A proposito di Alec Rush va detto che ha una strana prerogativa, quella di essere straordinariamente brutto. E Dashiell Hammett lo presenta così: «L’ufficio era brutto e il suo proprietario ancora più brutto. La sua testa aveva la forma di una pera schiacciata: troppo larga e arrotondata alla mascella, si restringeva salendo verso i capelli brizzolati, cortissimi e ritti, che spuntavano sopra una fronte bassa e obliqua. Il volto era rubizzo, la pelle una scorza dura avvolta intorno a spessi cuscinetti di grasso. Queste caratteristiche poco eleganti non esaurivano tuttavia la sua bruttezza. Ulteriori ritocchi si erano aggiunti ai suoi connotati. A guardarlo da un lato, il suo naso sembrava a uncino. A guardarlo dall’altro, più che a uncino, appariva del tutto informe. Qualunque opinione si potesse avere sulla sua forma, non c’erano dubbi riguardo al colore: sulla superficie del naso, già rosso di suo, la rottura di alcune venuzze aveva formato una trama di macchioline, riccioli e scarabocchi che sembravano avere qualche oscuro significato. Tra le labbra, grosse e ruvide, luccicavano due solide file di denti d’oro.
La fila inferiore, situata davanti a quella superiore, rendeva la mascella sporgente. Gli occhi, piccoli e incassati, con l’iride azzurro pallido, erano arrossati, tanto da far pensare che l’uomo fosse in preda a un forte raffreddore. Le orecchie rendevano conto delle sue attività giovanili: erano le tipiche orecchie ingrossate e deformi di un pugile. Un uomo brutto, sulla quarantina, appoggiato allo schienale inclinato della sua sedia, coi piedi sulla scrivania».
L’ex piedipiatti, brutto anatroccolo, grazie ai soliti slalom, del genere miglior maniera hammettiana, arriva in fondo al caso. E la matassa è dipanata.
Intanto qualche morticino si spalma sulle pagine. E qualche qui pro quo infarcisce l’investigazione. Mancano rispetto a molte altre trame di Dashiell Hammett i poliziotti istituzionali, per lo più imbranati, nervosi e arrivisti. Ma anche il resto è previsto a puntino.
Si incontra l’ennesima femmina ambigua e un po’ sbiadita, nella fattispecie la signora Landow, ereditiera mancata, un po’ tonta, a suo modo, avida e persino carnale, ma soprattutto marcatamente sbandata. Si ritrova il bellimbusto, dai molti talenti e soprattutto assai truffardo, finirà poi per essere il demiurgo della situazione fra bon geste ed efferato spirito di rivalsa. La donna solo fiele, quella ingenua e sbalestrata, ma non priva di una sua componente cattivella eccetera, eccetera… Insomma tutto in ordine, hammettianamente in funzione.
E funziona persino il ciospissimo Alec.
D’abord, niente a che fare con il crudo e affascinante Sam Spade, nessuna parentela apparente neppure con il seduttivo e alcolico Nick Charles, primattore del tardivo L’uomo ombra. L’ex sergente «mandato a spasso» dalla polizia, appartiene piuttosto alla genia del detective di Continental Op. Un altro investigatore dal fisico gramo, bruttino, senza casa, senza vita privata fuori dal mestieraccio.
Eppure anche Un matrimonio d’amore appartiene alle storie migliori di Dashiell Hammett.
Stessa poetica, identico colpo d’occhio.
Molta malavita (nel senso di cattiva esistenza e non tanto di delinquenza organizzata), medesimo realismo crudo, misto a umana simpatia. La prosa hammettiana è alle solite: concisa, umoristica. Ma il top è raggiunto dai dialoghi, sempre essenziali, ma soprattutto intelligentissimi.
I molti che hanno scritto di Dashiell Hammett hanno spesso fatto ricorso al grande John Huston che lo riteneva «almeno pari a Ernest Hemingway». Aggiungiamo: stilisticamente in più di un’occasione in grado di doppiarlo.
BEPPE BENVENUTO
Fine