11

L’infermiera entrò subito dopo che Sam se ne fu andato e le fece un’iniezione. Elizabeth protestò, ma senza successo. Ebbe il sospetto che Sam avesse consigliato di darle un calmante.

Non voleva dormire, ma il farmaco vinse la sua resistenza. Quando si svegliò, chiamò l’ufficio delle infermiere e chiese l’ora. Erano le undici e un quarto. Di sicuro Sam aveva già convinto lo sceriffo a non trasferire Reece quel giorno. Che differenza poteva fare un giorno in più? Forse Sam era andato da Elkins e l’avvocato si era messo in contatto con un giudice perché rimandasse il trasferimento.

Cercò di concentrare la sua energia su Reece. Dov’era? Come stava? A che cosa stava pensando? All’improvviso, vide con chiarezza Reece che veniva portato fino al marciapiede. La folla stava premendo sempre di più, i giornalisti lanciavano domande, i fotografi riprendevano il prigioniero. Sam Dundee e Gary Elkins seguivano Reece e i vicesceriffi. Elizabeth scrutò fra la folla. Christina Stanton era vicino alla madre, Kenny e la moglie. Willard Moran stava da solo sul lato opposto del marciapiede. La bocca di una pistola brillò del riflesso del sole... una pistola puntata su Reece. Facendosi strada fra la folla, Elizabeth corse verso di lui. Vide la sua espressione stupita, poi sentì che la chiamava per nome.

La verità di quello che sarebbe accaduto la colpì con forza. Lei sola poteva salvare Reece. Solo lei poteva concentrarsi sull’assassino. Solo lei poteva leggere nella mente di una persona. Doveva andare alla prigione e fermare l’assassino prima che sparasse.

Si tolse l’ago dell’endovenosa dalla mano. Quando cercò di mettersi seduta, la testa cominciò a girarle. Piano, si disse. Non poteva svenire. Non adesso. Con comodo, scese dal letto e si alzò con l’aiuto delle sbarre del letto.

Abbassando lo sguardo sulla camicia dell’ospedale, si chiese dove avessero messo i suoi vestiti. Dannazione, dovevano essere insanguinati. Con passi esitanti, attraversò la stanza fino all’armadio. Sospirò di sollievo alla vista della sua borsa sul ripiano. Chinandosi, gemette di dolore per la fitta al fianco.

S’inginocchiò, aprì la borsa e ne tolse un paio di jeans puliti e un pesante maglione color pesca. Vicino alla borsa, c’erano le scarpe. Si vestì più in fretta possibile, ma ogni movimento provocava dolore. Prese anche la borsetta a tracolla.

Aprendo piano la porta, sbirciò nel corridoio. Non vide nessuno, neanche un’infermiera. Arrivò fino agli ascensori, premette il pulsante di chiamata e attese. Chissà se l’ospedale era molto distante dalla prigione? Se necessario, avrebbe preso un taxi.

Arrivata a pianoterra, si fermò al banco dell’accettazione e chiese informazioni sulla prigione. Non credette alla propria fortuna, quando la ragazza la informò che era solo a due isolati di distanza, proprio dietro il tribunale.

Quando uscì all’esterno, fu colpita dal freddo vento invernale. La ferita le doleva e le girava un po’ la testa per via del sedativo. Ma non gliene importò niente, ciò che le importava era Reece. A ogni passo, sapeva di essere un passo più vicina all’uomo che amava.

Poté sentire la folla diversi minuti prima di voltare l’angolo. La cattura di Reece Landry e la sua traduzione ad Arrendale doveva essere l’avvenimento dell’anno a Newell, Georgia. Il marciapiede che portava alla prigione era pieno di gente, tanta da non poter nemmeno vedere il marciapiede stesso.

Si fece strada a spintoni e aspettò vicino alla strada. Direttamente davanti a lei, c’erano Kenny e Tracy Stanton. Guardò a sinistra e a destra alla ricerca di Christina. Poi la vide, era davanti a Kenny. C’era tutta la famiglia, tranne Alice.

Kenny era il sospetto più probabile, solo Harry Gunn odiava Reece più di lui. Cercò di comunicare con Kenny, ma le fu impossibile. L’energia psichica che veniva dalla folla si mescolava e le impediva di localizzare esattamente un pensiero o un sentimento.

