1. Entanglement
Nel capitolo precedente ho parlato del cuore della teoria dei quanti: le proprietà delle cose sono relative ad altre cose e si realizzano nelle interazioni. Qui descrivo il fenomeno che più manifesta questa interdipendenza delle cose. È un fenomeno sottile, che incanta, il fenomeno quantistico che più ha fatto sognare: l’entanglement.
È il fenomeno più strano, quello che più ci allontana dal nostro vecchio mondo. Come Schrödinger ha sottolineato, è il vero tratto caratteristico della meccanica quantistica. Ma anche un fenomeno generale, che tesse la struttura stessa del reale. È qui che appaiono gli aspetti più vertiginosi della realtà svelati dalla teoria dei quanti.
Per designarlo si usa il termine inglese entanglement, che non ha un vero equivalente in italiano. Un entanglement è la situazione in cui si trovano due cose o due persone che in qualche forma sono rimaste aggrovigliate fra loro, in senso letterale o figurato. Annodamento, intricamento, coinvolgimento, intreccio, imbroglio, relazione sentimentale…
Nella fisica dei quanti, si chiama entanglement il fenomeno per cui due oggetti distanti fra loro, per esempio due particelle che si sono incontrate nel passato, conservano una sorta di strano legame, come potessero continuare a parlarsi. Come due innamorati lontani che indovinano i pensieri l’uno dell’altro. Restano, si dice, entangled, allacciati. È un fenomeno ben verificato in laboratorio. Recentemente scienziati cinesi sono riusciti a mantenere in uno stato entangled due fotoni a distanza di migliaia di chilometri l’uno dall’altro.62
Vediamo di che si tratta.
Innanzitutto due fotoni entangled hanno caratteristiche correlate: cioè se uno è rosso, anche l’altro è rosso; se uno è blu, anche l’altro è blu. Fin qui nulla di strano. Se separo un paio di guanti e ne invio uno a Vienna e uno a Pechino, quello che arriva a Vienna sarà dello stesso colore di quello che arriva a Pechino: sono correlati.
La stranezza nasce se la coppia di fotoni spediti uno a Vienna e l’altro a Pechino è in una sovrapposizione quantistica. Per esempio possono essere in una sovrapposizione di una configurazione in cui sono entrambi rossi, e una in cui sono entrambi blu. Ciascun fotone può rivelarsi tanto rosso che blu al momento dell’osservazione, ma se uno si rivelerà rosso, anche l’altro – lontano – farà lo stesso.
L’aspetto della faccenda che lascia perplessi è questo: se entrambi possono mostrarsi sia rossi che blu, come accade che si mostrano sempre dello stesso colore? La teoria ci dice che fino al momento in cui non lo guardiamo, ciascuno dei due fotoni non è né definitivamente rosso, né definitivamente blu. Il colore si determina in maniera casuale solo nel momento in cui guardiamo. Ma se è così, com’è possibile che il colore che si determina in maniera casuale a Vienna possa risultare eguale al colore che si determina in maniera casuale a Pechino? Se faccio testa o croce sia a Pechino che a Vienna, i due risultati sono indipendenti, non sono correlati: non viene testa a Vienna ogni volta che viene testa a Pechino.
Sembrano esserci solo due spiegazioni possibili. La prima è che un segnale con il colore del fotone viaggi rapidissimamente da un fotone all’altro, cioè che appena un fotone decide se essere blu o rosso lo comunichi subito in qualche modo al fratello lontano. La seconda possibilità, più ragionevole, è che il colore fosse in realtà già determinato al momento della separazione, come nel caso dei guanti, anche se noi non lo sapevamo (Einstein si aspettava qualcosa di simile).
Il problema è che nessuna delle due spiegazioni funziona. La prima implica una comunicazione troppo veloce da troppo lontano, esclusa da tutto quanto sappiamo sulla struttura stessa dello spaziotempo, che impedisce di mandare segnali troppo veloci. In effetti si può mostrare che non c’è modo di usare oggetti entangled per mandare segnali. Quindi queste correlazioni non sono connesse a trasmissioni rapide di segnali.
