L'appartamento ha cinque locali: tre camere da letto e un soggiorno che si prolunga nella sala da pranzo. La veranda si affaccia sulla baia di Faliro, per quanto almeno lo permettano le piante, enormi, e c'è un secondo soggiorno, con un tavolo, quattro poltrone in ferro battuto, due di legno con cuscini, e un divano a dondolo.

Nell'appartamento non c'è uno spazio adibito a studio, e questo rende a me e a Dimitriou tutto più facile. Facciamo un sopralluogo in ogni stanza, ma non troviamo nulla a parte il prevedibile: biancheria intima e indumenti, perlopiù estivi nelle camere da letto; deodoranti, creme e saponi in bagno. Il buffet a tre ante in sala da pranzo è pieno di servizi di porcellana, bicchieri di cristallo e posate d'argento.

Sono pronto a chiamare la governante per comunicarle che noi ce ne andiamo mentre lei deve rimanere ad attendere la Scientifica, quando sento la chiave girare nella porta d'ingresso. Mi chiedo se per caso Dimitriou abbia portato un fabbro per aprire, ma non faccio in tempo a rispondermi perché la porta si apre e sulla soglia compare un uomo, alto e magro, intorno ai quarant'anni, che si trascina dietro un trolley.

La governante, che ha sentito a sua volta girare la chiave nella porta, si precipita dalla cucina. Appena vede l'uomo gli si butta tra le braccia, lo stringe e scoppia in singhiozzi: "Cleante, Cleante, che cosa è successo... Mio Dio che cosa è successo!"

"Anna," mormora l'uomo e le accarezza i capelli teneramente. Dopo di che la allontana da sé con delicatezza e le chiede: "Chi sono i signori?"

"È la polizia," risponde Anna asciugandosi gli occhi.

"Molto piacere. Sono Cleante Chardakos," si presenta l'uomo tendendo la mano. Ha una spiccata pronuncia britannica.

"Commissario Kostas Charitos," dico a mia volta e gli stringo la mano. I miei aiutanti ritengono di essere coperti dalla mia presentazione e non prendono ulteriori iniziative.

"Signor Chardakos, sappiamo bene che il momento è difficile, ma ci sarebbe estremamente utile se potesse rispondere a qualche nostra domanda."

"Certo," risponde l'uomo mostrando disponibilità. Affida il trolley ad Anna e si dirige verso il soggiorno.

"Signor commissario, noi l'aspettiamo da basso," mi comunica Papadakis e fa cenno anche agli altri di allontanarsi.

Seguo il figlio di Chardakos e mi siedo al suo fianco sul divano.

"Signor Chardakos, sa se suo padre aveva qualcosa che lo preoccupava prima di venire in Grecia?"

"Oh, no!" risponde in inglese. Poi spiega, in greco: "Era un viaggio di routine, per una visita agli uffici greci. A volte veniva lui, a volte io. In ogni caso venivamo regolarmente ogni tre mesi."

"Sa se c'è qualcosa legato alla sua professione o alla sua vita privata che avrebbe potuto metterlo in pericolo di vita?"

"Oh, God! Tutta la nostra vita è dedicata all'azienda e alle nostre famiglie. Che cosa poteva metterlo in pericolo?"

"L'omicidio di suo padre potrebbe avere qualcosa a che fare con le due navi affondate nei mesi scorsi?" gli chiedo, perché è proprio lì che voglio andare a parare.

"Oh, no!" esclama di nuovo in inglese. "Assolutamente niente. In Thailand sono stati dei pirates..." Cerca la frase in greco e alla fine la trova: "Pirati. Volevano soldi. Non gliene abbiamo dati e hanno incendiato la nave." Fa spallucce. "Con l'incendio veniamo risarciti dall'assicurazione. Se gli avessimo dato i soldi, li avremmo persi e basta. Certo, sono morti tre marinai. Ma avrebbero potuto morire anche se la nave fosse affondata per il maltempo. È bad luck, sfortuna."

"E a Odessa?" gli chiedo.

"Lì sono stati i russi, perché la nave aveva un carico di armi per il governo ucraino."

Entrambe le risposte mi sembrano abbastanza convincenti. Non ho altre domande e mi alzo. "Questo è tutto per adesso, signor Chardakos. Come posso mettermi in contatto con lei se avessi qualcos'altro da chiederle?"

"Ourania Verlemi ha i miei telefoni e la mia email. Quando potrò portare mio padre a Londra per le esequie?" mi chiede.

"Il funerale avverrà a Londra?"

"Sì. La famiglia è lì, gli amici sono lì. Qui conosciamo pochissime persone."

"Terminata l'autopsia. Credo due giorni al massimo."

Lo saluto dandogli di nuovo la mano, perché non voglio passare per uno sbirro cafone, e mi ritiro.

"Ci sono novità, signor commissario?" mi chiede Dermitzakis quando entro nell'autopattuglia.

"Niente di particolare. Il tesoro si è rivelato ben poca cosa," rispondo.

L'autopattuglia parte, e io sto per crollare dalla stanchezza. Ma stringo i denti perché prima devo aggiornare Ghikas.

 

 

15

La conversazione con Ghikas è andata bene, come tutti gli incontri più recenti da quando abbiamo inaugurato la nostra tacita alleanza. Ha ascoltato in silenzio il mio rapporto e poi ha commentato:

"Ecco un altro omicidio che spunta dal nulla. Perché, da quanto capisco, non ha niente a che fare con la compagnia di navigazione. Quello che ti ha detto il figlio sugli incidenti alle loro navi mi sembra del tutto logico."

"Il primo omicidio, a dire il vero, non spunta dal nulla," replico.

"Questo vallo a dire al vicecomandante."

E mi riferisce la conversazione che ha avuto con lui, dopo la telefonata di Sterghiadis. Il vice ha insistito che il caso Lalopoulos è ormai definitivamente chiuso dopo la confessione dei due asiatici. Il fatto che fossero stati visti più volte scaricare pescherecci a Dilesi non l'ha per nulla impressionato. La sua argomentazione è stata che quella gente è sempre in cerca di un lavoro, prendono quello che capita. Dal momento che a Dilesi trovavano lavoro facilmente a scaricare pescherecci era ovvio che ci andassero spesso. Dato che non è emerso ufficialmente nessun contatto con Lalopoulos a Dilesi, la cosa più probabile è che si sia trattato di una coincidenza. Quindi non è affatto disposto a riaprire il caso, a meno che non emergano elementi molto chiari e definiti.

Decido anch'io, con l'assenso di Ghikas, di lasciar perdere e di non occuparmene più. Se domani emergesse qualcosa di interessante dalle indagini di Sterghiadis, allora sarà un problema del vicecomandante spiegare l'inspiegabile.

Ormai sono le otto passate e torno, finalmente, a casa. Quando sei esausto, l'ultima cosa che vorresti sentire, aprendo la porta, sono voci e risate in soggiorno. Perciò, nonostante sia molto felice di vedere mia figlia con Fanis e Mania con Uli, la mia prima reazione sarebbe quella di augurare a tutti la buonanotte e andarmene a letto. Ma non faccio neanche in tempo a dire "buonasera" che Caterina mi accoglie con un "Cosa ci regali?"

"Cosa devo regalarvi?" chiedo a mia volta, sorpreso.

"Cosa ci regali, cosa ci regali!" ripete Caterina ancora una volta, con Mania che le fa eco.

Mi guardo intorno, sperando che qualcuno mi spieghi, ma Adriana fa l'indifferente, mentre Uli resta serio, senza partecipare alla scenetta. Solo Fanis condivide l'euforia e si incarica anche di illuminarmi.

"Il vostro ministro ha accordato gli aumenti alle forze di sicurezza."

"Quando l'ha annunciato?" chiedo.

"Proprio adesso, al telegiornale," risponde Caterina.

Resto un istante immobile a guardarli, per sincerarmi che non mi stiano facendo uno scherzo. No, non è uno scherzo, e allora il mio umore cambia all'istante. Invece di andare a letto mi installo su una sedia libera, e proclamo ridendo: "Adriana, fammi subito un elenco delle cose che ci servono."

"Non ci serve niente, Kostas," mi risponde seria. "Solo un po' di soldi da parte. In Grecia il cappello del re serve un giorno per fare il signore e il giorno dopo per chiedere l'elemosina. E allora lasciali stare, i soldi, speriamo di non averne mai bisogno." Si volta verso Fanis e gliela butta là: "Tanto perché qualcuno qui presente impari una volta per tutte che gli aumenti arrivano sempre prima all'esercito e poi alle forze di sicurezza. Prima l'ordine e la sicurezza, e poi la salute," conclude e si mette a ridere.

"Dovevi darle ascolto," dice Caterina a Mania, "tu che hai lasciato la polizia per la libera professione."

"Niente fretta," interviene Fanis. "Arriveremo per secondi, ma arriveremo anche noi. Ho saputo da fonte sicura del ministero che gli aumenti ci sono anche per il settore ospedaliero."

"Lo spero! Così ci trasferiamo in un altro appartamento," dice Caterina. "Ho urgentemente bisogno di uno spazio per me."

"Ah, ci risiamo," borbotta Adriana.

Tutti, me compreso, si voltano a guardarla, stupiti. Non riusciamo a capire dove voglia andare a parare.

"È così che è iniziata l'ultima catastrofe," ci spiega. "Prendevamo un aumento e subito volevamo trasferirci in una casa nuova ad Aghia Paraskevì. Con l'aumento successivo pensavamo di accendere un mutuo per comprarci la casa. Con il terzo abbiamo pensato al SUV e siamo affondati."

"Ma, insomma, mamma: non apri mai la bocca per dire una parola buona!" la rimbrotta Caterina, abbastanza irritata.

"Da dove arrivano tutti questi soldi?" chiede all'improvviso Uli che fino a quel momento si è limitato a seguire la conversazione senza dir nulla. Ormai parla benissimo in greco, a parte la pronuncia che continua a essere tedesca.

Mania lo guarda perplessa. "Cosa vuoi dire?" gli chiede.

"Da dove arrivano tutti questi soldi?" torna a chiedere Uli.

"Be', ma che domande fai? Stai tutto il giorno su internet, non leggi i giornali? Non vedi l'ondata di investimenti che si sta riversando in Grecia? Non senti gli europei che inneggiano al primo governo serio che è riuscito a realizzare il suo programma? Erano anni che cercavamo una base per lo sviluppo, e ora che l'abbiamo tu ancora ti chiedi da dove venga. Non riesci proprio a liberarti dall'eterna insoddisfazione tedesca, eh?"

"Persino le banche vengono ad aprire filiali da noi," interviene Fanis in appoggio a Mania. "Quando c'era la crisi se la davano a gambe. Ora ritornano."

"E da dove arrivano tutte queste banche?" riprende a chiedere Uli. "Le ho cercate ma non le ho trovate da nessuna parte, né in Europa né in America. Solo sulle isole Cayman. Tutte e due le nuove banche vengono dalle isole Cayman."

"E che ci importa?" ribatte Mania. "Se le banche delle isole Cayman vogliono venire in Grecia, che siano le benvenute! Basta che portino i soldi, di cui abbiamo bisogno come dell'aria."

Vede che Adriana si alza per andare in cucina a preparare, e la accompagna per darle una mano.

Insieme a loro si alza anche Caterina, ma prima si ferma davanti a Uli e gli chiede: "Pensi che sia denaro sporco?"

Uli alza le spalle. "Non lo so. So solo che nelle Isole Cayman c'è unicamente denaro sporco. Soldi puliti non se ne sono mai visti."

"E perché dovrebbero portare il denaro sporco da noi?" gli chiede Fanis. "Non trovano mercati più convenienti?"

Uli torna ad alzare le spalle. "Forse perché riescono a nasconderlo meglio con lo sviluppo; forse perché qui il riciclaggio costa meno."

Fanis lo guarda come se parlasse cinese. "Cosa vuol dire 'il riciclaggio costa meno'? Parla chiaro, che non ti capisco."

"Il riciclaggio può arrivare a costare il quaranta..." e si arena perché non gli viene la parola, "per cent," completa in inglese.

"Quaranta per cento," lo aiuta Fanis.

"Giusto: il quaranta per cento del capitale. Se da noi il costo scende al trenta, è naturale che vengano qui."

Bene, commento io tra me e me. Quindi è dalla differenza tra il quaranta e il trenta che arrivano anche i nostri aumenti. E un pensiero mi attraversa la mente mentre vado a tavola. Sta' a vedere che Lalopoulos tutte queste cose le sapeva già. Varrebbe la pena di indagare sui suoi eventuali rapporti con le isole Cayman, ma non è più affar mio. Per me il caso è definitivamente chiuso.

Adriana porta in tavola le pietanze e ci sediamo tutti. Nonostante la sua lagna costante ha deciso di servirci anche il vino, per festeggiare gli aumenti che sono, in fondo, come una specie di festa di compleanno.

 

 

16

Durante il tragitto verso l'ufficio cerco di mettere in relazione quanto ha detto ieri sera Uli con uno dei due delitti. Con il secondo, non c'entra niente. Se gli armatori hanno dei conti nelle banche delle Cayman li avranno nelle sedi centrali, non nelle filiali greche.

Non è escluso che Lalopoulos avesse conti bancari di questo genere, certo con un altro nome. Potrei farmi dare una mano da Spiridakis, della sezione Crimini finanziari, ma se lo venisse a sapere il vicecomandante mi direbbe che non sono affari miei, che non devo mettere il naso nel narcotraffico e mi taglierebbe subito le gambe.

D'altra parte, perché do tanta importanza a quello che mi ha detto Uli? Perché vive da anni in Grecia, ma continua a essere un tedesco pignolo. Quando afferma qualcosa, vuol dire che ha fatto le sue ricerche e ci ha pensato su. Non si inventa una storia verosimile per impressionarci. Se una cosa non la sa, non la dice.

Mi arrendo una volta di più, perché nel primo caso non arrivo a nulla, mentre nel secondo finisco contro un muro e rischio di spaccarmi la faccia.

Lascio la Seat in garage e salgo al bar per il solito caffè con la brioche. Le voci si sentono sin dal corridoio, ma è solo quando entro che mi rendo conto del livello di entusiasmo.

Sono tutti come impazziti: risate, grida, pacche sulle spalle. Gli aumenti hanno fatto decollare il corpo di polizia.

"Questo sì che è un governo," esclama entusiasta un agente in uniforme. "Tutti i precedenti, uno dopo l'altro, ci hanno solo tagliato gli stipendi. Questo è il primo che ci dà una possibilità. Finalmente!" Mi vede al banco e mi chiede: "Non dico bene, signor commissario?"

"Sì, hai assolutamente ragione," gli rispondo mentre nella testa mi ronza la domanda di Uli: ma da dove vengono tutti questi soldi?

"Con i salari dimezzati pretendevano che dessimo la caccia a gente che aveva le pezze al culo," dice un altro.

"Adesso basta," assicura il suo vicino. "Ora non ci sarà più nessuno a lamentarsi, perché non c'è ragione di non essere soddisfatti."

"Varvara, perché non ci offri da bere tu, visto che abbiamo preso gli aumenti?" chiede il primo agente, quello in uniforme, alla barista.

"Non ho capito," ribatte Varvara. "Voi prendete gli aumenti e io offro da bere? Questa non l'avevo mai sentita. E che cosa volete che vi offra? La tredicesima?"

Approfitto delle risate generali per prendere il caffè e la brioche e togliermi di mezzo.

Appena metto piede nel corridoio che porta al mio ufficio mi rendo conto che avrei dovuto "togliermi di mezzo" molto più radicalmente, perché ad attendermi trovo l'orda dei giornalisti.

Però, vedendo che ho il caffè e la brioche in mano, capiscono che sono arrivato proprio in quel momento e si fanno da parte per lasciarmi passare. Ma la ritirata è solo tattica, perché non ho neanche il tempo di entrare in ufficio che mi sono subito addosso.

"Ha qualche dichiarazione da fare per l'omicidio dell'armatore Stefanos Chardakos?" mi chiede Merikas, che ha preso il posto di Sotiropoulos.

Gli fornisco un quadro delle ricerche senza nascondergli nulla, anche perché non ho nulla da nascondere.

"Crede che i due disastri navali che ha subito la West Shipping qualche tempo fa possano essere ricollegati all'omicidio?" mi chiede quella bassina con i collant rosa.

"Finora non è emerso alcun elemento che conduca in questa direzione. Ma siamo ancora all'inizio delle indagini."

Segue un silenzio imbarazzato perché loro non hanno altro da chiedermi e io non ho altro da dirgli.

"Questo è tutto?" chiede quella secca in tono velenoso. "E io che pensavo che, dopo gli aumenti, sarebbe diventato un po' più generoso."

"L'aumento mica me lo ha dato lei," replico e le do del lei proprio per mantenere le distanze. "Perché dovrei essere più generoso? Ma, a parte questo, vi ho davvero detto tutto quanto è emerso finora."

"Eh, Arghirò, che facciamo? Vogliamo scrivere un articolo o ci divertiamo solo a sparar battutine?" le chiede il ragazzo con la T-shirt. "Se non c'è nient'altro, vuol dire che il commissario ci ha detto tutto." Poi, rivolgendosi a me, saluta con un "Grazie, commissario", e se ne va. Gli altri lo seguono. Per ultima esce quella secca, con l'aria irritata.

Sospirando di sollievo mi siedo alla scrivania, per gustarmi il caffè con la brioche. Ma si vede che è la mia giornata, perché non faccio in tempo a bere un sorso e a dare due morsi di brioche che si apre la porta e si presenta Sotiropoulos.

"Buongiorno!" saluta sorridendo.

"Be'? E che ci fai tu da queste parti? Perché non sei entrato con gli altri? Vuoi un trattamento di favore?"

Continua a sorridermi. "No, ma ormai sono in pensione. E dato che sono anche il più anziano, non sta bene che mi presenti con tutti gli altri come se gli facessi da istitutore."

Lo scruto con attenzione. Il Sotiropoulos che conosco io non è tipo da delicatezze. "Sei proprio cambiato o stai escogitando qualcosa?"

"No, non ho escogitato nulla. Le cose che penso tu abbia detto le so già. Ma sono io che voglio darti un'informazione."

"Che informazione?"

"Non hai sentito le notizie stamattina?"

"No."

"Tre compagnie di navigazione commerciale, tra cui la West Shipping di Chardakos, hanno annunciato ieri a Londra che trasferiranno le loro sedi al Pireo."

Il mio primo pensiero è che Sterghiadis è stato smentito, dato che gli armatori, alla fine, tornano in Grecia prima dei marmi del Partenone. A parte questo, non riesco a trovare nessun altro interesse nella notizia, ma se Sotiropoulos, che la sa molto lunga, viene a trovarmi apposta per parlarmene vuol dire che qualcosa che l'ha incuriosito c'è.

"E perché ti sembra interessante questa notizia?"

"Innanzi tutto per la decisione in sé. Il governo non ha cambiato nulla nella sua politica sulla marina mercantile e allora perché di punto in bianco hanno deciso di ritornare in patria?"

"Non hanno dato spiegazioni?"

"Hanno dichiarato che lo fanno per sostenere lo sforzo che il paese sta compiendo per rimettersi in carreggiata. Cazzate. Nessuna azienda è disposta a perderci per supportare il risanamento di un paese. E infatti non è proprio certo che quelle compagnie abbiano qualcosa da guadagnarci."

"Ma c'è qualcos'altro che ti dà da pensare?"

"Le coincidenze," risponde Sotiropoulos. "Prima due navi di Chardakos affondano per sabotaggio, poi anche lui viene ucciso: prima coincidenza. Poi, subito dopo l'uccisione di Chardakos tre compagnie di navigazione annunciano che si trasferiscono in Grecia: seconda coincidenza. C'è qualcosa che non mi torna. Per questo sono venuto a suggerirti di indagare."

"Indagherò," gli prometto. "Ti ringrazio e ti devo un aggiornamento."

"Non ce n'è bisogno. Tra di noi queste cose non servono. E poi non ti ho dato un'informazione riservata. Le cose che ti ho appena detto le ho già caricate sul mio blog. Ora che sono pensionato e non ho più ambizioni, non avremo alcun motivo per scontrarci," conclude ridendo e se ne va.

Resto solo con i miei pensieri. Bene: le coincidenze possono pur esserci, ma non devono avere necessariamente a che fare con l'omicidio di Chardakos. Almeno per quel che riguarda i sabotaggi alle navi, non abbiamo trovato nessun elemento e neanche un indizio che ci faccia pensare a un collegamento con l'omicidio.

