ELLIS PETERS

IL PELLEGRINO DELL'ODIO

(The Pilgrim Of Hate, 1984)

 

CAPITOLO I

 

Erano insieme nella capanna di fratello Cadfael, nell'erbario, il pomeriggio del venticinque maggio, e discorrevano di alti affari di Stato, di re e imperatrici, e delle contrastanti vicende che affliggevano gli irreconciliabili contendenti al trono.

«Bene, la signora non è stata ancora incoronata!» osservò Hugh Beringar con fermezza, quasi avesse avuto lui un modo per impedirlo.

«Non è neppure a Londra, ancora», convenne Cadfael, rimescolando con cura la pentola immersa fra i carboni del suo braciere per impedire che il contenuto si attaccasse ai lati e bruciasse. «E non potrà essere incoronata finché non la lasceranno entrare a Westminster, cosa che, a quanto ne so, non sembrano affatto ansiosi di fare.»

«Chi ha freddo si mette dove splende il sole», mormorò mestamente Hugh. «Ma la mia causa, amico mio, è lontana dal sole. Quando Enrico di Blois si muove, tutti gli uomini lo seguono, come affamati ammucchiati nello stesso letto. Lui alza la coperta e loro vanno con lui, aggrappandosi agli orli.»

«Non tutti», obiettò il monaco, sorridendo brevemente mentre rimescolava. «Voi, per esempio. Pensate forse di essere il solo?»

«Dio guardi!» E Hugh scoppiò improvvisamente a ridere, scrollandosi di dosso la tristezza. Si allontanò dalla porta aperta, dove la luce limpida stendeva un morbido splendore dorato sui cespugli e le aiuole dell'erbario e l'aria umida del meriggio faceva scaturire inebrianti ondate di profumi soavi e penetranti, e abbandonò di nuovo il suo corpo snello sulla panca contro la parete di tronchi, stendendo sul pavimento di terra le gambe calzate di stivali. Un uomo piccolo in un senso solo, e perfettamente proporzionato. La sua statura modesta e la sua figura esile avevano tratto in inganno più di un avversario, a proprio danno. La luce del sole, mossa dalla brezza che faceva ondeggiare i cespugli e riflessa da una delle grandi caraffe di vetro di Cadfael, illuminava un viso scarno e abbronzato, perfettamente rasato, dalla bocca mobilissima e dalle agili sopracciglia nere pronte a inarcarsi con espressione scettica fino alla radice dei capelli corti. Un viso a un tempo espressivo e imperscrutabile. Fratello Cadfael era uno dei pochi che sapessero leggerlo. Forse nemmeno Aline, sua moglie, capiva meglio Hugh. Cadfael aveva sessantadue anni e Hugh uno o due meno di trenta, ma quando si trovavano lì fra le erbe nel laboratorio di Cadfael, si sentivano coetanei.

«No», riprese Hugh soppesando le circostanze e traendone un certo cauto conforto, «non tutti. C'è ancora qualcuno di noi, e in posizione non troppo negativa per conservare ciò che abbiamo. La regina è nel Kent col suo esercito. Robert di Gloucester non volterà le spalle per venire qui a dare la caccia a noi mentre lei si trova ai margini meridionali di Londra. E con i gallesi di Gwynedd che ci coprono le spalle contro il conte di Chester, noi saremo in grado di conservare questa contea per re Stefano in attesa del momento buono. La fortuna che ha girato le spalle una volta può girarle una seconda. E l'imperatrice non è ancora regina d'Inghilterra.»

Tuttavia, pensò Cadfael rimestando in silenzio la sua miscela, destinata ai vitelli di fratello Aylwin colpiti da dissenteria, cominciava a sembrare che lo sarebbe stata ben presto. Tre anni di guerra civile fra due cugini in lotta per il regno d'Inghilterra non erano certo serviti a riconciliare le opposte fazioni, ma soltanto a far soffrire la popolazione costringendola a vivere in un clima d'incertezza, segnato da rapine e uccisioni. L'artigiano in città, il contadino nei campi, il servo della gleba nella proprietà terriera del signore sarebbero stati ben contenti di qualunque monarca che garantisse loro un paese tranquillo e ordinato in cui svolgere la propria modesta attività. Ma per un uomo come Hugh la situazione era ben diversa. Lui era un uomo di re Stefano, ora anche suo sceriffo per lo Shropshire, che aveva giurato di conservare per il suo re. Un re prigioniero nel castello di Bristol dopo la battaglia perduta di Lincoln. Era bastata una giornata dello scorso febbraio perché le fortune dei due pretendenti al trono si capovolgessero. L'imperatrice Maud era su, alta nel cielo, e Stefano, per quanto incoronato e consacrato, giù nel fango, in catene e guardato a vista, e suo fratello Enrico di Blois, vescovo di Winchester e legato del papa, di gran lunga il più influente dei magnati e finora sostenitore del fratello, si ritrovava in un grave dilemma. Poteva comportarsi da eroe e tener fede con dichiarata fermezza alla sua causa, incorrendo così nella formidabile animosità di una signora in ascesa che poteva essere molto pericolosa, oppure orientare diversamente le vele e rimediare ai rovesci di fortuna schierandosi al fianco dell'imperatrice. Con discrezione, naturalmente, e con le argomentazioni adatte a far apparire pienamente rispettabile il suo voltafaccia. Era anche possibile, pensò Cadfael, desideroso di rendere giustizia persino ai vescovi, che Enrico avesse sinceramente a cuore l'ordine e la pace e fosse pronto a sostenere quello, dei due contendenti, che sarebbe stato in grado di restaurarli.

«Ciò che mi cruccia», riprese Hugh inquieto, «è il fatto di non poter avere notizie affidabili. Voci ne corrono tante, sì, fin troppe, ognuna in totale contrasto con la precedente, ma niente di cui ci si possa fidare. Sarò l'uomo più felice del mondo quando tornerà l'abate Radulfus.»

«Lo saranno anche tutti i fratelli di questa casa», convenne con calore il monaco. «Eccettuato Jerome, forse, che è al settimo cielo quando è il priore Robert a fare le sue veci. In questo periodo, da quando cioè l'abate è stato chiamato a Winchester, è l'immagine della felicità. Ma il governo di Robert è molto meno gradito a tutti gli altri, credetemi.»

«Da quanto tempo è lontano, ormai? Sette od otto settimane, vero? Il legato del papa va tenendo la sua corte ben fornita di mitre e pastorali! Mantenere in gran pompa il proprio Stato gli è senza dubbio di aiuto nel confrontarsi con quello dell'imperatrice. Non è uomo da piegare la propria dignità davanti ai principi, Enrico, e sente il bisogno di avere alle spalle tutto il peso possibile.»

«Tuttavia lascia che una parte del suo clero si disperda, ora», osservò Cadfael. «E con questo può avere raggiunto una sorta di transazione. O forse è stato ingannevolmente indotto a pensare di averla raggiunta. Il padre abate ha mandato notizie da Reading. Dovrebbe essere qui nel giro di una settimana. Non potreste certo trovare un testimone migliore.»

Il vescovo Enrico era stato bene attento a mantenere nelle proprie mani la direzione degli eventi. Chiamando tutti i prelati e gli abati mitrati a Winchester, ai primi di aprile, e dichiarando con fermezza che si trattava di un sinodo legatizio e non di una semplice assemblea ecclesiastica, si era assicurata la supremazia nelle successive discussioni e la precedenza sull'arcivescovo Theobald di Canterbury che, in materie riguardanti esclusivamente la Chiesa inglese, sarebbe stato suo superiore. Poco male, forse. Cadfael dubitava che a Theobald importasse granché di essere aggirato. In quelle circostanze, un uomo quieto e timoroso poteva essere ben contento di restarsene tranquillamente nell'ombra, lasciando il legato pontificio esposto all'ardore del sole.

«Lo so. Non appena avrò udito da lui come sono andate le cose laggiù al sud, potrò adottare i provvedimenti del caso. Siamo abbastanza fuori mano, qui, e la regina, che Iddio la guardi, può disporre di forze ragguardevoli, ora che ha quelle dei fiamminghi salvatisi da Lincoln da aggiungere alle proprie. Smuoverà cielo e terra per liberare Stefano, con qualsiasi mezzo, leale o no. È un soldato più in gamba del suo signore», dichiarò Hugh con profonda convinzione, «e sì che è stato il miglior combattente in campo... Si dovrebbe cercare in tutta l'Europa per trovarne un altro come lui. Se lo aveste visto a Lincoln... Meraviglioso! Ma la regina è un generale più abile. Persegue accanitamente il proprio scopo, mentre lui si stanca e corre dietro a un'altra selvaggina. Mi dicono, e lo credo, che stia portando il suo cordone sempre più vicino a Londra, a sud del fiume. Quanto più vicino sarà la sua rivale a Westminster, tanto più si stringerà il cappio.»

«Ma è certo che i londinesi siano d'accordo di lasciar entrare in città l'imperatrice? Sappiamo che sono arrivati in ritardo al sinodo e che hanno avanzato qualche lamentela per Stefano prima di lasciarsi sottomettere. Ci vuole certo un bel coraggio per affrontare a faccia a faccia Enrico di Winchester e contraddirlo», sospirò Cadfael.

«Hanno accettato di ammetterla, il che equivale a riconoscerla, ma hanno posto determinate condizioni, a quanto ho saputo, e ogni ritardo è tanto di guadagnato per Stefano e per me.» La luce danzante riflessa dal vetro metteva a un tratto in risalto ogni tratto del viso concentrato ed eloquente di Hugh. «Se soltanto potessi far entrare a Bristol un uomo fidato! Vi sono molte maniere per introdursi nei castelli, anche nelle segrete. Due o tre uomini discreti e in gamba potrebbero farcela. Una manciata d'oro a un carceriere scontento... Altri re sono già stati liberati, persino dalle catene, e lui non è incatenato. L'imperatrice non è ancora arrivata a tanto. Oh, Cadfael, io sto sognando! Il mio posto è qui, e io sono a malapena all'altezza. E nemmeno ho i mezzi per fare qualcosa a Bristol.»

«Una volta liberato», convenne Cadfael, «il vostro re avrà bisogno di essere sicuramente padrone in questa contea.»

Levò dal braciere la sua pentola e la posò a raffreddarsi sopra una lastra di pietra che teneva per quello scopo. La sua schiena scricchiolò un poco mentre si rialzava. Di tanto in tanto cominciava a sentire i suoi anni, ma una volta dritto in piedi era vigoroso come sempre.

«Bene, questa è fatta», riprese strofinandosi le mani per cancellarne i segni lasciati dal mestolo. «Venite, usciamo a vedere i fiori che stiamo preparando per la grande festa di santa Winifred. Il padre abate tornerà certo in tempo per presiedere al suo trasporto da Saint Giles e avremo la casa piena di pellegrini cui provvedere.»

 

Avevano portato il reliquiario della santa gallese da Gwytherin, dov'era sepolta, quattro anni avanti e l'avevano collocata sull'altare nella chiesa dell'ospedale di Saint Giles, al margine del Foregate, il sobborgo di Shrewsbury dove venivano ricoverati e assistiti i malati contagiosi, i deformi, i lebbrosi che non potevano avventurarsi entro le mura della città. Di là poi la bara splendente con le sante reliquie era stata trasferita per qualche tempo, in gran pompa, sul suo altare nella chiesa dell'abbazia, come un ornamento miracoloso, strumento di benedizioni e di guarigione per i bisognosi venuti a visitarla reverentemente. E quell'anno si era deciso di ripetere la traslazione, di portare la santa in processione da Saint Giles e di riaprire il suo altare per tutti coloro che venissero a pregare e a portare offerte. Ogni anno essa aveva attirato una grande quantità di pellegrini. Quell'anno sarebbero stati una legione.

«Verrebbe fatto di chiedersi», osservò Hugh piantato a gambe divaricate fra le aiuole di fiori che stavano passando dai teneri colori della primavera a quelli ardenti dell'estate, «se non stiate preparando piuttosto uno sposalizio.»

C'erano siepi di nocciolo e candidi petali di biancospino sparsi e amenti verde-argento dondolanti tutt'intorno al recinto dove si trovavano, primavere odorose che costellavano il prato più oltre e fitti giaggioli in boccio sui loro steli rigidi. Anche le rose erano una messe di boccioli eretti e pronti ad aprirsi sfoggiando i primi colori. Nel rifugio recintato dell'erbario di Cadfael v'erano persino turgidi globi di peonie che cominciavano a spaccare le loro guaine verdi. Cadfael sapeva ricavare farmaci d'ogni genere dai loro semi e fratello Petrus, il cuoco dell'abate, li usava come spezie per le sue vivande.

«Uno sposo potrebbe non essere troppo lontano, se è per questo», ribatté il monaco osservando compiaciuto i frutti delle sue fatiche. «Uno sposalizio purissimo ed eterno. Questa fanciulla gallese è rimasta vergine fino al giorno della sua morte.»

«E l'avete maritata voi dopo?»

Una domanda oziosa, fatta come reazione alle costanti riflessioni sugli affari di Stato. In un giardino come quello si poteva credere nella pace, nella fecondità e nell'amicizia. Ma la prima risposta fu un improvviso silenzio, così profondo e denso di significato che Hugh drizzò le orecchie, girando poi il capo a fissare l'amico con aria quasi furtiva, ancora prima della sua avventata risposta. Se avventata per mancanza di riflessione o per partito preso, non vi fu modo di capirlo.

«Maritata no», disse infatti Cadfael, «ma messa a letto, indubbiamente. Con un gran brav'uomo, anche, suo leale campione. Una ricompensa ben meritata.»

Hugh inarcò le sopracciglia in un'espressione interrogativa e girò di nuovo la testa a guardare, alle sue spalle, il lungo tetto della grande chiesa dell'abbazia, dove si riteneva che la sullodata signora dormisse dentro un reliquiario sigillato sopra il suo altare. Una raffinata bara lunga appena quanto bastava per contenere il piccolo corpo della santa gallese la cui ossatura, armoniosa e compatta, era tipica della sua razza.

«Non mi pare che possa esservi spazio per due, là dentro», osservò pacatamente.

«No, per due esseri grossi come noi, no, non là. Ma ve n'era più che a sufficienza dove li abbiamo messi.» Cadfael sapeva che l'amico lo stava ascoltando con estrema attenzione e con acuta intelligenza, anche se non ancora con totale comprensione.

«Mi state forse dicendo che la santa non è là in quel vostro elaborato reliquiario dove tutti sanno che è?» domandò Hugh con lo stesso tono soave.

