Sono Pierre Flodenhale.
Ma sicuro! Adam riconobbe il giovane pilota da corsa che aveva visto al lavoro nell'ufficio vendite di Smokey.
Ho visto con dispiacere che le è andata male alla Cinquecento Miglia di Daytona.
Pierre era in testa, e gli mancavano venti giri di pista, quando la fusione del motore lo aveva messo fuori gara.
Spero di riuscire a fare di meglio la prossima volta.
Ho la sensazione che questo potrebbe essere il mio anno, alle corse di Talladega.
Ci sarò anch'io a Talladega annunciò Adam.
Esponiamo un prototipo dell'Orione. Così farò il tifo per lei.
Hank Kreisel s'intromise fra i due. Adam, questa è Stella.
Pronta a fare qualsiasi cosa per lei.
Come procurar da bere fece eco una gradevole voce femminile.
Adam si trovò al fianco una rossa piccoletta e molto graziosa, in bikini.
Salve, signor Trenton.
Salve.
Adam vide nei pressi altre due ragazze e gli tornò alla mente la domanda di Erica circa.
La presenza di donne.
Allora, che cosa beve? domandò la rossa.
Adam chiese un Bloody Mary.
Come sarebbe a dire un prototipo dell'Orione, Adam? domandò Pierre.
Be', una vettura speciale costruita per l'esposizione, prima che la macchina compaia sul mercato.
L'Orione apparirà soltanto un mese dopo le corse di Talladega.
Scopo del prototipo è quello di far sì che la gente ne parli, ne discuta.
Stella tornò con le bevande per Adam e Pierre, poi unì la propria voce a quella di parecchi altri che intonavano in coro: Costolette di maiale! Costolette di maiale!
La vista dei molti piatti disposti su un lungo tavolo in fondo al solarium rammentò ad Adam che la lite con la moglie gli aveva anche fatto saltare la colazione, quella mattina.
Si accorse di aver fame.
E rammentò anche che doveva telefonare a casa, appena possibile.
Mentre si avvicinava al buffet, una morbida voce femminile mormorò: Adam Trenton, lei dice sempre quello che pensa?
Adam si voltò e vide una ragazza sui ventotto, trent'anni, col viso dagli zigomi alti piegato verso l'alto e le labbra carnose dischiuse in un sorriso.
Due occhi luminosi e intelligenti si fissarono nei suoi.
Adam indovinò una figura flessuosa e sottile sotto l'abito di lino, dal taglio castigato, e pensò che quella donna era la più bella che avesse mai visto, di una bellezza da mozzare il fiato.
Ed era negra, con la pelle di ebano lucente come seta.
Mi chiamo Rowena riprese la ragazza.
Mi hanno incaricata di pensare al suo nutrimento!
Rowena e poi?
Ha importanza? I suoi occhi si fissarono in quelli di Adam, che si domandò se la ragazza si rendesse conto di aver fatto colpo su di lui.
Sospettava di sì.
Al buffet, un cuoco in berretto bianco riempì due piatti che Trenton e la giovane negra deposero su uno dei tavoli del solarium, dove già sedevano il giudice - un negro ancora giovane del Tribunale federale del Michigan - e Frazon, un ingegnere di mezza età dell'ufficio Sviluppo Produzione della stessa società di Adam. Dopo un poco si unì a loro Brett, insieme con una brunetta graziosa e tranquilla che presentò come Elsie.
Abbiamo pensato che il centro dell'azione fosse qui spiegò Brett.
A quale genere di azione si riferisce? domandò Rowena.
Oh, sa come siamo noi dell'automobile.
Ci interessano soltanto due cose: gli affari e il sesso.
Il giudice sorrise.
È ancora presto.
Forse dovremmo restare agli affari, prima. Si rivolse a Trenton.
Un momento fa lei parlava delle assemblee annuali della società.
Mi è piaciuto quel che ha detto: che bisogna prestare ascolto agli azionisti, anche se sono proprietari di una sola azione.
Frazon osservò, guardando Adam: Non vorrà suggerire, spero, che si debba dar retta a ciò che chiedono i militanti, vale a dire i rappresentanti dei consumatori presenti nel consiglio d'amministrazione.
La persona che viene scelta a far parte di un consiglio d'amministrazione o di una giuria ribatté calmo Adam, solitamente è portata a prender sul serio il suo incarico, non ad agire soltanto di testa propria.
Giudice, lei che cosa ne pensa? domandò Brett.
Il giudice scosse la testa con finta solennità.
Spiacente, non esprimo opinioni quando sono in vacanza!
Nessuno dovrebbe farlo dichiarò Rowena.
Toccò una mano di Adam e aggiunse: Mi porta a fare una nuotata?
Andarono a mettere il costume da bagno, poi presero una barca nella darsena e si spinsero senza fretta verso la costa orientale del lago.
Giunti in vista di una spiaggetta deserta, Adam spense il motore fuoribordo e l'imbarcazione andò alla deriva sulle azzurre acque traslucide, nello splendore del pomeriggio avanzato.
Ah! fece Rowena.
Com'è bello! Aveva il capo piegato all'indietro, gli occhi chiusi sotto i raggi del sole.
È quel che si dice essere fuori del mondo osservò Adam.
La sua voce, chissà come, tremò un poco.
Lo so sussurrò Rowena, improvvisamente seria. Non accade spesso.
E non dura mai a lungo.
Ma è tutto così bello, se lo si guarda nella giornata giusta!
E oggi è la giornata giusta?
Vuol sapere che cosa sarei capace di dire oggi? Direi: "Il brutto è splendido!" Lo guardò per un momento, con aria pensierosa, poi riprese: Siamo venuti per nuotare, ricorda? Con un solo, agile movimento si alzò e si gettò in acqua.
Adam esitò un attimo, poi si tuffò a sua volta.
Tornò a galla ansante scosso da un brivido, e si guardò intorno.
Ehi! Da questa parte! Rowena rideva.
Si tuffò sott'acqua, poi riemerse, col viso e i capelli grondanti d'acqua.
Non è meraviglioso?
Glielo dirò non appena avrò rimesso in funzione la circolazione.
Il suo sangue ha bisogno d'essere scaldato, Adam. Io vado a riva. Viene? Adam la seguì lentamente, rimorchiando la barca.
Trovò Rowena distesa sulla sabbia, le mani incrociate dietro il capo.
Si sdraiò accanto a lei, rendendosi conto di avere i nervi distesi come non li aveva da molti mesi a quella parte.
IL POMERIGCIO seguente, a tarda ora, Adam si congedò dal suo anfitrione ringraziandolo cordialmente.
Rowena, che aveva salutato in privato un'ora prima, non si vedeva.
Aveva già percorso un buon tratto di strada verso casa, quando pensò a Erica.
Accidenti! esclamò.
Ho dimenticato di telefonare a mia moglie!
Vuole che usciamo dall'autostrada e andiamo a cercare un telefono pubblico? domandò subito Pierre Flodenhale.
Erano sull'Interstatale 75, diretti a sud, e Pierre guidava l'auto di Adam. Il giovane pilota aveva cercato qualcuno che lo riportasse a Detroit e Adam era stato ben lieto di offrirgli un passaggio.
Quando poi Pierre s'era offerto di guidare, Adam aveva accettato con gioia.
Era ormai buio, e i loro fari si aggiungevano ai molti che sciabolavano nell'oscurità, correndo verso la città.
No rispose Adam.
Si perderebbe troppo tempo. Tiriamo dritto.
Si rendeva conto che l'idea di ritrovarsi a parlare con Erica lo rendeva sempre più nervoso.
Quando uscirono dall'autostrada e svoltarono a ovest, verso Quarton Lake, Adam invitò Pierre a fermarsi da loro e si sentì sollevato quando il giovanotto accettò.
Almeno, pensò Adam, avrebbe avuto come spalla un estraneo, per un po' di tempo, prima di affrontare Erica a tu per tu.
Avrebbe potuto fare a meno di preoccuparsi.
Appena l'auto si fermò nel viale di casa, Erica uscì a salutarlo.
Ben tornato, tesoro! Ho sentito tanto la tua mancanza! Lo baciò e lui capì ch'era un modo per fargli intendere che l'incidente di sabato era superato.
Ciò che non poteva sapere, però era che il buon umore di Erica aveva origine in buona parte da un orologio che s'era procurata nel corso di un altro taccheggio, mentre il marito era lontano.
Adam presentò Pierre Flodenhale ed Erica gli rivolse il suo sorriso più abbagliante.
L'ho visto correre.
Pierre era rimasto visibilmente colpito da Erica, giovane e bellissima in un serico pigiama di Pucci, con i lunghi capelli biondi sparsi sulle spalle. Entrarono in casa e andarono in cucina, dove Erica preparò per i due uomini alcuni panini con frittata e caffè.
Adam si assentò un momento per fare una telefonata e, pur stanco com'era, per riunire alcune pratiche che doveva aver pronte il mattino seguente.
Quando tornò, Erica era intenta ad ascoltare una lezione sulle corse automobilistiche.
...sicché quando si è sul rettilineo principale, bisogna seguire per quanto possibile una linea retta.
Se la macchina serpeggia di qua e di là, si perde tempo prezioso.
Allora ci si tiene rasenti il più possibile a quel vecchio muro.
Infatti, ho visto i piloti fare così osservò Erica.
Mi fa venire la pelle d'oca.
Se si sbatte nel muro a quella velocità...
Se si sbatte, meglio sbattere di striscio, signora Trenton.
Ci sono andato dentro più di una volta.
Mi chiami Erica.
Davvero le è capitato?
Adam si divertiva ad ascoltare.
Aveva portato Erica a qualche gara automobilistica, ma non avrebbe mai pensato che quello sport la interessasse tanto.
Ogni pista sulla quale si corre, Erica stava dicendo Pierre, bisogna imparare a trattarla come fosse...
Esitò, cercando una similitudine, poi aggiunse: Un violino.
O una donna corresse Erica, e risero entrambi.
Seduto al lato opposto della stanza, con le sue pratiche vicino, Adam osservò: Sembrate essere in sintonia, voi due!
Parve che Erica e Pierre non avessero udito.
E Adam pensò che, evidentemente, non se ne sarebbero avuti a male se lui si fosse messo a lavorare un po'.
Si concentrò sul proprio lavoro, tagliando fuori le loro voci.
Qualche tempo dopo, Adam divenne consapevole della figura di Pierre che stava in piedi davanti a lui.
Credo che sia ora di andarmene Adam disse il giovane pilota. Grazie infinite per il passaggio e per l'invito.
Adam rimise una cartelletta nella borsa.
Non sono stato un padrone di casa molto premuroso si scusò. Spero comunque che mia moglie abbia fatto anche la mia parte.
Certamente.
Prenda pure la mia automobile.
Adam gli porse le chiavi.
Può telefonare domani alla mia segretaria, che manderà qualcuno a riprenderla.
Pierre esitò.
Grazie, ma Erica ha detto...
Erica arrivò di corsa, infilandosi un soprabito.
Lo accompagno io.
UNA CONVINZIONE molto diffusa tra i programmatori della produzione automobilistica è che le idee più brillanti nella concezione di nuovi modelli nascano all'improvviso, nel corso di riunioni alla buona e senza cerimonie fra pochi colleghi, nel cuore della notte.
Esistono precedenti che provano la fondatezza di tale convinzione.
La Mustang della Ford, che diede il ''Là" alla moda di tutta un'epoca nel secondo dopoguerra, nacque in quel modo e lo stesso è stato per molti altri modelli, anche se meno sensazionali.
Adam e Brett nutrivano la speranza che ciò accadesse anche per la Farstar.
