Mi porse un'altra lettera. Era di Frank Clarke, che annunciava il suo arrivo a Londra e chiedeva a Poirot un appuntamento per il giorno seguente.
«Coraggio, amico mio» disse Poirot, battendomi una mano sulla spalla. «I nodi verranno al pettine, vedrai.»
18
Frank Clarke arrivò alle tre del pomeriggio e intavolò subito l'argomento.
«Non sono soddisfatto, Poirot» disse. «Quel vostro ispettore Crome sarà un funzionario di prim'ordine, ma non mi va a genio. Lo dissi al capitano Hastings fin dal primo giorno. Ricordate, capitano? Se ho lasciato passare tanto tempo è perché ho avuto una quantità di grattacapi, con tutte le faccende di mio fratello da sistemare. Ma adesso ho deciso di fare qualche cosa.»
«Muoversi, agire, vero?» osservò il mio amico con una risatina. «È quello a cui aspira il mio amico Hastings.»
«Perbacco, Poirot! Non possiamo lasciargliene ammazzare un altro!»
«Voi pensate che il nostro A.B.C. stia preparando un nuovo delitto?»
«Sì, per essere sincero penso proprio questo. E bisogna impedirlo.»
«Bene, impediamoglielo. Avete un'idea per caso?»
«Certo. Statemi a sentire. Proporrei di organizzare una specie di "brigata scelta", sempre ai vostri ordini, composta dai parenti e amici delle tre vittime, con l'incarico di indagare, di cercare... di fare il diavolo a quattro, insomma.»
«È un'ottima idea.»
«Mi approvate? Benone. In tal modo, tutti insieme, unendo le nostre possibilità, dovremo pur finire per trovare qualche cosa. Vi pare? E appena giungerà un altro avviso, ci recheremo tutti sul posto. Chissà che uno o l'altro di noi non riconosca qualcuno, veduto in quei dati giorni, nel luogo dove avvennero i delitti.»
«Ripeto, monsieur Clarke, è un'ottima idea. Solo vi faccio osservare che i parenti e gli amici delle altre due vittime non appartengono alla vostra classe sociale. Sono impiegati, operai e, anche se potessero ottenere una breve licenza dal lavoro...»
«Ho pensato anche a questo.» Frank interruppe Poirot con un gesto della mano. «Siccome io sono il solo che può, mi sobbarcherò il finanziamento dell'impresa. Non è che io sia ricco, ma mio fratello aveva un patrimonio considerevole e il suo erede sono io. Propongo, quindi, di ingaggiare questa "brigata scelta". Da parte mia m'impegno a corrispondere a ciascuno lo stipendio che percepisce attualmente, in più pagherò tutte le spese supplementari di viaggi ed altro. Che ne dite?»
«E chi vorreste arruolare in questa "brigata"?»
«Ci ho già pensato. Ho scritto in proposito alla signorina Barnard e devo confessare che, in parte, l'idea è stata sua. Direi, dunque, che della "brigata" potrebbero far parte: io stesso, la signorina Barnard, Aldo Fraser, la nipote della vecchia tabaccaia di Andover... la signorina Barnard ne conosce l'indirizzo e dice che è una ragazza intelligente. Il marito della Ascher lo escluderei; è sempre ubriaco e non farebbe che impicciare. Altrettanto si può dire per i genitori di Betty; mi sembrano troppo anziani per essere utili.»
«Bene. Nessun altro?»
«Ci sarebbe la signorina Grey» disse Frank, e nel pronunciare quel nome arrossì visibilmente.
«Ah, sì? Anche la signorina Grey?» domandò Poirot, con sottile ironia. Frank si mise a balbettare come uno scolaretto colto con le dita nel barattolo della marmellata.
«Avevo pensato alla signorina perché... sì, perché viveva con mio fratello da due anni e conosce bene il paese e il vicinato, mentre io, dopo un'assenza di quasi due anni...»
«Già mi avete detto che eravate in Oriente. In Cina, forse?»
«Anche in Cina, sì. Fu un viaggio che feci per conto di mio fratello, a cercare qualche pezzo raro per la sua collezione.»
«Molto interessante. Be', monsieur Clarke, approvo la vostra proposta che viene proprio ad assecondare un mio desiderio. Proprio ieri dicevo al mio amico Hastings che sarebbe stato opportuno avvicinare le persone che, in un modo o nell'altro, furono implicate nei delitti, allo scopo di far riaffiorare dalla memoria di ognuno ricordi apparentemente privi di valore, ma che potrebbero essere utili ai nostri fini.»
Alcuni giorni dopo tutti i componenti della "brigata scelta" si diedero convegno nel salotto di Poirot. Mentre, seduti intorno al mio amico, ascoltavano quanto lui diceva, io li osservavo a uno a uno, confermando o modificando la prima impressione che avevo riportata al nostro precedente incontro.
Le tre ragazze erano tutte interessanti, anche se in modo diverso: Thora Grey con la sua singolare bellezza di ondina; Margaret Barnard con quel suo volto bruno ed ermetico, sotto il casco lucente dei capelli neri; Mary Drower, semplice e modesta nell'abitino nero da lutto, col viso roseo illuminato dai grandi occhi intelligenti. I due uomini: Frank Clarke, grande, loquace, esuberante; Aldo Fraser, pallido e magro, silenzioso e timido, offrivano un contrasto di aspetto e di psicologia fuori del comune.
Poirot non si lasciò sfuggire l'occasione per fare un discorsetto.
«Signore e signori» cominciò, lisciandosi i baffi. «È inutile che vi spieghi il motivo della riunione, perché lo conoscete già. La polizia lavora per rintracciare lo sciagurato autore dei tre delitti che vi hanno colpito da vicino e io stesso, anche se in modo diverso, mi adopero per il medesimo fine. Abbiamo tre delitti: l'assassinio di una vecchia povera e sola, di una giovane donna a cui la vita si apriva appena e di un uomo anziano, conosciuto e ricco. I delitti sono stati compiuti da una stessa persona. Ciò è fuori di ogni dubbio. Questo implica che l'assassino è stato nelle tre località. Di conseguenza deve essere stato visto da un numero considerevole di persone. È ovvio che il nostro uomo non deve avere un aspetto strano o bizzarro, altrimenti qualcuno lo avrebbe notato e avrebbe riferito le sue impressioni alla polizia. Costui (vi prego di notare che anche se parlo dell'assassino come di un uomo non è da escludere che in realtà sia una donna) costui, dicevo, ha la diabolica astuzia dei pazzi ed è riuscito, finora, a operare nel più perfetto incognito.
«Tuttavia qualche indizio esiste, come il fatto che l'assassino non può essere giunto a Bexhill alla mezzanotte del ventiquattro luglio, sicuro di trovare sulla spiaggia le ragazza il cui cognome cominciava per B...»
«C'è proprio bisogno di entrare in particolari?» domandò Fraser, come spinto da un'intima angoscia.
«Tutti i particolari devono essere esaminati, signor Fraser» rispose Poirot «anche i più sgradevoli, anche i più penosi. Voi non siete venuto qui per sottrarvi alle spiegazioni incresciose, ma per frugare fino in fondo. Ripeto, non fu il caso a fornire ad A.B.C. la vittima desiderata nella persona di Betty Barnard; deve avere avuto il tempo e il modo di sceglierla deliberatamente. Vale a dire, che, da parte sua, c'è stata una certa premeditazione. A.B.C. deve aver fatto, a tempo debito, un sopralluogo nelle varie località per rendersi conto, ad esempio, dell'ora più adatta per sopprimere la vecchia Ascher, del come preparare la messa in scena a Bexhill e delle abitudini di Sir Clement a Churston. Sono sicuro che esiste un indizio, e forse più di uno, che potrà condurci a stabilire l'identità dell'assassino, e sono convinto che uno di voi, e forse ciascuno di voi, sa qualcosa che non si rende conto di sapere. Non è un gioco di parole; parlo seriamente.
«Presto o tardi, grazie a questa specie di associazione che ha inizio oggi, qualcosa affiorerà e questo qualcosa sarà la chiave dell'enigma.»
«Parole!» esclamò Margaret Barnard con forza.
«Come avete detto?» Poirot lanciò un'occhiataccia alla ragazza.
«Parole, niente altro che parole» ripeté lei. «Parole che non significano nulla e concludono ancora meno.»
«Mademoiselle, le parole non sono che la veste del pensiero» ribatté Poirot.
«Il signor Poirot ha ragione» intervenne Mary Drower. «Avviene spesso, parlando di una cosa, di veder chiaro ciò che prima non si capiva. Pare quasi che le parole escano da sole, senza che si sappia perché, e a un tratto tutto appare diverso.»
«Si dice che la parola è d'argento e il silenzio è d'oro» osservò Frank Clarke «ma qui avverrà proprio il contrario.»
«Monsieur Fraser, voi che ne dite?» domandò Poirot.
«Confesso che non sono molto persuaso.»
«E voi, Thora?» domandò Clarke.
«La penso esattamente come Mary» rispose l'interpellata. «Parlando e discutendo si possono risolvere molte cose.»
«E allora vediamo di rievocare questi ricordi, circa i fatti e gl'incidenti che precedettero i vari delitti. Volete cominciare voi, signor Clarke?»
«Volentieri. Vediamo un po': la mattina del giorno trenta la passai in barca, pescando. Ricordo che tornai all'ora di colazione con otto sgombri. Dopo colazione mi sdraiai sull'amaca, in giardino, e mi addormentai. Alle cinque prendemmo il tè, poi io salii in camera mia per sbrigare un po' di corrispondenza. Portai le lettere all'ufficio postale, ma avevano già effettuato la levata, quindi andai in macchina a Paignton, dove le impostai alla stazione. Tornai per il pranzo e dopo, mi vergogno a dirlo, rilessi un libro della Nesbit, famosa scrittrice di libri per la gioventù, che mi piaceva tanto quando ero ragazzo. Stavo appunto leggendo, quando arrivò la telefonata della polizia.»
«Bene, monsieur Clarke. Non ricordate di aver incontrato qualcuno, la mattina, mentre ritornavate a casa dalla spiaggia?»
«Oh, un sacco di gente.»
«Nessuno che vi abbia colpito in modo particolare?»
«No. Non me ne ricordo affatto.»
«Ne siete sicuro?»
«Dio mio... sicurissimo proprio... Vediamo... sì, ricordo un donnone grasso, con un vestito a righe orizzontali bianche e verdi, che si tirava dietro due bambini piagnucolosi. Sulla spiaggia c'erano due giovanotti che giocavano con un cane... una ragazzetta bionda che strillava come un'aquila, mentre faceva il bagno... Strano come tornano alla mente certe cose, se appena ci si pensa.»
«È proprio così» annuì Poirot. «E poi, nel corso della giornata, Clarke, in giardino, andando alla posta...»
«Il giardiniere che innaffiava le aiuole. Per la strada per poco non misi sotto una stupida ciclista che si voltava a salutare un'amica, senza badare a dove andava... Basta, mi pare.»
Poirot si rivolse alla Grey.
«E voi?»
«Passai la mattinata con Sir Clement» rispose la ragazza con voce chiara e pacata. «Sbrigammo la corrispondenza. Scambiai qualche parola con la governante. Nel pomeriggio rimasi in giardino a cucire per conto mio. Non ricordo altro. Fu una giornata come tante altre, senza nulla di particolare.»
Con mia sorpresa, Poirot non insisté e si rivolse a Margaret.
«Mademoiselle Barnard» disse, «che cosa ricordate dell'ultima volta in cui vedeste vostra sorella?»
«Fu circa un paio di settimane prima della sua morte» rispose Margaret. «Ero andata a casa a passare la fine settimana. Faceva caldo e andammo a Hastings per fare una nuotata.»
«Di che cosa parlaste con vostra sorella?»
«Le dissi ancora una volta il fatto suo, come vi spiegai quando ci vedemmo a casa di papà.»
«E non parlaste d'altro? Pensateci.»
La ragazza si accigliò, nello sforzo di ricordare.
«Betty si lagnava di essere al verde. Parlò di un certo vestito che desiderava. Parlò anche di Aldo, ma poco. Mi disse che non poteva soffrire la sua collega Martha Higley, mi raccontò di alcune debolezze della padrona del caffè, la signorina Merrion, e ridemmo insieme. Non ricordo altro, signor Poirot.»
«Non vi parlò di qualche suo ammiratore, col quale sarebbe uscita una sera o l'altra?»