Se solo avesse potuto toccare Kenny, forse sarebbe stata in grado di separare la sua energia da quella degli altri. E se l’avesse vista, lui avrebbe capito che lo stava tenendo d’occhio e forse avrebbe rinunciato al suo gesto. Decise di avvicinarsi a lui.

Ansante per la lunga camminata, si fece strada fra i curiosi che aspettavano di vedere Reece. Christina si accorse di lei e sgranò gli occhi. Elizabeth scosse la testa. Christina annuì.

Lei si sistemò vicino a Kenny. Lui si girò e la fissò. Le tremarono le ginocchia e si afferrò al braccio di Kenny. Poté leggere i dubbi nella sua mente. Non era più sicuro che fosse stato il fratellastro a uccidere il padre.

«Non dovrebbe trovarsi qui, signorina Mallory» le disse severo.

Tracy girò la testa di scatto. «Che cosa ci fai qui?»

Elizabeth tentò di stare in piedi senza aiuto. «La prego, devo trovarlo. Non è lei.»

«Di che cosa sta parlando?» domandò Kenny.

«Non è lei l’assassino. Non è venuto qui per sparare a Reece.»

Il frastuono aumentò. Elizabeth spinse di lato Kenny e Tracy per vedere le porte d’ingresso della prigione che venivano spalancate. Il primo a uscire fu lo sceriffo, seguito da due aiutanti che portavano Reece. Sam Dundee e Gary Elkins erano poco distanti.

Lei chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi e di cogliere qualsiasi segnale che l’assassino avrebbe potuto emettere. Quella volta, non poteva correre davanti a Reece e prendersi il proiettile destinato a lui. Non aveva idea da che direzione sarebbe arrivato e Reece era circondato dalla folla.

Odio. Odio profondo e viscerale. Lo sentì con tale forza che per poco non si piegò in due per il dolore. E l’odio era diretto a Reece... perché era figlio illegittimo di B.K. Stanton. Perché l’esistenza di Reece aveva spezzato il cuore ad Alice Stanton. Reece non doveva vivere, non doveva rivendicare diritti su una fortuna che non gli apparteneva.

«Oh, mio Dio» mormorò con voce impercettibile. Lanciò un’occhiata al marciapiede. In prima fila, c’era Willard Moran, con un classico vestito blu, cappotto grigio scuro sbottonato e la mano in tasca. Lo sceriffo era solo a pochi centimetri di distanza e dietro di lui Reece e i vicesceriffi.

In quel momento, Reece la vide, vide il suo viso pallido, lesse la paura nei suoi occhi. Che cosa diavolo ci faceva Elizabeth fuori dell’ospedale? Si fermò e anche la sua scorta si adeguò rallentando.

Reece gridò a Sam: «Non avevi detto che Elizabeth sarebbe rimasta in ospedale qualche giorno? Che cosa ci fa qui?».

Lei incontrò lo sguardo di Sam, poi si voltò verso Willard Moran, sapendo che solo lei avrebbe potuto fermarlo. In tasca teneva una pistola e stava aspettando che Reece gli passasse accanto per ucciderlo.

Elizabeth si fece strada fra due giornalisti che lanciavano domande allo sceriffo e a Reece. Willard Moran salì sul marciapiede, fra lo sceriffo e i suoi aiutanti. Elizabeth corse in avanti, buttandosi contro Willard. La pistola fece fuoco, il proiettile volò in aria sopra le loro teste. Quando il corpo di Willard cadde a terra, la pistola gli sfuggì di mano e finì sul bordo del marciapiede.

Reece cercò di correre da Elizabeth, ma le catene alle caviglie rallentarono la sua andatura. Sbigottiti da quello che era appena accaduto, gli aiutanti dello sceriffo non capirono subito che il loro prigioniero si era allontanato. Lo afferrarono e lo riportarono indietro. Lui lottò, tentando disperatamente di raggiungere Elizabeth, chiamandola per nome.

Sam Dundee oltrepassò Reece, spintonando chiunque si trovasse sulla sua strada.

Willard Moran si tolse di dosso Elizabeth che rotolò sul marciapiede, il sangue che filtrava attraverso il maglione. Prima che Willard potesse rialzarsi, lo sceriffo lo afferrò. Sam si inginocchiò di fianco a Elizabeth e la sollevò fra le braccia.

