi e gli schianti fra i cespugli, sempre più lontani, sottolineavano la fuga di coloro che l'avevano scampata. Sotto il ponte, invisibili nel buio, erano rimasti la lanterna abbandonata e i dadi sparpagliati - grave perdita per i truffatori, che avrebbero dovuto approntarne una nuova serie - in attesa di venire recuperati.
Hugh scosse via alcune gocce di sangue da un braccio graffiato e si arrampicò fra l'erba verso il sentiero che portava dal Gaye alla strada maestra e al ponte. Davanti a lui un'ombra si diede alla fuga, imprecando, e Hugh lanciò un avvertimento. «Fermatelo! È ricercato dalla legge!» Città e borgo si stavano probabilmente preparando per andare a letto, ma c'era pur sempre in giro qualche errabondo ritardatario, ligio alle leggi o no, che avrebbe accolto con gioia quell'invito alla giustizia, o all'inganno, a seconda della parte verso la quale pencolava la sua mente.
Sopra a lui, nella dolce notte primaverile, ormai rotta soltanto da un lungo nastro arancione a occidente, risuonò in risposta al suo un grido di lieto stupore, subito seguito dal confuso rumore di una lotta. Hugh raggiunse in un balzo la strada maestra e, fermi a poca distanza dal ponte, vide tre uomini a cavallo, uno dei quali, un po' piegato sulla sella, stringeva con una mano il colletto di un uomo che si appoggiava ansimando contro la sua cavalcatura, troppo esausto per fare altro.
«Credo che sia il vostro uomo, signore», disse il cavaliere vedendo Hugh che si avvicinava. «Ricercato dalla legge, mi pare che abbiate detto? Siete voi la legge, da queste parti?»
Una bella voce, squillante, non avvezza a moderare il tono. L'oscurità non consentiva di vedere il viso del cavaliere, ma il suo corpo si stagliava netto sulla sella, agile e snello, indubbiamente giovane. Aprì la mano che teneva stretto il prigioniero, come per consegnarlo a chi aveva maggior diritto su di lui, e l'uomo non tentò nemmeno di fuggire. Si piantò invece sui piedi divaricati, in atteggiamento quasi di sfida, sogguardando dubbiosamente Hugh.
«Vi sono debitore di un pesciolino, a quanto pare», disse questi al cavaliere, sorridendo perché aveva riconosciuto la sua preda. «Ma temo di aver lasciato i salmoni liberi di risalire a loro piacere il fiume. Davamo la caccia a una banda di furfanti imbroglioni venuti qui in cerca di bottino, ma questo giovane gentiluomo che avete acciuffato è soltanto uno dei gonzi, il nostro bravo orafo. Mastro Daniel, credo che vi sia più oro o argento da perdere che non da guadagnare in compagnia della gente con la quale vi trovavate.»
«Non è un delitto tentare qualche colpo ai dadi», borbottò il giovane, strascicando imbronciato i piedi nella polvere della strada. «La sorte sarebbe girata...»
«Non con quei dadi. Ma avete ragione, non è un delitto sprecare una sera e tornarsene a casa con le tasche vuote. Non posso accusarvi di niente, a patto che ora torniate indietro e andiate a consegnarvi con gli altri al mio sergente. Comportatevi bene e per mezzanotte sarete a casa.»
Mastro Daniel Aurifaber prese congedo ringraziando e si avviò mogio verso il ponte, per andare ad aggiungersi agli altri prigionieri. Uno scalpitio di zoccoli sul ponte segnalò che qualcuno era corso a prendere i cavalli, con l'intenzione di dare il via a una caccia verso occidente, cioè nella direzione presa dagli uccelli da preda. Ma sarebbe bastato meno di un miglio perché essi fossero al sicuro nei boschi e ci sarebbero voluti i segugi per tirarli fuori. Difficile che si potesse metterli alle strette di notte. Soltanto la mattina seguente, forse, si sarebbe potuto tentare qualcosa.