Ma anche l’altra possibilità – che i fotoni, come i guanti, sapessero già prima di allontanarsi se fossero entrambi rossi o entrambi blu – è esclusa. È stata esclusa da acute considerazioni presentate in un bellissimo articolo scritto nel 1964 dal fisico irlandese John Bell.63 Con un ragionamento elegante, sottile e molto tecnico, Bell ha mostrato che, se tutte le proprietà correlate dei due fotoni fossero determinate fin dal momento della separazione (invece di essere determinate a caso al momento dell’osservazione), ne seguirebbero conseguenze precise (oggi chiamate diseguaglianze di Bell) che sono invece chiaramente contraddette da quanto si osserva. Quindi le correlazioni non sono determinate prima.64
Sembra un puzzle senza uscita. Come fanno due particelle entangled a decidere allo stesso modo, senza essersi messe d’accordo prima, e senza mandarsi messaggi? Cosa le lega?

Il mio amico Lee mi ha raccontato che quando da ragazzo ha studiato l’entanglement ha poi passato ore sdraiato sul letto a guardare il soffitto, pensando che ciascun atomo del suo corpo aveva interagito in un qualche lontano passato con tanti atomi dell’universo. Ciascun atomo del suo corpo doveva quindi essere allacciato con miliardi di altri atomi sparsi nella galassia… Si sentiva mescolato col cosmo.
L’entanglement mostra che la realtà è comunque diversa da come la pensavamo. Due oggetti hanno – insieme – più caratteristiche dei due oggetti separati. Più precisamente, ci sono situazioni in cui, anche se conosco tutto quanto posso predire in quella situazione su un oggetto e sull’altro, ancora non so predire qualcosa dei due oggetti insieme. Nulla di ciò è vero nel mondo classico.
Se ψ1 è l’onda di Schrödinger di un oggetto e ψ2 è l’onda di un secondo oggetto, la nostra intuizione ci dice che per prevedere tutto ciò che possiamo osservare dei due oggetti dovrebbe bastare conoscere ψ1 e ψ2. E invece non è così. L’onda di Schrödinger di due oggetti non è l’insieme delle due onde. È un’onda più complicata che contiene altra informazione: l’informazione su possibili correlazioni quantistiche che non si possono scrivere nelle due onde ψ1 e ψ2.65
Insomma, anche se sappiamo tutto quello che c’è da sapere in una situazione particolare su un oggetto singolo, se questo oggetto ha interagito con altri non sappiamo tutto di lui: ignoriamo le sue correlazioni con gli altri oggetti dell’universo. La relazione fra due oggetti non è qualcosa che sia contenuta nell’uno e nell’altro: è di più.66
Questa interconnessione fra tutti i componenti dell’universo è sconcertante.

Torniamo al puzzle: come fanno due particelle entangled a comportarsi allo stesso modo, senza essersi messe d’accordo prima e senza mandarsi messaggi da lontano?
La soluzione del puzzle nell’ambito della prospettiva relazionale c’è, ma mostra quanto questa prospettiva sia radicale.
La soluzione è ricordare che le proprietà esistono rispetto a qualcosa. La misura del colore del fotone eseguita a Pechino determina il colore rispetto a Pechino. Ma non rispetto a Vienna. La misura del colore a Vienna determina il colore rispetto a Vienna. Ma non rispetto a Pechino. Non c’è nessun oggetto fisico che vede entrambi i colori nel momento in cui sono fatte le due misure. Quindi non ha senso chiedersi se i risultati siano eguali o meno. Non significa nulla, perché non corrisponde a qualcosa che possa essere accertato.
Solo Dio può vedere in due luoghi nello stesso momento, ma Dio, se c’è, non ci dice cosa vede. Cosa veda Lei è irrilevante per la realtà. Non possiamo assumere che esista ciò che vede solo Dio. Non possiamo assumere che esistano entrambi i colori, perché non c’è nulla rispetto a cui sono determinati entrambi. Ci sono solo le proprietà che esistono rispetto a qualcosa: l’insieme dei due colori non esiste rispetto a nulla.
Ovviamente, possiamo confrontare le due misure, a Pechino e a Vienna, ma il confronto richiede che ci sia uno scambio di segnali: i due laboratori possono mandarsi una mail, chiamarsi al telefono. Ma una mail ha bisogno di tempo, e così la voce al telefono – nulla viaggia istantaneamente.