Lei sentì Sam che la stringeva, udì Reece gridare il suo nome. Avrebbe voluto alzarsi, andare da lui a dirgli che stava bene, ma il suo corpo si rifiutava di obbedirle. Alzò la testa, tentando di mettersi seduta.

«Reece... Reece.» Riconobbe a fatica la propria voce. Un sussurro aspro.

«Reece sta bene» la rassicurò prontamente Sam. «Adesso, sta’ calma, dobbiamo riportarti in ospedale.»

I vicesceriffi cominciarono a ordinare agli astanti di allontanarsi dalla scena, disperdersi e lasciare che le autorità facessero il loro lavoro. I giornalisti correvano qua e là come api indaffarate, i fotografi scattavano a raffica, riprendendo la folla, lo sceriffo che metteva le manette a Willard Moran, gli uomini che trattenevano la folla, il viso angosciato di Reece Landry, Sam Dundee che teneva Elizabeth fra le braccia.

«Mandate via tutti» ordinò lo sceriffo spingendo Moran verso un suo vice. «Portatelo dentro e mettetelo in stato di fermo finché avremo la situazione sotto controllo.»

«Reece. Voglio vedere Reece» implorò Elizabeth a Sam.

Lo sceriffo fece segno agli uomini che tenevano Reece. «Portate qui Landry. Subito!»

Reece s’inginocchiò accanto a Elizabeth imprecando contro le manette che gli limitavano i movimenti. Non desiderava altro che toglierla dalle braccia di Sam, per poi tenerla stretta a sé.

«Elizabeth.» Le lacrime gli rigarono il viso. Non ricordava di avere mai pianto in pubblico, e nemmeno da solo. Non prima che Elizabeth Mallory entrasse nella sua vita.

«È stato Moran a uccidere tuo padre» disse Elizabeth.

Reece e Sam si scambiarono un’occhiata d’intesa. «E stava per uccidere anche me, vero?» Reece si sporse a baciare Elizabeth sulla fronte. «Hai rischiato la tua vita venendo qui. Hai rischiato la tua vita due volte per salvarmi.»

«Adesso sarai libero, Reece. Libero di vivere la vita che hai sempre desiderato» mormorò lei toccandogli la faccia con la punta delle dita.

«Dio, Lizzie. Oh, mio Dio!» Reece crollò, il corpo scosso dai singhiozzi, la testa appoggiata sul petto di Elizabeth.

Lei gli accarezzò i capelli. «Non dovrò più piangere per te, vero, Reece? Tu... ora puoi piangere... per te stesso.»

Reece alzò la testa e la vide chiudere gli occhi e abbassare la mano. «Lizzie!»

«Forza, Reece, alzati!» lo esortò Sam. «Togliti di mezzo, dobbiamo portarla in ospedale.»

I vicesceriffi fecero rialzare Reece, che restò a guardare, impotente, mentre Sam portava via Elizabeth in braccio.

«Riportate dentro Landry» ordinò lo sceriffo. «Pare che dovremo riaprire il caso Stanton.»

Elizabeth era seduta in poltrona vicino al letto d’ospedale che aveva occupato negli ultimi giorni. Aveva già fatto il bagaglio e indossava dei jeans, una camicia di seta blu e un gilet di pelle scamosciata marrone. Quel giorno, lei e Sam sarebbero tornati a Sequana Falls, ma prima di partire doveva vedere Reece.

Anche se Sam l’aveva tenuta al corrente degli avvenimenti seguiti all’arresto di Moran, rimpiangeva di non avere potuto essere al fianco di Reece durante tutto il doloroso processo e avere diviso con lui la gioia della scarcerazione.

Christina era passata il giorno prima a ringraziarla per l’aiuto dato a Reece e per dirle che nessuno della famiglia aveva mai sospettato che Willard Moran fosse capace di uccidere. Era stato il legale di B.K. Stanton per oltre trent’anni, un amico fidato che Chris e Kenny avevano sempre chiamato zio Willard.

Willard Moran aveva amato Alice Stanton con irragionevole devozione. Distruggendo B.K. e Reece, intendeva proteggere Alice da altre sofferenze e far sì che l’eredità dei suoi figli non andasse sprecata per il bastardo del marito. Alla fine, Willard era arrivato al punto di sacrificare se stesso per raggiungere il suo obiettivo.

