Tom, Dick o Harry
Non so se Frank Toplin fosse alto o basso. Tutto quello che riuscii a scorgere di lui fu una testa liscia e rotonda e un viso pieno di rughe color carta manila sopra un cuscino candido di un lettone a due piazze. Il resto del suo corpo era sepolto sotto uno spesso strato di coperte.
Nella stanza, quella prima volta, c'erano anche la moglie, una tipetta paffuta con un viso candido e grassoccio solcato da minuscole rughe che parevano graffi su una palla d'avorio, la figlia Phillys, una ragazzina che si dava arie da giovane celebrità e la domestica che mi aveva aperto la porta, una ragazzona bionda in grembiule e cuffietta.
Mi ero presentato come un rappresentante assicurativo della filiale di San Francisco della North American Casual Company, il che era in un certo senso vero. Non c'era del resto nessuna ragione di dire in quel momento che ero uno scagnozzo della Continental Detective Agency, e per di più appena assunto, per cui tralasciai i dettagli.
«Desidero una lista della roba che avete perso» dissi a Toplin, «ma prima...»
«Roba?» La sfera giallastra del cranio di Toplin si sollevò dal cuscino, quindi proruppe in un grido strozzato: «Centomila dollari e lui la chiama roba!» La signora Toplin premette dolcemente il capo del marito con la sua manina grassottella, costringendolo a posarsi nuovamente sul guanciale.
«Adesso mettiti giù e non ti agitare, Frank» gli disse con dolcezza.
Gli occhi scuri di Phyllis Toplin ebbero un guizzo posandosi su di me.
L'uomo nel letto girò nuovamente il viso nella mia direzione, fece un mezzo sorrisetto amaro e ridacchiò.
«D'accordo, se voialtri volete chiamare roba una perdita di settantacinquemila dollari, cercherò di reggere anch'io per venticinquemila.»
«Da cui il totale di centomila?» chiesi.
«Sì. Niente era assicurato per l'intero valore e c'erano oggetti che non erano assicurati per nulla.» Era una cosa piuttosto comune. Non ricordavo una sola occasione in cui qualcuno avesse detto che un oggetto rubato fosse stato assicurato per il totale del suo valore. Era sempre la metà o al massimo tre quarti.
«Perché non mi dice esattamente che cosa è successo?» suggerii, e subito, per prevenire la solita obiezione, aggiunsi: «Lo so che ha già raccontato tutto alla polizia, ma devo avere la sua versione dei fatti direttamente da lei».
«Ieri sera ci stavamo vestendo per andare dai Bauer. Avevo portato a casa con me, prendendoli dalla cassetta di sicurezza, i gioielli più preziosi di mia moglie e di mia figlia. Avevo appena preso il cappotto e le avevo chiamate per dirgli di sbrigarsi quando hanno suonato alla porta.»
«Che ore erano?»
«Circa le otto e mezzo. Io sono uscito da camera mia e mi sono diretto nell'anticamera in fondo al corridoio e stavo mettendo via dei sigari quando Hilda» disse, facendo cenno verso la domestica, «è arrivata indietreggiando e io stavo per chiederle se per caso era diventata matta a camminare come un gambero, finché non ho visto il ladro. Era...»
«Un momento.» Mi rivolsi alla cameriera. «Che cosa è accaduto quando è andata ad aprire?»
«Be', ecco, ho aperto la porta e c'era un uomo con un revolver in pugno. Mi ha puntato la pistola contro lo stomaco e mi ha spinto verso la stanza dove si trovava il signor Toplin e poi gli ha sparato e...»
«Quando gli ho visto quella pistola in mano» disse Toplin interrompendo la domestica, «mi sono spaventato a morte e la scatola dei sigari mi è caduta di mano. Nel vedere il gesto che ho fatto per cercare di acchiapparla - non ha senso rovinare una scatola di buoni sigari, nemmeno quando si viene derubati il ladro deve avere pensato che stessi cercando di prendere un'arma. A ogni modo mi ha sparato a una gamba. Mia moglie e Phillys sono accorse quando hanno sentito il rumore e a quel punto l'uomo, dopo avermi svuotato le tasche, ha puntato l'arma contro di loro e le ha derubate di tutti i gioielli.
Poi ha ordinato di trascinarmi in camera di Phillys e di entrare nel ripostiglio, dove ci ha chiuso a chiave. E badi bene, per tutto il tempo non ha detto una parola, nemmeno una. Si esprimeva con la pistola e facendo dei gesti con la mano sinistra.»
«Quanto è grave la ferita alla gamba?»
«Dipende se vuole credere a me o al dottore. Lui dice che non è niente di grave, solo un graffio, ma hanno sparato alla mia gamba, non alla sua.»