«Non avrebbe osato, con tutto quello che le avevo detto soltanto pochi giorni prima.»
Poirot si rivolse ad Aldo Fraser che se ne stava da una parte, in cupo silenzio.
«Monsieur Fraser, vi prego, cercate di aiutarmi; fatevi forza e rievocate i ricordi di quella sera. Mi diceste che andaste al Caffè della Marina, con l'intenzione di attendere la vostra fidanzata all'uscita. Non ricordate di aver notato qualcuno, mentre aspettavate?»
«C'era tanta gente che passeggiava» rispose il giovane «e io ero troppo assorto nei miei pensieri, per notare qualcuno in particolare.»
Poirot si rivolse sospirando a Mary Drower:
«Vostra zia vi scriveva, vero?»
«Certo, signore.»
«Quando vi scrisse l'ultima volta?»
«Due giorni prima di morire. Mi diceva che quel vecchio mascalzone del marito era stato di nuovo a bussare a denaro, ma che lei non gli aveva dato niente. Mi aspettava per mercoledì, il mio giorno di libera uscita, e mi avrebbe portata al cinematografo. Era il mio compleanno...» La ragazza inghiottì e gli occhi le si riempirono di lacrime. «Scusate, signore, sono una stupida. Lo so che piangere non serve a nulla, ma non avevo che la zia al mondo, e quando penso a quel divertimento che mi preparava con tanto amore...»
«Avete ragione, Mary» disse Clarke. «Sono proprio le piccole cose che ci commuovono di più. Ricordo una povera donna travolta da un'automobile, mentre tornava dal mercato. Si era appena comperata un paio di scarpe e nel vedere quei due tacchetti alti sbucare dal pacchetto lacerato mi sentii stringere il cuore.»
«È vero» annuì Margaret con calore. «Anche dopo la morte di Betty ricordo di aver visto la mamma piangere disperata sopra un paio di calze di seta che le aveva comperato proprio il giorno della sua morte. Le baciava, le stringeva e ripeteva: "Le avevo comperate per te, Betty, e tu non le hai nemmeno vedute". Povera mamma.»
Fraser si agitò inquieto sulla sedia. Thora Grey cercò di cambiare argomento e domandò: «Non sarebbe il caso di preparare una specie di piano d'azione per il futuro?».
«Ma certo» approvò Clarke, riprendendo i suoi modi impetuosi. «Dobbiamo pensare alle contromisure. Quando arriverà la prossima lettera, dovremo essere pronti. Intanto si potrebbe indagare, ciascuno per conto proprio. Signor Poirot, attendiamo da voi consigli e ordini. In quali campi ritenete più opportuno agire?»
«Ritengo che Martha Higley, la collega di Betty, potrebbe sapere qualche cosa d'interessante» disse Poirot.
Clarke tirò fuori di tasca un taccuino e una matita e prese appunti.
«Per questo» continuò Poirot «suggerirei due sistemi d'indagine. Mademoiselle Barnard, potreste tentare gli approcci aprendo un'offensiva. Potreste attaccar briga con la ragazza, dicendole che non ha mai dimostrato simpatia per vostra sorella e che Betty vi aveva raccontato tutto sul conto suo. Questo dovrebbe provocare una reazione da parte di Martha, e vedrete che vi spiattellerà tutto ciò che pensava e sapeva di Betty.»
«E l'altro sistema, quale sarebbe?» domandò Margaret.
«L'altro dovrebbe metterlo in opera monsieur Fraser. Fraser, vi dispiacerebbe fare un filo di corte a Martha Higley?»
«È proprio necessario?»
«Non necessario, ma utile.»
«Se mi ci provassi io?» intervenne Clarke. «Ho una certa pratica e me la cavo discretamente con le donne.»
«Voi avrete altre gatte da pelare» osservò Thora in tono un po' aspro.
«Già, è vero» disse Frank remissivo.
«Non credo che voi possiate far molto, per il momento» osservò Poirot. «Voi, piuttosto, signorina Grey.»
«Signor Poirot, devo avvertirvi che non abito più a Churston» disse Thora.
«Già» intervenne Clarke. «La signorina si è trattenuta da noi, fino a pochi giorni fa, per aiutarmi a sistemare gli affari di mio fratello, ma ormai preferisce cercarsi un impiego a Londra.»
Poirot guardò alternativamente i due, poi domandò: «Come sta Lady Clarke?».
«Non troppo bene, purtroppo» mormorò Frank, mentre un lieve rossore saliva a colorare le gote dell'ondina. «Anzi, monsieur Poirot, stavo per pregarvi di un favore. Mia cognata gradirebbe molto una vostra visita. Alle spese di viaggio penserei io, s'intende.»
«Verrò volentieri, Clarke» annuì Poirot. «Dopodomani andrebbe bene?»
«Grazie. Avvertirò l'infermiera affinché si regoli nel somministrare a mia cognata gli analgesici.»
«Bene.» Poirot si rivolse a Mary Drower: «Quanto a voi, cara, potreste tentare qualcosa con i bambini di Andover».
«Come?» Mary sembrò sconcertata.
«Sì. I piccoli non parlano facilmente col primo venuto, ma voi siete conosciuta. Immagino che all'ora in cui vostra zia è stata uccisa, molti ragazzi giocassero in strada e può darsi che qualcuno di loro abbia osservato chi entrava e usciva dal negozio.»
«E la signorina Grey di che cosa si occuperà?» domandò Clarke. «E io? Ascoltatemi, mi è venuta un'idea. Che ne direste se mettessi una inserzione sui giornali press'a poco in questi termini? A.B.C. So chi siete. Cento sterline per non rivelarlo a H.P. Urgentissimo. X.Y.Z. Non vi sembra una buona idea? Potrebbe farlo cascare nella trappola, no?»
«Non è impossibile.»
«Mi pare inutile e pericoloso» disse Thora.
«Ma si può tentare» ribatté Poirot. «A.B.C. è furbo e forse capirà che si tratta di un tranello. Clarke, non dovete prendervela a male, ma siete un ingenuo, un ragazzone. Senza offesa.»
«Dicevo così, tanto per dire» mormorò Frank, un po' mortificato. Continuò consultando il taccuino: «Dunque riepiloghiamo: Margaret Barnard si occuperà di Martha Higley. Aldo Fraser, idem. Mary Drower penserà ai bambini di Andover. Poi c'è l'inserzione. Non è gran cosa, ma per cominciare basterà».
Si alzarono tutti e presero congedo.
19
Dopo aver salutato gli ospiti, Poirot tornò alla sua poltrona con un sospiro.
«Peccato che sia così intelligente» disse.
«Chi? «domandai.
«Margaret Barnard. L'hai sentita? "Parole, nient'altro che parole". Ha capito subito che quanto dicevo non significava nulla. Gli altri, invece, mi ascoltavano a bocca aperta.»
«Anche a me sembrava che tu dicessi cose sensate.»
«Oh, sensatissime; e proprio questo Margaret ha afferrato subito.»
«Allora qualcosa c'era in quello che dicevi.»
«Sì, ma avrei potuto dirlo in due parole, senza tante circonlocuzioni. E Margaret se n'è accorta subito.»
«E allora vuoi spiegarmi perché hai chiacchierato tanto?»
«Per dar loro l'impressione che ci fosse davvero molto da fare e per indurli a parlare.»
«Dimmi la verità, Poirot: hai fiducia che questa "brigata" porti a qualche risultato?»
«Tutto è possibile.» Poirot ridacchiò sotto i baffi e concluse: «In piena tragedia, ora comincia la commedia».
«Non capisco.»
«Parlo della commedia umana. Rifletti, Hastings: abbiamo qui un gruppo di persone, appartenenti a diverse classi sociali, riunite da una comune tragedia. Ecco che, automaticamente, s'inizia un secondo dramma, assolutamente a sé. Ricordi il mio primo lavoro in Inghilterra? Sono passati tanti anni. Riuscii a unire due che si amavano, facendo arrestare uno dei due sotto l'accusa di assassinio. Senza il mio intervento è probabile che non si sarebbero mai capiti. Vedi? Anche la morte può essere fonte di vita, mio caro. Un delitto, l'ho notato più volte, è spesso causa di lieti avvenimenti.»
«Hai una fantasia!» esclamai, un po' scandalizzato. «Ma chi vuoi che pensi all'amore in simili circostanze?»
«Anche tu, per esempio» ribatté Poirot e io sussultai. «Poco fa, quando quelle persone se ne sono andate, tu canticchiavi.»
«E allora? Non si può canticchiare, così, sopra pensiero?»
«Certo. Ma la tua canzoncina mi ha rivelato molte cose.»
«Sciocchezze.»
«Saranno sciocchezze, ma talvolta una canzone rivela uno stato d'animo e tu cantavi: La biondina in gondoleta...» accennò Poirot in uno stonatissimo falsetto. «Non è vero, forse? T'è rimasta impressa "la biondina". Negalo, se puoi. E sognavi una bella notte veneziana, con l'immancabile chiaro di luna e la bionda ondina al tuo fianco. Ma hai un rivale, lo sai?»
«Poirot, mi secchi!» gridai arrossendo, e non soltanto per la stizza.
«Hai notato il contegno di Frank Clarke?» continuò Poirot imperturbabile. «Hai visto come faceva la ruota con la Barnard? E hai notato come ciò dava ai nervi alla tua 'biondina"? Quanto a Fraser, poi...»
«Smettila, Poirot. Col tuo stupido romanticismo, vedi innamorati dappertutto.»
«Romantico io? Tu, piuttosto, che vai in solluchero per i begli occhi dell'ondina.»
Non potei replicare, perché la porta del salotto si aprì e, con mio grande stupore, la figura slanciata di Thora s'inquadrò sulla soglia.
«Perdonatemi se mi sono permessa di tornare» disse. «Dovrei parlare al signor Poirot... No, capitano, potete rimanere, non è cosa che debba rimanere segreta.»
«Prego signorina, accomodatevi» disse il mio amico.
Accompagnai Thora a una poltrona e le rimasi vicino.
«Ecco» riprese la ragazza. «Il signor Clarke, con molto tatto e delicatezza, vi ha lasciato credere che io abbia abbandonato la sua casa spontaneamente. Gli sono molto grata, per questo, ma ritengo che sia meglio dire la verità. Io ero dispostissima a rimanere in casa Clarke, ma la signora ha creduto opportuno licenziarmi. Povera donna, bisogna perdonarla, perché è tanto malata e tutto la rende nervosa e sospettosa. Ha cominciato a odiarmi quasi all'improvviso e non ha voluto che rimanessi più a lungo in casa sua.»
Ammirai la coraggiosa franchezza di Thora, che veniva a chiarire spontaneamente una situazione incresciosa nei suoi riguardi. La mia simpatia per lei si accrebbe.
«È un gesto ammirevole, il vostro, signorina» dissi con entusiasmo.
«È sempre meglio dire la verità» rispose lei con un sorriso. «Non mi piace approfittare troppo della generosità del signor Clarke che si comporta sempre da perfetto gentiluomo» aggiunse, con una sfumatura di orgoglio che rivelava la sua ammirazione per Frank. «Potete immaginare che colpo sia stato, per me. Non sospettavo affatto che Lady Clarke mi odiasse. Anzi, avevo sempre ritenuto che mi volesse bene. Mah!» concluse in tono malinconico. «Vivendo s'impara.» Si alzò e tese la mano a Poirot. «Ero tornata per dirvi questo e ora me ne vado davvero. Buonasera, signori.»
L'accompagnai fino alla porta di casa e quando tornai in salotto osservai, con un certo compiacimento: «È una brava ragazza, piena di coraggio».
«Anche furba» commentò Poirot.
«Perché?»
«Voglio dire che ha la vista lunga, la tua ondina. E veste come una principessa. Hai visto che abito? Uscito da una sartoria di lusso, puoi credermi.»
«Non sapevo che t'intendessi tanto di abiti femminili» dissi. «Io non riesco a distinguere se una donna è vestita bene o male.»
Ma Poirot non mi ascoltava più. Si era perduto dietro qualche suo pensiero e si tormentava i baffi. A un tratto scattò: «Hastings, non riesco a liberarmi dall'impressione che durante il convegno di poco fa sia stato detto qualche cosa di molto significativo. Non riesco a fermarmi su niente di preciso, ma l'impressione rimane. L'impressione di qualche cosa che avevo già udito o visto altra volta».
«A Churston?»
«No... Prima... Ma non fa niente; mi tornerà in mente.» Poirot alzò il capo, mi fissò con i suoi occhi scintillanti e scoppiò a ridere: «Fatale, eh? la bionda».