Una notte, all'inizio di giugno - quindici giorni dopo la fine settimana trascorsa da Hank Kreisel - erano sprofondati nelle poltrone dell'ufficio di Adam.
C'era anche Elroy Braithwaite, vicepresidente dello Sviluppo Produzione, e due suoi collaboratori.
Era mezzanotte passata e sui tavoli erano disseminate innumerevoli tazzine da caffè e posacenere traboccanti.
La Farstar doveva essere di piccola cilindrata, su ciò erano tutti d'accordo, ma che genere di piccola cilindrata? Quello era il problema.
Per lungo tempo, praticamente fino al Settanta osservò Adam, una quantità di gente nel nostro campo è stata convinta che la piccola cilindrata fosse un fuoco di paglia.
Me compreso ammise Elroy Braithwaite.
Tuttavia, per quel che mi è dato giudicare ora, l'industria automobilistica si orienterà ancora per un bel po' di tempo verso la piccola cilindrata.
Sono d'accordo con Elroy...
La piccola cilindrata oggi è il simbolo di uno stato sociale e mi sa che ciò durerà per un pezzo aggiunse Brett.
C'è chi pensa invece che sia un non-simbolo obiettò Adam.
E sostiene che la gente, ormai, se ne infischia dello stato sociale.
Braithwaite si passò una mano nella criniera argentea.
Una quantità di cose è cambiata in questi ultimi anni, ma non i tratti fondamentali della natura umana.
È vero, oggi è molto diffusa una certa sindrome "anti-censo", ma alla resa dei conti anch'essa si traduce, come è sempre stato, nel tentativo individuale di essere diverso o superiore.
Persino un emarginato è in un certo senso uno che cerca un proprio stato sociale.
Allora, quel che ci occorre è forse una vettura che attragga fortemente i seguaci di questa teoria fece eco Adam.
E insistette, senza badare alle sommesse risatine degli altri: Forse, non c'è poi tanto da ridere.
Forse, tutto ciò può condurci al tipo di automobile che non vogliamo, vale a dire a qualsiasi cosa che somigli a un'auto convenzionale.
E ti pare poco? commentò Volpe Argentata.
Castaldy, un giovane negro assunto non appena uscito da Yale, un anno prima, rammentò loro: Oggi, anche le condizioni ambientali fanno parte dell"'anti-censo"... se vogliamo chiamarlo così.
Voglio dire l'opinione pubblica, il dissenso, le minoranze, le pressioni economiche e tutto il resto.
Giusto convenne Adam, e aggiunse: So che ne abbiamo già parlato una quantità di volte, ma torniamo a parlarne, di questi fattori ambientali.
Castaldy diede un'occhiata ad alcuni appunti.
Inquinamento dell'aria.
Moltissima gente è convinta che una piccola cilindrata inquini l'aria meno di una grossa cilindrata, perciò ritiene di contribuire alla riduzione dell'inquinamento usando un'auto piccola. Lo provano le nostre ricerche di mercato.
La discussione si spostò sull'ambiente e sui principali problemi del l'umanità: sovrappopolazione, scarsità di spazio in tutto il mondo, inquinamento atmosferico, nuovi concetti e nuovi valori nel codice morale dei giovani, i quali, nel futuro, avrebbero retto le fila del mondo.
Tuttavia, nonostante tutti i cambiamenti, l'automobile sarebbe continuata a esistere per tutto il futuro prevedibile.
Qual era, però, l'automobile che avrebbe soddisfatto meglio le necessità della società futura? Per quel che riguarda le necessità osservò Adam, possiamo riassumerle in breve?
Se è una parola che vuole rispose Castaldy, io direi l'utilità. - Brett DeLosanto assaporò quel vocabolo.
L'età dell'utilità.
Concordo soltanto in parte ribatté Volpe Argentata.
Perché questo concetto non tiene conto di altre componenti della natura umana: il desiderio, che è sempre esistito, di potenza, velocità, emozione.
Tutte - cose che non si estingueranno mai.
Un pensiero si agitava nella mente di Adam: qualcosa che aveva a che vedere con una Volkswagen smantellata che aveva esaminato qualche tempo addietro nel reparto demolizioni della società... e anche con qualcos’altro, con una frase che non riusciva a ricordare.
Rovistò nel proprio cervello, mentre gli altri chiacchieravano.
Sopra un tavolo, nell'ufficio di Adam, c’era una fotografia del modulo lunare Apollo 11, ripresa nel corso del primo sbarco sulla luna. Gli occhi di Adam si soffermarono su quella fotografia. Brett, intanto, aveva preso in mano una rivista dove spiccava l'illustrazione di una "pulce del deserto" e la mostrava agli altri.
Queste trappole corrono come il vento! Ne ho guidata una io stesso.
Tornò a guardare l'illustrazione.
Ma sono talmente brutte!
"Anche il modulo lunare è brutto" pensò Adam.
E di colpo gli tornò alla mente la frase che cercava.
L'aveva detta Rowena.
"Il brutto è splendido!" Il modulo lunare era brutto.
Così come era brutta la "pulce del deserto".
Ma l'uno e l'altra erano funzionali; erano stati costruiti per uno scopo e rispondevano appieno a quello scopo.
Perché non si poteva fare lo stesso per un'automobile? Perché non orientarsi con risoluta audacia verso la produzione di una vettura che rispondesse alle esigenze e all'ambiente del momento, cioè l'era dell'utilità, in modo così completo da finire col sembrare bella? Forse mi viene un'idea per la Farstar annunciò Adam.
Però non fatemi fretta.
Lasciate che ve la esponga con calma.
Gli altri tacquero.
Adam cominciò a parlare, riordinando via via i propri pensieri.
Avevano tutti troppa esperienza per gettarsi subito a capofitto su un'idea singola, ma Adam avvertiva un comune, crescente interesse per ciò che andava dicendo.
Quando ebbe finito di parlare, Brett balzò in piedi e prese a passeggiare su e giù per la stanza, sprizzando intorno pensieri come schegge di legno da una sega elettrica.
Da secoli gli artisti vedono il bello nella bruttezza...
Pensiamo alle sculture distorte, tormentate, da Michelangelo a Henry Moore... Pensiamo a certa pittura...
Si batté un pugno nella palma dell'altra mano.
Con un Picasso sotto gli occhi, siamo andati avanti a disegnare automobili che paiono uscite da un quadro di Gainsborough!
Non lasciamoci trasportare dall'entusiasmo ammonì, prudente, Volpe Argentata.
Anche se abbiamo un punto di partenza, il cammino è ancora molto, molto lungo.
Adam sapeva che Braithwaite aveva ragione da vendere.
La concezione di un'automobile nuova incontrava sempre sul proprio cammino una serie infinita di ostacoli, in seno alla società.
Ma qualche idea sopravviveva alle interminabili riunioni, superava gli ostacoli e diveniva realtà.
Com'era stato per l'Orione.
Come, forse, sarebbe potuto accadere per quella prima idea della Farstar.
Qualcuno portò dell'altro caffè e la discussione notturna proseguì.
L'AGENZIA pubblicitaria OJL, nella persona di Keith Yates-Brown, era quanto mai nervosa perché il film La Città dell'Automobile andava avanti senza un copione scritto.
Se non c'è un copione protestò Yates-Brown con Barbara Zaleski, telefonando da New York, come possiamo proteggere da qui gli interessi del cliente e darvi qualche suggerimento? Barbara, a Detroit, aveva voglia di rispondergli che l'ultima cosa di cui si sentiva il bisogno, in quel lavoro, era che Madison Avenue vi ficcasse il naso.
Si limitò invece a riferirgli le idee del regista, Wes Gropetti, un uomo di talento, abbastanza apprezzato perché i suoi punti di vista dovessero essere tenuti nel debito conto.
Barbara assicurò Yates-Brown che l'idea di Wes pareva funzionare benissimo.
Armato di una cinepresa a mano e di un minimo di attrezzature, Gropetti girava per tutta la città vecchia con pochi collaboratori, convincendo la gente a parlare francamente, liberamente, e talvolta persino in maniera commovente davanti alla macchina da presa.
Barbara sapeva che la genialità di Gropetti consisteva in parte nell'istinto che lo portava sempre a scegliere la persona giusta e poi a farle dimenticare che un obiettivo e alcune luci stavano inquadrandola.
Aveva già visto lei stessa alcune riprese ed era entusiasta dei risultati.
Dal momento che il film lo intitoliamo La Città dell'Automobile obiettò Yates-Brown quando Barbara gli ebbe esposto la situazione, potresti forse informare Gropetti che per le strade circolano anche le automobili, oltre alle persone, e che ci piacerebbe tanto vederne qualcuna, preferibilmente del nostro cliente, sullo schermo.
Barbara rassicurò il capo.
Le automobili ci saranno, nella pellicola... e quelle del nostro cliente.
Non le reclamizzeremo, ma nemmeno le nasconderemo.
Proseguì descrivendo le riprese già effettuate negli stabilimenti della società automobilistica, con particolare riguardo al personale assunto fra il sottoproletariato della città vecchia... e a Rollie Knight.
Durante le riprese nello stabilimento, gli altri operai lì intorno non si erano accorti che l'obiettivo si appuntava con particolare attenzione su Rollie. Leonard Wingate aveva organizzato tutto, e giù in fabbrica si sapeva soltanto che, per motivi sconosciuti, si sarebbe ripresa una sezione della linea di montaggio, con gli uomini al lavoro.
Gli unici rumori registrati in quella fase erano quelli dei macchinari.
La voce di Rollie sarebbe stata inserita in seguito; l'avrebbero registrata gli operatori in casa sua.
Create soltanto di ricordare che stiamo spendendo una quantità di soldi del cliente ammonì Yates-Brown al telefono.
Siamo nei limiti del preventivo ribatté Barbara.
E il cliente sembra molto contento di ciò che abbiamo fatto sinora. Quanto meno, lo sembra il direttore amministrativo.
Barbara udì nell'apparecchio un rumore che poteva essere stato quello prodotto da Keith Yates-Brown che balzava dalla sedia.
Avete parlato col direttore amministrativo del cliente! Ha assistito alle riprese nello stabilimento.
E il giorno seguente Wes Gropetti gli ha portato qualche spezzone e lo ha proiettato nel suo ufficio.
Hai lasciato salire al quindicesimo piano quello straccione di un hippie! Wes e il direttore hanno simpatizzato subito.
Anzi, quest'ultimo mi ha telefonato il giorno dopo.
Ha detto che la nostra agenzia ha dato prova di lodevole immaginazione - sono parole sue - nell'assumere Wes Gropetti.
Ci ha raccomandato di continuare a lasciar fare a lui, di testa sua, e ha aggiunto che avrebbe scritto in questo senso anche all'agenzia.
La ragazza udì un grosso sospiro.
Barbara, mi pare che te la stai cavando molto bene.
La voce di Yates-Brown si fece supplichevole.
Ma ti prego, ti prego, per favore, non correre rischi. E vorrei proprio avere un copione...
ERANO trascorsi ormai parecchi giorni da quella telefonata, e Wes Gropetti, più che mai senza copione, si accingeva a girare la sequenza finale, imperniata su Rollie Knight.
Prime ore della sera.
Otto persone erano stipate nell'afoso appartamentino di Rollie e May Lou, con il suo arredamento di fortuna.
Era stata una giornata estiva di caldo soffocante e nemmeno dopo il tramonto la temperatura era scesa di molto.
Il minuscolo appartamento era composto di un piccolo soggiorno, che serviva anche da stanza da letto, e di un cucinino grande come un armadio, con un lavandino senz'acqua calda e un decrepito fornello a gas.