«Questo non è certo il benvenuto che potevate aspettarvi», riprese Hugh alzando gli occhi a scrutare il viso in ombra del cavaliere. «Perché voi, penso, siete l'inviato dell'imperatrice Maud e del vescovo di Winchester. Il vostro messaggero è arrivato poco più di un'ora fa e non vi aspettavo così presto. Avevo pensato di poter liberarmi di questo impegno, prima del vostro arrivo. Sono Hugh Beringar, sceriffo di questa contea per conto del re Stefano. I vostri uomini sono alloggiati al castello e voi, signore, sarete ospite in casa mia, se vorrete concedermi questo onore.»
«Siete molto cortese e io sarò ben lieto di accettare. Ma non sarebbe meglio che prima sistemaste le cose con quei vostri concittadini e li lasciaste tornare alle loro case? I miei affari possono aspettare un altro poco.»
«Non è stata davvero una delle mie imprese più felici», riconobbe Hugh più tardi, parlandone con Cadfael. «Avevo sottovalutato sia la loro audacia sia la quantità di ferro ben temprato in loro possesso.»
Quella sera, mancarono quattro ospiti nel regno di fratello Denis: mastro Simeon Poer, mercante di Guildford; Walter Bagot, guantaio; John Shure, sarto e William Hales, maniscalco: quest'ultimo a quell'ora si trovava in una cella al castello di Shrewsbury, in compagnia di un venditore ambulante che aveva procurato loro qualche cliente in città. Gli altri, invece, erano ormai lontani, con nulla più che qualche graffio o ammaccatura, al sicuro nei boschi a occidente, estreme propaggini settentrionali della Long Forest, dove avrebbero trovato un giaciglio per quella tiepida notte di giugno e contato perdite e guadagni, questi ultimi piuttosto cospicui. Non potevano più tornare all'abbazia o in città, ormai, ma comunque il giochetto sarebbe potuto durare ancora una sera, tutt'al più. Tre sere erano già il massimo su cui si potesse fare affidamento, prima che qualche pollo spennato cominciasse a insospettirsi. E nemmeno potevano avventurarsi di nuovo al sud. Ma chi vive di espedienti deve essere sveglio e adattabile e c'è più di un modo per guadagnarsi disonestamente da vivere.
Quanto ai giovani spacconi e agli ingenui mercanti che avevano sognato una messe di facili guadagni, si ritrovarono tutti al corpo di guardia dove furono strigliati, ammoniti e rimandati a casa col muso lungo e le tasche vuote.
E lì sarebbe finito il lavoro di quella notte se la luce di una torcia alla porta non avesse fatto lampeggiare un anello alla mano destra di Daniel Aurifaber, un cerchietto d'argento con un sigillo ovale. Come lo vide, Hugh posò una mano sul braccio dell'orafo, trattenendolo.
«Quell'anello... fatemelo vedere più da vicino.»
Daniel se lo sfilò dal dito, perplesso, ma più per lo stupore, parve, che per un senso di colpa. Gli andava di stretta misura e superò le nocche con qualche difficoltà, tuttavia nessun segno sul dito indicava che Daniel lo portasse da tempo.
«Come avete avuto questo anello?» domandò Hugh, esponendolo alla luce tremolante per esaminare l'incisione.
«L'ho comprato onestamente», chiarì Daniel, sulla difensiva.
«Oh, non ne dubito. Ma da chi? Da uno di quei bari? Da quale?»
«Dal mercante... Simeon Poer, ha detto di chiamarsi. Me lo ha offerto e ho visto subito che è un ottimo lavoro. Gliel'ho pagato bene.»
«Lo avete pagato due volte, amico», osservò Hugh, «perché ora sembra molto probabile che abbiate a perdere anello, denaro e tutto. Non vi è passato per la mente che potesse essere stato rubato?»
Un breve, nervoso sbatter d'occhi dell'orafo lasciò intendere che quel pensiero gli era venuto, sì, anche se lo aveva scacciato subito. «No! Perché mai avrei dovuto pensare una cosa simile? Quel Poer sembrava un uomo solido, agiato, come diceva di essere...»