Quanto alla seconda coincidenza, Sotiropoulos è un vecchio militante della sinistra. Per lui le aziende mirano solo al guadagno. Non gli passa neanche per la testa che possano fare qualcosa per puro patriottismo. E invece, anche le aziende potrebbero essere state contagiate dall'entusiasmo generale. In fondo, non si stanno trasferendo tutte le compagnie di navigazione, ma solo tre. E anche se, per caso, Sotiropoulos avesse ragione, non riesco comunque a capire che relazione potrebbe esserci tra l'omicidio di Chardakos e il trasferimento della sua azienda in Grecia.

La telefonata di Ananiadis mi distrae da questi pensieri. "Ho terminato l'autopsia di Chardakos. Come le avevo detto le ferite mortali sono due, entrambe inferte con un coltello. Una sotto la scapola sinistra, e ha colpito il cuore. L'altra gli ha tagliato la carotide. Sono quasi certo che la morte è stata praticamente istantanea e risale a un lasso di tempo compreso tra le dieci e mezzanotte. Il rapporto autoptico ufficiale glielo invierò dopo che l'avrà firmato Stavropoulos. Torna domani."

"La famiglia quando potrà riavere la salma? Me l'ha chiesto il figlio."

"Anche oggi."

Lo ringrazio e riattacco. Chiamo subito la Verlemi perché mi metta in contatto con Cleante Chardakos.

"Buongiorno, signor commissario."

"Buongiorno, signor Chardakos. Le telefono per dirle che può ritirare la salma di suo padre dall'obitorio. L'autopsia è terminata."

"Grazie di avermi informato," risponde, gentile.

"Signor Chardakos, ho sentito oggi che la West Shipping progetta di trasferire la sua sede in Grecia e volevo che me lo confermasse."

"Sì, ho deciso di venire in Grecia."

"Scusi se glielo chiedo: come mai questa decisione proprio adesso?"

"Sa, mio padre non voleva perché non si fidava dei governi greci. 'In Grecia non si sa mai che cosa può capitare,' mi diceva. Ora che la compagnia è passata a me e posso prendere le decisioni da solo, ho pensato che possiamo tornare."

"Ma farete il funerale di suo padre a Londra."

"That was his whish. Era il suo desiderio: essere seppellito a Londra. I have to respect it. Devo rispettarlo. Del resto una parte della famiglia, tra cui mia madre, resterà in Inghilterra e sarò io a venire in Grecia più spesso."

Riattacco con il sospetto che Sotiropoulos abbia scoperto complotti inesistenti. La spiegazione del figlio di Chardakos è del tutto soddisfacente. Il papà voleva mantenere la sede della compagnia a Londra. Ora che il papà è passato a miglior vita e il comando è passato al figlio, è lui che decide di trasferire tutto in Grecia. Sono certo che se mi mettessi in contatto con le altre due aziende ne riceverei spiegazioni forse diverse, ma egualmente persuasive.

Alla fine, però, mi convinco che mi servirebbe un secondo parere e mi rivolgo a Sterghiadis, che in questo periodo è diventato per me una specie di salvagente.

"Ti sei sbagliato," gli dico appena tira su il telefono. "Le compagnie navali tornano in Grecia prima dei marmi del Partenone."

"Mi chiedo che cosa gli abbiano promesso," replica. Gli riferisco quanto mi ha detto Cleante Chardakos. "Questa spiegazione può valere per Chardakos junior," commenta. "Ma insisto: devono avergli fatto qualche promessa. Perché non mi dirai che credi che a questi milionari si sia risvegliato il patriottismo tutto in una volta!" conclude e capisco che la pensa come Sotiropoulos. "D'accordo, le promesse fatte si trasformeranno in aria fritta, come spesso succede in Grecia, ma questo è un altro problema. Ti assicuro, però, che gli armatori non sono i greci della medio-piccola borghesia. Questa è gente che ha voluto garanzie per tornare."

"Hai interrogato i due asiatici?" gli chiedo anche per cambiare discorso.

"I tuoi li hanno trasferiti al giudice istruttore. Devo aspettare che legga il fascicolo e decida se è il caso che li interroghi anch'io o e se invece preferisce interrogarli lui stesso e poi informarmi. Ovviamente è tutta una perdita di tempo che ci costerà parecchio."

Riattacco e salgo al quinto per aggiornare Ghikas. È un po' che lo tengo all'oscuro degli sviluppi e se non provvedo subito comincerà a lagnarsi.

"Dopo gli aumenti mi aspetto di vedere solo facce allegre," mi fa. "La tua è seria e non mi piace per niente. Cosa c'è che non va?"

"Nulla, né di positivo né di negativo. Abbiamo molte informazioni che non portano da nessuna parte," gli rispondo e gli faccio un rapporto dettagliato.

Mi interrompe diverse volte con una serie di domande, ma alla fine arriva anche lui alla mia stessa conclusione. "Hai ragione. Anch'io non credo che tutto questo possa avere a che fare con l'omicidio di Chardakos. Dobbiamo cercare da qualche altra parte."

"Pensa che dovremmo informare il vicecomandante?" gli chiedo.

"Per dirgli cosa? Lui vuole la notizia sul piatto e noi non abbiamo da dargli neanche l'antipasto. Lascia che aspetti."

Proprio in quel momento squilla il telefono che conferma il detto "L'uomo propone, Dio dispone".

"Ma non c'è nulla di nuovo, signor vicecomandante," sento Ghikas che ribatte. "Non appena avremo qualcosa di nuovo la informeremo." Ma poco dopo aggiunge: "Come preferisce."

Riattacca ed è quasi fuori di sé: "Vuole a tutti i costi che lo aggiorniamo. Dai, andiamo e la finiamo con questa storia!"

Esce per primo dall'ufficio.

Va bene, andiamo, anche se l'ultima cosa che ha detto non vale, penso tra me e me: con il vicecomandante non la finiremo mai.

 

 

17

Stavolta non ci tocca una calda accoglienza. Il vicecomandante prima ci lascia in anticamera per quasi un'ora, poi ci riceve con una faccia lunga che tocca il pavimento. Giusto un buongiorno sforzato.

Non aspetta neanche che ci sediamo e attacca la predica all'impiedi: "Vi ho detto sin dal nostro primo incontro che voglio essere informato in tutte le fasi delle indagini. Vi ho detto anche che la porta è sempre aperta per voi. Quindi non capisco perché aspettiate sempre che vi convochi ufficialmente per aggiornarmi."

"Non l'abbiamo aggiornata, comandante, perché non abbiamo nulla su cui aggiornarla," risponde Ghikas in tono calmo, ma io che lo conosco vedo la pentola che bolle. "Siamo ancora agli inizi, e per il momento non sono emersi elementi, a parte alcune informazioni che probabilmente non c'entrano nulla con il delitto."

"Ma io ho forse detto che chiedo di essere aggiornato solo quando c'è un progresso nelle indagini?" replica in tono sorpreso il vicecomandante. "Ho detto che voglio un aggiornamento costante."

"Mi scuso per il malinteso," risponde a denti stretti Ghikas che mi fa cenno di cominciare.

Gli espongo tutto il fascicolo, senza tralasciare il minimo particolare: né la conversazione con Sotiropoulos né la telefonata con Sterghiadis.

"Sono d'accordo. Anche a me non pare che ci sia una relazione tra le due navi affondate e l'omicidio di Chardakos," commenta con più calma il vice dopo che ho finito. "Avete fatto bene a non procedere oltre. Siete per caso riusciti a individuare il numero dello sconosciuto che telefonava al centralino chiedendo di Chardakos?"

"Chiamava da un telefono pubblico, come c'era da aspettarsi," gli rispondo perché, nel frattempo, Koula ha fatto la ricerca.

"Bene. Ringrazio entrambi per l'aggiornamento, ma la prossima volta mi aspetto di vedervi senza bisogno di un invito personale," conclude senza risparmiarci un'ultima ramanzina.

Io e Ghikas ci scambiamo un'occhiata e capiamo che l'incontro è terminato. Siamo pronti ad andarcene quando squilla il telefono del vicecomandante.

Risponde: "Sì, è qui," e mi fa cenno di aspettare. Dopo di che mi allunga il ricevitore: "È per lei."

"Galanis, capo della stazione di polizia di Keratsini," mi dice una voce dopo che mi sono presentato. "Ieri sera c'è stata una rissa in un fast-food dalle parti di piazza Vlachernon, e due georgiani sono arrivati ai coltelli. Abbiamo mandato un'autopattuglia. Hanno cercato di scappare, ma li abbiamo presi. Nel sopralluogo che è seguito un testimone oculare ha detto che i georgiani minacciavano la gente con il coltello gridando: 'Volete finire come l'armatore?' La cosa ci è sembrata strana e ho ritenuto opportuno informarla."

"Ben fatto! Ora dove si trovano i fermati?"

"Li abbiamo in stazione."

"E il testimone oculare?"

"L'abbiamo rimandato a casa dopo averlo identificato."

"Allora fatemi il favore di mandarmi tutti in Centrale, compreso l'equipaggio della pattuglia che li ha arrestati, e se è possibile anche il testimone oculare. Vogliamo interrogarli al più presto."

"Non garantisco per il testimone, ma gli altri glieli mando immediatamente."

Riattacco e aggiorno il vicecomandante e Ghikas.

"Commissario Charitos, non so se è molto ben organizzato o se è semplicemente molto fortunato," commenta il vicecomandante con un sorriso.

"Cosa intende dire?"

"In tutti e due i casi, c'è stato qualcuno che ha fatto il lavoro per lei. Nel caso Lalopoulos la stazione di polizia di Aghios Pandeleimonas, in questo la stazione di Keratsini. Mi dica: è ottima organizzazione o semplice fortuna?"

Avrebbe voluto dire "culo", ma lo traduce in modo urbano. E la cosa mi fa arrabbiare.

"Direi che è la giusta sinergia tra le forze di sicurezza. I suoi predecessori hanno fatto un buon lavoro, signor vicecomandante," gli risponde Ghikas al posto mio. Quindi si alza e rivolto a me: "Cerchiamo di essere sul posto quando arrivano."

"Bella risposta," commento entrando in auto. "Secca e precisa."

"Mi ha rotto con il suo atteggiamento," commenta irritato Ghikas e continua: "Sai, lui è uno dei peggiori superiori che ti possano capitare. All'inizio se la giocano in sordina, toni bassi, ti dicono che vogliono imparare qualcosa da te, e dopo un po' ti saltano in groppa col frustino." Fa una pausa, e riprende ma cambiando tono: "Sto pensando di andare in pensione. In realtà mi mancano ancora diversi anni, ma posso compensarli. Sono stanco e non ha senso che continui a combattere con questa gente arrogante."

Non capisco se si è stancato o se ha ceduto le armi perché ha giocato tutte le sue carte e non gli è rimasto nulla in mano. In ogni caso, in questo momento mi interessano solo le conseguenze.

"Non lo faccia," gli dico. "Se lei se ne va, con questo vice che ci ritroviamo non so come finirà. Saranno guai per tutti."

Si volta e mi guarda sorridendo: "Alla fine, i nostri scontri e i nostri litigi a qualcosa sono serviti," mi fa. "Abbiamo imparato a lavorare insieme e a stimarci a vicenda." Si lascia andare a un profondo sospiro. "Non me ne vado. Lo dico solo quando mi va tutto storto," spiega. "Se me ne andassi, vivrei il resto della mia vita da pensionato con l'amarezza di sapere che un idiota è riuscito a mandarmi a casa."

Stavolta è il mio turno di tirare un sospiro profondo. Per il resto del tragitto rimaniamo in silenzio, non abbiamo nient'altro da dirci.

Ghikas si immerge nei suoi pensieri - forse pensa alla promozione mancata - mentre io mi dedico all'endoscopia della mia fortuna, volgarmente detta culo.

 

 

18

Arriviamo in viale Alexandras per primi e ci mettiamo in stand by, aspettando l'autopattuglia da Keratsini. Nel frattempo informo degli ultimi sviluppi i miei assistenti.

Per mia buona fortuna, nel frattempo mi chiama Dimitriou per dirmi che, secondo il tecnico, il sistema di allarme è stato manomesso da un esperto, dato che a prima vista non ci si accorge di nulla.

L'equipaggio dell'autopattuglia si presenta dopo un'ora. "Siamo in ritardo, signor commissario, ma cercavamo una seconda auto per portarle qua anche il testimone oculare," si giustifica uno dei due agenti.

"Dato che ci siete riusciti, vi perdono," gli rispondo con un sorriso e gli chiedo di raccontarmi della rissa.

"Cosa vuole che le dica, commissario," risponde il secondo agente. "Da quel che abbiamo capito, la rissa è scoppiata per un nonnulla. Ma non voglio annoiarla, le racconterà ogni cosa il testimone. Noi siamo arrivati quando i georgiani se la stavano dando a gambe e li abbiamo arrestati. Il resto l'abbiamo saputo chiedendo in giro."

"Questa storia dell'armatore, quando l'hanno raccontata?" gli chiedo.

"Noi non l'abbiamo sentita," mi risponde il primo agente. "Ce l'ha riferita il testimone."

"Avete trovato i coltelli?" chiede Papadakis.

"Sì, li avevano buttati in strada. Ve li abbiamo portati."

"D'accordo, ragazzi, ci siamo detti tutto. Non c'è altro. Accompagnateli," dico a Papadakis e a Vlasopoulos. "Uno porti il testimone a Koula e l'altro i due georgiani nella stanza degli interrogatori. E mandate i coltelli dal medico legale. Ananiadis deve dirci se sono compatibili con le ferite di Chardakos."

Prima di uscire, il terzo poliziotto si ferma e mi dice: "C'è una cosa, però, che non capisco, commissario."

"E sarebbe?"

"Se avevano i coltelli perché li hanno buttati via, quando avrebbero potuto usarli per farsi strada tra la folla?"

"Mah, si vede che hanno avuto paura, e non hanno pensato che a svignarsela," gli risponde il collega. "Avranno temuto di inguaiarsi anche peggio, se li avessimo pescati con il coltello."

"Quelli che hanno il coltello sanno anche come usarlo," osserva il primo, e rivolgendosi a me: "In fin dei conti, è compito suo capirci qualcosa, non mio," conclude e se ne va.

Penso che forse non ha tutti i torti. Prima minacciano di far fare la fine di Chardakos a chi li ostacola, poi buttano i coltelli e se la danno a gambe. Se questi georgiani non sono gli assassini dell'armatore, l'unica spiegazione è che qualcuno gli abbia raccontato dell'omicidio e loro abbiano cercato di bluffare.

Mi riservo di approfondire la questione in seguito. Ora voglio parlare con il testimone oculare. È un trentacinquenne con la testa rasata a zero. Non si accorge del mio ingresso, è attaccato al cellulare e scarica delle immagini. Solo quando sente Koula che annuncia "Possiamo cominciare", solleva la testa e la guarda.

"Come si chiama?" gli chiede Koula.

"Paschalis Felekidis, di Ghiorgos," le risponde e prosegue subito con una richiesta: "Avete il wi-fi, qui dentro?"

"No, siamo connessi solo via modem," gli risponde Koula.

"Vabbe'," risponde Felekidis conciliante.

Schiaccia dei pulsanti sul cellulare e lo posa sulla scrivania di Koula.

"Che cosa sta facendo?" gli chiede Koula.

"Registro la mia deposizione. Se domani vengo chiamato in tribunale, almeno so che cosa ho detto. Se avevate il wi-fi, facevo un forward direttamente sul mio computer."

"Non ce n'è bisogno," gli spiega Koula con pazienza immensa. "Le daremo da leggere la sua deposizione, lei la sottoscriverà e potrà riceverne una copia. La deposizione ufficiale è l'unica riconosciuta dal tribunale."

"D'accordo. Però una cosa è leggerla, un'altra è sentire me stesso che parlo!"

"Allora ci dica cosa è successo al fast-food e come siete arrivati alla rissa," gli chiedo io con calma, anche se ha cercato in tutti i modi di diventarmi antipatico.

"Erano quei due bastardi a far casino, perché dicevano che gli hamburger erano crudi. Io ci mangio da tanti anni e non mi è mai capitato di trovare hamburger crudi. Insomma, hanno chiesto che gliene portassero degli altri. Rita gli ha detto che non poteva riportare indietro degli hamburger già cominciati, visto che loro, nel frattempo, li stavano già masticando. Ci hanno provato, insomma, ma gli è andata buca. Allora hanno chiesto indietro i soldi. Ma Rita gli ha spiegato che non poteva restituirgli i soldi. Così quei tipi hanno cominciato a insultare, a prendere a calci il bancone e a buttar giù i vassoi con i rimasugli dei loro piatti. Allora alcuni di noi si sono alzati per sbatterli fuori dal locale e mangiare in pace. Ma i tipi hanno continuato anche fuori. Uno di noi gli ha detto di andare a far bordello a casa loro, perché questa è l'Europa, non il Caucaso con le bestie feroci. E a quel punto hanno tirato fuori i coltelli e quello alto e biondo ha cominciato a urlare: 'Volete fare la fine dell'armatore? È questo che volete?' Intanto dal negozio avevano avvertito la polizia e sono arrivati i vostri. Alla vista dell'autopattuglia i bastardi hanno buttato via i coltelli e hanno provato a scappare. Sotiris ha fatto lo sgambetto a uno e l'ha buttato per terra, mentre noialtri ci siamo lanciati sull'altro finché gli sbirri non li hanno ammanettati. Ecco, così sono andate le cose."

"Sei sicuro che hanno parlato di un armatore?"

"Eh, mica sono sordo. L'hanno urlato due volte."

"Qualcun altro l'ha sentito?"

"Ah, non lo so. Io però l'ho sentito con le mie orecchie e ci metto la firma anche doppia."

Lo ringrazio e lo lascio a Koula che gli legge la deposizione e gliela fa firmare, mentre io mi incammino verso la sala degli interrogatori.

Trovo i due georgiani insieme a Vlasopoulos che si guardano muti. Uno corrisponde alla descrizione che ne ha fatto Felekidis: alto e biondo. L'altro è castano, di altezza media, grassoccio. Entrambi devono avere più o meno trentacinque anni.

Anch'io mi aggrego alla silente compagnia, in attesa di Koula e del suo computer per raccogliere le loro deposizioni. Il contatto visivo dura circa un quarto d'ora. Prima di sedersi, Koula mi fa cenno con il capo: tutto bene con Felekidis.

"Come vi chiamate? Il vostro nome?" chiede Papadakis a entrambi.

"Samir Buchashvili."

"Simon Vachnatze."

"Siete andati a mangiare in questo posto e non vi sono piaciuti gli hamburger. C'era bisogno di fare tutto quel casino?" gli chiedo.

"Noi non volevamo far casino," risponde Samir." La carne non era cotta e abbiamo chiesto che ce ne portassero altra."

"E i coltelli che c'entravano?" gli chiede Vlasopoulos.

"Senti, amico..." interviene l'altro, ma Papadakis lo stronca subito:

"Non siamo amici," replica molto seriamente, tanto per togliergli la voglia di fare il grande. "Voi siete accusati di porto d'armi abusivo, minacce e lesioni personali, e noi siamo i poliziotti che vi stanno interrogando. Di amicizia non si parla proprio."

"Senti, commissario," riprende allora il tipo, dopo essersi corretto. "Non abbiamo troppi soldi per mangiare. Non è possibile che paghiamo per non mangiare."

Tutti e due parlano bene il greco. Si vede che sono qui da molti anni.

"E perché non avete chiamato la polizia ma avete tirato fuori i coltelli?"

"In Georgia avremmo chiamato la polizia," risponde Samir. "Qui se sei georgiano, albanese o ucraino e chiami la polizia, hai sempre torto."

"Che cosa volevate dire quando avete minacciato di fargli fare la stessa fine dell'armatore?" gli chiedo.

Si scambiano uno sguardo e Simon solleva le spalle. "Abbiamo sentito che hanno accoltellato un armatore e volevamo spaventare la gente."

"Che lavoro fate?" chiede Papadakis.

"Io lavoro all'ortomercato," risponde Samir.

"E io faccio il tassista," dice Simon. "Con la crisi, i soldi che tiro su mi bastano appena per l'affitto del taxi. E a me non resta niente."

"Avete qui la famiglia?" chiede Vlasopoulos.

"No, sono tutti in Georgia," rispondono all'unisono.

"Cosa c'entrate con l'omicidio dell'armatore?" gli chiedo.