Lo stanzino da bagno e il gabinetto erano al piano di sotto.
Rollie era immusonito, come se rimpiangesse di essersi lasciato trascinare in quella storia.
May Lou, di aspetto infantile, con gambe come grissini e braccini ossuti, aveva l'aria spaventata, ma pareva calmarsi a poco a poco mentre Wes Gropetti le parlava in tono calmo e sommesso.
Barbara Zaleski stava vicino agli operatori, un taccuino aperto in mano, mentre, accanto a lei, con le spalle contro la parete, c'erano Brett e Leonard Wingate.
A un tratto, benché soltanto i due tecnici avessero visto il segnale di Gropetti, si accesero i riflettori e la colonna sonora cominciò a girare. May Lou sbatté le palpebre.
Il regista, però, continuò a parlarle sottovoce e lei annuì, mentre il suo viso si distendeva.
Poi, con movimenti abili e lievi, Gropetti si tolse dal raggio d'azione della cinepresa, mentre May Lou diceva in tono perfettamente naturale: Serve mica a niente prendersela perché non c'è futuro, come dicono che c'è da fare; poi, non si sa neanche se ce ne sarà di futuro, per quelli come noi.
Si strinse nelle spalle.
C'è mica niente di diverso adesso. Tacque.
Il regista le si avvicinò, le sussurrò qualcosa all'orecchio e si tirò indietro. Il viso di May Lou era acceso, ora.
Sicuro, ci hanno portato via il tivù a colori.
Gettò un'occhiata all'angolo opposto.
Sono venuti a prenderlo, dicevano che non abbiamo pagato più, dopo la prima volta.
Uno voleva sapere perché l'abbiamo comprato.
Gli ho detto: "Signore" gli ho detto, "se pago la prima rata oggi, stasera posso guardarmi il tivù.
Certi giorni è la sola cosa che conta".
Alt! I proiettori si spensero.
Ma che cos'è questa storia? sussurrò Brett a Leonard Wingate.
Il negro stava asciugandosi il viso. Sono nei guai rispose sottovoce.
Hanno avuto in mano un po' di soldi per la prima volta nella loro vita, e sono diventati matti, hanno comprato mobili, televisore a colori, eccetera, sobbarcandosi a spese che non sono in grado di affrontare.
Ora, una parte della roba se la sono riportata via i fornitori. Ma non è finita qui.
Che c'è ancora? domandò Brett.
Si chiama precetto spiegò Wingate.
Significa il fermo del salario di un lavoratore alla fonte, per ingiunzione di un tribunale, su richiesta dei creditori. È una legge vigliacca, anacronistica. Knight ne ha già avuto uno.
Questa settimana ne è arrivato un secondo e, con il consenso dei sindacati, a due precetti corrisponde automaticamente il licenziamento. Con voce sommessa, ma vibrante, Wingate proseguì, rivolto a Brett e a Barbara che s'era avvicinata a sua volta per ascoltare: Una buona metà della colpa di ciò che sta accadendo a Knight è da addebitarsi al nostro atteggiamento... all'atteggiamento della società in cui viviamo, cioè della gente come voi e me.
Sì, certo, ci mettiamo ad aiutare qualcuno come questi ragazzi, ma non appena lo abbiamo fatto, pretendiamo che questa gente assuma di colpo la nostra mentalità borghese, che noi stessi abbiamo acquisita dopo anni e anni di vita alla nostra maniera. Il denaro, per esempio.
Anche se Knight non è mai stato abituato al denaro, perché non ne ha mai posseduto in vita sua, pretendiamo che sappia maneggiarlo come se ne avesse sempre avuto.
E se non lo fa, viene trascinato in tribunale, gli viene sequestrato il salario e viene licenziato.
Non permetterà che avvenga una cosa simile balbettò Barbara.
Wingate scosse la testa.
Non posso fare molto, io.
E Knight è soltanto uno dei tanti.
Comunque, gli parlerò, quando avremo finito.
Rimasero in silenzio tutti e tre.
Brett fissava accigliato il pavimento.
Quel che aveva visto lì, quella sera, le condizioni in cui vivevano Rollie Knight e May Lou, il senso di malessere e la povertà comuni a tutta la città vecchia, lo avevano profondamente colpito.
Era passato altre volte per quelle strade, ma non aveva mai visto le cose così da vicino, né provato l'acuto senso di pena di quelle ultime ore.
Aveva pregato Barbara di lasciarlo assistere alle riprese di quella sera, un po' per curiosità e un po' perché negli ultimi tempi la ragazza era stata così occupata da quel lavoro che loro due quasi non riuscivano più a vedersi.
Tuttavia non s'era aspettato di dover provare un'emozione così profonda.
I disordini del '67 erano ormai lontani, ma niente era stato fatto, all'infuori di qualche sporadico rappezzo, per rimediare alle condizioni di vita che li avevano provocati.
E se aveva fallito un'intera collettività, che cosa mai avrebbe potuto sperare di fare una persona sola, un singolo individuo? Questi erano i pensieri di Brett.
Allora gli venne in mente che qualcuno, una volta, si era posto la stessa domanda a proposito di Ralph Nader.
I proiettori della cinepresa si accesero di nuovo e il regista, con un gesto, ottenne il silenzio.
Si levò la voce di Rollie.
Sicuro, si imparano le cose, a vivere qui.
Per esempio, che in generale le cose non andranno mica meglio, dicano quel che vogliono.
Così è meglio non aspettarsi niente, così non ti fa male quando te lo portano via.
Alt! esclamò Gropetti e fece un cenno ai due operatori.
Smontare! Basta così!
Se ne andarono tutti, tranne Leonard Wingate, augurando la buona notte a Rollie e a May Lou.
La ragazza chiuse la porta d'ingresso e tutti e tre si misero a sedere nel minuscolo soggiorno.
Questi del film ti pagheranno per il disturbo di stasera esordì Wingate. Ci penso io.
May Lou abbozzò un sorriso incerto.
Rollie non aprì bocca.
Lo sapevi del secondo precetto? domandò Wingate.
Rollie non rispose.
Gliel'hanno detto oggi sul lavoro rispose per lui May Lou.
Gli hanno detto che non prenderà più la paga. È vero?
Non la prenderà tutta.
Però, se perde il posto non prenderà più niente. Wingate spiegò ai due che cos'era un precetto. Come sospettava, né Rollie né May Lou s'erano resi conto del significato del primo e in quel momento Rollie non capiva che il secondo poteva sfociare nel licenziamento.
Wingate sospirò.
Cercherò di aiutarvi.
Se siete d'accordo.
May Lou gettò un'occhiata a Rollie.
Oh sì, è d'accordo, signore.
Non è più lui da qualche tempo.
È rimasto... be', proprio sconvolto.
Wingate si domandò perché.
Se Rollie era stato informato del secondo precetto soltanto quel giorno, come aveva detto May Lou, evidentemente non era quella la causa del suo turbamento. Disse ai due ragazzi che la sola cosa da fare, ora e subito, era di dargli un elenco dei loro debiti.
Poi uno del suo ufficio, che faceva quel lavoro fuori orario, avrebbe telefonato ai creditori, invitandoli ad accettare piccole rate dilazionate in un lungo periodo di tempo e a ritirare, in cambio, i precetti.
Di solito, i creditori accettavano quelle condizioni, perché si prospettava loro l'unica alternativa possibile, in caso contrario l'operaio interessato avrebbe perduto il posto e loro non avrebbero riscosso più un soldo.
Poi avrebbero domandato a Rollie qual era la cifra minima settimanale di cui aveva bisogno per sbarcare il lunario e, una volta fissata tale cifra, il suo assegno sarebbe passato all'impiegato dell'ufficio Personale che lo avrebbe depositato su un conto speciale, dal quale avrebbe prelevato via via le somme da versare ai creditori e l'assegno settimanale fissato per Rollie.
E con quella somma il giovane operaio avrebbe dovuto cavarsela finché non avesse pagato tutti i debiti.
Non sarà facile avvertì Wingate.
Ce la faremo, signore disse May Lou.
Rollie si strinse nelle spalle.
Era evidente che qualcosa turbava profondamente Rollie Knight, qualcosa di molto grave, sospettava Leonard Wingate, che si domandò una volta ancora di che cosa potesse trattarsi.
HANK KREISEL, il fabbricante di accessori per automobili, fece strada a Adam ed Erica Trenton al pianterreno della sua casa di Grosse Pointe.
Erano stati a cena insieme, ospiti di Kreisel, al Detroit Athletic Club, in centro, poi Adam ed Erica avevano accompagnato a casa Hank.
L'inclusione di Erica nell'invito aveva dato a tutta prima qualche preoccupazione a Adam, che tuttavia avrebbe potuto risparmiarsele: Hank Kreisel fu molto discreto a proposito di quella fine settimana.
Dopo un poco Adam si era rilassato, ma continuava a domandarsi che cosa Hank Kreisel volesse da lui.
Erica era stata brillantissima, a cena.
Hank Kreisel le riusciva palesemente simpatico e lei era raggiante.
Più di una volta, Adam aveva notato le fugaci occhiate di ammirazione che Kreisel le lanciava.
Mentre faceva strada all'interno della casa, il loro anfitrione disse: Adam, voglio farle vedere una cosa particolare, e possibilmente discuterne con lei.
Aprì una porta a pannelli che dava su una scala a chiocciola.
Scese davanti ai suoi ospiti e aprì un'altra porta di metallo grigio.
I tre si trovarono in un vasto locale che fu subito inondato di luce proveniente da tubi fluorescenti.
Guardandosi intorno, Adam vide che si trovavano in un'attrezzatissima officina meccanica sperimentale.
Passo una quantità di tempo qui dentro spiegò Kreisel.
Apparecchi pilota.
Nuovo lavoro per il mio stabilimento.
Adam ricordò che Brett DeLosanto gli aveva detto che Hank Kreisel, prima di mettersi in proprio, aveva fatto il meccanico e il capofficina. Da questa parte.
Kreisel accompagnò i due fino a un ampio, basso bancone sul quale si trovava uno strano aggeggio fatto di sbarre d'acciaio, lastre metalliche e meccanismi interni.
Da un lato sporgeva una manovella che, azionata da Adam per curiosità, mise in moto alcune parti della struttura.
Adam si strinse nelle spalle.
Mi arrendo, Hank! Che diavolo è?
Kreisel fece un sorrisetto.
Una trebbiatrice.
Mai esistita una uguale, né così piccola.
Capace di trebbiare qualsiasi tipo di cereali: grano, riso, orzo...
Dai cento a centocinquanta chili l'ora.
Prodotta in serie, si potrà venderla a cento dollari.
Adam sembrava perplesso.
Esclusa senza dubbio la fonte di energia. S'interruppe.
A proposito, quale sarebbe la fonte di energia?
Sapevo che sarebbe arrivato a questo ribatté Kreisel.
La fonte di energia sarà semplicemente un tizio che girerà la manovella, proprio come ha fatto lei adesso.
Soltanto che il tizio al quale io penso è un vecchio barbone orientale, in qualche villaggio della giungla.
Quando a quel barbone faranno male le braccia, una donna o un bambino potranno prendere il suo posto.
Peccato che le auto non si possano fare così disse Adam ridendo.
Non rida, la prego!
D'accordo, non riderò.
Però, continuo a non vedere la produzione in serie, e proprio qui a Detroit poi, di una macchina agricola... che funziona a manovella!
Se lei fosse stato in certi posti dove sono stato io replicò Kreisel con calore, forse la vedrebbe. Sono stato in Corea, lo sa? Buona parte dei nostri guai, qui a Detroit, è che dimentichiamo l'esistenza di posti ben diversi.