«Posso dirvelo? Tante volte mi sono augurato che fosse possibile trovarsi in due posti contemporaneamente. Troppo arduo per me, è ovvio, ma forse possibile per un santo... Lei è rimasta là dentro per tre giorni e tre notti, questo lo so. E potrebbe pure avervi lasciato qualche brandello della sua santità... non foss'altro che in segno di ringraziamento per averla rimessa dove, credo tuttora e crederò sempre, desiderava restare. Ma ciò non ostante», ammise Cadfael scuotendo leggermente la testa, «c'è sempre una punta di dubbio che mi turba. E se mi fossi sbagliato?»

«In tal caso la vostra unica risorsa sarebbero la confessione e la penitenza», ribatté Hugh in tono un po' fatuo.

«Non finché fratello Mark non sarà ordinato prete a tutti gli effetti!» Il giovane Mark aveva lasciato la sua casa madre e il suo gregge a Saint Giles per recarsi presso il vescovo di Lichfield grazie a una generosa donazione che gli avrebbe consentito di seguire gli studi per raggiungere lo scopo di tutti i suoi desideri, scopo che risplendeva lontano eppure chiarissimo davanti a lui: il sacerdozio al quale Dio lo aveva destinato. «Serbo per lui tutti quei peccati che, forse a torto, non mi sembrano peccati. È stato la mia mano destra e un pezzo del mio cuore per tre anni e mi conosce meglio di chiunque altro al mondo. Tranne voi, forse...» si affrettò ad aggiungere Cadfael, guardando l'amico con espressione innocente. «Lui vedrà la verità dentro di me e io mi rimetterò al suo giudizio, accettando qualunque penitenza riterrà necessaria per assolvermi. Il giudizio potreste pronunciarlo anche voi, Hugh, ma non l'assoluzione.»

«E tanto meno la penitenza», ribatté Hugh ridendo. «Sicché ditelo a me e andatevene libero senza penale.»

L'idea di confidarsi con lui apparve inaspettatamente piacevole e accettabile al monaco. «È una storia lunga», disse quasi per metterlo in guardia.

«Allora è proprio il momento giusto, perché ciò che potevo fare qui l'ho già fatto: non mi resta altro che vigilare e avere pazienza; perché dovrei farlo annoiandomi quando potrei svagarmi con una bella storia interessante? E voi siete libero fino al vespro. Potreste persino acquistarvi qualche merito», aggiunse Hugh componendo il viso a una solennità sacerdotale, «scaricando la vostra anima sul braccio secolare. E io sarò segreto più di un confessionale.»

«Aspettate, allora, prendo un sorso di quel vino che sta maturando e ci mettiamo là sulla panca dove batte il sole di pomeriggio. Tanto vale che ce ne stiamo comodi mentre parlo.»

 

«È stato circa un anno prima che ci conoscessimo», cominciò Cadfael appoggiando le spalle contro il muro caldo e ruvido dell'erbario. «Allora non avevamo un nostro santo particolare, qui all'abbazia, e provavamo una certa invidia per Wenlock dove la comunità cluniacense aveva appena scoperto la propria fondatrice sassone, Milburga, e ne faceva un gran chiasso. Poi ci era pervenuto qualche segno quando un confratello malato era andato nel Galles per bagnarsi alla fonte miracolosa di Holywell, dove questa giovane Winifred era morta la prima volta, facendo scaturire dal terreno una sorgente risanatrice. La giovane aveva un suo patrono, san Beuno, che l'aveva subito riportata in vita, ma la sorgente era rimasta, operando prodigi. Così venne in mente al priore Robert che si sarebbe forse potuto ottenere che la signora, morta una seconda volta e sepolta a Gwytherin, venisse a portare la propria gloria qui da noi, a Shrewsbury. Chiamò anche me a far parte del gruppo che portò con sé per trattare coi parrocchiani e persuaderli a concederci le ossa della santa.»

«Tutto questo lo so già», l'interruppe Hugh. «Come lo sanno tutti, qui.»

«Certo, ma non conoscete il seguito. A Gwytherin c'era un signore gallese che si oppose strenuamente alla nostra richiesta e non ci fu verso di fargli cambiare idea né con la persuasione, né con la corruzione, né con le minacce. E morì, Hugh... assassinato. Per mano di uno di noi, un confratello di alto rango che aveva già messo gli occhi su una mitra. E quando il cerchio dei sospetti fu vicino a stringersi su di lui, si trattò di scegliere fra la sua vita e qualcosa di meglio. Il suo delitto aveva messo in pericolo due giovani, la figlia del signore e il suo innamorato che, alla vista della sua amata ferita e sanguinante, fu preso, con buona ragione, da un furioso impeto di collera. Ma lui non immaginava di essere tanto forte. L'assassino finì con il collo spezzato.»

«Quanti lo seppero?» domandò Hugh, con gli occhi pensierosamente socchiusi fissi sulle foglie lucenti dei cespugli di rose.

«Al momento, soltanto i due innamorati, il morto e io. E santa Winifred, naturalmente, che era già stata tolta dalla sua tomba e messa nella bara. Lei sapeva. Era lì, lei. Ero stato io a levarla dalla sua tomba, a ricomporla... e ne sono ancora felice... Dal momento in cui scoprii quelle esili ossa sentii nelle mie che esse desideravano soltanto essere lasciate in pace. Era un cimitero così piccolo, naturale e quieto, con la piccola chiesa fuori uso da gran tempo, con fiori di prato dappertutto e monticelli verdeggianti. E terreno gallese! Lei era gallese come me, la sua Chiesa era quella dell'antica religione, che cosa ne sapeva lei di questa contea inglese? E io avevo quei due giovani esseri da salvaguardare. Chi avrebbe creduto alla loro o alla mia parola contro tutta la forza della Chiesa? Avrebbero serrato i loro ranghi per seppellire lo scandalo e con esso il ragazzo, non colpevole d'altro che di avere difeso ciò che gli era più caro. Quindi adottai i provvedimenti più opportuni.»

Le mobili labbra di Hugh si torsero un poco. «Adesso mi sorprendete veramente! Quali provvedimenti? Con un confratello morto di cui render conto e il priore Robert da tenere buono...»

«Oh, be', Robert è un'anima più semplice di quanto lui stesso non creda... e poi fu proprio il confratello morto a darmi una mano. Si era dato un gran da fare per crearsi una reputazione di santità, proclamando di avere ricevuto messaggi dalla stessa santa - era stato lui a dirci che essa offriva la propria tomba rimasta vuota al signore ucciso - e cadendo in preda a sonni inquieti, popolati di visioni, pregando di essere tolto da questo mondo e trasportato nella beatitudine eterna... E noi gli abbiamo fatto questo piccolo favore. Aveva trascorso la notte in veglia solitaria nella vecchia chiesa: al mattino si ritrovarono il suo saio e i suoi sandali ben sistemati sopra e accanto all'inginocchiatoio come se il corpo ne fosse stato sfilato senza scomporli, tra profumi soavi e una pioggia di petali di biancospino. Così, aveva detto, la santa lo aveva già visitato altre volte, dunque perché il priore Robert non avrebbe dovuto crederlo? Era indubbiamente sparito. Perché perdere tempo a cercarlo? Un modesto confratello della nostra casa sarebbe mai fuggito attraverso i boschi del Galles nudo come mamma lo aveva fatto?»

«Mi state dicendo che ciò che è qui nel reliquiario non è...» azzardò cautamente Hugh. «Ma la bara non era già stata sigillata?» Le sue sopracciglia inarcate avevano quasi raggiunto la radice dei capelli neri, ma la sua voce era calma e senza traccia di stupore.

«Be'...» Cadfael si strinse il naso fra il pollice e l'indice. «Era stata sigillata, sì, ma c'è modo di rimuovere un sigillo senza danneggiarlo e per fortuna non me lo ero dimenticato.»

«Così avete rimesso la signora dove si trovava prima, insieme con il suo campione?»

«Era un uomo buono e perbene e si era battuto per lei con nobili parole. Winifred non gli avrebbe certo negato un po' di spazio. Anzi, ho sempre pensato che non fosse affatto dispiaciuta con noi. Ha sempre continuato a dar prova del proprio favore con parecchi miracoli, a Gwytherin, perciò non posso credere che sia in collera. Non di meno mi turba il fatto che non abbia ancora concesso a noi, qui, alcun segno notevole della sua protezione, per fare felice Robert e tranquillizzare me. Sì, qualche cosuccia, ma niente di carattere assolutamente inequivocabile. E se l'avessi veramente contrariata, dopo tutto? Pazienza per me, che so che cosa c'è là dentro, sull'altare... Mea culpa se ho sbagliato! Ma per quegli innocenti, che non sanno e vengono qui in buona fede, sperando di ottenere una grazia da lei? Se io fossi stato la causa della loro frustrazione, dell'inanità delle loro preghiere?»

«Capisco», disse Hugh, comprensivo. «Sarà bene che fratello Mark si affretti nei suoi studi per l'ordinazione a sacerdote e venga presto a liberarvi da questo peso. A meno che», aggiunse con un sorriso malizioso, «santa Winifred non si muova a compassione verso di voi e non vi mandi qualche segno.»

«Io continuo a non vedere che cos'altro avrei potuto fare», mormorò Cadfael meditabondo. «È stata una conclusione soddisfacente per tutti. Quei due giovani sono stati liberi di sposarsi ed essere felici, il villaggio ha ancora la sua santa e lei ha ancora la sua gente intorno a sé. Robert ha ciò che era andato a cercare... o quanto meno pensa di averlo, che è poi la stessa cosa. E l'abbazia di Shrewsbury ha la sua festa, con la ragionevole speranza di averne anche una foresteria piena di pellegrini e di ricavarne gloria e guadagno a un tempo. Se soltanto quella santa signora volesse gettare un'occhiata indulgente da questa parte e strizzarmi un occhio per farmi sapere che ho interpretato giustamente i suoi desideri!»

«Non avete mai detto niente a nessuno di tutto questo?»

«Neanche una parola. Ma a Gwytherin lo sanno tutti», ammise Cadfael con un sorrisetto nostalgico. «Nessuno ha detto niente, nessuno ha avuto bisogno di dirlo, ma tutti lo sanno. Erano tutti là, nessuno escluso, quando siamo partiti col nostro reliquiario. Ci hanno aiutati loro stessi a caricarlo. Sul carro costruito da loro. Robert credeva proprio di averli ammansiti, anche quelli che erano stati più riluttanti, al principio. Un'immensa gioia per lui, che in fondo è un'anima semplice. Sarebbe un delitto disilluderlo, ora che sta persino scrivendo una biografia della santa in cui narra anche come lui l'abbia portata a Shrewsbury.»

«Oh, io non avrei certo il coraggio di dargli un dolore simile», convenne Hugh. «Meno si parla, tanto di guadagnato per tutti. Ma, grazie a Dio, io non ho niente a che vedere con la legge canonica, la legge comune di un paese senza legge mi crea già abbastanza fastidi.» Non era necessario dire a Cadfael che poteva contare sul suo silenzio: quello era già scontato da ambe le parti. «Bene, voi parlate la stessa lingua della signora, non v'è dubbio che vi ha capito benissimo, con o senza parole. Chissà! Forse quando avrà luogo questa vostra festa... il ventidue giugno, vero?... forse avrà pietà di voi e vi manderà qualche miracolo strepitoso per mettervi il cuore in pace.»

 

Chissà, pensò Cadfael un'ora dopo, mettendosi in cammino per rispondere alla campana del vespro. Non che lui si fosse meritato tanto onore, ma doveva pure esservi qualcuno che lo meritava, nell'incessante processione di pellegrini, qualcuno che sarebbe stato ingiusto respingere. E lui sarebbe stato perfettamente, umilmente e gioiosamente soddisfatto di quello. Che importava se la santa era a un'ottantina di miglia da lì, con quanto restava del suo corpo? Era stato un corpo miracoloso nella sua vita terrena, riportato in vita dopo essere stato brutalmente ucciso: quali limiti di tempo o di spazio potevano essere posti a un tale essere? Se le faceva piacere, poteva essere quieta e soddisfatta là nella sua tomba con Rhisiart, cullata dal canto degli uccelli tra i rami dei biancospini, e attenta e incorporea qui, una lieve fiammella di spirito nella bara dell'immeritevole Columbanus, che aveva ucciso non per la sua gloria, ma per la propria.

Fratello Cadfael andò al vespro pervaso da uno strano sollievo per avere confidato all'amico un segreto anteriore al tempo in cui si erano conosciuti, dapprima come potenziali antagonisti, ricorrendo a sottili astuzie per mettersi vicendevolmente nel sacco, poi scoprendo via via quanto avevano in comune, il vecchio (solo con se stesso, Cadfael ammetteva di avere sorpassato il pieno rigoglio della virilità) e il giovane, ancora ai primi passi, ma eccezionalmente dotato di saggezza e di astuzia, sulla via di costruirsi la propria fortuna e di guadagnarsi una moglie. E aveva avuto successo in entrambe le imprese, perché adesso era l'incontrastato sceriffo dello Shropshire, anche se in nome di un re esautorato e prigioniero, e là in città, nei pressi della chiesa di Saint Mary, una moglie e un figlioletto di un anno formavano un nido per la sua felicità privata, quando chiudeva la porta sui suoi oneri pubblici.

Cadfael pensò al suo figlioccio, il vigoroso demonietto che aveva già imparato ad aggirarsi a proprio piacere in tutte le stanze della casa di città di Hugh, ad arrampicarsi senza aiuto sulle ginocchia del padrino, a emettere balbettii di approvazione, di curiosità, di sdegno e di affetto. Ogni uomo chiede al cielo un figlio. Hugh aveva il proprio, il ramoscello più promettente che fosse mai spuntato da uno stelo. E lo stesso, per procura, era per lui, Cadfael, un figlio in Dio.

V'era, dopo tutto, tanta felicità umana al mondo, anche in un mondo così straziato e mutilato da guerre, crudeltà e avidità. Così era sempre stato e sarebbe stato sempre. E così fosse, purché non avesse mai a spegnersi l'indomabile scintilla della gioia.

 

In refettorio, dopo la cena e il ringraziamento, nel gradito tepore e nella luce prolungata della fine di maggio, il priore Robert Pennant si alzò per primo, ma rimase fermo al proprio posto, ergendosi in tutto il suo metro e ottanta di prelato magro e austero, dalla tonsura argentea e dai lineamenti d'avorio.