«Proprio stamattina», spiegò Hugh, «un anello come questo è stato rubato a un pellegrino, durante la messa all'abbazia, e dopo le accurate quanto inutili ricerche entro le sue mura, l'abate Radulfus ha informato del furto il borgomastro, per il caso che qualcuno cercasse di venderlo. Io ho avuto la descrizione di questo anello da lui stesso. Lo stemma e il motto sono quelli del vescovo di Winchester, che lo aveva donato a quel pellegrino come salvacondotto per il suo viaggio.»
«Ma io l'ho comprato in buona fede!» protestò Daniel sbigottito. «Ho pagato quello che il mercante mi ha chiesto: è mio, l'ho avuto onestamente.»
«Da un ladro. Siete stato sfortunato, amico, e questo forse vi insegnerà ad andare cauto, in avvenire, con improvvisati conoscenti che vi offrono anelli a un prezzo... non è così?... inferiore a quello che sapete essere il loro valore. Viaggiatori troppo pronti con i dadi non danno niente per niente, ma arraffano tutto quello che possono. Se vi hanno vuotato la borsa, state attento la prossima volta. Quest'anello deve essere consegnato all'abate, domattina. Penserà lui a restituirlo al suo proprietario.» Vide l'orafo trattenere il respiro, adirato per quello che considerava un torto, e scosse la testa, non senza una certa benevolenza. «Non c'è rimedio, Daniel. Mordetevi la lingua e andate a far pace con vostra moglie.»
Nel buio crescente, l'inviato dell'imperatrice salì il Wyle al fianco di Hugh, tenendo il proprio cavallo al passo con quello, un po' più piccolo, dello sceriffo. Cavallo e cavaliere stavano bene insieme: il primo un bell'animale alto e nervoso; il secondo giovane, snello, con gambe e braccia lunghe. A piedi, pensò Hugh guardandolo di sottecchi, mi sorpasserebbe di tutta la testa. Della mia stessa età, uno o due anni di più al massimo.
«Siete mai stato a Shrewsbury?»
«No, mai. Credo di essere stato in questa contea, una volta, ma non ne sono certo perché non so dove sia esattamente il confine. Ero vicino a Ludlow. Questa vostra abbazia, l'ho notata arrivando, è molto bella, grande. Benedettina, vero?»
«Sì.» Hugh si aspettava altre domande, ma l'altro non ne fece alcuna. «Avete forse qualche parente in quest'ordine?»
Anche nel buio, poté scorgere il sorriso assorto del suo compagno. «In un certo senso, sì. Penso che mi permetterebbe di chiamarlo così, anche se in realtà non v'è alcuna parentela. Un monaco che mi ha trattato come un figlio. Conservo un certo affetto per l'abito, per amor suo. Ho sentito che vi sono molti pellegrini, qui, in questo momento. C'è qualche festa particolare?»
«Sì, per la traslazione di santa Winifred, che è stata portata qui dal Galles quattro anni fa. Domani è l'anniversario del suo arrivo.» Hugh aveva soltanto ripetuto ciò che dicevano tutti, dimentico di quanto gli aveva confidato Cadfael a proposito di quell'arrivo, ma le sue stesse parole glielo riportarono bruscamente alla memoria. «Io non ero a Shrewsbury, allora», disse, in tono neutro. «Ho messo i miei possedimenti a disposizione di re Stefano soltanto l'anno seguente. Le mie terre sono a nord della contea.»
Erano arrivati al sommo della collina e svoltarono verso la chiesa di Saint Mary. Il portone della casa di Hugh era spalancato, con torce accese ai due lati, in attesa del loro arrivo. Aline aveva ricevuto a tempo debito il messaggio del consorte e li stava aspettando con le doverose cerimonie: la camera per l'ospite in perfetto ordine, la cena pronta per essere servita. Nel pieno rispetto dei doveri e dei privilegi dell'ospitalità.