«Quando ha aperto la porta le ha detto qualcosa?» chiesi alla domestica.
«No, signore.»
«Nessuno di voi gli ha sentito dire nulla per tutto il tempo in cui era nella vostra casa?» Nessuno aveva udito una parola.
«Che cosa è successo dopo che vi ha chiuso nel ripostiglio?»
«Non lo sappiamo, esattamente» disse Toplin, «fino a quando non è venuto Mcbirney con un poliziotto a liberarci.»
«Chi è Mcbirney?»
«Il portiere.»
«Come mai è arrivato assieme a un poliziotto?»
«Aveva sentito lo sparo ed è salito proprio mentre il ladro stava uscendo. Il ladro quando l'ha visto ha fatto dietrofront ed è corso di sopra, quindi si è introdotto in un altro appartamento del settimo piano ed è rimasto lì, tenendo a bada la signorina Eveleth con la pistola, fino al momento in cui è arrivato per lui il momento propizio per andarsene. A quel punto l'ha colpita alla testa e se n'è andato e... questo è tutto. Mcbirney ha chiamato la polizia subito dopo avere visto cosa stava succedendo, ma sono arrivati troppo tardi per potere essere d'aiuto.»
«Per quanto tempo siete rimasti chiusi nel ripostiglio?»
«Dieci minuti, forse quindici.»
«Che aspetto aveva il ladro?»
«Basso, magro e...»
«Quanto basso?»
«Più o meno come lei, forse anche più basso.»
«Diciamo intorno all'uno e sessantacinque, uno e settanta? E quanto sarà potuto pesare?»
«Oh, non so, intorno ai cinquantacinque. Era abbastanza smilzo.»
«Età?»
«Non più di ventidue o ventitré anni.»
«Ma dai, papà» intervenne la figlia, «avrà avuto quasi trent'anni!»
«E lei cosa dice?» chiesi alla signora Toplin.
«Direi sui venticinque.»
«E lei?» chiesi alla domestica.
«Non saprei, signore, ma non era vecchio.»
«Scuro o chiaro di carnagione?»
«Chiaro» disse Toplin. «Aveva la barba lunga e biondiccia.»
«Più sul castano, direi» lo corresse Phillys.
«Sì, ma castano chiaro.»
«Colore degli occhi?»
«Non lo so. Aveva un cappello ben calato sulla fronte. Mi pare che fossero scuri, ma potrebbe essere stato per via dell'effetto dell'ombra.»
«Come descriverebbe la parte del suo viso che è riuscito a scorgere?»
«Pallido e con l'aria deboluccia. Mento piccolo. Ma non si vedeva granché, dato che teneva anche il bavero alzato, oltre al cappello.»
«Com'era vestito?»
«Cappello blu, abito blu, scarpe nere e guanti neri, di seta.»
«Tipo elegante o sciatto?»
«Erano vestiti da poco, tutti spiegazzati.»
«Che tipo di arma aveva?» Phillys Toplin prevenne la risposta del padre.
«Papà e Hilda continuano a chiamarla un revolver, ma era un'automatica calibro trentotto.»
«Se lo rivedeste, sareste in grado di riconoscerlo?»
«Sì» dissero.
Feci un po' di spazio sul tavolo a fianco del letto e tirai fuori carta e penna.
«Desidero avere una lista di tutto quello che ha preso, con una descrizione più completa possibile di ogni oggetto, con il suo prezzo, indicazione del negozio e data d'acquisto.» Una mezz'ora più tardi avevo la mia lista.
«Conoscete il numero dell'appartamento della signorina Eveleth?»
«702, due piani più in su.» Salii le scale e suonai alla porta che mi venne aperta dopo pochi istanti da una ragazza intorno ai vent'anni con il naso nascosto da uno spesso strato di bende. Aveva un bel paio di occhi color nocciola, capelli bruni, e tutto di lei faceva pensare a un tipo atletico.
«La signorina Eveleth?»
«Sì.»
«Sono della compagnia che ha assicurato i gioielli del signor Toplin e sto raccogliendo informazioni sulla rapina.» Si toccò il naso e sorrise mestamente.
«Ecco le mie informazioni.»
«Com'è accaduto?»
«Peccato di donna. Mi sono dimenticata di farmi gli affari miei. Ma quello che le occorre sapere, immagino, è che cosa so dell'accaduto.
Hanno suonato alla porta alle nove e cinque ieri sera e quando ho aperto era lì di fronte a me. Nell'istante stesso in cui ho aperto mi ha puntato contro una pistola e mi ha detto: "Dentro, bella!" «L'ho fatto entrare immediatamente. É successo tutto piuttosto in fretta e lui ha richiuso la porta alle sue spalle con un calcio.»