«Fratelli, ho ricevuto un altro messaggio dal padre abate. È arrivato a Warwick, sulla via del ritorno, e spera di essere con noi per il quattro giugno, se non prima. Ci raccomanda di mettere la massima diligenza nei preparativi dei festeggiamenti per la traslazione di santa Winifred, la nostra graziosa patrona.» Forse l'abate aveva veramente impartito quelle istruzioni, com'era suo dovere, ma era il priore Robert che le enfatizzava, vedendo se stesso, come faceva, quale patrono della patrona. I suoi grandi occhi patrizi si spostarono dall'uno all'altro tavolo, soffermandosi sui confratelli che avevano maggiori responsabilità. «Fratello Anselm, avete già pronta la musica?»

Fratello Anselm, il maestro del coro, la cui mente si staccava di rado da neumi e strumenti per parecchi secondi consecutivi, alzò vagamente lo sguardo, poi si riscosse e fissò il priore spalancando gli occhi. «Tutti i tempi della processione e dell'ufficio, sì», disse, amabilmente sorpreso che qualcuno avesse ritenuto necessario chiederlo.

«E voi, fratello Denis, avete fatto tutti i preparativi occorrenti per provvedere al mantenimento di un gran numero di persone? Perché avremo certo bisogno di ogni letto e di ogni piatto che sarà possibile procurarsi.»

Fratello Denis, il dispensiere, avvezzo ad affrontare situazioni d'emergenza e a governare con mano ferma il proprio dominio, assicurò tranquillo di aver fatto le più ampie provviste che considerava necessarie e di avere in più accantonato riserve cui attingere all'occorrenza.

«Avremo anche molti ammalati ai quali provvedere. La speranza della guarigione è una potente calamita.»

Fratello Edmund, il responsabile dell'infermeria, che non si aspettava di essere chiamato in causa, disse seccamente di avere tenuto in conto i probabili bisogni e di essere preparato per tutte le possibili richieste di letti e di medicine. Aggiunse anche che fratello Cadfael, dal canto suo, aveva già fatto scorta di tutti i rimedi dei quali riteneva più probabili le richieste ed era pronto a fronteggiare qualsiasi altra necessità avesse a presentarsi.

«Molto bene», approvò il priore Robert. «Ora il padre abate ha qualcos'altro da chiederci, in attesa del suo ritorno, una richiesta particolare. Chiede che si recitino a ogni messa preghiere speciali per il riposo dell'anima di un uomo buono ucciso a tradimento a Winchester dove si stava battendo per il ristabilimento della pace e la riconciliazione delle fazioni avverse, com'era suo dovere di buon cristiano.»

Per un momento parve a Cadfael, e forse alla maggior parte dei presenti, che la morte di un uomo, nel lontano sud, forse non meritasse una menzione tanto solenne e un così cospicuo segno di rispetto in un paese dove la morte era da tanto tempo un fatto ordinario, dal campo di battaglia di Lincoln disseminato di cadaveri al sacco di Worcester, dove il sangue scorreva per le strade, dalle diffuse stragi feudali da parte di conti insoddisfatti al sordido brigantaggio nei villaggi, là dove la legge era da tempo venuta meno.

Poi riconsiderò le cose dal punto di vista dell'abate. Un brav'uomo assassinato proprio nella città dove prelati e baroni stavano discutendo su questioni di pace e di sovranità, ucciso mentre cercava di impedire che una fazione saltasse alla gola dell'altra. Addirittura ai piedi, a quanto pareva, del legato del vescovo. Un orribile sacrilegio, non meno che se fosse stato massacrato sui gradini dell'altare. Non era soltanto la morte di un uomo, ma l'amaro simbolo dell'abbandono della legge, del rifiuto della speranza e della riconciliazione. Così l'aveva vista Radulfus, per questo voleva che egli fosse ricordato nelle funzioni della sua chiesa. Quel morto meritava un riconoscimento solenne, una lapide commemorativa eretta nel cielo.

«Il nostro abate», continuò il priore Robert, «ci chiede di offrire ringraziamenti per il nobile sforzo e preghiere per l'anima di Rainald Bossard, un cavaliere al servizio dell'imperatrice Maud.»

 

«Un nemico, dunque», osservò, più tardi, un dubitoso giovane novizio parlandone con i compagni nel chiostro. Tanto si era avvezzi, in quella contea, a considerare la causa del re come la propria perché era la sua legge quella che vi manteneva l'ordine da quattro anni, preservandola dal caos che sconvolgeva altrove l'Inghilterra.

«Niente affatto», protestò fratello Paul, il precettore dei novizi, in tono di bonario rimprovero. «Nessun uomo buono e onesto è un nemico, anche se si dà il caso che parteggi per la fazione opposta. La fedeltà a un signore terreno non ci riguarda, ma dobbiamo comunque tenerne conto come di un valore sostanziale che impegna quanti l'hanno promessa come i nostri voti impegnano noi. Le rivendicazioni di quei due cugini sono valide entrambe, in un certo senso. Non sono venuti meno a una fede giurata, né il re né l'imperatrice. E questo doveva essere senza dubbio un uomo meritevole, altrimenti il padre abate non lo avrebbe raccomandato alle nostre preghiere.»

Fratello Anselm, frattanto, si rigirava nella mente le sillabe di quel nome e ne batteva il ritmo sulla pietra della panca dov'era seduto, ripetendo sottovoce fra sé: «Rainald Bossard, Rainald Bossard...»

Un ritmo giambico che rimase nell'orecchio di fratello Cadfael, facendosi a poco a poco strada nella sua mente. Un nome che non significava ancora nulla per nessuno, lì, un nome senza forma né viso, senza età né carattere. Un corpo senz'anima, o un'anima senza corpo. Lo seguì mentre saliva alla propria cella nel dormitorio, mentre recitava le ultime preghiere e si scrollava dai piedi i sandali prima di coricarsi.

Forse quel ritmo continuò a pulsare nella sua mente anche mentre lui dormiva, pur senza sognare, perché il primo segno del temporale avvertito da Cadfael fu un silenzioso, duplice lampeggiare che pareva seguire la stessa cadenza giambica dietro le sue palpebre ancora chiuse e che lo tenne sveglio in attesa del tuono. L'intervallo fu così lungo da indurlo a pensare di avere sognato, ma finalmente lo udì: lontanissimo, sommesso, eppure sinistro. Dietro le palpebre abbassate di Cadfael, i lampi silenziosi balenarono e si spensero e i rombi risposero con tanto ritardo, così sommessi, così lontani...

Lontani, forse, come quella mitica città di Winchester, dove si erano decise questioni di enorme importanza, una città che Cadfael non aveva mai vista e che probabilmente non avrebbe visto mai. Una minaccia da una città tanto lontana non avrebbe scosso nessun muro, lì, nessun cuore, non più di quanto tuoni altrettanto lontani avrebbero potuto abbattere le mura di Shrewsbury. Eppure l'incessante mormorio d'allarme gli echeggiava ancora nelle orecchie quando Cadfael si riaddormentò.

 

CAPITOLO II

 

L'abate Radulfus tornò all'abbazia dei santi Pietro e Paolo il tre giugno, scortato dal suo cappellano e segretario, fratello Vitalis, e festeggiato da tutti i cinquantatré confratelli, sette novizi e sette scolari, come da tutto il personale laico della casa.

L'abate era sui cinquantacinque anni, alto, magro e vigoroso, con un viso scarno e ascetico e l'occhio penetrante dello studioso, e di costituzione fisica così forte che, appena smontato da cavallo, andò a presiedere alla messa cantata ancora prima di ritirarsi nel proprio alloggio per levarsi di dosso la polvere del viaggio e rinfrescarsi un poco dopo la lunga cavalcata. E non dimenticò di offrire la preghiera, già chiesta ai confratelli, per il riposo dell'anima di Rainald Bossard, trucidato a Winchester la sera di mercoledì nove aprile di quell'anno del Signore 1141. Otto settimane dopo, e a una distanza pari a metà dell'Inghilterra, quale significato poteva avere Rainald Bossard per quell'indifferente città di Shrewsbury o per i membri di quella lontana casa benedettina?

Soltanto al capitolo del mattino seguente i suoi componenti avrebbero udito dall'abate il racconto di quell'importantissimo sinodo tenuto al sud per decidere il futuro dell'Inghilterra; eppure quando, a metà pomeriggio, Hugh Beringar venne a chiedere udienza, Radulfus non lo fece aspettare nemmeno un minuto. La situazione richiedeva una stretta collaborazione tra il potere secolare e quello clericale, a difesa del poco rimasto in Inghilterra quanto a ordine e rispetto della legge.

Il parlatorio privato nell'alloggio dell'abate era austero come lui, arredato con la massima semplicità, ma inondato dal sole che dilagava dalle due finestre spalancate e rallegrato dalla vista del verde lussureggiante e dai fiori smaglianti del piccolo giardino recintato. Tremori di luce radiosa lampeggiavano e svanivano, si ritraevano e si scontravano sulla pannellatura scura della stanza per l'effetto congiunto del rinnovato sbocciare della vita, della fresca brezza e della luce esuberante all'esterno. Hugh, seduto in ombra, osservava il profilo tagliente dell'abate, nitido e incisivo sullo sfondo luminoso.

«Voi conoscete bene la mia fedeltà, padre abate», esordì ammirando l'impassibilità di quella nobile maschera così incorniciata, «come io conosco la vostra. Ma abbiamo molto altro in comune e a me servirebbe sapere ciò che potete dirmi di quanto è accaduto a Winchester.»

«Me ne rendo perfettamente conto», convenne Radulfus con un mesto sorriso. «Sono stato chiamato da chi aveva il diritto di chiamarmi e sono andato già sapendo come stavano le cose: il re prigioniero e l'imperatrice padrona di tanta parte del sud e in posizione di reclamare la sovranità per diritto di conquista. Sapevamo entrambi, noi due, di che cosa si sarebbe discusso là. Posso dirvi soltanto ciò che ho visto. Il primo giorno del convegno, lunedì sette aprile, è stato dedicato per intero alle cerimonie di benvenuto e alla lettura delle lettere di giustificazione, ed erano tante, di quanti non si erano presentati. L'imperatrice risiedeva in città, in quei giorni, benché si spostasse di frequente nella regione, recandosi a Reading e in altri posti, mentre noi discutevamo. Non assistette neppure a una delle nostre sedute. Conosce la discrezione, quella signora», commentò l'abate, asciutto, senza lasciar intendere se considerava tale discrezione un pregio o una manchevolezza. «Il secondo giorno...» Radulfus fece una pausa, riandando con la mente a ciò che era accaduto, e Hugh aspettò attento e immobile.

«Il secondo giorno, otto aprile, il legato fece il suo grande discorso...»

Non fu difficile immaginarselo. Enrico di Blois, vescovo di Winchester, legato pontificio, fratello minore e fino ad allora fedele partigiano di re Stefano, ben sistemato nel rifugio inespugnabile della sala del capitolo nella propria cattedrale, sicuro conoscitore del polso politico dell'Inghilterra, il manipolatore più abile del regno e sul terreno scelto da lui stesso... eppure costretto a tenersi sulla difensiva dalla paura di ciò che sarebbe pur sempre potuto accadere anche a un professionista esperto come lui.

Hugh non lo aveva mai visto, non era mai stato neppure nei pressi di Winchester: aveva soltanto udito parlare di Enrico di Blois, eppure ora gli sembrava di vederlo mentre presiedeva con imperiosa compostezza l'assemblea dei suoi poco volonterosi vescovi. Una parte non facile, quella che doveva recitare per districarsi dalla sua notoria fedeltà al fratello e al tempo stesso salvare la faccia, la posizione e l'influenza agli occhi di coloro che l'avevano condivisa. Per di più con una donna dura ed esperta che controllava da vicino ogni sua parola, riservandosi di usare il potere recentemente acquisito per distruggerlo o mantenerlo al suo posto, a seconda del modo in cui avrebbe manovrato il suo gregge mal disciplinato in quella scabrosa circostanza.

«Un discorso un po' noioso», riprese candidamente l'abate, «ma il nostro legato è un oratore abilissimo. Ha insistito nel dirci che eravamo riuniti lì per cercare di salvare l'Inghilterra dal caos e dalla rovina. Ha parlato del tempo del defunto re Enrico, quando in tutto il paese regnavano l'ordine e la pace. E ci ha rammentato come il vecchio re, in mancanza di un figlio maschio, avesse comandato ai suoi baroni di giurare fedeltà e obbedienza alla sua unica figlia, l'imperatrice Maud, ora vedova e risposata con il conte d'Angiò.»

E così avevano fatto i baroni, quasi tutti, non ultimo questo Enrico di Blois, vescovo di Winchester. Hugh Beringar, che non si era mai posto il problema della scelta tra i due finché non era stato in grado di decidere in modo autonomo, sporse un labbro in un'espressione di disprezzo e di commiserazione a un tempo, annuendo come a dire che capiva. «Sua signoria aveva qualcosa di cui rendere conto.»

L'abate si trattenne dall'indicare, con un cenno o una parola, se concordava con l'implicita critica mossa da Hugh al fratello ecclesiastico. «La prospettiva del lungo tempo che sarebbe certo trascorso prima che l'imperatrice potesse raggiungere la Normandia, ha detto, aveva causato una naturale preoccupazione per il benessere dello Stato. Un periodo di incertezza sarebbe stato pericoloso, dunque, quando si era fatto avanti suo fratello, il conte Stefano, era stato accettato ed era divenuto re per consenso generale. Lo stesso Stefano, ha precisato il vescovo, ha ammesso la parte da lui avuta in quell'accettazione e si è impegnato davanti a Dio e agli uomini a onorare e riverire la Santa Madre Chiesa nonché a mantenere le leggi buone e giuste del nostro paese. Un impegno al quale il re è disonorevolmente venuto meno, ha aggiunto Enrico. Pur con grande dolore e mortificazione, lui non esitava a dichiararlo, perché era stato garante per il fratello davanti a Dio.»

Così dunque aveva giustificato il proprio umiliante cambiamento di rotta, pensò Hugh. Addebitando ogni colpa a Stefano, che aveva ingannato il reverendo fratello e scordate tutte le promesse a tal punto che un servo di Dio poteva ben essere trascinato oltre i limiti della pazienza ed essere indotto ad accettare di buon grado un altro sovrano, mitigando il proprio dolore con il sollievo.

«In particolare», continuò Radulfus, «ha sottolineato come il re abbia perseguitato alcuni suoi vescovi causando la loro rovina e la loro morte.»

C'era più di un grano di verità, in quello, benché l'unica morte in questione, quella di Robert di Salisbury, fosse risultata del tutto naturale, per l'età avanzata, l'amarezza e la disperazione per avere perduto ogni potere.

