«Viviana Fuentes.» Il nome aveva un suono strano per la pronuncia cantilenante di Chitra. «Alpinista solitaria. Molto grave.»

«È sopravvissuta?»

«Grande enigma. Donna scomparsa.»

«Sulla montagna?»

«No. Dopo. Donna portata in elicottero a Medical College Teaching Hospital a Kathmandu. Molto grave, portata su barella. Dottore arriva, paziente andata.»

«Morta?» Giusto per essere chiari.

«No. Uscita.»

«Poteva camminare?»

«Forse lei non così grave a quota più bassa. Succede. Forse confusa. Succede anche questo. Nessuno sa.»

«Poi, niente?»

«No, anzi.» Riuscivo quasi a sentirlo sorridere. «Chitra è un tipo curioso. Chiamo amico in Immigrazione. Scopro che qualcuno con passaporto di Viviana Fuentes prende volo da Kathmandu, Nepal, a Santiago, Cile.» In sottofondo un fruscio di carte. Parecchie carte. Poi: «È successo 5 giugno 2012».

Ringraziai Chitra e riagganciai. Provai a concentrarmi. Mi sfregai le tempie. Ancora più concentrata. Poi mi buttai sulla tastiera.

Le immagini non erano molte, ma c’erano. Il Signore sia lodato per i social media.

Una donna sorrideva verso l’obiettivo, in posa sulla terrazza di quello che sembrava un rifugio alpino. I capelli biondi erano più corti, la sua corporatura un po’ più robusta. Per il resto, la somiglianza tra Viviana Fuentes e Brighton Hallis era disarmante. Cliccai su altre immagini. Potevano essere gemelle.

Lessi che Viviana Carmen Fuentes era nata a Santiago del Cile nel 1987, un anno prima che Brighton Hallis venisse al mondo. Aveva frequentato l’Università di Santiago e dopo la laurea lavorava come consulente informatica freelance.

Scoprii che la somiglianza tra Viviana e Brighton non era soltanto fisica. Appassionata di montagna fin da piccola, a nove anni aveva guadagnato un momento di notorietà come la persona più giovane ad aver raggiunto la vetta dell’Ojos del Salado, nelle Ande. Era stato suo padre, Guillermo Fuentes, a insegnarle a scalare e lui stesso era stato un alpinista di tutto rispetto. Era morto in una tormenta sul Denali quando Viviana aveva quindici anni.

Scoprii anche che il sito web di un’organizzazione benefica collegava le imprese ad alta quota di Viviana a finanziamenti per la ricerca sull’Alzheimer, in onore di sua madre afflitta da quella malattia. Sulla sua pagina Facebook, Viviana proclamava che con l’Everest avrebbe completato le sue Sette Cime. Stranamente, la pagina non era stata aggiornata dopo il 2012.

Inoltre, scoprii anche che Viviana Fuentes era morta.

Era morta tentando di arrivare in cima all’Aconcagua, una montagna che aveva scalato con successo in passato. L’incidente risaliva a quattro mesi prima.

Io non credo alle coincidenze.

Qualche altra ricerca su Google e ottenni ciò che mi serviva. Controllai l’ora. Visitai di nuovo il sito con i fusi orari. A Mendoza, in Argentina, erano un’ora avanti. Troppo tardi per chiamare. E troppo tardi anche per me, che ci facevo ancora al lavoro?

Frustrata e sfinita, spensi il computer. Non mi erano mai capitati tanti colpi di scena in un unico caso. Mentre guidavo verso casa, il mio cervello esausto continuava a macinare domande.

Brighton Hallis aveva scambiato l’identità con Viviana Fuentes? Perché? Per evitare di essere arrestata? Lo scambio era concordato? La donna nella mia cella frigorifera era Viviana Fuentes? Se non era Fuentes, allora chi era? E l’assassino chi aveva voluto uccidere?

 

10.

 

Ricominciai a lavorare presto. Prima di iniziare il giro di telefonate raccolsi informazioni sull’Aconcagua. Situato in Argentina, a est del confine cileno, con i suoi 6900 metri è il picco più alto del mondo dopo la catena dell’Himalaya. Sebbene non sia considerata una scalata tecnicamente complicata, ogni anno qualcuno lascia le penne sull’Aconcagua, tanto che la montagna detiene il dubbio record della più alta percentuale di morti ad alta quota del Sud America. L’ultima vittima registrata su quella vetta era Viviana Fuentes.

Inoltre, l’Aconcagua era incluso nella lista delle Sette Cime di Brighton Hallis. Una teoria prendeva lentamente corpo nella mia mente.

«Era più forte di te, eh?» Agguantai il telefono e composi una lunga sequenza di numeri. Rimasi ad ascoltare la cruda statica del collegamento internazionale: brrrppp. «Volevi che papà fosse fiero della sua bambina.»

Un altro brrrppp, poi una donna che sparava una raffica di parole in spagnolo. «Centro de Visitantes de Aconcagua Parco Nacional.»

Risposi in spagnolo, ma molto più lentamente.

«Sì, come posso aiutarla?» Passò subito a un inglese fluente.

Perfetto. Il mio spagnolo era arrugginito. Approfittai del suo invito e spiegai la ragione della mia telefonata.

«Mi lasci cercare il fascicolo» Sentii il cigolio di un cassetto che si apriva. Qualcosa che si rovesciava. Qualcuno che frugava. Il rumore della carta. «Ah, sì, che tragedia. Miss Fuentes aveva acquistato un permesso in alta stagione, senza guida, per la Valle de la Vacas.»

«Può spiegarmi meglio?» Por favor.