«Dov'è la scala antincendio?»
«La scala antincendio non arriva a nessuna delle mie finestre e gliel'ho anche detto, ma non mi ha creduto, però poi ha visto che era la verità e si è agitato, come se fosse colpa mia. Non mi è piaciuto il modo in cui mi si rivolgeva ed era un ometto talmente insignificante che ho pensato di potermela sbrigare da me. Ho dovuto ammettere a mie spese che l'uomo è ancora l'animale dominante. Per farla breve, mi ha dato una gran mazzata sul naso e mi ha stesa. Io sono stramazzata a terra, anche se non avevo del tutto perso conoscenza, e quando sono riuscita ad alzarmi se n'era già andato. A quel punto sono corsa sul pianerottolo e sulle scale ho trovato i poliziotti. Gli ho raccontato tra i singhiozzi la mia patetica storiella e sono stati loro a raccontarmi della rapina dai Toplin.
Due di loro sono venuti da me e hanno perquisito il mio appartamento.
In effetti io non l'avevo visto andarsene per cui hanno pensato che magari potesse essere un tipo abbastanza furbo o disperato da essere rimasto tutto quel tempo chiuso in un armadio in attesa che la situazione si tranquillizzasse. Ma non l'hanno trovato.»
«Quanto tempo crede che sia passato dal momento in cui è stata colpita a quello in cui si è alzata ed è uscita sul pianerottolo?»
«Oh, neppure cinque minuti. Meno forse.»
«Che aspetto aveva questo signor Ladro?»
«Piccolo e più esile di me, con una barba chiara di due giorni, vestito in abiti blu da poco e un paio di guanti neri di stoffa.»
«Età?»
«Giovane. Aveva una barbetta da ragazzo e anche il viso era giovane.»
«Ha visto gli occhi?»
«Azzurri. I capelli, perlomeno le ciocche che fuoriuscivano da sotto il cappello, erano biondissimi, quasi bianchi.»
«Che tipo di voce aveva?»
«Molto profonda, da basso, anche se forse era contraffatta.»
«Saprebbe riconoscerlo?»
«Certo, come no!» si mise delicatamente un dito sulle bende che le coprivano il naso. «Lo riconoscerei a naso, come si suol dire!» Dall'appartamento della signorina Eveleth andai all'ufficio del primo piano, dove trovai Mcbirney, il portinaio, con la moglie, assieme alla quale gestiva il palazzo. La donna era un tipetto ossuto con la bocca angolosa e un naso da impicciona. Lui invece era un omone grande e grosso, con due enormi spallacce, capelli color sabbia e un paio di baffi; un tipo simpatico, dalla faccia aperta e dagli occhi intelligenti di un azzurro acquoso.
Spiattellò subito quello che sapeva della faccenda.
«Stavo aggiustando un rubinetto al quarto piano quando ho sentito lo sparo. Sono salito per vedere che cosa era successo e proprio quando ero abbastanza in alto da scorgere la porta aperta dell'appartamento dei Toplin, ho visto uscire questo tizio. Io vedo lui, lui vede me e mi punta addosso la pistola. Probabilmente c'è un sacco di roba che avrei potuto fare, ma tutto quello che mi è venuto in mente è stato abbassarmi e mettermi fuori tiro. L'ho sentito salire le scale e quando ho risollevato lo sguardo ho fatto giusto in tempo a vederlo girare l'angolo tra il sesto e il settimo piano.
«Non gli sono andato dietro. Non ero armato e poi ho pensato che l'avremmo comunque acciuffato. É possibile abbandonare l'edificio dal quarto piano e atterrare sul tetto del palazzo di fianco, forse è possibile anche dal quinto, ma non da più in alto di così. E l'appartamento dei Toplin è al quinto. Ero sicuro che l'avremmo beccato. Io potevo rimanere di fronte all'ascensore tenendo d'occhio la porta principale e quella sul retro e nel frattempo chiamare l'ascensore e ho detto ad Ambrose, il ragazzo dell'ascensore, di suonare l'allarme e di uscire, tenendo d'occhio la scala antincendio fino all'arrivo della polizia.
«La mia signora qui è arrivata dopo pochi minuti con la mia pistola e mi ha detto che Martinez, il fratello di Ambrose, che sta al centralino sull'ingresso principale, stava chiamando la polizia. Io potevo vedere perfettamente entrambe le scale e quel tipo non è sceso, e non sono passati che pochi minuti fino all'arrivo della polizia, un intero squadrone, dalla centrale di Richmond. A quel punto abbiamo liberato i Toplin dal ripostiglio in cui erano stati rinchiusi e abbiamo cominciato a setacciare l'edificio. Poi la signorina Eveleth è arrivata dalle scale, con il viso e il vestito tutti insanguinati e ci ha detto che il tizio era entrato nel suo appartamento, per cui a quel punto eravamo certi di averlo in pugno.