«Perciò, ha detto», proseguì l'abate con fredda determinazione, «il giudizio di Dio ha colpito il re, permettendo che venisse fatto prigioniero dai suoi nemici. E lui, leale nel suo servizio alla Santa Madre Chiesa, doveva scegliere tra la devozione al fratello mortale e quella al padre immortale e non poteva fare altro che inchinarsi all'editto del cielo. Per questo ci aveva riuniti, per garantire che un regno privato della testa non avesse a cadere nella rovina totale. Proprio di quell'argomento, ha comunicato all'assemblea, si era discusso il giorno precedente tra la maggior parte del clero inglese cui, ha detto, compete una prerogativa superiore a tutte le altre nell'elezione e nella consacrazione di un re.»

Nella voce secca e misurata dell'abate v'era qualcosa che indusse Hugh a drizzare le orecchie. Perché quella era stata una dichiarazione grave e senza precedenti che Radulfus palesemente giudicava più che sospetta. Il legato pontificio aveva una faccia da salvare e una lingua bene oliata con la quale costruirvi davanti una rete protettiva di parole.

«Ma c'era stata una simile riunione? Voi vi avevate partecipato, padre?»

«Una riunione c'era stata, sì, piuttosto breve e non molto chiara nel suo svolgimento. Era stato in massima parte il legato a parlare. E non mancavano i seguaci dell'imperatrice.» Radulfus lo disse in tono pacato e tollerante, ma era chiaro che lui non aveva fatto parte di quel gruppo. «Non ricordo che il vescovo abbia rivendicato una tale prerogativa per noi. Né che si sia fatto un conteggio.»

«E nemmeno una dichiarazione, penso. Non si sarebbe trattato di contare le teste o le mani.» Troppo facile, in tal caso, fare un controconteggio atto a confondere i risultati.

«Ha proseguito col dire», riprese l'abate con voce secca e glaciale, «che noi avevamo scelto come Signora dell'Inghilterra la figlia del defunto re, l'erede della sua nobiltà e della sua volontà di pace. E come il padre ha avuto meriti senza uguali ai nostri tempi, così la figlia potrebbe mostrarsi un'ottima sovrana e riportare, come lui, la pace in questo tribolato paese dove noi - ha detto! - le offriamo la nostra profonda e sincera fedeltà.»

Così dunque Enrico si era levato, con impareggiabile abilità, dall'imbarazzo. Ciò nonostante una signora risoluta, coraggiosa e vendicativa come l'imperatrice avrebbe sicuramente guardato di traverso una fedeltà tanto profonda e sincera che le era stata giurata già una volta, che poi era stata prontamente ritrattata sotto la pressione degli eventi e che poteva essere ritrattata ora con altrettanta prontezza. Se era saggia, avrebbe tenuto a freno il proprio risentimento e badato a tener d'occhio il legato, così come il legato andava cautamente tenendo d'occhio lei, ma non avrebbe mai dimenticato né perdonato.

«E nessuno si è alzato a protestare?» domandò Hugh.

«Nessuno. Ma ne hanno avuto scarsa possibilità e ancor meno incentivo. Poi il vescovo ha annunciato di aver invitato una deputazione da Londra che sarebbe dovuta arrivare quel giorno stesso, così che era opportuno sospendere la nostra discussione e rimandarla al giorno seguente. Ma i londinesi sono arrivati appunto il giorno seguente e la riunione ha avuto luogo un po' più tardi del solito. Comunque, sono venuti. Col viso duro e il collo rigido. Rappresentavano l'intera comunità di Londra, hanno dichiarato, della quale dopo la battaglia di Lincoln erano entrati a far parte parecchi baroni e tutti, pur senza voler contestare la legittimità della nostra assemblea, desideravano avanzare all'unisono la richiesta che venisse rimesso in libertà il re.»

«Un bel coraggio!» commentò Hugh inarcando le sopracciglia. «E sua signoria come ha reagito? Ha perso le staffe?»

«Credo che fosse molto scosso, ma non eccessivamente, non in quel momento. Ha tenuto un altro lungo discorso - un'ottima maniera per tenere zitti gli altri almeno per qualche tempo - rimproverando la città per avere accolto nella propria comunità uomini che avevano abbandonato il loro re in guerra, dopo averlo fuorviato con cattivi consigli, tanto da indurlo a dimenticare Dio e il diritto ed essere così condannato alla sconfitta e alla prigionia dalla quale le preghiere di quegli stessi falsi amici non potevano ora riscattarlo. Gli uomini che ora vi adulano e vi assecondano, ha detto, soltanto per il proprio vantaggio.»

«Se alludeva ai fiamminghi che si sono dati alla fuga a Lincoln», riconobbe Hugh, «ha detto soltanto la verità. Ma per quale scopo recondito si dovrebbe adulare e corteggiare la città? Che cos'è accaduto dopo? Hanno avuto l'ardimento di mantenere la propria posizione contro di lui?»

«Avevano le idee un po' confuse su ciò che avrebbero dovuto ribattere e si sono appartati per consigliarsi. Allora, approfittando di quella pausa, si è fatto avanti un uomo che ha teso al vescovo Enrico una pergamena chiedendogli poi di leggerla ad alta voce, con tanta sicurezza di sé che mi chiedo ancora come mai il legato non lo abbia fatto immediatamente. Invece questi l'ha aperta, ha preso a leggere in silenzio e un attimo dopo stava tuonando infuriato che quello scritto era un insulto a tutta la reverenda compagnia presente: l'argomento era disdicevole, coloro che lo avevano sottoscritto erano potenziali nemici della Santa Madre Chiesa e lui non ne avrebbe letta una sola parola in un posto sacro come la sua casa del capitolo. Dopo di che», riferì mestamente l'abate, «l'uomo gliel'ha strappata di mano e l'ha letta lui stesso a voce altissima, sopraffacendo quella del vescovo che cercava di farlo tacere. Era una petizione della nostra regina a tutti i presenti, e in particolare al legato, fratello del re, perché tornassero alla fedeltà giurata e reintegrassero il re nei suoi diritti, liberandolo dall'ignobile cattività in cui si trovava per opera di coloro che lo avevano tradito. Io, ha precisato l'uomo che leggeva, sono al servizio della regina Matilda e se volete conoscere il mio nome, mi chiamo Christian e sono un vero cristiano come tutti voi, leale verso chi mi dà il pane.»

«Bravissimo!» esclamò Hugh, con un fischio sommesso. «Ma dubito che gli sia servito molto.»

«Il legato ha ribattuto con un altro lungo discorso, sul tipo di quello del giorno precedente, ma in tono ben più appassionato, intimidendo a tal punto i londinesi da indurli a ritirare le corna e ad accettare, a malincuore, di deferire ai loro concittadini l'elezione del consiglio e di appoggiarla come meglio avrebbero potuto. Quanto a quel Christian che aveva fatto infuriare tanto il vescovo, è stato aggredito quella sera stessa per la strada, mentre si accingeva a tornare a mani vuote dalla regina. Aggredito nell'oscurità da quattro o cinque ribaldi rimasti sconosciuti perché si sono dati alla fuga non appena è intervenuto con i suoi uomini un cavaliere dell'imperatrice, gridando che era una vergogna servirsi dell'omicidio come argomento in una disputa e per di più contro un uomo onesto che aveva soltanto fatto la propria parte, dimostrando coraggio e franchezza. L'uomo se l'è cavata con nulla più di qualche livido, ma la peggio l'ha avuta il cavaliere, colpito alle spalle con una pugnalata che gli ha trapassato il cuore. È morto nel rigagnolo di una strada di Winchester. Una vergogna per tutti noi, che dichiariamo di voler fare la pace e accogliamo come amici i nostri nemici.»

A giudicare dalla collera che oscurava il viso dell'abate, quell'atto immotivato che smentiva ogni finzione di buona volontà, di giustizia e di rappacificazione doveva averlo turbato nel profondo del cuore. Colpire a tradimento un uomo soltanto perché professava onestamente una fede diversa e poi un altro, generoso e cavalleresco, che cercava di impedire quell'oltraggio... Pessimi auspici per la pace futura del legato pontificio.

«Nemmeno per l'assassinio è stato preso nessuno?» domandò Hugh aggrottando la fronte.

«No, sono spariti nel buio. Se qualcuno li conosce o sa dove si nascondono, non ne ha detto niente. La morte è diventata un fatto tanto comune, ormai, anche furtivamente e a tradimento, nella notte, che pure questa sarà ben presto dimenticata. E il giorno seguente il nostro concilio si è chiuso con una sentenza di scomunica contro un gran numero di uomini del re Stefano, la benedizione del legato per tutti coloro che avrebbero benedetto l'imperatrice e la maledizione per quelli che l'avessero maledetta. E con questo ci ha congedati. Esclusi tuttavia noi monaci, che siamo stati trattenuti al suo servizio ancora per qualche settimana.»

«E l'imperatrice?»

«Si è ritirata a Oxford, mentre proseguono i lunghi negoziati con la città di Londra per la sua ammissione a Westminster: come e quando dovrebbe avvenire, a quali condizioni, con quante persone al seguito. Punti sui quali si sono accapigliati a ogni passo. Ma, nel giro di otto o dieci giorni, l'imperatrice sarà installata là e subito dopo incoronata.» Radulfus alzò una mano lunga e nervosa e poi la lasciò ricadere sulle ginocchia. «Così pare, almeno. Che altro posso dirvi di lei?»

«Vorrei che mi diceste come sopporta queste lungaggini, come si comporta coi suoi baroni convertiti di recente, quali sono i loro reciproci rapporti. Non deve essere facile tenere insieme vecchi e nuovi vassalli e impedire che si prendano per la gola. Un castello conteso qui e là, alcuni campi tolti all'uno e dati all'altro... Sapete anche voi com'è, credo, come lo so io.»

«Non direi che sia molto saggia», rispose l'abate soppesando le parole. «Sa fin troppo bene come molti abbiano giurato fedeltà a lei perché lo aveva ordinato suo padre e poi siano passati dalla parte di re Stefano, pronti ora a tornare a lei perché è in ascesa. Posso anche capire che prenda piacere nel pizzicare sul vivo dove può, fra loro. Non è saggio, però è umano. Ma che si mostri altezzosa e fredda con quelli che non hanno mai tentennato... Perché ve ne sono alcuni», sottolineò l'abate con rispettosa ammirazione, «che le sono sempre rimasti fedeli pur con gravi perdite e che non tentenneranno nemmeno ora, qualunque cosa ella possa fare... È un'enorme follia e una gravissima ingiustizia trattare in maniera così tirannica coloro che sono stati per tutto questo tempo il suo braccio destro e anche il sinistro.»

Mi confortate, padre, pensò Hugh osservando attentamente il viso scarno e tranquillo del monaco. Quella donna è fuori di senno se schernisce persino uomini come Robert di Gloucester, ora che si sente vicina al trono.

«Ha offeso profondamente il vescovo-legato», riprese Radulfus, «rifiutando di permettere che passassero al figlio di Stefano i diritti e i titoli paterni dei feudi di Boulogne e di Mortain, ora che suo padre è prigioniero. Sarebbe stata solo giustizia. Ma no, lei non ha voluto saperne. Il vescovo Enrico aveva lasciato per qualche tempo la sua corte e lei ha dovuto faticare non poco per indurlo a tornare.»

Di bene in meglio, pensò Hugh valutando con cura la propria posizione. Se è tanto caparbia da allontanare da sé persino Enrico, può accaderle di disfare ciò che lui e altri hanno fatto per lei. Mettiamole una corona fra le mani e potrebbe non solo lasciarla cadere, ma addirittura gettarla contro coloro con i quali ha qualche conto da pareggiare. Si mise d'impegno per scavare ogni particolare del susseguente comportamento dell'imperatrice e fu cautamente incoraggiato. Aveva preso terre a qualcuno per darle a qualcun altro. Aveva accolto con arroganza i suoi nuovi, comprensibilmente timorosi seguaci e rinfacciato loro in tono minaccioso la passata ostilità. Alcuni li aveva addirittura respinti infuriata, rievocando vecchie offese. Chi aspirava a una corona contesa sarebbe dovuto essere più accomodante e pronto a dimenticare. Lasciala perdere e prega! Forse sarebbe stata lei stessa, più di chiunque altro, la causa della propria rovina.

Alla fine di una lunga ora, Hugh si alzò e prese congedo, avendo in mente un quadro molto chiaro delle eventualità che potevano presentarglisi. Anche le imperatrici potevano imparare e non era ancora da escludere che Maud si guadagnasse la pacifica ammissione a Westminster e venisse incoronata. Sarebbe stato sciocco sottovalutare la nipote di Guglielmo di Normandia, la figlia di Enrico I, eppure proprio una tale stirpe sarebbe potuta cadere in rovina per la sua stessa implacabile forza.

In seguito, Hugh non avrebbe saputo dire lui stesso perché all'ultimo momento si fosse voltato per chiedere: «Padre abate, quel Rainald Bossard che è stato ucciso... Un cavaliere dell'imperatrice, avete detto. Al seguito di chi?»

Tutto ciò che aveva appreso, Hugh lo riferì a fratello Cadfael, nella sua capanna dell'erbario, mettendo alla prova nel confronto con l'impassibile solidità dell'amico le proprie impressioni e i propri dubbi, come chi affilasse una falce sulla pietra di una lapide. Cadfael, indaffarato con un vino troppo spumeggiante, pareva non ascoltare, ma Hugh non si lasciò trarre in inganno. Il suo amico possedeva un orecchio sensibilissimo persino alle minime sfumature e talvolta gettava alle proprie spalle una rapida occhiata come a cercare conferma di ciò che aveva udito e tirare le somme.

«Meglio che ve ne restiate tranquillo a vedere che cosa seguirà, allora», disse infine Cadfael. «E forse potreste anche mandare un uomo fidato a Bristol, a guardarsi un po' in giro. Stefano è il solo ostaggio dell'imperatrice. Col re libero, oppure Robert, o Brian FitzCount, o qualcun altro di sufficiente importanza fatto prigioniero per far pari con lui, sareste su terreno sicuro. Ma che Dio mi perdoni, perché mai do suggerimenti a voi, che non siete asservito a nessun principe?»

Hugh però non era certo che fosse completamente vero. Non aveva dimenticato i brevi rapporti avuti con Stefano né la simpatia provata per lui anche quando il re gli era apparso sotto la sua luce peggiore, quando cioè aveva sconsideratamente sterminata la guarnigione del castello di Shrewsbury, per rammaricarsene amaramente dopo, finché la sua memoria in ebollizione aveva continuato a punzecchiarlo col ricordo di quella violenza. Ma chissà che ora, nella sua segreta a Bristol, non avesse finito col dimenticarsi di quell'atto di barbarie tanto estraneo al suo carattere.