«Certo. Ci sono due accessi al parco e numerosi percorsi per le scalate. I prezzi dei permessi variano a seconda della stagione e della presenza o meno di guide. Miss Fuentes voleva scalare in solitaria il ghiacciaio dei Polacchi. È il nostro percorso più difficile.»

«Quanto difficile?»

«Il ghiacciaio dei Polacchi è più isolato e molto più arduo della Ruta Normal. Presenta pareti di neve e ghiaccio con pendenze da cinquanta a settanta gradi che richiedono una grande esperienza in arrampicate su ghiaccio, protezione e scalate con corde. Pochi alpinisti scelgono questo percorso, come ha fatto Miss Fuentes. In base al suo curriculum era qualificata per richiedere quel permesso.» Altro fruscio di carte. «Stando al nostro registro, è entrata nel parco presso la stazione a Pampa de Lenas, il ventotto dicembre.»

«Quante altre persone erano sulla montagna nel periodo della sua scalata?»

Questa volta udii digitare su una tastiera. «Quando Miss Fuentes è entrata nel parco, sul ghiacciaio dei Polacchi c’erano tre gruppi. Abbiamo registrato solo un altro alpinista quel giorno. Un americano. Anche lui in solitaria.»

«Ha il nome di questo alpinista?»

«Solo i dati aggregati con numeri e nazionalità. I permessi individuali sono archiviati in base al nome e non alla data della richiesta. Per trovarlo bisogna spulciare ogni singola voce nel registro» sospirò. «Se mi lascia un recapito, la richiamerò dopo.»

Accettai l’offerta e lasciai il numero del mio cellulare. «Mi piacerebbe avere i nomi di tutti gli alpinisti giunti in vetta alla stessa ora di Miss Fuentes.»

«Stando ai dati aggregati, nessun altro ha richiesto permessi per il ghiacciaio dei Polacchi fino al trenta dicembre, quando un gruppo di alpinisti tedeschi ha iniziato la scalata.»

«Sono stati i tedeschi a trovare il corpo?»

«No. Quando Miss Fuentes non è rientrata nel tempo previsto, un ranger è andato a cercarla. Il gruppo di tedeschi ha riferito di aver visto un alpinista scendere da solo, ma di non essersi imbattuto in Miss Fuentes. Si presume che sia morta poco dopo aver raggiunto la vetta.»

«I ranger possono localizzare gli alpinisti? Ho capito bene?»

«Ufficialmente non esiste un sistema di monitoraggio sulla montagna. I permessi sono validi per venti giorni. Gli alpinisti sono incoraggiati a munirsi di radio. In caso di necessità, un ranger si mette sulle loro tracce.»

«Nel caso di Miss Fuentes, la necessità è sorta per...» lasciai la frase in sospeso.

«Il ritmo della salita dipende dalle condizioni meteo e dalle capacità degli alpinisti. Molti di loro arrivano al parco già acclimatati e pronti a salire. Dalla stazione dei ranger a Pampa de Lenas ci vogliono due giorni per arrivare al campo base. Da lì ci si mette un altro giorno per raggiungere il Campo Uno, e un altro ancora per il Campo Due. Partendo dal Campo Due, per arrivare alla vetta non ci vogliono più di dodici ore.»

Feci qualche calcolo. Da nove a dodici giorni.

«Quindi il ranger è andato a cercarla dopo due settimane?» azzardai.

«Esatto. Ha rinvenuto il corpo il sedici gennaio, a quota seimilaquattrocento metri, in un profondo crepaccio. A quanto pare, Miss Fuentes è morta nella caduta. I suoi resti sono stati recuperati e inviati alle autorità a Mendoza.»

«Come è stata confermata l’identità?»

«Non c’erano dubbi sull’identità» ribatté la donna perplessa. «Miss Fuentes aveva con sé il proprio permesso e il passaporto.»

«Ha il numero dell’obitorio di Mendoza?»

Trascrissi le informazioni, riagganciai e subito composi un’altra lunga sequenza di cifre. Qualche minuto dopo ero in linea con il dottor Ignacio Silva del Cuerpo Médico Forense, Obitorio Giudiziario. Provai di nuovo in spagnolo e, di nuovo, il mio interlocutore rispose in inglese. Bene, mille gracias.

«Ricordo quel caso.» Le parole di Silva erano musica per le mie orecchie. «È un vero peccato quando muore una donna tanto giovane.»

«Può descrivere la signora Fuentes?» Mi mancava il respiro.

«Femmina caucasica, bionda, alta circa un metro e settantatré centimetri.»

Corrispondeva.

«Buona forma fisica, nessun segno di malattie o deformazioni. Certo, escluse le gravi lesioni riportate durante la caduta. In base ai nostri calcoli è precipitata per almeno venti metri.»

«Avete eseguito radiografie?»

Un momento di esitazione. Quando Silva rispose, il suo inglese dall’accento perfetto era venato da una vaga tensione. «A causa del nostro budget limitato, a volte è necessario prendere decisioni difficili. Ho considerato inutili le radiografie per questo caso. Mi sembrava chiaro che la vittima fosse morta in seguito a una caduta e in seguito all’esposizione al freddo.»

Merda.

«La sua famiglia non aveva dubbi?»

«Purtroppo non aveva famiglia. La madre di Miss Fuentes era ricoverata in un istituto perché soffriva di Alzheimer in fase avanzata. Ma la sua identità non è mai stata in discussione.» Si interruppe un istante, poi: «Abbiamo preso le impronte digitali, per il nostro archivio, prima di cremare il corpo».

«È possibile vederle?» Faticavo a mascherare l’eccitazione.

«Certo. Mi lasci un indirizzo di posta elettronica e le invierò le immagini.»