Andò loro incontro alla porta, spalancandola in segno di benvenuto e, come furono nel salone, brillantemente illuminato dalle torce alle pareti e dalle candele sulla tavola, i due uomini si voltarono d'istinto a guardarsi per la prima volta in viso. E rimasero a fissarsi per un lungo momento, spalancando gli occhi. Quale dei due avesse riconosciuto per primo l'altro, sarebbe stato difficile dirlo. I ricordi si ridestarono quasi furtivamente, mentre Aline li osservava in silenzio, sorridendo incuriosita e volgendo lo sguardo dall'uno all'altro, in attesa di un gesto o di una parola che potessero illuminarla.
«Ma io vi conosco!» proruppe finalmente Hugh. «Ora che vi vedo, vi riconosco.»
«Sì, ricordo anch'io di avervi già incontrato», convenne l'ospite. «Sono stato in questa contea una sola volta, eppure...»
«Non potevo riconoscervi al buio perché avevo udito la vostra voce soltanto una volta, e per breve tempo. Voi probabilmente non ve lo rammentate, ma io sì. Sei parole in tutto. 'Adesso devi vedertela con un uomo!' Così avete detto. E il vostro nome... Conosco soltanto quello col quale vi eravate presentato allora: Robert, il figlio del guardaboschi che portò in salvo Yves Hugonin dalla fortezza di quei predoni lassù sul Titterstone Clee, riportandolo poi a casa insieme con sua sorella.»
«E voi siete l'ufficiale che pose l'assedio alla fortezza, offrendomi così la copertura di cui avevo bisogno», esclamò l'ospite, raggiante. «Perdonatemi se non vi ho rivelato chi ero, allora, ma ero là clandestinamente e sono così felice, ora, di avervi incontrato di nuovo in una situazione normale, quando non ho alcun bisogno di fuggire!»
«Né alcun bisogno di farvi chiamare Robert, figlio del guardaboschi», aggiunse Hugh sorridendo. «Il mio nome lo conoscete e questa casa è a vostra disposizione. Posso conoscere il vostro, ora?»
«Ad Antiochia, dove sono nato, il mio nome era Daoud. Ma mio padre era inglese, un crociato al seguito di Roberto di Normandia, e più tardi mi sono convertito al cristianesimo e ho preso il nome del prete che mi ha tenuto a battesimo. Olivier. Ora sono Olivier de Bretagne.»
Dopo cena, rimasero a lungo seduti insieme, godendo della reciproca compagnia, un anno e mezzo dopo quel primo, fugace incontro che aveva lasciato in loro una scia di ricordi e di interrogativi.
Il primo argomento, naturalmente, fu la missione di Olivier in quella contea.
«Il mio compito», spiegò, «è quello di invitare tutti gli sceriffi a riflettere se, a chiunque abbiano fatto atto d'omaggio, non convenga loro accettare la pace offerta dall'imperatrice Maud e giurare fedeltà a lei. Questo è anche il messaggio del vescovo e del concilio. Questo paese è già stato lacerato troppo a lungo tra due fazioni, soffrendo danni e perdite gravissimi. Ora non voglio biasimare la parte avversa alla mia, perché entrambe possono vantare validi diritti ed entrambe sono da biasimare per non aver saputo raggiungere un accordo che ponesse termine a tante sventure. A Lincoln la fortuna avrebbe anche potuto arridere alla parte avversa, ma non è stato così e l'Inghilterra si ritrova ora con un re prigioniero e una regina eletta, libera e in ascesa. Non sarebbe ora di fermarsi? Per amore dell'ordine e della pace, per un sano ordinamento del regno e per la costituzione di un governo capace di eliminare ingiustizie e dispotismi nati - lo sapete come lo so io - al di fuori di ogni legge. Un governo forte è senza dubbio da preferire alla mancanza di un governo. Per amore dell'ordine e della giustizia, non vorreste accettare l'imperatrice e continuare a reggere questa contea in suo nome? Ella è già a Westminster, ormai, e i preparativi per la sua incoronazione sono già avviati, eppure le prospettive di successo sarebbero molto migliori se tutti gli sceriffi si schierassero dalla sua parte.»
«Mi state chiedendo di ritrattare la fedeltà che ho giurato a re Stefano?»
«Sì», ammise onestamente Olivier. «Per motivi molto gravi. Non sarebbe un tradimento. Non si tratterebbe di amare, ma soltanto di non odiare. Vedetelo come un modo di restare fedele alla gente della vostra contea, a questa terra.»