Ma non è stato così. Abbiamo cercato ovunque, ma di lui nemmeno un capello.»
«Ovvio che non l'avete trovato» esclamò a quel punto la signora Mcbirney con fare antipatico. «Ma se tu...»
«Lo so» disse lui con un'aria di indulgenza che pareva alludere al rimbrotto come a un aspetto ordinario della sua vita matrimoniale, «se fossi stato un eroe e mi fossi gettato su di lui mi sarei trovato malconcio. Io non sono scemo come il vecchio Toplin che si è fatto sparare in un piede o come Blanche Eveleth che si è fatta rompere il naso. Io sono un uomo di buon senso che sa quando deve stare al suo posto. E non corro incontro a pistole spianate!»
«No, certo, tu non fai nulla che...» Quei due non mi stavano portando da nessuna parte, per cui tagliai corto con una domanda a lei: «Chi sono i vostri inquilini più recenti?»
«Sono i signori Jerald. Sono arrivati giusto l'altro ieri.»
«Appartamento?»
«704, quello accanto alla signorina Eveleth.»
«E chi sono questi Jerald?»
«Vengono da Boston. Lui mi ha detto che è venuto ad aprire una succursale di un'industria manifatturiera. É un uomo sulla cinquantina, magro e dall'aria malaticcia.»
«Sono solo lui e la moglie?»
«Sì. Anche lei non ha un'aria granché sana. É stata in clinica per un anno o due.»
«E dopo di loro chi è il più recente?»
«Il signor Heaton al 535. É qui da un paio di settimane ma in questo momento si trova a Los Angeles. É partito da tre giorni e ha detto che sarebbe stato via per dieci o dodici giorni.»
«Che aspetto ha e cosa fa?»
«Lavora in un'agenzia teatrale ed è un tipo piuttosto grasso con la faccia rubizza.»
«E dopo di lui?»
«La signorina Eveleth che è qui da circa un mese.»
«E poi?»
«I Wagener al 923, che sono arrivati all'incirca due mesi fa.»
«Chi sono?»
«Lui è un agente immobiliare in pensione e poi ci sono la moglie e il figlio Jack, un ragazzino intorno ai diciannove anni. Lo vedo spesso con Phillys Toplin.»
«Da quanto tempo abitano qui i Toplin?»
«Due anni il mese prossimo.» A quel punto rivolsi nuovamente la mia attenzione dalla signora Mcbirney al marito.
«La polizia ha ispezionato tutti gli appartamenti?»
«Sì» disse. «Siamo entrati in ogni singola stanza e stanzino, dalla cantina al tetto.»
«Ha visto bene in faccia il ladro?»
«Sì. C'è una luce nel pianerottolo proprio fuori dalla porta dei Toplin e quando sono arrivato era illuminato in pieno viso.»
«Poteva essere qualcuno della casa?»
«Impossibile.»
«Lo riconoscerebbe se lo vedesse un'altra volta?»
«Ci può scommettere.»
«Che aspetto aveva?»
«Un piccoletto, un ragazzino con la pelle chiara intorno ai ventitré, ventiquattro anni, vestito con un vecchio abito blu.»
«Potrei parlare con Ambrose e Martinez, i due ragazzi che lavoravano qui ieri sera?» Il portinaio diede un'occhiata all'orologio.
«Certo. Dovrebbero essere già al lavoro. Di solito arrivano alle due.»
Andai all'ingresso del palazzo e li trovai insieme, simili come due gocce d'acqua. Erano due ragazzi filippini magri e dagli occhi grandi che non aggiunsero granché a quello che già sapevo.
Ambrose era sceso nell'atrio e aveva detto al fratello di chiamare la polizia non appena Mcbirney gliel'aveva ordinato, quindi era uscito sul retro per tenere d'occhio il muro posteriore e quello laterale della casa. Stando un poco discosto dall'angolo dell'edificio riusciva a controllare sia le pareti sia la porta sul retro.
L'illuminazione era ottima, per cui era possibile vedere perfettamente le rampe della scala antincendio fino al tetto e non aveva visto nessuno avventurarvisi.
Martinez aveva spiegato tutto alla polizia al telefono, dopo di che aveva tenuto d'occhio l'ingresso principale e la scala, senza vedere nulla di sospetto.
