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La cena fu raggelante, peggio dei rinfreschi dopo i funerali. Anzi, se Liddy fosse morta, almeno avrebbero potuto pronunciare il suo nome. Sarebbe stato naturale parlare dei vecchi tempi, o dei comuni amici. Così, invece, dovettero evitare qualunque argomento che facesse pensare a lei. Alcuni ci riuscirono meglio di altri. Heather parlò solo di investimenti e, per quanto fuori stagione, andò forte anche il nuovo abbonamento di Neil con il tosaerba. Stella, invece, parlava a singhiozzo, e a tutti sembrava di sentire solo i «Liddy pensa» e i «Liddy dice» che lasciava a metà fingendo di essersi strozzata con le lasagne o una foglia di lattuga.

L’altro problema fu appunto il cibo, che era pessimo. C’è una bella differenza tra cucinare con gioia e farlo nel terrore, e l’umor nero di Bridie aveva contagiato tutti i suoi piatti. La panna del budino all’arancia si era cagliata, il bulgur sembrava asfalto, e persino la vinaigrette aveva uno strano sapore. L’unica cosa riuscita era la minestra di broccoli e formaggio di Dennis, e Bridie non fu la sola a notare che finì in un lampo.

«Non ce n’è più!» disse Toby con voce lagnosa.

«Be’, l’abbiamo mangiata, no?» rispose Bridie.

«Ma papà ne aveva fatto dei litri! Così non ce n’è più per domani!».

Evidentemente Toby lo considerava uno strappo alla tradizione molto grave, come un capodanno senza champagne. Bridie tirò fuori dal forno le teglie di lasagne avanzate, per congelarle prima che fossero del tutto raggrinzite.

«Non posso farci niente. Non è colpa mia».

Che disastro. Se Bridie guardava continuamente l’orologio, chissà come dovevano sentirsi gli ospiti. Lei almeno poteva trovare una scusa per andare a distendersi un attimo i nervi in cucina, tanto la serata era così opprimente che nessuno la seguiva. Anche i pochi vicini che ancora si degnavano, in una data così improbabile, di venire a quella cena tanto palesemente «di famiglia» sembravano troppo demotivati per rompere il guscio dei loro scialbi gruppetti; eppure non erano certo provati dallo sforzo di non nominare Liddy.

Che non era venuta, né aveva telefonato con una scusa. E non aveva neppure mandato i bambini sotto l’ala di una zia. A un certo punto Heather, spingendo sull’orlo del piatto i pinoli che detestava, aveva detto: «Daisy!», ma poi si era ricordata. C’era stato un attimo di silenzio da far venire la pelle d’oca, poi avevano cominciato a parlare tutti insieme.

«Non ti piacciono i pinoli?».

«Avete visto cosa stanno combinando sul cavalcavia?».

«Non trovi che i cani siano utilissimi? Harry è un vero e proprio aspirapolvere».

Insomma, ciascuno fece coraggiosamente la sua parte. Bridie era sempre più irritabile con i figli. «Non appoggiare lì le teglie, per favore!». «No, non puoi andare di sopra a vedere la TV. La vigilia di Natale è una volta l’anno!». E si accanì contro Dennis, approfittando di ogni occasione per offenderlo. «Ma sì, prendi pure un’altra birra. È solo la settima, no?».

«Smettila, dài, è una festa!».

«È sempre qualche festa».

Dennis chiuse la porta della cucina e le andò vicino. Per un attimo Bridie pensò che volesse darle uno schiaffo, ma invece, con suo grande stupore, lui le abbracciò la vita e la attirò dolcemente a sé. «Vieni di là».

«Ho da fare».

«Non puoi restare rintanata qui per tutta la sera. Lascia che il caffè lo faccia Lance. Vieni di là e teniamoci per mano mentre Heather ci fa una testa così sulle pensioni».