Silva mantenne la parola. Con efficienza. Pochi minuti dopo aver riagganciato, ricevetti il segnale acustico che mi avvisava di un nuovo messaggio nella casella di posta. Aprii l’allegato e diedi subito un’occhiata all’immagine. Poi rimasi seduta per un po’ a riflettere sorseggiando il mio caffè.

Quando mi resi conto che questo approccio non accendeva alcuna lampadina dentro la mia testa, mi allontanai dalla scrivania con una spinta per stampare una copia delle immagini inviate da Silva. La macchina sputò il foglio ed esaminai i particolari. Ogni impronta nera e ovale era piena di anelli, mulinelli, archi o quel che è.

Tornai nella sala autoptica cinque e guardai il calco. Le ossa isolate. La targhetta con le impronte prese alla mummia nella cella frigorifera. Posai le impronte di Silva accanto a quelle rilevate da Joe Hawkins.

Riflettere.

Una chiamata veloce a Blythe Hallis. Decidere in fretta.

Telefonai a Slidell per avvisarlo di cosa stava per piombargli addosso. E per avanzare la mia richiesta.

«Chiedi a qualcuno dell’AFIS di controllarle.» Volevo che le impronte che avrei inviato fossero girate all’Automated Fingerprint Identification System dell’FBI.

«I ragazzi in laboratorio non saranno contenti.»

«Allora fallo tu.»

«Ci sono possibilità che sia registrata nel sistema?»

«Può darsi.» Era un azzardo, ma speravo di avere ragione.

«Mmh...»

«Senti, solo la polizia può richiedere l’analisi delle impronte all’AFIS.»

«Ma guarda un po’.»

«Digli che l’ho chiesto io.»

«Sono sicuro che basterà a convincerli.»

Bastò. O forse la personalità magnetica di Slidell fece effetto. In ogni caso, novanta minuti dopo ottenni la mia risposta.

Mi appoggiai allo schienale della sedia. Scioccata. Non riuscivo a crederci.

Blythe Hallis mi aveva raccontato che la figlia aveva svolto stage estivi nel National Park Service quando era all’università. E io sapevo che il database dell’AFIS include le impronte dei dipendenti delle agenzie federali. Avevo giocato d’azzardo, e avevo vinto. Una delle «corrispondenze» generate dalla mia ricerca era proprio Brighton Hallis.

Brighton era morta davvero sulla vetta di una delle infide Sette Cime. Ma non era l’Everest, e non era successo nel 2012.

Brighton Hallis era morta quattro mesi prima sull’Aconcagua. Avevano eseguito un’autopsia e l’avevano cremata. Sotto il nome di Viviana Fuentes.

Di nuovo al telefono con Slidell.

«Vuoi dire che Brighton Hallis ha fatto fuori Viviana Fuentes per fregarle l’identità?» Dal tono del detective, sembrava che gli avessi proposto di mettere fuorilegge la minestra.

«La somiglianza fisica è impressionante. Se si fossero scambiate i vestiti, a prima vista nessuno se ne sarebbe accorto.»

«Cambio giacca di continuo, eppure mia madre mi riconosce sempre.»

Skinny aveva una mamma? Accantonai l’informazione per un approfondimento futuro.

«Nessuna delle due si è incontrata con qualche potenziale complice dopo la morte di Brighton. Una donna con indosso la giacca di Viviana è stata trasportata in elicottero fino a Kathmandu, poi è sparita. Una donna con la giacca e l’attrezzatura di Brighton è stata ritrovata da un gruppo di stranieri, morta congelata. La gente vede ciò che è convinta di vedere. E nel caso di Viviana, non c’era nessuno a fare domande.»

«Cosa diavolo significa?»

«La sua unica parente era la madre, afflitta da demenza in fase avanzata. Viviana lavorava come consulente informatica per conto proprio, sola e da casa.» Slidell tentò di interrompermi, ma continuai. «E persino se qualcuno avesse espresso dubbi, non c’era un corpo da riesumare.»

«Come ha fatto Hallis a prenderle il passaporto?»

«Gli alpinisti senza guida se lo portano appresso. Probabilmente Brighton l’ha preso dopo aver scambiato attrezzatura con lei.»

«Erano amiche?»

«Non ho scoperto niente per avallare l’ipotesi che si conoscessero prima di ritrovarsi sull’Everest. Forse è stata un’idea del momento, dettata dalle circostanze. Brighton ha intravisto la possibilità di cominciare una seconda vita con un nuovo nome e un milione di dollari. E l’ha presa al volo.»

Slidell emise quel suono gutturale che fa di solito.

«A quell’ora del giorno, dovevano essere le uniche alpiniste abbastanza stupide da restare a quella quota. Questo spiega perché Brighton ha perso tempo sull’Hillary Step, in attesa di Fuentes» dissi.

«Non per aiutarla, ma per ucciderla.» Slidell cominciava a capire. «Quindi Hallis fa in modo di trovarsi da sola con l’altra donna, la uccide con una piccozza, le sfonda il cranio con uno o forse due colpi, le distrugge i denti, scambia le attrezzature e scende dalla montagna con un finto accento spagnolo, una nuova identità e simulando uno stato confusionale.»

Niente male, Skinny. «Sì. In base al punto d’impatto sul cranio, altezza e peso dell’aggressore sono compatibili con quelli di Brighton Hallis.»

«Rischioso.»

«Tanto quanto la prigione.»

«Ma Hallis adesso è abbrustolita?»

«Incenerita, per essere precisi. Hanno cremato il corpo.»

«Figliadiputtana.»

«Già.»

Per lunghi secondi la linea fu occupata dal ronzio del silenzio. Fui io a spezzarlo.

«C’era solo un altro alpinista sullo stesso percorso quel giorno. Sto cercando di rintracciarlo per capire se abbia incontrato Viviana lungo la salita.»