Quando il risultato della misura di Pechino arriva a Vienna, per mail o lungo le linee telefoniche, solo allora diventa reale anche rispetto a Vienna. Ma a questo punto non c’è più un misterioso segnale a distanza: rispetto a Vienna, la concretizzazione del colore del fotone di Pechino avviene solo quando i segnali con l’informazione arrivano a Vienna.
Rispetto a Vienna, cosa succede nel momento della misura a Pechino? Bisogna ricordare che gli apparecchi che compiono le misure, gli scienziati che le leggono, i quaderni su cui prendono appunti, i messaggi su cui scrivono i risultati della misura, sono anch’essi tutti oggetti quantistici. Fino a che non comunicano con Vienna, il loro stato rispetto a Vienna non è determinato: rispetto a Vienna sono tutti come il gatto in sovrapposizione di sveglio e addormentato. Sono in una sovrapposizione quantistica di una configurazione in cui hanno misurato blu e di una in cui hanno misurato rosso.
Rispetto a Pechino è il contrario: i laboratori di Vienna e il messaggio che arriva da Vienna sono in sovrapposizione quantistica, fino al momento in cui il messaggio con il risultato della misura arriva a Pechino.
Per entrambi, le correlazioni non diventano reali che quando ci sono segnali scambiati. Così possiamo comprendere le correlazioni senza trasmissione magica di segnali, né predeterminazione del risultato.
È la soluzione del puzzle, ma il suo prezzo è alto: non esiste un resoconto univoco di fatti; esiste un resoconto di fatti relativi a Pechino, e uno di fatti relativi Vienna, e i due non combaciano. Fatti relativi a un osservatore non sono fatti rispetto all’altro. La relatività della realtà risplende qui completamente.
Le proprietà di un oggetto sono tali solo rispetto a un altro oggetto. Quindi le proprietà di due oggetti sono tali solo rispetto a un terzo. Dire che due oggetti sono correlati significa enunciare qualcosa che riguarda un terzo oggetto: la correlazione si manifesta quando i due oggetti correlati interagiscono entrambi con questo terzo oggetto.
L’apparente incongruenza sollevata da quella che sembrava la comunicazione a distanza fra due oggetti entangled è dovuta al dimenticare questo fatto: l’esistenza di un terzo oggetto che interagisca con entrambi i sistemi è necessaria per rivelare e dare realtà alle correlazioni. L’apparente incongruenza viene dal dimenticare che tutto ciò che si manifesta si manifesta a qualcosa. Una correlazione fra due oggetti è una proprietà dei due oggetti: come tutte le proprietà, esiste solo in relazione a un ulteriore, terzo, oggetto.
L’entanglement non è una danza a due: è una danza a tre.
2. La danza a tre che tesse le relazioni del mondo
Immaginiamo un’osservazione di una proprietà di un oggetto. Zeilinger rileva un fotone e lo vede rosso. Un termometro rileva la temperatura di una torta.
Una misura è un’interazione fra un oggetto (il fotone, la torta) e un altro (Zeilinger, il termometro). Alla fine dell’interazione, un oggetto «ha raccolto informazione su un altro oggetto». Il termometro ha raccolto informazione sulla temperatura della torta che sta cuocendo.
Cosa significa qui che il termometro «ha informazione» sulla temperatura della torta? Niente di complicato: significa semplicemente che vi è una correlazione fra termometro e torta. Dopo la misura, cioè, se la torta è fredda il termometro indica freddo (la colonnina di mercurio è bassa); se invece la torta è calda il termometro indica caldo (la colonnina di mercurio è alta). Temperatura e termometro sono diventati come i due fotoni: correlati.
Questo chiarisce cosa succede in una qualunque osservazione. Attenzione però, se la torta era in una sovrapposizione quantistica di temperature diverse, allora:
– rispetto al termometro, la torta ha manifestato una sua proprietà (la temperatura) nel corso dell’interazione;
– rispetto a un terzo sistema fisico qualunque, che non partecipa a questa interazione, nessuna proprietà si è manifestata: ma torta e termometro sono ora in uno stato entangled.
Questo è quanto succede al gatto di Schrödinger. Rispetto al gatto, il sonnifero viene emesso oppure no. Rispetto a me che non ho ancora aperto la scatola, la boccetta del sonnifero e il gatto sono in uno stato entangled: una sovrapposizione quantistica di sonnifero-liberato/gatto-addormentato e sonnifero-non-liberato/gatto-sveglio.