«Non ho tempo». Ma Dennis l’aveva già presa per un polso e trascinata fuori. Con lui vicino, in effetti, era più facile. La serata languì, ma Bridie si sentiva sempre più lontana. Poi, mentre Neil raccontava per filo e per segno i suoi problemi col termostato dello scaldabagno, ebbe come una folgorazione: che cosa sarebbe costato alle sorelle insistere perché venissero almeno Edward e Daisy? Proprio niente. Lei era pur sempre la loro zia. Venivano a festeggiare la vigilia di Natale a casa sua da quando erano nati. Heather e Stella avrebbero potuto spiegare a Liddy che era assurdo costringere i bambini a tenere il muso insieme a lei. Se si faceva venire un mal di testa diplomatico, questo era affar suo, e George ovviamente era liberissimo di restare al capezzale della sua adorata per massaggiarle le tempie; ma impedire ai bambini di farsi rincorrere per tutta la casa dai loro cugini più grandi era una cattiveria bella e buona. Bridie cambiò umore. Ormai, glielo si leggeva in faccia, l’esito della serata le era totalmente indifferente. In qualche modo le lancette dell’orologio continuarono a girare, finché tutti si sentirono finalmente liberi di andarsene. Lance e Toby sorridevano fino alle orecchie, ben contenti che la cena di famiglia non gli avesse fatto perdere più di un’ora di altre feste sicuramente più divertenti. E Bridie lasciò i piatti da lavare.

«Questo non è da te».

«La festa ormai è rovinata. Cosa vuoi che me ne importi di passare la mattina di Natale con le mani nell’acqua sporca?».

Si sedette sulla sponda del letto e cominciò ad armeggiare con i bottoni della camicetta.

«Lascia. Faccio io» disse Dennis.

«Credo di odiare le mie sorelle» la sentì mormorare mentre la spogliava. Ma Bridie lo aveva detto in un tono così vago e incerto (lo stesso che avrebbe usato per dire: «Non sono sicura che mi piaccia il cocco», oppure: «Non trovi che faccia un po’ troppo caldo? Abbassiamo il riscaldamento?») che Dennis reputò più gentile, oltre che meno pericoloso, far finta di niente. I vestiti adesso erano tutti sul letto, ma le sue mani calde non si fermarono. E neppure Bridie le fermò, mentre continuava a brontolare. Un paio di volte a Dennis arrivò alle orecchie la parola «vigliacca» e, quando la esortò a ripetere quella che aveva preso per una richiesta sessuale, gli toccò sorbirsi un: «Ho detto che, piuttosto di invitarle un’altra volta a casa mia, preferisco vederle stecchite»; questo però ebbe un effetto decongestionante. Il vino l’aveva resa remissiva, e l’angoscia aggiunse alle sue reazioni una singolare intensità. Il risultato fu che l’ultimo regalo di Dennis a Bridie quella sera fu bello, passionale, prolungato e molto soddisfacente. E a differenza dei piatti sporchi – cosa altrettanto insolita – non fu rimandato alla mattina dopo.

 

 

Fu Stella, stranamente, a lasciarselo scappare.

«Che brava!» esclamò quando, un paio di giorni dopo, Bridie si sentì abbastanza padrona di sé da passare a trovarla. «Mi hai riportato il piatto per le torte! Ne avevo proprio bisogno».

«Mi dispiace. Credevo che ne avessi due».

«Sì, ma l’altro si è rotto alla festa di Liddy».

Può una parola cadere e finire in cocci come un vaso di terracotta? «Alla festa di Liddy?». Bridie si ricordava perfettamente che due settimane prima Stella aveva tirato fuori quei piatti dicendo: «Prendili pure tutti e due, se vuoi. Non credo che in questi giorni mi serviranno».

Stella era pietrificata. Evidentemente si ricordava anche lei di quella conversazione.

«Alla festa di Liddy?».

Stella, in trappola, si difese come meglio poté. «È stata un’improvvisata. Liddy non ha neanche avuto il tempo di fare le telefonate. Eravamo in pochissimi, non era mica una festa».

«Però tu hai detto così».

«Così cosa?».

«Alla festa di Liddy».

«Davvero?».

«Sì».

«Be’, sai, un ritrovo, una cenetta dell’ultimo minuto. Per questo mi ha chiesto di darle una mano. E io avevo pensato di fare una di quelle torte di formaggio e asparagi che stanno tanto bene su questi piatti. Poi Liddy ha fatto un gran casino perché George fumava...».

«Fumava? George?».