«Vai all'inferno!» scattai esasperato.
20
Due giorni dopo andammo a Churston. Era passata poco più di una settimana dalla nostra prima visita, ma ormai il tempo era cambiato e col settembre le giornate si erano fatte umide e nebbiose. Il luogo non ci apparve bello come la prima volta.
Un'infermiera ci raggiunse nel salottino in cui ci aveva fatto entrare John e si rivolse al mio amico: «Il signor Poirot, vero? Io sono Therese Capstick, l'infermiera di Lady Clarke. Il signor Frank mi ha scritto per annunciarmi la vostra visita».
«Come sta la signora?» domandò Poirot.
«Tutto considerato, non c'è male.»
«È molto grave, vero?»
«Non c'è molto da sperare, infatti. Però abbiamo iniziato di recente una nuova cura che l'ha sollevata parecchio.»
«Ma è vero che non potrà guarire più? Che non vivrà a lungo?»
«Non si può mai affermare una cosa di questo genere» protestò l'infermiera, scandalizzata dalla crudezza di linguaggio.
«Immagino che la morte del marito sarà stata una scossa terribile, per lei.»
«Certo. Si volevano molto bene. Sir Clement non sapeva darsi pace per la malattia della moglie. Era medico anche lui e i medici non si fanno illusioni perché sanno bene come stanno le cose. Vi assicuro che, al principio, temevano addirittura per il suo equilibrio mentale.»
«E in seguito?»
«Ci si abitua anche alle disgrazie» rispose Therese con un sospiro. «Sir Clement si consolava occupandosi della sua collezione.»
«Già. Ho saputo che mademoiselle Grey se n'è andata.»
«Sì. Me ne dispiace molto, ma la signora non ha più voluto vederla.
I malati, a volte, hanno dei capricci e bisogna fare a modo loro. Povera signorina Thora, è rimasta molto male.»
«Lady Clarke aveva poca simpatia per lei anche prima?»
«No, anzi, direi che le voleva bene... Ma non voglio trattenervi in chiacchiere. Signor Poirot, Lady Clarke vi aspetta.»
Therese ci guidò al piano superiore, nella camera di Lady Clarke trasformata in un delizioso salotto pieno di luce e di fiori.
La malata stava seduta su una poltrona accanto alle grandi finestre.
Il suo volto scarno si volse verso di noi e io notai subito, nei suoi occhi incavati, lo sguardo assente e le pupille contratte di chi è assuefatto agli stupefacenti.
«Il signor Poirot che desideravate vedere, milady» annunciò l'infermiera con voce gaia.
«Ah, sì! Accomodatevi, monsieur Poirot» mormorò la signora, tendendo una mano diafana e malferma.
Poirot s'inchinò su quella mano.
«Permettete che vi presenti il mio amico, il capitano Hastings» disse.
«Siete stato gentile, capitano, a venire anche voi» disse Lady Clarke. «Accomodatevi, prego.»
Sedemmo su due poltroncine, accanto a lei. Seguì un lungo silenzio. Lady Clarke sembrava essersi assopita. Finalmente si scosse e, con sforzo visibile, avviò la conversazione: «Siete venuti per mio marito, vero? Povero Clement, non avrei mai pensato che mi avrebbe preceduto nell'ai di là. Lui era forte e sano, quasi un giovanotto ancora, per la sua età. Aveva quasi sessant'anni, ma non ne dimostrava nemmeno cinquanta... Vi ringrazio per essere venuto, Poirot. Vedo che Frank non si è dimenticato di parlarvi del mio desiderio di vedervi. È ancora un ragazzo, Frank. Malgrado la sua aria da gradasso, non è che un ragazzo. Molti uomini hanno la particolarità di rimanere ragazzi anche a cinquant'anni. Come Frank».
«Il signor Clarke ha un carattere impulsivo» disse Poirot.
«Sì, impulsivo e cavalleresco... Purché non faccia delle sciocchezze... Anche Clement era impulsivo, ma meno... scusatemi, ho la testa pesante e faccio fatica a riordinare le idee. Il male...»
«Capisco, Lady Clarke, non agitatevi.»
«Sono diventata stupida... Volevo dirvi una cosa e non me ne ricordo più.»
«Qualche cosa che si riferiva alla morte di vostro marito?»
«Sì, credo di sì. Quel disgraziato dell'assassino mi fa tanta pena. Penso che, se lo prenderanno, lo rinchiuderanno in manicomio per il resto dei suoi giorni. Che orrore! Non l'hanno ancora preso, vero?»
«No, signora, non ancora.»
«Forse quel giorno avrà gironzolato intorno alla casa.»
«C'erano tanti forestieri, a Churston, quel giorno. Era tempo di bagni.»
«Sì, ma i bagnanti non salgono fino a qui, rimangono sulla spiaggia.»
«Quel giorno non è venuto nessuno qui» disse Poirot.
«Chi l'ha detto?» domandò la signora con uno scatto improvviso.
«I domestici, mademoiselle Grey.»
«Quella ragazza è una bugiarda» disse Lady Clarke con voce alta e chiara. «Non la posso soffrire e non mi è mai piaciuta. Clement la teneva come la pupilla dei suoi occhi, la stimava e la compiangeva anche, perché è orfana. Ma non è più una bambina, santo Dio, e qualche volta è preferibile essere orfani piuttosto che avere un padre ubriacone o una mamma inferma. Ma Clement diceva che era una ragazza coraggiosa e che era molto diligente nel lavoro. Bella forza! Con la guida di mio marito, non ci voleva molto a lavorare bene. Quanto al coraggio, poi, non so davvero come lo dimostrasse.»
«Milady, non vi agitate così» intervenne l'infermiera in tono amorevole.
«Io l'ho mandata a spasso appena ho potuto» riprese la malata. «Frank avrebbe voluto che la tenessi con me, come dama di compagnia. Diceva che la presenza di Thora mi sarebbe stata di conforto. Un bel conforto... Non vedevo l'ora di mandarla fuori dei piedi. Frank non ha approvato la mia decisione, ma non ha osato replicare. È un ragazzo, Frank, e non è cattivo. Thora se n'è andata come una vittima, una martire. Con tutto il suo coraggio, non ha saputo nascondere il disappunto che provava. E anche Therese, pazza anche lei per quella bambola dai capelli di stoppa.»
«Oh, milady, non dovete dire questo» interloquì l'infermiera. «Ho sempre ritenuto che la signorina Thora fosse una brava figliola. Era così carina, con quella sua aria romantica...»
«Storie» borbottò la signora. «Siete tutti babbei, vi siete lasciati infinocchiare.»
«Perché dite che la signorina è una bugiarda?» domandò Poirot.
«Perché vi ha detto che quel giorno non è venuto nessuno. Ma io l'ho vista da questa finestra, mentre parlava con uno sconosciuto giù al cancello.»
«Quando?»
«Quella mattina, verso le undici.»
«Che aspetto aveva quell'uomo?»
«Niente di particolare. Uno qualunque.»
«Era un signore o un fornitore?»
«I fornitori li conosco tutti. Ma non era nemmeno un signore. Aveva l'aspetto del povero diavolo, dall'aria insignificante. Non ricordo molto bene...»
La signora cadde in uno stato di prostrazione assoluta e Therese ci mandò via. La malata rispose appena al nostro saluto.
Mentre tornavamo a Londra, domandai al mio amico: «Poirot, non ti sembra strana la storia della Grey che parlava con uno sconosciuto? Perché avrebbe mentito, sostenendo di non aver visto nessuno, quel giorno?»
«Per tante ragioni, di cui una molto semplice. Pensaci, caro, sforzati. D'altra parte, il metodo migliore per saperlo è quello di domandarlo a Thora stessa.»
«Ma ti sembra possibile che una ragazza come quella possa essere d'accordo con un pazzo criminale?»
«No, mi guardo bene dal supporlo.»
Sospirai, poi dissi: «Certo che una bella ragazza non ha sempre la vita facile».
«Levatelo dalla testa, caro Hastings.»
«Ma sì» insistetti. «Per il solo fatto di essere bella, ha tutti contro.»
«Non dire sciocchezze! Chi aveva contro, in casa Clarke? Sir Clement, forse? Frank? L'infermiera?»
«Lady Clarke non la poteva soffrire.»
«Tu hai un debole per le belle ragazze. Io, invece, ho un debole per le vecchie signore malate. È probabile che solo Lady Clarke vedesse chiaro e gli altri fossero tutti accecati, come tanti pipistrelli e come il mio amico Hastings.»
«Ma si può sapere che cos'hai contro quella povera figliola?»
«Niente. Forse mi diverto a stuzzicarti» rispose Poirot ridendo. «Che vuoi, non si può star sempre a meditare sulle tragedie. E qui, vedi, non ci troviamo davanti a una sola tragedia, ma al dramma di tre vite, di tre famiglie. La vita faticosa di Alice Ascher, con le sue lotte, con l'oppressione brutale da parte del marito, con il suo grande affetto per la nipote. Ci si potrebbe scrivere un romanzo.
«Poi abbiamo la famiglia di Bexhill: i genitori, gente tranquilla. Le due figliole, così diverse fra loro: Betty graziosa, leggera e scioccherella; Margaret intelligente, energica, franca. E la figura un po' enigmatica del giovane dai capelli rossi, con la sua gelosia e l'appassionata devozione per la piccola morta. Infine la famiglia Clarke: la moglie condannata da un male inguaribile, il marito immerso nella sua collezione, ma anche preso da una crescente ammirazione per la bella segretaria che lo aiuta con diligenza; finalmente il fratello minore, bell'uomo, vigoroso, simpatico, interessante, con la vita romanzesca del giramondo avventuroso.
«Nel corso normale degli avvenimenti, questi tre drammi familiari non sarebbero mai venuti a contatto fra loro e avrebbero continuato a svolgersi isolati ed estranei l'uno all'altro. Quello che mi affascina è appunto la serie ininterrotta di combinazioni che è la vita.»
«Siamo a Londra» annunciai, senza commentare il lungo discorso di Poirot.
Appena a casa, il domestico ci disse che un signore attendeva Poirot. Pensai che fosse Clarke, perciò rimasi molto meravigliato di trovare in salotto il giovane Fraser, più cupo e impacciato che mai.
Poirot non gli domandò il motivo della visita, ma gli offrì Porto e biscotti. Mentre aspettavamo che il cameriere ci servisse, il mio amico avviò il discorso sulla nostra visita a Lady Clarke e sulle condizioni pietose della malata. Finalmente, quando avemmo i bicchieri in mano, si rivolse a Fraser: «Com'è andata a Bexhill, signor Fraser? Avete conquistato Martha?»
«Non ho ancora tentato nulla. Non...» balbettò il giovanotto. «Ecco io mi domando perché sono venuto qui.»
«Io lo so» disse Poirot.
«Come potete saperlo?»
«Siete venuto perché avete qualcosa da dirmi. Parlate, vi ascolto.»
L'accento calmo del mio amico ebbe sul giovane un effetto sedativo.
«Pensate davvero che devo parlare?» domandò.
«Certamente.»
«Signor Poirot, v'intendete di sogni?»
Non mi sarei mai aspettato una domanda simile, ma Poirot non se ne mostrò meravigliato.
«Abbastanza» rispose. «Avete fatto un sogno strano, forse?»
«Sì; un sogno che mi fa soffrire. Si è ripetuto per tre notti consecutive. Che angoscia, signor Poirot! Mi sembra d'impazzire.» Il viso di Aldo si era fatto livido sotto la chioma fiammeggiante. I suoi occhi, sbarrati e fissi, sembravano quelli di un pazzo.
«Ecco» riprese «sempre la stessa scena. Io sto sulla spiaggia e cerco Betty. Non la trovo, ma so che lei si è smarrita e che finirò per trovarla. Ho in mano la sua cintura e gliela devo rendere. A un tratto il sogno cambia. Non cerco più Betty, perché lei è seduta davanti a me, sulla sabbia. Non mi vede giungere e allora... Oh, è orribile; non posso!»
«Avanti!» ordinò Poirot in tono deciso.
«Allora io mi avvicino piano piano, le getto la cintura intorno al collo e stringo... stringo...» La voce di Aldo divenne angosciosa e io afferrai i braccioli della mia poltrona, preso dalla sua stessa angoscia.
«Betty soffoca, rantola... è morta. L'ho uccisa io. La sua testa ricade all'indietro e io la vedo in faccia... Non è Betty... è Margaret!»