«Cosa vuoi che faccia io?»

«Cerca un collegamento tra Brighton Hallis e Viviana Fuentes prima dell’Everest. Qualsiasi prova di collusione o premeditazione. Tenta di stabilire se Hallis ha abbassato la guardia dopo l’Everest. Un passo falso. Magari ha contattato qualcuno o utilizzato un vecchio conto corrente. O se l’hanno arrestata per aver attraversato fuori dalle strisce. Qualunque cosa dimostri che Brighton Hallis se la spassava in Sud America dopo il 2012.»

Era evidente che Slidell non condividesse il mio entusiasmo. «Non credo che abbia molto senso. Ormai è passato troppo tempo.»

«Giustizia per Viviana Fuentes» replicai.

«Blythe Hallis non sarà felice delle novità.»

«Ma almeno si leverà di torno. E tu avrai un nuovo caso risolto sul curriculum.» Per Slidell erano entrambi argomenti convincenti.

Dopo aver riagganciato ricapitolai tutto ciò che avevo scoperto negli ultimi giorni. Mi fermai a riflettere su una cosa che si era lasciato sfuggire Elon Gass.

Credo che Damon le avesse raggiunte.

Damon James aveva incontrato Viviana Fuentes. Aveva parlato con lei e Brighton al Campo Tre. Forse aveva qualcosa da aggiungere? Cercai il suo numero e lo chiamai.

«Pronto» rispose distratto.

«Sono la dottoressa Brennan.»

«Chi?» In sottofondo sentivo un gran fracasso. Bambini. Un fischietto. Un rombo che sembrava un treno in corsa.

Ripetei a voce più alta.

«Scusi, ora sono impegnato in un altro dei miei lavori mondani.» James ringhiò un rimprovero a un certo Brian. «Al Whitewater Center.» Immaginavo che si riferisse allo U.S. National Whitewater Center, una struttura all’avanguardia per kayak e rafting appena fuori Charlotte.

«Ti occupi di kayak?»

«Offrono anche percorsi di arrampicata e bouldering. Io... Ehi! Stai indietro!»

«Ho solo qualche domanda...» iniziai, ma lui mi interruppe subito.

«Mettilo giù... Immediatamente!» Poi si rivolse a me. «Non posso parlare con questo macello, e da un momento all’altro arriverà un nuovo autobus pieno di ragazzini di terza elementare. Possiamo rimandare alla fine del mio turno?»

Maledizione. «Certo.»

Un attimo di esitazione. «A dire la verità, oggi mi ha dato uno strappo un’istruttrice, ma ha dovuto andarsene per accompagnare un bambino malato. Non è che lei potrebbe passare a prendermi?»

Diceva sul serio? Il centro si trovava a metà strada per il Monte Holly. Ma quelle informazioni mi servivano, e qui non avevo altro da fare. Un favore per un favore, e via dicendo.

«A che ora?»

«Finisco alle otto. Venga con l’auto all’ingresso del personale, sul retro. Non è mai chiuso.»

Tre bip. Aveva già riagganciato.

 

11.

 

Il resto della giornata trascorse con una lentezza degna della deriva dei continenti. Sbrigai qualche commissione. Un po’ di scartoffie. Con la mente, però, continuavo a vedere fratture, impronte, tessuti mummificati. Passavo in rassegna un’ipotesi dopo l’altra. Fu un sollievo quando, alle sette, mi infilai con la mia Mazda tra i residui del traffico dell’ora di punta.

Dopo quarantacinque minuti arrivai allo U.S. National Whitewater Center. Parcheggiai dove James mi aveva detto e seguii un cartello che indicava l’ingresso del personale. Ero quasi al cancello quando partì la suoneria del mio cellulare. O meglio la canzone.

«Temperance Brennan.»

«Dottoressa Brennan? Sono Paola Rossi.»

Vuoto totale. «Prego?»

«Del Centro de Visitantes de Aconcagua Parco Nacional.»

«Certo, señora Rossi. Scusi, la linea non prende bene.»

«Ho trovato il nome che cercava.»

«Molto gentile.» Cominciai a frugare con una mano nella borsa, in cerca di carta e penna. Mi bloccai quando lei parlò di nuovo.

«Può ripetere?» Paralizzata.

Pronunciò di nuovo il nome, piano e chiaramente. «Damon James. È l’altro alpinista salito il trenta dicembre lungo il ghiacciaio dei Polacchi sull’Aconcagua. Mr James ha indicato come luogo di residenza Charlotte, North Carolina, Stati Uniti.»

Sentivo il sangue pulsarmi nelle tempie. Ringraziai Paola Rossi e riagganciai. Intorno a me, il crepuscolo lasciava rapidamente il posto alla sera. C’erano pochi veicoli parcheggiati. Non udivo voci, nessun rumore di attività in corso.

Il mio cervello intanto cercava di assegnare una collocazione a fatti apparentemente disparati. Damon James era socio in affari di Brighton Hallis. Uno. Damon James aveva parlato con Viviana Fuentes sull’Everest. Due. Damon James era stato sull’Aconcagua. Tre.

Chiamai Slidell. Ancora la segreteria.

Lasciai un messaggio spiegando dove mi trovavo e chiesi di richiamarmi.

Altri elementi si aggiungevano al mio elenco mentale. Questa volta erano dubbi e ipotesi.

James era colpevole? Lui e Hallis erano in combutta per sottrarre fondi alla Bright Ascents? Aveva ucciso lui Viviana Fuentes sull’Everest? Perché? Per aiutare Hallis a cambiare identità? James e Brighton erano amanti? Avevano depositato il loro denaro sporco di sangue al sicuro in qualche conto offshore? James aveva ucciso Brighton Hallis sull’Aconcagua? Perché?