Stella si accorse dello scivolone. «Oh, soltanto una sigaretta» disse, cercando disperatamente scampo. Ma Bridie affondò il coltello.

«Una sigaretta di Heather, immagino».

Stella abbassò lo sguardo. Almeno si vergogna, pensò Bridie. «Sì, era di Heather».

«Fammi capire,» disse lentamente Bridie «prima che ti spacchi questo cazzo di piatto sulla testa».

«Oh, senti, non c’è bisogno di...».

«Tu e Heather, e Neil, immagino, siete andati a festeggiare il Natale da Liddy senza neanche dirmelo».

«Bridie...».

Ma Bridie era già alla porta.

«Bridie!».

Bridie sbatté tutto quello che poté sbattere. La porta. Il cancello. La portiera della macchina. Poi mise in moto e grattò.

«Bridie!».

Per fortuna in strada non c’erano altre macchine contro cui sbattere.

 

 

«Non riesco a credere che mi abbiate fatto una simile bastardata!».

«Calmati. Non sei l’unica persona su questo pianeta» l’ammonì Heather. «Abbiamo anche noi la nostra vita».

«Non c’è scusa che tenga, Heather. È già stato abbastanza brutto da parte vostra aver lasciato che Liddy non venisse al mio Natale. Ma andare voi due al suo!».

«È stata solo una cena».

«Non è stata “solo una cena”. Andarci è stato un modo per mettervi dalla sua parte. È stato un modo per tagliarmi fuori. È stato un modo per permetterle di criticarmi e di dare tutta la colpa a me. Non è stata “solo una cena”».

«Secondo te, scusa, che cosa dovevamo fare?».

«Dovevate dire: “No, Liddy, non è giusto che tu te la prenda solo con la povera Bridie, noi non ci stiamo”. Quello che sicuramente non dovevate fare era cancellare me e Dennis dai vostri pensieri e andare a divertirvi senza di noi».

«Non ne farei un dramma».

«Ah no, eh?» esplose Bridie. «Forse per voi non lo è, ma per me sì. Sono sola, adesso, non te lo scordare. Grazie a voi».

«Non dire sciocchezze, dai. Non sei sola».

«Davvero? E allora come mai né tu né Stella mi avete telefonato per dirmi com’è stato difficile dovervi spiegare con Liddy? Farle capire che se si ostinava a incolpare me allora voi non ve la sentivate di andare alla sua festa?».

«Bridie, non puoi pretendere che le nostre vite ruotino intorno alla tua lite con Liddy!».

«La mia lite?».

«Sì, la tua».

«Non credo alle mie orecchie. È pazzesco!».

«Non ti agitare, adesso. Non ti arrabbiare!».

Bridie le sbatté giù il telefono. Dopo un attimo l’apparecchio squillò, ma lei non rispose. Visto che continuava a squillare, alzò la cornetta e la tenne per qualche secondo a debita distanza prima di interrompere la comunicazione col dito. Poi, dopo aver sentito il segnale di libero, appoggiò la cornetta sul tavolo e ci mise sopra un cuscino. Aveva letto che era il sistema migliore per evitare le telefonate sgradite, e questa era la prima che riceveva.

Si accasciò sul divano. Era per questo che Heather non si era mai sposata? Perché era così insensibile? Era per questo che Miles aveva piantato Liddy? Perché aveva reazioni così irragionevoli, così odiose e crudeli? Era per la sua totale mancanza di senso morale che lei, Bridie, aveva sempre disprezzato Stella? Insomma, le sue sorelle erano davvero così riprovevoli? O erano delle normalissime sorelle? Bridie si sentiva come una bambina che, dopo aver passato gli anni delle elementari a sfogliare serenamente Gli amici della fattoria, guardando le galline che chiocciano nei frutteti soleggiati coi loro pulcini, una mattina si sveglia e di colpo scopre che la verità è un’altra, che nella vita reale le galline stanno nelle batterie e i loro batuffoli gialli non li vedono neppure nascere. Si sentiva come se le avessero inculcato delle certezze tipo «Il sangue non è acqua» o «La famiglia è il miglior sostegno», e lei ci fosse cascata come un’allocca. Erano tutte balle. A un tratto capiva come mai c’erano famiglie che si dividevano per l’eredità di un vaso, fratelli che abitavano uno di fianco all’altro e non si parlavano per colpa di una battuta infelice su una ex fidanzata, madri e figlie che si perdevano di vista per un commento tagliente sulla maleducazione dei nipotini. Com’è possibile, aveva sempre pensato finora, che uno stupidissimo vaso, per quanto prezioso, abbia la meglio su «tutte le altre cose»? Ma se non c’era niente, se «tutte le altre cose» erano una bolla di sapone, allora tanto valeva scegliere il vaso. Quando finalmente capisci che «tutte le altre cose» non contano più niente per nessuno, cominci a guardare il mondo da una prospettiva diversa.