"Niente," risponde Simon.

"Io ne ho sentito parlare all'ortomercato," aggiunge Samir.

"Ascoltatemi bene. Abbiamo trovato i coltelli. Se dovessimo accertare che sono compatibili con le ferite di Chardakos allora non avremo dubbi che sono l'arma del delitto. Tanto più che li avevate voi e con quelli in mano avete minacciato della gente che avrebbe fatto la stessa fine di Chardakos."

I due si guardano in silenzio.

"Andremo a mettere sottosopra casa vostra e troveremo altre cose," continua Papadakis.

"Non troverete nulla," risponde Samir.

"Anche se non troviamo nulla, ci basta che i coltelli siano compatibili con le ferite di Chardakos e che siano vostri," gli spiego. "Eravate voi a telefonargli per sapere se era tornato o no in Grecia?"

"Sì, eravamo noi," risponde Simon.

"E perché?"

"Sulla nave che si è incendiata in Thailandia c'era un nostro amico. Era in sala macchine ed è morto bruciato. La compagnia non l'aveva assicurato. Volevamo sapere quando avrebbero pagato, perché è un nostro amico e sua moglie e i suoi figli a Tbilisi muoiono di fame."

"E quando avete saputo che era arrivato siete andati a fargli visita," continua Papadakis.

"Volevamo solo chiedergli quando avrebbe dato i soldi alla moglie del nostro amico," risponde ancora una volta Simon.

"Ci ha risposto che la moglie del nostro amico doveva denunciare i pirati o la capitaneria di porto della Thailandia per avere dei soldi," continua Samir.

"E allora l'avete accoltellato," conclude Vlasopoulos.

"Prima gli abbiamo chiesto di firmarci un assegno," dice Simon. "Ma lui, invece di andare a sedersi alla scrivania ha cercato di scappare. È stato allora che l'abbiamo accoltellato."

"L'assicurazione gli ripagherà la nave come nuova, e con tutti quei soldi lui non vuole dare niente a una donna che è rimasta sola con due orfani," dice Samir.

Ci guardiamo. Ho paura che alla fine il vicecomandante abbia ragione con la storia che ho culo, e la cosa non mi piace affatto.

"Come si chiamava il vostro amico?" chiede Papadakis.

"Dimitri Kerashvili," risponde Samir.

"E sua moglie?"

"Anna."

"Mi resta solo un dubbio. Come avete aperto la porta?" gli chiedo.

"Ci ha aperto l'armatore," risponde Simon.

"È impossibile. Non vi avrebbe mai aperto. Non mi raccontate storie."

"Sì, è vero. La serratura era una di quelle facili e l'abbiamo aperta noi," replica Samir.

La serratura non era per niente facile, ce l'ha detto il tecnico, ma non voglio aprire un altro fronte. Non ho altro da chiedere e li spedisco in cella.

"E anche questa è andata," commenta Vlasopoulos, soddisfatto.

"Mettetevi d'accordo con Dimitriou e andate anche voi alla West Shipping con i due georgiani e con un esperto che vi faccia capire come sono riusciti a entrare e a mettere l'allarme fuori uso," spiego.

"Ma che ci importa? Hanno confessato."

"Sì, ma potrebbero avere un complice che ha messo fuori uso l'allarme, e loro non ce lo raccontano."

Vlasopoulos mi guarda imbarazzato perché non aveva considerato questa possibilità. Io però ho già altro a cui pensare.

Ho per le mani due omicidi, con i responsabili che hanno confessato, ma in entrambi i casi le confessioni si lasciano dietro molti dubbi, dico tra me e me mentre torno in ufficio.

Nel caso di Lalopoulos, i due colpevoli hanno confessato ma non è affatto chiaro che tipo di relazione avessero con la vittima: c'è di mezzo il traffico di stupefacenti, però il vicecomandante, soddisfatto dell'arresto, non ha voluto fare un passo avanti per trovare il bandolo della matassa.

Pure nel caso Chardakos le domande aperte sono ancora molte. Innanzi tutto, per quanto inetti siano i due georgiani, non è possibile che siano così coglioni da usare in una rissa le stesse armi con cui hanno ammazzato Chardakos, per poi abbandonarle e darsela a gambe dopo aver minacciato a tutti la stessa fine dell'armatore.

Persino un assassino dilettante sa che la prima cosa da far sparire è l'arma del delitto. E invece questi due non solo non hanno fatto sparire i loro coltelli, ma li hanno lasciati in giro perché li trovassimo. È come se ci avessero detto: "Ecco, questi sono i coltelli con cui abbiamo ammazzato Chardakos, e qua ci siamo noi. Venite a prenderci."

Ci resta da chiarire se erano in grado di mettere fuori uso il sistema d'allarme. Ma in realtà le domande senza risposta sono ancora davvero molte.

Di fronte a questa serie di ipotesi abbiamo tuttavia anche una certezza incrollabile. Sono pazzi sia il pakistano che l'afghano e anche i due georgiani a confessare omicidi che non hanno commesso? No, ovviamente. Perciò non c'è dubbio che i primi abbiano ammazzato Lalopoulos e i secondi Chardakos. La domanda è però che cosa si nasconde dietro questa specie di impazienza a confessare.

L'unica risposta che potrei dare è che entrambe le confessioni chiudono i rispettivi fascicoli e ci impediscono di indagare su altri moventi che, forse, qualcuno ha interesse a far rimanere nell'ombra. La domanda, allora, diventa: chi li induce a confessare in modo che i mandanti e i veri moventi restino nell'ombra?

 

 

19

Lo scapaccione ti serva di lezione. Stavolta sono deciso a non accennare i miei dubbi né al vicecomandante né a Ghikas. Non al vicecomandante perché mi direbbe "manda i responsabili dal giudice istruttore e non ci pensare più", e non a Ghikas perché lo metterei nei casini e non mi conviene, dato che abbiamo firmato un patto di mutuo soccorso.

L'esperienza mi dice che quando c'è qualcuno che rimesta nel torbido il movente, di solito, è economico, e questo a prima vista sembra confermato dal caso Lalopoulos, ma anche dall'omicidio di Chardakos.

L'unico che potrebbe chiarire l'aspetto economico delle questioni senza mettere di mezzo il vicecomandante è Spiridakis, della sezione Crimini finanziari. Abbiamo collaborato già parecchie volte in passato e non abbiamo avuto problemi di sorta.

Gli telefono e gli fornisco un quadro dettagliato dei due omicidi, insieme alle mie considerazioni. Finisco e segue una pausa di silenzio. Dopodiché, Spiridakis replica con una certa esitazione:

"Per fare quel che mi chiede, cioè indagare sui conti correnti, devo avere l'autorizzazione del giudice istruttore, signor commissario. In particolare nel secondo caso, perché si tratta di una grossa compagnia di navigazione. Se ne accennassi con il direttore, non vorrebbe neanche sentirne parlare senza un mandato. Se procedessi da solo, diciamo così, in modo informale, non rischierei solo il licenziamento ma addirittura una denuncia. Capisce che non posso proprio muovermi senza un mandato."

Gli dico che lo capisco e riattacco con uno strano senso di soddisfazione, perché il vicecomandante è stato smentito. Alla fine non ho poi tutto questo culo, come lui sostiene, ma al contrario sono un coglione che il culo se lo gioca senza una ragione al mondo. Ghikas e Spiridakis sanno proteggersi, mentre io mi tuffo in profondità senza maschera né pinne.

Certo, potrei anche controbattere a me stesso che neanche Ghikas, che sa come proteggersi, ha fatto questa gran carriera. Vabbe', sarà stato bocciato agli esami di maturità. Ma io sono ancora in terza elementare.

A questo punto sto quasi per chiudere e tornarmene a casa, quando si presenta Dimitriou con un quarantenne che indossa una tuta da lavoro.

"Potevo spiegarle tutto io, signor commissario, ma ho preferito che sentisse di prima mano," mi dice presentandomi il tipo in tuta. "Lui è Periklis, il tecnico che ha osservato i due georgiani mentre gli facevamo provare a forzare l'allarme."

"Racconta," gli dico cercando di risvegliare il mio interesse, ma anche con la consolazione che, almeno, in questo modo avrò un rapporto più completo.

"Cosa vuole, l'hanno aperta, ma non a colpo sicuro," mi risponde Periklis. "Quando gli ho detto: 'Ma insomma, possibile che non vi ricordiate come avete fatto ad aprire la porta?', mi hanno risposto che non sono professionisti e che avevano bisogno di tempo per ricordarselo."

"E tu che ne pensi?" gli chiedo.

"Penso che qualcuno li abbia istruiti. Erano lì davanti, ma secondo me qualcuno ha forzato il codice per loro e poi gli ha spiegato come comportarsi nel caso ci fosse stata una ricostruzione. Non credo abbiano agito da soli, perché per aprirla ci voleva un esperto mentre questi due non ne capiscono niente o quasi."

Lo ringrazio e se ne va insieme a Dimitriou. A ogni passo mi confermo nella mia impressione iniziale, ossia che, in entrambi i casi, ci sia qualcuno dietro le quinte che muove le marionette. Gli assassini sono solo i pedoni in prima fila, ma c'è qualcun altro che si nasconde dietro di loro. Non mi interessa, dico tra me e me. Se il capo vuole chiudere i due casi senza pensarci più, sono fatti suoi.

Mentre sono in macchina, però, mi viene un'idea che mi fa cambiare strada. Invece di andare a casa mi dirigo verso l'ufficio di mia figlia, dove trovo il celebre terzetto: Caterina con un cliente, Mania e Uli davanti al computer che guardano qualcosa.

"Come mai da queste parti? Ultimamente è passato molto di rado," mi accoglie, contenta, Mania. "Si vede che gli aumenti hanno anche aumentato la sua devozione al lavoro e ora fa un sacco di straordinari gratis."

"In effetti, negli ultimi tempi ho proprio la sensazione di lavorare gratis, ed è per questo che sono venuto a chiedere la collaborazione di Uli."

"Uli? E in che cosa può aiutarla, Uli?"

Non le rispondo, mi rivolgo direttamente a lui. "Uli, potresti cercare in rete se trovi qualcosa che abbia a che fare con i casi di omicidio di cui mi sto occupando?"

Uli mi risponde con la domanda che mi aspettavo: "Che cosa le serve esattamente?"

"Non voglio nasconderti niente e ti dirò che non lo so. Mettiti solo a cercare, e se per caso vedi qualcosa che suscita il tuo interesse lo segni e me lo vieni a dire."

"E perché non lo fa fare a Koula?" mi chiede Mania, che quando insiste sa essere abbastanza molesta.

"Perché ho dei sospetti, ma non posso ancora renderli oggetto di un'indagine ufficiale. Prima voglio accertarmi che abbiano una base, e dopo mi muoverò di conseguenza."

Per fortuna non devo spiegare altro, dall'ingresso provengono delle voci, e subito dopo compare mia figlia.

"Che sorpresa!" esclama baciandomi sulla guancia.

"È venuto a chiedere la collaborazione di Uli," spiega Mania.

"Di Uli?" Stavolta è il turno di Caterina di stupirsi.

Ricomincio a spiegare per la seconda volta e finalmente posso ritornare da Uli. "Un'idea potrebbe essere quella di cercare un po' nei conti di Lalopoulos. Mi interesserebbe anche capire come sono arrivati in Grecia i soldi delle isole Cayman. Ma non metterti nei guai," lo avverto, anche per stare con la coscienza tranquilla.

"La prima cosa che mi chiede è facile. La seconda meno," mi risponde.

"E perché?"

"Perché le banche sono imprese, signor commissario. Aprono una filiale in Grecia perché qui hanno dei clienti che fanno affari con loro. Dobbiamo scoprire con chi fanno affari in Grecia le banche delle isole Cayman."

"L'altra sera ti chiedevi da dove vengono i soldi," gli ricordo.

"È colpa del greco. In realtà chiedevo chi porta i soldi in Grecia dalle isole Cayman. Perché le banche europee non c'entrano. Non le sembra strano?"

"Specialmente ora che gli europei gongolano perché a loro dire il programma di rientro del debito ha avuto successo e la Grecia è tornata nella fase di sviluppo," aggiunge Caterina. "Si autoincensano anche con gli americani: 'Avete visto che avevamo ragione?'"

"Insomma, gli europei urlano ai quattro venti che avevano ragione, ma le banche europee non si muovono," insiste Uli.

"Ci capisci qualcosa?" gli chiedo.?"Stia tranquillo, è uno che la sa lunga, signor Charitos," interviene Mania. "Non sta attaccato a internet e basta. Conosce benissimo anche tutti gli stranieri che lavorano ad Atene."

"Dai, papà, andiamo a casa che la mamma ha preparato i ghemistà."

L'idea mi piace, perché sono mesi che Adriana non li prepara.

"Voi non venite?" chiedo a Mania, accorgendomi che non si alzano dalle loro postazioni.

"No, siamo davvero iellati," mi risponde Mania ridendo. "Uli stamattina è uscito con certi suoi amici svizzeri e stasera mangiamo insieme."

Entriamo nella Seat perché Caterina non ha la macchina e circola con i mezzi pubblici, tranne quando deve andare in tribunale, nel qual caso prende quella di Fanis.

"Com'è che tua madre si è decisa a preparare pomodori e peperoni ripieni?" le chiedo.

"Ma lo sai," replica ridendo. "Avrà fatto finta di niente quando hai preso l'aumento, ma è strafelice! E ha deciso di festeggiare, in chiave austera, è ovvio, senza rulli di tamburi."

Caterina ha ragione e lo riconosco quando trovo in soggiorno Fanis e Zisis che chiacchierano. Ormai non c'è più festa senza Zisis.

"Dove sono Mania e Uli?" chiede Adriana che è uscita dalla cucina per darci il benvenuto.

"Povero Uli: stavolta gli è andata male," spiega Caterina. "E dire che va matto per i ghemistà."

"Gli sta bene. La prossima volta, prima di andar fuori a cena con gli amici, deve chiedere il permesso a te," commenta ridendo Fanis.

"Cosa si festeggia oggi?" chiedo a Adriana.

"Perché, dobbiamo per forza festeggiare qualcosa per mangiare i ghemistà? Ho trovato dei bei pomodori al mercato e ho pensato di farli ripieni. E questo è tutto."

Caterina mi lancia uno sguardo e ridacchia di nascosto, ma Adriana ovviamente se ne accorge, a lei non sfugge mai niente.

"E tu, perché stai sempre lì a complottare con tuo padre?" le chiede severa. "Mi sono stufata di tutte queste risatine, di queste occhiatine."

"Non complotto niente," replica Caterina con il suo bel sorriso. "Semplicemente, sono contenta di mangiare ghemistà stasera. E guardo papà perché so che anche lui è contento."

"Ah, figurati! Credi di farmela, eh?" commenta Adriana. "Tu non lo sai, ma quando dovevi ancora venire al mondo, io ne sapevo di cose!" E se ne va in cucina.

Caterina si sbellica dalle risate. "È da quando sono piccola che sento sempre la stessa storia," spiega a Fanis. "Ogni volta che cercavo di sgattaiolare via lei mi bloccava con il suo 'quando tu dovevi ancora venire al mondo, io ne sapevo di cose!'"

"E che ne sai?" replica Fanis. "Magari stavolta festeggiamo in anticipo."

"E questo che vuol dire?" chiedo.

"Dicono che il prossimo anno ripristineranno anche la tredicesima, e persino la quattordicesima nel pubblico impiego," mi spiega. "Quindi possiamo festeggiare anche capodanno in anticipo!"

"E tu, Lambros, hai sentito niente sulle pensioni?"

"Quelle aspettano. Hanno detto che prima vogliono dare stimoli agli investimenti in modo che ci siano sviluppo e posti di lavoro, e poi si occuperanno delle pensioni. Non che ci muoia dietro," risponde Zisis. "Al centro di accoglienza ho sempre da mangiare e da dormire. Casa mia l'ho affittata a certi greci che venivano dal Mar Nero. L'affitto insieme alle briciole della pensione mi basta."

"Ma senti un po', Lambros, tu che sai tutto. Non è che magari hai idea da dove vengano tutti questi soldi?" gli chiedo tra il serio e il faceto.

"Ma come? Tu sei cristiano. Non dovresti farmi di queste domande," mi risponde seriamente.

"E perché?"

"Perché le Sacre scritture e il Vangelo dicono sempre che non c'è bisogno di sapere. 'Credi e non farti domande' che significa secondo te? Credi che prenderai i soldi, ma non domandarti da dove vengano. 'Dacci oggi il nostro pane quotidiano': Signore, tu dammelo e io non ti chiedo dove lo prendi. Però, siccome io a tutte queste cose non ci credo, ti rispondo che anche noi che volevamo far vivere meglio le persone non sapevamo dove avremmo trovato i soldi. Ma il nostro sistema è andato a fondo. Tu, però, puoi dire 'Grazie a Dio!' senza chiederti altro."

La conversazione si interrompe, fa il suo ingresso Adriana con i ghemistà e tutti andiamo a sederci.

"In cucina ho lasciato dei pomodori e dei peperoni anche per Mania e Uli," annuncia Adriana a Caterina. "Se domattina vai in ufficio tardi, mettili in frigorifero. E il contenitore riportamelo pulito. Non è che offro e poi devo anche lavare i piatti!"

Caterina si avvicina alla madre e la dà un bacio sulla guancia. "Va bene, va bene," commenta Adriana e poi si rivolge a Fanis: "È sempre stata così sin da piccola. Prima faceva il danno e poi le smancerie!"

Ma nessuno le dà retta perché siamo tutti in fila con il piatto in mano.

 

 

20

Non passo neanche dal bar della Centrale, perché arrivo in ufficio con un'idea in testa. Chiamo subito Vlasopoulos e Dermitzakis.

"Avete trovato niente sui georgiani?" chiedo. Si guardano imbarazzati e tacciono. Allora gli spiego quel che è evidente. "Il fatto che abbiano confessato non significa che non possiamo continuare a indagare per completare il quadro. Il tecnico è sicuro che qualcuno abbia messo fuori uso il sistema d'allarme per farli entrare nell'ufficio di Chardakos, e poi gli abbia insegnato come si fa; quindi è quasi certo che avevano un complice con cui devono essere entrati in contatto."

Vlasopoulos telefona subito alla prigione. "Non hanno trovato cellullari tra i loro effetti personali," mi comunica dopo una breve conversazione. "Magari qualcosa potrebbe essere rimasto alla stazione di polizia di Keratsini."

Stavolta è il turno di Dermitzakis di telefonare. "No, niente cellulari neanche a Keratsini."

"Stamattina, quando sono uscito di casa, girando l'angolo mi sono imbattuto in una mendicante straniera. Davanti a sé aveva una ciotola per raccogliere le elemosine e parlava al cellulare. Insomma, secondo voi una mendicante ha un cellulare e non ce l'hanno questi due?" gli chiedo. Dato che non mi rispondono, continuo: "Dove abitavano questi georgiani?"

"Da qualche parte a Keratsini," mi risponde Vlasopoulos, tenendosi sul vago.

"Procuratevi l'indirizzo preciso e andiamo a perquisire la casa. E informate Dimitriou."

Se non dovessimo trovare i cellulari neanche a casa loro, allora saremmo davanti a qualcosa di inaudito: due assassini che si tengono le armi del delitto ma fanno sparire i propri cellulari. C'è qualcosa che proprio non va in tutto ciò, e sarà meglio che mi sbrighi a capire cosa, prima che il vicecomandante trasformi il culo in doccia fredda.

I georgiani abitano insieme in via Ydras, che è una piccola trasversale della Grigoriou Lambraki. Parto con il trio dei miei aiutanti al completo. Vlasopoulos si immette su viale Athinon a sirene spiegate per non perder tempo, e da lì entra a Schisto. Viale Skaramangà è pieno di camion, ma la corsia di sinistra è libera e arriviamo rapidamente in viale Lambraki. Via Ydras è proprio all'inizio.

I georgiani abitano al pianterreno di una palazzina di quattro piani che si sono aggiunti man mano, sopraelevando un edificio che all'inizio di piani ne aveva solo due.

Il loro appartamento ha due stanze con un disimpegno, oltre a cucina e bagno. A prima vista ci sono pochissimi mobili. In tutte e due le stanze c'è un letto. L'armadio a muro si trova nella stanza di destra, mentre quella di sinistra si arrangia con un guardaroba di plastica. Evidentemente, una delle due stanze era in origine un soggiorno trasformato poi in camera da letto. In cucina ci sono due fornelli a gas, quattro piatti, quattro posate e un tavolo da campeggio con due sedie pieghevoli. Sul tavolo c'è un monitor di computer che, probabilmente, fa le veci del televisore.