Aldo si lasciò ricadere contro lo schienale della poltrona, ansando. Poirot gli porse il bicchiere che il giovane aveva posato sul tavolino.
«Che significato ha questo sogno, signor Poirot?» domandò Fraser con voce soffocata. «Perché ritorna ogni notte?»
«Bevete» ordinò Poirot. Il giovane obbedì, poi ripeté, con voce più tranquilla: «Che cosà significa? Io non l'ho uccisa, lo giuro».
Che cosa gli rispondesse Poirot non lo seppi, perché in quel momento udii la scampanellata caratteristica del postino e mi precipitai in anticamera.
Quello che trovai nella cassetta mi fece dimenticare Fraser e i suoi incubi notturni. Rientrai di corsa in salotto.
«Poirot!» gridai. «È arrivata la quarta lettera!»
Il mio amico saltò in piedi, afferrò la busta che gli porgevo, l'aprì con ansia febbrile. Poi stese il foglio sul tavolo e leggemmo insieme:
Un altro fiasco! Vergogna! Ma che cosa combinate, fra voi e la polizia? Possibile che debba mettervi alla prova una quarta volta? Finirete per farmi esaurire le lettere dell'alfabeto. Meno male che siamo appena alla D. Per vostra conoscenza, il prossimo incidente avrà luogo l'11 settembre a Doncaster. Saluti. A.B.C.
21
L'ispettore Crome, avvertito immediatamente, accorse ed era ancora in casa nostra, quando giunsero Frank Clarke e Margaret Barnard.
La ragazza spiegò che era venuta apposta da Bexhill per domandare una cosa al signor Clarke. Appariva affannata e ansiosa di giustificare quella visita inattesa. Notai la cosa senza darci molta importanza, perché la quarta lettera occupava interamente il mio pensiero.
Crome non fece buon viso ai nuovi arrivati e assunse quel contegno un po' sdegnoso che dava tanto ai nervi a Frank Clarke.
«Se non vi dispiace, signor Poirot» disse «la lettera la porto via. Desiderate averne una copia?»
«No, non ci tengo» rispose il mio amico.
«Avete qualche piano d'azione, ispettore?» domandò Clarke.
«Certo.»
«Stavolta lo acciufferemo, perbacco! Ispettore, sapete che abbiamo formato un'associazione a questo scopo?»
«Ah, sì?» fece Crome, impassibile.
«Non avete fiducia nei dilettanti, vero?»
«Forse perché ai dilettanti mancano i mezzi necessari per l'indagine» ribatté Crome.
«Ma in compenso siamo spinti da un interesse personale. In fondo, non mi sembra che anche voi possiate cantar vittoria.»
«In quanto a questo, nessuno ha diritto di criticare il nostro operato» ribatté Crome, punto sul vivo. «Questa volta siamo stati avvertiti in tempo, perché l'undici non è che mercoledì della prossima settimana. Abbiamo tutto il tempo per un'attiva campagna pubblicitaria. Ogni abitante di Doncaster sarà avvertito e chiunque abbia un nome che cominci per D starà in guardia. Manderemo rinforzi. Tutto il paese starà all'erta e ci aiuterà nella caccia. Vedrete che questa sarà l'ultima impresa del nostro A.B.C.»
«Voi non v'interessate di sport, vero, ispettore?» domandò Clarke in tono tranquillo.
«Perché?»
«Perché mercoledì prossimo, undici settembre, a Doncaster avrà luogo il St. Leger.»
Crome restò a bocca aperta, né gli riuscì, per una volta tanto, di formulare il suo odioso: "Ah, sì?". Invece disse, a boce bassa: «È vero, non ci avevo pensato. Questo complica le cose».
«A.B.C. sarà un pazzo» rincarò Clarke «ma non è certo uno stupido.»
Per alcuni minuti nessuno di noi parlò. Riflettevamo sulla nuova complicazione: la folla attirata dall'ippodromo, la confusione, il chiasso, la baraonda. Un pandemonio in mezzo al quale il nostro criminale avrebbe avuto le mani libere di agire.
«È furbo l'amico» mormorò Poirot. «L'ha congegnata bene.»
«Immagino che conti di fare il suo colpo all'ippodromo» disse Clarke. «Al momento della corsa, mentre l'attenzione del pubblico è incatenata dai cavalli in gara.»
Si sarebbe detto che Frank provasse un piacere morboso, nel raffigurare la tragedia inserita in un avvenimento sportivo.
Crome se ne andò brontolando. Pochi istanti dopo la porta si riaprì e apparve Thora Grey.
«Ho sentito che è arrivata un'altra lettera» disse ansando. «Dove avverrà, questa volta?»
Era una giornata grigia e fredda. Thora indossava un elegante mantello nero orlato di pelliccia. Sotto il cappellino, nero anche quello, l'oro dei suoi capelli splendeva.
La ragazza aveva posato una mano sul braccio di Frank e lo guardava come se aspettasse da lui la risposta alla sua domanda.
«A Doncaster, il giorno del St. Leger» mormorò Clarke.
C'ingolfammo tutti in una discussione. Ognuno di noi volle dire la propria opinione e alla fine Poirot ci calmò con queste parole: «Ascoltatemi; è necessario ragionare con calma e stabilire un programma che ci permetta di non disperdere energie. Ognuno di noi deve domandare a se stesso: "Che cosa so io sul conto dell'assassino?". Basandoci su queste cognizioni tenteremo di comporre il ritratto di chi cerchiamo».
«Ma noi non ne sappiamo nulla» osservò Thora.
«Questo non è vero, mademoiselle. Ciascuno di noi, invece, sa qualche cosa; solo che ignora quanto sa.»
Clarke tentennò il capo.
«Ha ragione Thora, monsieur Poirot. Noi non sappiamo nulla di A.B.C. Non sappiamo se è biondo o bruno, se è vecchio o giovane. Ciò che sapevamo ve l'abbiamo ripetuto più volte.»
«Non tutto. Thora Grey, per esempio, ha detto che il giorno in cui fu ucciso Sir Clement, lei non vide nessuno nei pressi della villa.»
«È la verità» annuì Thora.
«Ne siete proprio sicura? Lady Clarke ci ha detto di avervi scorta dalla finestra, mentre parlavate con uno sconosciuto, al cancello.»
«Mi ha visto parlare...» Thora aveva negli occhi azzurri uno sguardo di genuino stupore e nessuno avrebbe potuto dubitare della sua sincerità. «Lady Clarke deve essersi confusa con qualche altro giorno. Io non... Oh! Ma sì, ora ricordo!» esclamò a un tratto, arrossendo. «Dio mio, che sciocca. Era uno di quei noiosi venditori ambulanti che cercano sempre di affibbiarti un paio di calze. Non si riesce mai a farli andar via. È vero, Lady Clarke ha ragione. Passeggiavo in giardino, quando vidi che l'uomo stava per suonare il campanello. Allora gli andai incontro e dovetti perdere molto tempo prima che si decidesse ad andarsene. Era un povero diavolo inoffensivo, insignificante. Per questo, forse, l'ho dimenticato subito.»
Poirot si era preso la testa fra le mani e borbottava: «Calze... calze... calze. Ma sì, ora mi viene in mente. Il motivo dominante. Tre mesi fa, ad Andover... poi a Bexhill, sicuro... Per Giove, ho trovato!» esclamò con voce tonante.
Si rivolse a me: «Hastings, ricordi che nella camera della Ascher, ad Andover, c'era un paio di calze appena comperato? E le calze di cui ci ha parlato Margaret l'altro ieri? Quelle che la mamma aveva comperato il giorno della morte di Betty proprio per la sua figliola. Era questo che cercavo, amico mio, quando ti ho detto che c'era qualche cosa d'importante in ciò di cui si era parlato».
Si rivolse a tutto l'uditorio: «Questo motivo dominante non può essere una coincidenza. La vicina della Ascher, la signora Fowler, ci scambiò per "quegli uomini che vanno intorno a vendere calze, o sacchettini di lavanda, o altro". Dite, mademoiselle Barnard, vostra madre non vi ha detto dove aveva comperato quelle calze su cui piangeva?»
«Sì, sì, è come dite voi, signor Poirot» annuì Margaret. «La mamma mi ha detto di aver comperato le calze da un venditore ambulante, tanto per levarselo di torno.»
«Ma che cosa c'entra un venditore di calze con l'assassino?» domandò Clarke.
«Non lo so ancora, ma non può trattarsi di una coincidenza.» Poirot era categorico. «Tre delitti, e ogni volta appare sulla scena un venditore ambulante di calze. A far che? Un sopralluogo, diamine! A voi, mademoiselle Grey: descriveteci quell'uomo.»
«Ma, non saprei... Portava gli occhiali... aveva un soprabito stinto...»
«Avanti, qualche cosa di più.»
«Non ricordo, lo guardai appena... Era alto, curvo... Un tipo insignificante, di quelli che nessuno osserva due volte.»
«Ecco» annuì il mio amico con voce grave. «Avete dato di quell'uomo la descrizione esatta, perché la caratteristica dell'assassino che noi cerchiamo è proprio questa: è insignificante. Nessuno perde tempo a guardarlo due volte. Ecco il ritratto dell'assassino, signori.»
22
Alexander Bonaparte Cust leggeva avidamente il giornale. Davanti a lui, sul tavolo, la colazione si raffreddava; immerso nella lettura, Cust se ne era dimenticato.
A un tratto si alzò, passeggiò un poco per la stanza, poi si lasciò cadere su una sedia, accanto alla finestra, e nascose il volto fra le palme con un gemito soffocato.
Non udì il leggero cigolìo della porta che si apriva, né vide la signora Marbury, la padrona di casa, ritta sulla soglia.
«Signor Cust, volevo chiedervi se... Cosa c'è, signor Cust? Vi sentite male?»
«Non è niente, signora Marbury» rispose Cust, ricomponendosi. «Però è vero, non mi sento troppo bene.»
La donna lanciò uno sguardo al vassoio intatto.
«Vedo che non avete mangiato niente» disse. «Il solito mal di testa? Spero che non andrete in giro, oggi.»
Cust balzò in piedi.
«No, devo andare. Si tratta di affari importanti.»
Il viso gli era diventato rosso e le mani gli tremavano.
«Andate lontano questa volta?» domandò la padrona.
«No... Vado solo fino a... Cheltenham.»
Pronunciò il nome in maniera così incerta che la Marbury lo guardò sorpresa.
«Cheltenham è un bel posto» osservò, tanto per dire qualcosa.
«Sì, me l'hanno detto.»
La Marbury si chinò a raccogliere il giornale che era scivolato sotto il tavolo.
«Ci sono solo storie di delitti su questi giornali» brontolò, dando un'occhiata ai titoli. «Sembra di essere tornati ai tempi di Jack lo Sventratore.»
Le labbra di Cust si mossero, ma non ne uscì alcun suono.
«Avete visto?» continuò la donna. «Adesso tocca a Doncaster. Se io abitassi a Doncaster e il mio nome cominciasse per D, non ci penserei su due volte a prendere il treno e a filare. Che ne dite, signor Cust?»
«Io? Ah, io non dico nulla, signora Marbury.»
«E ha scelto proprio il giorno delle corse, quel farabutto! Con la confusione che ci sarà, spera di farla franca ancora una volta. Ma ho sentito dire che la polizia si è organizzata e che ha mandato a Doncaster centinaia di agenti. Speriamo che stavolta riescano ad agguantarlo... Ma che avete, signor Cust? Siete bianco come un cencio. Volete un goccio di cognac? Ve lo dico come una sorella, signor Cust: con la brutta cera che avete, dovreste rimanere a casa, oggi.»
«Non posso» rispose Cust, cercando di assumere un'aria disinvolta. «Non ho mai mancato ai miei impegni. Negli affari ci vuole serietà e puntualità, altrimenti si perde la fiducia.»
«Ma se si è malati...»
«Non sono malato, signora Marbury. Ho delle noie, dei dispiaceri... Cose personali. Stanotte ho dormito poco, ma non sto male, credetemi.»
La Marbury si strinse nelle spalle, prese il vassoio della colazione e se ne andò senza replicare.
Alexander Bonaparte Cust fece scivolare da sotto il letto una vecchia valigia e ci mise dentro poche cose: un pigiama, due colletti di ricambio, gli oggetti per radersi e lavarsi, un paio di pantofole. Poi aprì un armadio, ne tolse una dozzina di scatole piatte, rettangolari, lunghe poco più di un palmo e le mise nella valigia. Diede un'occhiata a un orario ferroviario A.B.C., poi uscì dalla stanza con la valigia in mano.