Non poteva neppure accusarsi di aver sempre avuto una visione idealizzata della famiglia. Chiunque facesse il suo lavoro sapeva bene come la famiglia possa essere solo una facciata che nasconde misfatti e disperazione. Finché il danno non era fatto, non c’erano leggi contro i padri pericolosi, le madri soffocanti o i fratelli prepotenti. Più di una volta, mentre cercava la casa di un assistito, le era capitato di immaginare lungo la strada, dietro una porta chiusa, dietro una tenda ancora più spessa e ostile, scenari peggiori, crudeltà più agghiaccianti di quelli che era stata chiamata a esaminare.

Niente di strano, quindi, se aveva voluto credere che si potesse far di meglio: allevare dei figli in quello che la Minto chiamava leziosamente «il crogiolo degli affetti», fornire quella sicurezza che avrebbe loro permesso di superare le angosce dell’adolescenza, la spossatezza della maternità, la solitudine dei lutti e gli orrori della vecchiaia. La famiglia. Un porto sicuro. Questa era stata l’unica certezza che l’aveva sorretta in tanti anni di tirocinio e di impegno, di riunioni e ansie notturne. Famiglia piccola o numerosa, chiusa o allargata, questo non aveva importanza, ma la forza degli affetti sì, moltissima. E gli affetti non erano ragnatele, ma funi robuste e durevoli, a cui potevi aggrapparti per andare avanti.

Allora era proprio vero che, come diceva sempre sua madre, le lacrime degli altri sono acqua? Se l’era sognato, che nessuno di noi è solo sotto le stelle?

«A cosa stai pensando?». Dennis era sulla porta e la guardava fisso.

«Mi chiedevo se le mie sorelle sono delle merde, o se è la vita che è di merda».

Lui rise. «Tutto qui?».

Bridie annuì.

«Posso entrare? A mio rischio e pericolo?».

Lei annuì di nuovo, troppo infelice per parlare. Dennis attraversò la stanza e le si sedette vicino, attirandola a sé. Bridie non lo respinse, e si lasciò abbracciare.

«La famiglia!» sospirò lui. (Quel tono lo avevano sempre usato per la famiglia di Dennis, mai per quella di Bridie).

«La famiglia!» gli fece coraggiosamente eco. Ma quella di lui Bridie non l’avrebbe mai definita una famiglia. Qualche giorno dopo il compleanno di Dennis, di solito arrivava un biglietto di auguri del padre (sempre che alla sua seconda moglie fosse venuto in mente di ricordarglielo). A Natale il nonno mandava dei soldi ai nipoti, presumibilmente per riparare in qualche modo al silenzio di tutto l’anno. E l’unico fratello di Dennis aggiungeva sempre agli auguri le scuse per essersi dimenticato di loro per dodici mesi. Bridie si ricordava appena che faccia avevano. Li aveva conosciuti tutti, naturalmente, in genere ai matrimoni. E ogni tanto, ma molto raramente, Dennis e Neville si telefonavano per aggiornarsi su qualche vecchia zia malandata o sulle ripetute operazioni della moglie del padre. Bridie si aspettava prima o poi di rivederli... agli inevitabili funerali. Ma i parenti di Dennis non facevano parte della loro vita. Quando mai lei e suo marito, in partenza o di ritorno dalle vacanze, facevano una deviazione per andare a salutare qualcuno di loro, magari per un caffè veloce o un panino tutti insieme? Ogni volta che qualcuno traslocava, Bridie grattava diligentemente via dall’agenda il vecchio indirizzo e ci metteva sopra quello nuovo; ma ormai non sapeva nemmeno più quali delle immagini incerte e confuse che aveva nella memoria corrispondessero a quali case dei Marley. In sostanza erano dei perfetti estranei.