Elizabeth sentì bussare alla porta. «Avanti.» Si voltò e vide Sam e Reece.

«Sei pronta per partire?» chiese Sam.

«Il dottore mi ha detto di non affaticarmi per qualche giorno e non fare niente che possa riaprire di nuovo la ferita.» Elizabeth sorrise a Sam, evitando volutamente di guardare Reece.

Sam indietreggiò nel corridoio. «Vado a prendere qualcosa da bere mentre voi due vi salutate. Torno fra poco, piccola.»

Reece rimase nel vano della porta a fissarla, serio in viso. «Stai molto meglio dell’ultima volta in cui ti ho visto.»

«Sì, mi sento meglio. Entra, Reece.»

Reece avanzò lentamente nella stanza guardandosi intorno. Fermandosi accanto alla poltrona di Elizabeth, si schiarì la gola.

Lei lo fissò, notando come sembrava diverso dall’uomo che era svenuto a casa sua meno di due settimane addietro. Si era fatto tagliare i capelli, ora ben pettinati e lucenti, e si era rasato. Portava dei pantaloni marrone scuro e una giacca di lana cammello con cravatta di seta a righe beige e corallo.

«Sei molto bello» gli disse. «Proprio un giovane uomo d’affari di successo.»

Reece si accovacciò sui fianchi. «Ti devo la mia vita e la mia libertà, Lizzie. Come potrò mai ricambiare?»

«Vivendo una vita onesta e felice.»

Reece afferrò il bracciolo della sua poltrona. Aveva voglia di toccarla, ma non riuscì a prenderle la mano. Non era sicuro di come avrebbe accolto la notizia che aveva deciso di restare a Newell a reclamare la sua parte di eredità.

«Sam mi ha detto che oggi ti accompagnerà a Sequana Falls.» Se solo avesse potuto chiederle di fermarsi con lui. Se solo avesse potuto dirle quello che lei voleva sentirsi dire. Se solo avesse potuto ripagarla per tutto quello che aveva fatto per lui...

«La mia vita è a Sequana Falls. Zia Margaret. MacDatho. La mia attività.» Elizabeth non riuscì a leggergli nel pensiero, ma capì che nonostante tutto quello che aveva passato e tutto quello che aveva imparato, lui non era pronto a rinunciare ai sogni di una vita e a ricominciare da capo con lei.

«Immagino che tu non pensi di restare ancora a Newell.» Ora poteva offrirle il mondo intero su un piatto d’argento. Ricchezza, potere, posizione sociale... tutte le cose che gli erano state negate per via della sua nascita illegittima, tutte le cose che da sempre sognava di avere.

Elizabeth s’impose di non piangere, aveva pianto anche troppo di recente. Gli appoggiò una mano sulla sua. «A Newell, non sarei felice. Non credo nemmeno che lo sarai tu, ma questo devi scoprirlo da solo.»

«Ah, Lizzie, tu sei molto importante per me.» Prendendole le mani, Reece l’aiutò ad alzarsi, poi la strinse a sé. «Non ho mai voluto bene a nessuno come a te. Non sai quanto ti sia grato per essere entrata nella mia vita al momento giusto.»

Lei gli appoggiò la testa sul petto. «Non voglio la tua gratitudine. Voglio il tuo amore.»

Reece s’irrigidì in tutto il corpo. «Io... ehm... non sono sicuro di saper amare, soprattutto una donna speciale come te.»

Cingendolo alla vita, Elizabeth lo abbracciò. «C’è un vecchio detto che zia Margaret cita spesso, secondo cui l’amore che impariamo a conoscere nella vita ci viene dall’amore che abbiamo conosciuto da bambini.»

Reece la baciò in cima alla testa, inalando la dolce fragranza di rose che gli avrebbe sempre ricordato Elizabeth. «Be’, un concetto ben sintetizzato. Non so come amare perché nessuno mi ha amato.»

«Non è vero.» Inclinando la faccia, lei lo guardò nei suoi occhi da lupo solitario che lo qualificavano tuttora come un animale non addomesticato. «Nonostante quello che tu pensi, tua madre ti amava. E lo sai anche tu.»

«Già, forse sì. A modo suo.»

«E adesso hai il mio amore. Io ti amo.»