Avevo appena finito di interrogare i due ragazzi filippini, quando la porta si aprì e due uomini fecero il loro ingresso nell'atrio. Uno lo conoscevo, era Bill Garren, un detective del Banco Pegni. L'altro invece era un piccoletto biondo azzimato in un paio di pantaloni con la piega ben stirata, un cappotto corto con le spalle quadrate e un paio di scarpe di pelle finissima con ghette a ventaglio in tinta con il cappello e i guanti. Aveva un faccino imbronciato e l'aria di non spassarsela per nulla in compagnia di Garren.
«Che ci fai da queste parti?» mi salutò il detective.
«Lavoro per la compagnia di assicurazioni per l'affare Toplin» spiegai.
«Novità?»
«Vicino a pizzicare qualcuno» dissi, mentendo solo a metà.
«Più ce n'è meglio è» disse lui con un ghigno. «Quanto a me, la mia parte io l'ho fatta» disse accennando al damerino che aveva di fianco. «Sali con noi.» Prendemmo insieme l'ascensore e Ambrose ci portò al quinto piano.
Prima di premere il campanello dei Toplin, Garren mi raccontò quello che sapeva.
«Questo bel tomo ha cercato di vendere un anello in un negozio sulla terza, poco fa. Un anello di smeraldi e diamanti che assomiglia decisamente a uno di quelli rubati ai Toplin. Adesso fa l'indiano e non spiccica una parola. Non ancora perlomeno. Ora lo mostro a questa gente e poi lo porto alla centrale e lo faccio parlare e sono sicuro che quelle che gli usciranno di bocca saranno parole forti e chiare, disposte in elegantissime frasette.» Il prigioniero guardava cupo il pavimento e non pareva prestare alcuna attenzione alle minacce. Garren suonò il campanello e la domestica venne ad aprire. I suoi occhi si spalancarono quando vide il ragazzo elegante, ma non disse nulla mentre ci accompagnava nello studio in cui si trovavano la signora Toplin e la figlia, le quali ci guardarono entrambe con aria interrogativa.
«Ciao, Jack» lo salutò Phillys.
«Ehilà, Phyl» mormorò il ragazzino senza levare lo sguardo su di lei.
«Siamo tra amici, eh? E quale sarebbe la spiegazione di tutta questa storia?» chiese Garren rivolto alla ragazza, la quale levò il naso al soffitto, arrossendo e rivolgendo uno sguardo altezzoso all'indirizzo del poliziotto.
«Le spiacerebbe togliersi il cappello?» disse.
Bill non è un cattivo ragazzo ma non è il tipo che fa tante storie e per tutta risposta inclinò ancora di più il cappello sulle ventitré e si rivolse alla madre.
«Mai visto prima d'ora questo giovanotto?»
«Ma certo» esclamò la signora Toplin, «è il signorino Wagener che abita al piano di sopra.»
«Be'» disse Bill, «il signorino Wagener è stato appena pizzicato in un Banco Pegni mentre cercava di sbarazzarsi di questo» e così dicendo estrasse da una tasca uno sfarzoso anello bianco e verde. «Lo conoscete?»
«Ma certamente!» disse la signora Toplin osservando il gioiello, «appartiene a Phillys e il ladro...» Il volto le si riempì di stupore nell'istante in cui cominciò a capire.
«Come avrebbe potuto il signorino Wagener...?»
«Esatto, come?» ripeté Bill.
La ragazza si interpose tra me e Garren, dando le spalle a lui e guardandomi in viso. «Posso spiegare ogni cosa» annunciò.
Il tutto suonava un po' troppo come i titoli di coda di un film per essere davvero promettente, ma tuttavia...
«La prego» la incoraggiai io.
«Ho trovato l'anello nel corridoio vicino alla porta dopo che tutto il trambusto si era concluso. Forse il ladro l'ha lasciato cadere.
Non ho detto nulla a mamma e papà perché pensavo che nessuno sarebbe mai venuto a saperlo, e poi era assicurato, per cui ho pensato che avrei potuto venderlo e farci su un bel gruzzoletto. Ieri sera ho chiesto a Jack di venderlo per me e lui mi ha detto che sapeva dove andare. A parte questo, lui non ha nulla a che vedere con l'intera faccenda, anche se pensavo che avrebbe avuto almeno il buon senso di aspettare che le acque si fossero un po' calmate!» Guardò con aria delusa il suo giovane compare.
«Lo vedi che cosa hai fatto?» lo accusò.
Il ragazzo giocherellava nervosamente con la punta del piede, lo sguardo fisso a terra.
«Ah! Ah! Ah! Questa è buona davvero!» disse Garren acido. «E la sapete quella dei due irlandesi che per errore entrano nella sede delle Giovani Cattoliche?» La ragazza si astenne dal dire se la sapeva.
«Signora Toplin» chiesi, «con le dovute differenze della barba e dei vestiti, potrebbe essere lui il ladro?» La donna scosse la testa con enfasi: «No! Assolutamente no!»