"Non ci vorrà più di mezz'ora per ispezionarlo da cima a fondo," conclude Dermitzakis.

Ha ragione, e per questo tengo con me Papadakis mentre spedisco gli altri a pescare qualcosa nelle acque torbide del quartiere, sperando almeno che prendano qualche sgombretto, perché di branzini non se ne vede l'ombra.

Io mi occupo di una camera e affido a Papadakis l'altra. Nell'armadio, pochissimi capi di vestiario e pochi indumenti intimi. Apro una valigia di fianco al letto, ma anche là dentro non trovo niente di notevole. Per ultimo tiro via lenzuola e coperte e ribalto i materassi, ma il risultato non cambia. Non trovo né cellulari né altro che potrebbe esserci d'aiuto.

"Signor commissario, venga un attimo." È la voce di Papadakis che mi chiama dall'altra stanza.

"Hai trovato i cellulari?" gli chiedo affacciandomi alla porta.

"No, non ho trovato i cellulari ma ho trovato questo," e mi mostra la terza pagina di un giornale. Al centro, la foto della nave della West Shipping che è affondata a Odessa. Di fianco le foto di Stefanos Chardakos e di suo figlio Cleante.

"La cosa più probabile è che abbiano preso il giornale per vedere la foto di Chardakos e poterlo riconoscere," ragiona Papadakis.

"Può essere, ma non è certo. Prima di tutto dobbiamo capire se sanno leggere il greco. E se non sanno leggerlo, perché dovrebbero comprare il giornale?" Vado alla prima pagina. Verso il fondo c'è un breve trafiletto sulla nave di Chardakos che rimanda all'articolo in terza. "Anche ipotizzando che abbiamo visto il richiamo sulla prima pagina del giornale, non avrebbero potuto leggere l'articolo all'edicola, perché i giornali non te li lasciano sfogliare e l'interno non si vede."

Chiamo Vlasopoulos al cellulare e gli chiedo di domandare in giro, specialmente nelle edicole, se i due georgiani compravano i giornali.

"Ma perché avrebbero dovuto comprare i giornali?" si chiede Papadakis. "Bastava sentire il telegiornale. Di sicuro in televisione hanno parlato delle navi."

"Innanzi tutto lavoravano tutti e due, quindi non è affatto certo che avessero il tempo di guardare il notiziario. In secondo luogo, con le foto dei giornali potevano distinguere con sicurezza Stefanos da Cleante. Al telegiornale questo poteva sfuggirgli."

Suona il campanello ed è Dimitriou. Appena entra pone la sua domanda standard: "Che cosa cerchiamo?"

"Ufficialmente qualsiasi cosa. In sostanza, solo impronte digitali. Tutto il resto l'abbiamo cercato noi e non abbiamo trovato nulla."

Dimitriou dà un'occhiata in giro. "È un gioco da ragazzi. In capo a un paio d'ore abbiamo finito," commenta.

Restiamo lì a guardarli, Papadakis e io, perché non abbiamo niente di meglio da fare finché non tornano Vlasopoulos e Dermitzakis.

"Nel quartiere non li conosceva nessuno," annuncia Dermitzakis. "Comunque, sembrava gente tranquilla. Non hanno mai litigato con nessuno, ma neppure hanno fatto amicizia. Anzi, qualcuno ci ha perfino detto che non riusciva a credere che, di punto in bianco, avessero tirato fuori i coltelli."

"Qualcuno vi ha detto per caso di averli visti parlare al cellulare?"

"L'edicolante," mi risponde Vlasopoulos. "Ha visto il tassista parlare al cellulare."

E questo ci assicura che dei due, almeno il tassista aveva il cellulare e ha provveduto a farlo sparire.

"E leggevano i giornali?" chiede Papadakis.

"No. L'edicolante è stato categorico," risponde Dermitzakis. "Di solito acquistavano sigarette, ma niente giornali. Neanche quelli sportivi."

Se non altro, ci siamo chiariti meglio il quadro. Iniziamo dalle cose semplici. È chiaro che il giornale gliel'hanno portato apposta in modo che, dalla foto, riconoscessero senza ombra di dubbio Chardakos. Quindi chi gli ha portato il giornale era greco, o quantomeno conosceva il greco.

La questione dei cellulari è più complicata. L'unica ragione che avrebbero avuto per farli sparire sarebbe di impedirci di ricostruire le chiamate che hanno fatto e ricevuto, per non permetterci di scoprire con chi hanno parlato e rischiare così di farci individuare i loro complici. Perché io, a questo punto, non ho più alcun dubbio che abbiano almeno un complice, indispensabile se non altro per farsi aprire la porta dell'ufficio di Chardakos. Il problema è che, senza il numero di telefono, ci sarà impossibile trovare il gestore, non essendo escluso, inoltre, che i telefoni fossero intestati ad altri.

Decido di tornare in sede e di interrogare un'altra volta i due georgiani. Non per la speranza di trovare chissà che cosa, ma solo perché non ho molto altro da fare.

Il ritorno ad Atene è abbastanza agevole, grazie anche al traffico in uscita verso il Pireo. Ci areniamo un poco sulla Athinon, ma arriviamo in viale Alexandras con maggior rapidità di quanto non ci aspettassimo.

Vado direttamente nella saletta degli interrogatori, mentre Dermitzakis informa la prigione di mandarci i due georgiani.

Si siedono di fronte a noi e ci guardano, seri e silenziosi.

"Dove sono i vostri cellulari?" gli chiede Dermitzakis. "Non li avevate quando vi hanno arrestato a Keratsini, e non li abbiamo trovati neanche a casa vostra. Che cosa ne avete fatto?"

"Io non ce l'ho il cellulare," risponde Samir, che è quello che lavora all'ortomercato. "Quello che guadagno non mi basta per un cellulare."

"Anch'io non ho il cellulare," lo spalleggia Simon.

"Ma smettila con questa storia!" gli dico. "L'edicolante vicino a casa tua ha detto che ti ha visto parlare al cellulare. Cosa ne hai fatto?"

"Non ho il cellulare," insiste il tassista. "Il taxi ha la radio che comunica con la centrale, il cellulare non mi serve. Perché dovrei pagare per una cosa che non mi serve? Magari una volta mi hanno visto che parlavo al cellulare di un collega."

"Lascia perdere," si arrabbia Vlasopoulos. "Avete fatto sparire i cellulari per non permetterci di controllare le chiamate e individuare i vostri complici."

I due si guardano perché non conoscono la parola. "Complici?" chiede Simon.

"Quelli che vi hanno aiutato a uccidere Chardakos."

"Ma se ve l'abbiamo detto," interviene Samir. "Da Chardakos siamo andati da soli a chiedergli i soldi per la moglie del nostro amico che è stato ucciso in Thailandia. Lui non ci ha dato niente e noi l'abbiamo ammazzato. Non c'era nessun altro con noi."

"Qualcuno c'era, e vi ha aiutato ad aprire la porta," gli dico. "Il tecnico ci ha detto che la serratura era molto difficile da aprire, roba da esperti. E ci ha anche detto che quando vi ha chiesto di aprirla davanti a lui non sapevate che pesci prendere. Il che significa che qualcuno vi ha fatto vedere come si fa, e poi voi, di fronte al tecnico, cercavate di ricordarvi che cosa vi aveva detto."

"L'abbiamo aperta da soli," insiste Samir. "Non è stato facile ricordarci come abbiamo fatto perché avevamo fretta. Alla fine, comunque, ci siamo riusciti anche davanti al tecnico. Abbiamo fatto tutto da soli."

So che non modificheranno la loro deposizione, per quanto possa insistere. Per questo cambio rotta e tiro fuori il giornale: "E questo giornale dove l'avete trovato?" gli chiedo.

"L'ho preso all'ortomercato, quando ho sentito che la nave si era incendiata, per avere notizie del mio amico," risponde subito Samir.

"Sai leggere il greco?" gli chiedo. "Leggi un po' qua."

"Ho chiesto a un collega dell'ortomercato di leggermi l'articolo."

"E come si chiamava il collega?"

"Ghiannis. Sul lavoro ci chiamiamo tutti solo per nome."

Figurarsi se uno può trovare un Ghiannis in un posto dove ce ne saranno quaranta. E anche se lo trovassimo, è impossibile che si ricordi un particolare così irrilevante nel casino che dev'esserci sempre all'ortomercato.

"Senti un po'. Dov'è la tua patente di guida?" chiede all'improvviso Papadakis a Samir. "Non l'avevi indosso e non l'abbiamo trovata a casa. Dove ce l'hai?"

"Nel taxi," risponde Simon.

"E il taxi dov'è?"

"Non so dov'è adesso. Siamo in due a guidarlo, e non so dove sia l'altro tassista e in che zona lavora."

"Va bene. Allora dammi il numero della macchina, così la troviamo, recuperiamo la tua patente e completiamo i dati del tuo fascicolo," insiste Papadakis.

Si segna il numero e poi mi dice: "Non abbiamo nient'altro da chiedergli. Rimandiamoli in cella e prepariamo le carte da inoltrare al giudice istruttore."

Capisco dal tono che ha qualcosa in mente, e rispedisco i georgiani in cella.

"A che ti serve la patente? È così importante?" gli chiede Dermitzakis dopo che i georgiani se ne sono andati.

"Non mi serviva la patente, ma il numero del taxi," spiega Papadakis. "Così possiamo risalire al proprietario e scoprire il numero del cellulare. Perché è certo che il proprietario comunicasse con Simon via cellulare."

"Bravo Papadakis," esclamo "Ottima idea."

Gli altri due non dicono nulla perché è noto che in Grecia il successo di uno intristisce irrimediabilmente tutti gli altri.

Ci vuole una mezz'ora per trovare, attraverso la polizia stradale, il proprietario del taxi. Ho lasciato a Papadakis il compito di procedere con questa ricerca, dato che è stata una sua idea. Poco dopo torna con il numero del cellulare. "Il proprietario del taxi mi ha detto che si parlavano tutti i giorni con Simon."

Do il numero a Koula per richiedere al gestore l'elenco completo delle chiamate. Spedisco gli altri due assistenti all'ortomercato per vedere di individuare anche il cellulare di Samir, e intanto salgo per fare rapporto a Ghikas.

"Disperavo di vederti," mi dice accogliendomi con un sorriso. "È tanto complicato un caso in cui i due responsabili hanno confessato e ci hanno consegnato anche le armi del delitto?"

Gli spiego la faccenda per filo e per segno, mostrandogli che cosa è rimasto in sospeso.

"Bene. Ora possiamo andare a rapporto dal vicecomandante, prima che ricominci a lagnarsi," mi fa, soddisfatto.

"Andiamo, ma non diciamogli ancora nulla dei cellulari, perché potrebbe tagliarci le gambe come ha fatto la volta scorsa, con il caso Lalopoulos," gli dico.

Ci pensa su. "Va bene. Allora lo informo per telefono. Gli dirò, senza entrare nei dettagli, che ci prepariamo a mandare i due responsabili dal giudice istruttore."

Me ne vado contento dall'ufficio di Ghikas, perché stavolta sono riuscito a prevenire il freno a mano del vicecomandante.

 

 

21

Un po' per la soddisfazione di aver prevenuto il vicecomandante, un po' perché da stamattina non ho ripreso fiato, mi premio andando dritto dall'ufficio di Ghikas al bar per un caffè. Al ritorno trovo Koula che mi aspetta nel mio ufficio.

"Legga qui," e mi allunga un foglio. "L'ho trovato adesso in rete."

Sono solo due righe. Non si tratta di una dichiarazione o di un commento, ma di una domanda: "Doveva morire Chardakos perché gli armatori greci capissero che devono tornare in Grecia?" La firma è uno pseudonimo: "Poseidon 16".

Mi domando che cosa significhi. Sta' a vedere che si dimostrano veri i sospetti di Sotiropoulos che sin dall'inizio vedeva una relazione tra l'omicidio di Chardakos e il ritorno delle compagnie navali. O si tratta solo di una voce buttata lì a caso, in quella grande cloaca che è la rete?

"Hai visto se c'è qualcos'altro in giro?" chiedo a Koula.

"Ho cercato, ma non ho trovato nulla che abbia a che fare con questa storia."

Si alza e va verso la porta, ma poi si ferma. "Mi rende molto felice avervi come testimoni al mio matrimonio," mi dice sorridendo.

"Quando prevedi le nozze?"

"In autunno."

"Allora auguri!"

Le restituisco il sorriso e Koula se ne va.

Bevo il caffè lentamente pensando quale può essere il modo migliore e più sicuro per indagare nella direzione suggerita da Sotiropoulos e da "Poseidon 16". Se chiamassi Sotiropoulos, lui sarebbe magari capace di dire in giro che la polizia cerca una relazione tra l'omicidio Chardakos e il ritorno delle compagnie di navigazione in Grecia, e io mi ritroverei istantaneamente nei pasticci. Anche se gli chiedessi di giurarmi di non pubblicare nulla, non sono affatto sicuro che la sua deformazione professionale giornalistica non gli farebbe commettere spergiuro. Lo stesso varrebbe nel caso in cui ricercassi un contatto con qualcuno del ministero della marina mercantile: se chiedessi una copertura a Ghikas è sicuro che non me la darebbe.

Dato che non trovo una soluzione, mi rifugio da chi in questo periodo è diventato il mio salvagente, e telefono a Sterghiadis della capitaneria di porto.

"Sai se ci sono altre compagnie di navigazione che hanno trasferito la loro sede in Grecia?" gli chiedo informandolo sull'appunto che Koula ha trovato in rete.

"Da quel che ne so ce n'è un'altra," mi dice. "Ma internet non è sempre affidabile. Secondo me c'è qualcuno che segue la vicenda e ha voluto fare il furbo. Niente di più."

"Alla fine sei riuscito a interrogare gli assassini di Lalopoulos?" gli chiedo.

"Non ce n'è stato bisogno," mi risponde. "È certo che erano loro stessi a scaricare la merce dal peschereccio. Nessuno li ha visti né dentro né intorno alla casa di Lalopoulos. La domanda vera è: chi si nasconde dietro Lalopoulos?" Fa una breve pausa prima di aggiungere: "Ma, probabilmente, questo non lo sapremo mai."

"Perché?"

"Perché le indagini sono state sospese. Hanno detto che riprenderanno nel caso in cui, in futuro, dovesse emergere qualche elemento nuovo."

E questo è un problema, dico tra me e me. Entrambi sospettiamo che ci sia un retroscena dietro i due casi di omicidio, ma non possiamo trovare lo sconosciuto nell'armadio perché i soliti noti, che sono fuori dell'armadio, ce lo impediscono.

Dermitzakis interrompe il flusso dei miei pensieri con un largo sorriso: "Abbiamo trovato entrambi i cellulari," mi annuncia trionfante. "Uno ce l'ha dato il proprietario del taxi e l'altro un rivenditore dell'ortomercato che telefonava al georgiano quando aveva lavoro da dargli."

"Chiedete subito l'elenco delle chiamate per entrambe le utenze."

"Già fatto," mi risponde Dermitzakis con un'aria che sta a significare: "Ci hai preso per coglioni?"

Lo congedo e mi preparo a salire da Ghikas, ma non faccio in tempo perché lui mi previene via telefono. "Ho informato il vicecomandante e mi ha chiesto se stiamo mandando i responsabili dal giudice istruttore."

"Sì, glieli abbiamo già mandati. Se dovesse emergere un elemento aggiuntivo, lo allegheremo in seguito al fascicolo."

"Questo non c'è bisogno che glielo dica," commenta Ghikas. "Non ci ha chiesto di fermarci e quindi è sottinteso che continuiamo a indagare."

Riattacco e maledico me stesso con la mano sinistra, mentre con la destra mi faccio il segno della croce. Se il vicecomandante mi avesse convocato nel suo studio per il rapporto, com'è solito fare, gli avrei detto esattamente quanto Ghikas gli avrebbe taciuto, con il rischio di seppellire l'indagine sotto tre metri di terra.

La vita è un'altalena continua tra gioia e dolore, e se da un lato mi rammarico perché non mi è venuto in mente di essere prudente e di pensare come Ghikas, dall'altro sono contento perché potrò continuare a indagare.

Penso alla mossa successiva, ma non trovo niente di meglio che una visita al ministero della marina mercantile. Il problema è che lì non conosco nessuno, e non vorrei passare per i canali ufficiali per non crearmi dei problemi.

Alla fine, arrivo alla conclusione che non si può scegliere un sentiero laterale e non correre rischi. Il sentiero laterale è un rischio in sé che, nel caso specifico, si chiama Sotiropoulos.

"Hai letto anche tu quello che ho letto io in rete, eh? Per questo mi chiami," mi dice ridendo.

"L'ho letto e vorrei indagare, ma senza dare nell'occhio. Conosci qualcuno al ministero della marina mercantile alla cui porta potrei bussare?"

"Ti richiamo," mi fa e riattacca per primo. L'attesa non dura più di dieci minuti: "Devi chiedere di Lefteris Kyriazidis," mi comunica. "È un amico e ti parlerà francamente, ma in via confidenziale. Per questo non c'è bisogno che tu sappia che ruolo ricopre al ministero. Del resto non vi incontrerete lì, ma in un caffè di fronte al teatro comunale, tra un'ora a partire da adesso. Lo riconoscerai perché ha la barba e un abito grigio." Mi dà il nome del caffè, lo ringrazio e riattacchiamo.

A cose fatte mi viene in mente che non ho ribadito a Sotiropoulos che le indagini sono sotto copertura, anche perché lui stesso per primo ha sostenuto la linea della riservatezza.

Comunico ai miei che esco per questioni private, come si diceva ai tempi della dittatura, e prendo la Seat.

Entro per la seconda volta in un giorno sull'Atene-Pireo. Il traffico che non c'era stamattina si è concentrato tutto a quest'ora. La Seat non dispone della sirena, e mi chiedo se farò in tempo all'appuntamento o se il signor Kyriazidis si stancherà e mi mollerà.

Alla fine arrivo di fronte al teatro comunale con un quarto d'ora di ritardo. Vedo un signore con la barba seduto a un tavolo in fondo al bar e mi avvicino.

"Il signor Kyriazidis?" chiedo.

"Sono io, si accomodi," mi risponde mostrandomi la sedia di fronte a lui. Ha ordinato una tazza di tè. Io ordino una spremuta d'arancia per sfuggire alle solite abitudini dell'ufficio.

"Menis mi ha detto che avrebbe bisogno di informazioni riguardo alle compagnie di navigazione che hanno trasferito la loro sede in Grecia," esordisce Kyriazidis.

"Stiamo indagando sull'omicidio dell'armatore Chardakos. Anche se abbiamo arrestato i responsabili, che hanno confessato, le indagini non sono ancora concluse e oggi, in rete, è uscita..."

"Lo so. L'ho letta. Ci siamo ridotti al punto che prima dobbiamo leggere le notizie sui mass media e solo dopo aprire la nostra corrispondenza personale." Fa una pausa e riprende, con una scrollata di spalle: "Qualcuno potrebbe ritenerla una semplice coincidenza. Magari pensavano davvero di tornare in Grecia e l'uccisione di Chardakos non ha fatto altro che accelerare i tempi. Anche se, a dire il vero, l'omicidio in sé avrebbe dovuto dissuaderli. D'altro canto la West Shipping è la più grande fra le compagnie che sono tornate in patria. Stefanos Chardakos è sempre stato il capofila degli armatori greci a Londra. Ma allo stesso tempo, è sempre stato ostile all'idea di riportare l'azienda in Grecia, contrariamente al figlio che invece faceva pressioni per tornare. Dopo la morte del padre la prima decisione che ha preso il figlio è stata di trasferirsi qui. Gli altri l'hanno seguito."

"E riguardo alle due navi affondate? Anche questa è stata una coincidenza?" gli chiedo.

"Si potrebbero inserire tra le coincidenze diaboliche, se le navi fossero affondate in mare aperto," mi risponde. "Ma sono affondate in porto. La spiegazione, per quanto riguarda la nave affondata a Odessa, è convincente: trasportava armi per il governo ucraino e gli autonomisti russi l'hanno affondata. Le cose sono più complicate per l'altra nave, quella che si è incendiata in Thailandia. La comunicazione ufficiale della West Shipping è stata che la nave ha subito un attacco da parte dei pirati che le hanno dato fuoco. Ma i pirati non attaccano mai dentro i porti. Catturano le navi in mare aperto, le conducono nei loro nascondigli e chiedono un riscatto. In secondo luogo i pirati non hanno alcuna ragione per incendiare una nave. Anzi, per poter chiedere il riscatto hanno bisogno che la nave sia intatta. Nessuno paga un riscatto per una nave bruciata."

