Terzo giorno

Giovedì

Si svegliò confuso. Aveva fatto un sogno strano... Era a letto con la Patty, ma lei si alzava all’improvviso e gli tirava dietro cuscini, scarpe, oggetti vari. Lui cercava di proteggersi il volto con le mani e si scusava... ma era poco convinto e per niente convincente. Anche nel sogno si sentiva in colpa. Le aveva mentito, ma anche lei, santiddio! Quando si intestardiva...

Il telefonino vibrò. Non erano ancora le sette e già vibrava.

Ma non era la sveglia, era Stefano.

Il suo amico ed ex collega Stefano. Da Milano.

«Vecchio leone di Calabria!»

«Ma ti sembra l’ora di chiamarmi?»

«Perché, dormivi?»

«No!»

«E allora? Sto smontando da una notte d’inferno, Gigi, abbiamo preso una banda di spacciatori. Quelli che avevamo iniziato a pedinare insieme, ti ricordi?»

Nostalgia canaglia.

«Mi manchi, sai?»

«Anche tu mi manchi, cazzone che non sei altro!»

«Ho sentito che lì non si scherza però, ti sei beccato un caso di omicidio!»

«Già.»

«Aldo Stabili ha avuto un travaso di bile, lo sai, quando ha scoperto che segui quel caso. Lui credeva che tu ti occupassi solo di passaporti, lì in riviera.»

«’Fanculo Aldo Stabili.»

Berté fece una smorfia di disgusto pensando alla faccia da schiaffi del vicequestore Stabili, nuovo capo di Stefano alla Questura centrale. Berté non lo sopportava.

«Senti, Gigi, non vieni mai a Milano? Sono solo due ore di macchina!»

Berté rimase in silenzio alcuni istanti prima di rispondere: «Che ci vengo a fare? Qui c’è il sole, il mare, la focaccia, le ragazze in bikini! Restaci tu nell’afa di Milano!»

Stefano scoppiò a ridere.

«Ho capito, vecchio leone, se torni qui poi non riesci a ripartire.»

«Vieni tu, piuttosto, porta la Betty e stiamo un po’ insieme al mare.»

Stefano promise, ma Berté lo sapeva, erano promesse da poliziotto.

Peggiori di quelle da marinaio.

Posò il cellulare sul tavolo e decise di fare una piccola ricerca. Voleva scoprire cosa diavolo fosse la paulonia. Accese il computer e cliccò su Wikipedia. Mentre leggeva la definizione non riuscì a trattenere un sorriso di soddisfazione: albero dal portamento maestoso (come lui) e dalle rigogliose e ampie fioriture molto decorative (la sua coda!), foglie cuoriformi...

Ah, quella Marzia!

Botta di presunzione.

Si lavò e si vestì in fretta. Si annodò la coda con il solito laccio di elastico nero e prese la giacca. Scese velocemente le scale sbirciando di qua e di là, senza incontrare nessuno.

Niente colazione, niente gatti, niente sorriso, niente canto.

L’Alfa, con Parodi alla guida, era posteggiata davanti alla pensione.

«Buongiorno, dottore» il sovrintendente lo salutò mentre lui saliva. «Ci sono un sacco di novità.»

«Allora?» gli chiese Berté allacciandosi la cintura, senza ricambiare il saluto.

«Stanotte Sabatini ha pedinato la ragazza. La Virdis e Gianni Colli erano insieme in una bisca clandestina vicino a Chiavari. Era un po’ che tenevamo d’occhio quell’appartamento, ci erano arrivate diverse segnalazioni. Sabatini ha fatto parlare il Colli. È un piccolo farabutto, un ladruncolo col vizio del gioco. Si è messo nei guai per un debito con gente che non scherza e così la fidanzatina, per aiutarlo, ha pensato di venire qui a chiedere soldi alla zia Lidia. Con la scusa di essere incinta l’ha convinta a scucire duemila euro. Ecco perché la Angelici aveva prelevato quei mille euro, per darli alla nipote.»

Berté immaginò la nipotina dark davanti al padre a ricevere i ‘te l’avevo detto che quello è un farabutto!’.

«Il Colli ha già a suo carico una denuncia per rissa e una per ricettazione: è messo male» continuò Parodi, «lo abbiamo trattenuto per farlo parlare con lei.»

«Va bene, poi lo interrogherà il PM. La ragazza è incinta davvero?»

«Macché, commissario. Era una balla per intenerire la zia. Il Colli nega tutto, ovvio, dice che con l’omicidio della regina non c’entra nulla. Però il suo alibi fa acqua da tutte le parti... porc...!» esclamò il sovrintendente schivando un ciclista che aveva sbandato. «Scusi, commissario, ma se lo tiro sotto, finisco nei guai io!»

Berté si lasciò scappare un sorrisino.

«Te la cavi bene con le gimcane, Parodi.»

«Sono vent’anni che sudo su questa strada!» si compiacque il sovrintendente parcheggiando la macchina davanti al commissariato.