«Caliamo le aspettative, Bill» suggerii, «e sistemiamoci in un angolo a discutere tra noi questa faccenda.»
«D'accordo.» Trascinò una pesante sedia in mezzo alla stanza, vi fece sedere Wagener e lo ammanettò, cosa forse non necessaria, ma Bill si innervosiva sempre quando un suo prigioniero non era identificato come il colpevole, quindi ci trasferimmo entrambi nel corridoio. In tal modo potevamo tenere d'occhio quello che succedeva nella stanza senza che la nostra conversazione potesse essere udita.
«La situazione è semplice» sussurrai in una delle sue grosse orecchie rubiconde. «Ci sono cinque modi di vedere la situazione.
Primo: Wagener ha rubato i gioielli per i Toplin. Secondo: i Toplin hanno organizzato da soli la finta rapina e hanno preso Wagener per vendere la refurtiva. Terzo: Wagener e la ragazza hanno architettato tutto all'oscuro dei genitori. Quarto: Wagener ha fatto tutto da solo e adesso la ragazza lo sta coprendo. Quinto: la ragazza ci ha detto la verità. Nessuna di queste spiegazioni però ci dice come mai il nostro amichetto sia stato così scemo da mostrare in giro l'anello la mattina dopo il furto, ma del resto la cosa non si spiegherebbe comunque. Quale di questi cinque modi ti piace di più?»
«Mi piacciono tutti» brontolò, «ma la parte che mi piace di più è avere pizzicato quel bamboccio proprio mentre cercava di vendere un anello che scotta. Quanto a me sono a posto: risolvi tu gli indovinelli. Io non chiedo più di quello che già abbiamo.»
«La cosa non fa impazzire neppure me» ammisi. «Per come stanno le cose la compagnia di assicurazioni può rimangiarsi le polizze, ma mi piacerebbe comunque vederci più chiaro, abbastanza almeno da mettere al fresco chiunque abbia cercato di fregare la North American.
Cerchiamo di spremere più che possiamo questo ragazzino, buttiamolo per un po' in gattabuia e vediamo che altri pasticci possiamo combinare.»
«D'accordo» disse Garren. «Perché non vai a chiamare il portiere e quella Eveleth, mentre io mostro il ragazzo al vecchio di là e mi faccio dire dalla domestica cosa ne pensa?» Annuii e uscii in corridoio, lasciando la porta aperta. Presi l'ascensore fino all'undicesimo piano e dissi ad Ambrose di andare da Mcbirney e di chiedergli di recarsi nell'appartamento dei Toplin.
Quindi andai a suonare alla porta di Blanche Eveleth.
«Le spiacerebbe venire di sotto per qualche minuto?» chiesi.
«Abbiamo un tizio che potrebbe essere il suo amico di ieri sera.»
«Ma certo che posso» disse. «E se è veramente la stessa persona, posso ripagarlo per l'affronto fatto alla mia bellezza?»
«Ma certo» promisi. «Basta che non me lo conci al punto di non riuscire a sostenere un processo.» La accompagnai nell'appartamento dei Toplin, senza suonare il campanello, e trovai tutti quanti riuniti nella camera del signor Toplin. Un'occhiata alla faccia cupa di Garren mi bastò per comprendere che né lui né la domestica avevano riconosciuto nel giovane il rapinatore.
Indicai Jack Wagener alla donna. Gli occhi di Blanche Eveleth si riempirono di delusione. «Vi sbagliate» disse, «non è lui.» Garren si corrucciò a quelle parole. Si metteva male: se i Toplin erano d'accordo con il giovane Wagener, avevano un buon motivo per non identificarlo come il rapinatore; per questa ragione Bill contava sull'identificazione da parte dei due testimoni esterni, Blanche Eveleth e il portiere. E adesso uno dei due veniva già meno.
L'altro suonò alla porta proprio in quel momento e ci fu condotto dalla domestica.
Io indicai Jack Wagener accanto a Garren, lo sguardo torvo sempre fisso al pavimento.
«Lo conosce?»
«Sì, è Jack, il figlio del signor Wagener.»
«É lui l'uomo che le ha puntato addosso una pistola la scorsa notte?» Gli occhi acquosi di Mcbirney si spalancarono, pieni di sorpresa.
«No» disse poi con decisione, il viso improntato a profonda perplessità.
«E con degli abiti vecchi, un cappello tirato sul viso, la barba lunga, non sarebbe potuto essere lui?»
«N-no...» esitò il portiere, «non credo, anche se... sa, adesso che ci penso, c'è forse qualcosa in lui che mi ricorda quel tizio.
Diavolo, sa che forse ha ragione? Anche se non saprei dire assolutamente perché...»