«Questo posso farlo altrettanto bene o anche meglio restando dalla parte da dove ho cominciato», ribatté Hugh sorridendo. «Ed è quello che sto facendo, quanto meglio mi è possibile. Ed è quello che continuerò a fare, fino all'ultimo respiro. Sono un uomo di re Stefano e non lo abbandonerò.»
«Oh, bene!» disse Olivier, sorridendo e sospirando a un tempo. «Per essere sincero, ora che vi ho conosciuto, non mi aspettavo altro. Nemmeno io verrei meno al mio giuramento. Il mio signore è un uomo dell'imperatrice e io sono un uomo del mio signore: se le nostre posizioni fossero rovesciate, la mia risposta non sarebbe stata diversa dalla vostra. Eppure c'è del vero in quanto ho detto. Fino a che punto può sopportare un popolo? I vostri contadini, gli abitanti delle vostre città che hanno soltanto i loro scarsi mezzi di sussistenza di cui essere depredati accetterebbero ben volentieri tanto Stefano quanto Maud, soltanto per liberarsi di Maud o di Stefano. E io farò ciò che mi hanno incaricato di fare, quanto meglio potrò.»
«Niente da obiettare né per ciò che fate né per il modo in cui lo fate», dichiarò Hugh. «Dove andrete, dopo? Benché io speri che non ve ne andiate troppo presto. Vorrei conoscervi meglio, e abbiamo tante cose di cui parlare.»
«Da qui andrò a nord-est, a Stafford, Derby, Nottingham, poi tornerò percorrendo le regioni orientali. Con alcuni si raggiungerà un accordo, come è già stato fatto con qualche signore. Altri resteranno fedeli al loro re, come voi. Altri ancora faranno come hanno sempre fatto, girando da una parte all'altra come banderuole e chiedendo un prezzo a ogni giravolta. Non importa, cambiamo discorso, ora.»
Olivier si chinò sul tavolo, mettendo da parte il suo bicchiere di vino. «Avrei un altro compito da svolgere, personale, e sarei felice di poter restare con voi per qualche giorno, finché non avrò trovato ciò che cerco o mi sia accertato che non si trova qui. Mi avete dato un filo di speranza, quando avete parlato di quell'afflusso di pellegrini. Un uomo che voglia nascondersi potrebbe sparire benissimo fra tanta gente, fra tante persone assolutamente sconosciute l'una all'altra. Ebbene, io sto cercando un giovane che si chiama Luc Meverel. Non ne avete sentito parlare, per caso?»
«Il nome non l'ho mai sentito», rispose Hugh, interessato e incuriosito. «Ma un uomo che voglia far perdere le proprie tracce probabilmente si cambierebbe anche il nome. Perché lo cercate?»
«Per conto di una signora. Forse quassù al nord, tanto lontano, non sapete tutto ciò che è accaduto a Winchester durante il concilio. È stata uccisa una persona che mi era molto vicina. Lo avete saputo? La regina consorte di re Stefano aveva mandato là il suo segretario con l'incarico di contestare l'autorità del legato pontificio, ma la stessa sera egli è stato aggredito per la strada per la sua audacia ed è riuscito a salvarsi a costo della vita di un'altra persona.»
«Sì, lo abbiamo saputo», assentì Hugh sempre più interessato. «Al concilio ha partecipato anche l'abate Radulfus che ci ha riferito ogni cosa. L'ucciso era un cavaliere, Rainald Bossard, accorso in aiuto dell'uomo aggredito. Un cavaliere al servizio di Laurence d'Angers, pare.»
«Che è anche il mio signore.»
«Questo lo avevamo capito da quanto avevate fatto per suo nipote a Bromfield. Ho pensato subito a voi, quando l'abate ha accennato a d'Angers, benché non conoscessi il vostro nome. Sicché, quel Bossard lo conoscevate bene.»