Berté aprì la portiera per uscire.

«Ah, dottore» lo trattenne Parodi, «dimenticavo di riferirle una fonte confidenziale! Ieri sera in commissariato è venuta una certa Rosa Bacigalupo, è una negoziante del paese. Ha sentito la moglie di Angelino minacciare di morte la Angelici. Non ha voluto firmare nessuna deposizione, ma intanto il messaggio l’ha lanciato.»

«La conosci?»

«A detta di mia moglie, è una delle peggiori pettegole del paese e le giuro che in fatto di pettegole mia moglie se ne intende.»

«Non bisogna trascurare nessuno spunto investigativo. Manda qualcuno a sentire com’è andata, tanto per sondare, poi vedremo.»

«Bene, commissario, provvedo subito.»

«Adesso parlo con il Colli, così inizio bene la giornata. Poi sistemiamo anche l’equipaggio dello yacht. Hai visto che il Lo Cascio ha le mani pesanti?»

«Veramente, dottore! L’ha conciato per le feste quel marinaio.»

Berté scese dall’auto ed entrò nel suo ufficio. Prima di iniziare doveva telefonare al PM e si doveva leggere i verbali.

Il fidanzato della Virdis era un ragazzone tinto biondo, con almeno venti orecchini ai lobi e una notevole faccia da sberle. Entrò guardandosi intorno come fosse in visita a un museo e, quando fissò i suoi occhi su di lui, Berté capì che la ragazza gli aveva già parlato del suo aspetto insolito.

Batterista maturo di un complesso rock.

«...’ngiorno» disse il ragazzo strascicando le parole e accompagnandole con un sorrisino scemo che voleva fare da commento alla coda rock di Berté.

«Gianni Colli? Il fidanzato di Monica Virdis?»

«Sì» rispose laconico.

«Allora... mi pare di capire che ti piacciono i giochi d’azzardo.»

Il ragazzo non rispose, ma alzò uno sguardo di sfida.

Berté sentì la rabbia montargli dentro.

Il Colli strizzò gli occhi concentrato per cercare una risposta giusta.

«Boh, qualche volta...» minimizzò facendo spallucce.

«Colli, me lo sono già letto il verbale del tuo interrogatorio di stanotte... ti sei messo nei casini e a quella gentaccia di Chiavari devi un sacco di soldi! Come hai fatto a farti fregare come un cretino? Non sai che con quelli non si vince mai?»

«Mi sembra mia madre!» sbuffò il Colli.

«Ma senti questo! Pensavi di andare alla spiaggia stamattina? Magari a far fuori qualcun altro? Dov’eri l’altra mattina alle 9?»

«Guardi che io non c’entro niente con la morte della zia! Non sapevo nemmeno chi fosse! Eravamo venuti qui solo per chiederle un prestito. Monica diceva che non aveva tanti soldi, ma che alla fine l’avrebbe aiutata. Che ne sapevo che qualche maledetto stronzo l’avrebbe fatta fuori!»

«Davvero una bella sfiga, eh? Gli altri mille adesso te li devi trovare da solo.»

Il ragazzo si limitò ad abbassare gli occhi, con un sospiro di fastidio.

«Senti, non so se tu e la tua fidanzatina avete fatto fuori l’Angelici» continuò Berté, «ma stai sicuro che nel caso lo scoprirò. Adesso non ho molto tempo da perdere con una mezza sega come te, perciò ti lascio ai miei uomini.»

«Lei non mi può trattenere, se no la denuncio! Ho detto tutto e non ho fatto niente e poi perché avrei dovuto ammazzarla, la vecchia? I soldi ce li dava!»

«Cercati un avvocato, e adesso aria, fuori! Belli, lo porti via» ordinò Berté all’agente che aspettava vicino alla porta «e si faccia raccontare la storia della sua vita. Chissà com’è interessante!»

Dalla faccia del ragazzo, capì che faceva ancora il suo effetto sui delinquenti.

Sbruffone.

Uscito il fidanzato della Virdis, Parodi si avvicinò a Berté per fargli firmare alcune carte.

«Che ne pensa?»

«Che quel cretino va bene per il videopoker, ma non è capace di ammazzare. Comunque lo facciamo friggere un po’. State attenti che è un grandissimo rompicoglioni.»

«Faccio entrare i marinai, dottore? Si è presentato anche il comandante dell’Alcyon. L’armatore gli ha dato disposizione di licenziare il ragazzo, ma per non avere problemi ha anche convinto il Lo Cascio a ritirare la sua denuncia.»

«Va be’, ora sentiamo. Fammi una cortesia, portami un caffè, un’arabica, eh. Santiddio, stamattina solo brutte facce mi tocca vedere!»

Raddrizzò le spalle che sentiva contratte e si scolò il caffè che Parodi gli aveva portato.

«Allora, ci rivediamo...» disse rivolto ai due marinai che erano entrati accompagnati dal comandante.