Dimentichiamo che molta gente non pensa come noi.
Abbiamo fatto lo stesso in altri campi. Inquinamento.
Sicurezza.
Solo che in questi casi siamo arrivati a un punto tale che è stato giocoforza cambiare indirizzo.
Molti alti papaveri dell'industria osservò Adam, hanno fede nel ripensamento di vecchie idee.
Ma una macchina azionata a mano questo è regresso vero e proprio. Io, poi, lavoro nel settore automobili e autocarri.
Quelli delle macchine agricole le hanno detto di no?
Kreisel annuì.
Ho bisogno di qualcuno che mi apra una porta a livello di consiglio d'amministrazione, in modo che io possa destare interesse al vertice. Speravo che potesse farlo lei.
Non puoi pensarci tu? s'intromise Erica.
Adam scosse la testa, ma fu Kreisel a risponderle: Bisogna che prima cominci lui ad aver fede nella mia idea.
Rimasero a osservare quell'aggeggio azionato a manovella, così distante da tutto ciò che Adam aveva mai visto o conosciuto in campo industriale.
Tuttavia, Adam non ignorava che spesso le industrie automobilistiche si interessavano a progetti che avevano ben poco in comune con la loro attività fondamentale.
La General Motors era stata la prima a produrre un cuore meccanico.
La Ford stava lavorando a un progetto di apparecchi di comunicazione attraverso lo spazio, via satellite.
Perché, in entrambi i casi c'era stato qualcuno, in alto loco, che s'era preso a cuore personalmente il progetto.
Le dirò una cosa, Adam riprese Kreisel.
E anche a lei, Erica.
Il nostro Paese non vende macchine agricole oltremare, perché sono troppo complesse.
Per noi è come una specie di dogma: tutto deve essere azionato da un motore.
E ci dimentichiamo, per esempio, che i Paesi orientali hanno manodopera a non finire, mentre non vi sono molte possibilità di far riparare macchine complesse.
Sicché, è necessario che le macchine siano molto semplici. Sollevò la mano che aveva posato sulla trebbiatrice.
Come questa.
Adam cominciava a sentirsi meno sicuro.
Quell'idea poteva funzionare? si domandò.
Cominciò a sparare domande.
E per ognuna, Kreisel aveva pronta la risposta.
Più tardi, mentre percorrevano l'autostrada John Lodge, diretti a casa, Erica domandò al marito: Presenterai Hank al tuo consigliere delegato e agli altri?
Non so.
La voce di Adam tradiva il dubbio. Non so proprio.
Io penso che dovresti farlo.
Lui le gettò un'occhiata di traverso, divertito.
Così, punto e basta.
Sì, così, punto e basta fece eco Erica, risoluta.
Ma proprio tu non mi dici sempre che ho già troppe cose a cui pensare? Adam pensò all'Orione, che stava per essere messa sul mercato, e alla Farstar, alle primissime fasi, che fra poco gli avrebbe portato via altro tempo, in ufficio e a casa.
E quanto prima avrebbe dovuto risolvere anche il problema dell'investimento di sua sorella Teresa nella concessionaria di Smokey Stephensen.
Aveva davvero voglia di addossarsi qualcos'altro ancora?
Questa cosa non ti porterà via tempo osservò Erica.
Hank vuole soltanto che tu lo presenti perché possa far conoscere la sua macchina.
Adam rise.
Non è così semplice.
Le spiegò come andavano le cose.
Ogni progetto da sottoporre al vertice della società doveva essere corredato da un'analisi esauriente e da un giudizio.
Niente arrivava per caso sul tavolo del presidente o di un consigliere delegato.
E con giusta ragione, altrimenti centinaia di progetti pazzeschi avrebbero impedito lo svolgimento della normale attività direttiva.
In quel caso, il lavoro di preparazione sarebbe toccato ad Adam.
Le idee di Kreisel lo avevano colpito, ma gli avrebbe reso qualcosa farsi suo garante? La voce di Erica interruppe il corso dei suoi pensieri.
Anche se dovessi lavorarvi un po', credo che sarebbe un lavoro assai più utile delle altre cose che fai.
Ti piacerebbe che lasciassi perdere l'Orione, la Farstar, immagino ribatté lui con sarcasmo.
Perché no? Quelle non danno da mangiare a nessuno.
La macchina di Hank, sì.
L'Orione darà da mangiare a me e a te. Ancor prima d'avere finito di parlare, si rese conto di aver detto un'idiozia.
Suppongo sia la sola cosa che ti preoccupa replicò Erica.
No, non è vero.
Tuttavia, vi sono molte altre considerazioni da fare.
Per esempio?
Per esempio, che Hank è un opportunista.
A me è piaciuto.
Me ne sono accorto.
La voce di Erica si fece di ghiaccio.
Che cosa vorresti dire?
Oh, niente! Al diavolo!
Ho chiesto: che cosa vorresti dire?
Ebbene scattò Adam, se proprio lo vuoi sapere, ti spogliava con gli occhi quando ti guardava.
E te ne sei accorta anche tu.
Ma non sembrava che ti seccasse.
Erica aveva il viso in fiamme.
Sì, me ne sono accorta! E no, non mi seccava affatto.
Significa soltanto che Hank Kreisel è un uomo e si comporta da uomo.
E una donna si sente donna, con lui.
Mentre con me no, immagino.
No, con te no, accidenti! La collera di Erica colmava l'automobile.
Adam ne rimase scosso.
Ebbe il buon senso di capire che la scenata era già durata anche troppo.
Erano usciti dall'autostrada, ormai. Pieno di rimorsi, Adam fermò l'auto.
Erica singhiozzava, col viso appoggiato al finestrino.
Adam le toccò una mano, lei lo respinse con uno scatto.
Senti mormorò lui, sono un somaro calzato e vestito, non ho capito niente! No!
Sta' zitto! Erica ricacciò indietro le lacrime.
Che cosa credi che io voglia fare l'amore qui, adesso? Come credi che si senta una donna che è costretta a chiederlo?
Adam rimase un momento in attesa, confuso e disorientato, poi rimise in moto la macchina e nessuno dei due parlò fino a casa.
Scesa dall’auto, Erica disse con la massima calma: Ho riflettuto molto, e non da stasera soltanto.
Voglio divorziare.
Quando, sistemata l'automobile nella rimessa, Adam entrò in casa sua moglie era già nella camera degli ospiti, con la porta chiusa a chiave.
Per la prima volta da quando si erano sposati, si trovavano nella stessa casa e dormivano divisi.
DAMMI la brutta notizia disse Smokey Stephensen a Lottie Potts, la sua contabile.
Di quanto sono scoperto?
Lottie sembrava tale e quale un Uriah Heep in gonnella, ma aveva una mente lucida e affilata come la lama di un rasoio.
Se si tiene conto delle automobili consegnate in questi giorni, sono quarantatremila dollari, signor Stephensen!
"Scoperto" significava che Smokey aveva venduto le macchine ma non aveva versato gli incassi alla banca che gli aveva anticipato il denaro per acquistarle.
Le automobili rappresentavano per la banca la garanzia del prestito e, non essendo stata informata da nessuno del contrario, essa riteneva che le vetture fossero sempre in inventario.
Sul conto corrente quanto abbiamo, Lottie?
Tanto da pagare gli stipendi per questa settimana e la prossima.
Ah! Smokey si strofinò la barba, poi si appoggiò allo schienale della sedia, incrociando le mani sul ventre prominente.
Era il martedì della prima settimana di agosto e i due si trovavano nell'ufficio di Smokey, all'ammezzato del salone.
Lottie aveva davanti a sé i suoi registri, aperti.
Di quei tempi, rifletteva Smokey, non era facile trovare donne in gamba come lei.
Del resto, se madre natura aveva giocato il tiro di fare una donna brutta come Lottie, bisognava pure che quella si ingegnasse per compensare in qualche modo la mancanza.
E Lottie gli era profondamente devota.
Smokey sapeva di poter sempre far conto su di lei, così come sapeva che solo grazie al suo aiuto era riuscito a tirarsi fuori da situazioni dalle quali non sarebbe mai riuscito a cavarsela da solo.
In tutta la sua vita, Smokey aveva sempre seguito una regola: se vuoi che una donna ti sia fedele, sceglila brutta.
Le belle ragazze sono volubili.
Era stata un'altra donna brutta a far precipitare la crisi di quel giorno.
Si chiamava Yolanda e lavorava alla banca di Smokey; era la segretaria di uno dei vicepresidenti, e aveva accesso alle notizie confidenziali.
Pesava quasi un quintale.
Smokey la invitava a colazione ogni due mesi o giù di lì, e Yolanda, animata da una patetica gratitudine per l'amicizia che lui le dimostrava, lo ricompensava di tanto in tanto con qualche utilissimo servizio di spionaggio bancario.
I nostri ispettori hanno in programma per domattina una visita di controllo ai depositi di alcuni concessionari gli aveva telefonato la sera prima.
Il suo nome è il settimo dell'elenco. Ho copiato gli altri.
Smokey aveva tirato un sospiro di sollievo.
Se gli ispettori seguivano l'ordine dell'elenco, da lui sarebbero arrivati non prima di tre giorni, cosicché gli restavano due giorni interi per prendere provvedimenti.
La mattina seguente, di buon'ora, aveva chiamato Lottie, dalla quale aveva saputo di essere scoperto per quarantatremila dollari.
Una verifica del magazzino avrebbe messo in luce la mancanza.
Era normale che un concessionario si trovasse scoperto, qualche volta, ma tutto stava a non esagerare e soprattutto a non farsi prendere con le mani nel sacco. Non era molto probabile che la banca di Smokey passasse sopra a uno scoperto di quella portata.
Lottie disse finalmente Smokey, dobbiamo riportare al deposito un certo numero di macchine, prima che vengano quelli del controllo.
Immaginavo che avrebbe pensato a questo, signor Stephensen, perciò ho preparato un elenco.
La contabile gli porse due fogli attraverso il tavolo.
Qui sono segnate le consegne che abbiamo fatto nelle ultime due settimane.
Brava figliola! Smokey spuntò i nomi dei clienti che abitavano più vicino. Attacchiamoci tutti e due al telefono decise.
Ho spuntato diciotto nomi, per cominciare. Io farò i primi nove.
Abbiamo bisogno che le vetture siano qui domattina di buon'ora.
Sai ciò che devi dire.
Uscita Lottie, Smokey fece il primo numero dell'elenco.
Gli rispose una voce femminile e il concessionario si presentò.
Telefonavo soltanto per sapere come vi trovate con la nuova auto dichiarò con voce melliflua.
Mi piace controllare di persona per essere certo che il cliente sia soddisfatto. Ora che avete fatto un po' di rodaggio, perché non ci portate qui la vostra macchina, domattina, in modo che il nostro personale possa fare un controllo di tutto quanto? È un servizio gratuito.
La donna fu piacevolmente sorpresa.
Decisamente lei è un concessionario diverso da tutti gli altri! esclamò. Stabilirono che la macchina sarebbe stata consegnata al servizio assistenza clienti il mattino seguente alle otto.
Smokey fece molte altre telefonate con uguali risultati: soltanto due clienti sollevarono qualche difficoltà e lui non insistette.
A mezzogiorno Smokey e Lottie erano riusciti a convincere tredici clienti a riportare in deposito l'automobile, il giorno seguente.
Poi, Smokey ebbe un lungo colloquio col capo del servizio assistenza, Vince Mixon, un tipo allegro e scattante, calvo, e ormai prossimo alla settantina, che dirigeva il reparto con l'onniveggenza di un abilissimo direttore d'albergo. Lavorava bene e piaceva ai clienti, ma era un alcolizzato.