«Ma lo sapete», domandò Hugh, scacciando con risolutezza quei pensieri, «chi era quel cavaliere Rainald Bossard lasciato a morire dissanguato in un vicolo di Winchester? Quello per il quale il vostro abate vi ha chiesto di pregare?»

Cadfael trascurò per un momento il suo vaso effervescente per fissare in viso l'amico, socchiudendo gli occhi. «Ci è stato detto soltanto che era un cavaliere dell'imperatrice. Ma vedo che voi state per dirmi qualcosa di più.»

«Era al seguito di Laurence d'Angers.»

Cadfael si raddrizzò con un imprudente scatto ed emise un gemito allo scricchiolio delle sue vecchie ossa. Era il nome di un uomo che nessuno di loro due aveva mai visto, ma che ridestò in entrambi un vivido ricordo.

«Sì, proprio quel Laurence! Un barone del Gloucestershire e fedele seguace dell'imperatrice. Uno dei pochi che non hanno mai voltato gabbana in tutti questi andirivieni, lo zio dei due fanciulli che avete aiutato a fuggire da Bromfield quando si erano sperduti dopo il sacco di Worcester. Un inverno così gelido, ve lo ricordate? Col vento che spazzava la neve sulle colline durante la notte e l'ammucchiava in cumuli recenti prima della mattina? Mi sembra ancora di sentirlo, fino nelle ossa...»

Come avrebbe mai potuto dimenticare quel viaggio in pieno inverno, Cadfael? Era passato a malapena un anno e mezzo... L'attacco a Worcester, la fuga dei due fanciulli, fratello e sorella, verso Shrewsbury, col tempo più inclemente che si fosse visto da anni. Laurence d'Angers era stato soltanto un nome, allora come ora. Seguace dell'imperatrice Maud, gli era stato proibito di entrare nei territori di re Stefano alla ricerca dei due giovani nipoti, ma aveva mandato in segreto uno dei suoi scudieri a cercarli e portarli in salvo. Aver dato una mano nella fuga di quei tre era stata un'impresa che Cadfael avrebbe ricordato per tutto il resto della sua vita. Erano ancora vivi nella sua mente: il piccolo Yves, di tredici anni, schietto, valoroso e gentile, sempre capace di sporgere un caparbio mento normanno di fronte al pericolo; la sua sorella maggiore Ermina, appena alle soglie della femminilità, risoluta nell'assumersi l'onere delle proprie follie. E il terzo...

«Mi sono chiesto sovente come se la siano cavata in seguito», disse Hugh soprappensiero. «Ero certo che li avreste fatti partire senza correre rischi, se avessi lasciato fare a voi, ma avevano ancora un viaggio lungo e pericoloso davanti a sé. Chissà se ci manderanno mai loro notizie. Un giorno, il mondo sentirà certo parlare di Yves Hugonin.» Al pensiero di quel ragazzo, Hugh sorrise affettuosamente. «E quell'altro venuto a prenderli, così scuro di pelle, vestito come un boscaiolo e capace di battersi come un paladino... Ho l'impressione che sapeste di lui molto più di quanto non ne saprò mai io.»

Cadfael sorrise nel riverbero del braciere, senza confermare né negare. «E il suo signore è là al seguito dell'imperatrice, allora? E questo cavaliere ucciso era al servizio di d'Angers? Un fatto molto grave, Hugh.»

«È ciò che pensa anche l'abate Radulfus», convenne tristemente Hugh.

«Nel buio e nella confusione... Sono tutti fuggiti senza danno, compreso quello che aveva maneggiato il coltello. Una faccenda sporca, perché non è certo stata un'aggressione casuale. Quel Christian era sfuggito loro di mano, ma uno degli aggressori si è fermato per colpire l'uomo che accorreva in suo aiuto, prima di sparire. Denota un odio profondo per un semplice oppositore, avere rischiato tanto all'ultimo momento, prima di mettersi in salvo. E non si è fatto niente? Proprio a Winchester, in quel momento piena degli uomini che più di tutti dovrebbero essere i difensori della giustizia?»

«Oh, più d'uno sarebbe stato addirittura contento se quel Christian fosse morto dissanguato nel rigagnolo, come il cavaliere. Senza contare che qualcuno sarebbe stato ben lieto di lanciarsi al suo inseguimento.»

«Meno male per il buon nome dell'imperatrice che almeno uno dei suoi seguaci è stato tanto leale da rispettare un onesto oppositore e restare accanto a lui a costo della propria vita», osservò Cadfael. «E sarà un'immensa vergogna se quella morte resterà invendicata.»

«Amico mio», ribatté mestamente Hugh alzandosi per congedarsi, «l'Inghilterra ha dovuto ingoiare molte di tali vergogne, in questi ultimi anni. È diventata un'abitudine fare un sospiro, una scrollata di spalle e dimenticare. Cosa in cui voi non siete affatto bravo, lo so. Vi ho visto cambiare abitudini più di una volta, felice e soddisfatto. Ma nemmeno voi, ormai, potete fare molto per Rainald Bossard, salvo che pregare per la sua anima. È tanto lontana Winchester!»

«Non tanto», mormorò Cadfael, più a se stesso che all'amico. «Molte miglia in meno di quanto fosse un'ora fa.»

 

Andò a vespro, a cena in refettorio e poi a compieta sempre con quel viso nella mente, così che prestò soltanto un'attenzione saltuaria alle letture e trovò qualche difficoltà persino a concentrarsi nelle preghiere. Per quanto potesse essere una sorta di preghiera anche ciò che era andato offrendo, con gratitudine, lode e umiltà.

Un viso così dolce, giovane, scuro e vivo, di una bellezza sorprendente quando lo aveva visto la prima volta apparire di sopra la spalla della fanciulla, il viso del giovane scudiero mandato a prendere i giovani Hugonin per riportarli al loro zio e tutore. Un viso lungo e scarno, dalla fronte ampia, il naso tagliente come una scimitarra, la bocca morbida e fiera, impavidi occhi dorati da falco. Il capo incorniciato da folti capelli ondulati nero-blu che si increspavano alle tempie e aderivano alle guance come ali ripiegate. Così giovane eppure con un viso così ben delineato, una mistura di oriente e occidente, perfettamente rasato come un normanno e di pelle olivastra come un siriano, tutti i ricordi della Terrasanta riuniti nell'aspetto di un uomo. Lo scudiero preferito di Laurence d'Angers, tornato a casa con lui dalla crociata. Olivier de Bretagne.

Se il suo signore era là al sud col proprio seguito, alla corte dell'imperatrice, dove altro poteva essere Olivier? Forse l'abate si era persino trovato a spalla a spalla con lui, senza sapere chi fosse, oppure l'aveva visto passare al fianco del suo signore e aveva ammirato per un momento la sua bellezza. Pochi volti come quello risplendono fra l'umile massa della gente comune, pensò Cadfael, il dito di Dio non può fare altro che contrassegnarli perché siano notati e i suoi soldati quaggiù saranno i primi a riconoscerli.

E quel Rainald Bossard che è morto, un uomo onorevole che si è comportato generosamente con un onorevole oppositore, era un compagno di Olivier, legato allo stesso signore, votato allo stesso servizio. La sua morte sarà un grande dolore per Olivier. E il dolore di Olivier è il mio dolore, un torto fatto a lui è un torto fatto a me. Per quanto lontana possa essere Winchester, io sono là a piangere in quel vicolo buio dove un uomo è morto per avere compiuto un atto generoso nel quale, spinto dalla stessa fede, non ha fallito perché quel Christian viveva soltanto per tornare dalla sua signora, la regina, dopo avere fedelmente portato a termine il proprio incarico.

I sommessi fruscii nel dormitorio, oltre il fragile tramezzo della cella di Cadfael, si erano spenti da un pezzo quando lui, inginocchiato a pregare, finalmente si alzò e si scosse dai piedi i sandali. La piccola lampada accanto alla scala che si usava la notte gettava soltanto un tenue barlume sulle travi del soffitto, un tetto grigio perla sopra il buio della sua cella, la sua casa ormai da... Diciotto o diciannove anni? Aveva perduto il conto. Era come se una parte di lui, cuore, mente, anima, qualunque fosse quell'essenza, non si fosse tanto ritirata lì, quanto fosse piuttosto tornata a casa per prendere definitivamente possesso di un retaggio suo fino dalla nascita. E ricordava con gratitudine e gioia il dono degli anni che aveva vissuto su questa terra, l'infanzia vigorosa, l'avventurosa giovinezza, la presa della croce e la passione della crociata, le donne che aveva conosciuto e amato, gli anni di navigazione al largo delle coste del Santo Regno di Gerusalemme, tutti i pellegrinaggi che alla fine lo avevano portato lì, nel luogo che aveva scelto come suo ritiro. Nulla era stato sprecato, anche se folle o segnato da errori, nulla era andato perduto, nulla era stato inutile: tutto era servito in qualche modo a prepararlo per la minuscola nicchia dove ora serviva e riposava. Dio gli aveva dato un segno, non era necessario che si pentisse di niente, ma soltanto che fosse sincero su tutto e se ne riconoscesse responsabile. Agli occhi di Dio, non degli uomini.

Giacque tranquillo nel buio, disteso e immobile come in una bara, ma calmo, con le braccia abbandonate lungo i fianchi e gli occhi socchiusi fissi sulla volta sopra a lui dove la luce fioca giocava fra le travi.

Non v'erano lampi, quella notte, ma soltanto una sorta di continuo rotolio di tuoni, prima e ancora dopo il mattutino e le laudi, ma così poco allarmante che ben pochi confratelli lo notarono. Cadfael lo udì quando si alzò e quando tornò a letto. Gli parve un confortante memento che Winchester si era fatta davvero più vicina e lo consolò il pensiero che la sua lagnanza non era stata ignorata in Cielo e che lui poteva aspettarsi di avere una parte nella riscossione del debito che qualcuno aveva nei confronti di Rainald Bossard. E su una tale garanzia si addormentò.

 

CAPITOLO III

 

Il diciassette giugno l'elaborata bara di quercia ornata d'argento e foderata di piombo con le reliquie di santa Winifred fu rimossa dal suo posto d'onore e riportata, con una austera e tranquilla cerimonia, a quello del suo temporaneo riposo nella cappella dell'ospedale di Saint Giles ad aspettare, come già un'altra volta, il fausto giorno, il ventidue giugno. Il tempo era splendido, soleggiato e senza vento, con appena qualche nuvoletta in cielo, tuttavia abbastanza fresco per viaggiare: il tempo ideale per i pellegrini. I primi cominciarono ad arrivare già il diciotto, una sparuta avanguardia del flusso compatto che sarebbe seguito.

Fratello Cadfael aveva visto partire il reliquiario per il suo viaggio commemorativo con un lieve senso di colpa, e ciò non ostante la sua convinta dichiarazione che, quella notte d'estate a Gwytherin, non avrebbe potuto fare altrimenti. In quel momento, aveva sentito così fortemente l'intima natura gallese della santa, il suo piacere nell'udire intorno a sé la lingua natia, il quieto scorrere delle stagioni sopra la sua tomba solitaria dove aveva dormito tanto a lungo serena nella sua beatitudine, operando tanti piccoli amorosi miracoli per la sua gente... No, non poteva credere di avere sbagliato nel fare ciò che aveva fatto là. Se soltanto lei avesse volto lo sguardo dalla sua parte e sorriso, dicendo: «Bravo!»

Il primo pellegrino arrivò con aria vagamente indagatrice nel recinto dell'erbario: vi era giunto, seguendo le indicazioni di fratello Denis, a cercare un compagno della sua stessa arte. Era tardo pomeriggio e Cadfael era intento a ripulire dalle erbacce le aiuole di menta, timo e salvia: un lavoro lungo e sistematico, ma in fondo quasi piacevole da compiere in quel giugno estremamente favorevole, dopo una primavera durante la quale sole e piogge si erano bene equilibrati, e le nuove pianticelle formavano una splendida distesa verde. Rialzandosi da un'aiuola ormai ben ripulita, il monaco si girò sorpreso a guardare l'inatteso visitatore, vestito anch'egli di un saio nero e con una figura all'incirca come la sua, anche se probabilmente di una quindicina d'anni più giovane di lui. Rimasero a fissarsi per un momento, due solidi, squadrati fratelli dello stesso ordine, riconoscendosi immediatamente.

«Voi dovete essere fratello Cadfael, vero?» disse l'estraneo con una melodiosa voce da basso. «Il fratello dispensiere mi ha detto che vi avrei trovato qui. Mi chiamo Adam, sono un fratello di Reading, dove svolgo il vostro stesso lavoro, e ho sentito parlare di voi, anche laggiù nel lontano meridione.»

Mentre parlava, i suoi occhi erravano dall'uno all'altro dei rari tesori di Cadfael: i papaveri orientali portati dalla Terrasanta e coltivati con cura ansiosa, il fico delicato che riusciva a prosperare contro il riparo del muro a nord dove il sole batteva più a lungo. Cadfael lo prese subito in simpatia per quei suoi sguardi di ammirazione e per la lieve invidia che gli coloriva il viso tondo e ben rasato. Un uomo robusto e vigoroso, che si muoveva perfettamente a proprio agio, che avrebbe potuto dar prova di saperci fare, in caso di necessità. E palesemente avvezzo a vivere all'aria aperta.

«Siete più che benvenuto, fratello», disse cordialmente Cadfael. «Vi tratterrete per la festa della santa? Avete trovato un posto in dormitorio? Vi sono alcune celle libere per eventuali confratelli cui capiti di farci visita, come voi.»

«Vengo da Reading con una missione affidatami dal nostro abate per la nostra casa consorella di Leominster», spiegò fratello Adam, saggiando con la punta di un piede il terreno ricco e ben fertilizzato dell'aiuola di menta e inarcando poi un sopracciglio in segno di ammirazione. «Ho chiesto se potevo prolungare la mia assenza per presenziare alla traslazione di santa Winifred e ne ho avuto il permesso. Non avevo mai sperato di arrivare così a nord e sarebbe un vero peccato perdere un'occasione simile.»

«Spero che vi abbiano trovato un letto fra di noi, almeno.» Non si poteva sprecare un uomo come quello, benedettino, giardiniere ed erborista, mandandolo a dormire nella foresteria. Cadfael lo sogguardava con affettuosa simpatia, notando il brillio degli occhi allorché si appuntavano sulle coltivazioni meglio riuscite.

«Il fratello dispensiere è stato molto gentile. Mi ha messo in una cella accanto ai novizi.»

