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Ondine e Julie a Vallauris 1952-1953

Ondine avrebbe conservato solo un vago ricordo del medico convocato dalla madre superiora del convento. Dopo averle diagnosticato una grave polmonite, senz’altro contratta durante la traversata atlantica, il dottore le ordinò il ricovero in un sanatorio di montagna. Debilitata dal lutto, la donna impiegò parecchio a riprendersi, e intanto i suoi risparmi se ne andavano in parcelle mediche e nella retta di Julie al collegio.

Quando i soldi finirono, le suore affidarono Julie a una coppia di contadini cui serviva «un piccolo aiuto in casa». Di fatto i due volevano una serva che, senza alcun compenso, si svegliasse all’alba, portasse il mangime alle galline, mungesse le mucche e spalasse il letame dalla porcilaia.

Il contadino aveva un pessimo carattere ed era incline agli scatti d’ira, soprattutto quando alzava il gomito. Nella sua vita passata Julie non aveva mai conosciuto uomini violenti, ma non impiegò molto a capire perché la moglie fosse tanto sollevata di avere qualcun altro a fare da capro espiatorio.

I raptus dell’uomo erano spaventosi. Nel giro di poco, appena lo vedeva prendere una bottiglia, Julie imparò a defilarsi e a restare immobile finché lui smaltiva la sbornia. Erano diversi i nascondigli dove la ragazza correva a rintanarsi: le balle di fieno nel soppalco del fienile, le assi del portico, il rifugio dietro la caldaia… Ma una notte lui la colse alla sprovvista, facendo irruzione nella stanza mentre dormiva. La trascinò giù dal letto, la mise a forza in ginocchio, si abbassò i pantaloni e la costrinse a prendergli il membro in bocca. Impietrita dal terrore, Julie poté solo aspettare che finisse. Poi, scossa dai conati, tornò a letto, si nascose sotto le coperte e, tremando, pregò Dio di farla morire. Ma il suo calvario era appena cominciato.

«Se lo racconti a qualcuno,» la minacciava l’uomo ogni volta «la prossima sarà peggio.»

Infine le condizioni di Ondine cominciarono a migliorare e, appena saputo del trasferimento della figlia, si impose di alzarsi dal letto: le serviva un lavoro per riprendere Julie con sé. La madre superiora le trovò un impiego a Vallauris, una cittadina nota per le ceramiche non lontana da Cannes e Antibes. Avrebbe lavorato come cuoca per un anziano avvocato vedovo.

«Vedrai, ora si aggiusterà tutto» promise a Julie quando andò a prenderla. Si era sforzata di mostrarsi ottimista, ma dentro di sé tremava. Sua figlia era irriconoscibile: smagrita, con i capelli rasati e un pallore malaticcio in volto. Il cambiamento più impressionante, però, era nel carattere. Julie si era tramutata in una creaturina terrorizzata che si aggirava a testa a bassa, come se avesse paura di incrociare lo sguardo di qualcuno. Parlava solo se interpellata e, anche in quel caso, la sua voce era talmente tremula e incerta che, di riflesso, la sua stessa sottomissione suscitava reazioni brusche negli altri. Ondine cercò in ogni modo di capire cosa le fosse successo, ma la ragazza si rifiutò di parlare.

Almeno adesso Ondine poteva contare su un salario regolare, e per qualche tempo sembrò davvero che a Vallauris lei e la figlia avessero trovato un rifugio sicuro in cui riprendersi dai colpi del destino. Qualche mese dopo, però, l’anziana governante dell’avvocato comunicò una pessima notizia.

«Il vecchio zuccone ha deciso di risposarsi! La nuova mogliettina si porterà appresso la servitù da Bordeaux, perciò noi tutti verremo sbattuti fuori, con l’anticipo di un solo mese di stipendio. Dovrai trovarti una nuova sistemazione, Ondine.»

La governante aveva il gusto del pettegolezzo, e fu proprio tra le sue chiacchiere che Ondine sentì di nuovo il nome di Picasso. L’artista aveva lasciato traccia di sé nei luoghi più impensati. Nel 1946 era tornato ad Antibes e si era stabilito nello Château Grimaldi – il castello in rovina in cui era entrato con i ragazzi di strada, nell’ultimo giorno che aveva trascorso con lei –, ora ristrutturato e tramutato in museo.

Nell’immediato dopoguerra era dura procurarsi colori e tele, ma Picasso, indomito, aveva continuato a dipingere usando le vernici da barca e riempiendo di esuberanti murales le pareti del castello, a volte persino coprendo gli affreschi originali.

Poi, seguendo il suo impulso misterioso, era andato a cercare ispirazione altrove, ed era approdato proprio a Vallauris. Affascinato dalla tecnica della ceramica, si era cimentato a sua volta in creazioni fantasiose, rianimando da solo un’industria locale in declino e avviando una nuova fase di crescita.

Riferendo le imprese del celebre artista, la governante mostrò a Ondine le riviste che parlavano di lui, e lei si trovò a fissare una foto in particolare. Picasso vi appariva su una spiaggia e reggeva un ombrellone come un servitore per riparare dal sole una splendida donna che lo precedeva a testa alta. La donna si chiamava Françoise, e l’articolo diceva che aveva conosciuto Picasso a Parigi, durante la guerra, quando lei era studentessa alla Sorbona. Un’altra foto ritraeva i due figli della coppia.

Hanno entrambi gli occhi di Picasso, notò Ondine, leggendo l’articolo in cui si citavano anche gli altri eredi: il primogenito – avuto dalla moglie russa – e la bambina di Marie-Thérèse.

«In paese però gira voce che lui e Françoise siano già ai ferri corti» aggiunse la governante, con il tono di chi la sa lunga.

Ondine non poté trattenersi dal chiedere: «Sai dove abitano?».

«Non molto lontano da qui» rispose la donna. «La villa si chiama La Galloise.»