"È possibile che la compagnia avesse dichiarato un carico diverso da quello che effettivamente trasportava?"

"Le grandi compagnie non fanno certe cose," mi risponde con molta sicurezza. "Nessun armatore dichiarerebbe frigoriferi o prodotti agricoli per trasportare invece droga o armi. Del resto, il carico della nave che è affondata a Odessa era stato dichiarato ufficialmente: armi."

"Vorrei farle ancora una domanda, anche se è solo formale e mi serve per chiudere tutte le eventuali falle dell'indagine. Ritiene possibile che la compagnia abbia fatto affondare le navi per incassare l'assicurazione?"

Kyriazidis affronta la mia domanda con un sorriso di condiscendenza: "Queste cose le fanno i pesci piccoli, che hanno solo una o due navi, signor commissario. Del resto, i due mercantili erano nuovi," mi risponde confermando quanto mi aveva detto Sterghiadis. "La domanda è un'altra," aggiunge.

"E sarebbe?"

"Le compagnie di navigazione hanno scelto Londra perché le agevolazioni e i vantaggi che offriva il governo inglese erano superiori ai nostri. Ma, allora, perché tornano? Da quel che so, non sono stati offerti incentivi e non è cambiato nulla nella politica greca in rapporto alla marina mercantile." Si interrompe, e riprende: "Però posso sbagliarmi. Proprio oggi è previsto che il ministro faccia una dichiarazione a proposito delle compagnie di navigazione. Potrebbe annunciare incentivi, di cui gli armatori che hanno deciso di tornare potevano già essere a conoscenza. Potrebbe anche darsi che abbiano ricevuto promesse e impegni che sono stati tenuti riservati. Tutto può essere, ma di sicuro al ministero nessuno ha mai sentito di incentivi o di un cambiamento di politica."

Beve l'ultima tazza di tè e chiama il cameriere per pagare.

"Lasci stare," dico. "Il meno che posso fare per il suo disturbo è offrirle il tè."

"La ringrazio," mi dice alzandosi. "È inutile che le ripeta che il nostro incontro non è mai avvenuto e che le informazioni che le ho dato rimangono rigorosamente tra di noi."

"Non si preoccupi," lo rassicuro. "Sono informazioni che ho chiesto per me, per farmi un quadro più completo, ma non hanno a che vedere con il servizio."

Ci stringiamo la mano e Kyriazidis si congeda. Io torno a sedermi, non tanto per finire la spremuta ma perché non ci vedano uscire insieme.

Sulla strada del ritorno cerco di mettere in relazione i dati che ho appena ottenuto con i miei pensieri.

Da qualunque lato lo si consideri, l'arresto dei due assassini di Chardakos corrisponde a un insabbiamento. Non che abbia dubbi sul fatto che i due georgiani siano gli assassini. Non è l'omicidio in sé a non tornare. È l'arresto che puzza. I due vanno in un fast-food, provocano una rissa per una scemenza, estraggono i coltelli che hanno usato per l'omicidio e minacciano i presenti, quindi li buttano in terra per farceli trovare e fanno finta di darsela a gambe proprio perché li possiamo catturare. E per di più quando sono andati a uccidere Chardakos è quasi certo che avessero con sé un esperto che li ha aiutati a disattivare i sistemi di sicurezza prima di scomparire nel nulla.

La stessa cosa è accaduta nel caso di Lalopoulos. Anche lì abbiamo catturato i responsabili con la stessa facilità grazie a una telefonata anonima, e i due hanno confessato senza particolari problemi. Il problema, però, è che proprio il loro arresto ha messo un freno alle indagini, e anche in quel caso non siamo riusciti a capire che cosa è stato insabbiato.

D'altro canto, non c'è la minima relazione tra l'omicidio di Lalopoulos e quello di Chardakos. L'unico punto in comune a cui riesco a pensare è il mare. Lalopoulos lavorava all'Ente del turismo e si occupava di porti turistici, e Chardakos era un armatore. Che cosa c'entrano gli yacht con le grandi navi mercantili? Niente. E di conseguenza, da qualunque parte si consideri la questione, finisco sempre per convincermi che si è trattato di una coincidenza.

In conclusione, il risultato è che ho raccolto moltissime informazioni su Chardakos, ma non so se mi saranno utili o se sono soltanto il frutto delle mie idee fisse.

 

 

22

Alle otto di sera sono davanti al televisore e aspetto il telegiornale per ascoltare le dichiarazioni del ministro della marina mercantile. Contrariamente a Adriana che ogni sera, immancabilmente, segue il notiziario, io ho smesso da quando è iniziata la crisi, per non nutrirmi di pessimismo, e da allora non l'ho più ascoltato. Ecco perché mi lancia un'occhiata di traverso vedendo che mi accomodo sul divano, al suo fianco.

"Com'è che di colpo ti interessa il telegiornale?" mi chiede.

"Il ministro della marina mercantile ha fatto delle dichiarazioni oggi e vorrei sapere di che si tratta."

"Ora che sono piovuti gli aumenti spero ci limiteremo all'appartamento che ha chiesto tua figlia e non ci venga voglia della barca," è il suo commento al veleno.

Non le rispondo perché nel frattempo il telegiornale è iniziato. Per la prima mezz'ora veniamo informati sulle imprese del nuovo governo. Un giornalista dopo l'altro si alternano per offrirci il resoconto del successo.

"La Grecia è risorta e ora galoppa," dico a Adriana.

"Mah, dipende da come uno vede le cose," è la sua replica.

"Perché, tu come le vedi?"

"Molta gente che sta per morire attraversa un breve periodo di miglioramento prima di tirare le cuoia. La famiglia si rallegra, convinta che il malato sia in via di guarigione, ma poco dopo lui rende l'anima al Creatore."

Non faccio in tempo a dirle che ha un modo tutto suo per mettermi di cattivo umore quando sullo schermo compare il ministro della marina mercantile. Al suo fianco ha Cleante Chardakos e altri due signori, più anziani, che non conosco.

Il ministro esordisce ringraziando le compagnie di navigazione che hanno trasferito le loro sedi in Grecia e continua sottolineando che il contributo della marina mercantile sarà fondamentale nello sforzo di ripresa che sta facendo il paese. "Si tratta di un'iniziativa di grande valore patriottico che il governo apprezza molto e per cui esprime la sua gratitudine," conclude.

Seguono le domande di rito sulle prospettive delle compagnie di navigazione che hanno deciso di tornare in Grecia. Le risposte sono egualmente prevedibili e si concentrano sullo sviluppo, finché nella massa dei giornalisti non fa la sua comparsa Sotiropoulos.

Mi sorprende, perché lui stesso mi aveva detto che, una volta in pensione, non voleva più presentarsi con i suoi vecchi colleghi per non far credere che volesse rubar loro il lavoro. Ma dato che lo conosco, sospetto subito che, per venir meno ai suoi princìpi, deve aver avuto qualcosa di davvero urgente da chiedere.

Gli altri giornalisti si voltano a guardarlo, anche loro sorpresi e un po' irritati, ritrovandoselo tra i piedi dopo che speravano di essersene liberati, ma Sotiropoulos li ignora e procede con la sua domanda.

"Vorrei chiederle se, al di là dell'immagine generalmente positiva che la Grecia offre in questo momento e che di sicuro ha influito sulle decisioni degli armatori, sono stati dati degli incentivi per spingere le compagnie a tornare in Grecia."

"Non abbiamo ricevuto nessun incentivo specifico," risponde un sessantenne del gruppo riunito intorno al ministro. "Non c'è dubbio che la Grecia si trova in una fase di sviluppo. Inoltre, siamo un paese di mare con una grande tradizione marinara. È evidente che la marina mercantile ha molto da guadagnare dalla crescita del paese. Questo è l'incentivo che ci ha fatto tornare."

"Nient'altro?" chiede Sotiropoulos.

"Nient'altro: né dal punto di vista economico né da quello imprenditoriale," conferma il sessantenne. "Se però vuole proprio che le citi un incentivo, allora le dirò che è rappresentato dalla possibilità di partecipare attivamente alla ripresa del nostro paese dopo un lungo periodo di avventurismo che l'ha portato sull'orlo del baratro."

"Sono particolarmente felice per la risposta del signor Zacharakis, signor Sotiropoulos," interviene il ministro. "In effetti, l'unico incentivo per le compagnie è stato proprio l'opportunità di collaborare alla ripresa della Grecia. Mi impegno però anche di fronte a voi: non appena la situazione economica del paese lo permetterà, daremo ulteriori incentivi alla nostra marina mercantile, e questo non solo nell'interesse delle compagnie di navigazione, ma dell'intero paese."

Il ministro saluta con un cenno i giornalisti ed esce insieme al suo seguito di armatori.

Alla domanda che tormenta Sotiropoulos, Sterghiadis, Kyriazidis e me è stata data una risposta. Il governo non ha elargito incentivi alle compagnie per tornare in Grecia. L'impegno del ministro riguardo al futuro non è che una promessa vaga, non meno vaga delle cose dette dagli armatori sullo sviluppo e la ripresa.

Insomma, l'interrogativo sul perché gli armatori siano tornati resta, insieme al buco nero nelle indagini sull'omicidio di Chardakos.

Sono pronto a lasciare il posto davanti al televisore per andare a far visita al Dimitrakos, quando lo speaker del telegiornale annuncia un'intervista con il rappresentante dell'Unione Europea per le questioni economiche. Torno a sedermi con la speranza di ricevere risposte che aprano qualche porta.

La conversazione non si incentra però sul ritorno delle compagnie di navigazione, ma sulle riflessioni del ministro e degli armatori. Il rappresentante conferma quanto detto in precedenza: loda i progressi della Grecia e spiega che il programma di riforme messo in atto su richiesta dell'Europa è assolutamente corretto. Riconosce che i greci hanno fatto molti sacrifici, ma ora è chiaro che quegli stessi sacrifici hanno dato i loro frutti e la Grecia è interessata da uno sviluppo vorticoso.

"La Grecia è il paese che è uscito per ultimo dal regime dei memorandum, ma è anche il primo ad aver raggiunto un ritmo di sviluppo così spettacolare," dichiara. "È bastato che arrivasse un governo deciso a concretizzare il programma in collaborazione con l'Europa per dimostrare che aveva ragione chi sosteneva che dalle riforme sarebbe nato lo sviluppo. Il ritorno degli armatori lo conferma. E questo lo dico anche a beneficio di alcuni nostri amici che, invece, ne dubitavano," conclude con una stoccata agli americani.

"Ehi, ma questo tale scherza o parla seriamente?" si chiede Adriana irritata. "Gli europei chiedevano continuamente tagli degli stipendi e delle pensioni, mentre i nostri nuovi governanti danno aumenti a pioggia. Quale sarebbe il programma che stanno realizzando?"

La sua perplessità resta senza risposta perché squilla il telefono. È Uli.

"Ho fatto una lista delle imprese che si sono trasferite in Grecia. Ma non voglio mandargliela per email. Ci sono delle cose che devo spiegarle. Quando possiamo vederci?"

"Anche adesso, se vuoi, non ho niente da fare. Altrimenti passo io domani nel vostro ufficio."

Sento che Uli prende accordi con Mania. "Mania dice che potremmo venire adesso, così salutiamo la signora Adriana e vi ringraziamo per i pomodori ripieni."

"Venite, allora," concludo.

"Chi viene? Caterina e Fanis?" mi chiede Adriana, che con un orecchio ascolta la televisione e con l'altro il telefono.

"No, Mania e Uli. Vengono a ringraziarti per i ghemistà."

"Sono fortunati, perché ne è rimasto ancora un piatto."

L'unico modo per staccare Adriana dalla televisione è garantirle degli ospiti. Spegne l'apparecchio e corre in cucina. Probabilmente il mangiare non basta per quattro e va a imbastire qualche rinforzo.

Resto solo davanti al televisore spento. L'unica cosa che sono riuscito a ottenere, una sfilza di elogi per l'operato del governo, non ha risolto i miei dubbi. Se non fosse che anche Sotiropoulos ha le stesse perplessità, mi verrebbe il sospetto di soffrire di manie di persecuzione.

Mania e Uli arrivano dopo una ventina di minuti. Adriana va ad aprirgli. "Brava, figliola," sento che la saluta entusiasta. "Mi hai riportato il vassoio pulito. Si vede che sei una ragazza di casa."

"Di casa dittatoriale, signora Adriana," le risponde Mania ridendo. "Mio padre era generale ai tempi dei colonnelli, non dimentichiamolo."

Entrano in soggiorno e io, a mia volta, ricevo il bacio di Mania e la stretta di mano, alla tedesca, di Uli.

Mania vede Adriana che si dirige in cucina e la segue per aiutarla.

Rimaniamo soli, Uli e io, e ci sediamo sul divano. Lui si toglie di tasca la lista, la apre e se la stende sulle ginocchia. "In tutto sono dodici le aziende arrivate in Grecia nell'ultimo anno. Si occupano di varie attività. Una ha acquistato tre porti."

"Sulle isole?" chiedo.

"No, sul continente. Non è che conosca così bene la geografia della Grecia, non saprei indicare con esattezza dove si trovino questi porti, ma di certo sono vicini a città importanti. Un'altra azienda, invece, ha investito nell'industria dei prodotti agricoli. Si tratta di due esempi fra tutti, ce ne sarebbero ancora, ma non è questa la cosa importante. C'è dell'altro. Ed è strano."

"Di che si tratta?" gli chiedo, e a questo punto sono sui carboni ardenti.

"Si tratta di aziende che non esistono in nessun'altra parte del mondo. Né in Europa, né in America, né in Canada e neppure in Australia. Ho cercato in tutta la rete. Queste aziende sono state create apposta per la Grecia, signor commissario."

"E dove li hanno trovati i soldi?" chiedo.

"Questo non lo so e non credo di poterlo ricostruire. So però che tutte lavorano con banche delle isole Cayman che hanno aperto le loro filiali qui in Grecia. E c'è un'altra cosa. Ormai quasi tutte queste aziende stanno aprendo filiali nel resto d'Europa. Due in Germania, altre due in Italia, una in Francia. Fino a questo momento aprivano succursali in Grecia provenendo da altre nazioni. Ora accade il contrario. Non so se lei riesce a spiegarsi questo fatto. Io no."

"E secondo te, se non riesci a spiegartelo tu, vuoi che ci riesca io?" ribatto e prendo la lista. "Ti ringrazio molto, Uli. Anche se non le comprendo, le tue informazioni mi aprono dei percorsi di indagine."

"Se ha bisogno, non ha che da chiedere," mi risponde, sempre cortese.

Adriana entra per apparecchiare la tavola, poco dopo fa la sua comparsa Mania con i ghemistà che erano avanzati.

"Fortunelli," dice Adriana a Uli. "Alla fine, voi che non c'eravate la sera scorsa sarete quelli che mangiano più ghemistà di tutti."

Ci sediamo alla tavola degli avanzi. Oltre a pomodori e peperoni ripieni c'è un vassoio di fagiolini avanzati da ieri. Accanto, Adriana ha fatto comparire quattro pezzi di una torta di zucchine che tiene sempre nel freezer in caso di necessità.

"Ragazzi, scusate ma non vi aspettavo, dovrete accontentarvi."

"Signora Adriana, per come cucina lei, ci desse anche erba strapazzata sarebbe ottima," le risponde Mania.

Ci mettiamo a mangiare, mentre io cerco di non pensare a tutte queste aziende che sono spuntate dal nulla.

 

 

23

Investimento, s.m. Eustazio: 125,55. In generale il risultato dell'investire; incidente stradale in cui vengono travolte delle persone: l'investimento fu causa della morte del pedone || Insieme delle operazioni guerresche per ottenere la capitolazione di una piazzaforte: investimento di una fortezza || In marina (poco com.), urto di un galleggiante per manovra errata || In agricoltura, la densità con cui le piante occupano il terreno (per m2) || Impiego di risorse nell'acquisto di oggetti di valore; anche in senso figurato: investimento sul futuro del figlio.

Incentivo, s.m. Il mezzo o il risultato dell'incentivare; Polidoro 7,169 || Stimolo, impulso, incitamento || Movente: incentivo fu la vendetta || Misura di politica economica diretta a creare condizioni più favorevoli allo sviluppo.

Fortunato Dimitrakos, che pensavi solo alle operazioni guerresche e ai nobili sensi figurati. Le cose erano facili, un tempo. Si investiva nella conquista di una roccaforte, nel futuro del proprio figlio, e dovevi solo stare attento a non finire sotto una macchina.

Ora che l'investimento è innanzi tutto una questione di denaro, spesso non ci interessa quale ne sia la fonte. Ci limitiamo a sfruttarla, per la nostra nave in porto o per le piante nel terreno.

Con l'incentivo, il Dimitrakos va un po' meglio, ma anche in questo caso la sua spiegazione è semplicistica, almeno in rapporto alle circostanze attuali. Chi mai più commette un delitto avendo come incentivo la vendetta? Ci sono migliaia di altri modi per vendicarsi. Il movente, ai giorni nostri, è nove volte su dieci il denaro, ed è lì il punto, Uli non riesce a trovare la fonte del denaro che le nuove aziende importano in Grecia quando vi si trasferiscono, così come io non riesco a scoprire l'incentivo delle compagnie di navigazione per ritornare in patria.

L'incentivo che evocano il ministro e gli armatori poteva piacere a Dimitrakos, ma oggi ha decisamente meno forza.

Penso a queste cose mentre vado in ufficio con la Seat. Ieri notte sono rimasto sveglio, avevo la mente catturata da ciò che aveva detto il ministro e da quello che mi aveva detto Uli. Mi sono alzato all'alba e mi sono trasferito in soggiorno in compagnia del Dimitrakos. Adriana mi ha beccato sul lemma "investimento" e mi ha rivolto uno sguardo inquieto.

"C'è qualcosa che non va?"

"No, la salute va benissimo. Ma sono preso da un caso di cui non riesco a venire a capo."

"Ma dai, Kostas! Tutti cantano e ballano per gli aumenti e tu invece perdi il sonno su un caso! Cosa vuoi che ti dica: speriamo almeno che quando andrai in pensione metterai la testa a posto."

Salgo in ufficio con il caffè e la brioche, e telefono a Sotiropoulos per ringraziarlo dell'incontro con Kyriazidis.

"Spero ti abbia risolto qualche dubbio."

"Me ne ha risolti molti, ma risposte per adesso non ce ne sono. Ho visto anche te ieri sera in televisione."

"Sì, ho fatto la mia comparsa dopo molto tempo in una conferenza stampa, chissà mai che non riuscissi a risolvere anch'io qualcuno dei miei dubbi, ma come hai visto niente risposte."

Riattacco, e non faccio in tempo a dare il primo morso alla brioche che mi si presenta Koula.

"Poseidon 16 ci invia un altro messaggio," dichiara con un sorriso posando sulla scrivania una stampata. Ancora una volta si tratta di una domanda:

"Non è che, in fin dei conti, l'incentivo per il ritorno degli armatori non sta nello sviluppo ma nei due naufragi della West Shipping e nell'assassinio di Stefanos Chardakos? Poseidon 16."

"Riesci a scoprire chi si nasconde dietro Poseidon 16?" le chiedo.

"È un lavoro per la sezione Crimini informatici," mi risponde. "Sono loro ad avere le conoscenze e i mezzi."

Lascio andare Koula, e mordendo la brioche e bevendo il caffè resto a guardare quanto ha scaricato da internet.

Comincio dalle cose più evidenti. È chiaro che Poseidon 16 ha seguito la dichiarazione del ministro. Ed è altrettanto chiaro che nutre gli stessi dubbi che nutriamo Sotiropoulos e io.