Reece chiuse gli occhi per proteggersi dall’alone di amore che la circondava.

Dannazione, perché non riusciva a dirle che l’amava?

Che cosa glielo rendeva impossibile?

Non poteva cambiare il suo passato. Le circostanze della sua nascita, il rifiuto di B.K. Stanton, gli anni in cui lui e la madre avevano sofferto per le percosse del sadico patrigno. E per quanto desiderasse liberarsi da tutto quel dolore, quella rabbia e quell’odio, non era ancora pronto a dimenticare e perdonare. Aveva un’eredità su cui far valere i suoi diritti, un’azienda da dirigere, una sorella che voleva accanto a sé e un fratello con cui avrebbe dovuto fare i conti.

Se Elizabeth lo avesse accettato così com’era, segnato, amareggiato e avido di giustizia, allora avrebbe potuto offrirle tutto quello che il denaro poteva procurare. Un anello di fidanzamento grande come una nocciola, una villa come quella in cui viveva Alice Stanton.

«Grazie» disse lei.

«Di che cosa?»

«Di avermi lasciato entrare nei tuoi pensieri.» Le lacrime che Elizabeth aveva soffocato a fatica, le salirono agli occhi.

Lui non si era reso conto di averglielo permesso. «Resta con me, Lizzie. Sposami. Insegnami ad amare.»

«Hai ragione, sai. Non puoi cambiare il passato. Ma non sarai mai felice finché te ne sarai liberato.»

Reece l’afferrò alle spalle. «E come faccio? Come me ne libero quando è il passato che mi ha fatto come sono ora? Se me ne liberassi, non avrei un’identità.»

«Sarai sempre il figlio illegittimo di B.K. e Blanche. Sarai sempre un reietto per la famiglia Stanton, anche se potrai dirigere la Stanton Industries. L’unico modo di liberarti del tuo passato è di rappacificarti con esso, a cominciare dalla famiglia Stanton.»

«E che cosa mi consiglieresti di fare? Alice Stanton ha tutti i diritti di disprezzarmi» replicò lui abbassandole le mani lungo le braccia. «E Kenny mi odia.»

«Non è necessario che ti amino o che ti trovino simpatico. Devono a loro volta rappacificarsi con la loro vita.»

«Che cosa dovrei fare, Lizzie?» domandò lui di nuovo. «Dovrei andarmene e rinunciare a tutto? Hai idea di quanto abbia desiderato essere riconosciuto da B.K.? Sai come ho invidiato tutto quello che Kenny aveva?»

«Lo so, Reece. Ma sei sicuro, davvero sicuro, che quello che desideravi un tempo è quello che ora potrebbe farti felice?»

Reece la lasciò andare. «Non lo so. Non sono più sicuro di niente. Dammi un consiglio. Guarda nel mio futuro e dimmi che cosa vedi. I nostri futuri sono ancora intrecciati?»

Sì, Reece. Avrò il tuo bambino. Sarai sempre parte di me. «Sei tu a fare il tuo futuro. Resta a Newell, chiedi l’eredità, fa’ la pace con gli Stanton. E se scoprirai di non tenere veramente alla gestione della Stanton Industries, allora lascia il posto a tua sorella e vieni a vivere con me a Sequana Falls.»

«Vengo a vivere con...»

«Ti amo, Reece. E ti amerò per tutta la vita. Ho fatto il possibile per aiutarti, per salvarti da te stesso. Il resto tocca a te. Quando sarai venuto a patti con il tuo passato. Dopo, se deciderai di potermi amare, vieni da me. Io ti aspetterò.»

«Elizabeth?»

«Sei libero, Reece. Sei un uomo, non un bambino, e devi fare delle scelte. Nessuno può farle al posto tuo. Decidi che cosa vuoi dalla vita e a quanto sei disposto a rinunciare per ottenerlo.»

Ci furono dei colpi alla porta, poi Sam entrò e guardò prima l’uno poi l’altro.

«Se vogliamo essere a casa in tempo per la cena, sarà meglio partire» consigliò prendendo il bagaglio di Elizabeth. «O’Grady porterà zia Margaret e MacDatho a casa tua, così saranno là ad accoglierci.»

Elizabeth baciò Reece sulla guancia. «Prendi tutto il tempo necessario per decidere. Noi... io sarò a Sequana Falls.»