«Ero stato con lui per un anno in Palestina e poi durante il viaggio in Inghilterra. Un uomo tanto buono, un amico carissimo per me, ucciso così, per essere accorso in difesa di un onesto avversario. Io non ero con lui, quella notte. Se ci fossi stato, forse sarebbe ancora vivo. Ma aveva con sé soltanto uno o due dei suoi, e non armati. Gli aggressori del segretario erano cinque o sei, è stata una lotta impari, nell'oscurità. E l'assassino è riuscito a cavarsela, senza lasciare tracce. La moglie di Rainald... Juliana... io l'ho conosciuta soltanto quando siamo andati col nostro signore a Winchester: il maniero principale di Rainald è poco lontano da lì. E...» la voce di Olivier si fece più grave, «nutro la massima stima per lei. Era la compagna perfetta per il suo signore, nessuno potrebbe dire di più o di meglio sul suo conto.»
«C'è qualche erede, adulto o bambino?» domandò Hugh.
«No, non hanno avuto figli. Rainald aveva quasi cinquant'anni e lei non può averne molti di meno. Ma è bellissima», precisò Olivier in tono austero, come intendesse fare non un elogio bensì una semplice constatazione. «E adesso che è vedova, avrà da lottare per non essere costretta a sposarsi di nuovo. Lei non vuole più nessuno, dopo Rainald. Possiede ella pure terre e castelli e un anno fa, lei e il marito, pensando all'eredità, avevano deciso di prendere con sé questo Luc Meverel, lontano cugino di monna Juliana, che ha ventiquattro o venticinque anni, penso, e non possiede terre proprie. Intendevano nominarlo loro erede universale.»
Olivier rimase in silenzio per qualche minuto, col mento posato su una mano, lo sguardo perduto oltre le candele sgocciolanti. Hugh approfittò di quel silenzio per osservarlo attentamente. Un viso che meritava di essere studiato. Tratti netti, olivastro, di una fiera bellezza, con gli occhi dorati di un falco. Alla luce tremolante delle candele, i capelli nerissimi, aderenti al capo come ali ripiegate, mandavano riflessi bluastri. Daoud, nato ad Antiochia, figlio di un crociato inglese al seguito di Roberto di Normandia, scaraventato attraverso mezzo mondo per ritrovarsi al servizio di un barone angioino, diventando più normanno di un normanno... Il mondo, rifletté Hugh, non è poi tanto grande che un uomo avventuroso non possa scavalcarlo.
«Io sono stato tre volte in quella dimora», riprese Olivier, «eppure non mi è mai accaduto di vedere questo Luc Meverel. Di lui so soltanto ciò che ho udito dagli altri, comunque senza prendere tutto come oro colato. Nessuno, uomo o donna, mette in dubbio che fosse profondamente devoto a monna Juliana, ma quanto al genere di tanta devozione... Molti dicono che l'amasse fin troppo, non esattamente di un amore filiale, mentre altri sostengono che fosse altrettanto leale nei confronti di Rainald, ma queste voci si vanno affievolendo. Luc era con lui la sera in cui fu ucciso. E due giorni dopo è scomparso e non se ne è più saputo niente.»
«Comincio a capire», mormorò Hugh, cauto. «Qualcuno si è spinto tanto oltre da insinuare che abbia ucciso il suo signore per ottenere la sua signora?»
«Si è cominciato a dirlo dopo la sua fuga. Dove e come sia nata questa voce non si sa, ma ora sta diventando un urlo.»
«In tal caso perché mai sarebbe fuggito lontano dal premio per il quale aveva giocato? Se non fosse fuggito, quelle voci non sarebbero neppure nate.»
«Oh, credo di sì, anche se fosse rimasto. Erano in tanti a invidiare la sua fortuna, e sarebbero ricorsi a qualsiasi mezzo per screditarlo. Hanno trovato due buoni motivi per la sua fuga. Senso di colpa e rimorso quand'era ormai troppo tardi per tutti, oppure paura... La paura che qualcuno avesse avuto sentore della sua azione e intendesse scoprire la verità a ogni costo. Due motivi più che sufficienti per darsi alla fuga. Quello per cui si uccide può sembrare ancora più irraggiungibile dopo che si è ucciso», fece notare Olivier con amaro intuito.