In anticamera indossò il soprabito. Mentre spazzolava il cappello, si aprì una porta e ne uscì una ragazza che lo guardò con aria preoccupata.
«La mamma dice che non state troppo bene, signor Cust» disse.
«La mamma si preoccupa per niente, signorina Lily.»
«Però anche a me sembra che non abbiate una bella cera.»
«Vi è mai capitato di avere dei presentimenti, signorina Lily?» domandò Cust con voce un po' aspra.
«No, non credo. Certo ci sono dei giorni in cui tutto sembra andare a rovescio, mentis in altri tutto è facile e bello.»
«Ecco, proprio così. Be'... arrivederci, signorina Lily. Voi siete sempre molto buona e carina con me. Tornerò venerdì.»
«Dove andate questa volta? Ancora in riva al mare?»
«No, vado... a Cheltenham.»
«Torquay è più bella, vero? L'anno prossimo voglio andarci a passare le ferie. A proposito, voi eravate da quelle parti quando avvenne il terzo delitto di A.B.C., vero?»
«Sì, infatti. Ma Churston non è molto vicino a Torquay.»
«Dev'essere stata una bella emozione, però. Forse l'assassino vi è passato accanto.»
«È vero» mormorò Cust, con un sorriso che sembrava una smorfia dolorosa.
Uscì di casa, trascinando la sua valigia.
«Che tipo» disse a mezza voce la ragazza. «Certe volte si direbbe un po' matto.»
L'ispettore Crome ordinò a un subalterno: «Fate una lista di tutti i fabbricanti di calze e mandate loro una circolare in cui si chiede il nome di tutti i loro agenti, piazzisti, viaggiatori, eccetera».
«Sempre per l'affare di A.B.C., ispettore?»
«Sì. Un'idea luminosa di Poirot» rispose Crome con aria sprezzante. «Non ne caveremo nulla, ma non si può trascurare neppure la cosa più insignificante.»
«Poirot era molto bravo, ai suoi tempi. Ora è invecchiato, forse.»
«Poirot è un ciarlatano» esplose l'ispettore. «Sta sempre in posa. Ma con me non attacca.»
«Stamattina ho visto il tuo vecchio barbagianni» disse Tom Hardigan a Lily.
«Chi? Il signor Cust?»
«Proprio lui, alla stazione di Euston. Dev'essere un mezzo pazzoide quell'uomo. Non dovrebbe andare in giro da solo. Ha lasciato cadere il giornale, poi il biglietto del treno e, se non c'ero io a raccoglierlo, non se ne accorgeva nemmeno. Mi ha ringraziato, ma senza riconoscermi.»
«Ti ha visto una volta sola, in anticamera...»
I due giovani continuarono a ballare in silenzio, poi la ragazza domandò: «Hai detto di aver visto il signor Cust alla stazione di Euston? Ne sei sicuro?».
«Diavolo! Ne sono più che certo. Mi credi scemo?»
«No, ma lui mi aveva detto che doveva andare a Cheltenham e quindi sarebbe dovuto partire da Paddington.»
«Il vecchio non andava a Cheltenham, ma a Doncaster. Gli ho raccolto il biglietto e ho visto quello che c'era scritto sopra. Avrai capito male, Lily. Andava a Doncaster e ti assicuro che lo invidio un poco. Io ho puntato su Whitefly nel St. Leger, e mi sarebbe piaciuto vedere la corsa.»
«Non credo che Cust sia andato alle corse. Tom, non lo uccideranno mica quel poveraccio, eh? Lo sai che il prossimo omicidio di A.B.C. avverrà a Doncaster?»
«Stai tranquilla. Il tuo amico non ha un nome che comincia per D.»
«L'altra volta, però, ha corso un bel rischio. Pensa che era a Torquay, a pochi chilometri da Churston, proprio il giorno del delitto contrassegnato dalla lettera C.»
«Strana coincidenza» disse Tom Hardigan. «Spero che il venticinque luglio non sia stato a Bexhill.»
Lily aggrottò le sopracciglia.
«A casa non c'era. Ricordo che era in viaggio per i suoi affari e la mamma disse che era al mare.»
«Ehi, Lily, non sarà mica lui A.B.C.?»
«Il signor Cust? Poveretto. Non farebbe male a una mosca.»
I due giovani continuarono a ballare insieme e dimenticarono il "vecchio barbagianni".
Ma nel segreto delle loro coscienze un'idea si andava formando a poco a poco.
23
Non dimenticherò mai più la giornata delle corse a Doncaster. Nel luminoso salone dell'albergo c'eravamo tutti: Poirot, Clarke, Fraser, Margaret, Thora, Mary e io. In tutti era evidente l'ansia di un'unica idea fissa: "Che potremo fare?".
Come avremmo potuto riconoscere, in mezzo a una folla di migliaia di persone, un volto o una figura intravvisti un'unica volta da Thora Grey, alcune settimane prima?
Anche la serena impassibilità dell'ondina era scomparsa e, sul suo volto di perla, il pallore e il rossore si alternavano.
«Non l'ho guardato bene» mormorava con disperazione. «Pensare che io sola fra tutti, avrei potuto farvene una descrizione meticolosa!»
«Non disperatevi, figliola» la consolava Poirot. «Vedrete che al momento giusto saprete riconoscerlo.»
«E come lo intuite, voi?»
«Oh, io so molte cose; e poi, dopo il nero esce il rosso, una volta o l'altra, no?»
«Allora tu conti sulla fortuna, come al gioco» intervenni, un po' seccato dalla sua familiarità verso Thora.
«Certo. È proprio qui che l'assassino sbaglia, perché avendo vinto parecchie volte col nero, continua a puntare i gettoni su quel colore, senza pensare che a un certo punto può uscire il rosso.»
«Ho paura che ci vorrà ben altro che la fortuna» borbottò Clarke.
«Certo, caro signore, certo» annuì Poirot. «Ma un po' di fortuna non guasta, credetemi. Pensate che l'assassino non abbia avuto fortuna, il giorno in cui uccise la Ascher? Qualcuno avrebbe potuto notarlo, mentre entrava o usciva dalla tabaccheria. Addirittura avrebbe potuto coglierlo sul fatto, facendolo arrestare sul posto e interrompendo così, appena iniziata, la serie dei delitti.»
«Sì, certo» ammise Clarke. «Un assassino corre sempre dei rischi.»
«Proprio come un giocatore. E, proprio come un giocatore, non sa cogliere il momento buono per fermarsi, rimettendoci così la vincita. Non dice: "Sono stato fortunato", ma "Come sono stato bravo!". Si gonfia, si crede realmente intelligente, più di tutti e a un certo momento che cosa avviene? Che la pallina, stanca di fermarsi sempre sul nero, fa un saltino in più e il croupier dice: rouge. Ed è fatta.»
«Pensate che questa volta avverrà così?» domandò Margaret.
«Non so perché, ma ho l'impressione che questa sia la volta buona. La faccenda delle calze è già un indizio valido.»
«Sapete sempre trovare le parole giuste per rianimarci» disse Clarke. «Vi confesso che stamattina mi sono alzato con la luna di traverso e non ho un briciolo di speranza.»
«Per conto mio» intervenne Aldo «non so davvero come potrò rendermi utile.»
«Non essere disfattista, Aldo» mormorò Margaret.
Mary Drower osservò, arrossendo: «Quell'orribile uomo è qui, senza dubbio, ma ci siamo anche noi e chi lo sa? Ci si potrebbe trovare a faccia a faccia quando meno ce l'aspettiamo».
«Vorrei muovermi, agire» dissi nervoso.
«Sii paziente, Hastings» mi calmò Poirot. «La polizia ha messo in opera tutte le proprie risorse, senza trascurare nulla. L'ispettore Crome non avrà delle maniere affabili, ma è un ottimo funzionario e possiamo fidarci. Tutti i settori del campo saranno sotto controllo e la stampa ci asseconda, mettendo il pubblico sull'avviso.»
«Non credo che tenterà nulla, oggi, il nostro A.B.C.» disse Fraser. «Con tutta la sorveglianza che c'è in giro, sarebbe proprio una cosa da pazzi.»
«Disgraziatamente, pazzo lo è» osservò Clarke. «Che ne dite, signor Poirot? Tenterà o lascerà perdere?»
«Credo che tenterà» rispose il mio amico. «Si è montato la testa in modo tale che non rinuncerà a mantenere quello che considera un impegno. Il desistere significherebbe riconoscersi vinto e la sua presunzione non glielo permetterà. D'altra parte le nostre speranze si basano proprio sull'eventualità di coglierlo con le mani nel sacco.»
«Secondo me» obiettò Aldo «è troppo furbo per cascarci.»
Ma ormai era tempo di cominciare la nostra ronda. Per dire la verità, io non avevo nessuna possibilità di riconoscere A.B.C., ma pregai Poirot di eleggermi accompagnatore di una delle ragazze. Poirot acconsentì con aria maliziosa.
Le ragazze andarono a mettersi il cappello, Aldo Fraser si avvicinò a una delle finestre del salone dove ci eravamo riuniti e Clarke si avvicinò a Poirot per sussurrargli: «So che siete andato da mia cognata e che avete parlato a lungo con lei. Potrei sapere che cosa vi ha detto? Ha fatto... che so... qualche insinuazione?».
«Quali insinuazioni avrebbe potuto fare vostra cognata?»
Clarke arrossì fino alla cima dei capelli.
«Ecco, forse non è il momento adatto per parlare di cose personali, ma io amo le situazioni chiare.»
«Ottima cosa, signor Clarke. Ammirevole, direi» annuì Poirot e forse a Clarke non sfuggì l'aria sorniona che si celava dietro il sorriso cordiale del mio amico.
«Mia cognata» riprese Frank «è un'ottima creatura e io le ho sempre voluto bene come a una sorella. Ma da quando è malata, poverina, e prende tutti quegli stupefacenti, si monta la testa facilmente. Mi spiego? Sapete, a proposito di Thora Grey.»
«E che c'entra mademoiselle Grey?» domandò Poirot, con espressione innocente.
«C'entra. La signorina Grey è molto bella e mia cognata si è messa in testa delle idee sbagliate. Le donne, anche le migliori, sono sempre un po' diffidenti verso le loro simili, specialmente se queste sono belle e giovani. Mio fratello lodava sempre la sua segretaria che era per lui un aiuto prezioso. Le era molto affezionato... oh, in modo assolutamente onesto e irreprensibile. Thora non è ragazza da...»
«No?» fece Poirot, candido.
«Però mia cognata si è messa in testa chissà che cosa e ha cominciato a guardare Thora di traverso. Finché mio fratello fu in vita, lei non palesò una vera e propria ostilità per la ragazza, ma, morto lui, non ha più voluto Thora in casa. Certo non posso dare addosso a Charlotte, se...»
Clarke s'interruppe, esitando.
«Se?» domandò Poirot.
«Ecco, signor Poirot, io vorrei che voi vi persuadeste che quelle di mia cognata sono tutte fantasie. Guardate.» Si frugò in tasca. «Questa lettera la ricevetti in Cina. Vorrei che la leggeste, perché dà un'idea esatta dei rapporti che intercorrevano fra mio fratello e Thora.»
Poirot prese il foglio e lesse a voce alta il brano che Clarke gl'indicava:
...nulla di nuovo. Charlotte sta passando un periodo discreto. Vorrei poterti dire qualche cosa di meglio, ma purtroppo le cose stanno sempre allo stesso punto. Thora Grey è una cara figliola e la sua compagnia mi dà un grande conforto. È stata una vera fortuna, per me, trovare una collaboratrice tanto intelligente e, come me, appassionata all'arte cinese. Ti assicuro che una figlia non potrebbe essere compagna più devota e comprensiva. Anche lei si trova bene in casa nostra. Poverina, ha avuto una vita difficile e dura; ora è felice di sentirsi circondata di simpatia e di affetto.
«Vedete?» concluse Frank. «Mio fratello la considerava una figlia. Per questo mi dà tanta pena nel vederla trattata da mia cognata come una... avventuriera. Ho voluto mostrarvi questa lettera perché non restasse in voi una falsa impressione su Thora Grey.»
«Vi assicuro che io non mi lascio suggestionare da nessuno» rispose Poirot. «Non giudico le persone in base a ciò che mi viene detto da altri. Ho i miei occhi e il mio discernimento.»