No, la famiglia di Dennis era decisamente l’opposto della sua.

«Le scriverò» decise. «Scriverò a Liddy e le dirò il fatto suo».

«Ti sembra una cosa saggia?».

«È l’unica possibile. Lei non mi parla, le altre non mi difendono... A meno che...». Guardò speranzosa il marito.

«No, non guardare me. Non ho nessuna intenzione di mettermi in mezzo».

Tanto non avrebbe concluso niente. «Allora,» disse Bridie «vada per la lettera».

«Potrebbe respingerla». (Lo disse quasi con gusto).

«Potrebbe, ma se gliela spedisco dall’ufficio, con l’indirizzo stampato su un’etichetta, si accorgerà che è mia solo dopo averla aperta. In questo caso, anche se la rimette nella busta e la rispedisce al mittente, è chiaro che io penserò che l’abbia letta».

Dennis sospirò.

«E Heather e Stella» continuò Bridie a denti stretti «saranno avvisate. Manderò una copia anche a loro, e insisterò perché mi raccontino la reazione di Liddy. Lo pretenderò. Dovranno uscire allo scoperto... Non potranno più trovare scuse e far finta di niente».

Dennis non era convinto, lo capì dalla sua faccia. Anzi, era evidente che per lui era un grosso sbaglio, ma non voleva dirlo. O non osava. Bridie non aveva troppi pregiudizi, ma in fondo perché preoccuparsi della sua opinione? Dopotutto era un uomo; ormai l’aveva imparato, gli uomini, se non si sentono punti sul vivo, sono fin troppo portati all’inerzia, e in più assumono (vedi Neil) un atteggiamento condiscendente addirittura offensivo. «Lasciamo che le signore si accapiglino fra di loro». George Rigsby era anche lui quel tipo d’uomo? A quanto pareva, non gli era neppure venuto in mente di poter essere lui a riportare Liddy alla ragione. Bridie non riusciva proprio a capire perché Dennis fosse così sicuro che le cose andavano lasciate come stavano. Possibile che non capisse l’importanza di troncare al più presto quell’orrendo equivoco? Ma adesso Bridie non era dell’umore adatto; qualunque cosa le avesse detto, non sarebbe comunque riuscito a convincerla. No, non gli avrebbe chiesto nulla.

Alla fine di lettere ne scrisse tre. La prima era un grido d’angoscia. La seconda era più professionale, infarcita di «Mi rendo conto che» e «Posso effettivamente capire», e anche di qualche «Ovviamente, dal tuo punto di vista». La terza era un fiume di accuse. Le pagine erano buttate alla rinfusa sulla scrivania. Poi continuò a rileggere, mordendo rabbiosamente la biro, tutte quelle frasi ora stizzite, ora piagnucolose, ora accomodanti. «Sono stata per tanti anni una brava sorella, non posso credere che tu sia così pronta a pensare il peggio di me...». «Capisco quanto sia doloroso sbattere improvvisamente il naso contro una “realtà” così sgradevole e che, per di più, intacca un amore perfetto come un sogno». «Liddy, sei proprio una stronza. Non puoi tagliarmi fuori così. Perché non ti incazzi un po’ anche con le altre?».

Dennis infilò dentro la testa. «Come procede?».

«Non procede» mentì Bridie, che non voleva fargli vedere nessuna delle tre lettere. Aveva la nausea di se stessa, di Liddy e del mondo intero.

«Forse è meglio così».

«Forse».

Lui aspettò un momento, ma dato che Bridie non aggiungeva altro, richiuse la porta. Poco dopo lo sentì che caricava in macchina le cassette dei vuoti. Di solito a quel segnale lei faceva il giro della casa e, prima che lui tornasse a prendere le lattine, aggiungeva giornali, riviste e cataloghi alle pile ordinate di carta di riciclare. Ma stavolta restò seduta con i muscoli tesi: figuriamoci se poteva lasciare la scrivania incustodita.