«Ma la signora che cosa dice? La sua opinione è senza dubbio la più importante di cui tener conto.»
«Lei sostiene che sono tutte vili calunnie. Ha sempre avuto, ha tuttora grande stima del suo giovane cugino, gli vuole bene, ma non in quel senso, né potrebbe mai credere che gliene volesse lui a quel modo. Dice che Luc sarebbe morto per il suo signore e che è stata proprio la sua morte che lo ha spinto alla fuga, sconvolto dal dolore, forse avvilito e tormentato. Perché Luc era là, quella sera, e ha visto morire il suo signore. Monna Juliana è sicura di lui. Vuole riaverlo con sé. Lo considera un figlio e ora più che mai ha bisogno di lui.»
«Per lei dunque lo state cercando. Ma perché qui al nord? Potrebbe essere andato a sud, a est, essersi imbarcato su una nave in qualche porto del Kent. Perché a nord?»
«Perché abbiamo avuto qualche vaga notizia di lui, dopo la sua scomparsa. Pare che qualcuno lo abbia visto diretto al nord, lungo la strada di Newbury. Io sono venuto per la stessa via, passando per Abingdon e Oxford, chiedendo di lui dappertutto, un uomo giovane che viaggia solo. Ma io lo cerco sotto il nome che conosco, naturalmente, mentre, come avete osservato voi, potrebbe farsi chiamare chissà come!»
«E non sapete neppure quale sia il suo aspetto... nient'altro che la sua età? State dando la caccia a uno spettro!»
«Ciò che si è perso può sempre essere ritrovato, è soltanto questione di pazienza.» Il viso da falco di Olivier, appuntito e appassionato, non induceva certo a pensare alla pazienza, ma l'atteggiamento caparbio delle sue labbra suggeriva in compenso un'irriducibile fermezza.
«Bene», riprese Hugh, «domani se non altro potremo scendere ad assistere alla traslazione di santa Winifred al suo altare, e fratello Denis potrà controllare sul registro dei suoi pellegrini se c'è qualcuno dell'età e del tipo giusti, che viaggi solo o no. Quanto ai forestieri qui in città, penso che messer Corviser, il borgomastro, possa essere in grado di individuarne la maggior parte. Ci si conosce tutti, qui a Shrewsbury. Ma il rifugio più probabile è l'abbazia, se il vostro Luc è davvero qui.» Rifletté per qualche momento, mordicchiandosi un labbro. «Domattina dovrò mandare subito l'anello all'abate e informarlo di quanto è accaduto ai suoi ospiti scomparsi ma, prima di scendere per la festa, dovrò mandare un manipolo di uomini a perlustrare il bosco alla ricerca della mia selvaggina. Se hanno già varcato il confine, tanto peggio per il Galles, io non potrò fare altro, ma dubito che intendano restare alla macchia più a lungo dello stretto necessario. Non potranno andare molto lontano. Che ne direste se vi lasciassi col borgomastro, in modo che possiate strizzargli il cervello riguardo al vostro fuggiasco, mentre io vado a dare la caccia ai miei? Poi scenderemo insieme per assistere alla processione e parlare con fratello Denis del suo elenco degli ospiti.»
«Per me andrebbe benissimo», ribatté Olivier, soddisfatto. «Gradirei anche porgere i miei omaggi al padre abate che ricordo di avere visto a Winchester, benché lui non mi abbia notato. E c'è anche un altro fratello, all'abbazia», aggiunse, abbassando sugli occhi dorati le ciglia nere tanto lunghe da sfiorargli gli zigomi, «quello che era con voi a Bromfield e su al Clee, quella volta... Dovete conoscerlo bene, voi. È ancora qui?»
«Certo. A quest'ora se ne sarà tornato a letto dopo le laudi. E sarà meglio che noi facciamo altrettanto, domattina avremo parecchie cose da sbrigare.»
«Ha avuto molta cura dei nipoti del mio signore», mormorò Olivier assorto. «Lo rivedrei molto volentieri.»