La prima domanda, allora è: sa qualcosa di più e lo tirerà fuori in seguito, oppure anche lui pesca alla cieca, più o meno come noi? Se sa qualcosa, allora dobbiamo restare in attesa: parlerà quando gli andrà. La seconda domanda è sul perché lo faccia. Anche qui ci possono essere due risposte, una semplice e una complessa. Quella semplice è che non sa niente, si limita a buttare qualche provocazione in rete perché sa che la gente abbocca. Quella complessa è che lo fa perché ha un interesse. Una possibilità è che appartenga a una compagnia di navigazione concorrente, che è rimasta a Londra e spara sentenze dalla perfida Albione. Spara sentenze perché sa qualcosa, dei particolari che non conosciamo. L'altra possibilità è che sia un agente marittimo che rappresenta compagnie con sede a Londra e i cui interessi sono stati colpiti. Ma anche in tal caso, deve aver sentito o sapere per forza di più.

Sono pensieri e ipotesi che portano alla medesima conclusione: non caverò un ragno dal buco se prima non avrò scoperto chi si nasconde dietro Poseidon 16. Ma ho bisogno della collaborazione della sezione Crimini informatici: Koula ha ragione. Per motivi palesi, tuttavia, non oso fare questo passo.

Recupero dalla tasca la lista che mi ha dato Uli pensando che, in caso di siccità, va bene anche la grandine. Mi chiedo: chissà se tra le compagnie di navigazione che si sono trasferite in Grecia dopo l'uccisione di Chardakos ce n'è anche qualcuna estera. Ma nella lista di Uli non ci sono compagnie di navigazione.

Continuo a esaminare i nomi cercando un dato illuminante. Si tratta di aziende spuntate da chissà dove e che dalla Grecia si estendono verso l'Europa, come mi fa notare Uli. Bella cosa lo sviluppo, ma le aziende non piovono dal cielo. Ci dev'essere stato un altro incentivo dato dal governo, sia alle compagnie di navigazione che alle altre aziende: un incentivo che non conosciamo, né noi né il Dimitrakos. Siamo d'accordo: un governo fa pure cose che non sono a conoscenza del semplice cittadino, ma qui ho la sensazione che si cerchi in ogni modo di non informare correttamente la gente.

Continuo ad arrovellarmi per capire a chi potrei rivolgermi per sapere di più sulle aziende che si sono stabilite in Grecia, e alla fine ritorno ancora a Spiridakis. L'ultima volta che gli ho telefonato chiedendogli di fare una ricerca per me, mi ha gentilmente tagliato le gambe, ma stavolta intendo chiedergli soltanto una bussola per orientarmi.

Sono pronto a fare un tentativo quando Ghikas mi anticipa.

"Ho appena ricevuto un invito," mi annuncia.

"Da chi?" chiedo.

"Dal vicecomandante. Gli siamo mancati e voleva vederci."

"Per dirgli cosa? Le indagini proseguono..."

"Sai una cosa? Ho la sensazione che sia più un ispettore dei lavori che un vicecomandante," commenta. "Vuol sapere come procede l'opera."

Al bisogno, anche gli dei si piegano, dicevano gli antichi. Al bisogno diventi anche spiritoso, e da parte di Ghikas non me lo sarei aspettato. Il vicecomandante è l'ultima persona che avrei voluto incontrare in questo momento, ma non ho margini di movimento.

Saliamo in macchina e restiamo senza parlare per l'intero tragitto, ognuno assorto nei propri pensieri. Poco prima di arrivare Ghikas rompe il silenzio:

"La cosa migliore da fare è smetterla di offrirci volontari," mi fa.

Lo guardo per assicurarmi che stia bene: "In che senso, volontari?" gli chiedo.

"Nel dargli spiegazioni, ecco in che senso. Dobbiamo limitarci a un breve rapporto sull'arresto dei due assassini di Chardakos, dopodiché risponderemo solo a domande circostanziate, se ce ne saranno."

Tiro un sospiro di sollievo, almeno abbiamo definito una linea Maginot di fronte all'avversario comune.

Stavolta veniamo accolti senza bisogno di attendere e con il corredo di sorrisi e strette di mano.

"Vi ho chiamati per avere una relazione informativa riguardo al corso delle indagini sull'omicidio Chardakos," ci annuncia. "Anche se, in effetti, sono stato in contatto continuo e diretto con il signor direttore."

Gli faccio un rapporto che si limita ai fatti che vanno dal fast-food all'arresto dei due responsabili e alla loro confessione. Lascio fuori qualunque cosa riconducibile alle mie indagini personali. "Il fascicolo si trova già nelle mani del giudice istruttore," concludo.

"Molto bene," dichiara soddisfatto il vice. Quindi, aggiunge rivolto verso di me: "Non so se devo complimentarmi con lei o con gli agenti della stazione di Keratsini che hanno avuto l'intelligenza di informarla e di trattenere il testimone," mi dice sorridendo.

"Si complimenti con la polizia," gli rispondo. "Il lavoro della polizia è un lavoro di squadra che si basa sulla collaborazione."

La lusinga gli fa particolarmente piacere. "Sono molto soddisfatto della sua risposta," replica. Ma torna subito serio: "Le indagini sul caso finiscono qui, signori," dichiara. "L'omicidio è stato risolto, i colpevoli sono stati arrestati. Abbiamo finito." Una pausa, e riprende: "In questo momento dobbiamo pensare al grande successo del governo, al ritorno delle compagnie di navigazione in Grecia. Se continuassimo a indagare, e tra l'altro senza un obiettivo preciso, potremmo finire per procurare un danno a questo impegno nazionale. Se domani dovesse presentarsi qualche nuovo elemento, potrete aprire nuovamente il caso, ma solo con il mio assenso."

Si alza, ci alziamo anche noi. Ci stringiamo le mani e ce ne andiamo.

"Hai capito perché ci ha convocato?" mi chiede Ghikas quando rientriamo in macchina.

"Per dirci quest'ultima cosa," gli rispondo. "Tutto il resto lo sapeva già da lei."

"Bene, sono contento che hai capito il messaggio," replica Ghikas e conclude la conversazione.

E questo è il secondo messaggio, dico tra me e me. Mi sta dicendo di non aspettarmi il suo sostegno.

Farò bene a starmene tranquillo. Almeno, questo è quanto consiglia il buon senso. Chi gioca col fango finisce nel porcile, dice il proverbio. E le cose su cui vorrei indagare appartengono di sicuro alla categoria "fango".

 

 

24

Sediamo in un caffè di viale Kifisias. Spiridakis beve una Coca-Cola e io un Nescafé frappè. Oltre alla Coca-Cola Spiridakis ha davanti a sé la lista di Uli, e ci riflette.

A volte, prima di lasciare definitivamente una casa o un luogo che hai amato, fai un ultimo giro. Vuoi essere sicuro di non aver dimenticato nulla, ma la verità è che ti è difficile lasciare quel luogo.

La stessa cosa capita a me, ora. Prima di abbandonare definitivamente le indagini sulla parte oscura dell'omicidio Chardakos, faccio un ultimo giro, non perché mi attenda di scoprire qualcosa proprio alla fine dei tempi supplementari, ma perché mi è difficile separarmene.

Spiridakis solleva lo sguardo dalla lista. "Sono aziende note, signor commissario," mi dice. "Sono state fondate legalmente e funzionano legalmente. Non c'è ragione di occuparsene a meno che..." si interrompe a metà della frase.

"A meno che...?" insisto.

"A meno che non ci sia qualche denuncia. Ma anche in tal caso l'indagine non scatterebbe automaticamente."

"Perché?"

"Perché il dirigente potrebbe dire 'Lascia stare, non te ne occupare' oppure 'Ci penserai in un altro momento, non c'è fretta'. E questo non perché sia stato corrotto, ma perché l'azienda è grande e indagando si potrebbero causare danni peggiori."

"In ogni caso, non c'è nulla di sospetto in queste aziende."

"Dal momento che non c'è alcuna denuncia circostanziata, sono obbligato a dirle che non c'è nulla di sospetto. Posso però prometterle che, nel caso emergesse qualcosa, glielo farò sapere."

Il giretto nel luogo che sto per abbandonare è finito, e mi alzo. "Grazie di avermi dedicato il tuo tempo per chiarirmi questi dubbi," dico a Spiridakis.

"Non mi ringrazi, in realtà non sono riuscito ad aiutarla," mi risponde. "Se però vuole il mio consiglio, lasci perdere. È una di quelle situazioni in cui si finisce inevitabilmente per spaccarsi la faccia contro un muro. Capita a lei e capita a noi."

Dal vicecomandante a Ghikas a Spiridakis, tutti mi dicono la stessa cosa: non è possibile che sia proprio io l'unico ad aver ragione e tutti gli altri torto.

Torno a piedi da viale Kifisias e appena metto piede in ufficio si presentano Vlasopoulos e Dermitzakis, ognuno con un sorriso da un orecchio all'altro.

"Che succede...? Siete tutti e due sorridenti come una pasqua."

Invece di rispondermi, Dermitzakis mi mette davanti un registro di chiamate telefoniche.

"Di che si tratta?" chiedo.

"È l'elenco delle chiamate dal cellulare di Samir, quello che lavorava all'ortomercato," mi spiega Vlasopoulos.

Prendo il foglio e lo studio attentamente. In un circoletto c'è un numero di cellulare che si ripete poco oltre, sempre circolettato. Comincio a controllare le date delle chiamate. Ce ne sono due lo stesso giorno dell'omicidio e una due giorni prima. In gran parte, però, le chiamate si riferiscono a prima dell'omicidio. Otto, per la precisione.

"Chi miagola sul tetto?" mi chiede Vlasopoulos quando sollevo lo sguardo.

"Probabilmente si tratta dello specialista di sistemi di sicurezza. Ma la cosa non ci aiuta perché finiremo su una scheda a consumo e buonanotte ai suonatori."

"Già, gli dei amano i ladri... ma amano anche gli onesti," mi dice Dermitzakis e mi mostra un altro elenco di telefonate. "Queste sono le chiamate da e verso il cellulare del tassista."

Guardo e vedo che ci sono anche qui dei circoletti, però stavolta non c'è un numero ma un nome: Carlo Fertini. "E pensi che il cellulare appartenga a questo Carlo?" chiedo a Dermitzakis.

"Non faccio ipotesi. Ho telefonato a quel numero e una voce maschile mi ha risposto in italiano: 'Pronto?'" La spiegazione è semplice. L'italiano non voleva, per ragioni di sicurezza, utilizzare in Grecia il suo cellulare italiano e quindi ha comprato una scheda greca e l'ha tenuta nel caso che i georgiani lo chiamassero.

"Hai fatto un buon lavoro, ma ora quel tale sarà tornato in Italia," dico a Dermitzakis.

"È sicuramente in Italia, perché ho dovuto fare il numero con il prefisso internazionale per avere la linea."

"Che facciamo?" mi chiede Vlasopoulos. "Portiamo qui i georgiani per un interrogatorio supplementare?"

La cosa mi solletica alquanto, ma decido di non cercare guai. "No. Li abbiamo già spediti dal giudice istruttore, e prevedo che finiremmo per coinvolgere anche la polizia italiana. Mandate gli elementi al giudice. Se deciderà che dobbiamo continuare le indagini, chiederemo un ordine scritto. Non voglio problemi con Ghikas." Non cito il vicecomandante, la figura del rompiscatole la faccio fare a Ghikas.

"Giusto. Noi il nostro dovere l'abbiamo fatto," commenta Vlasopoulos.

"Grazie, ragazzi. Davvero un ottimo lavoro."

Se ne vanno tutti contenti mentre io sprofondo in mille pensieri. Non posso continuare le ricerche sul campo, ma posso farle mentalmente.

Se il numero italiano corrisponde a quello di un tecnico ecco smontata la confessione dei due georgiani che sostengono di aver ammazzato Chardakos perché non concedeva il risarcimento alla vedova del loro amico. Quando vai a chiedere dei soldi per la vedova di un tuo caro amico non ti porti dietro un tecnico, italiano per giunta.

Non c'è dubbio che la storia dell'amico morto nell'incendio è una semplice glassa di copertura. C'è dell'altro, e di molto grosso, dietro l'omicidio di Chardakos. Ora, se il vicecomandante sa cosa è e vuole tenerlo nascosto, oppure interrompe le indagini perché è un cretino, lo capiremo solo se, a un certo punto, il caso dovesse scoppiare nelle sue dimensioni reali. Allora sì che ritorneremmo alle solite storie per cui la polizia non sa fare il suo lavoro, e vallo a spiegare che ci era stato imposto il silenzio!

Mi chiedo se devo informare Ghikas, ma decido di non farlo. Considerando la tensione con il vicecomandante, non è escluso che mi fraintenda e pensi che mi ostino a rimestare nel caso. Lasciamo che tutti siano informati dal giudice istruttore, sempre che decida di farlo. Se Ghikas si dovesse lamentare che l'ho tenuto all'oscuro, gli risponderò che mi sono limitato a comunicare gli elementi di cui ero in possesso attraverso i canali ufficiali, e lì mi sono fermato dato che i responsabili sono stati catturati e il caso, per la polizia, è chiuso.

All'improvviso mi sento sollevato al pensiero che non mi farà male starmene in ufficio per un po' senza nulla di cui occuparmi. Segue un secondo pensiero e mi avverte che in panciolle senza caffè non si può stare, visto che da anni ho smesso di frequentare il secondo marchio registrato dell'ozio, la sigaretta.

Scendo al bar a prendere il secondo caffè della giornata, e mi imbatto in Gonatas dell'Antiterrorismo che si ristora con un frappè.

"Non ricordo un altro governo che sia riuscito come questo ad avere la polizia dalla sua parte," mi dice ridendo.

"Perché?"

"Pensa ai tempi dei nostri genitori," mi spiega. "Si tagliava sul mangiare, si tagliava sui vestiti e si seminavano nell'orticello i pomodori e i cetrioli della sopravvivenza. All'improvviso arrivava in paese lo zio d'America che cominciava a distribuire soldi a destra e a manca. I paesani gli facevano un monumento. Certo, lo zio avrà avuto le sue fisime e avrà anche fatto i capricci, magari parlava in greco-americano senza farsi capire troppo bene, ma la gente non ci faceva caso e andava a baciargli la mano. Questo governo, per noi, è come una specie di zio d'America. Ci ha dato gli aumenti, ci promette due stipendi in più all'anno. È evidente che lo veneriamo come le cose sante."

Gonatas ha ragione come gli altri, dico tra me e me. L'unico che continua a lamentarsi e fa il difficile in tutto il corpo di polizia sono io. Invece di pensare al fatto che potremo avere una vita più agiata grazie agli aumenti presenti e futuri, mi rodo il fegato a pensare all'omicidio di Chardakos.

Salgo in ufficio con l'idea di gustarmi il caffè quando entra Koula.

"Abbiamo novità con Poseidon 16," esordisce e mi mette davanti un foglio con la sua nuova dichiarazione.

La leggo e quasi la temo, perché il mio istinto mi dice che manderà a gambe all'aria la decisione di starmene un poco senza far nulla.

"La nave di Chardakos in Thailandia l'hanno affondata i pirati. L'altra, a Odessa, l'hanno affondata gli autonomisti russi. E se fossero stati atti terroristici per ricattare gli armatori in modo da farli tornare in Grecia? E se Chardakos fosse stato il maggiore ostacolo all''operazione rientro' e avesse perciò pagato con la vita? Se è così, allora abbiamo a che fare con dei ricattatori spietati e con una polizia che sta a guardare. Una combinazione micidiale. Poseidon 16."

Devo chiamare un prete che venga a benedirci la casa, dico tra me e me. Ogni volta che decido di rilassarmi, il diavolo ci mette lo zampino e manda tutto a rotoli. La domanda: '"La polizia che fa?" arriva molto prima di quanto immaginassi e con una certa aggressività.

Telefono a Stella, la segretaria di Ghikas, e le dico che devo subito vedere il capo. Non aspetto neanche che mi risponda, prendo il foglio e corro al quinto piano. Ghikas ha capito che si tratta di una cosa grossa e mi accoglie sulla soglia del suo ufficio.

Gli consegno la dichiarazione di Poseidon senza proferire parola. Lui la legge in piedi. "Non ti posso dire che mi fa piacere che il vicecomandante sia nei guai, perché lo siamo anche noi."

"Capirà: l'ha già letta internet al completo. Domani il mondo se la prenderà con la polizia." E seguito raccontandogli i dettagli sulla questione del tecnico italiano.

"E questo Poseidon 16 chi sarebbe? Avete fatto delle ricerche?"

"No. Ho seguito le indicazioni che mi sono state date sin dall'omicidio Lalopoulos. Una volta spediti i responsabili dal giudice istruttore, non ho più approfondito."

"Giusto. Ma dal momento che questo Poseidon 16 parla di ricatti e di terrorismo, siamo costretti ad accertare la sua identità e a interrogarlo," dichiara Ghikas e chiama Stella perché convochi Vellidis, della sezione Crimini informatici.

"Parlerà con il vicecomandante?" gli chiedo.

"Solo dopo che avremo chiarito chi è Poseidon 16 e l'avremo interrogato," mi risponde.

Vellidis arriva subito e Ghikas gli consegna il comunicato. Vellidis lo legge e mi lancia uno sguardo interrogativo.

"Voglio che mi trovi chi si nasconde dietro lo pseudonimo 'Poseidon 16'," gli dice Ghikas. "Dobbiamo interrogarlo per appurare se quanto dice sono solo chiacchiere o se sa qualcosa che noi non sappiamo."

"Lo troveremo, ma potrebbe volerci del tempo," gli spiega Vellidis. "Chi fa denunce sotto falso nome di solito si nasconde dietro un muro quasi invalicabile. Riusciremo a individuarlo, ma potrebbe volerci del tempo."

"D'accordo. Aspetto. Quando hai qualcosa informami," conclude Ghikas.

"Ci sono stati anche altri due messaggi, meno forti. Te li mando comunque," concludo mentre Vellidis si congeda.

"Informerà Gonatas, dell'Antiterrorismo?" chiedo a Ghikas.

"No, non ancora. Prima troviamo chi è, e poi decido. Posso affidare il caso a Gonatas o puoi continuare tu. Vedremo."

Spero che lo affidi a Gonatas. Ho già avuto abbastanza grane con il vicecomandante. È ora che se lo sciroppi qualcun altro.

 

 

25

Tutti sappiamo che se un telefono squilla nel cuore della notte non è un buon segno. La stessa cosa ho pensato anch'io quando ho sentito il cellulare perforarmi il timpano. Ero andato a letto presto, alle nove, perché dovevo recuperare la notte di insonnia, e la tensione della giornata mi aveva portato al limite. Quando è squillato il telefono mi ci è voluto un attimo per capire cosa stava succedendo. Poi mi sono precipitato a rispondere, innanzitutto per non svegliare Adriana, e in secondo luogo perché sapevo che c'era qualcosa di grave in ballo.

"Dal centro operativo, signor commissario. Ci hanno informato in questo momento che c'è un morto all'interno di un'auto in via Ydras, a Ilioupoli."

"Il cadavere è stato identificato?"

"I colleghi della stazione di polizia mi hanno detto soltanto che non hanno toccato nulla, sarà lei a stabilire cosa fare."

"Bene. Avverti i miei collaboratori. Che vengano con un'autopattuglia. Appuntamento sul luogo del ritrovamento. Digli che convochino la Scientifica e il medico legale."

"E ora cosa c'è?" mi chiede Adriana, mezzo addormentata.

"Niente. Cose di servizio. Dormi."

Guardo l'orologio. È l'una e un quarto. Prendo i vestiti e mi trasferisco in soggiorno, per non svegliare Adriana del tutto. In dieci minuti sono pronto e scendo a prendere la Seat.

Imbocco viale Vouliagmeni e inserisco il navigatore perché la zona di Ilioupoli non la conosco bene e non voglio perdere tempo. Il navigatore mi porta verso viale Sofoklì Venizelou. Lì mi perdo completamente e seguo alla cieca le indicazioni della voce femminile finché non mi dice che sono arrivato a destinazione.

Via Ydras confina con il bosco di Ilioupoli. Da lontano vedo già le sirene delle autopattuglie. La gente, sui balconi, si gode lo spettacolo. A prima vista non scorgo né i miei né il furgoncino della Scientifica, tantomeno l'ambulanza. Evidentemente sono arrivato per primo.

L'autopattuglia si è fermata davanti a un'Audi. Il finestrino del conducente è abbassato, la portiera posteriore sinistra è aperta. Mi si accostano due agenti in divisa.

"Chi vi ha informati?" chiedo.

"Un inquilino. Il quartiere è molto tranquillo. L'uomo ha sentito uno sparo ed è uscito sul balcone. Ha riconosciuto la macchina e ha visto uno che prendeva qualcosa dal sedile posteriore. È corso subito a telefonare. Quando è tornato ad affacciarsi, il colpevole era scomparso."