Alla fine Dennis se ne andò. Bridie rilesse ancora tutte e tre le lettere. Che cosa voleva fare? Ambarabà ciccì cocco? Se una delle sue utenti si fosse comportata così prima di prendere una decisione importante, Bridie avrebbe alzato gli occhi al cielo. Ma stavolta era lei a essere coinvolta emotivamente. Non era mica la dichiarazione dei redditi, dove ogni voce ha un codice e viene inserita in un computer, pronta per esser risputata fuori esatta e inappellabile. «Come la mettiamo con questa detrazione, con questa mora? Bip bip. Noi ti dobbiamo X, tu ci devi Y, quindi eccoti Z». Ma nelle faccende di cuore, trovare un accordo su more e detrazioni è peggio che andar di notte. «Hai detto che...». (Ma io non intendevo questo). «Sei stata tu!». (Sì, ma l’ho fatto solo perché...). «Avresti dovuto...». (Parla per te). Per scegliere la lettera tanto valeva fare una giravolta e puntare il dito a occhi chiusi.

Rilesse il grido d’angoscia. Piuttosto che far sapere a Liddy che non mangiava e non dormiva più, e che era disperata perché la sua famiglia le era crollata addosso, piuttosto preferiva crepare. Lesse il capolavoro di professionalità, ma trovò disgustosa l’ipocrisia con cui era riuscita a espandere per interi paragrafi la sua comprensione per i sentimenti di Liddy. Prese il fiume di accuse. «Non hai come l’impressione che tutte quelle belle terapie di gruppo (pagate da Heather, naturalmente, con me e Dennis che ti facevamo da baby-sitter) siano scivolate via senza lasciarti niente? Non credi che adesso che hai raggiunto tanta “autoconsapevolezza” dovresti prendere atto che il tuo adorato George non è l’eroe senza macchia che credevi, invece di fare la bambina viziata rincoglionita dall’amore? Guardala un po’ in faccia, questa realtà! Aveva un piccolo segreto. Sai che tragedia! E le tue sorelle hanno avuto abbastanza rispetto di te per dirtelo. Belle idiote!».

Rispetto di te o per te? Oh, chi se ne frega. Tanto non gliel’avrebbe spedita. Non c’è bisogno di fare l’assistente sociale per sapere che al mondo non c’è niente di più indigesto della verità.

Pur con gran dispiacere, stracciò il fiume di accuse. La stessa sorte, con suo pari dispiacere, toccò anche al grido d’angoscia. La lettera che venne piegata in quattro, chiusa nella busta e subito imbucata fu la più vomitevole, la lettera ipocrita, quella comprensiva, quella che aveva meno probabilità di suscitare le ire di Liddy. Bridie avrebbe voluto fermarsi lì ad aspettare la raccolta serale appoggiata alla buca, giusto per vedere con i suoi occhi che quella cosa malefica veniva prelevata e portata via dal quartiere, in modo da dimenticarsene e dormire sonni sereni. Ma Dennis poteva tornare da un momento all’altro, e così rientrò in casa.

 

 

Stella negò che Liddy gliene avesse mai parlato. «Una lettera? Non ha accennato a nessuna lettera».

Bridie non voleva crederle. «Non può essere, deve averla ricevuta già da una settimana. Non dirmi che non vi siete più sentite, perché Heather mi ha detto che sei stata a casa sua proprio ieri, per i preparativi del matrimonio».

«Abbiamo parlato solo dei fiori. Le ho portato degli schemi e roba simile».

Bridie non ne voleva sapere della disposizione dei fiori. «Stai cercando di dirmi che in tutto il pomeriggio non ha accennato neanche una volta alla mia lettera?».

«Non sto “cercando” di dirti niente, Bridie. Te lo sto dicendo. E non c’è stato nessun “pomeriggio”, sarò stata da lei un’ora al massimo».

«Non è questo il punto».

«Chissà perché, quello che dicono gli altri non è mai il punto».

Ma ormai Bridie aveva passato troppo tempo a cercare disperatamente di leggere nella testa delle sorelle per raccogliere le loro frecciate. «Scusa, ma credo di avere qualcuno alla porta. Ci sentiamo, Stella».