Il solito odore di acido fenico si sparse nell’ufficio.

«Deve ringraziare il comandante se non lo denuncio quello lì!» gridò il Lo Cascio. «Però sulla barca non ci deve mettere più piede!»

«Sei proprio uno stronzo...» biascicò il ragazzo, col volto pesto, rivolto al Lo Cascio che gli rispose: «E tu sei ladro! Vergognati!»

«Te li avrei ridati, pezzo di merda... per venti euro fai tutto ’sto casino!»

«Ma quale venti! Chissà quanti te ne sei preso prima che ti beccassi!»

«Io sarò ladro, ma tu ci uscivi con quella che hanno ammazzato! Magari sei stato tu!»

Il Lo Cascio scattò come una molla e prese il ragazzo alla gola.

Berté fece un balzo dalla sedia e, aiutato dal comandante, si avventò su di lui per staccarlo dal marinaio.

«Lo Cascio! La smetta!» gridava Berté. «Parodi! Sabatini!»

In pochi minuti si scatenò il putiferio, e solo con l’aiuto di Parodi e di un altro agente la situazione tornò sotto controllo.

«Portateli via!» gridò alla fine Berté. «Lo Cascio! Lei si becca una denuncia per aggressione!»

Lo Cascio e il ragazzo vennero portati via.

Bell’equipaggio! pensò Berté rimettendosi a sedere.

Sempre meglio di quello della Moireghenès...

«Dove vuol mangiare, commissario?» chiese Parodi entrando in ufficio.

Un posto Berté l’aveva chiaro in mente, ma preferì lasciar correre. Era meglio tornare ai Medusa e guardarsi intorno. Stava per rispondere quando una donna piccola, tonda e rabbiosa spalancò la porta dell’ufficio, trattenuta inutilmente da un agente.

«Quella pettegola cosa le ha raccontato?» lo aggredì. «Anche lei ci ha provato con mio marito, sa? Loro baldracche e lui asino!»

«Si calmi, signora!»

«Non sono riuscita a fermarla, commissario» si giustificò l’agente Belli che la seguiva.

«È la signora Barbagallo, la moglie di Angelino...» gli bisbigliò Parodi.

«No, che non mi calmo!» urlò la Barbagallo agitando le mani. «È venuto uno della Polizia a farmi un sacco di domande solo perché una bagascia ha raccontato che volevo ammazzare un’altra bagascia! Sì, gliene ho dette quattro a quella Lidia della malora: lascia stare il mio Angelino! Tutta pitturata e tinta! Ma va, va! Ma mica l’ho ammazzata! Sono cose che si dicono per dire!»

«Si calmi, signora» ripeté di nuovo Berté facendo uno sforzo per non scoppiare a ridere pensando ad Angelino oggetto del desiderio di più donne.

E che donne!

«Eh no che non mi calmo! Il mio onore è...»

Ma non finì la frase.

Il pugno che Berté scaricò sulla scrivania fece sobbalzare tutto quello che ci stava sopra e riportò il silenzio nella stanza.

«Basta! Non siamo al mercato! Eccheccazzo!»

Persino Parodi e l’agente restarono pietrificati, mentre la Barbagallo diventava paonazza.

«Si sieda!» le intimò Berté.

La donna ubbidì senza fiatare. Berté notò che si era seduta a fatica.

«Lei sa nuotare?» le chiese.

La Barbagallo lo fissò con sguardo interrogativo senza rispondere.

«Allora, sa nuotare sì o no?» la incalzò Berté.

«No» rispose in un sussurro.

«Più forte!»

«No, non so nuotare.»

«E arrampicarsi sugli scogli?»

Di nuovo sul viso della donna comparve un’espressione stupita.

«Io? Sugli scogli? Ma mi ha vista?» mormorò senza guardarlo in faccia.

In effetti.

Quella donna non sarebbe riuscita a svolgere una semplice attività fisica come nuotare o arrampicarsi sui grandi massi che delimitavano la spiaggetta dove era stata uccisa la Angelici.

«E allora se ne torni a casa! Se avrò bisogno di parlarle verrò io da lei, capito?»

La donna annuì e, aiutata da Parodi, si alzò dalla sedia.

Berté si lasciò sfuggire un sospiro d’impazienza. Aveva esagerato, ma santiddio!

«Signora Barbagallo» le disse in tono quasi gentile, «non creda a tutto quello che le raccontano. Le donne spesso parlano per cattiveria, per invidia. Io ho interrogato suo marito perché lavora sulla barca della nettezza, non per altro, e se anche avesse scambiato quattro parole con la vittima non significa che... lei mi ha capito. Ora se ne torni a casa e lasci in pace quel brav’uomo. Non siamo più ragazzini, no? E allora, un po’ di dignità... su, su, vada.»

La donna abbassò la testa e fece un breve cenno d’assenso prima di uscire quasi sorretta da Parodi.

Berté si schiantò sulla sedia asciugandosi il sudore dalla fronte.