«Tanto meglio» disse Clarke, rimettendo in tasca la lettera.
Mentre stavamo uscendo, Poirot mi trattenne per la manica.
«Hai proprio deciso di andare anche tu, Hastings?» mi chiese.
«Certo. Come potrei starmene qui con le mani in mano?»
«Si può lavorare anche col cervello, sai?»
«Sì, ma per questo vali più tu di me.»
«Benissimo. Quale ragazza accompagnerai?»
«Non so, non ci ho ancora pensato» mentii.
«Ti andrebbe la Barnard?»
«Oh, quella non ha bisogno di cavalieri. È una ragazza indipendente.»
«La Grey allora?»
«Penso che sarebbe meglio.»
«Lo sai che sei un bel mascalzone, Hastings? Tu sei venuto solo per passare una giornata con la bionda. Sono dolente di sconvolgere il tuo programma, ma accompagnerai invece Mary Drower. Non dovrai abbandonarla un solo minuto.»
«E perché?»
«Perché il suo cognome incomincia per D. Le precauzioni non sono mai troppe.»
Dovetti ammettere l'opportunità del provvedimento e promisi, a malincuore, di essere fedele alla consegna.
24
Il signor Leadbetter emise un sordo brontolio d'impazienza quando il suo vicino si alzò all'improvviso, gli passò davanti e, con gesto goffo, lasciò cadere il cappello sul sedile della fila davanti, chinandosi poi a raccoglierlo. E tutto questo proprio nel momento culminante del magnifico film Non cade foglia..., così ricco di situazioni drammatiche.
Il signor Leadbetter, seccatissimo, spostò il capo da destra a sinistra, per non perdere di vista lo schermo. Che razza di gente! Andarsene così, proprio alle ultime battute del film!
Finalmente lo scocciatore se ne andò e gli occhi estatici del signor Leadbetter poterono contemplare liberamente la deliziosa figurina della protagonista, ritta accanto alla finestra della villa.
Ora saliva in treno col bimbo fra le braccia.
Ed ecco Steve, nella sua capanna, in cima al monte. Bussavano, lui andava ad aprire e sulla soglia si stagliava la figura di una donna col bimbo fra le braccia.
La parola Fine apparve sullo schermo e le luci si riaccesero.
Il signor Leadbetter si alzò ammiccando, ritardando per quanto era possibile il momento di rientrare nella prosa della vita quotidiana.
Si guardò intorno. C'era poca gente, al cinema Royal. Naturale, erano tutti alle corse. Qualcuno si avviava all'uscita e anche Leadbetter si dispose a uscire dalla fila. Nel sedile davanti a lui, un signore si era addormentato un po' di traverso sulla poltrona, con le gambe distese. Il signor Leadbetter non capiva come ci si potesse addormentare a un film tanto drammatico come Non cade foglia...
«Permesso?» stava dicendo un vecchietto irritato, mentre tentava di scavalcare le gambe del dormiente.
Giunto all'uscita, il signor Leadbetter udì della confusione e si volse. Nella sala c'era fermento. Gl'inservienti accorrevano, la gente si riuniva tutta nello stesso punto. Forse quel tizio che sembrava dormire era ubriaco.
Leadbetter esitò un attimo, poi usci. E così perse il grande avvenimento della giornata, più grande ancora del trionfo di Mezza Cartuccia vincitore nel St. Leger a ottantacinque contro uno.
«Avete ragione, signore, è svenuto» disse l'inserviente. «Ma cos'è?... Mio Dio, ma questo è sangue!»
Il vecchietto che aveva scoperto il malore dell'uomo seduto scompostamente ritirò il braccio che gli aveva passato intorno alle spalle e rabbrividì.
«Mio Dio!» disse anche lui. E ripeté: «Mio Dio!» quando vide spuntare qualcosa di giallo da sotto il cadavere. «Un orario. Maledetto! È il solito A.B.C.!»
Il signor Cust uscì dal cinema Royal e alzò gli occhi al cielo, scolorato dal tramonto.
«Che bella serata» mormorò, aspirando a pieni polmoni l'aria fresca e pura.
Rammentò un verso del poeta che amava: Dio è nel cielo; la pace è con gli uomini.
Un bel verso sereno, confortante. Peccato che nel mondo non fosse sempre così. Anzi, pensava Cust, troppo spesso era diverso.
S'incamminò di buon passo e con l'anima tranquilla verso la locanda del Leon d'Oro, dove alloggiava. S'inerpicò per la scala ripida fino alla sua camera, una delle più modeste, che dava su un cortiletto interno.
Appena entrato si rabbuiò in viso.
Aveva scorto sulla manica della giacca, all'altezza del polso, una macchia scura. La toccò, era umida, guardò il dito, era rosso. Sangue!
Cacciò una mano in tasca e fissò a lungo un oggetto lungo e sottile che ne aveva sfilato. Un coltello. La lama era rossa e appiccicosa.
Girò intorno uno sguardo da animale inseguito.
«Non è colpa mia» mormorò, col tono di uno scolaretto colto in fallo dal maestro.
Guardò la catinella, sul trespolo, nell'angolo opposto della stanza.
Un attimo dopo Alexander Bonaparte Cust versava dell'acqua dalla vecchia brocca, nel catino di ferro smaltato. Si tolse la giacca e lavò accuratamente la macchia sul polso. L'acqua rimase arrossata.
Bussarono all'uscio. Cust si volse con gli occhi sbarrati. Una ragazza bruna, formosa, entrò con una brocca in mano.
«Oh, scusate» disse. «Ho bussato, nessuno mi ha risposto e allora ho pensato che non foste ancora rientrato. Vi ho portato l'acqua calda.»
«Grazie... mi sono già lavato con la fredda» balbettò Cust con voce strozzata.
Subito gli occhi della ragazza si posarono sulla bacinella. Cust soggiunse in fretta: «Mi sono tagliato un dito».
Seguì un silenzio che a Cust parve interminabile, poi la ragazza disse: «Sissignore». E finalmente se ne andò, richiudendo l'uscio.
Cust rimase immobile per qualche istante, poi si mosse e mormorò: «È finita!». Tese l'orecchio. Si aspettava di udire voci, passi frettolosi per le scale. Ma non udì nulla.
Allora s'infilò la giacca con la manica bagnata, indossò il soprabito che durante il pomeriggio aveva lasciato in albergo e aprì l'uscio.
Dal bar giungeva il rumore dell'acciottolìo di tazze e bicchieri e un brusio di voci.
In fondo alle scale Cust si fermò di nuovo. Nessuno. Che fortuna!
Con mossa decisa aprì la porta che dava sul cortiletto. Due autisti, seduti sul predellino delle rispettive macchine, discutevano le fasi della corsa. Cust passò davanti a loro in fretta, uscì dalla porta carraia e svoltò a destra, indeciso.
Doveva rischiare? Pensò di sì. La stazione sarebbe stata affollatissima... treni straordinari per le corse... Con un po' di fortuna se la sarebbe cavata.
«Con un po' di fortuna...» ripeté a mezza voce.
25
L'ispettore Crome ascoltava impaziente la farraginosa deposizione del signor Leadbetter.
«Quando ci penso mi sento rizzare i capelli in testa, ispettore. Era seduto proprio accanto a me, capite.»
Crome, che non sembrava molto commosso per l'agitazione del testimone, sbottò: «Va bene, ma spiegatevi meglio, per favore. Costui, dunque, lasciò la sala prima della fine del film?».
«Sì, proprio alle ultime sequenze. Nel passarmi davanti inciampò, o almeno finse d'inciampare, ora me ne rendo conto. Lasciò cadere il cappello e si chinò a raccattarlo dalla poltrona della fila davanti. Deve aver pugnalato il poveretto proprio in quell'istante.»
«Voi non avete udito un grido, un lamento?»
Leadbetter non aveva udito che la voce drammatica della protagonista.
«Sapreste descrivermi il vostro vicino di posto?» domandò Crome con impazienza.
«Era un pezzo d'uomo, alto almeno un metro e novanta.»
«Bruno o biondo?»
«Non lo so. È entrato che era già buio e se n'è andato prima che riaccendessero la luce.»
L'ispettore fece firmare il verbale a Leadbetter, poi lo congedò.
«Pessimo testimonio» commentò. «Chiamatemi di nuovo l'inserviente del cinema.»
L'inserviente, un giovanotto che doveva aver fatto il militare, entrò a passo di carica e si irrigidì sull'attenti.
«Volete ripetermi com'è andata, Jameson?» gli domandò Crome.
«Signorsì. Finito lo spettacolo, un ragazzo è venuto a chiamarmi, dicendo che nelle prime file c'era un signore svenuto. Sono accorso e infatti ho visto che l'uomo stava insaccato nella poltrona. Pareva dormisse. Un signore stava accanto a lui e gli aveva passato un braccio intorno alle spalle. Quando ritirò la mano, la sua manica era sporca di sangue. Da sotto il cadavere spuntava l'angolo di un orario A.B.C. Signor ispettore, ho detto a tutti di non toccare nulla e ho mandato un mio collega a telefonare alla polizia.»
«Avevate notato un individuo che deve essere uscito dal cinema pochi istanti prima che finisse lo spettacolo?»
«Ho visto il signor Parnell, poi un giovanotto con la ragazza... Non ho notato altro.»
«Peccato. Potete andare, Jameson.»
L'inserviente del cinema uscì, dopo aver battuto i tacchi.
«Il medico ha già mandato il referto preliminare» intervenne un funzionario di Doncaster.
Bussarono alla porta e il funzionario disse: «Avanti!».
Entrò un agente.
«C'è il signor Hercule Poirot con un altro signore» disse. La faccia di Crome si rabbuiò.
«Auff!» sbuffò. «Bisogna farli passare, altrimenti...»
26
Entrai nella scia del mio amico e colsi al volo l'ultima frase dell'ispettore. Anche il funzionario locale era scuro, ma ci accolse con cordialità.
«Sono lieto di vedervi, signor Poirot» disse, stringendoci la mano. «Siamo ancora nei pasticci.»
«Un altro?» domandò Poirot con ansia.
«Un altro. Un disgraziato, pugnalato alla schiena, in un cinema. Il solito orario A.B.C. sotto il cadavere.»
«La vittima è stata identificata?»
«Sì. Stavolta l'assassino ha saltato una lettera. La vittima si chiama George Earlsfield, di professione barbiere.»
«Perché avrà saltato una lettera?» mormorai, ma nessuno si degnò di rispondermi.
«Devo far passare l'altro testimonio?» domandò l'agente che ci aveva annunciati. «Mi ha detto che ha fretta, deve rientrare a casa.»
«Fatelo entrare» annuì Crome.
Il testimonio era un signore di una certa età, tarchiato, ancora tutto agitato; parlava con voce incerta e affannata.
«È proprio vero che "finché si hanno denti in bocca..."» citò. «Io soffro di cuore e avrei potuto lasciarci anche la pelle.»
«Il vostro nome, prego?»
«Downes. Roger Downes.»
«Professione?»
«Maestro nella scuola elementare di Highfield.»
«Raccontateci, signor Downes.»
«C'è poco da dire. Terminato lo spettacolo, mi sono alzato per uscire dalla fila. La poltrona accanto a me, a sinistra, era vuota, ma nell'altra accanto c'era un signore che pareva dormisse. Gli ho chiesto permesso ma, siccome non mi ha risposto, gli ho messo una mano sulla spalla e l'ho scosso un poco. Si è accasciato come un sacco vuoto. Ho capito subito che doveva sentirsi male e ho mandato un ragazzino, che passava nel corridoio, a chiamare l'inserviente. Ho passato un braccio dietro alle spalle dell'uomo, per sollevarlo dalla scomoda posizione e, appena arrivato l'inserviente, ho tolto il braccio. Era sporco di sangue. Guardando meglio ci accorgemmo che l'uomo era stato pugnalato alla schiena. Non so davvero come ho fatto a resistere, con questo cuore malandato...»
«Potete considerarvi fortunato, signor Downes» interruppe il funzionario di Doncaster.
«Avete proprio ragione. Neppure un po' di palpitazioni.»
«Non è questo che intendevo. Voi eravate seduto due poltrone più in là della vittima, vero?»
«Sì. All'inizio del film ero proprio accanto a lui, ma poi mi sono spostato, per non avere nessuno davanti.»
«Voi avete press'a poco la stessa corporatura del morto e, come lui, portate una sciarpa intorno al collo.»
«Sì, ma non capisco...»