Rigava diritto per dieci mesi l'anno, ma un paio di volte, a intervalli regolari, si lasciava andare, spesso con conseguenze dolorose.
Nessun altro datore di lavoro avrebbe tollerato una situazione simile, e Mixon lo sapeva.
Smokey, però, aveva scaltramente calcolato che, in circostanze d'emergenza, Vince avrebbe fatto tutto quel che gli fosse stato chiesto.
Insieme, i due studiarono i piani per il giorno seguente.
Non appena le tredici vetture fossero tornate alla base, dovevano essere trasferite al reparto assistenza clienti, dove Mixon avrebbe provveduto a farle lavare, a ripassarne l'interno con l'aspirapolvere e a far pulire con cura il motore.
In seguito, si sarebbe tolto dallo scomparto del cruscotto qualsiasi oggetto personale del proprietario; le targhe sarebbero state staccate e le gomme ripassate con pittura nera per farle sembrare nuove.
Mixon tirò fuori persino una serie di chiavette per riportare a zero i contachilometri.
Riporterò indietro tutti quelli che segnano più di ottanta chilometri assicurò. Poi, prima di riconsegnare l'automobile al cliente, li rimetterò a posto. Ultimate quelle operazioni, le vetture sarebbero state portate al posteggio dietro il salone di esposizione, dove si trovavano le automobili nuove.
Dopo due giorni, le avrebbero riconsegnate ai loro proprietari, ma nel frattempo sarebbero state lì a far numero per il controllo degli ispettori della banca che, Smokey lo sperava, si sarebbero accontentati di costatare che la giacenza corrispondeva all'inventario.
A metà della mattina seguente, pareva che tutto andasse a gonfie vele.
Alle undici e mezzo, Smokey era nel suo ufficio, a distendersi i nervi davanti a una tazzina di caffè, quando, senza alcun preavviso, capitò dentro Adam Trenton. Smokey cominciava a sentirsi a disagio per le visite di Adam, e quella mattina, poi, non fu certo lieto di vederlo.
Non sapevo che sarebbe venuto osservò.
Sono qui da un'ora spiegò Adam.
E sono stato quasi sempre al reparto assistenza clienti. Aprì un portacarte nero e girò una pagina.
All'inizio, lei mi aveva detto che qui dentro non ci sarebbero stati segreti per me...
Cose che si dicono borbottò Smokev.
Non sapevo di parlare a…
Quando una cosa mi interessa in modo particolare, prendo appunti. Smokey sospirò.
Bene, si accomodi disse.
Caffè?
No, grazie, e preferisco restare in piedi.
Sono venuto ad avvertirla che questa sarà la mia ultima visita. Consiglierò a mia sorella di vendere le sue azioni.
Inoltre aggiunse, battendo la mano sul portacarte, è mia intenzione consegnare questo al nostro reparto commerciale.
E che diavolo c'è lì dentro?
Fra le altre cose, la notizia che il suo reparto di assistenza, in questo momento, sta togliendo con ogni cura da un certo numero di automobili qualsiasi segno di appartenenza a un cliente, rimettendole in ordine per farle sembrare nuove e per portarle nel recinto insieme con quelle in vendita.
Non ne conosco i motivi, ma credo di immaginarli.
In ogni caso, siccome c'è di mezzo Teresa, telefonerò alla sua banca e riferirò ciò che ho visto.
Smokey Stephensen si rese conto che la situazione era tragica.
E capì anche di aver commesso un errore fidandosi di Adam Trenton.
Lo aveva giudicato un uomo intelligente, indubbiamente in gamba nel proprio lavoro, ma un po' ingenuo in altri campi, e aveva calcolato che una certa schiettezza avrebbe evitato che Adam divenisse troppo curioso. Mi faccia un favore mormorò.
Mi conceda un minuto per riflettere.
Per pensare soltanto alla maniera di bloccarmi ribatté seccamente Adam.
Ma non servirebbe a niente.
Smokey alzò la voce.
Come diavolo può sapere a che cosa penserò?
Va bene, non lo so.
Ma so che lei è un imbroglione. Adam riaprì il portacarte nero.
Lei imbroglia sulla garanzia, addebitando alla fabbrica lavori che non sono mai stati eseguiti.
Sostituisce parti che non hanno alcun bisogno di essere sostituite, poi mette in magazzino i pezzi sostituiti e li rivende come nuovi.
Mi faccia un solo esempio lo sfidò Smokey.
Adam girò qualche pagina.
Potrei fargliene ben più di uno, ma questo è tipico. Un'auto quasi nuova arriva al suo servizio di assistenza. Il carburatore ha bisogno di una piccola riparazione.
Lei fa togliere il carburatore, lo sostituisce con uno nuovo e ne addebita il costo alla fabbrica, perché l'auto è in garanzia.
Poi fa riparare il carburatore usato e lo mette in magazzino. Quel carburatore è stato poi venduto come nuovo.
Smokey protestò.
Non posso mica prendere appunto di tutto quel che fanno al servizio assistenza.
Il responsabile è lei, Smokey.
E del resto Vince Mixon dirige il reparto come lei gli dice di fare.
Fra parentesi, un'altra delle prodezze di Mixon è quella di addebitare ai clienti ore di lavoro in più.
Vuole qualche esempio?
Smokey scosse la testa.
Inoltre lei imbroglia, regolarmente, sulle gare delle vendite straordinarie, postdatando alcuni ordini, cambiando la data su altri...
Smokey gemette.
Basta, basta! Quell'accidente di Trenton lo aveva inchiodato, pensò.
Per qualcuna delle altre accuse avrebbe potuto cavarsela, forse, ma non per l'ultima.
Le fabbriche di automobili concedevano periodicamente ai commissionari un abbuono particolare, in genere dai cinquanta ai cento dollari, per ogni vettura venduta durante un determinato periodo.
Siccome si trattava di un'operazione che assommava complessivamente a parecchie migliaia di dollari, tali vendite venivano controllate con ogni cura.
Ma c'era sempre modo di eludere i controlli e Smokey si arrangiava.
Ed era il tipo d'imbroglio che il reparto commerciale di una fabbrica ben difficilmente perdonava.
Smokey era rimasto con gli occhi fissi sulla scrivania.
Finalmente rialzò la testa e domandò in tono sommesso: Per prima cosa, lei intende telefonare alla banca, giusto?
Sì.
Benissimo, signor Spirito Nobile alto e potente, allora mi consenta di spiegarle che cosa succederà.
Alla banca si faranno prendere dal panico.
Domani stesso si procureranno un'ordinanza del tribunale e piomberanno qui, chiuderanno la bottega e si porteranno via le auto in deposito.
Poi lei dice di voler passare quegli appunti al reparto commerciale della sua società.
Lo sa che cosa faranno quelli?
Lo immagino.
Direi che le toglieranno la concessione di vendita.
Non è una supposizione.
E quel che faranno. Il concessionario gettò un'occhiata a Trenton.
Così, sua sorella e i bambini come resteranno? Quanto crede, lei, che possa valere il quarantanove per cento di un'azienda defunta?
Non sarà un'azienda defunta ribatté Adam.
La società metterà qui qualcuno, finché non si troverà un altro concessionario. Qualcuno, provvisoriamente!
Dove crede che sarà condotta quest'azienda da uno che non se ne intende per niente? Dritta al fallimento!
Dal momento che ha tirato in ballo il fallimento sottolineò Adam, sembra proprio la conclusione verso la quale sta marciando lei, in questo momento.
Smokey batté un violento pugno sulla scrivania.
Non ci sarà nessun fallimento! Soltanto se si farà ciò che vuol fare lei ci sarà un fallimento.
Invece non ci sarà se si farà alla mia maniera! Le chiamo subito la mia contabile! Le proverò quel che dico! Le mani di Smokey si aprivano e si chiudevano spasmodicamente, i suoi occhi lanciavano fiamme.
Ci volle un'ora buona di discussioni, di giuramenti da parte di Smokey, di delucidazioni da parte di Lottie, di controlli dei precedenti finanziari, prima che Adam ammettesse con sé stesso che la cosa era possibile.
Forse, Smokey avrebbe potuto risanare la situazione entro un mese.
L'alternativa era una direzione interinale che, come aveva fatto notare Smokey, poteva essere rovinosa.
Tuttavia, per consentire la sopravvivenza della Stephensen Motors, Adam sarebbe stato costretto a tacere l'inganno e la frode perpetrati ai danni degli ispettori bancari.
Mentre Lottie se ne andava, Smokey si alzò in piedi con fare provocatorio.
Allora?
Adam scosse la testa. Non è cambiato niente.
Cambierà per Teresa fece presente Smokey.
Non tutto obiettò Adam con voce stanca.
Mia sorella desiderava un'indagine a lunga scadenza.
E anch'io aggiunse, ho degli obblighi verso la società per la quale lavoro. Non sono loro che l'hanno mandata qui.
Lo so bene.
Però, non mi aspettavo di scoprire quel che ho scoperto e ora non posso ignorarlo.
La voce di Smokey si fece sommessa, supplichevole.
Le chiederò di fare una cosa, Adam... qualcosa che aiuterà anche me, certo... ma lei lo farà per Teresa.
E sarebbe?
Se ne vada subito di qui. E dimentichi tutto quel che sa.
Poi mi conceda due mesi per rimettere in sesto le finanze, perché non c'è niente nei miei affari che non possa essere sistemato in un tale lasso di tempo.
Sa bene a quali livelli saliranno le vendite con l'Orione.
Adam aveva fede nell'Orione ed era convinto che la Stephensen Motors avrebbe venduto molto.
Supponiamo che accetti.
Che cosa accadrà alla fine dei due mesi? domandò seccamente.
Il concessionario accennò al portacarte nero.
Lei consegnerà quegli appunti alla sua società, come ha detto di voler fare. Io, naturalmente, dovrò vendere molto o perdere la concessione, ma sarà un'azienda in pieno sviluppo quella che sarà messa eventualmente in vendita, e Teresa ne ricaverà almeno il doppio di quel che ricaverebbe se fosse costretta a vendere ora.
Adam esitò.
Poi dichiarò, risoluto: Le concedo un mese; non un giorno di più.
L'evidente sollievo di Smokey gli fece capire di essere stato preso per il naso. Si sentì avvilito.
Era comunque deciso a passare i suoi appunti al reparto commerciale della società, scaduto il mese.
Smokey si sentiva leggero come una piuma.
L'istinto del commerciante lo aveva indotto a chiedere una dilazione di due mesi, ma in realtà ne voleva soltanto uno.
In un mese potevano accadere tante cose.
IN AGOSTO, POCO tempo dopo quel colloquio fra Adam e Stephensen, nel reparto di Matt Zaleski regnava il caos più assoluto.
Due settimane prima, la produzione di automobili era stata sospesa e agli operai della linea di montaggio si erano sostituiti gli uomini di alcune ditte specializzate che dovevano smantellare il vecchio impianto e sostituirlo con uno nuovo per la produzione dell'Orione.
Quel lavoro sarebbe andato avanti per quattro settimane, dopo di che sarebbe cominciata la produzione in serie dell'Orione.
Mancavano ancora due settimane alla fine dei lavori e, come sempre quand'era in corso un cambiamento di modello, Matt si domandava se sarebbe riuscito a sopravvivere.
La maggior parte degli operai del reparto era in aspettativa o in ferie, ma quella parziale chiusura, anziché rendergli più facile la vita, accresceva il lavoro, moltiplicava le preoccupazioni.