«Allora saremo abbastanza vicini», osservò Cadfael soddisfatto. «Venite, ora, vi mostrerò quello che merita di essere visto qui, perché il giardino principale si trova sul lato opposto del sobborgo, lungo il fiume. Ma il mio erbario lo tengo qui. E se vi fosse qualcosa che potreste portare senza danno a Reading, sarò ben contento di darvene qualche talea.»

Intavolarono una gradevole e varia conversazione mentre si aggiravano per i sentieri del giardino recintato, mettendo a confronto le proprie esperienze circa la coltivazione e l'uso delle varie piante. Fratello Adam aveva l'occhio pronto per le rarità e probabilmente sarebbe tornato a Reading con un bottino considerevole. Ammirò l'ordine e l'accuratezza del laboratorio di erboristeria di Cadfael, la collezione di fruscianti erbe essiccate appese alle travi del soffitto e sotto le grondaie nonché lo schieramento di bottiglie, vasi e flaconi sugli scaffali. Aveva anche lui qualche consiglio e qualche suggerimento da offrire e quell'amabile gara li tenne felicemente occupati per tutto il pomeriggio. Quando tornarono insieme nel cortile principale, per il vespro, lo trovarono notevolmente animato, come se i festeggiamenti fossero già cominciati. Cavalli che venivano condotti nelle scuderie e fagotti che venivano portati in foresteria. Un robusto signore anziano, ben equipaggiato per cavalcare, si stava dirigendo, seguito da un servo, verso la chiesa per il debito omaggio all'arrivo.

I pupilli più giovani di fratello Paul, tutti occhi e curiosità, si aggiravano nei pressi della portineria per vedere i primi arrivi e fratello Jerome, indaffarato come sempre per gli incarichi del priore, cercava invano di allontanarli. Obbedivano per un momento e poi tornavano ad accostarsi di nuovo non appena Jerome spariva. A sua volta, un gruppo di abitanti del sobborgo si era radunato nella strada a guardare, mentre alcuni cani correvano eccitati fra le loro gambe.

«Domani i pellegrini saranno molti di più», commentò Cadfael osservando la scena. «Questo è appena il principio. Se si manterrà il bel tempo, avremo davvero una grande festa per la nostra santa.»

Ed ella capirà che tutto questo si fa in suo onore, pensò, anche se è tanto lontana. E chissà che non abbia a farci una visita, per bontà di cuore? Che cos'è la distanza per una santa, che può trovarsi dove vuole in un batter d'occhi?

 

Il giorno seguente la foresteria si riempì rapidamente. Arrivarono pellegrini per tutto il corso della giornata, alcuni soli, altri in gruppi che si erano incontrati e avevano fatto amicizia durante il viaggio; altri ancora a piedi o in groppa a pony; certi in perfetta salute e contenti di godersi una vacanza, certi altri che avevano percorso soltanto poche miglia oppure venivano da molto lontano; c'erano poi quelli che camminavano con le grucce o erano guidati da amici che ci vedevano meglio di loro, e non mancavano nemmeno poveri infelici affetti da dolorose deformità e da malattie della pelle o da infermità debilitanti: tutti accomunati dalla fervida speranza di un qualche sollievo.

Cadfael si dedicò col solito impegno ai propri doveri della giornata, dividendosi tra chiesa ed erbario, ma con un occhio attento a tutto ciò che meritava un qualche interesse e che lui scorgeva attraversando la corte principale ora ribollente di attività. Ogni nuovo arrivato, ogni faccia nuova, attirava la sua attenzione, seppure, fino a quel momento, soltanto da lontano, perché nessuno aveva un nome che lo distinguesse dagli altri. Se poi qualcuno avesse avuto bisogno del suo aiuto, lo avrebbero mandato da lui; nel caso poi che qualcun altro avesse a trovarsi fortuitamente sul suo cammino, sarebbe stato trattato con la massima affabilità, chiunque fosse.

La prima persona che gli accadde di notare fu una donna che, poco dopo la Prima, attraversava indaffarata la corte, dalla portineria alla foresteria, reggendo su un braccio un canestro colmo di pane appena sfornato e dolcetti comprati al mercato del Foregate. Una massaia premurosa, se usciva così di buon'ora a far provviste anche in vacanza, sapendo bene che cosa voleva e non fidandosi del forno dell'abbazia per procurarselo. Una donna robusta, sicura di sé, più o meno sulla cinquantina, tuttavia fresca come una rosa. Vestita di un abito semplice e sobrio ma di ottima stoffa e portato con fierezza, con un angolo candido come la neve sotto il grande fazzoletto di lino scuro. Non era alta, anche se il suo portamento eretto la faceva sembrare tale, e aveva un viso tondo, con grandi occhi e guance larghe e il mento risoluto.

Sparì rapidamente nella foresteria e, per quanto Cadfael non avesse avuto modo di osservarla a lungo, la sua immagine gli rimase fissa nella mente durante tutte le funzioni e i compiti della prima mattina. La scorse poi di nuovo tra i fedeli all'uscita dalla messa, con le braccia allargate come le ali di una chioccia intorno ai suoi pulcini, sospingendo davanti a sé quelli che parevano i suoi due pulcini quasi nascosti dai fianchi ampi e dalle abbondanti pieghe delle gonne. Tutto in lei sembrava essere all'insegna della larghezza: il fazzoletto che portava sul capo sicuramente più ampio del necessario, i fianchi accentuati dalle voluminose sottane, l'aria autoritaria e indaffarata che contraddistingueva in ogni occasione il suo comportamento esuberante. Cadfael si sentì inondare da un senso di calore per quella vigorosa irruenza, pur riserbando un pizzico di simpatia per i pulcini cui faceva da mamma, così stipati sotto ali tanto ampie e soffocanti.

Cadfael fu occupato per tutto il pomeriggio nel suo piccolo regno. Il monaco, intento a preparare i vari medicamenti che avrebbe dovuto portare la mattina seguente a Saint Giles perché avessero scorte sufficienti per tutto il periodo delle feste, non pensò più alla donna né ad altri ospiti della foresteria, poiché nessuno finora aveva avuto bisogno del suo aiuto. Tuttavia, mentre stava riempiendo una scatoletta di pasticche calmanti per il mal di gola, un'ombra voluminosa bloccò la porta aperta del suo laboratorio e una voce chiara e vivace disse: «Domando scusa, fratello, ma fratello Denis mi ha suggerito di venire da voi e mi ha indirizzata qui».

Era lei, che occupava l'intero vano della porta con le sue spalle quadrate, le mani incrociate sopra la cintola e la testa eretta. I suoi occhi, grandi e distanziati, erano di un azzurro brillante: le ciglia erano rade e chiarissime, ma le pupille erano ferme e fisse sul loro obiettivo.

«Si tratta del mio nipotino, fratello», proseguì in tono sicuro, «il figlio di mia sorella, che è stata tanto sciocca da andarsene a sposare un gallese vagabondo di Builth. Poi lui è morto e dopo un poco è morta anche lei, lasciando orfani i due figli, con nessuno al mondo per badare a loro all'infuori di me. Che ho perduto io pure il marito e debbo badare al suo mestiere, senza il conforto di un figlio mio. Non che non sappia cavarmela benissimo col lavoro e con gli operai, perché in questi vent'anni ho imparato tutto ciò che c'era da imparare nel campo della tessitura, eppure un figlio mi sarebbe stato di grande aiuto. Ma non era destino e il figlio di una sorella è lui pure il benvenuto, anche se non gode di molta salute, perché è il ragazzo più caro che si sia mai visto. Ed è questo il mio dolore, vedete, fratello. Non sopporto di vederlo soffrire, anche se non si lamenta mai. Per questo sono venuta da voi.»

Cadfael fu svelto a incunearsi nella prima pausa di quel torrenziale flusso di parole per dire a sua volta qualcosa.

«Entrate, signora, e siate la benvenuta. Ditemi di che cosa soffre questo vostro nipote e che cosa posso fare io, e lo farò ben volentieri. Ma sarebbe meglio che lo vedessi io stesso e parlassi con lui, di modo che possa dirmi dove gli fa male. Sedete, mettetevi comoda e parlatemi di lui, intanto.»

La donna entrò con piglio sicuro e sedette sulla panca contro la parete, allargando con gesto risoluto le gonne, poi osservò con curiosità e interesse i ripiani ricolmi, i fasci di erbe appesi alle travi, il braciere, i vasi e le fiasche, senza tuttavia dar segno di alcuna soggezione davanti a Cadfael o ai suoi misteri.

«Vengo dalla regione dei tessitori, laggiù dalle parti di Campden, fratello. Era il mestiere di mio marito, come lo era stato di suo padre e di suo nonno, ed è quello che continuo a fare anch'io, Alice Weaver. Ma quella mia sorella minore se n'era andata con un gallese e adesso sono morti entrambi e i loro due figli vivono con me. Una fanciulla di diciotto anni, ormai, buona e lavoratrice, e penso che si troverà un compagno adatto a lei, prima o poi, anche se sentirò molto la sua mancanza, perché è brava in tutto, forte e sana, diversamente da suo fratello. Porta lo strano nome di una santa gallese, Melangell. Avete mai sentito niente di simile?»

«Sono gallese anch'io», disse gaiamente il monaco. «I nostri nomi risultano un po' ostici per le lingue inglesi, lo so.»

«Oh, be', il nome del ragazzo invece è corto e abbastanza semplice. Si chiama Rhun. Ha sedici anni, due meno di sua sorella, ma purtroppo non è robusto come lei, povero figliolo. È abbastanza ben sviluppato e molto bello, anche, ma fin da bambino ha avuto qualche guaio con la gamba destra che è contorta e molto debole, al punto che lui può appena appoggiare per terra la punta del piede e anche quello è tutto girato da una parte e non regge alcun peso... può a malapena toccare il suolo. Cammina con due stampelle. E l'ho portato qui con la speranza che santa Winifred possa fare qualcosa per lui. Ma gli costa una gran pena camminare, anche se siamo partiti tre settimane fa per poter fare tappe molto brevi.»

«E ha fatto tutto il viaggio a piedi?» domandò Cadfael, sgomento.

«Non sono tanto ricca da poter permettermi un cavallo, oltre a quello di cui ci serviamo a casa per il lavoro. Due volte abbiamo trovato carrettieri gentili che lo hanno portato fin dove hanno potuto, ma per il resto gli è toccato zoppicare con le sue stampelle. Tuttavia molti altri, venuti a questa festa, fratello, avranno fatto altrettanto nelle stesse condizioni o peggio. Ma ormai è qui, al sicuro nella foresteria, e se le mie preghiere potranno fare qualcosa per lui, se ne tornerà a casa con le due gambe sane come quelle di un bel giovane vigoroso. Ma intanto soffre più che mai.»

«Avreste dovuto portarmelo qui», osservò Cadfael. «Che tipo di dolore è? Gli fa male quando si muove o quando sta fermo? Sono le ossa o i muscoli della gamba?»

«È peggio la notte, quando è a letto. L'ho sentito spesso piangere, la notte, anche se cerca di non farsi sentire per non disturbarci. A volte non riesce quasi a chiudere occhio. Gli fanno male le ossa, sì, ma anche i nervi del polpaccio si annodano in crampi tali da farlo gemere suo malgrado.»

«Per questo, qualcosa si può fare», mormorò il monaco, riflettendo. «Quanto meno possiamo provare. In ogni caso c'è qualche pozione che gli allevierà il dolore e gli consentirà di dormire, la notte.»

«Non è che io non abbia fede nella santa», si affrettò ad assicurare Alice Weaver. «Ma, frattanto, che possa almeno riposare un poco, dico io. Perché un povero figliolo che soffre non dovrebbe chiedere l'aiuto di semplici, bravi uomini mortali come voi, che hanno a un tempo fede e sapienza?»

«Più che giusto, certo! Anche l'ultimo di noi può essere strumento di una grazia, anche se non per proprio merito. Meglio che lo portiate qui, quel ragazzo, dove potremo starcene tranquilli. Alla foresteria ci sarà una quantità di gente e di baccano, nell'erbario invece non ci disturberà nessuno.»

Soddisfatta, la donna si alzò per congedarsi, tuttavia non prima di aver descritto a Cadfael il viaggio lungo e faticoso, la scarsa cortesia dei compagni di strada e gli altri pellegrini che li avevano sorpassati arrivando prima di loro.

«Ce n'è più d'uno, là», aggiunse accennando col capo all'alto muro posteriore della foresteria, «che avrà bisogno del vostro aiuto, oltre al mio Rhun. Per esempio due giovani con i quali ci siamo accompagnati negli ultimi giorni, che procedevano lentamente come noi. Oh, uno era abbastanza sano e vigoroso, ma doveva tenersi al passo col suo compagno, che aveva percorso a piedi nudi ancora più miglia di quante non ne avesse percorse il mio Rhun con le grucce e aveva i piedi in uno stato da far pietà. Ma che cosa credete, che si fosse preoccupato di fasciarseli almeno con qualche straccio? Macché! Ha detto che aveva fatto voto di camminare scalzo per tutto il viaggio. Con una grossa croce appesa al collo, per giunta, con una cordicella che a lungo andare gli ha persino scorticato la pelle. Ma anche quello faceva parte del voto. Io non riesco proprio a capire perché un giovane così a modo scelga di sottoporsi volontariamente a una simile tortura, ma la gente è tanto strana, a volte, e suppongo che quel poveretto speri di ottenere qualche grazia straordinaria in compenso delle sue sofferenze. In ogni caso penso che potrebbe cercare qualche balsamo per i suoi piedi, mentre si riposa qui, non vi pare? Debbo dirgli di venire da voi? Mi farebbe piacere essere di qualche aiuto a quei due. Matthew, quello sano, ha tratto in salvo mia nipote da un grave pericolo quando alcuni cavalieri, che galoppavano come fossero impazziti, per poco non ci hanno scaraventati tutti nel fosso; senza contare che, dopo, quel ragazzo si è fatto carico di quei fagotti che doveva portare lei, perché io avevo il mio da fare ad aiutare Rhun. E per essere sincera, penso che si sia persino un po' innamorato della nostra Melangell perché si occupava tanto di lei, quando abbiamo proseguito il viaggio assieme. Quasi più che del suo amico, benché naturalmente gli restasse sempre vicino. Un voto è un voto, suppongo, e se un uomo decide di procurarsi volutamente tante sofferenze, che cosa può fare un altro per impedirglielo? Può soltanto restargli vicino, come fa per l'appunto Matthew, che non lo lascia mai.»