«L'assassino ha colpito il vostro vicino per sbaglio, signor Downes. Eravate voi la vittima designata.»
Il cuore di Downes, che aveva sopportato gagliardamente la prima scossa, alla seconda non resse altrettanto bene. Il maestro elementare si abbandonò sulla sedia e portò le mani alla gola. Bastò un po' d'acqua e qualche massaggio alle mani, per farlo riprendere.
«Perché proprio io?» balbettò il disgraziato. «Solo perché il mio cognome comincia per D?»
«Proprio così. Vi farò accompagnare a casa da un agente, signor Downes» disse Crome. «Vi consiglio di rimanere in compagnia dei vostri parenti, per questa sera.»
Downes uscì, ringraziando.
«Pensate che A.B.C., accorgendosi dell'errore, voglia rimediare?» domandò Poirot.
«Con i pazzi non si sa mai» borbottò Crome. «Il nostro A.B.C. è così metodico che può darsi gli dia fastidio questo sbaglio. Almeno sapessimo com'è fatto, l'assassino!»
«Arriveremo anche a questo» assicurò Poirot.
«Avete qualche speranza?» domandò Anderson, l'ispettore locale.
«Sì» annuì il mio amico. «Finora l'assassino non ha commesso alcun errore, ma non andrà sempre così.»
Bussarono alla porta.
«C'è il proprietario del Leon d'Oro, ispettore. Dice di avere delle informazioni» annunciò un agente.
Il proprietario della locanda si chiamava Ball ed era un uomo massiccio, che puzzava di birra a dieci metri di distanza. Entrò, seguito da una ragazza bruna, rossa in viso come un gambero e con lo sguardo spiritato.
«Non vorrei disturbare» cominciò Ball «ma questa figliola crede di avere cose importanti da dire. Parla, Molly.»
Molly fece una risatina.
«Venite avanti, signorina» disse Anderson. «Come vi chiamate?»
«Molly Stroud.»
«Bene. Che cosa avete da raccontarci?»
La ragazza volse verso il padrone uno sguardo che invocava aiuto.
«Dovete sapere» disse Ball «che Molly è cameriera nel mio albergo e fra le altre incombenze ha quella di portare l'acqua calda nelle camere due volte al giorno: al mattino e alla sera. Abbiamo sette camere e oggi erano tutte affittate, fra viaggiatori di commercio e gente venuta per le corse. Su, Molly, butta fuori quello che devi dire, senza paura, qui nessuno ti mangia.»
Molly si schiarì la voce e raccontò, tutto d'un fiato: «Io avevo bussato, ma nessuno mi aveva risposto. Così sono entrata per posare l'acqua calda vicino al lavabo. Di solito non entro se prima non mi dicono avanti, ma siccome nessuno aveva risposto... Lui era vicino al catino e si lavava...»
Si fermò, per respirare.
«Avanti» l'invitò Anderson.
«"Scusate", dico "ho bussato ma non mi avete risposto. Qui c'è l'acqua calda." Lui fa: "Mi sono già lavato con la fredda". Allora io ho guardato il catino e, mammasantissima, l'acqua era tutta rossa.»
«Rossa?»
Ball si credette in dovere di intervenire: «Molly dice che lui era in maniche di camicia e stava lavando una manica della giacca. Vero, Molly?»
«Sissignore, proprio così» confermò la ragazza che, vuotato il sacco, ora si sentiva più tranquilla. «Aveste visto che faccia aveva. Pareva un morto.»
«A che ora avveniva questo?» domandò Crome.
«Saranno state le cinque e mezzo.»
«Tre ore fa. Accidenti! Perché non siete venuti subito?»
«E che ne sapevamo noi?» scattò Ball, risentito. «Solo quando ci hanno detto del delitto al cinema Royal, Molly si è ricordata e mi ha raccontato quanto aveva visto. Naturalmente sono subito salito in camera, ma l'uomo non c'era più. Sono sceso, ho interrogato la mia gente e il ragazzo mi ha detto di aver visto un uomo che sgattaiolava fuori della porta del cortile, giusto verso le cinque e mezzo. E allora siamo venuti qui.»
Crome svitò il cappuccio della penna stilografica e si dispose a scrivere.
«Presto, descriveteci quell'uomo.»
«Molto alto, cammina curvo, porta gli occhiali» disse Molly con sorprendente sveltezza. «Indossava un abito grigio scuro e il cappello floscio. Tutta roba vecchia e sciupata.»
«Aveva del bagaglio?»
«Sì, una valigia. L'ho lasciata nella camera. Ecco la chiave della porta.»
«Presto, due uomini al Leon d'Oro» ordinò Anderson. «Riportate la valigia e il registro dei viaggiatori, quello dove i clienti mettono la propria firma.»
Un quarto d'ora dopo i due poliziotti tornarono. Ci affollammo davanti al registro e guardammo il nome che uno degli agenti c'indicava: la scrittura era poco leggibile.
«A.B.Case... o Cash?» scandì Anderson.
«A.B.C., comunque» disse Crome.
«Il bagaglio?»
«Una vecchia valigia piena di scatole di cartone contenenti calze da donna, ispettore.»
Crome guardò Poirot.
«Congratulazioni» disse a mezza voce. «Avevate ragione.»
27
Crome lavorava nel suo ufficio, a Scotland Yard. Il telefono trillò e l'ispettore alzò il ricevitore.
«Parla Jacobs, ispettore. C'è qui un giovanotto che racconta una storia interessante. Lo faccio passare?»
Crome sospirò. Non passava giorno senza che almeno una ventina di persone si presentasse con un mucchio di notizie sull'affare A.B.C. Fra queste, alcune erano dei pazzoidi, ma non mancavano persone serie, convinte di poter fornire davvero informazioni utili.
Il sergente Jacobs aveva la funzione di setaccio: faceva una prima cernita e poi passava al superiore quel che sembrava utilizzabile.
«Mandalo su, Jacobs» borbottò Crome.
Cinque minuti dopo il sergente bussava alla porta dell'ispettore e introduceva un giovanotto alto e snello.
«Ispettore, il signor Thomas Hardigan sa qualche cosa che potrebbe aver relazione con la faccenda di cui ci occupiamo.»
«Buongiorno, signor Hardigan» disse Crome, porgendo la mano. «Accomodatevi. Una sigaretta?»
Tom sedette, un po' impacciato di trovarsi davanti a quello che lui definiva "un pezzo grosso". Ma rimase deluso, perché Crome gli parve un giovanotto come lui.
«E allora, signor Hardigan, volete darmi queste informazioni interessanti?»
Tom rigirò il cappello fra le mani.
«Non so se sono interessanti, ispettore. È solo una mia idea... Vedete, io sono fidanzato e la mia futura suocera affitta camere ammobiliate a Camden Town, poco lontano da Regent Park. Da oltre un anno una delle camere del secondo piano è abitata da un certo Cust. Un tipo insignificante, di mezza età, che deve aver conosciuto tempi migliori. Un brav'uomo, tranquillo, di quelli che non farebbero male a una mosca. Tanto che non mi sarebbe mai venuto in mente di associarlo a un caso del genere, se non fosse stato per certe circostanze un po' strane.»
E Tom descrisse con sufficiente chiarezza il suo incontro alla stazione di Euston col signor Cust e l'incidente del biglietto.
«Non vi sembra strano, ispettore?» domandò. «Cust aveva detto alla mia fidanzata e alla madre che quel giorno andava a Cheltenham. Loro se ne ricordano perfettamente e invece il biglietto era per Doncaster, l'ho visto io. Così, parlando con Lily... la mia fidanzata, sono venuto a sapere che il giorno del delitto di Churston, Cust si trovava a Torquay e anche il giorno del delitto di Bexhill era fuori Londra in una città di mare. Scherzando, ho detto a Lily che forse era lui il famoso A.B.C. e Lily mi ha detto che Cust non sarebbe stato capace di far male a nessuno. Non ci abbiamo più pensato finché, dopo il delitto di Doncaster, abbiamo letto sui giornali che si ricercavano notizie su un certo A.B.Case o Cash. I connotati si adattano perfettamente a Cust e così ho domandato a Lily quali erano le iniziali del nome del suo inquilino. Sono proprio A.B., signor ispettore, e così ho cercato di ricostruire i fatti per stabilire se Cust era assente da Londra anche il giorno del delitto di Andover. Non era facile, ma la mia futura suocera si è ricordata di un particolare. Questo, ci ha permesso di stabilire che il ventun giugno Cust non era qui. Infatti, proprio quel giorno, era arrivato dall'America lo zio di Lily e la mamma di lei aveva potuto ospitarlo, grazie all'assenza di Cust.»
L'ispettore ascoltò con attenzione, prendendo appunti.
«È tutto qui?» chiese.
«Sì, ispettore, tutto qui» rispose Tom, arrossendo. «Scusatemi se vi ho fatto perdere tempo.»
«No, no, avete fatto benissimo a venire. Non c'è molto, ma la coincidenza delle iniziali e delle assenze è interessante. Parlerò a questo Cust. Si trova a Londra, ora?»
«Sì, ispettore.»
«Quando è tornato?»
«La sera stessa del delitto di Doncaster.»
«Per caso, sapete quello che ha fatto in questi giorni?»
«È uscito pochissimo. La mia futura suocera dice che ha l'aria stranita, mangia poco e legge molti giornali, sia del mattino che della sera. Certe volte lo sente parlare da solo.»
«Datemi l'indirizzo. Farò una scappata oggi stesso. Mi raccomando, signor Hardigan: massima prudenza. Il signor Cust non deve sapere che ci siamo visti.»
«Naturalmente, ispettore.»
Tom Hardigan trovò Lily che lo aspettava fuori di Scotland Yard.
«Com'è andata, Tom?»
«Bene. Ho parlato con l'ispettore Crome, quello che ha in mano tutta la faccenda.»
«Che tipo è?»
«Biondo, slavato, cerimonioso. Non lo crederesti un poliziotto.»
«Che ha detto?»
«Mi è parso abbastanza convinto. Ora interrogheranno Cust.»
«Povero il mio vecchietto!»
«Tesoro, non c'è "povero" che tenga. Se il pazzo criminale è lui, ha ammazzato già quattro persone.»
«Non mi pare possibile.»
«Ora non ci pensare, Lily. Andiamo a far colazione. Pensa, Lily, se fosse vero, metterebbero le nostre fotografie sui giornali.»
Lily lo trattenne per un braccio.
«Scusa, Tom, ma devo fare una telefonata.»
«A chi, se è lecito?»
«A... a una mia amica che mi aspettava a casa sua.»
Senza attendere oltre, Lily attraversò di corsa la strada ed entrò in una cabina telefonica. Pochi minuti dopo tornò indietro, rossa e affannata, riprese il braccio di Tom e gli sorrise.
«Si va a mangiare, allora?»
Il signor Cust riappese con precauzione il microfono e si voltò per tornare in camera sua. La signora Marbury era lì, divorata dalla curiosità.
«Non capita spesso che vi chiamino al telefono, signor Cust» disse.
«È vero, signora.»
«Non saranno cattive notizie, spero.»
«No, no.» Cust non sapeva che dire. Lo sguardo gli cadde sul giornale che teneva in mano. Nascite, matrimoni. «Mia sorella ha avuto un maschietto» inventò. Cust non aveva mai avuto sorelle.
«Oh, davvero? Che bella notizia!» esclamò la Marbury, tutta eccitata. «Sono rimasta sorpresa, poco fa, quando ho udito al telefono una voce di donna che chiedeva di voi. Anzi, mi pareva la voce della mia Lily, benché fosse più forte, più stridula... Be', signor Cust, tante congratulazioni. È il primo o avete già altri nipotini?»
«Solo questo, signora Marbury. Ma ora devo andare. Mia sorella desidera vedermi... Se mi sbrigo faccio in tempo a prendere il treno.»
«Starete via molto, signor Cust?»
«Due, tre giorni al massimo» rispose l'uomo, scomparendo nella sua camera.
La signora Marbury rientrò in cucina sorridendo. Era una buona donna e si rallegrava sempre quando nasceva una creaturina. La coscienza le rimordeva un poco: la sera avanti si era prestata a quello stupido scherzo architettato da Tom e Lily i quali, basandosi sulle iniziali di Cust e su alcune date, si erano divertiti a far apparire quel pover'uomo inoffensivo come il mostro sanguinario che da alcuni mesi faceva fremere l'intera Inghilterra.