Si avvicinò una donna con un paio di jeans e una T-shirt verde acceso con sopra scritto U.S. NATIONAL WHITEWATER CENTER. Sorrise cordiale e tenne aperto il cancello per me. Esitai.

Gesù, Brennan. Qui la squadra di slalom si allenava per le Olimpiadi, per la miseria. Questo posto probabilmente è strapieno di gente. Avanti. Trova quel bastardo.

«Grazie.» Varcai il cancello.

Mentre attraversavo l’area di accesso, riepilogai quanto sapevo su quella struttura. Avevo preso qualche informazione su Internet prima di uscire, non c’ero mai stata.

Oltre centocinquanta ettari, adiacente al fiume Catawba. Non profit. Centro di preparazione per atleti, quelli seri. Struttura ricreativa per quelli meno seri. Rafting, kayak, canoa, zipline, ciclismo, mountain bike e, a quanto sembrava, anche arrampicata.

Entrai nella parte destra dell’edificio principale. Iscrizioni, accoglienza, affitto attrezzatura, sala conferenze, tavola calda, negozio di souvenir. Alcune donne erano sedute all’esterno, sotto gli ombrelloni intorno a dei tavoli di ferro. Sembravano mamme annoiate: tuta da yoga Lululemon, sandali Jack Rogers e occhiali da sole Tory Burch. Giocherellavano con i loro iPhone in attesa della progenie.

Dietro l’edificio, un flusso costante di persone usciva dalla porta principale diretto verso il parcheggio dei visitatori. Un cartello sul muro esterno riportava due informazioni importanti. L’ultimo «ingresso» era consentito alle sette di sera, e la struttura chiudeva alle otto.

Entrai nella reception e chiesi di Damon James. Mi indicarono di uscire e dirigermi verso un’imponente V di roccia finta che si innalzava al cielo accanto al Laghetto Superiore. Lui era lì, ai piedi della parete, che arrotolava corde e le infilava in una cassa. Si raddrizzò quando mi sentì arrivare e si voltò. Indossava una T-shirt del Whitewater Center a cui aveva tagliato via le maniche. Che sorpresa. Era davvero prevedibile.

«Tempismo perfetto.» James sfoggiò il suo sorrisetto da star del cinema. «Facciamo due passi per parlare. Devo fare un giro di controllo, assicurarmi che non ci siano bambini nascosti.»

Anche se lui sembrava rilassato, non si poteva dire lo stesso del mio cuore. Lo seguii lungo un sentiero asfaltato che costeggiava il fiume artificiale. I cartelli avvisavano di restare a un metro e mezzo dalla sponda. Le corde delle zipline che pendevano dagli alberi proiettavano ombre simili a cappi.

James camminava a passo così svelto che dovetti allungare il mio per stargli dietro. Di tanto in tanto incrociavamo qualche ritardatario che si affrettava verso l’uscita.

Per celare il nervosismo, o forse la diffidenza, tentai di imbastire una conversazione informale. «Il circuito è proprio a forma di anello?» Indicai il fiume. Non mi interessava davvero.

Lui mi lanciò un’occhiata, poi annuì. «L’acqua gira intorno a due isolotti e forma diversi canali, ma in sostanza è un grande cerchio.» Indicò un isolotto alla nostra sinistra. «Quella è Belmont Abbey. Sopra ci sono una struttura per concerti e una birreria all’aperto. Hawk Island è sull’altra riva del Laghetto Inferiore. La vedrà. È più selvaggia, con percorsi a ostacoli e per le corde.»

«Mmh.»

«Per gente tosta.» James scosse il capo. «Cosa ne pensa? Sta guardando il sistema di rapide artificiali più grande e complicato del pianeta.»

«Notevole. E tu insegni qui?»

«Stagionale. Solo arrampicate.»

Seguimmo l’ansa del fiume e superammo delle tende alla nostra destra e un palazzetto per concerti a sinistra, poi l’ampio Laghetto Inferiore si spalancò tra noi e l’edificio principale sulla sponda opposta. Sopra di noi incombevano i pini, sotto i nostri piedi un unico tappeto di aghi. Eravamo le uniche persone sul sentiero. Ora o mai più.

«Elon Gass dice che non ricevevi uno stipendio come socio della Bright Ascents.»

James finse una reazione a scoppio ritardato. «Bene, bene. Immagino che la bella dottoressa non sia venuta qui per il piacere della mia compagnia. Mi sento ferito.»

«Ti pagavano?» chiese la bella dottoressa.

James fissò nel vuoto tanto a lungo che credevo non avrebbe risposto. Poi mi stupì. «Avrei dovuto ricevere uno stipendio. Non è mai successo. Non sono proprio il tipo che gradisce ritardi nei pagamenti, ma Brighton sapeva convincere le persone a fare come voleva lei.»

«Il suo fondo ammontava a un milione di dollari. Perché non ti pagava?»

«Credo che non possiamo chiederlo a lei.»

«Sapevi che la polizia stava indagando su Brighton per frode?»

«Non fino a ieri, quando mi ha chiamato il suo amico poliziotto.»

«Che tipo di relazione avevi con Brighton?»

«A cosa vuole arrivare?»

«Stavate insieme?»

«No. E non eravamo neanche dei ladri.» Troppo banale.

Prima che potessi ribattere su quest’ultima affermazione, James girò sui tacchi e s’incamminò a passo ancora più svelto di prima.

Un momento di esitazione: dovevo seguirlo? Ogni neurone nel mio cervello gridava di non farlo. Li ignorai.