Il poveretto era sempre in mezzo al fuoco incrociato degli ordini degli appaltatori, che in genere esigevano esecuzione immediata, e le preoccupazioni maggiori gli derivavano solitamente dalle nuove, complicate macchine utensili per la linea di montaggio, che in teoria funzionavano a meraviglia, ma in pratica spesso non funzionavano per niente.
Il nemico più grande era il tempo.
Non ve n'era mai abbastanza perché la trasformazione dell'impianto filasse via liscia, così che alla data stabilita per la fine dei lavori si potesse dire: Tutto funziona! Ai guai di Matt s'era poi aggiunta anche un'inattesa complicazione.
Un controllo delle giacenze, effettuato prima che fosse sospesa la produzione del modello dell'anno precedente, aveva rivelato tali ammanchi di materiale, da provocare indagini su vasta scala.
I furti di materiale erano sempre notevoli, in tutti i reparti, ma questa volta era chiaro che si trattava di una vasta organizzazione.
Fra i pezzi mancanti, v'erano oltre trecento trasmissioni a quattro velocità e centinaia di gomme, radio, mangianastri e condizionatori d'aria.
La fabbrica pullulava di investigatori e Matt, pur non avendo assolutamente niente a che vedere con quei furti, fu sottoposto a interminabili interrogatori concernenti i sistemi di lavorazione.
Nonostante tutto, Matt se l'era cavata bene, fino a quel momento a eccezione di un piccolo incidente che per fortuna era passato pressoché inosservato.
Un sabato pomeriggio si trovava nel suo ufficio (durante i cambi di modello si lavorava anche il sabato e magari la domenica) e una delle segretarie più anziane, Iris Einfeld, gli aveva portato una tazza di caffè.
A un tratto, Matt aveva lasciato cadere la tazzina, rovesciandosi tutto il caffè sul vestito.
Si era alzato... ed era caduto lungo disteso.
In seguito, ripensandoci, gli era sembrato che gli fosse venuta meno la gamba sinistra e ricordò pure che aveva tenuto la tazzina con la mano sinistra.
La signora Einfeld lo aveva aiutato a rimettersi seduto, poi aveva cercato di chiamare qualcuno, ma lui glielo aveva impedito.
Alla fine, Matt aveva lasciato l'ufficio, sorretto dalla segretaria, che l'aveva riaccompagnato a casa in automobile.
Durante il tragitto, lui l'aveva persuasa a non parlare con nessuno di quel che era accaduto.
Aveva riposato per tutta la domenica e il lunedì, un po' affaticato ma per il resto in condizioni normali, era tornato al lavoro.
Il sabato e la domenica, tuttavia, s'era sentito molto solo.
Barbara era via, da qualche parte, e Matt aveva dovuto arrangiarsi da solo.
Un tempo, quando era ancora viva, sua moglie lo aiutava a superare i periodi critici come quello del cambio di un modello, con la comprensione, l'affetto e speciali manicaretti.
Per un po' di tempo, dopo la morte di Freda, Barbara aveva fatto altrettanto: cucinava sempre lei, la sera, e cenava col padre; ma poi, a poco a poco, i suoi interessi fuori di casa avevano preso il sopravvento, il lavoro all'agenzia pubblicitaria era aumentato, e ormai padre e figlia si trovavano ben di rado in casa contemporaneamente.
Barbara considerava il proprio lavoro non meno importante di quello del padre, un atteggiamento che Matt non capiva né accettava.
Matt Zaleski non riusciva a capire tante cose di quell'epoca.
Gli bastava aprire un giornale per sentirsi trascinare dalla collera o dallo sbigottimento nel vedere come tutti i valori tradizionali fossero calpestati.
Non c'era più alcun rispetto per niente, nemmeno per la bandiera americana, sotto la quale Matt e tanti altri della sua generazione avevano combattuto - e molti erano morti - durante la seconda guerra mondiale.
A suo modo di vedere, causa prima di ogni guaio erano i giovani, e col passare del tempo aumentava il suo odio verso la maggior parte di loro: capelloni, studenti saputelli, negri militanti.
E Barbara, pur non essendo certamente né una studentessa ribelle, né una contestatrice, simpatizzava in linea di massima con l'andazzo moderno.
Per quel motivo Matt non poteva soffrire la gente che Barbara frequentava, compreso Brett DeLosanto.
Barbara aveva cercato di convincere il padre che l'oggetto del disprezzo dei giovani non era la morale della generazione dei loro padri, ma la facciata di una moralità che nascondeva la doppiezza, e che di fatto il loro era un tempo di ricerche, di eccitanti esperienze intellettuali, dalle quali l'umanità aveva soltanto da guadagnare.
Non aveva avuto successo, però: per Matt Zaleski, sprovvisto di una mente intuitiva, i cambiamenti che avvenivano intorno a lui erano puramente demolitori.
Una sera, rientrando a tarda ora in preda a un profondo malumore, aggravato dalla stanchezza e da un fastidioso mal di stomaco, Matt trovò Barbara con un ospite.
Rollie Knight.
Barbara si era incontrata con lui qualche ora prima, in seguito ad accordi presi con Leonard Wingate, perché voleva sapere qualcosa di più sulle esperienze dei negri, e in particolare di Rollie, nel quadro del programma d'impiego del sottoproletariato.
Il commento a La Città dell'Automobile, arrivato quasi alla sua forma definitiva, si sarebbe basato in parte su quel che lei avrebbe raccolto. Dapprima, Barbara aveva portato Rollie al Circolo della Stampa, ma lì aveva trovato una quantità insolita di gente e, inoltre, Rollie era sembrato molto a disagio.
Allora, senza stare a riflettere, Barbara aveva proposto di andare a casa sua.
Là, aveva preparato due bicchieri di whisky con acqua, cui erano seguite uova e pancetta servite in soggiorno su un vassoio, e dopo quella cena spiccia, con Rollie che andava sgelandosi sempre più e sembrava dispostissimo a collaborare, erano rimasti seduti a chiacchierare.
Poi, Matt era entrato.
Zaleski rimase di sasso.
Guardò incredulo Barbara e Rollie Knight seduti sullo stesso divano: Rollie aveva in mano un bicchiere e lì vicino c’erano ancora i vassoi della cena. Benché non si fossero mai scambiata una parola, in fabbrica, l'operaio e il vicedirettore si riconobbero alla prima occhiata.
Matt Zaleski fissava a turno il viso di Rollie e quello di Barbara, come se non credesse ai propri occhi.
Salve papà! esclamò Barbara. Ti presento...
La voce tagliente di Matt troncò a mezzo le sue parole.
Guardando il negro con espressione feroce, proruppe: Che diavolo ci fai, tu, in casa mia?
Papà s'intromise bruscamente Barbara, è un mio amico, il signor Knight.
Sta' zitta! gridò Matt.
Con te farò i conti più tardi.
Dal viso di Barbara scomparve ogni traccia di colore.
Come sarebbe a dire... farai i conti con me?
Matt non badò a lei.
Continuava a fissare Rollie Knight come se volesse passarlo da parte a parte, poi accennò all'uscio.
Fuori di qui!
Papà, non azzardarti! Barbara era balzata in piedi.
Matt le allungò un ceffone in pieno viso.
"No, non può essere" pensò la ragazza. Era come se, spostato un macigno - un secolo di progresso sociale - al disotto di esso si fosse scoperto un marciume formicolante: la mentalità irragionevole, imbevuta di odio, intollerante e fanatica di Matt Zaleski.
E siccome lei era sua figlia, Barbara si sentì tanto colpevole quanto il padre.
Udirono un'automobile fermarsi davanti alla casa. Rollie s'era alzato a sua volta.
Va' all'inferno, carogna! La voce di Matt tremava.
Ho detto fuori di qui! Via!
La porta laterale si aprì e Brett si annunciò con un'allegra esclamazione: Siete diventati sordi, qui dentro? Sorrise a Barbara e a Matt, poi squadrò Rollie.
Ehi, Rollie! Come va, amico? Al disinvolto saluto di Brett al giovane negro, l'ombra di un dubbio apparve sul viso di Matt.
All'inferno anche tu! sibilò Rollie all'indirizzo di Brett.
Gettò un'occhiata sprezzante a Barbara e se ne andò.
Si può sapere che diavolo è successo? domandò Brett.
Barbara scosse la testa.
Le lacrime le impedivano di parlare.
Brett attraversò la stanza e passò un braccio attorno alle spalle della ragazza.
Di qualunque cosa si tratti, calmati, ora! Ne parleremo più tardi le mormorò con dolcezza.
Senti, forse sono stato... cominciò Matt con voce incerta.
Barbara non lo lasciò finire.
Non voglio sentire niente! Ritrovato il controllo dei propri nervi, si sciolse dalla stretta di Brett, il quale osservò: Sentite, se è una lite in famiglia e preferite che me ne vada...
Voglio che tu stia qui ribatté Barbara.
E quando te ne andrai, verrò via con te.
Fece una pausa, poi gli piantò gli occhi in viso. Mi hai chiesto di venire a stare con te, Brett.
Se mi vuoi ancora, vengo.
Lo sai che lo desidero assicurò lui con fervore.
Matt, che era crollato su una sedia, alzò la testa.
A convivere!
Esatto dichiarò sua figlia, con voce gelida.
No! ruggì il vecchio.
Buon Dio, no!
Cerca di fermarmi, se ne sei capace.
Si squadrarono per un attimo, poi Matt abbassò lo sguardo e si prese la testa fra le mani.
Le sue spalle sussultarono.
Prenderò qualcosa per stanotte disse Barbara a Brett.
Senti mormorò questi, fissando la figura ingobbita sulla sedia, ho desiderato tanto che noi due si stesse insieme.
Ma deve proprio accadere in questo modo?
Quando saprai che cosa è successo, capirai.
E allora portami via o lasciami perdere... subito, così come sono.
Se non mi porti via tu, andrò in albergo.
Brett le saettò un fugace sorriso.
Ti porto via.
Barbara sparì in camera sua.
Rimasto solo con Matt, Brett osservò, a disagio: Qualunque cosa sia accaduta, mi dispiace, signor Zeta.
Non ebbe risposta e se ne andò ad aspettare Barbara in automobile.
Perlustrarono per mezz'ora tutte le strade dei dintorni, alla ricerca di Rollie Knight.
Barbara aveva raccontato a Brett ciò che era accaduto prima del suo arrivo, e mentre lei parlava il viso del giovane s'era fatto scuro.
Povero diavolo! Non mi stupisce che se la sia presa anche con me.
Deve aver pensato che sotto sotto siamo tutti uguali.
È logico, non ti pare? Gettò un'occhiata indagatrice a Barbara. In ogni modo, sappiamo dove abita.
Lei scosse la testa. Rollie è andato, ormai.
Non possiamo fare più niente, stasera.
Andiamo a casa.
La tua casa le rispose Brett pesando le parole, è a un nuovo indirizzo, ora...
Country Club Manor, West Maple.
LA RELAZIONE di Erica Trenton con Pìerre Flodenhale aveva avuto inizio ai primi di giugno.
Qualche giorno dopo averla conosciuta, Pierre le aveva telefonato proponendole di pranzare insieme; si erano incontrati in un ristorantino fuori mano, a Sterling Heights.
Una settimana dopo, si erano trovati di nuovo, ma, quella volta, dopo il pranzo erano finiti in un motel.
Quando era tornata a casa, Erica si sentiva in gran forma, nel fisico e nel morale, come non le accadeva da mesi.
Per tutto il resto di giugno e buona parte di luglio avevano continuato a vedersi non appena possibile, e quasi sempre di giorno.