Pallista!

Aveva mentito.

Spudoratamente.

Per coprire uno che conosceva appena e che aveva pure confessato la sua tresca con la regina. La Patty aveva ragione: le palle gli venivano facili e a volte erano pure palle inutili. In questo caso gli erano venute perché Angelino gli aveva fatto pena. Si chiese se stava cercando di adattare la realtà ai suoi desideri. Come un pivellino alla prima inchiesta.

Idiota! Idiota! Idiota!

Parodi entrò con in mano una tazzina di caffè.

«Arabica, commissario. Ce ne vuole un’altra dopo la signora Barbagallo.»

Berté lo squadrò.

«Adesso il caffè anche prima di mangiare!»

Parodi ritrasse la tazza un po’ deluso.

«Dai qua, dai qua... me lo prendo lo stesso, ’sto caffè!» gli disse Berté allungando una mano.

Parodi annuì compiaciuto, porgendoglielo.

«I Barbagallo li conosco da sempre» gli disse mentre Berté sorseggiava il suo caffè, «non hanno molto cervello, ma non farebbero male a una mosca. E quella che è venuta a spifferare che la Barbagallo voleva far fuori la regina è, come le avevo detto, la peggior pettegola del paese. E poi, commissario, se la immagina la moglie di Angelino che assolda un sicario per far fuori la regina? Mica siamo a Chicago.»

Berté appoggiò la tazzina sulla scrivania.

«Sai che ti dico, Parodi? Andiamo ai Medusa a mangiarci una focaccia farcita. Ho visto che la barista la compra da Passalacqua. Intanto ci guardiamo ancora attorno e facciamo il punto della situazione perché qui le piste diventano troppe.»

Parodi gli aprì la porta e lo seguì.

Dopo essersi mangiato non una, ma due focaccine farcite (quella di Passalacqua era la migliore, avevano sentenziato lui e Parodi) ed essersi scolato una birra quasi gelata (il frigo del bar non raffreddava abbastanza) servita da Mary, Berté si avvicinò alla riva.

I bagnanti si divertivano in vari modi. Chi nuotava da solo, chi nuotava parlando con gli amici, chi se ne restava a riva a parlare: in sintesi si parlava e si nuotava. A occhio e croce si parlava molto di più di quanto si nuotasse.

Lasciò i villeggianti ai loro passatempi, sedette su una sdraio e chiuse gli occhi. Le voci si mescolavano al rumore delle onde e al profumo delle creme solari.

Era meglio non farsi prendere da una pennichella poco professionale e tirare invece le fila dell’indagine.

Per ora aveva in mano solo un pugno di mosche. Gli ex amanti della regina che erano riusciti a contattare erano lontani mille miglia dai Medusa e nemmeno si ricordavano della sua esistenza.

Quindi nessun fantasma che emergeva dal passato.

Il presente era squallido, e non portava a nessun amante vendicativo. Sì, c’era il Lo Cascio, un violento, ma aveva l’alibi e non aveva movente.

Era in un pantano.

Le piste di Angelino, pasta d’uomo, che la condanna se l’era già data da solo andando a letto con la regina, e quella della nipote della regina e del suo fidanzato imbroglione, non portavano da nessuna parte...

Perché in effetti quei due avrebbero dovuto uccidere la Angelici? I soldi la zia glieli avrebbe dati...

Berté si agitò sulla sdraio come se stesse cercando di uscire dalla melma.

E inoltre continuava a frullargli in mente l’idea che la soluzione fosse molto più semplice.

Aprì gli occhi giusto in tempo per vedere una mamma che si precipitava a prendere in braccio il figlio che nuotava a riva.

Il perché era evidente: i gemelloni erano lì, vicino ai bambini e per gioco si spruzzavano l’un l’altro ridacchiando. Un divertimento da bambini, ma loro bambini non erano.

Erano due diversi, un po’ strambi, ma i diversi, si sa, fanno paura.

Un lampo. Berté si alzò di scatto.

Quei due? Ma che gli saltava in mente?

Si risedette di schianto, facendo scricchiolare pericolosamente la sdraio. Una trama da film, da racconto noir... scritto da una penna dilettante come la sua. No, non era credibile... non in quel paese assonnato che solo d’estate si animava, non su quella spiaggia di famigliole borghesi... Eppure quel tremito che sentiva nelle mani era un segnale inequivocabile e l’esperienza gli gridava che non c’è nulla d’improbabile.

Attese che i gemelli terminassero il bagno, senza perderli di vista. Passando davanti a lui sgocciolanti e svampiti, gli riservarono una coppia di sguardi da bassethound depresso e si lasciarono convincere dalla badante a fare la doccia prima di avvolgersi uno in un asciugamano azzurro con le righe beige e l’altro beige con le righe azzurre.

In quattro balzi Berté raggiunse Parodi.

«Lascia tutto e seguimi» ringhiò senza dargli tempo di ribattere.