«Va benissimo così» sbottò Garren con aria seccata.
Un'identificazione del genere di quella data dal portiere non serve a un bel niente. Persino le identificazioni immediate del resto non sempre vanno a buon fine. Un sacco di gente che non ne sa nulla, e spesso e volentieri anche quelli che ne sanno o che dovrebbero saperne qualcosa, hanno dato al concetto di prova indiziaria una cattiva reputazione. É vero, a volte è qualcosa di sviante. Ma è per una sorta di ingenua, totale, prebellica sorta di sfiducia che non può essere usata come testimonianza. Prendete un uomo qualunque - a parte uno di quelli su centomila con una mente allenata a tenere sempre le cose in una corretta prospettiva, anche se a volte persino un uomo del genere può sbagliare - eccitatelo, mostrategli qualcosa, dategli qualche ora di tempo per pensarci su e per discuterne e poi fategli delle domande. Potete scommettere fior di dollari in cambio di dolcetti che impazzirete nel cercare di trovare una qualunque connessione tra quello che ha visto e quello che dirà di aver visto.
Come questo Mcbirney. Se gli avessimo dato un'altra ora avrebbe scommesso anche la camicia sul fatto che Jack Wagener fosse il rapinatore.
Garren prese il ragazzo per il braccio e lo condusse verso la porta.
«Dove sei diretto, Bill?» chiesi.
«Di sopra a fare due chiacchiere con i suoi. Vuoi venire?»
«Aspetta un momento» lo invitai. «Sto per mettere in piedi una festicciola. Ma prima dimmi una cosa: gli agenti che sono venuti qui quando è stato dato l'allarme hanno fatto di sicuro un buon lavoro?»
«Io non c'ero» disse il detective. «Sono arrivato che i pompieri avevano bell'e che finito. Ma da quello che so i ragazzi hanno fatto il loro dovere.» Mi rivolsi quindi a Frank Toplin. Decisi di rivolgermi principalmente a lui dato che noi, ossia sua moglie e sua figlia, la domestica, il portiere, Blanche Eveleth, Garren, il suo prigioniero e io, eravamo tutti al suo capezzale e parlando con lui potevo anche avere una simultanea panoramica di tutti quanti.
«Qualcuno qui mi sta prendendo in giro» cominciai. «Se tutto quello che mi è stato detto riguardo a questa faccenda è giusto, allora lo è anche il Proibizionismo. Le vostre storie non corrispondono, neppure approssimativamente. Prendiamo il fringuello che vi ha fatto il lavoretto. Parrebbe un tizio parecchio aggiornato sui vostri movimenti. Può darsi che si sia trattato solo di fortuna, ma ha fatto irruzione in casa vostra proprio quando i gioielli di casa erano a disposizione, invece di fare visita a un altro appartamento o magari anche al vostro ma in un'altra occasione. Ma a me l'idea della fortuna non garba. Preferisco pensare che sapesse esattamente quello che stava facendo. Si è diretto da voi per alleggerirvi dei gioielli, dopo di che è andato di sopra dalla signorina Eveleth. Forse stava per scendere le scale quando si è imbattuto in Mcbirney, o forse no.
A ogni modo se l'è filata al piano di sopra nell'appartamento della signorina Eveleth, in cerca di una scala antincendio. Buffo, no?
Sapeva abbastanza cose di questa casa da fare un bel malloppo con una rapina a mano armata, ma non sapeva che sul lato dell'edificio in cui si trova l'appartamento della signorina Eveleth non c'era scala antincendio.
«Non ha parlato per tutto il tempo né a voi né a Mcbirney, ma ha parlato con la signorina Eveleth. Una voce molto, molto bassa; buffo, no? E dall'appartamento della signorina Eveleth è sparito nonostante tutte le uscite fossero sotto controllo. La polizia era qui prima che il ladro fosse uscito e avrebbero comunque bloccato le vie di fuga, sia che Mcbirney e Ambrose l'avessero fatto o meno per conto loro. E tuttavia è riuscito a scappare. Buffo, no? Il ladro indossava un abito sciupato, che potrebbe anche essersi messo addosso apposta per l'operazione ed era piccolo di statura. La signorina Eveleth non è una donna piccola ma sarebbe senz'altro un uomo di taglia piccola.
Dirò di più, qualcuno veramente sospettoso a questo punto potrebbe anche pensare che la ladra sia lei.» Frank Toplin, sua moglie, il giovane Wagener, il portiere e la domestica mi guardarono con tanto d'occhi. Garren osservava fisso la signorina Eveleth che mi guardava con occhi incandescenti. Phyllis Toplin invece mi contemplava con una sorta di spregiativa condiscendenza per la mia patente stupidità.