Per Erica, quegli incontri significavano la felicità di un soddisfacimento fisico del quale era stata privata per troppo tempo; non sapeva quanto sarebbe durata quella storia, ma sapeva che non sarebbe mai stata per entrambi altro che un'avventura, destinata a finire prima o poi.
Frattanto, però, si abbandonava a essa senza restrizioni e il piacere che sia lei sia Pierre provavano per quegli incontri dava a entrambi un senso di sicurezza che li portava a non curarsi di farsi vedere in pubblico assieme. Un giorno, verso la fine di luglio, una settimana circa prima della cena con Hank Kreisel, nella cronaca mondana nel News di Detroit apparve una nota che collegava i nomi di Pierre e di Erica.
Pierre Flodenhale, il brillante e simpatico corridore automobilista, e la bellissima Erica Trenton, consorte del progettista d'automobili Adam Trenton, continuano a godere della reciproca compagnia.
Venerdì scorso, mentre facevano colazione allo Steering Wheel, non avevano occhi come il solito, per nessun altro.
La vista di quelle parole sul giornale fu come una mazzata per Erica.
Si rese conto, a un tratto, di quanto lei e Pierre fossero stati sciocchi e imprudenti ed ebbe voglia di correre a nascondersi da qualche parte.
Quella sera, come sempre, Adam aveva portato a casa il giornale e marito e moglie se lo erano diviso per dargli un'occhiata mentre sorseggiavano il solito aperitivo.
Mentre Adam scorreva le notizie, Erica aveva preso per sé la sezione dedicata alle donne, che comprendeva anche la cronaca mondana, e per paura che il marito passasse poi alle pagine che lei stava leggendo, s'era precipitata in cucina e aveva servito la cena, benché le verdure non fossero ancora cotte.
Quando andò a tavola, Adam non aveva nemmeno sfogliato le pagine incriminate. Dopo cena, Adam s'era messo a lavorare come il solito, dimenticando completamente, a quanto pareva, il giornale che Erica, quando finalmente il marito era salito per andare a letto, aveva poi fatto sparire.
La mattina dopo, lo aveva bruciato.
Rimase in ansia per qualche giorno.
Era certa che se Adam fosse venuto a conoscenza di quella notizia, lei lo avrebbe saputo.
Suo marito non era il tipo che arretrava davanti a una discussione, né tanto meno uomo da condannare la moglie senza darle la possibilità di giustificarsi. Adam, però, non disse mai niente; trascorsa una settimana, Erica cominciò a sentirsi tranquilla.
Sotto un certo profilo, finì coll'essere contenta che fosse accaduto quell'incidente, perché la indusse a esaminare a fondo i propri rapporti col marito e con Pierre.
A prescindere dal lato sessuale e dal pochissimo tempo che le dedicava, Adam usciva dal confronto con un vantaggio di molte lunghezze.
Soprattutto perché possedeva il tipo di intelligenza che Erica ammirava. E Pierre no.
Pierre sapeva parlare con entusiasmo soltanto delle gare automobilistiche, tutto il resto lo annoiava.
Se si parlava di argomenti d'attualità, di politica o di arte, lui sbadigliava o cincischiava come un ragazzo irrequieto.
Adam, pur essendo un lavoratore accanito, non perdeva mai i contatti con la vita in tutti i suoi aspetti, aveva opinioni decise e una coscienza sociale.
A Erica piaceva moltissimo ascoltarlo parlare.
Quando si pose chiaramente una domanda: "Con chi, fra tutti gli uomini che conosco, preferirei avere un'avventura?" si sorprese a dare a sé stessa una risposta rivelatrice: "Adam".
Quello stato d'animo nei confronti del marito durò in lei per parecchi giorni, fino alla serata trascorsa con Hank Kreisel.
Quella sera le era sembrato che, chissà come, Kreisel fosse riuscito a portare a galla quanto v'era di meglio in Adam e aveva seguito affascinata la loro conversazione.
Soltanto più tardi, mentre tornavano a casa, aveva ricordato l'Adam di un tempo, l'amante appassionato che ormai sembrava scomparso, ed era stata sopraffatta dalla disperazione e dalla collera.
Tuttavia, nei giorni successivi, non aveva fatto niente per mettere in moto la macchina del divorzio né se n'era andata dalla casa di Quarton Lake, pur continuando a dormire nella camera degli ospiti.
Aveva bisogno di restare per qualche tempo nel limbo, per così dire, a riordinare le idee.
Adam non aveva fatto obiezioni.
Pensava evidentemente che il tempo avrebbe sanato i loro contrasti.
Frattanto, Erica continuava a badare alla casa e aveva anche accettato di trovarsi con Pierre, il quale le aveva telefonato per dirle che si sarebbe fermato per breve tempo a Detroit, fra una corsa e l'altra.
C'È QUALCOSA che non va osservò Erica.
Lo sento, lo so.
Allora perché non me lo dici chiaro e tondo?
Pierre, disteso accanto a lei nella camera di un motel di terz'ordine alla periferia di Birmingham, pareva a disagio, imbarazzato.
Be', niente, penso.
Non menare il can per l'aia insistette Erica.
A che cosa stai pensando?
Pierre si voltò dall'altra parte, a cercare le sigarette.
Be', d'ora in avanti bisogna che stia di più in pista. Non potrò venire così spesso a Detroit.
Ho pensato che fosse meglio dirtelo.
Erica si sentì gelare.
È tutto qui, o stai cercando di dirmi qualcos'altro? domandò dopo una lunga pausa.
Pierre tentò di sorridere.
Accidenti, Erica, è solo che... che non potremo vederci per un po'.
Per quanto? Un mese? Sei mesi?
Pierre si strinse nelle spalle.
E dopo questo periodo indefinibile riprese lei, mi telefonerai tu o dovrò telefonarti io? Si rendeva conto di essere troppo insistente ma poiché Pierre non rispondeva, aggiunse ancora: O l'orchestrina ha attaccato Addio mia bella signora? In tal caso, perché non me lo dici?
Pierre si decise ad afferrare l'occasione.
Sì mormorò.
Credo si possa dire che è così.
Erica tirò un profondo respiro.
Grazie per avermi dato finalmente una risposta schietta.
Ora, almeno, so a che punto mi trovo.
Le lacrime le salirono agli occhi, ma impose a sé stessa di non piangere.
Considerata la situazione disse gelida, mi pare che non ci siano molte ragioni per restare ancora qui.
Pochi minuti dopo, Pierre usciva dal parcheggio con un gran stridore di gomme.
Erica se ne andò con maggior calma, nella sua convertibile.
Intravide un'ultima volta Pierre che salutava sorridendo, con un cenno della mano, ma quando giunse all'incrocio la sua automobile era scomparsa.
Erica percorse un intero isolato prima di rendersi conto che non aveva la più pallida idea di dove fosse diretta.
Erano le tre del pomeriggio e pioveva a dirotto.
Dove andare, che cosa fare per tutto il resto del pomeriggio, per tutto il resto della sua vita? All'improvviso, come una piena che avesse travolto gli argini, l'angoscia, la delusione, la disperazione che al motel era riuscita a dominare, ebbero la meglio.
Gli occhi le si colmarono di lacrime e lei le lasciò rotolare giù per le guance mentre attraversava Birmingham.
Non aveva nessuna voglia di tornare a casa.
Percorse ancora qualche isolato, poi si rese conto di essere al Somerset Mall, il centro acquisti dove, quasi un anno prima, aveva preso la boccetta di profumo.
Posteggiò l'auto e proseguì a piedi, sotto la pioggia, verso la galleria interna.
Quando fu al riparo, si asciugò il viso bagnato di pioggia e di lacrime.
I negozi erano per la maggior parte abbastanza affollati. Erica si soffermò un momento in una valigeria.
Stava per andarsene, quando una cartella di cuoio inglese, di un bel marrone scuro e lucido, attrasse la sua attenzione.
Non aveva mai avuto bisogno di un oggetto del genere, ed era assai poco probabile che ne avesse bisogno in avvenire, pensò.
Inoltre, una cartella di cuoio era proprio il simbolo di ciò che lei detestava tanto: la tirannia del lavoro a casa, le serate che Adam trascorreva con le sue carte.
Eppure desiderava quella cartella che aveva appena visto, la desiderava in modo insano.
Ed era decisa ad averla.
L'avrebbe forse regalata a suo marito, pensò; un regalo d'addio meravigliosamente sarcastico.
Mentre fingeva di osservare qualcos'altro, Erica diede un'occhiata in giro.
Come era accaduto durante i suoi precedenti taccheggi, si sentiva in preda a una deliziosa, crescente eccitazione.
C'erano tre commessi, osservò, una ragazza e due uomini, tutti occupati con altri clienti.
Altre due o tre persone girellavano nel negozio curiosando, come lei.
Una donna dall'aspetto quieto di brava nonnina stava osservando alcune etichette per valigie.
Erica, aggirandosi fra i banchi, arrivò infine a quello dov'era la cartella.
La prese, la rigirò come se la esaminasse.
Una rapida occhiata in giro le confermò che i tre commessi erano ancora occupati. Socchiusa la cartella, Erica fece scivolare all'interno i due cartoncini attaccati alla maniglia, poi la posò di nuovo, con indifferenza, e infine la fece scivolare dal piano del banco, reggendola per la maniglia.
Si guardò intorno con aria sicura di sé.
Due dei clienti che curiosavano se n'erano andati; per il resto la situazione era immutata.
Senza fretta, dondolando leggermente la cartella, Erica raggiunse la porta del negozio.
Nessuno l'aveva fermata, nessuno aveva detto una parola.
Davvero, era persino troppo facile!
Un momento, prego! La voce, secca e anonima, era risonata alle sue spalle. Erica si voltò, sorpresa.
Era la donna dall'aspetto quieto di brava nonnina.
Solo che ora non sembrava più né quieta, né brava nonnina.
Aveva gli occhi duri e le labbra tese in un taglio sottile.
Chiamò il direttore del negozio.
Signor Yancy! Qui!
Poi Erica sentì che il polso le veniva afferrato da una mano di ferro.
Fu invasa dal panico.
Sono della polizia e lei è stata colta a rubare dichiarò la donna.
Quando il direttore accorse, si affrettò a informarlo: Questa donna ha rubato la cartella che ha in mano.
Ah! disse il direttore. Andiamo nel retro.
Oh no! No! esclamò Erica.
State commettendo uno sbaglio!
Il direttore sembrava a disagio.
Erica aveva alzato la voce e la gente si voltava a guardare da quella parte.
Era chiaro che il direttore avrebbe preferito spostare la scena lontano dalla curiosità del pubblico.
In quel momento, Erica commise l'errore fatale.
Se avesse seguito i due, com'era stata invitata a fare, le cose si sarebbero svolte secondo una procedura ben definita.
Sarebbe stata sottoposta a un interrogatorio alla fine del quale, con ogni probabilità, sarebbe crollata, confessandosi colpevole e chiedendo clemenza. Avrebbe pure rivelato che suo marito era dirigente di una società automobilistica.
Allora le avrebbero fatto firmare una confessione scritta, dopo di che l'avrebbero lasciata libera di andarsene e l'incidente, per lei, sarebbe finito lì.
I negozi dei sobborghi di Detroit, soprattutto quelli vicini a ricche zone residenziali, come Birmingham e Bloomfield Hills, avevano fin troppa dimestichezza con le taccheggiatrici che rubavano non per bisogno, ma perché spinte dalla frustrazione sessuale, dalla solitudine, dal bisogno di attirare l'attenzione, condizioni cui le mogli dei dirigenti dell'industria automobilistica erano particolarmente esposte.