L’entanglement non è quindi un raro fenomeno che si realizza in situazioni particolari: è quanto succede regolarmente in un’interazione, se questa è considerata rispetto a sistemi fisici estranei a essa.
Da una prospettiva esterna, qualunque manifestarsi di un oggetto a un altro, cioè qualunque rivelarsi di una proprietà, è l’apparire di una correlazione – in generale è il realizzarsi di un entanglement – fra l’oggetto che si manifesta in una relazione e l’oggetto in relazione.
L’entanglement, insomma, non è altro che la prospettiva esterna sulla relazione stessa che tesse la realtà: il manifestarsi di un oggetto a un altro, nel corso di una interazione in cui le proprietà degli oggetti diventano attuali.

Guardi una farfalla e ne vedi il colore delle ali. Quello che è accaduto rispetto a me è lo stabilirsi di una correlazione fra te e la farfalla: tu e la farfalla siete ora in uno stato entangled. Anche se la farfalla si allontana da te, resta il fatto che se io guarderò il colore delle sue ali e poi ti chiederò di che colore le hai viste tu, troverò che le risposte combaciano, anche se non è impossibile che ci siano sottili fenomeni di interferenza con la configurazione dove la farfalla era di un altro colore…
Tutta l’informazione che si può avere sullo stato del mondo, considerata dall’esterno, è in queste correlazioni. E siccome tutte le proprietà sono solo proprietà relative, tutte le cose del mondo non esistono che in questa rete di entanglement.
Ma c’è del metodo in questa follia. Se so che tu hai guardato le ali della farfalla e mi dici che le hai viste azzurre, so anche che se le guarderò le vedrò azzurre anch’io: questo prevede la teoria,67 nonostante il fatto che le proprietà siano relative. La frantumazione dei punti di vista, la molteplicità di prospettive aperte dal fatto che le proprietà sono solo relative, vengono ricucite da questa coerenza, che è intrinseca alla grammatica della teoria, ed è la base dell’intersoggettività che fonda l’oggettività della nostra comune visione del mondo.
Per tutti noi che ci parliamo, le ali della farfalla hanno sempre lo stesso colore.
3. Informazione
Le parole non sono mai precise; la sfumata nuvola di accezioni che si portano appresso è la loro forza espressiva. Ma può generare anche confusione ’cause you know sometimes words have two meanings. La parola «informazione» che ho usato qualche riga sopra è una parola piena di ambiguità, usata in contesti diversi per indicare nozioni diverse.
Viene usata spesso per fare riferimento a qualcosa che abbia significato. Una lettera di nostro padre è «ricca di informazione». Per decifrare questo tipo di informazione serve una mente che comprenda il significato delle frasi della lettera. Questa è una nozione «semantica» di informazione, cioè legata al significato.
Ma esiste anche un’accezione della parola «informazione» che è più semplice e non ha nulla di «semantico», o di mentale: rientra direttamente nella fisica, dove non si parla né di menti né di significati. È l’uso che ho fatto della parola «informazione» poco sopra, quando ho scritto che il termometro «ha informazione» sulla temperatura della torta, per dire soltanto che se la torta è fredda il termometro indica freddo e se la torta è calda il termometro indica caldo.
Questo è un senso semplice e generale della parola «informazione», usato in fisica. Se lascio cadere a terra una moneta, ci sono due risultati possibili: testa o croce. Se lascio cadere due monete, ci sono quattro risultati possibili: testa-testa, testacroce, croce-testa e croce-croce. Ma se incollo le due monete su uno stesso foglietto di plastica trasparente, entrambe con la faccia in su, e le lascio cadere così, non ci sono più quattro risultati che posso ottenere, ma solo due: testa-testa e croce-croce. Testa in una moneta implica che anche l’altra sia testa. Nel linguaggio della fisica si dice che i versi delle due monete sono «correlati». Oppure che i versi delle due monete «hanno informazione l’uno sull’altro». Nel senso che se ne vedo uno, questo «mi informa» sull’altro.
Dire che una variabile fisica «ha informazione» su un’altra variabile fisica, in questo senso, significa semplicemente dire che esiste un vincolo di qualche tipo (una storia comune, un legame fisico, la colla sul foglio di plastica) per cui il valore di una variabile implica qualcosa per il valore dell’altra.68 Questa è l’accezione della parola «informazione» che uso qui.