Il corso del fiume si stringeva. Alimentata con furia dalle pompe idrauliche, l’acqua era agitata da mulinelli e schiuma. Il baccano era assordante.

«Parlami di Viviana Fuentes» urlai per farmi sentire.

James si voltò verso di me, il suo viso era il ritratto della tensione. «Basta coi giochetti. Cosa vuoi sapere?»

«Che fine ha fatto Brighton Hallis.»

«Che fine ha fatto Brighton Hallis? È diventata avida, ha rubato un milione di dollari e se n’è andata lasciando a me tutta la colpa.»

Rimasi in silenzio.

«Dopo l’Everest sarebbe dovuto scoppiare un casino.» Era così infuriato che gli si gonfiarono i muscoli del collo. «E io ero l’idiota che stava per essere travolto dal Brighton Express.»

«Non potevi permetterti che tornasse a casa.» Il cuore ormai batteva all’impazzata. Sapevo che sarebbe stato meglio fermarmi, ma non riuscivo a trattenermi. «Con la morte di Brighton non ci sarebbero state indagini.»

James sollevò il mento, proiettando lame di ombre sul suo viso. Si era fatto buio, ma una mezzaluna risplendeva sopra le cime degli alberi. Alcuni riflettori sparsi per la proprietà evitavano la totale oscurità. Quando parlò di nuovo, la voce di James era gelida. «Quando Brighton è morta sull’Everest, non sapevo del denaro sottratto.»

«Ti aspetti che ci creda?»

«Ho un alibi, tesoro. Ero il più lontano possibile da Brighton quando è successo.»

Sentivo tutti i nervi tendersi. Decisi di colpire alla gola. «Solo che Brighton non è morta sull’Everest. Giusto?»

Lui mi squadrò, gli occhi che brillavano di un verde gelido al chiaro di luna. Poi mi fece sobbalzare ridacchiando. «Sei proprio pazza.»

«Sapevi che Brighton aveva in mente di sparire. Eri suo complice fin dall’inizio.»

Fece roteare un indice intorno alla tempia. «Paz-za.»

«Raccontami la tua versione dei fatti.»

Incrociò le braccia e allargò le gambe prima di rispondere. «Immagina il mio stupore quando ho visto la mia ex socia in affari, ufficialmente morta, uscire dall’ufficio dei permessi per l’Aconcagua a Mendoza, in Argentina. Brighton Hallis, viva e vegeta come un pettegolezzo malizioso.»

«Cosa ti ha detto?»

«Non mi ha mai visto.»

«Vuoi farmi credere che eravate entrambi in Argentina nello stesso luogo e nello stesso giorno per pura coincidenza?»

«No. Avevamo organizzato il viaggio insieme.»

«Quindi...»

Interruppe la mia domanda con un brusco cenno della mano. «Prima dell’Everest. Organizzavamo i nostri viaggi con anni di anticipo. Dopo, quando tutto è andato a rotoli e nessuno voleva più fare scalate, li abbiamo cancellati. Ma l’Aconcagua cadeva nel giorno dell’anniversario della morte di Sterling Hallis. Per qualche cazzo di ragione personale da fuori di testa avevo deciso di compiere un pellegrinaggio in onore di Bright.»

Ora il tono di James aveva i contorni della furia, portando con sé una punta di follia.

«Vai avanti.»

«Quando Bright se n’è andata, sono entrato nell’ufficio e ho chiesto un permesso identico al suo. Conoscevo il suo percorso, lo avevo messo a punto io. L’ho seguita passo dopo passo, le sono stato dietro finché, arrivato al Campo Uno, non ho perso il vantaggio di trovarmi coperto in mezzo agli altri alpinisti. Mi ha beccato. Che cazzo, avresti dovuto vedere la sua faccia. Puro terrore.»

«Continua.» Indietreggiai di un passo senza farmi notare. Perché Slidell non aveva richiamato? O lo aveva fatto? Non potevo rischiare di controllare il telefono.

«Quella stronza deficiente ha confessato tutto. Il suo piano era di sparire nel seracco subito sopra il campo base dell’Everest. Tutti avrebbero creduto che fosse precipitata in un crepaccio, quando in realtà era scesa dal sentiero per volare in qualche spiaggia a Goa o Rio.»

«Ecco perché ha cambiato il pacchetto di viaggio: da con la guida a senza.»

«Così era più semplice scaricarmi.»

«E Viviana Fuentes?»

«Viviana è stata davvero sfortunata, si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma con Brighton le cose funzionavano così, per lei era un colpo di fortuna dietro l’altro.»

Un gufo bubolò da qualche parte nella notte. Per poco non sobbalzai. «Quindi ha solo colto l’occasione?»

«Onestamente non lo so. Bright ha detto che è andata così. La somiglianza tra loro due era inquietante.» James ora parlava a voce molto bassa. Fui costretta ad avvicinarmi per ascoltare. «Bright aveva stretto amicizia con Viviana, aveva raccolto informazioni sul suo passato. Per lei era una possibilità di iniziare una nuova vita, e l’ha colta.»

«Al sicuro finché tu non l’hai scoperta per caso.»

«Oh, non si arrendeva mai. Non era da lei. Ha provato a comprarsi la salvezza.»

«Ti ha offerto metà del denaro.»

«Esatto.»

«Hai rifiutato.»

«Perché avrei dovuto?» Era stupito. «Ormai non c’era più niente da fare. Viviana era morta. Abbiamo discusso della nostra fantastica vita di ricchezza condivisa fino alla vetta.»

«Avete proseguito fino alla cima?»

«Perché no?»

Questo tizio era davvero da manicomio.

O lo ero io? Da sola su un sentiero deserto con il complice di un omicidio. Un altro passo indietro.