E i negozi di Detroit sapevano che un'azione giudiziaria avrebbe danneggiato i loro affari.
Gli appartenenti al mondo automobilistico formavano una sorta di clan e il negozio che avesse perseguito uno di loro poteva esser fatto segno a un boicottaggio generale.
Perciò si preferiva un'estrema discrezione.
Se una taccheggiatrice veniva colta sul fatto, di solito la paura di essere arrestata, oltre all'ostile severità dell'interrogatorio, le toglievano per sempre la voglia di ripetere la prodezza.
Purtroppo, Erica, atterrita e disperata, precluse la via a qualsiasi possibilità di un pacifico compromesso.
Liberato con uno strattone il polso che la donna poliziotto le stringeva, tenendo sempre la cartella in mano, si voltò di scatto e uscì di corsa dal negozio precipitandosi verso l'uscita principale della galleria coperta.
Il direttore e la donna poliziotto furono colti di sorpresa.
La prima a riprendersi fu la donna, che si lanciò alle calcagna di Erica, gridando: È una ladra! Fermatela!
Alle sue grida, una guardia in uniforme che si trovava nella galleria girò sui tacchi e rincorse la fuggitiva.
I clienti seguivano la scena a bocca aperta, ma nessuno tentò di fermare Erica.
Le grida, la gente che la guardava, gli inseguitori che si avvicinavano sempre più, erano per lei come un incubo.
E a un tratto si trovò fuori, sotto la pioggia, a pochi metri dalla sua auto ferma nel posteggio.
Ansante, col cuore che le martellava in petto, ricordò che, per buona sorte, non aveva chiuso a chiave la portiera.
Infilata la cartella sotto un braccio, rovistò nella borsetta cercando le chiavi della macchina e seminando per terra una miriade di oggetti.
Non se ne curò e riuscì a trovare le chiavi, ma quando raggiunse l'automobile si avvide che la guardia, un giovanotto massiccio, era a pochi passi da lei.
In quel momento, la guardia sdrucciolò sull'asfalto bagnato e cadde.
Colto alla sprovvista, l'uomo impiegò qualche momento a rialzarsi e ciò diede a Erica il tempo di infilarsi in auto e schizzare via.
I suoi inseguitori, però, avevano fatto in tempo a leggere il numero di targa.
E avevano visto chiaramente la vettura, una convertibile rossa come una cotogna candita, vistosa come un bocciolo in pieno inverno.
E, come se non fosse bastato, fra gli oggetti caduti dalla borsa di Erica v'era un portafogli con alcune carte di credito.
Nel giro di pochi minuti, un'autopattuglia della polizia, avvertita da una telefonata della guardia, si affiancò alla convertibile rossa.
Erica, rendendosi conto che qualsiasi altro tentativo di fuga sarebbe stato idiota, si fermò immediatamente.
I due poliziotti, giovani entrambi, furono molto corretti e gentili.
Abbiamo ordine di portarla alla polizia disse uno. Alla sua auto penserà il mio collega.
Alla stazione di polizia, Erica si rese conto come in sogno di quel che la circondava.
Interrogata su ciò che era accaduto, raccontò la verità, ben sapendo che non era più il momento di cercare scuse.
Le fecero sottoscrivere una dichiarazione, poi le domandarono se desiderava telefonare a qualcuno.
A un avvocato? Al marito?
Rispose di no.
Allora l'accompagnarono in una stanzetta con le sbarre alla finestra dove la chiusero a chiave, sola.
IL CAPO della polizia suburbana, Wilbur Arenson, era un uomo tarchiato, sotto i sessanta. in numerose occasioni, nel corso della sua carriera, Arenson aveva avuto modo di costatare come valesse sempre la pena di usare le buone maniere. Perciò aveva letto con molta attenzione il rapporto su un supposto taccheggio avvenuto nelle prime ore di quel pomeriggio.
La donna fermata per quell'accusa. certa Erica Trenton, aveva cooperato di buon grado; non solo, ma aveva anche sottoscritto una dichiarazione di colpevolezza. In casi normali, l'azione avrebbe seguito la procedura ordinaria: incriminazione formale della persona sospettata, udienza in tribunale e probabile condanna.
Non tutto, però, in una stazione della polizia suburbana di Detroit, si svolgeva secondo la procedura ordinaria.
Di regola, il capo della polizia non si occupava dei particolari di reati minori, ma in qualche caso, a discrezione dei suoi subordinati, la pratica relativa arrivava sulla sua scrivania.
Un'altra eccezione alla procedura ordinaria era costituita dal fatto che il sergente di servizio, che conosceva bene le abitudini del suo superiore, aveva aspettato a rubricare il reo sospetto, così che il nome non appariva nei registri dove i cronisti potevano andare a ficcare il naso.
''Trenton": quel nome fece vibrare un campanello nella memoria di Arenson.
Proseguì nella lettura.
Diversi particolari di quel caso lo interessavano.
Primo: il motivo, evidentemente, non era il denaro.
Un portafogli caduto alla donna sospetta conteneva un centinaio di dollari in contanti e alcune carte di credito.
Arenson, però, la sapeva lunga sul conto delle signore benestanti che taccheggiavano, perciò il lato finanziario non lo stupì.
Più interessante era il rifiuto della sospetta a dare informazioni sul marito e a telefonargli.
Non che quel rifiuto avesse cambiato qualche cosa.
Il poliziotto che aveva condotto l'interrogatorio s'era preoccupato di controllare a chi appartenesse l'auto che la donna guidava e aveva scoperto che era registrata a nome di una delle tre grandi case automobilistiche di Detroit. Un successivo controllo presso gli uffici della società aveva rivelato che l'automobile era una delle due assegnate a un dirigente, Adam Trenton.
Come il capo della polizia ben sapeva, soltanto i pezzi grossi della società avevano diritto a due automobili.
L'indiziata, Erica Marguerite Trenton, doveva essere la moglie di un uomo piuttosto importante.
Ciò che Arenson aveva bisogno di sapere era: quanto importante? Il fatto che il capo della polizia prendesse solitamente tempo per esaminare a fondo questioni del genere era uno dei motivi per i quali le comunità suburbane di Detroit insistevano per mantenere forze locali di polizia.
Di tanto in tanto, qualcuno avanzava la proposta di fondere tali forze in un unico corpo di polizia metropolitana che, si sosteneva, avrebbe potuto assicurare un servizio più efficiente.
Le comunità suburbane, però, si erano sempre opposte con estrema energia, perché il sistema esistente offriva ai residenti che godevano di una certa notorietà maggiori possibilità di cavarsela se uno di loro o dei loro familiari avesse trasgredito la legge.
Ecco! Il capo della polizia rammentò a un tratto dove aveva udito il nome di Trenton.
Sei o sette mesi addietro, nel salone di Smokey Stephensen, il concessionario lo aveva presentato a un certo Adam Trenton, dirigente della società automobilistica.
Dopo, quand'erano rimasti a tu per tu, Smokey gli aveva detto che Trenton era in piena ascesa, in seno alla società, e che un giorno sarebbe anche potuto diventarne il presidente.
Ormai Arenson sapeva dove cercare le informazioni che potevano essergli utili.
Chiamò al telefono Stephensen.
PERCEVAL MCDOWALL, baronetto, e Adam Trenton erano amici da oltre vent'anni, benché provenissero da famiglie molto diverse.
Sir Perceval era l'ultimo rampollo di una famiglia di grandi proprietari terrieri inglesi e il suo titolo di baronetto, acquisito per eredità, era assolutamente autentico.
I due erano stati compagni alla Purdue University e si erano laureati insieme, Adam in ingegneria e Perceval, che gli amici chiamavano Perce, in fisica.
In seguito, Adam e Perce avevano poi lavorato per qualche tempo nella stessa società automobilistica.
Sir Perceval era smilzo, con gambe magrissime e Adam non lo trovò cambiato per niente: d'aspetto lugubre (anche se non lo era) e perpetuamente distratto (come in effetti era).
Abitava vicino a San Francisco in una casa così piena di vita da sembrare un manicomio.
Baronetto o no, Perce viveva negli Stati Uniti da un quarto di secolo e, fatta eccezione per la lingua, aveva gusti e abitudini prettamente americani.
In agosto, Perce andò in aereo a Detroit unicamente per offrire a Adam un lavoro.
La società che aveva fondato sulla costa occidentale interessata alla più moderna tecnologia nel campo dell'elettricità e dei radar, aveva bisogno di un dirigente.
Perce veniva a nome proprio e dei suoi soci.
Ti facciamo presidente, vecchio mio dichiarò mentre sedevano nell'ufficio di Adam.
Comincerai dalla vetta.
Abbiamo bisogno di un uomo di capacità particolari, un uomo che abbia immaginazione... insomma, abbiamo bisogno di te.
Era impossibile non sentirsi lusingati, osservò Adam, ed era sincero.
Poi scosse la testa.
Il fatto è che le automobili sono sempre state la mia vita. E lo sono tuttora. In quel momento, il telefono squillò.
Adam guardò seccato l'apparecchio.
Prima che arrivasse Perce, aveva detto alla sua segretaria che non voleva essere disturbato e sapeva che Ursula non avrebbe trasgredito alle istruzioni ricevute se non fosse stato per un motivo serio. Dopo essersi scusato con l'amico, rispose.
Non volevo disturbarla gli disse Ursula con la sua voce roca ma il signor Stephensen mi ha pregato di dirle che si tratta di una questione molto urgente.
Smokey Stephensen?
Sì, signore.
Dice che quando lei saprà di che cosa si tratta, non le importerà più di essere stato disturbato.
Accidenti! Adam guardò Perce come per scusarsi con lui, poi disse a Ursula: Va bene, me lo passi.
Uno scatto.
Poi la voce del concessionario. Adam?
Sì.
Di qualunque cosa si tratti, dovrà aspettare.
Devo riferirlo a sua moglie? L'hanno arrestata. E non per infrazione al codice della strada.
Per furto.
Adam tacque sbalordito, mentre Smokey proseguiva: Se vuole aiutarla, lasci perdere ciò che sta facendo e mi raggiunga subito.
Ascolti: ecco che cosa deve fare...
Stordito, Adam annotò le istruzioni di Smokey.
L'aspetto.
POCO DOPO Adam era seduto nell'auto di Smokey, nel posteggio della stazione di polizia suburbana, e il concessionario gli raccontava i fatti così come li aveva appresi da Arenson.
Telefono subito al mio avvocato per farlo venire qui dichiarò risolutamente Adam.
Ma certo! ribatté Smokey.
E già che c'è, perché non telefona anche al News e alla Free Press? Che importa?
È evidente che quelli della polizia hanno preso un granchio.
Non hanno preso nessun granchio.
Vuole metterselo in testa, per favore? Sua moglie ha firmato una confessione.
Adam inspirò profondamente e lasciò uscire lentamente l'aria dai polmoni, costringendo sé stesso, per la prima volta da quando aveva interrotto bruscamente il colloquio con Perce, a riflettere con attenzione.
Era rimasto d'accordo con Perce che gli avrebbe telefonato in albergo quella sera stessa o la mattina seguente.
Accanto a lui, Smokey aspettava, fumando il sigaro.
Pioveva ancora e cominciava a fare buio.
E va bene disse infine Adam, se Erica ha fatto quel che dicono, dev'esserci sotto qualcos'altro.
Il concessionario si accarezzò la barba.
Qualche momento prima aveva salutato Adam in tono né cordiale né ostile, e ora la sua voce rimase priva di inflessioni.
Qualunque cosa sia, riguarda soltanto lei e sua moglie.