Ho esitato a parlare di informazione in questo libro proprio perché la parola «informazione» è ambigua: ciascuno tende istintivamente a leggervi quello che vuole, e non ci si capisce. Ma la nozione di informazione è importante per i quanti, e mi arrischio a parlarne lo stesso. Per favore ricordate che qui «informazione» è usata in un senso fisico, né mentale né semantico.

Le proprietà di un oggetto fisico si realizzano rispetto a un secondo oggetto e possiamo pensarle, abbiamo visto, come lo stabilirsi di una correlazione fra i due, ovvero come informazione che il secondo oggetto ha sul primo.
Si può quindi pensare la fisica dei quanti come una teoria sull’informazione (nel senso appena visto) che i sistemi hanno l’uno sull’altro.
Anche per la fisica classica possiamo limitarci a pensare all’informazione che i sistemi fisici possono avere l’uno sull’altro. Ma ci sono due differenze, riassumibili in due leggi generali, o «postulati», che differenziano radicalmente la fisica quantistica dalla fisica classica, e ne catturano la novità:69
I. La quantità d’informazione rilevante che possiamo avere su un oggetto fisico70 è finita.
II. Interagendo con un oggetto possiamo acquisire sempre nuova informazione rilevante.
A prima vista i due postulati sembrano contraddirsi. Se l’informazione è finita, come posso ottenerne di nuova? La contraddizione è solo apparente, perché i postulati parlano di informazione «rilevante». L’informazione rilevante è quella che ci permette di determinare il comportamento futuro dell’oggetto. Quando acquisiamo nuova informazione, parte della vecchia informazione diventa «irrilevante»: cioè non cambia quanto si può dire sul comportamento futuro dell’oggetto.71
Questi due postulati riassumono la teoria dei quanti.72 Vediamo come.
I. L’informazione è finita: il principio di Heisenberg
Se conoscessimo tutte le variabili fisiche che descrivono una cosa con precisione infinita, avremmo informazione infinita. Ma non possiamo. Il limite è determinato dalla costante di Planck ℏ.73 È questo il significato fisico della costante di Planck. È il limite a quanto sono determinate le variabili fisiche.
È stato Heisenberg a mettere in luce questo fatto cruciale, nel 1927, poco dopo aver costruito la teoria.74 Ha mostrato che se la precisione con cui abbiamo informazione sulla posizione di una cosa è ΔX, e la precisione con cui abbiamo informazione sulla sua velocità (moltiplicata per la massa) è ΔP, le due precisioni non possono essere entrambe arbitrariamente buone. Il prodotto delle precisioni non può essere più piccolo di una quantità minima: metà della costante di Planck. In formula:
ΔX ΔP ≥ ℏ/2
Si legge: «Delta X per Delta P è sempre maggiore o uguale di metà h tagliata». Questa proprietà generalissima della realtà è chiamata il «principio di indeterminazione di Heisenberg». Vale per tutto.
Una conseguenza immediata è la granularità. Per esempio la luce è fatta di fotoni, granelli di luce, perché porzioni di energia ancora più minute violerebbero questo principio: il campo elettrico e il campo magnetico (che per la luce sono come X e P) sarebbero troppo determinati entrambi e violerebbero il primo postulato.
II. L’informazione è inesauribile: la non commutatività
Il principio di indeterminazione non significa che non possiamo misurare con grande precisione la velocità di una particella e poi misurare con grande precisione la sua posizione. Possiamo. Ma dopo la seconda misura, la velocità non sarà più la stessa: misurando la posizione perdiamo informazione sulla velocità, cioè se la misuriamo di nuovo la troviamo cambiata.
Questo segue dal secondo postulato che dice che anche quando raggiungiamo l’informazione massima su un oggetto, possiamo comunque imparare ancora qualcosa di inaspettato (perdendo però informazione precedente). Il futuro non è determinato dal passato: il mondo è probabilistico.
Siccome misurare P altera X, misurare prima X e poi P dà risultati diversi che non misurare prima P e poi X. Quindi è necessario che nella matematica «prima X e poi P» sia diverso da «prima P e poi X».75 Questa è esattamente la proprietà che caratterizza le matrici: l’ordine conta.76 Ricordate l’unica equazione nuova della teoria dei quanti?