Il sovrintendente si rimise in tasca l’agendina, congedò con una scusa la signora con cui stava parlando e raggiunse Berté a un tavolino appartato del bar.

«Parodi, hai visto i gemelli?»

«Due gocce d’acqua! Vengono da anni, sa dottore? Il terzo fratello, quello giusto, li scarica qui per tutta l’estate con la badante. Sono handicappati... peccato, sarebbero stati due omoni.»

«Peccato, sì, sì, peccato. Li avete... interrogati?»

«Ho sentito la badante, che però non era in spiaggia a quell’ora.»

«Ti ho chiesto se hai parlato con loro due.»

«No... visto il loro handicap...»

Il sovrintendente si bloccò di colpo e lo guardò sbalordito prima di aggiungere: «Non penserà che...?»

«Io penso, Parodi, ho questo brutto vizio: penso! E i gemelli erano presenti in spiaggia quella mattina. Non sono cittadini al di sopra di ogni sospetto.»

Parodi non commentò la citazione cinematografica.

«Li vado a chiamare subito» disse alzandosi.

Berté lo vide confabulare con la badante.

Pochi minuti e i gemelli, vestiti come due ragazzi dell’oratorio anni ’50, erano seduti a un tavolo appartato del bar della spiaggia con Berté. Parodi restò in piedi con la badante.

«Allora, signor...?»

«Bruno.»

«E signor...?»

«Albino.»

E come potevano chiamarsi, se no? Il bianco e il nero. Il bene e il male...

«Posso offrirvi un gelato, una bibita?»

I gemelli si guardarono a lungo prima di chiedere due ghiaccioli. Uno al limone e uno all’arancia.

Mentre la barista portava i ghiaccioli, Berté cominciò: «Vi piace stare qui? In spiaggia, voglio dire».

«È bello, qui..»

«Avete amici... amiche...»

«Tanti!»

«E non c’è nessuno che vi sta antipatico?»

«No, no, vero, Bruno?» disse Albino succhiando il suo ghiacciolo.

«Tutti simpatici... ci fanno giocare.»

«Ah, vi piace giocare! E qual è il vostro gioco preferito?»

«A me fare il bagno!» rispose di getto Albino.

«A me giocare alle carte!» esclamò Bruno guardando il fratello.

«Giocate con tutti?»

«Sì, sono tutti buoni.»

«E quali altri giochi fate?»

Albino divenne tutto rosso.

«A Bruno gli piace tirare i sassi! Quelli grossi.»

Berté con la coda dell’occhio vide Parodi che lo fissava a bocca aperta.

«Sì, sì...» confermò Bruno guardando un po’ storto il fratello.

«Ma non li tirate alle persone, però...»

Improvvisamente Albino mutò espressione.

«Diglielo, Bruno... diglielo...»

Lasciò cadere a terra il ghiacciolo e scoppiò a piangere. Un pianto straziante, da bambino, su un volto adulto e già invecchiato. Un cambiamento di umore tanto repentino da lasciare esterrefatti.

«Cosa mi deve dire, Bruno?» chiese Berté cercando di non far trasparire l’ansia.

«Non ha fatto apposta... non l’aveva vista...» farfugliò Albino tra i singhiozzi.

«Vista chi?» scappò a Parodi.

Bruno appoggiò il ghiacciolo sul tavolo e abbracciò Albino, scoppiando a piangere.

«Quella signora là» rispose Albino indicando la spiaggetta dove era stata trovata l’Angelici, «quella nuda.»

«A noi non ci piaceva quella signora nuda» intervenne Bruno, «era cattiva, diceva le parolacce!»

«E per questo le avete tirato i sassi?» Berté si sentiva il cuore in accelerata.

«No, noi giocavamo a tirare i sassi dal mare, ma avevamo la maschera e Bruno non l’aveva vista là sdraiata sulla riva... e l’ha presa proprio in testa la prima volta, e lei...»

Berté deglutì. La voce gli uscì così strozzata che non pareva nemmeno la sua: «E lei...?»

«Lei ci ha detto delle parole brutte.»

«Allora altro sasso... più grosso... Non si dicono quelle parole lì!»

«Il mio sasso era ancora più grosso!»

«Sì, ma io li tiravo più forte!»

«Dopo lei non diceva più le brutte cose...»

«Era tutta sporca... vero, Albino? Tu avevi preso quel sasso tutto sporco di nero e lei aveva la faccia tutta rotta!»

«Sì, Bruno! Tutta rotta... però non abbiamo detto niente a Ludmilla se no ci sgrida, non vuole che tiriamo i sassi!»

Cadendo svenuta tra i tavolini, la badante produsse un tonfo che fece sobbalzare tutti. Anche i due gemelli sciolsero il loro abbraccio voltandosi verso la donna stesa a terra.

«Ludmilla sta male, Bruno?»

«Male, Albino! Vedi, non dovevamo dirglielo della brutta signora, stasera non ci fa la torta!»