Bill Garren terminò la sua rapida e silenziosa ispezione e annuì con un cenno del capo.
«E avrebbe potuto anche farla franca» disse, «se fosse rimasta in casa e avesse tenuto la bocca chiusa.»
«Precisamente» dissi.
«Precisamente un accidenti» sbottò Phyllis. «Voialtri detective da scuola per corrispondenza non pensate che magari sappiamo riconoscere la differenza tra un uomo e una donna vestita da uomo? Il tizio che abbiamo visto aveva una barba di almeno due giorni, barba vera, non so se mi spiego. Crede che avrebbe potuto ingannarci con un paio di baffi finti? Tutto questo è accaduto sul serio, sapete? Non siamo a teatro.» Gli altri smisero di fissarci e annuirono tra loro.
«Phyllis ha ragione» disse Frank Toplin sostenendo la teoria della figlia. «Era un uomo, non una donna vestita da uomo.» Sua moglie, la domestica e il portiere concordarono vigorosamente.
Ma io sono un fringuello dannatamente testardo, quando si tratta di andare a parare dove portano gli indizi, per cui dissi sul muso a Blanche Eveleth: «Vuole aggiungere qualcosa, già che ci siamo?» La donna mi fece un sorriso incredibilmente dolce e scosse la testa.
«D'accordo, allora. Lei è agli arresti. Andiamo.» A quel punto però la ragazza decise che qualche cosa aveva da aggiungere, più d'una a dire il vero, e tutte sul mio conto. E non erano cose carine. Con la sua voce resa stridula dalla rabbia, esplose di botto in una furia assai più incontrollata di quanto mi fosse mai capitato di vedere. Il che in un certo senso mi piacque, dato che fino a quel momento tutto era andato liscio e in maniera del tutto consona a delle signore, e da parte mia avevo sperato che la cosa andasse avanti così. Ma quella invece continuò a strillarmi dietro rendendo la situazione sempre più sgradevole. Non che utilizzasse termini che non avevo già sentito in vita mia, ma era la loro combinazione a tornarmi nuova. Cercai di ignorarla.
Quando però ne ebbi abbastanza la stesi con un gran diretto in bocca.
«Ehi! Ehi!!!» strillò Garren fermandomi il braccio.
«Risparmia le forze, Bill» dissi, liberandomi della sua stretta e andando a recuperare la Eveleth da terra. «Questa galanteria ti fa onore, ma alla fine credo che salterà fuori che il vero nome di Blanche è qualcosa tipo Tom, Dick, o Harry.» La sollevai (o lo sollevai, come vi pare) e domandai: «Te la senti a questo punto di parlarcene?» Per tutta risposta ebbi una smorfia.
«D'accordo» dissi agli altri, «in assenza di fonti più autorevoli vi dirò io quello che so. Se Blanche Eveleth poteva non essere il rapinatore, se non altro per la barba e la difficoltà in generale che ha una donna a farsi passare per un uomo, perché allora non pensare che il rapinatore potesse essere invece Blanche Eveleth prima e dopo la rapina, usando una, come si chiama, crema depilatoria e una parrucca? É difficile per una donna travestirsi da uomo ma ci sono parecchi uomini che possono farsi passare per donne con una certa facilità. Non può darsi che questo tizio, dopo aver affittato l'appartamento come Blanche Eveleth e dopo aver imbrogliato tutti quanti, si sia chiuso in casa per un paio di giorni, si sia fatto crescere la barba, e quindi sia sceso per condurre il lavoretto, dopo di che sia risalito nel suo appartamento, si sia sbarbato e si sia rimesso in panni femminili nel giro di diciamo un quarto d'ora?
Scommetto che è possibile. E ha avuto un buon quarto d'ora. Non so che dire del naso spaccato. Forse se l'è schiacciato da solo correndo su per le scale e poi ha dovuto cambiare la sua versione dei fatti per darne conto, o forse se l'è fatto apposta.» Le mie conclusioni non erano poi così lontane dal vero, anche se il nome che saltò fuori alla fine era Fred, precisamente Frederick Agnew Rudd. Era già noto a Toronto e aveva già scontato una pena in un riformatorio dell'Ontario, all'età di diciannove anni, per avere commesso un furto in abiti femminili. Non ammise nulla e non rintracciammo né i vestiti, né la pistola, né il cappello, né i guanti, anche se dopo un po' trovammo un buco nel suo materasso in cui sicuramente aveva ficcato la roba quando la polizia era venuta a fare il suo sopralluogo e dove certamente aveva tenuto il tutto finché non era stato in grado di sbarazzarsene. I gioielli invece fecero la loro comparsa a uno a uno quando facemmo aprire da un idraulico tutti i caloriferi e gli scarichi dell'appartamento numero 702.