XP − PX = iℏ
Ci dice esattamente questo: cioè «prima X e poi P» è diverso da «prima P e poi X». Quanto diverso? Di una quantità che dipende dalla costante di Planck: la scala dei fenomeni quantistici. Per questo le matrici di Heisenberg funzionano: perché permettono di tenere conto dell’ordine in cui le informazioni sono acquisite.
Anche il principio di Heisenberg, cioè l’equazione nella pagina precedente, segue con pochi passaggi dall’equazione di questa pagina, che dunque riassume tutto. Quest’equazione traduce in termini matematici entrambi i postulati della teoria quantistica. I due postulati ne rappresentano, al meglio di quanto comprendiamo oggi, il significato fisico.
Nella versione di Dirac della teoria quantistica non c’è neanche bisogno di matrici: si ottiene tutto semplicemente usando «variabili che non commutano», cioè che soddisfano questa equazione. «Non commutano» significa: non si può scambiarne impunemente l’ordine. Dirac le chiamava «q-numeri»: quantità definite da questa equazione. Il nome matematico pretenzioso è «algebre non commutative». Dirac è sempre un poeta quando scrive fisica: semplifica tutto all’estremo.
Ricordate i fotoni di Zeilinger con cui ho iniziato a descrivere i fenomeni quantistici? Potevano passare «a destra o a sinistra», e finire «in alto o in basso». Il loro comportamento può dunque essere descritto da due variabili: una variabile X, che può valere «destra» o «sinistra», e una variabile P, che può valere «alto» o «basso». Queste due variabili sono come posizione e velocità di una particella: non possono essere entrambe determinate. Per questo se si chiude un percorso determinando la prima variabile («destra» o «sinistra»), la seconda è indeterminata: i fotoni vanno a caso «in alto» o «in basso». Viceversa, affinché la seconda variabile sia determinata, cioè i fotoni vadano tutti «in basso», è necessario che la prima variabile non sia determinata, cioè i fotoni possano passare per entrambi i percorsi. L’intero fenomeno è quindi conseguenza della singola equazione che dice che queste due variabili «non commutano» e quindi non possono essere determinate entrambe.

Le ultime considerazioni sono state tecniche, forse avrei potuto metterle in una nota… Ma sto arrivando alla fine di questa seconda parte del libro e volevo completare il quadro della teoria dei quanti, compresi i postulati sull’informazione che la riassumono, e il nocciolo della sua struttura matematica, data da una sola equazione.
Questa struttura ci dice in estrema sintesi che il mondo non è continuo ma granulare, che c’è un limite inferiore finito alla sua determinazione. Non esiste nulla di infinito andando verso il piccolo. Ci dice che il futuro non è determinato dal presente. Ci dice che le cose fisiche hanno solo proprietà relative ad altre cose fisiche, e che queste proprietà ci sono solo quando le cose interagiscono. Prospettive diverse non si possono giustapporre senza apparire contraddittorie.
Nella nostra vita quotidiana non ci rendiamo conto di tutto ciò. Il mondo ci sembra determinato perché i fenomeni di interferenza quantistica si perdono nel brusio del mondo macroscopico. Riusciamo a metterli in risalto solo con osservazioni delicate e isolando il più possibile gli oggetti.77
Quando non osserviamo interferenze possiamo ignorare le sovrapposizioni quantistiche e reinterpretarle come fossero nostra ignoranza: se non apriamo la scatola, non sappiamo se il gatto sia sveglio o dorma. Se non vediamo interferenza, cioè, non c’è bisogno di pensare che ci sia una sovrapposizione quantistica: «sovrapposizione quantistica» – lo ricordo perché si fa molto spesso confusione su questo punto – significa solo che vediamo interferenze. I delicati fenomeni di interferenza fra gatto-sveglio e gatto-addormentato non li vediamo perché persi nel rumore del mondo. In effetti, più che per oggetti piccoli, i fenomeni quantistici si manifestano per oggetti molto bene isolati, che permettono di isolare e rilevare le sottili interferenze quantistiche.