Riappese.

Neppure Heather fu di grande aiuto, ma almeno si mostrò più disponibile. Quando Bridie andò a trovarla le venne ad aprire con i capelli ancora avvolti nell’asciugamano. «Sei più veloce della luce. Non è passata neanche mezz’ora da quando hai telefonato».

Inclinò la testa e il turbante bagnato cadde per terra. Si aggiustò i capelli. «Per uscire devo aspettare che siano asciutti. Dove pensavi di andare? A fare due passi nel parco?».

«Dove ti pare, ma ti conviene asciugarli per bene, i capelli. Fuori si gela».

«Su, fai un caffè».

Così Bridie preparò il caffè. La finestra della cucina era appannata. Lei fece un cerchietto con la mano e guardò fuori: la casa di Heather, sul retro, dava sui giardini allungati dei suoi vicini, alcuni impeccabili, altri trascurati, ma tutti ugualmente tristi e nudi nella fioca luce invernale. «Forse dovremmo andare da qualche altra parte» disse affacciandosi alla porta. «In qualche posto carino».

«Il parco è carinissimo».

Forse Heather aveva poco tempo. Un invito a pranzo, magari? O qualche marito altrui, sfuggito alla spesa del sabato? L’ultima volta che le aveva chiesto di «Trevor l’assicuratore», Heather le aveva detto di averlo scaricato, ma c’era una sua lettera sulla cassetta del pane. Forse Trevor era di nuovo in auge: sua sorella non aveva sempre sostenuto che trascinare un rapporto vecchio è meno complicato che cominciarne uno nuovo?

Bridie portò di là il caffè. «Come va con Trevor?».

Heather stava infilandosi faticosamente un dolcevita dal collo troppo stretto. Tirò fuori i capelli e li scosse. «Non lo reggo più».

«L’hai detto anche l’ultima volta che te l’ho chiesto».

«Adesso è peggiorato». Bridie capì subito che non le avrebbe strappato altri particolari. Heather prese con gratitudine la sua tazza di caffè e accese il phon. Non avendo voglia di urlare per farsi sentire, Bridie andò a curiosare negli scaffali della libreria. Compendio di diritto amministrativo. Agevolazioni finanziarie. Deleghe fiscali. Analisi di bilancio. E una sequela di altri titoli ancora meno allettanti. Heather non leggeva mai per divertimento? Da bambina lo faceva. Stella invece spostava il segnalibro una volta alla settimana. Heather e Liddy erano quelle che non si lasciavano mai interrompere e arrivavano in volata fino alla fine. Dov’erano i romanzi di Heather, adesso? Dov’erano quei libri che gettano luce sulla vita altrui e mostrano come il resto del mondo affronta la malattia di un bambino, la morsa della passione, un drammatico cambiamento di status? Dov’erano i libri sulla nascita, il matrimonio e la morte?

«Leggi solo per lavoro?».

Per tutta risposta, Heather accennò a una cassapanca con sopra diverse piante e delle conchiglie. Già, pensò Bridie: sullo scaffale i manuali di economia, e i libri sulla vita nascosti per bene, come quei pochi sentimenti che provi.

 

 

Una volta fuori, Bridie si dominò per una decina di minuti, e nel momento stesso in cui sollevò il viso, vide dipingersi sulla faccia della sorella un’espressione da «Oh, no. Ci risiamo!». Ma non poté trattenersi.

«Allora, che cosa ti ha detto della mia lettera?».

Heather aveva l’aria contrariata. «Abbiamo parlato pochissimo. Sono stata molto presa, questa settimana».

«Ma ti ha detto che cosa le ho scritto?».

Heather sfiorò una siepe di biancospino, e la faccia di Bridie fu investita da uno spruzzo di gocce gelate. «Ha detto che l’ha trovata poco simpatica» ammise Heather a malincuore.

«Poco simpatica? Be’, viste le circostanze, mi sembra una lettera più che moderata. Ma cosa pensa di quello che le ho scritto?».

«Non me ne ha parlato».

«E tu, ovviamente, non ti sei sognata di chiederglielo».

Heather perse la pazienza. «Lo vuoi proprio sapere? Ha detto che non capisce perché ti sei presa la briga di spedirgliela».