Berté fece un cenno ai due agenti di guardia perché tenessero lontana la gente che iniziava ad avvicinarsi incuriosita, poi guardò i gemelli che parlavano tra loro come se fossero soli.

Questa volta non c’è nessuno con cui incazzarmi, pensò Berté asciugandosi il sudore dalla fronte.

Ci si può incazzare con la Natura? Con il destino? Con il Creatore? Chi poteva giudicare Bruno e Albino? Creature inconsapevoli della loro pericolosità... D’altra parte la Angelici, l’infelice regina, meritava giustizia... questioni che era meglio lasciare a chi se ne intendeva, lui aveva fatto quello che gli spettava: trovare il colpevole.

Questo come inquirente, ma come uomo non poteva negare di essere turbato.

Di sicuro per i gemelli si prospettava un futuro in un istituto, ma forse per loro non sarebbe stato così drammatico. Si intuiva da come si cercavano con gli sguardi che l’uno bastava all’altro. L’unica vera tragedia per loro sarebbe stata la separazione.

«Parodi, mentre chiamo il PM, tu rintraccia la loro famiglia, hanno un fratello mi pare...»

Parodi annuì.

«Convocalo al più presto. Chiamami anche una macchina con due agenti, intanto li portiamo in commissariato, finché non arriva il PM e decide dove tenerli. Ah, mentre passi dal bar fammi fare un caffè doppio!»

Il sovrintendente prima di eseguire gli ordini, senza pensarci, mise una mano sulla spalla del commissario.

Consolare un commissario solitario con coda.

«Come ha fatto, dottore?» gli chiese ammirato.

«Vedi, Parodi, io leggo molto. Nel romanzo Io uccido di Faletti l’assassino ha un gemello, in The Prestige, uno dei miei film preferiti, c’è un gemello nascosto, anche in un libro di due giovani autori savonesi, Per esclusione, alla fine c’entrano due gemelli...»

Lo sguardo di Parodi da ammirato virò in stupefatto per terminare in sarcastico. Annuì senza commentare e si diresse al bar per ordinare il doppio caffè.

Presa per il culo di un terrone imbastardito milanese.

Ormai il pomeriggio stava finendo. Dopo aver relazionato al PM e firmato tutto quanto c’era da firmare, Berté lasciò il commissariato. Voleva stare solo.

Tirò sera facendosi un bagno in una spiaggia isolata e ascoltando sull’iPod musica italiana: Vasco Rossi, gli Stadio, Dalla (Com’è profondo il mare la sentì almeno cinque volte in onore a Barbagelata). In un ristorante del centro mangiò focaccia al formaggio, fritto misto e panna cotta annaffiando il tutto con una bottiglia di Vermentino, sicuro che il suo stomaco terrone non avrebbe subito danni per quegli accoppiamenti esplosivi. I fritti detonanti di sua nonna l’avevano vaccinato a ogni turpitudine alimentare.

Attraversò i giardini al centro del paese, dove un attore vestito da pagliaccio intratteneva un gruppo di bambini. Pensò al piccolo Federico. Parodi gli aveva riferito che era stato dimesso dall’ospedale e stava bene e ora i suoi lo avrebbero portato in montagna. La brutta esperienza pian piano se la sarebbe dimenticata. Almeno così c’era da augurarsi.

Pensò anche al giovane collega del Lo Cascio e a quel disgraziato di Giovanni Colli, comparse di un dramma nel quale erano stati ingaggiati dal caso. E ad Angelino e sua moglie, che avrebbero continuato a condurre una vita piatta, vivacizzata da assurde scenate di gelosia.

Berté lasciò i giardini e fece ancora due passi lungo la calata del porto. Una luna sfacciatamente piena faceva nascere pensieri romantici.

Per avere pensieri romantici bisogna avere qualcuno con cui condividerli.

La Marzia.

Chissà perché pensava a lei...

Ritornò sui suoi passi e imboccò la stradina tranquilla dove era situata l’Aurora.

Cercò nella tasca dei pantaloni la chiave del portoncino, ma si era incastrata in una cucitura e non usciva. Berté cercò di strapparla con la forza senza riuscirci. In quel momento si sentì avvolto da un profumo di fiori.

«Buona sera, Luigi.»

Era lei. La matrona con gli occhi languidi e la voce d’angelo.

Fasciata da un abito nero che la snelliva, la Marzia spandeva intorno a sé ormoni femminili. Doveva essere uscita, infatti...

«Sono stata a un concerto a Genova» gli disse aprendo il portone con la sua chiave, visto che Berté non era riuscito a disincagliare la sua. «Un giovane pianista fantastico, una promessa italiana.»

«Ah, bene» farfugliò Berté distratto. Era inebriato dal profumo e forse un po’ alticcio per tutto il Vermentino che si era scolato.

«Ma guarda che caso! Siamo rientrati alla stessa ora!» esclamò la Marzia chinandosi per ricevere i due gatti che erano arrivati di corsa e si strusciavano su di lei. I Maine Coon miagolavano di piacere e le avvolgevano le gambe con le loro code come boa di struzzo.