"La vittima abitava qui?" chiedo.

"Sì, nel condominio di fronte ed era un giornalista molto conosciuto," mi risponde il secondo agente.

Non appena sento le parole "giornalista molto conosciuto", cominciano a suonarmi dei campanelli in testa. Non aspetto di ascoltare altro e corro verso la Audi.

Anche se l'agente mi aveva avvertito, lo spettacolo che vedo mi colpisce profondamente e mi ci vuole del tempo prima che riesca a recuperare il sangue freddo. Al posto del conducente è seduto Sotiropoulos. Il proiettile lo ha colpito in fronte e lo ha proiettato verso il sedile del passeggero. Ha gli occhi sbarrati che guardano in alto.

Puoi anche aver passato gran parte della tua esistenza a veder cadaveri, e molti di quei cadaveri possono anche essere stati vittime di un omicidio efferato. Ma è tutt'un'altra cosa vederti davanti, morto, un uomo che conosci da quando sei in servizio, con cui hai avuto scontri ma anche scambi di opinioni, che ti ha aiutato nei momenti difficili e che fino a ieri era in contatto con te.

Mi allontano dall'Audi perché non ce la faccio a vedere Sotiropoulos morto. Quando riesco a tornare alla macchina, è arrivata la seconda autopattuglia e il furgoncino della Scientifica.

I miei assistenti si accorgono che sono sconvolto e mi guardano inquieti: "Chi è il noto giornalista?" mi chiede Papadakis.

"Andate a vedere."

Tutti e tre vanno verso la macchina, mentre io mi avvicino a Dimitriou.

"Chi hanno ucciso?" mi chiede.

"Menis Sotiropoulos." Resta a guardarmi senza parole. "Per me è un colpo, sia sul piano professionale che su quello personale, ma per voi non mi pare ci sia troppo lavoro. Dobbiamo entrare in casa sua per ispezionarla. Hai portato un fabbro?"

"No, ma non credo che avremo difficoltà ad aprire la porta di un appartamento," mi risponde. "Se per caso non ce la dovessimo fare, allora lo chiamerò. È che non volevo svegliarlo inutilmente nel cuore della notte."

Dimitriou si allontana con i suoi aiutanti, mentre io vedo i miei avvicinarsi. Mi si fermano davanti e mi guardano smarriti.

"Questo non doveva succedere," mormora Dermitzakis.

"Sì, magari non era la persona più simpatica di questo mondo, ma non dovevano ammazzarlo così, come un cane," commenta Vlasopoulos.

"Lasciamo perdere, ragazzi, e vediamo che cosa possiamo fare a quest'ora," li incito, anche per reagire al dolore.

"Non è giusto svegliare la gente. Meglio tornare domattina," dice Dermitzakis.

"Ma la persona che ha telefonato alla polizia sarà sveglia di sicuro," ribatte Papadakis.

"Papadakis ha ragione. Penso che possiamo interrogarlo anche adesso. A quanto mi risulta Sotiropoulos era separato e viveva da solo. Quindi possiamo anche ispezionare casa sua."

"Come facciamo a essere sicuri che viveva da solo?" si chiede Vlasopoulos.

"Siamo sicuri," gli risponde Papadakis. "Se avesse avuto una donna o una famiglia ora li vedresti tutti qui a strapparsi i capelli. Viveva da solo."

Prima che andiamo a interrogare la persona che ha telefonato alla polizia, arriva un'ambulanza insieme a Stavropoulos. Avrei preferito vedere Ananiadis, con lui ci si intende meglio. E infatti Stavropoulos per prima cosa mi dice:

"Be', non faccio in tempo a tornare dalle ferie che mi sforni un omicidio."

"Hai ragione," replico. "La prossima volta chiederò all'assassino di lasciarti un periodo di riposo." Poi gli indico con un cenno l'Audi. "La vittima è in macchina che ti aspetta."

Gli agenti ci informano che la persona che ha chiamato si chiama Petrakis e abita al terzo piano dello stesso condominio di Sotiropoulos.

Decido di andare solo io, per non fare irruzione tutti e quattro alle tre del mattino.

Suono e mi aprono immediatamente. Mi accoglie un quarantacinquenne con i capelli radi.

"Prego," mi sussurra e si giustifica: "Mi scusi se parlo a bassa voce, ma non vorrei che si svegliassero i ragazzi, domani hanno scuola."

Annuisco e lo seguo in soggiorno. Ci aspetta anche sua moglie, un po' più giovane di lui, che ha indossato una vestaglia sopra la camicia da notte.

"Che orrore, Dio mio!" esclama sussurrando anche lei. "Che cosa terribile! Povero signor Sotiropoulos. D'accordo, sul lavoro avrà suscitato simpatie e antipatie, non dico di no. Ma finire così!"

"Ma dai, Ghianna," replica il marito. "Non gli hanno fatto niente quando dava veramente fastidio, perché dovevano ammazzarlo adesso che era in pensione?"

Petrakis mi indica una sedia e si accomoda, di fronte a me, sul divano. La moglie gli si siede a fianco.

"So che è molto tardi e non voglio trattenervi troppo," cerco di tranquillizzarli. "Solo le cose indispensabili. La testimonianza la raccoglieremo domani." Mi rivolgo a Petrakis: "Allora, mi dica esattamente che cosa ha visto."

"Stavo guardando un film in televisione quando ho sentito uno sparo. Sono corso al balcone e ho visto un uomo che aveva infilato una mano nel finestrino rotto e cercava di aprire la portiera posteriore. Allora sono andato subito a telefonare alla polizia. Quando sono uscito di nuovo sul balcone, l'uomo era scomparso."

"Si ricorda che ore erano, precisamente?"

Ci pensa su: "Il film stava per finire, sarà stata mezzanotte e mezzo, l'una."

"Ha per caso visto l'assassino in volto?"

"No. Mi dava le spalle."

"Ha fatto caso se c'era una moto vicino alla macchina di Sotiropoulos?"

Ci riflette di nuovo: "Ora che me lo dice, può darsi che ci fosse un motorino vicino alla macchina."

In effetti, il motorino è il mezzo più efficace per abbandonare in fretta il luogo di un delitto. "La ringrazio molto. Non ho bisogno d'altro," gli dico mentre mi alzo.

Petrakis mi accompagna alla porta. Torno in strada e vedo Stavropoulos che mi attende.

"Sarò breve," mi dice. "L'ora è tarda e il caso semplice. L'assassino ha sparato a bruciapelo. La mia sensazione è che abbia prima bussato contro il finestrino. Probabilmente, la vittima si è voltata per vedere chi lo stava chiamando e a quel punto ha ricevuto la pallottola in piena fronte. Se non si fosse accorto di nulla, il proiettile l'avrebbe colpito alla tempia."

Poteva anche conoscere la persona che gli ha bussato al finestrino, ma non è detto: se avesse visto una persona non particolarmente sospetta, anche se sconosciuta, non si sarebbe preoccupato.

"A che ora pensi sia avvenuto l'omicidio?"

Guarda l'orologio. "Tre ore fa, più o meno. Ti farò avere domani la relazione."

"Insieme alle due precedenti, immagino," gli ricordo con un po' di malevolenza.

Mi guarda palesemente seccato. "Non esce nulla dal mio ufficio prima che io l'abbia valutato," mi risponde, poi volta le spalle e se ne va senza salutare.

Dico a Dimitriou di darmi uno dei suoi aiutanti che si intenda di porte. Quindi, insieme ai miei, saliamo al quarto piano, dove si trova l'appartamento di Sotiropoulos. La serratura è semplice, l'agente della Scientifica la apre dopo aver armeggiato con qualche passepartout.

Accendiamo la luce e ci troviamo in un ampio ingresso che dà su due spaziosi locali. Il primo è un soggiorno diviso in due. Da una parte c'è un divano con due poltrone e un tavolino rettangolare in mezzo. Dall'altra un altro divano più piccolo insieme a due poltrone, il tutto rivolto verso un televisore dallo schermo enorme. L'altro locale è lo studio di Sotiropoulos. I muri, sia nel soggiorno che nello studio, sono tappezzati di libri fino al soffitto, mentre il tavolino rettangolare è coperto di riviste.

Le altre due stanze sono una camera da letto e una stanza per gli ospiti, con un divano, e anche qui le pareti sono coperte di libri. In casa regna un ordine perfetto, il che significa che qualcuno veniva a fare le pulizie.

"Madonna mia, quanto leggeva quest'uomo!" esclama ammirato Vlasopoulos.

Lascio ai miei aiutanti il compito di perquisire la casa, io non me la sento di mettere le mani tra le cose di Sotiropoulos. Vedo per la prima volta il luogo dove abitava e scopro una persona di grande cultura, con la passione per i libri, mentre la nostra relazione non era mai andata oltre i soliti scontri e qualche reciproco favore. E questo mi rende ancora più addolorato.

I miei assistenti sono di ritorno nel giro di mezz'ora. "Niente, signor commissario," dice Dermitzakis. "Non c'è assolutamente nulla che ci possa dare un'indicazione."

In fondo era quello che mi aspettavo. L'assassino non aveva né l'intenzione né il tempo di entrare in casa a cercare.

Papadakis va nello studio e si guarda intorno. Apre e chiude i cassetti. "Dove lavorava Sotiropoulos?" domanda.

"In un giornale e in una rete televisiva," gli rispondo. "Quando è andato in pensione ha aperto un suo blog."

"E non aveva un computer?" mi chiede. "Possibile che un giornalista con un blog non avesse un computer?"

Ci guardiamo perché nessuno ci aveva fatto caso. Del resto io ho la testa che è un uovo marcio.

"Già, dov'è il suo computer?" si chiede Vlasopoulos. "A meno che non lavorasse altrove."

"Oppure l'ha preso l'assassino," dice Dermitzakis. "L'ha visto sul sedile posteriore dell'Audi, ha aperto la portiera e l'ha preso."

Anche questa idea ha un senso.

"Non è escluso," concordo. "La domanda è se l'ha rubato per rivenderlo oppure se l'ha preso perché cercava qualcosa. E questo non lo sapremo finché non saremo andati avanti nelle indagini."

Non c'è altro da fare nell'appartamento e io ho fretta di andarmene di lì. L'aiutante di Dimitriou sigilla la porta con il nastro adesivo rosso.

Quando usciamo dal condominio, Sotiropoulos è già stato portato via in ambulanza.

Dimitriou mi si avvicina. "Non abbiamo trovato nulla di particolare. Se salta fuori qualcosa nell'ispezione della macchina, la informo."

In strada, dietro il nastro rosso vedo un gran numero di automobili e furgoni delle reti televisive. La notizia deve essere già circolata e sono arrivati i giornalisti per raccogliere notizie sul posto. Io ho fretta di andarmene prima che mi saltino addosso: in questo momento non ho niente da dire, e tra l'altro nessuna voglia di parlare.

Dico ai due agenti di Ilioupoli di aspettare che la Scientifica abbia portato via l'Audi di Sotiropoulos, e poi di andare pure a dormire.

Entro nella nostra autopattuglia insieme a Vlasopoulos e a Dermitzakis e lascio la Seat a Papadakis. Se mi mettessi a guidare a quest'ora nello stato d'animo in cui mi trovo, sarebbe come andare in cerca di guai.

 

 

26

Ieri sera l'ho scampata, ma era improbabile che potessi scamparla anche stamattina. Non appena esco dall'ascensore sento il rombo sordo del loro vociare. Mi avvio lungo il corridoio e li trovo tutti riuniti davanti al mio ufficio. Per fortuna, Koula mi aveva avvertito al cellulare, così non mi hanno preso alla sprovvista. La verità, però, è che non mi lasciano neppure la possibilità di entrare in ufficio, scatenano l'offensiva già sulla porta.

"Che cosa è successo, signor commissario?" grida Merikas che ha ereditato il posto di Sotiropoulos e crede di avere, di diritto, il privilegio di parlare per primo. "Chi è il pazzo che ha ucciso Menis Sotiropoulos?"

"Un ladro qualunque, oppure qualcuno a cui Menis aveva dato fastidio e che voleva vendicarsi," gli risponde il ragazzone che porta sempre la T-shirt di cotone, in inverno come in estate. Oggi la maglietta è nera e sopra, in lettere dorate, campeggia la scritta "justice", perfettamente intonata alle circostanze.

"Ragazzi, è ancora molto presto per tirare conclusioni," rispondo. "Le indagini non sono ancora cominciate. L'unica cosa che sappiamo è che gli hanno sparato a bruciapelo mentre era in macchina, ieri sera verso mezzanotte. Vi prometto che non appena avremo qualche sviluppo, vi avvertirò."

"Spero solo che le informazioni non tardino a circolare," commenta quella secca. "Capisce che Sotiropoulos era un collega, e il caso ci brucia in modo particolare."

Vorrei risponderle che a Sotiropoulos quando la vedeva venivano le bolle, ma lascio perdere. "Anche a me brucia e non solo sul piano professionale, anche su quello personale," le rispondo. "Ho conosciuto Sotiropoulos ben prima di conoscere molti di voi, e a parte i contrasti che possiamo aver avuto nutrivo grande stima per la sua capacità di giudizio e la sua moralità. Per questo le indagini mi riguardano direttamente."

La mia dichiarazione li mette a tacere, cominciano ad arretrare. "Buona fortuna, signor commissario," mi augura quella bassetta con i collant rosa quando mi passa davanti.

Aspetto che il corridoio davanti a me si vuoti e convoco i miei in riunione. Ci accordiamo per iniziare le indagini dal quartiere e dal condominio dove abitava Sotiropoulos. Ne potrebbero risultare indizi utili a determinare un piano d'azione.

Decido di ritardare di poco l'inizio delle operazioni, perché salgo prima al quinto piano per fornire un veloce ragguaglio a Ghikas.

"Andava già male, non poteva che peggiorare," commenta lui. "Ci mancava anche questo. Hai qualche idea su chi potrebbe averlo ucciso o è ancora troppo presto?"

"Ieri notte abbiamo sbrigato le formalità indispensabili. Sostanzialmente, le indagini cominciano oggi."

"Voglio che tu mi tenga costantemente informato, temo che avremo grossi problemi non solo con il vicecomandante, ma anche con il mondo politico."

Gli prometto che lo aggiornerò regolarmente e scendo al terzo. Stavolta lascio di picchetto Dermitzakis e prendo Koula con me. Dato che interrogheremo nuclei famigliari è probabile che Koula mi sia di maggior aiuto. Ci chiediamo se è il caso di informare la stazione di polizia di Ilioupoli, ma desistiamo: non possono darci alcun sostegno.

Lungo il tragitto restiamo in silenzio: vedendomi assorto, i miei assistenti evitano le chiacchiere.

La strada in cui abitava Sotiropoulos è molto tranquilla, come se la notte prima non vi fosse accaduto nulla. Il nastro rosso è scomparso. Facciamo una rapida riunione e decidiamo di ripartire dal condominio di Sotiropoulos e Petrakis, la persona che ha telefonato al pronto intervento.

Koula e io parleremo con i condomini, Papadakis e Vlasopoulos andranno a interrogare i negozianti e gli edicolanti, per sondare i movimenti di Sotiropoulos nelle ultime ventiquattro ore.

Ci apre la signora Petrakis. "Prego," dice e ci fa accomodare in salotto.

"Scusi il disturbo, volevamo farle qualche altra domanda," le spiego. "Ieri non era né l'ora né il momento adatto."

"Chiedete pure, anche se ho la testa come svuotata: sarà un po' per lo shock, un po' per l'insonnia..."

"Da quanto tempo conoscevate Menis Sotiropoulos?"

"Da quando ci siamo trasferiti in questa palazzina." Riflette. "Saranno cinque anni. Ricordo che il giorno stesso in cui abbiamo traslocato ci aveva bussato alla porta per chiedere se avevamo una scala. Ci siamo conosciuti così. Certo, si trattava di una conoscenza formale, limitata alle volte in cui ci complimentavamo per le sue inchieste giornalistiche."

"Avete notato qualche cambiamento nel suo modo di comportarsi ultimamente?" chiede Koula.

La signora Petrakis esita un istante a rispondere. "Se si possono considerare cambiamenti le risposte che ci dava nell'ultimo periodo."

"Che cosa intende dire? Che tipo di risposte?"

"Una volta, quando ci congratulavamo, rispondeva: 'Bontà vostra!' Negli ultimi tempi, invece, aveva cambiato e diceva: 'Mah, tanto... alla porta del sordo puoi bussare all'infinito.'"

"E quand'è che è cambiato? Se ne ricorda?" le chiedo.

"Sarà un paio di mesi," risponde dopo un'altra esitazione. "E quando c'è stato l'assassinio dell'armatore ci aveva detto anche un'altra cosa."

"E sarebbe?" chiede Koula.

"'Siamo una repubblica delle banane,' diceva. 'Chiunque vada al governo, sempre repubblica delle banane resteremo.'" Dato che conosco le perplessità che nutriva Sotiropoulos riguardo al caso Chardakos, non mi stupisce affatto questo atteggiamento.

Alle due porte successive non apre nessuno, finché suoniamo a un appartamento del primo piano, esattamente sotto quello dei Petrakis. Apre una signora anziana con i capelli bianchi. Le mostriamo i tesserini della polizia.

"Non so niente. Non ho niente a che fare con quella persona," dichiara secca e fa per chiuderci la porta in faccia.

Sto per infilare il piede tra lo stipite e il battente e minacciare di convocarla in Centrale, ma Koula mi anticipa.

"Ma che meraviglia!" esclama estasiata.

"Cosa?" chiede l'arpia rinsecchita, mentre io temo che a Koula abbia dato di volta il cervello.

"Quel buffet di fronte. È stupendo!"

Non so a che buffet si riferisca, ma quel che vedo appoggiato al muro è un mobile piuttosto appariscente pieno di cassetti.

"Le piace?" chiede l'arpia mutando radicalmente tono. "È un regalo di mia figlia, che è direttore amministrativo in un grande mobilificio e ce l'ha regalato."

"Ah, mi ha colpito davvero!" le dice con aria ammirata Koula. "Posso vederlo da vicino?"

"Ma certo. Si accomodi."

Koula entra nell'appartamento e io la seguo perché solo ora ho capito il suo gioco. Continua a studiare il mobile e fa all'arpia con i capelli bianchi una serie di domande. Intanto io resto in paziente attesa che il ghiaccio si sciolga, per procedere a un secondo tentativo di interrogarla.

In quel mentre, dal fondo dell'appartamento compare un uomo ancora più anziano della donna. "Che cosa c'è, Theanò?" chiede.

La domanda riporta sulla terra Theanò che si ricorda chi siamo. "Sono della polizia," spiega al nuovo arrivato. "Sono venuti a interrogarci su quel tale, Sotiropoulos. Ma poi la ragazza ha visto il buffet che ci ha regalato Meri, le è piaciuto tanto e voleva osservarlo da vicino."

"Volevamo farvi qualche domanda sul giornalista che hanno ucciso ieri notte, Menis Sotiropoulos," spiego all'anziano.

"Entrate, accomodatevi," ci dice l'uomo facendoci strada.

Entriamo in un soggiorno arredato con mobili antichi di famiglia. L'unico "pezzo" moderno è il televisore. Evidentemente, la generosità di Meri non è bastata a rinnovare tutto l'arredamento, ma si è fermata al buffet.

"Pandelis Telesidis," si presenta il signore. "Che cosa volete sapere riguardo a Sotiropoulos?"

"Se lo conoscevate e che opinione vi eravate fatti di lui."

"Io lo conoscevo e lo stimavo. Era uno di quei giornalisti che diceva pane al pane e vino al vino."

"Dai, non esagerare," interviene la moglie, molto meno convinta. "Era un comunista, e per lui nessuno valeva una cicca. Solo i suoi erano bravi e onesti. Tutti gli altri erano ladri e corrotti."

"A mia moglie non piaceva perché aveva messo nel mirino Alba Dorata," mi spiega e poi tace. Sembra incerto sul da farsi, ma alla fine continua: "Uno sposa una donna, signor commissario, e per cinquant'anni conduce una vita matrimoniale perfetta; tira su tre figli, si appoggia alla moglie e le dà a sua volta appoggio. Poi, all'improvviso, quando compie settant'anni la moglie diventa sostenitrice di Alba Dorata. Non che si tatui una croce uncinata sul braccio oppure vada a manifestare con quei tipi palestrati e rapati a zero, ma ciononostante è decisamente dalla loro parte, fino al midollo."