Di solito poi osserviamo il mondo a grandi scale, quindi non ne vediamo la granularità. Vediamo valori mediati fra tantissime piccole variabili. Non vediamo singole molecole: vediamo l’intero gatto. Quando ci sono tantissime variabili, le fluttuazioni diventano irrilevanti, la probabilità si avvicina alla certezza.78 I miliardi di variabili discontinue e punteggiate dell’agitato e fluttuante mondo dei quanti si riducono alle poche variabili continue e ben definite della nostra esperienza quotidiana. Alla nostra scala il mondo è come un oceano agitato dalle onde osservato dalla luna: una piatta superficie di una biglia immobile.
La nostra esperienza quotidiana quindi è compatibile con il mondo quantistico: la teoria dei quanti comprende la meccanica classica, e comprende la nostra usuale visione del mondo, come approssimazioni. Le comprende come un uomo che vede bene può comprendere l’esperienza di un miope che non vede il ribollire in una pentola sul fuoco. Ma alla scala delle molecole, il netto spigolo di un coltello d’acciaio è fluttuante e impreciso come il bordo di un oceano in tempesta che si sfrangia su una spiaggia di sabbia bianca.
La solidità della visione classica del mondo non è che nostra miopia. Le certezze della fisica classica sono solo probabilità. L’immagine del mondo nitida e solida della vecchia fisica è un’illusione.

Il 18 aprile del 1947, sull’Isola Sacra, l’isola di Helgoland, la marina inglese fa esplodere seimilasettecento tonnellate di dinamite, residuo del materiale bellico abbandonato dall’esercito tedesco. È probabilmente la più grande esplosione realizzata con esplosivi convenzionali. Helgoland è totalmente distrutta. Quasi l’umanità cercasse di cancellare lo strappo nella realtà aperto dal ragazzo sull’isola.
Ma lo strappo resta. L’esplosione concettuale innescata da quel ragazzo è molto più devastante di qualche migliaio di tonnellate di tritolo: è la trama stessa della realtà come la concepivamo che va in frantumi. C’è qualcosa di disorientante in tutto questo. La solidità della realtà sembra sciogliersi fra le nostre dita, in una regressione infinita di referenze.
Interrompo la scrittura di queste righe e guardo fuori dalla finestra. C’è ancora la neve. Qui in Canada la primavera arriva tardi. Nella mia stanza c’è un camino acceso. Devo alzarmi ad aggiungere un po’ di legna. Sto scrivendo sulla natura della realtà. Guardo nel fuoco e mi chiedo di quale realtà sto parlando. Questa neve? Questo fuoco incerto? Oppure la realtà di cui ho letto sui libri? Oppure solo del calore del camino che arriva sulla mia pelle, di guizzi senza nome di rosso aranciato, di quel bianco ceruleo del crepuscolo che si avvicina?
Per un attimo anche queste sensazioni si confondono. Chiudo gli occhi e vedo laghi luminosi di vividi colori che si aprono davanti a me come tende, dentro i quali mi sembra di sprofondare. È anche questa realtà? Ci sono danze di forme viola e arancio, io non ci sono più. Bevo un sorso di tè, ravvivo il fuoco, sorrido. Navighiamo in un mare incerto di colori e abbiamo a nostra disposizione buone mappe per orientarci. Ma fra le nostre mappe mentali e la realtà c’è la stessa distanza che fra le carte dei naviganti e la furia delle onde sulle rocce bianche delle scogliere dove volano i gabbiani.
Il fragile velo che è la nostra organizzazione mentale è poco più di uno strumento maldestro per navigare attraverso i misteri infiniti di questo caleidoscopio magico inondato di luce in cui stupiti ci troviamo a esistere, e che chiamiamo il nostro mondo.
Possiamo attraversarlo senza domande, fiduciosi nelle mappe che abbiamo, che in fondo ci fanno vivere abbastanza bene. Possiamo restare in silenzio, travolti dalla sua luce e dalla sua infinita bellezza che ci commuove. Possiamo con pazienza sederci a un tavolo, accendere una candela o un MacBook Air, andare nei laboratori, discutere con amici e nemici, ritirarci sull’Isola Sacra a calcolare e arrampicarci su una roccia all’alba. O possiamo bere un po’ di tè, ravvivare la fiamma del camino e ricominciare a scrivere, cercando insieme di capire qualche granello in più, riprendere quella carta dei naviganti e contribuire a migliorarne un tratto. Ancora una volta, ripensare la natura.