Non era necessario chiedere il nome, pensò Hugh, guardandolo con un sorriso pensoso. Del resto, chissà se lo conosceva! Non aveva fatto alcun nome quando aveva parlato del monaco che non era suo parente, eppure lo aveva trattato come un figlio, un monaco grazie al quale aveva imparato a nutrire un profondo rispetto per l'abito benedettino.
«Lo rivedrete di certo!» esclamò alzandosi, con profonda soddisfazione, per accompagnare l'ospite nella camera preparata per lui.
CAPITOLO VIII
Il giorno della festa, l'abate Radulfus si alzò con largo anticipo sulla Prima, e altrettanto fecero i confratelli, che avevano tutti compiti molto importanti nei preparativi per la processione. Quando giunse il messaggero di Hugh Beringar, l'alba era appena sorta, fresca e rugiadosa, illuminando i tetti ma lasciando la corte principale ancora immersa in un'ombra violetta, mentre nei giardini alberi e cespugli proiettavano lunghi fasci scuri che rigavano le aiuole fiorite come pennellate gigantesche su un fondo dorato.
L'abate ricevette l'anello con stupefatto compiacimento, felice di veder sparire l'unica macchia che avrebbe potuto offuscare lo splendore di quella giornata. «E quei malfattori erano ospiti nella nostra casa, avete detto? Meno male che ce ne siamo liberati... Tuttavia, se, come dite, sono armati e si sono rifugiati nei boschi vicini, bisognerà informarne i pellegrini, quando se ne andranno.»
«Il mio signore Beringar ha già provveduto a mandare una compagnia a perlustrare i margini della foresta», spiegò il messaggero. «Sarebbe stato inutile cercare di seguire le loro tracce durante la notte, ma con la luce del giorno si può sperare di scovarli. Se riusciremo a prenderli, si potrà saperne di più sul loro conto - chi sono veramente, da dove vengono, se hanno da rispondere di qualcosa altrove -; comunque almeno non potranno guastare la vostra festa.»
«E per questo ringrazio il Cielo. Come farà certo quel Ciaran per avere ritrovato il proprio anello.» L'abate gettò un'occhiata al breviario che era sul suo scrittoio, corrugando la fronte al pensiero dell'onere di tutte le cerimonie che lo aspettavano nelle prossime ore, prima di aggiungere: «Non vedremo lo sceriffo qui a messa, stamattina?»
«Certo, padre, verrà senza alcun dubbio. E porterà con sé anche un ospite. Ha dovuto provvedere a mettere in moto la caccia a quei banditi, prima, ma per la messa sarà qui.»
«Con un ospite?»
«La notte scorsa è giunto in città un inviato della corte dell'imperatrice, padre. Un uomo della casa di Laurence d'Angers, Olivier de Bretagne.»
Il nome che non aveva detto niente a Hugh non disse molto di più a Radulfus, che tuttavia fece un cenno di assenso come se lo ricordasse. «Allora dite a Hugh Beringar che lo prego di trattenersi qui dopo la messa insieme col suo ospite e di voler pranzare con me. Sarò felice di conoscere messer de Bretagne e udire le notizie che porta.»
«Lo farò senz'altro, padre.» E il messaggero si congedò con un profondo inchino.
Rimasto solo nel parlatorio, l'abate Radulfus rimase per un momento a osservare soprappensiero l'anello. La mano protettrice del legato pontificio sarebbe stata certo una potente difesa per il viaggiatore che aveva ricevuto tale segnalato favore, ovunque esistesse ordine o rispetto per le leggi, in Inghilterra come nel Galles. Solo chi fosse già fuori della legalità, chi già rischiasse la prigionia o la morte in caso di cattura, avrebbe osato sfidare tale sacra egida. Tuttavia, rifletté l'abate, prima che i suoi ospiti si rimettessero in viaggio, concluse le feste, non doveva dimenticare di avvertirli che nei boschi a ovest della città potevano forse annidarsi malfattori armati e provetti nell'uso delle proprie armi. Sarebbe stato meglio per i pellegrini partire in gruppi abbastanza numerosi: avrebbero così scoraggiato possibili aggressioni.