"Sono diventata una sostenitrice di Alba Dorata perché sono gli unici che possono restituirci la dignità," ribatte la moglie.

Il marito continua a ignorarla e si rivolge a me. "Ora, come la croce uncinata e la dignità possano stare insieme, lo sa solo lei."

"Avete notato qualche cambiamento nel modo di comportarsi di Sotiropoulos negli ultimi tempi?" chiedo al marito, anche per interrompere il bisticcio prima che esploda. "Le era sembrato inquieto, come se qualcosa lo preoccupasse?"

"Per nulla," risponde categorico. "L'ultima volta che l'ho visto è stato proprio la sera in cui l'hanno giustiziato. Ci siamo trovati nell'ingresso e abbiamo scambiato due parole di sfuggita. Anzi, mi ha chiesto come vanno i reumatismi di Theanò. Chiedeva sempre di lei, anche se ne conosceva le convinzioni politiche."

"Il perfetto ipocrita," controbatte la moglie.

"Ha per caso notato se aveva in mano qualcosa quando l'ha incontrato?"

"No, in mano non aveva nulla. Ma aveva uno zaino sulla spalla, come sempre."

"Perché ha detto che l'hanno giustiziato?" chiede Koula. "Crede che sia qualcosa di più di un semplice omicidio?"

"L'unica spiegazione che posso dare, ragazza mia, è che l'abbiano giustiziato quelli di Alba Dorata," risponde Telesidis. "L'hanno giustiziato perché gli dava continuamente fastidio e perciò lo odiavano."

"Gli uomini di Alba Dorata sono patrioti, non assassini," esclama la moglie.

Mi alzo, visto che non abbiamo nient'altro da sapere e non mi va di fare da spettatore a una baruffa coniugale.

Chiedo a Koula di prendere i dati della coppia. Lei se li appunta e usciamo nell'ingresso. Nessuno dei due ci accompagna. Il buffet è l'unico a salutarci.

"In ogni caso, l'idea che siano stati quelli di Alba Dorata non è per niente campata in aria," commento con Koula mentre scendiamo le scale. "Sotiropoulos non nascondeva le sue idee politiche ed era spesso aggressivo."

"Non è escluso. Se poi sapessimo che cosa ha preso l'assassino dal sedile posteriore, ne saremmo ancora più certi."

Troviamo Vlasopoulos e Papadakis che ci aspettano davanti al condominio.

"Avete scoperto niente di sconvolgente?" gli chiedo.

"No, ma c'è una cosa che vale la pena che ascolti con le sue stesse orecchie," risponde Vlasopoulos.

Parte in quarta e noialtri lo seguiamo. Si ferma a un'edicola che si trova in diagonale rispetto alla palazzina.

"Kyr Ghiannis, di' al commissario che cosa hai visto," chiede Vlasopoulos all'edicolante.

L'edicolante ci si avvicina. "Nell'ultimo periodo vedevo un asiatico circolare da queste parti. Ora, di dove fosse non saprei dirvelo. Sembrano tutti uguali."

"E cosa faceva?" gli chiedo.

"Niente. Gironzolava, a volte stava davanti all'edicola, altre sul marciapiede e si guardava intorno. Oppure parlava a un telefonino di vecchia generazione. È anche venuto da me per comprare dei fazzoletti di carta, e gli ho chiesto che cosa ci faceva qui. Mi ha risposto che aspettava un tizio che gli aveva promesso un lavoro. Io gli ho detto che se quel tale non si era ancora fatto vedere probabilmente non sarebbe venuto più. Lui mi ha risposto che se non hai niente da fare te ne stai ad aspettare, magari alla fine il tizio arriva."

"Quanto tempo è durata la faccenda, te lo ricordi?"

L'edicolante fa un rapido calcolo. "Di sicuro almeno una settimana. Ma potrebbe anche essere stato di più."

"Il greco lo parlava bene?" chiede Vlasopoulos.

"Aveva la pronuncia straniera, ma si esprimeva senza difficoltà."

"Quando l'hai visto l'ultima volta?" chiede Papadakis.

"Ieri pomeriggio era ancora qui in giro. A un certo punto mi si è avvicinato e mi ha detto che il tizio che aspettava sarebbe venuto di sicuro. Quando ho chiuso l'edicola se n'era andato. Ora, se se n'è andato da solo oppure con quello che gli aveva promesso il lavoro, non lo so."

"A che ora chiudi?" domanda Koula.

"Verso le otto. Da quel momento in poi la strada si svuota."

Lo ringraziamo e lui torna alla sua edicola.

Se l'asiatico ha a che fare con l'omicidio, allora si può escludere che Sotiropoulos sia stato ucciso da Alba Dorata. Loro non avrebbero mai fatto combutta con un immigrato.

Ora sappiamo che Sotiropoulos è uscito di casa con lo zaino in spalla. Ed è certo che gli è stato sottratto dall'assassino. Il problema è che non sappiamo che cosa ci fosse dentro.

 

 

27

Torno a casa con il trittico che uccide: lo stress psicologico per l'uccisione di Sotiropoulos, più la stanchezza dovuta alla pressione e alla tensione del giorno, più l'insonnia dovuta all'ultima notte in bianco. Tutto questo ha cancellato persino la fame. L'unica cosa a cui penso è il momento in cui potrò mettermi in posizione orizzontale.

Ma le sorprese che la vita ci riserva sono perlopiù sgradite. Trovo il soggiorno vuoto e passo al domicilio primario di Adriana, ossia la cucina. È lì, intenta a stirare. Solleva lo sguardo dall'asse da stiro e mi guarda.

"Stasera mangiamo fuori," mi fa.

"Proprio oggi ti è venuta voglia di uscire a cena?" le chiedo mentre mi abbandono sulla seggiola davanti a lei.

"Ti ho mai chiesto di portarmi a mangiare fuori? L'invito non viene da me, ma da Caterina. Deve farci un annuncio."

"Che cosa dovrà annunciarci?"

"E che ne so? Se vuoi la mia opinione, ci annuncerà che è incinta."

"Ma come ti viene in mente?"

"È semplice. Prima ti sposi, poi ottieni uno stipendio migliore e un appartamento più grande e alla fine arriva anche il bambino."

Lo dice e si scioglie dalla gioia, ma io che ho il nervoso sto per dirle che chi ha fame sogna pagnotte. Ma evito, perché penso che se davvero Caterina fosse incinta la mia gioia non sarebbe inferiore alla sua.

La cena è stata prenotata al ristorante italiano dove avevamo mangiato la volta scorsa. Forse sarebbe più logico andare in taxi invece che con la Seat, ma ci ripenso. Certo, Adriana si roderà il fegato nel timore che succeda qualcosa che le rovini la serata. L'unica cosa che posso fare è limitarmi a un bicchiere di vino per gli auguri, in modo che al ritorno non rischi di addormentarmi al volante.

Adriana è assolutamente certa che la notizia riguardi il fatto che Caterina è "in stato interessante", e si è messa in grande spolvero per l'occasione.

Quando arriviamo al ristorante il quartetto formato da Caterina, Fanis, Mania e Uli è già lì.

"Papà, tu lo conoscevi questo Sotiropoulos che hanno ammazzato?" mi chiede Caterina dopo tre abbracci e una stretta di mano.

"Sì, da molti anni. Era una persona difficile ma anche un giornalista molto capace. E nonostante il suo carattere indisponente, se gli chiedevi un aiuto non te lo negava mai."

"Perché lo hanno ucciso?" chiede Uli. "Mania mi ha detto che era in pensione. Che cosa ci si guadagna a uccidere un giornalista in pensione?"

"Non lo so," gli rispondo. "Magari è stata una rapina finita male. Forse qualcosa di più serio. Ma è presto per dirlo."

Voglio cambiare argomento perché so che mi rovinerei la serata. Lancio uno sguardo a Adriana. La conversazione la lascia indifferente, aspetta con ansia il momento in cui Caterina ci darà la grande notizia.

Arrivano le pietanze con il vino, e prima di sollevare i bicchieri Fanis lancia un'occhiata a Caterina come per dirle: "Dai, parla, non farli impazzire!" Caterina capisce il messaggio e ci guarda, mentre noi tutti restiamo in silenzio.

"Vi ho invitati per dirvi una novità che può cambiare la mia vita professionale."

È andata male, dico tra me e me. Se speravamo nella gravidanza, stiamo freschi.

"Una delle nuove aziende che si sono stabilite in Grecia mi ha proposto di assumermi come consulente legale con uno stipendio mensile e un extra per le eventuali sedute in tribunale."

Ha finito e scoppia un applauso, "Brava!", "Congratulazioni!", mentre penso che la previsione di Adriana si è avverata a metà. Caterina si è assicurata uno stipendio migliore, ma l'erede resta ancora in sospeso.

Se Adriana è rimasta delusa dalla notizia non lo dà a vedere. Si alza con impeto e va ad abbracciare Caterina: "Bambina mia, che Dio ti benedica. Ti faccio i miei complimenti e sono orgogliosa di te!" le dice baciandola sulla guancia.

La seguo, e rifletto che sto trovando conferma a quanto ho imparato nei tanti anni vissuti insieme. Adriana sa gioire di quello che le arriva, anche se non è esattamente quanto si aspettava. Stasera è venuta aspettandosi di diventare nonna, ma se n'è dimenticata subito e ora è felice del successo professionale della figlia. E questo è uno dei suoi segreti, ciò che le permette di resistere alle difficoltà, penso tra me e me. Non chiede nulla alla vita: si adatta a quanto la vita le dà.

Ora è il mio turno di alzarmi per andare a baciare Caterina. "Ma com'è successo? Racconta... tutto a un tratto!"

"Papà, non so che dirti. Stamattina, appena sono entrata in ufficio, ho ricevuto una telefonata da un certo signor Avramidis che mi ha chiesto di presentarmi negli uffici della sua azienda in via Anagnostopoulou, perché desiderava farmi un'offerta di lavoro. Quando sono arrivata, Avramidis mi ha portato nell'ufficio del direttore generale, un certo Bolten, il quale mi ha fatto l'offerta che vi ho detto."

"E tu che cosa hai risposto?"

"Cosa potevo rispondere? Ho accettato subito. D'accordo, sarò anche fissata con i problemi degli immigrati, ma non sono completamente idiota."

"È un esempio anche per te, che passi il tempo a fare le pulci alle aziende che si trasferiscono in Grecia," commenta Mania rivolta a Uli.

"Magari gli faccio le pulci, ma non ho mai detto che quelle aziende non sono legali," replica Uli. Poi, rivolto a Caterina: "Non gli hai chiesto come ti hanno selezionato?"

"Certo che gliel'ho chiesto. Bolten mi ha risposto che non volevano affidarsi a un grosso studio con molti clienti. Volevano un consulente legale che lavorasse in esclusiva per loro. Hanno fatto una ricerca e sono arrivati a me."

"Ora non avrai niente da ridire se ci trasferiamo in un appartamento più grande," dice ridendo Fanis rivolto a Adriana. "Caterina sarà costretta a lavorare anche a casa."

"Vi auguro di comprarlo, Fanis. Ve lo meritate," gli risponde Adriana, che naviga in un mare di felicità.

Ci mettiamo tutti a mangiare di ottimo appetito. Io ho dimenticato Sotiropoulos, la stanchezza e il sonno, e non mi limito certo a un solo bicchiere di vino, come peraltro avevo promesso a me stesso.

"Comunque, non ci hai preso. Non era incinta come ti eri immaginata," punzecchio Adriana sulla strada di casa.

"Mi sono sbagliata sul bambino, non sulla gravidanza."

"Che cosa vuoi dire?" le chiedo stupefatto.

"Be'. Quello che ci ha detto è una sorta di gravidanza. Aspetta un futuro sicuro," mi risponde.

Scoppio a ridere, ammirando la sua agilità mentale: per ogni cosa ha sempre la risposta pronta. Lei, nel frattempo, si fa il segno della croce:

"Che Dio li mantenga in salute, Madonna mia. Sia mia figlia sia Fanis."

Sono sicuro che stanotte dormirò come un bebè.

 

 

28

A regola, uno dovrebbe essere contento e godersi la brioche. Finalmente, dopo anni, Caterina ha trovato un lavoro che può assicurarle un'entrata fissa. Certo, è giusto occuparsi dei problemi degli immigrati, ma uno studio legale è una cosa ben diversa da un'organizzazione non governativa. So con quanta fatica Caterina tira avanti con il solo stipendio di Fanis, dato che lei, con il lavoro per gli immigrati, raccoglie solo spiccioli.

C'è qualcosa, però, che mi turba. È come se mi pavoneggiassi per il mio nuovo vestito e allo stesso tempo temessi che possano mangiarlo le tarme. Ma la domanda è: quali tarme? La tarma che si è mangiata Sotiropoulos? Il suo non è un omicidio qualunque, per me. Mi ha colpito profondamente e devo stare molto attento a non fare qualche cappellata. L'altra tarma sono i soldi. Nessuno mi toglie dalla testa che i due omicidi di Lalopoulos e di Chardakos siano legati tra di loro e abbiano come punto comune di partenza il denaro. Ora, se si tratti di denaro sporco o pulito è ancora da definire, ed è proprio qui che comincia il difficile. Innanzitutto, c'è il vicecomandante che mi frapporrà di sicuro una barriera, e poi c'è anche il fatto che io di questioni economico-finanziarie non capisco niente. Avrò per forza bisogno di aiuto e nessuno avrà voglia di fornirmelo, dato che tutti faranno ben attenzione a pararsi il didietro.

Insomma, oscillo tra buone notizie e pensieri tetri quando squilla il telefono.

"Kyriazidis, buongiorno signor commissario."

"Buongiorno," dico e maledico me e i miei avi per quattordici generazioni perché non ho pensato di mettermi in contatto con l'amico di Sotiropoulos al ministero della marina mercantile.

"Vorrei parlarle, ma non in Centrale, e neanche al Pireo," dice. "Conosce un luogo dove potremmo sfuggire a sguardi indiscreti?"

Ci rifletto sopra mentre continuo a maledire me stesso, e alla fine gli propongo un caffè sul viale Kifisias, vicino alla Croce Rossa.

Lascio passare una mezz'ora e prendo il filobus verso Ambelokipi. Preferisco evitare di andare a piedi per non imbattermi in colleghi o conoscenti ai quali dovrei dare spiegazioni o inventare scuse.

Trovo Kyriazidis che mi aspetta con un cappuccino. "Mi sono dato malato e ho preso un permesso per poterle parlare," esordisce dopo che abbiamo terminato i convenevoli.

"Mi ha anticipato, anch'io volevo parlarle, ma avevo da sbrigare le varie formalità delle indagini," gli rispondo, mentre penso che non sono riuscito a evitare le solite scuse.

Kyriazidis entra subito in tema. "Prima che lo ammazzassero, Menis mi aveva chiesto se ci potevamo incontrare con urgenza. Voleva sapere se avevo informazioni sugli incidenti in cui erano state coinvolte le navi della West Shipping. Gli ho spiegato che era molto improbabile che sapessimo qualcosa dall'Ucraina, data la situazione politica da quelle parti. E che, in base a quanto sappiamo sull'incendio in Thailandia, non abbiamo ragione di avere particolari sospetti. Lui ha ribattuto che, a parer suo, qualcosa di strano doveva esserci per forza, perché aveva saputo che l'assicurazione si era rifiutata di pagare, e mi ha chiesto se potevo confermargli la notizia. Gli ho promesso che ci avrei provato, ma ho anche sottolineato che per l'incidente di Odessa non avrei potuto essergli di aiuto. 'Non ce n'è bisogno,' mi ha detto. 'Ho informazioni più che affidabili secondo cui la nave è stata affondata dalla mafia ucraina in combutta con quella russa.' Quando gli ho chiesto com'è possibile che collaborino due mafie i cui paesi sono ai ferri corti, è scoppiato a ridere. 'Figurati: anche durante la guerra in Jugoslavia, proprio mentre Serbia, Bosnia e Croazia si massacravano a vicenda, tutte le mafie della zona collaborarono per violare l'embargo e procurare petrolio di contrabbando a Miloševic,' mi ha risposto. Allora gli ho chiesto da dove gli veniva l'informazione che la nave di Chardakos era stata affondata dalle mafie, e lui si è incupito e mi ha risposto: 'Lascia stare, va'. Meglio che tu non lo sappia.'" Kyriazidis fa una pausa, come volesse scegliere bene le parole. "Sembrava molto inquieto, signor commissario. Non so che cosa avesse scoperto, ma era davvero preoccupato. L'ho capito quando mi ha detto 'meglio che tu non lo sappia'. Lì per lì ho pensato a una preoccupazione di ordine professionale, ma ripensandoci ho capito che era angosciato, non solo inquieto. Purtroppo, molte cose le capisci solo davanti al fatto compiuto," conclude con un sospiro.

"Non le ha detto nient'altro? Qualcosa che le sia sembrato insolito?" gli chiedo.

"No, le ho riferito esattamente la nostra conversazione."

"Ha fatto qualche ricerca sulla faccenda dell'assicurazione?"

"Sì, ma ho saputo soltanto che gli ispettori della compagnia assicurativa continuano a indagare sull'incidente. Non è poi un fatto così anomalo, specialmente quando si tratta di navi mercantili su cui può succedere di tutto. In ogni caso non c'è stato un rifiuto ufficiale di risarcire il danno. Ora, come facesse Menis a essere tanto sicuro che l'assicurazione non avrebbe pagato, ecco, questo non lo so."

"Dove si trova la compagnia di assicurazione?" chiedo.

"La sede è a Londra. È una compagnia inglese, è impossibile che giochino sporco."

"L'altra volta che ci siamo incontrati, mi aveva detto che era impossibile che la compagnia di Chardakos avesse fatto affondare la nave per incassare il risarcimento dell'assicurazione."

"Cosa vuole che le dica? Dopo l'assassinio di Menis tutto mi sembra possibile. In ogni caso, per me è stato un fulmine a ciel sereno. La West Shipping è una compagnia troppo grande per correre rischi con questi giochetti sporchi. Se facessero cose del genere e venissero scoperti, andrebbero in rovina."

A Sotiropoulos non interessava l'assicurazione, dico tra me e me. Aveva individuato una falla da qualche altra parte. Se l'assicurazione non avesse pagato, i suoi sospetti sarebbero semplicemente stati confermati.

"La ringrazio per le informazioni," dico a Kyriazidis. "Ci saranno molto utili per le indagini. Naturalmente, per adesso non conosciamo ancora il movente dell'omicidio. Potrebbe essere la rapina. Lo dico perché l'assassino ha sottratto lo zaino di Sotiropoulos dal sedile posteriore dell'auto. E proprio perché sono aperte tutte le possibilità, può darsi benissimo che le informazioni che ci ha dato risultino molto preziose."

Chiamo il cameriere, ma mi blocca. "Lasci pure stare. Mi fermo ancora un po'. Le do il numero del mio cellulare. Se avesse bisogno di altro, mi chiami."

Decido di tornare a piedi per mettere ordine nei miei pensieri. È chiaro che Sotiropoulos ha trovato qualcuno che lo ha messo a parte del naufragio doloso della nave della West Shipping a Odessa. E quell'informazione lo ho portato alla mafia. Così si spiegano anche le domande che aveva fatto durante la conferenza stampa presso il ministero della marina mercantile, presenti gli armatori. D'altra parte, mi pare un'ipotesi molto stiracchiata cercare di collegare gli armatori con la mafia. Nessun grande armatore sarebbe così idiota da trasferire un carico di merce regolarmente denunciato dalla mafia russa a quella ucraina. E nessuna mafia sarebbe così stupida da far saltare in aria un carico che le era destinato.

Sotiropoulos aveva senz'altro trovato qualcosa a proposito della nave incendiatasi in Thailandia. Ciò significa che anche lì aveva i suoi dubbi. Certo, secondo Kyriazidis l'assicurazione non ha dichiarato che non pagherà il risarcimento, ma solo che stanno facendo dei controlli. Che cos'altro sapeva, Sotiropoulos, per essere così sicuro che non avrebbero pagato?

Inoltre, resta aperta ancora un'altra questione. Se l'ipotesi di Sotiropoulos sul coinvolgimento della mafia regge, allora il caso Chardakos è collegato all'omicidio Lalopoulos, perché la mafia sta alla base del traffico di stupefacenti. Entrare nel narcotraffico senza il suo coinvolgimento e il suo controllo è impossibile.

Petros Markaris - Il prezzo dei soldi
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