«Vuoi la verità? Finché quella stronza non ha trasferito la mia parte non l’ho persa di vista. I telefoni erano inutili alle quote più basse. Dovevamo arrivare vicino alla vetta per ottenere un segnale satellitare chiaro.»

«Si fidava di te?»

«Certo. Stavamo organizzando una vita lunga e felice con il nostro bottino. Lei non poteva tradire me, e io lei.»

«Invece è morta.»

I suoi occhi da rettile si conficcarono nei miei. Uno sguardo così freddo che sembrava risucchiare tutto il calore della notte. «Una tragedia, vero? A un passo dalla cima. Che incidente terribile.»

Non era solo un complice. Era un assassino a sangue freddo. I miei neuroni lanciarono un nuovo allarme. Questa volta li ascoltai. Troppo tardi.

Con uno scatto fulmineo, James si chinò e partì all’attacco. L’impatto contro la sua spalla mi strappò l’aria dai polmoni catapultandomi all’indietro. Mi ero a malapena accorta di cadere quando mi ritrovai immersa nell’acqua gelida e agitata. Non riuscivo a vedere nulla. Non potevo respirare. Sentivo il sangue martellare nei timpani, accecata. Mi lasciai trascinare dalla corrente.

Scalcia! Combatti!

Urtai un masso e rimbalzai via, roteando nell’acqua. Una fitta lancinante alle costole. Sentivo bruciare i polmoni. Cercai di spingermi in superficie, ma i vestiti inzuppati mi trascinavano verso il fondo. Cominciavo a vedere le stelle.

Mi sforzai di tenere gli occhi aperti. Vedevo soltanto un caotico vortice marrone. Facendo leva sulle braccia, inclinai la testa in una direzione che mi sembrava l’alto. Scalciai. Scalciai di nuovo muovendo freneticamente le gambe, l’adrenalina che irrorava ogni muscolo del mio corpo.

I secondi sembravano secoli. Infine sbucai in superficie e annaspai in cerca d’aria. Fui trascinata di nuovo sott’acqua, in balia di un mulinello. Lottai per riemergere.

Cercai di riprendermi, di riguadagnare il controllo dei miei movimenti. Invano. Andai a sbattere contro un’altra roccia. Una nuova fitta di dolore alla schiena. Sentivo solo un ruggito rimbombarmi nelle orecchie.

Poi qualcosa. Una sagoma appena percepita. Il sistema di pompaggio. Ero trascinata dalla corrente verso l’impianto di filtraggio dell’acqua.

Il mio cervello inviò un’immagine. Particolari che avevo notato mentre camminavo con James lungo il sentiero. Uno scivolo stretto. Massi che costringevano cinquanta milioni di litri d’acqua corrente attraverso una fessura larga un metro. Sfrecciavo verso la strettoia e non potevo impedirlo!

Prima di concepire solo l’idea di un piano urtai il primo masso. Subito dopo fui rimbalzata contro un altro. Lottai con la disperazione di un animale ferito e infine riuscii a orientare di nuovo il mio corpo. Nonostante il dolore, rimasi aggrappata alla roccia con tutte le forze di cui disponevo.

L’acqua impetuosa mi spinse con violenza verso l’imbuto e il dispositivo di pompaggio. Lottavo contro la corrente e arrancai di lato spostandomi come un granchio lungo la circonferenza scivolosa del masso. Infine riuscii a issarmi fuori dal fiume.

Mi sdraiai sulla roccia per riprendere fiato. Ero troppo esausta per muovere la testa. Persino per cercare James.

Non so quanto rimasi lì prima di cominciare a tremare. Il freddo. Lo shock. Entrambe le cose. Senza smettere di tremare, mi girai sulla schiena per mettermi a sedere. Controllai le mie condizioni.

Fradicia. Infreddolita. Possibili fratture. Perso cellulare e chiavi. Ma ero fuori dall’acqua. All’asciutto. Su Hawk Island.

Avanzando a carponi, mi trascinai dal masso alla terraferma. Riposai un momento, poi mi alzai in piedi e mi diressi barcollando verso la costruzione più vicina. Quella che ospitava le pompe.

C’era un uomo nella sala controlli, trafficava con interruttori e manopole. Indossava una divisa di jeans, sembrava sorpreso.

«Salve» dissi.

L’uomo spalancò ancora di più gli occhi, quindi fissò la pozzanghera che si stava formando ai miei piedi.

«Per caso ha un telefono che posso usare?»

 

12.

 

«Poi...» Anne gesticolava enfatica con la forchetta «... quel maledetto roditore ha allungato una delle sue zampe schifose, senza smettere di fissarmi negli occhi, e ha rovesciato il portacandele di vetro dal tavolo del patio. È andato in mille pezzi.»

«Non ha gradito il trattamento che hai riservato al suo compagno.» Evitai di precisare che i procioni non appartenevano all’ordine dei roditori.

«Può darsi. È stata una scena quasi da film dell’orrore. Inoltre, quegli ingegnosi piccoli rompiscatole si infilano dappertutto. Ho dormito per giorni con una mazza da baseball accanto al letto.»

Ridacchiai, poi mi sfuggì una smorfia. Per istinto mi portai una mano sulla fasciatura rigida intorno al busto. «Non farmi ridere.»

Lo sguardo di Anne era un solidale punto di domanda.

«Ci vuole tempo per guarire le fratture alle costole» le spiegai.

«E il resto?» Sapevo che non si riferiva alle altre lesioni fisiche. Alla fine si erano rivelate di poco conto. In ogni caso Slidell, che aveva risposto quando lo avevo chiamato dalla sala pompe del centro, aveva insistito perché mi trasportassero in ambulanza. La somma totale dei miei mali ammontava a due costole fratturate, abrasioni e stiramenti muscolari. Stiramenti molto, molto seri.