Era già fuori della porta, allargando le narici ad aspirare il profumo delle erbe inondate di sole, quando girò la testa per aggiungere: «Vi sono altri che non perdono occasione per dichiararsi ad alta voce pellegrini, ma di un paio di loro io non mi fiderei nemmeno a un miglio di distanza. Eppure i bricconi, suppongo, sanno intrufolarsi dappertutto, persino tra i santi!»

«Sempre che i santi abbiano denaro nella borsa o qualcos'altro che valga la pena di rubare», convenne amaramente Cadfael. «Allora i bricconi non saranno mai lontani.»

 

Che Alice Weaver avesse parlato o no con i suoi strani compagni di viaggio, furono proprio loro che comparvero nell'erbario dopo circa mezz'ora, ancora prima di Rhun. Fratello Cadfael si era rimesso a diserbare le sue aiuole quando li udì arrivare, o quanto meno udì i passi quieti e pazienti del giovane sano scricchiolare sulla ghiaia dei vialetti. L'altro non faceva alcun rumore perché camminava piano, guardingo, sui margini erbosi, freschi e riposanti per i suoi piedi in pessime condizioni. Se qualche rumore tradiva il suo avvicinarsi, era semmai il suo respiro ansante e faticoso, palesemente trattenuto, di tanto in tanto, per una fitta di dolore. Non appena si raddrizzò, girando il capo, Cadfael indovinò chi erano.

All'incirca della stessa età, più o meno uguali per corporatura e colorito, più alti della media, almeno quello che non stava curvo per la fatica di camminare, scuri di occhi e di capelli, sui venticinque, ventisei anni. Tuttavia non così uguali da essere scambiati per fratelli o parenti stretti. Il sano era di carnagione più scura, come se fosse abituato a stare all'aria aperta e al sole, con zigomi e mandibola più larghi, un viso fiero e caparbio, riservato, di un'immobilità sconcertante, impenetrabile. Il volto del sofferente invece era lungo e mobilissimo, appassionato, con zigomi alti e guance incavate, la bocca tirata o per il dolore attuale o per un atteggiamento costante. Uno dei suoi compagni abituali poteva essere la collera, un altro forse un bruciante fervore. Il suo amico Matthew camminava dietro a lui, silenzioso e con una sorta di gelosa attenzione.

Memore delle loquaci confidenze di Alice Weaver, Cadfael girò lo sguardo dai piedi gonfi e martoriati al collo escoriato. Sotto il colletto della semplice casacca scura, il devoto pellegrino si era avvolta una benda di lino per alleviare lo sfregamento della cordicella cui era appesa la pesante croce che gli pendeva sul petto, una croce di ferro con un disegno a foglie formato da un filo che sembrava oro. Il lino era segnato soltanto da una lieve linea rossa e questo poteva significare due cose: o era stato cambiato di fresco o non era servito a niente. Restava il fatto che la cordicella era terribilmente sottile e la croce certamente molto pesante. A quale scopo un uomo così giovane poteva avere deciso di torturarsi a quella maniera? E quale piacere poteva pensare che provassero Dio o santa Winifred nel vedere le sue sofferenze?

Occhi di uno splendore febbrile scrutarono il monaco mentre una voce sommessa chiedeva: «Siete fratello Cadfael? È questo il nome che mi ha dato il fratello dispensiere. Ha detto che voi avreste avuto qualche unguento capace di aiutarmi. Sempre che», aggiunse il giovane guardando Cadfael con scintillante fissità, «esista da qualche parte qualcosa capace di aiutarmi».

Cadfael l'osservò per qualche momento soprappensiero, ma non fece domande finché non l'ebbe accompagnato nel suo laboratorio, insieme con l'amico, e fatto sedere sulla panca per poter esaminarlo con la debita cura. Matthew si fermò invece accanto alla porta aperta, attento a non bloccare la luce, ma rifiutando di entrare.

«Avete camminato un bel po' a piedi nudi», osservò il monaco, inginocchiandosi per controllare da presso i danni. «Era proprio necessaria tanta crudeltà?»

«Certo. Non mi detesto al punto di infliggermi tutto questo senza scopo.» Il suo silenzioso compagno accanto alla porta perse un poco della propria compostezza, ma non aprì bocca. «Ho fatto un voto e intendo mantenerlo», riprese il giovane, come se sentisse il bisogno di giustificarsi, prevenendo le domande. «Mi chiamo Ciaran, sono figlio di una gallese e sto tornando là dove sono nato, per finire la mia vita dove è cominciata. Voi vedete le ferite sui miei piedi, fratello, tuttavia ciò che mi affligge maggiormente non lo si vede in nessuna parte del mio corpo: una malattia mortale, non pericolosa per gli altri, ma che mi porterà ben presto alla tomba.»

Era possibile, pensò Cadfael indaffarato a cospargere un olio detergente sulle piante di quei poveri piedi gonfi e sugli alluci tagliuzzati da ghiaia e sassi. Il fuoco febbrile di quegli occhi infossati poteva ben essere il riverbero di un fuoco ancora più ardente dentro il suo corpo. Un corpo giovane, era vero, ora più rilassato per il riposo, armonioso e non smagrito: tuttavia non era da escludere che celasse in sé un male incurabile. La voce di Ciaran era sommessa, ma pacata e ferma, come se lui fosse ormai venuto a patti con la morte che sapeva di portarsi dentro.

«Per questo torno in pellegrinaggio penitenziale, per la salute della mia anima, che importa più di tutto. Scalzo e gravato di un peso, raggiungerò la casa canonicale di Aberdaron, per poter essere sepolto nella sacra isola di Ynys Enlli, dove il terreno è formato dalle ossa e dalla polvere di migliaia e migliaia di santi.»

«Avrei pensato», obiettò con dolcezza Cadfael, «che tale privilegio si sarebbe potuto acquisirlo anche andandovi calzato normalmente, umile e sottomesso come chiunque altro.» Ciò non ostante, era un'aspirazione comprensibilissima in un uomo devoto, di estrazione gallese, consapevole di essere prossimo alla fine. Aberdaron, all'estremità della penisola di Lleyn, di fronte al mare selvaggio e alla più sacra isola della Chiesa gallese, era stata l'ultimo porto per molti fedeli e l'ospitalità della casa canonicale non era mai stata rifiutata a nessuno. «Non voglio affatto mettere in dubbio il valore del vostro sacrificio, eppure la scelta di imporsi una sofferenza mi pare un segno di arroganza, non di umiltà.»

«Può darsi», ammise vagamente Ciaran. «Ma ormai è fatta, mi sono impegnato.»

«È vero», confermò Matthew dal suo angolo accanto alla porta. Una voce misurata eppure brusca, più profonda di quella del compagno. «Solennemente impegnato! Lo siamo tutti e due, io non meno di lui.»

«Ma non per lo stesso voto!» ribatté Cadfael. Perché Matthew portava ottime scarpe, un po' logore ai calcagni, ma solide contro i sassi delle strade.

«No, non lo stesso, ma non meno impegnativo. E io non dimentico il mio, come lui non dimentica il suo.»

Cadfael posò il piede che aveva cosparso di linimento sopra una pezzuola ripiegata e prese il suo compagno. «Dio mi guardi dal tentare di indurre qualcuno a rompere un giuramento. Farete entrambi ciò che vi siete impegnati a fare, ma voi, Ciaran, potreste almeno lasciar riposare i vostri piedi sin dopo le feste, così avranno tre giorni per risanarsi. Qui dentro l'abbazia, in ogni caso, il terreno non è così aspro. E quando saranno guariti, ho uno spirito molto forte che servirà a indurirvi le piante per il giorno in cui vi rimetterete in cammino. A meno che non abbiate giurato anche di rinunciare a qualsiasi aiuto umano. Ma, poiché siete venuto da me, suppongo che non siate ancora arrivato a questo punto. Ecco fatto, ora restatevene seduto ancora per un poco e lasciateli asciugare.»

Il monaco si rialzò, osservando con occhio critico il proprio lavoro, prima di dedicare la propria attenzione alla benda di lino attorno al collo di Ciaran. Prese delicatamente fra le dita la cordicella che reggeva la croce e fece l'atto di sfilargliela dal capo.

«No, no, lasciatela!» Con un sommesso ma selvaggio grido di allarme, Ciaran afferrò contemporaneamente cordicella e croce, l'una con la destra, l'altra con la sinistra, stringendosele contro il petto. «Lasciate! Non toccatele!»

«Ma potrete pure sfilarvele mentre vi medico le ferite che vi hanno provocato, no?» proruppe il monaco, sbalordito. «Sarà questione di un momento.»

«No!» Ciaran incrociò con forza le mani sopra la croce. «Mai, nemmeno per un momento, né di giorno né di notte! No! Non toccatela!»

«Sollevatela, allora», suggerì Cadfael, rassegnato. «E tenetela così mentre vi medico questo taglio. No, non abbiate paura, non sto cercando di ingannarvi. Lasciate però che vi tolga questa benda e veda che cosa c'è sotto.»

«Eppure dovrà pur togliersela, quella croce», intervenne Matthew in tono sommesso. «L'ho pregato tante volte di farlo... Altrimenti come potrà mai guarire?»

Cadfael sciolse la benda di lino, osservò la lunga linea di sangue essiccato solo in parte, e si mise all'opera con una lozione pungente per ripulirla dalla polvere e dai minuscoli frammenti di pelle morta, poi spalmando una pomata cicatrizzante di attaccavesti; infine rimise a posto la benda, sistemandola con cura sotto la cordicella.

«Ecco, così non avete infranto il vostro voto. Se terrete sollevata la croce con le mani quando camminate e lascerete lenta la cordicella quando siete a letto, sarete guarito prima di rimettervi in viaggio.»

Gli sembrò che avessero entrambi una gran fretta di andarsene perché uno posò cautamente i piedi per terra non appena fu libero di farlo e l'altro uscì subito alla luce del sole aspettando, come se montasse la guardia, che uscisse anche il compagno. Il primo senza sprecarsi in ringraziamenti, il secondo con nulla più che un lieve cenno di saluto.

«Ma vorrei ricordare a entrambi», disse il monaco fissandoli con occhi penetranti, «che siete presenti alla festa di una santa che ha compiuto tanti miracoli, persino a dispetto della morte. Una santa che può avere la vita stessa fra i suoi doni», precisò calcando sulle parole, «anche per un uomo già condannato a morte. Tenetelo bene in mente, perché può darsi stia ascoltando, in questo momento!»

Nessuno dei due giovani parlò, né scambiò un'occhiata col compagno.

Rimasero a fissare per qualche momento Cadfael dallo splendore olezzante del giardino con occhi sbigottiti e circospetti, poi si voltarono di scatto, contemporaneamente, e si allontanarono, l'uno con passo sicuro, l'altro zoppicando.

 

CAPITOLO IV

 

Dopo un brevissimo intervallo, e dunque ben poco lavoro, ecco apparire la seconda coppia che, rifletté Cadfael, doveva essersi incontrata con la prima appena fuori dell'erbario e forse essersi soffermata a scambiare qualche amichevole parola, visto che avevano proceduto a fianco a fianco per le ultime miglia del loro cammino.

La fanciulla camminava sollecita accanto al fratello, lasciandogli la parte meno accidentata del sentiero e tenendo una mano sotto il suo gomito sinistro: lo toccava appena ma era pronta a sorreggerlo se fosse stato necessario. Il suo sguardo poi era sempre fisso su di lui, rivelando un'affettuosa preoccupazione. Se Rhun era il cocco per il quale si avevano tutte le cure e lei la sana bestia da soma, la fanciulla non si risentiva certo della diversità di trattamento. Anche se una volta, ma una volta sola, girò il capo a guardare indietro con un'espressione diversa e un sorriso esitante. Melangell era linda e semplice nel vestito campagnolo di ottima stoffa; i capelli erano austeramente raccolti in due trecce, ma il viso era vivace e splendente come una rosa e, anche adeguandosi al passo del fratello, i movimenti scattanti e tuttavia armoniosi parlavano di uno spirito nobile e appassionato. A differenza della maggior parte delle gallesi, i capelli della ragazza non erano bruni, bensì di un oro ramato e le sopracciglia più scure si inarcavano sopra grandi occhi azzurri. Alice Weaver non doveva essere stata molto lontana dal vero supponendo che un baldo giovane, dopo avere portato sulle braccia una donnina così graziosa per sottrarla a un pericolo, potesse ricordare con estremo piacere quell'esperienza e non essere contrario a ripeterla. Sempre che riuscisse a staccare gli occhi dal suo amico pellegrino quanto sarebbe bastato per tentarlo!

Il ragazzo si appoggiava pesantemente sulle stampelle, con la gamba destra che penzolava inerte e l'alluce rivolto verso l'interno, sfiorando a malapena il terreno. Se avesse potuto tenersi eretto, sarebbe stato di tutta la testa più alto della sorella, ma, così curvo, sembrava persino più piccolo. Il suo giovane corpo, tuttavia, era ben proporzionato, concluse Cadfael dopo averlo osservato mentre si avvicinava: aveva infatti spalle larghe e fianchi stretti, e la gamba sana era lunga, vigorosa e ben modellata. Un po' più magro di quanto sarebbe dovuto essere, certo, ma se trascorreva le sue giornate in preda alle sofferenze, era poco probabile che godesse di un sano appetito.

Cadfael cominciò il suo esame dal piede storto, risalendo poi lungo le gambe e il corpo, fino al viso. Rhun era più biondo della sorella, con capelli e sopracciglia del colore del grano maturo, il viso sottile levigato come l'avorio e occhi di un luminoso grigio-azzurro, limpidi come cristallo tra lunghe ciglia scure. Un viso immobile e quieto, un viso che aveva imparato la paziente sopportazione e si aspettava di averne bisogno per tutto il resto della vita. Fino dalla prima occhiata che scambiarono, fu chiaro per il monaco che Rhun non contava su alcuna guarigione miracolosa, quali che fossero le speranze di sua zia Alice.

«Se non vi dispiace», disse esitante la fanciulla, «vi ho portato mio fratello, come mi ha detto la zia. Lui si chiama Rhun e io Melangell.»

«Sì, mi ha parlato di voi», ribatté Cadfael invitandoli con un cenno a seguirlo verso il laboratorio. «Avete fatto un viaggio molto lungo. Venite dentro e mettetevi comodi per quanto è possibile, mentre io esamino questa povera gamba. Ha subito qualche incidente? Una brutta caduta, il calcio di un cavallo? O un accesso di febbre delle ossa?» Fece sedere il ragazzo sulla panca, gli prese le grucce e le mise in disparte, poi lo sistemò in modo che potesse stendere le gambe sul sedile.