«Allora vuol dire che non l’ha letta bene!».

«Credo che le abbia dato sui nervi» disse Heather, schizzandola di nuovo con l’acqua ghiacciata. «Devi aver fatto delle insinuazioni sgradevoli».

Bridie si fermò di colpo e prese Heather per un braccio per farla voltare. «Sii sincera con me. Dimmi che cosa ti ha detto esattamente».

Heather vagò con lo sguardo sulle piante gocciolanti.

«E va bene. Ha detto che era una lettera ignobile».

«Ignobile?». Per Bridie fu come un pugno nello stomaco. «Ha detto proprio così?».

«Già».

«Non ha visto le altre due che non le ho spedito!».

«Be’, se il tuo stato d’animo era quello,» osservò con durezza Heather «magari non ti sei accorta di quanto fosse ostile».

«Perché dici così? Le credi sulla parola? Potevi almeno leggerla, così avresti giudicato da sola».

«Dice che era così orribile che l’ha bruciata».

«La vecchia volpe!» commentò Bridie con acredine. «Davvero furba. Peccato che io non ne abbia mandata una copia anche a te e a Stella. All’inizio volevo, ma poi sono stata così presa a scriverla che mi è passato di mente».

«Tanto di guadagnato. Se Liddy sapesse che ci sono in giro delle copie, diventerebbe ancora più paranoica».

«Ma cosa crede, che la ricattiamo?».

«Che palle, Bridie! Vivi e lascia vivere! Falla finita!».

«Ti piacerebbe, eh? Come dire “lasciaci in pace”?» ribatté seccamente Bridie. «Tanto la cosa non riguarda voi, eh?».

«Fa un certo freddino, non trovi?».

«Non stiamo parlando della temperatura, Heather! Stiamo parlando di me e Liddy e del fatto che mi sta trattando peggio di una lebbrosa!».

«Adesso esageri».

«Esagero! Ma se non posso neanche venire al matrimonio!».

«Certo che puoi venire».

«Ma fammi il piacere, Heather. Figurati se Liddy a questo punto invita anche noi quattro».

«Smettila di fare la martire. So per certo che Liddy ha intenzione di invitarvi».

«Solo per una questione di forma, è evidente. Lo sa benissimo che non ci faremo vedere».

«Non essere ridicola».

«Lei alla mia cena non è venuta».

«Quella era una cena, Bridie. Qui stiamo parlando di un matrimonio».

Bridie si fermò di botto. L’avevano proprio fatta fessa. Quella stronza di Liddy. Quella serpe. Come ci era riuscita? Come aveva fatto a rivoltare la frittata così? Era talmente stupida da non capire di essersi comportata malissimo; e allora come era riuscita, senza il minimo sforzo – visto che non aveva detto e fatto praticamente niente –, a intrappolare in quel ruolo odioso qualcuno che voleva solo il suo bene? Abracadabra! Allo scoccare della mezzanotte Bridie si era trasformata in una sorellastra bisbetica e dispettosa che diffondeva pettegolezzi cattivi, scriveva lettere ignobili e probabilmente non sarebbe neppure andata al matrimonio della sua sorellina.

Ma non si sarebbe arresa senza dar battaglia. «Ti avverto, Heather» disse dopo un momento. «E vale anche per Stella. Se non mi difendete, se entro la fine di marzo non avete chiarito le cose con Liddy...».

Heather si era girata e la guardava senza batter ciglio.

«... se andate a quel matrimonio senza di me, non parlerò mai più neanche con voi. E giuro che stavolta dico sul serio».

L’espressione di Heather era insondabile. Si incamminò verso casa senza una parola, e senza una parola Bridie la seguì. Si sarebbe detto che la guerra del silenzio tra loro fosse già cominciata: nonostante tutte le scorciatoie di Heather e il passo sostenuto, ci misero un bel po’ a raggiungere la strada, e nessuna delle due proferì verbo. Restarono a fissarsi per qualche istante, e Heather sembrò sul punto di dire qualcosa, ma si limitò a scuotere la testa. Dopodiché Bridie se ne andò muta da una parte, e Heather, con una scrollatina di spalle, se ne andò dall’altra.