«Già...» mormorò Berté.

Stava facendo un’altra figura da idiota, ma cosa poteva dire a una donna grossa, ma bellissima, sposata con un comandante di navi da carico, ma spesso sola? Cosa poteva dire a un mancato soprano che beveva tisane e leggeva poesie giapponesi per dimenticare la frustrazione?

Non era pronto per un amore strano come quello e non aveva voglia di imbarcarsi (quale termine più appropriato...) in una situazione da romanzo. Lui voleva scriverli i romanzi, non viverli!

Berté avvicinò una mano al naso di uno dei gatti per nascondere il suo disagio.

«Sai, Luigi, che mi fa proprio piacere che tu sia qui?» sussurrò la Marzia. «Scusa, ti ho dato del tu... ma siamo amici, no?»

Amici?

«Ah, certo, certo, amici.»

Idiota!

«Mi piacerebbe se tu venissi una volta con me all’opera. Lo so che lo faresti per gentilezza, sei troppo signore per rifiutare, ma te lo chiedo lo stesso: vieni con me! La settimana prossima nel nostro teatro all’aperto danno la Butterfly. Ci andiamo insieme?»

«Con piacere.»

La risposta gli era uscita di bocca senza accorgersene.

Ricordarsi del comandante Pestarino.

La Marzia abbassò gli occhi verde foglia.

«Scusami, forse sono stata troppo irruente» disse confusa, «magari preferisci andarci da solo o con qualcun altro... o non hai proprio voglia di venirci...»

«No, no, sai che sono un single, come si dice oggi, non ti preoccupare... tu piuttosto...»

Come andare giù pesante.

«Ti ho invitato io, quindi significa che non ci vedo niente di male, non trovi?»

Non fa una grinza.

«Io sono una donna molto libera, anche se sono sposata. Mio marito è sempre per mare, come sai...» Attese per continuare che Berté facesse un cenno d’assenso. «Non posso seppellirmi in casa, non sono il tipo e non sono più i tempi in cui le donne lo facevano... mi hai capito?»

Non si può non capire.

Berté la fissò fingendo una calma che non aveva.

«Mi fa piacere andarci con te, davvero! Anche se io e l’opera... non andiamo molto d’accordo.»

«Allora è proprio l’occasione giusta per farti cambiare idea! Mi occupo io dei biglietti, conosco gli organizzatori e mi farò dare due buoni posti. Tu hai altro a cui pensare. A proposito, ho sentito che hai risolto il caso di quella poveretta assassinata: in paese dicono che sei un genio. Eppure quando sei arrivato qui non ti voleva nessuno!»

Berté sentì che stava arrossendo ancora. Si sarebbe menato da solo.

«Non raccontarmi niente adesso» continuò la Marzia, «me ne parlerai quando andremo all’opera.»

Berté sorrise annuendo. Altro non gli veniva.

«Buona notte, Luigi» avvicinò pericolosamente la bocca alla sua. Due labbra morbide si appoggiarono per un istante sulle sue.

Berté fece appena in tempo a rendersene conto. Stava per afferrarla e stringerla a sé spinto dal testosterone impazzito, ma lei...

Era già sparita oltre la porta, seguita dai gatti saltellanti.

Berté salì le scale a due a due, sentendo il cuore che pompava e il sudore che gocciolava lungo la colonna vertebrale.

Che giornata! Ci mancava pure un appuntamento con quella Marzia. Una cosa innocente, per carità...

Insomma...

... un bacio da adolescenti... un saluto amichevole, roba da niente... comunque era una donna giovane... dotata di...

Di tette spaziali e labbra incantevoli.

... di intelligenza e gentilezza, ma non era il suo tipo. A lui piacevano magre, bionde e un po’ stronze.

Forse non più.

Un presentimento: quella storia era solo agli inizi. Come e se si sarebbe sviluppata dipendeva dalla sua volontà... O forse tutto era già deciso? Era già scritto che dovesse combinare un casino a Milano rimasto negli annali della polizia, che venisse trasferito a Lungariva, che incontrasse un soprano mancato, drogato di tisane, e perderci la testa... E se il comandante lo avesse ammazzato nel sonno?

Basta cazzate.

Ormai era notte.

Troppe emozioni, anche per un vicequestore aggiunto abituato alla feccia della metropoli.

C’era un solo modo per azzerare i suoi pensieri.

Berté si sedette al tavolino che gli faceva da scrivania. Accese il computer e aprì il file giusto.

Anche il destino del comandante Barbagelata doveva compiersi...

Il comandante Barbagelata

La resa dei conti

Il comandante Barbagelata non riuscì a trattenere lo stupore.

«Io non sono tuo padre!»

«Vai indietro nel tempo, papà... trent’anni fa, ricordi, a Manila, hai passato due mesi con quella ragazza... Floriza si chiamava, e l’hai amata nella sua casa. Poi sei partito: ‘tornerò l’anno prossimo’ le hai detto, ma non sei più tornato.»