«Tutto a posto» risposi.

Quasi stuzzicato da quella replica vaga e superficiale, il mio cellulare squillò. Sbirciai nella borsa aperta sotto il tavolo. Il display mostrava il volto di un uomo con occhi blu penetranti come un laser e capelli arruffati dal vento. Rifiutai la chiamata senza farmi notare. Avrei raccontato a Ryan per filo e per segno cos’era successo in questi ultimi giorni. Ma non ora.

«All’isola delle palme.» Anne alzò il suo calice di vino e brindò con il mio bicchiere di tè freddo. «Piatta come una dodicenne.» Dopo un sorso di Chardonnay chiese: «Cosa ne sarà di Damon James?».

«Difficile a dirsi.» Spinsi da parte un po’ di lattuga nel mio piatto e rintracciai un crostino. L’unica vera ragione per mangiare la Caesar Salad. «Non è andato lontano. Dopo che Slidell ha spiccato un mandato di cattura, una pattuglia del CMPD lo ha bloccato presso una stazione di servizio a Kannapolis. In questo momento è rinchiuso in una cella e sta aspettando di sapere che ne sarà di lui.»

«Accusato di omicidio?»

«Ne dubito. Non ci sono prove che abbia ucciso Brighton Hallis.»

«Ma tu ne sei convinta.»

Mi vennero in mente i suoi gelidi occhi verdi. Ripensai all’impatto di quella spalla solida che affondava nel mio stomaco.

«Sì, lo sono.»

«Perché l’ha fatto? Poteva disporre comunque di metà del denaro.»

«Avidità? Vendetta? Rabbia? Sentirsi usati può mandarti fuori di testa. Tanto quanto la promessa di una generosa somma di denaro. Forse voleva tutto il piatto. Forse Hallis l’ha spinto oltre il punto di non ritorno. Forse è stato l’impulso di una frazione di secondo. O forse è davvero scivolata.» Continuavo a non essere convinta di quest’ultima possibilità. «James ha preso un avvocato e non dice una parola. Anch’io farei la stessa cosa, se fossi in lui.»

«Ma quello stronzo ha tentato di ucciderti.»

«Lo hanno accusato di aggressione, percosse e tentato omicidio. Sostiene che io sia caduta nel fiume. Non c’erano testimoni. È la mia parola contro la sua.»

«Quindi lo faranno uscire?» Anne si riempì di nuovo il bicchiere. Per alleggerire l’indignazione.

Anch’io ero indignata. Due ragazze morte nei luoghi del pianeta più dimenticati da Dio. Fuentes sull’Everest. Hallis sull’Aconcagua. E ottime possibilità che nessuno avrebbe pagato.

«James finirà di sicuro in carcere» dissi. «Gli investigatori della polizia tributaria sono molto pazienti e determinati. Loro e il procuratore distrettuale stanno facendo il possibile per incriminarlo.»

La mia amica annuì soddisfatta.

Inclinai la testa per lasciare che la brezza marina accarezzasse la mia pelle arrossata. «I documenti a disposizione sembrano essere di prima qualità. Dimostrare l’appropriazione indebita è stato facile, così come risalire al denaro scomparso sul conto di James nelle Isole Cayman.»

«Che razza di coglione.» Anne di rado misurava le parole. Né riusciva a tenerle per sé.

Respirai un refolo di vento salmastro. Assaporai la ruvidità del terrazzo della casa sulla spiaggia di Anne sotto i piedi nudi.

«Come ha reagito Blythe Hallis alla notizia che il suo angioletto era una ladra?»

«Come puoi immaginarti» risposi. «Composta e formale, da vera signora.» Riflettei un momento e aggiunsi: «Ha insistito per farsi carico delle spese per seppellire Viviana Fuentes accanto a suo padre, a Santiago. Sta anche usando a scopo benefico il denaro sottratto, fino all’ultimo centesimo».

«Davvero?» Anne prese un altro sorso, si abbandonò sullo schienale e allungò le gambe sulla balaustra, con le caviglie incrociate.

«Sempre non profit, stessa missione. Nuovo nome. Vivi’s Fund. Lo gestiranno Dara Steele ed Elon Gass.»

«Guidati dalla bontà dei loro cuori di vipera.» Anne ridacchiò per la propria battuta. Lo faceva spesso.

Io mi strinsi nelle spalle. «Credo che saremo costrette a guardare Le Vette per scoprirlo.»

«Anche no. Se voglio vedere narcisismo ad alto livello, preferisco sintonizzarmi su qualche tribuna politica. Facciamo due passi sulla spiaggia?»

«Ci sto.»

Si alzò e portò i nostri piatti in cucina. Io rimasi immobile, a ripensare a quella storia. Forse Damon James aveva ragione, quel giorno? Oppure trasportare Brighton Hallis giù dalla montagna aveva portato a qualcosa di buono?

Sì, decisi. Assolutamente sì.

Qualcuno piangeva Viviana Fuentes, anche se ero soltanto io a farlo. Ora riposava al sicuro accanto al padre che tanto amava, e non avrebbe trascorso l’eternità a fare da macabro riferimento per alpinisti in cima al mondo, nella zona mortale. Non era molto, ma pur sempre qualcosa.

«Andiamo.» Anne era riapparsa con indosso un cappello largo quanto il tavolo.

Uscimmo sotto il sole della Carolina. Il vento giocherellava con i miei capelli, la sabbia mi accarezzava i piedi, e finalmente sentivo i nodi gelidi della frustrazione iniziare a scongelarsi.

 

 

Kathy Reichs - Ossa di ghiaccio
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