Con gli occhi seri fissi sul viso del monaco, Rhun scosse lentamente la testa. «No, nessun incidente», rispose con voce chiara ma sommessa, da adulto. «Il male è venuto a poco a poco, mi pare, ma non ricordo un tempo in cui non lo avessi. Dicono che ho cominciato a zoppicare e cadere quando avevo tre o quattro anni.»

«Rhun vi spiegherà tutto lui stesso», intervenne improvvisamente Melangell che si era fermata esitante sulla soglia. «Si sentirà più a proprio agio solo con voi. Io tornerò fra un poco e aspetterò sulla panca lì fuori finché non ci sarà bisogno di me.»

Gli occhi chiari e lucenti di Rhun, trasparenti come ghiaccio al sole, le sorrisero di sopra la spalla di Cadfael. «Vai, vai. È una giornata così bella, cerca di godertela senza avere me che ti ciondolo addosso.»

Lei lo fissò per un lungo momento con occhi ansiosi, ma una parte della sua mente era già lontana: certa di lasciare il fratello in buone mani, Melangell fece un'affrettata riverenza e se ne andò lasciando i due a guardarsi, ancora estranei eppure già sulla via della confidenza.

«Va a cercare Matthew», disse candidamente Rhun, fiducioso di essere capito. «È stato molto premuroso con lei. E anche con me... Una volta mi ha portato sulle spalle per l'ultimo tratto di strada fino al nostro alloggio per la notte. Le piace, Matthew, e lei piacerebbe a lui se soltanto riuscisse a vederla com'è veramente. Ma quello ha occhi quasi soltanto per Ciaran.»

Quella franca semplicità avrebbe potuto farlo apparire persino ingenuo, ma sarebbe stato un grave errore. Descriveva ciò che vedeva - purché, sperò Cadfael, avesse già preso le misure della persona con cui parlava -, tuttavia vedeva assai più di molti altri poiché aveva tanto più bisogno di vedere e di memorizzare, per riempire le lunghe ore delle sue giornate.

«Sono stati qui?» domandò sollevando le anche perché il monaco potesse sfilargli le calzebrache.

«Sì.»

«Vorrei tanto che lei fosse felice.»

«L'ha dentro di sé la felicità, lei», osservò Cadfael con una bonarietà quasi involontaria. La luminosa spontaneità di quel ragazzo rendeva naturali, quasi inevitabili, risposte spontanee. Aveva calcato un poco la voce, era sembrato, su quel «lei». Rhun nutriva poche speranze di poter mai essere felice, ma desiderava con tutta l'anima che lo fosse la sorella. «Ora stai bene attento, perché è molto importante», riprese il monaco chinandosi su di lui. «Chiudi gli occhi, rilassati e dimmi dove ti fa male, quando ti tocco. Anzitutto, hai qualche dolore, così a riposo?»

Rhun chiuse docilmente gli occhi e lasciò passare qualche minuto, respirando piano. «No, sto benissimo, così.»

Bene, significava che i suoi nervi erano sciolti e distesi e almeno in quella posizione non dolevano. Cadfael scese tastando lungo la gamba, dalla coscia al polpaccio e alla caviglia, dapprima con dita leggere, poi premendo ed esplorando. Così steso e in riposo, l'arto distorto riassumeva in parte il suo naturale allineamento e appariva ben formato, anche se molto più scarno del sinistro e deturpato dalla punta del piede rivolta all'interno e da alcuni grumi duri e nodosi al polpaccio. Cadfael prese a massaggiarli, affondandovi le dita, cercando di sciogliere i tessuti induriti.

«Ecco, lì lo sento», disse Rhun ansando un poco. «Non è proprio un dolore... Fa male, sì, ma non da piangere. È un dolore quasi piacevole...»

Fratello Cadfael si unse le mani, le passò con calma sul polpaccio contratto e continuò a lavorare con dita ferme sui tendini non esercitati da anni, all'infuori di quel lieve tocco dell'alluce sul terreno. Massaggiò con dolcezza, lentamente, cercando i punti di maggior resistenza. C'era una tensione innaturale, lì, che non si sarebbe ancora sciolta sotto le sue dita che si muovevano con delicatezza, mentre la sua mente vagava altrove.

«Sei rimasto orfano molto presto, ho saputo. Da quanto tempo stai con tua zia?»

«Da sette anni, ormai», mormorò Rhun quasi assopito, rilassato dal tocco di quelle abili dita. «So che siamo un peso per lei, eppure mia zia non lo dice mai, né permette che lo dica qualcun altro. Ha un buon lavoro, ma modesto, sufficiente per le sue necessità e per tenere due operai: di certo non è ricca. Melangell lavora sodo per badare alla casa e alla cucina e si guadagna il suo sostentamento. Io ho imparato a tessere, ma sono troppo lento. Non posso stare né in piedi né seduto molto a lungo e non sono di alcun profitto per la zia. Però lei non dice mai niente, benché abbia una lingua tagliente, quando vuole.»

«E posso capirla», convenne pacatamente Cadfael. «Una donna con tante preoccupazioni può ben essere brusca, a volte, senza cattive intenzioni. Vi ha portati qui con la speranza di un miracolo, lo sai? Sennò perché vi sareste sobbarcati a un viaggio così lungo e faticoso, misurando le tappe giorno per giorno secondo le tue possibilità? Però mi sembra che tu non ti aspetti niente. Non credi che santa Winifred possa fare miracoli?»

«Io?» Rhun trasalì, spalancando gli occhi più limpidi delle acque limpide sulle quali Cadfael aveva navigato tanti anni addietro nei mari d'oriente, lungo spiagge dove la sabbia era bianca e scintillante. «Oh, mi avete giudicato male. Certo che lo credo! Ma perché a me? Migliaia di persone che stanno come me e centinaia che stanno peggio si rivolgono a lei. Come potrei osare di essere annoverato tra i primi? Oltretutto, io posso sopportare il mio male, mentre tanti altri non possono sopportare quello che hanno. La santa saprà chi scegliere. E non v'è alcun motivo perché la sua scelta abbia a cadere su di me.»

«Allora perché sei venuto qui?»

Rhun girò la testa di lato e palpebre venate di violetto, simili a petali d'anemone, velarono i suoi occhi. «Sono state loro a voler venire e io ho acconsentito. E poi c'era Melangell...»

Sì, Melangell, bella e piena di vita, una festa per gli occhi, pensò Cadfael. Suo fratello sapeva che non aveva dote e desiderava per lei un po' di gioia e un matrimonio decoroso, ma là a casa, relegata com'era fra le mura domestiche e conosciuta come la nipote povera, di certo i corteggiatori non abbondavano. E un viaggio così lungo e avventuroso, che l'avrebbe portata a conoscere una quantità di gente... chi sapeva quali occasioni avrebbe potuto offrirle?

Un movimento brusco stirò un nervo contratto nella gamba malata di Rhun che si appoggiò contro la parete di tronchi con dolorosa cautela. Cadfael tornò a infilargli le calzebrache, gliele sistemò per bene, poi gli fece posare il piede sano e quello malato sul pavimento di terra battuta.

«Torna da me domani, dopo la messa solenne, perché penso di poter aiutarti, almeno un poco. Ora resta lì seduto, mentre io vedo se tua sorella è tornata. Se non c'è ancora, puoi riposarti finché non verrà. Ti darò una medicina da prendere stasera, quando andrai a letto. Ti calmerà i dolori e ti aiuterà a dormire.»

Melangell era già là, sola e immobile contro la parete riscaldata dal sole, con lo splendore del viso un po' offuscato, come se un'ansiosa aspettativa si fosse tramutata in una grigia delusione. Tuttavia, nello scorgere Rhun che usciva dalla capanna, si alzò con un sorriso risoluto e la sua voce fu gaia e incoraggiante come sempre mentre si allontanava lentamente col fratello.

 

Cadfael ebbe l'opportunità di osservarli tutti, il giorno seguente, alla messa. La sua mente sarebbe dovuta essere rivolta ad argomenti meno terreni, ma si ostinò ad attardarsi sull'ampio fazzoletto che ricopriva il capo di Alice Weaver e sulla massa di capelli scuri e ricciuti che incoronava quello di Matthew. Quasi tutti gli ospiti della foresteria, gli eletti che occupavano stanze separate e i pellegrini, uomini e donne, che condividevano i due dormitori comuni, erano presenti con i loro abiti migliori a quella funzione solenne, qualunque cosa si ripromettessero di fare poi per il resto della giornata. Alice Weaver seguiva devotamente ogni parola della santa messa e più di una volta diede di gomito a Melangell per richiamarla al dovere, perché spesso il capo della fanciulla era girato di lato e il suo sguardo fisso su Matthew invece che rivolto all'altare. Nessun dubbio che la sua mente, se non il suo cuore, era profondamente impegnata in quella direzione. Quanto a Matthew, se ne stava come sempre accanto a Ciaran, ma un paio di volte almeno si guardò intorno e i suoi occhi pensierosi si soffermarono, senza mutare espressione, su Melangell. Tuttavia quando, una volta, i loro occhi si incontrarono, fu lui a distogliere bruscamente i propri.

Quel giovane, rifletté Cadfael cui non era sfuggita la piccola scena, aveva un compito da assolvere, un compito che a nessuna fanciulla era consentito ostacolare o rovinare: portare l'amico sano e salvo alla fine del suo viaggio, ad Aberdaron.

Lo conoscevano già tutti, lì all'abbazia, quel Ciaran. Si sapeva già tutto di lui, che parlava liberamente e umilmente di se stesso. Aveva avuto l'intenzione di prendere gli ordini sacri, ma non era arrivato oltre il primo grado, quello di suddiacono, non aveva ancora avuto la tonsura e ormai non l'avrebbe avuta mai più. Fratello Jerome, sempre pronto a insinuarsi dove vi fosse qualche segno di superlativa virtù o di santità, lo aveva corteggiato e interrogato, affrettandosi poi a raccontare quanto aveva appreso a ogni confratello che fosse disposto ad ascoltarlo. La storia della malattia mortale di Ciaran e del suo pellegrinaggio penitenziale fino ad Aberdaron era ormai nota a tutti e avevano fatto profonda impressione le sofferenze che lui stesso si infliggeva. Fratello Jerome riteneva che fosse un onore per la casa ospitare un uomo simile. E in realtà quel viso scarno e appassionato, quegli occhi ardenti sotto i lunghi capelli scuri rivelavano una forza e un fervore eccezionali.

Rhun non poteva inginocchiarsi, ma rimase stoicamente ritto sulle sue grucce per tutta la durata della messa, con gli occhi scintillanti fissi all'altare. Nella luce morbida e tenue della chiesa, dove lo splendore di una giornata senza nubi si rifletteva sfumato da ogni superficie di pietra, Cadfael notò la sua bellezza, i tratti del suo viso morbidi e delicati come quelli di una fanciulla, l'onda dei capelli biondi sulle orecchie e sulle guance di una purezza e di una castità angeliche. Chi avrebbe potuto stupirsi se una donna senza figli propri si era tanto affezionata a lui ed era stata pronta ad abbandonare per molte settimane il lavoro dal quale traeva i mezzi per vivere, nella speranza di un miracolo che lo guarisse?

Poiché la sua attenzione, al pari dei suoi occhi, si andava ostinatamente sviando, Cadfael abbandonò la lotta e lasciò che l'una e gli altri corressero in libertà su tutte quelle teste devote che riempivano la chiesa. Un pellegrinaggio di quell'importanza finiva con l'assomigliare molto a una fiera, richiamando tutti i parassiti che solevano accorrere in tali occasioni: borsaioli, venditori di false reliquie, di dolci o di farmaci miracolosi, indovini, giocatori d'azzardo, imbroglioni e truffatori d'ogni genere. Molti di questi assumevano l'aspetto di persone rispettabili ed esercitavano di preferenza la propria professione all'interno dell'abbazia, invece che disporsi lungo il Foregate come a un mercato. Era sempre consigliabile tenere d'occhio tutta quella gente lì dentro, come stavano sicuramente facendo i sergenti di Hugh con quella di fuori, per individuare un'eventuale fonte di guai prima che il guaio scoppiasse.

Quell'assemblea aveva senza dubbio l'aspetto di ciò che dichiarava di essere, ma ciò non ostante c'era qualcuno che meritava un'attenzione particolare. Tre modesti, tranquilli artigiani, per esempio, che, arrivati a poca distanza l'uno dall'altro, avevano fatto amicizia lì, in apparenza senza essersi mai incontrati prima: Walter Bagot, guantaio; John Shure, sarto, e William Hales, maniscalco. Onesti lavoratori che avevano fatto di quel pellegrinaggio la loro vacanza estiva e si accingevano a goderne onestamente. Perché no? Eppure Cadfael aveva avuto modo di osservare le mani del sarto, devotamente intrecciate, e aveva notato le sue unghie, lunghe e ben curate come quelle di un borsaiolo da fiera, ben poco adatte al suo lavoro. Prese nota mentalmente dei loro volti: tondo e lucido quello del guantaio, come se lo avesse trattato con gli stessi prodotti che usava per le sue pelli; magro e composto quello del sarto, quasi lugubre nella cornice dei capelli flosci; quadrato e bruno quello del maniscalco, con occhi ammiccanti, l'immagine dell'onesto buonumore.

Forse erano davvero ciò che dicevano di essere. O forse no. Hugh sarebbe stato in guardia, e altrettanto avrebbero fatto gli attenti tavernieri del sobborgo e della città, per nulla desiderosi di tenere la porta aperta a chi si accingeva a tosare, a scuoiare i loro vicini e i loro clienti.

Cadfael uscì dalla messa con i confratelli, immerso in gravi pensieri, e trovò Rhun ad aspettarlo nell'erbario.

 

Quieto e obbediente, il ragazzo si sottomise alle manipolazioni del monaco, senza aprir bocca dopo un rispettoso saluto. Il ritmo monotono delle dita che cercavano di allentare i tessuti irrigiditi aveva un effetto calmante, anche quando affondavano tanto da provocare dolore. Rhun abbandonò la testa contro i tronchi della parete e a poco a poco i suoi occhi si chiusero. Le labbra e le guance contratte indicavano che non dormiva, ma Cadfael ebbe modo di osservare da presso il suo viso, mentre lavorava, e di notare il suo pallore, le ombre scure attorno ai suoi occhi.

«Hai preso la medicina che ti ho dato per la notte?» domandò.

«No.» Rhun aprì gli occhi, turbato, per vedere se avesse meritato un rimprovero, ma non lesse sorpresa né biasimo sul viso del monaco.

«Perché non l'hai presa?»