Vasco rammentò all’improvviso quei giorni. Gli occhi obliqui di una ragazzina che rideva sempre... i suoi piccoli seni, la sua pelle liscia color ambra... la voce cantilenante che parlava un inglese stentato, l’odore di spezie e pesce marcio dei vicoli.

«Lei ha cercato di rintracciarti per dirti che era incinta, ma tu le avevi dato un nome e un indirizzo falsi...»

Così i vecchi amici gli avevano consigliato di fare, pensò il comandante, ‘sono tutte puttanelle, ti si incollano addosso, ti dicono che sei il padre dei loro bastardi e finisci invischiato! Non dire mai il tuo vero nome o sei fottuto.’

«E così io sono nato nella vergogna... ho sofferto, e mia madre di più. Mi parlava sempre di te... è un uomo d’onore, diceva, se sapesse di te verrebbe a prenderci... forse gli è capitato qualcosa di male... povera illusa! Sul suo letto di morte ho giurato che ti avrei ritrovato... ma non le ho detto perché.»

«Dammi una prova che sei mio figlio.»

«Tu disonori la sua memoria! Mia madre non era una puttana. Ha sempre parlato di te con rispetto. Tu sei mio padre! Non hai una macchia viola all’interno della coscia sinistra? Non hai una cicatrice sotto il mento che ti sei fatto da piccolo cadendo dal letto? E poi la mia data di nascita: otto mesi dopo la tua partenza. Ti basta, papà

Il comandante Barbagelata abbassò lo sguardo. Non erano prove certe della sua paternità. Con la ragazza ci era stato, non poteva negarlo, e lei poteva aver notato la macchia viola e la cicatrice descrivendole al figlio, ma che non avesse altri amanti mentre stava con lui, o che non ne avesse avuti altri subito dopo la sua partenza, Barbagelata non poteva escluderlo. Fissò il giovane per cercare una risposta: aveva un bel viso, la sua pelle era chiara ed era più alto della media dei suoi conterranei. Si intuiva il sangue misto. Gli occhi erano quelli obliqui della madre, ma avevano una luce diversa. Quella della follia.

Il comandante Vasco Barbagelata seppe di colpo, come una schiarita improvvisa in un cielo nero, che quel ragazzo diceva la verità. Non aveva prove e non c’era nessun particolare fisico che lo riconducesse a lui, eppure sentiva, con intuizione animalesca, che l’assassino era suo figlio. Ma un dialogo con lui era ormai impossibile.

«Perché hai aspettato tanti anni?»

«Non è stato facile uscire dalla fogna in cui sono nato, anzi, in cui mi hai condannato a crescere. Ho lottato per diventare un cuoco, un bravo cuoco, e per arrivare in Europa. Non avevo che le descrizioni di mia madre, ma alla fine ti ho trovato.»

«Perché questo scempio? Perché non hai ammazzato solo me? Era me che odiavi! Cazzo, perché far fuori tutti... così!»

«Non erano innocenti! Avranno rovinato altre donne, come hai fatto tu, caro papà! E poi era troppo comodo farti morire senza tormenti. Ora siamo alla resa dei conti.»

«Uccidimi e falla finita.»

«Non così in fretta. Prima ti parlerò della mia infanzia di merda, ti racconterò i miei incubi. E ora sarai costretto ad ascoltarmi, caro papà!»

Il comandante Vasco Barbagelata invece non lo ascoltava più. Osservando il mostro che aveva generato sentì che non voleva più vivere.

La tempesta era quasi sedata e le probabilità che la nave venisse avvistata aumentavano, ma lui non voleva salvarsi. Erano morti in venti per una sua scopata. Non meritava di continuare un’esistenza di cui non era degno.

E non voleva più trovarsi davanti a sua moglie, ai suoi figli, alla piccola Artemisia... loro sì erano innocenti.

E ormai lontani.

La rabbia gli fece salire il sangue alla testa.

Come uscito dalla nebbia del passato vide davanti a sé il generale Oloferne.

Nei suoi occhi brillava la luce minacciosa del vincitore e le sue labbra si muovevano arroganti mentre gli raccontava la sua storia.

Barbagelata sentì di odiarlo. Come Giuditta.

Afferrò la mannaia che aveva accanto, si avventò sul cuoco e lo colpì alla testa. Preso alla sprovvista, il giovane non parò il colpo e si accasciò al suolo. Il sangue sgorgò dalla ferita inondandogli il volto.

‘Ecco, Oloferne! Fottuto generale assiro! Io sono Giuditta... ora ti prendo per i capelli, e te la stacco questa tua testa di cazzo! Così!... Così!... Così!’

Alzando come un trofeo la testa mozzata di suo figlio, il comandante Barbagelata scoppiò in una risata isterica.

Era tutto finito.

E poteva affondare all’inferno con la sua nave.

Fine