Il signor Cust scendeva già con una valigetta in mano. Nell'anticamera si fermò a guardare il telefono: gli risuonava ancora nell'orecchio la breve conversazione di poco prima.
"Siete voi, signor Cust? Forse v'interesserà sapere che un ispettore di Scotland Yard ha intenzione di venirvi a fare una visita."
"Oh, grazie, cara... molto gentile."
Cust non aveva detto altro e nemmeno Lily. Ma perché la ragazza gli aveva telefonato? Che avesse indovinato? O forse voleva solo avvertirlo della visita della polizia, per essere certa che rimanesse in casa ad aspettarla? Ma come aveva saputo? Da chi? E quella voce alterata, per non farsi riconoscere dalla madre... Come se sapesse... Ma se avesse saputo non l'avrebbe avvertito... Però, con le donne non si sa mai. Buona figliola, Lily, e tanto carina.
Cust aprì la porta di casa e uscì.
Dove sarebbe andato? Dove?
28
Ancora discussioni.
L'ispettore-capo, Crome, Poirot e io eravamo riuniti a discutere, per l'ennesima volta.
L'ispettore-capo diceva: «È stata un'ottima idea, Poirot, quella di rivolgersi ai negozianti all'ingrosso di calze».
«Non ci voleva molto a capire che A.B.C. non doveva essere un piazzista regolare» disse il mio amico, con modestia. «Era solo un rivenditore ambulante per conto proprio.»
«Crome, volete rifare la storia dal principio, per favore?»
«Certo, signor ispettore» disse l'interrogato e cominciò: «A Churston, a Paignton e a Torquay siamo riusciti a raccogliere una discreta lista di persone che l'hanno visto, gli hanno parlato e hanno comperato le sue calze. È un tipo che fa le cose con metodo e con coscienza. Dormì due notti a Torquay, in un alberguccio di terz'ordine, dove rientrò la sera stessa del delitto, alle ventidue e trenta. Probabilmente aveva preso il trenino che parte da Churston alle ventuno e cinquantasette e che arriva a Torquay alle ventidue e venti.
«A Bexhill dormì al Globo, dove si firmò col suo nome. Anche lì andò in giro a vendere calze. La sera del ventiquattro lasciò l'albergo prima di cena, e dopo il delitto viaggiò tutta la notte, raggiungendo Londra col treno che arriva alle undici e mezzo del mattino. Ad Andover alloggiò al Cannon d'Oro, offrì la sua merce in tutte le case della via dove abitava la Ascher. Le calze che la vecchia aveva acquistato risultano identiche a quelle rinvenute nella valigia di Cust a Doncaster.»
«Molto bene» approvò l'ispettore-capo.
«Basandomi sulle informazioni ricevute dal giovane Hardigan» riprese Crome «mi sono recato all'indirizzo indicato, ma Cust se n'era andato circa mezz'ora prima, in seguito a una telefonata. La padrona di casa mi ha assicurato che prima di quel giorno nessuno aveva mai chiamato al telefono il suo inquilino. Ho perquisito la sua camera e ho trovato un blocco di carta, identica a quella su cui A.B.C. ha scritto le lettere indirizzate al signor Poirot; una notevole provvista di calze e, in fondo all'armadio sotto le scatole di cartone piene di mercanzia, un'altra scatola che conteneva otto orari A.B.C. nuovi di zecca. E non basta. Dietro l'attaccapanni dell'anticamera abbiamo rinvenuto l'arma del delitto di Doncaster: un coltello ancora macchiato di sangue.»
«Un bellissimo lavoro. Ma ora vogliamo l'assassino.»
«State tranquillo, l'avremo presto.»
Non avevo mai visto Crome così spavaldo e risoluto.
«Che ne dite, Poirot?» domandò l'ispettore-capo con espressione deferente.
Il mio amico parve riscuotersi da un sogno.
«Scusate?»
«L'ispettore Crome ci stava dicendo che spera di acciuffare presto l'assassino. Voi che ne pensate?»
«Ah, sì, senza dubbio» rispose Poirot, in tono distratto. «Solo che non riesco ancora a capire il perché. Il movente di tutto questo.»
«Ma, caro amico, dal momento che sappiamo A.B.C. pazzo, perché dovremmo domandarci il motivo della sua pazzia?»
«Io capisco quello che monsieur Poirot vuol dire» intervenne Crome, con mia grande sorpresa. «E trovo che ha ragione. Anche pazzo, costui deve aver avuto un motivo, una ossessione, una fobia, qualcosa di definito che l'ha spinto a uccidere quelle date persone. Potrebbe essere una mania di persecuzione e avere rapporto con lo stesso Poirot. Per esempio, A.B.C. potrebbe credere che Poirot si è messo in testa di farlo arrestare...»
«Uhm!» L'ispettore-capo grugnì. «Ai miei tempi un pazzo era un pazzo e non ci si scervellava per interpretarne le follie. Comunque, per oggi basta. Crome, ancora complimenti e spero che mi farete avere presto buone notizie.»
29
Alexander Bonaparte Cust era fermo presso la bottega di un fruttivendolo e guardava fisso davanti a sé.
Sì, era proprio quella: A. Ascher - Tabaccheria e rivendita giornali.
Sulle imposte chiuse c'era un cartello: Affittasi.
«Scusate, signore.» L'erbivendola voleva prendere alcuni limoni e Cust si era fermato proprio davanti alla cassetta. Si fece da parte, premuroso.
Si avviò per la strada. Aveva fame e nemmeno un soldo in tasca. Lo stomaco vuoto gli dava un senso di leggerezza non del tutto sgradevole; ma non gli riusciva di connettere le idee.
Si fermò davanti a un'edicola e lesse i titoli dei giornali:
L'affare A.B.C. - L'assassino ancora uccel di bosco - Intervista con Hercule Poirot.
«Hercule Poirot» mormorò Cust. «Vorrei sapere se lo sa.»
Riprese a camminare, un passo dietro l'altro. "Così non si va avanti" pensava. Che cosa strana camminare. Un passo dopo l'altro, un passo dopo l'altro... Ridicolo. L'uomo è sempre un po' ridicolo, e lui lo era in modo particolare. Era stato sempre ridicolo... Tutti si erano burlati di lui, sempre... Ma non ne avevano colpa.
Dove andava? Non lo sapeva. Andava così, non vedeva che i suoi poveri piedi stanchi che camminavano. Un passo dietro l'altro, senza fine...
Alzò gli occhi. Stava davanti a un fanale su cui spiccava una scritta in grande: POSTO DI POLIZIA
«Oh, questa, poi!» Cust ridacchiò sommessamente.
Mise un piede sul primo gradino e cadde in avanti, svenuto.
30
Novembre. Una bella giornata chiara e fredda. Il professor Thompson e l'ispettore Japp erano venuti da noi per informare Poirot circa lo svolgimento del caso Cust. Poirot, trattenuto a casa da una leggera influenza, non aveva potuto assistere all'istruttoria.
«Cust è stato rinviato a giudizio» annunciò l'ispettore Japp.
«Non è un procedimento insolito?» domandai. «Gli hanno assegnato un difensore d'ufficio, senza nemmeno chiedergli se voleva nominare un difensore per conto proprio.»
«Di solito, si segue la procedura che dite voi, capitano, ma questa volta sarebbe stato inutile, dato che l'imputato è pazzo. Tanto, finirà in manicomio.»
«Non credo che la reclusione in un manicomio sia preferibile alla forca» disse Poirot.
«Lucas, il difensore d'ufficio, nutre ancora qualche speranza» spiegò Japp. «Dice che, se si potrà provare come inoppugnabile l'alibi di Bexhill, la faccenda potrebbe assumere un altro aspetto. Ma sappiamo tutti che Lucas è giovane, originale, e vuol dare nell'occhio per far carriera.»
«E voi, professore, che cosa ne pensate?» domandò Poirot a Thompson.
«Di Cust? Parola d'onore che non lo so, caro amico. A sentirlo parlare si direbbe che è sano; però è epilettico, senza alcun dubbio.»
«Che strano, quel suo svenimento davanti al posto di polizia di Andover» dissi. «Ma è possibile commettere un delitto, anzi più di uno, senza saperlo? Ho visto Cust all'inchiesta e vi assicuro che i suoi dinieghi avevano un'impronta di sincerità che colpiva.»
«Ma è appunto il suo fervore nel difendersi che lo accusa» ribatté Japp. «Tuttavia non escludo affatto che un individuo, malato di epilessia, possa compiere un atto qualsiasi in stato di quasi sonnambulismo e senza avere la coscienza delle proprie azioni. Si ritiene, però, che tale atto non possa essere contrario alla volontà del malato durante il suo stato di veglia. Non è questo il nostro caso, però. Le lettere sono una prova evidente della premeditazione da parte dell'assassino.»
«È appunto di queste lettere che non abbiamo ancora una spiegazione» mormorò Poirot.
«V'interessa molto?» domandò Japp.
«Certo che m'interessa! Le lettere erano dirette a me. Ma su questo punto Cust rimane muto. Non avrò pace finché non avrò appurato il motivo per cui quelle lettere mi furono indirizzate. Prima di saperlo, non potrò ritenere risolto il caso.»
«Avete ragione» annuì Thompson. «E se fosse per il vostro nome?»
«Il mio nome?»
«Sì. Quel disgraziato è afflitto da due nomi altisonanti. Seguitemi, per favore. Alessandro, l'invincibile conquistatore che trovava il mondo di allora troppo angusto per la sua illimitata ambizione. Bonaparte, il grande imperatore guerriero. Forse la spiegazione sta qui. Anche Cust vuole un avversario degno di lui, degno dei due grandi di cui porta il nome. Chi più forte, chi più invincibile di Ercole? E a Hercule Poirot, Cust lancia la sua sfida.»
«Non è una cattiva idea.»
Thompson si schermì, con modestia.
«Forse è un'idea sballata, come le altre» disse. «E adesso devo andarmene, ho un appuntamento.»
Japp rimase, accigliato e nervoso.
«Che cosa avete, Japp?» gli chiese Poirot. «State forse pensando all'alibi di Bexhill?»
«Certo che ci penso. Quel Tranche sembra sicuro del fatto suo e non sarà facile smontarlo.»
«Che tipo è, Tranche? Descrivetemelo.»
«È un uomo sulla quarantina, ingegnere minerario, giovialone, presuntuoso e ostinato come un mulo. Ha insistito molto per farsi ascoltare.»
«È un tipo simpatico» osservai. «Ha l'aria di sapere il fatto suo.»
«Uno che non ammette volentieri di essersi sbagliato, insomma» concluse Poirot.
«Oh, non è così» protestai. «Tranche è solo un tipo che non si lascia mettere nel sacco. Giura di aver visto Cust la sera del ventiquattro luglio, a Eastbourne, all'albergo Croce Bianca e di avergli parlato. Tranche era solo e aveva una voglia matta di scambiare quattro chiacchiere e si trovò accanto quel tipo insignificante che rimase ad ascoltarlo, pazientemente. Poi Tranche propose una partita a domino e la partita continuò per ore. Tranche dice che Cust giocava bene e così si trattennero a giocare insieme fin dopo la mezzanotte. Ora, se a mezzanotte passata Cust era a Eastbourne, alla Croce Bianca, come poteva essere contemporaneamente a Bexhill a strangolare Betty Barnard press'a poco alla stessa ora?»
«Sembra difficile, infatti» annuì Poirot. «Bisognerà pensarci.»
«Crome ci sta pensando e ci perde la testa» borbottò Japp. «Ma Tranche ha piantato il suo chiodo e non molla. D'altra parte sappiamo che la sera del ventiquattro, prima di cena, Cust lasciò l'albergo a Bexhill, con la sua valigia. Un'ora dopo apparve alla Croce Bianca di Eastbourne, e la sua firma sul registro dell'albergo parla chiaro. Cenò e poi, a quanto dice Tranche, giocò a domino fin dopo mezzanotte. Bexhill è a circa ventisei chilometri da Eastbourne e a quell'ora non c'erano nemmeno le corse d'autobus che coprono la distanza in circa mezz'ora.
«È vero che a Doncaster l'abbiamo colto quasi in flagrante, con la giacca lorda di sangue. È vero che a casa sua, dietro l'attaccapanni, c'era il coltello e non credo che una giuria lo assolverebbe, solo perché Tranche sostiene che la sera del delitto di Bexhill Cust era con lui. Però mi sentirei più tranquillo se si potesse mettere in chiaro anche questa circostanza. E adesso, caro Poirot, tocca a voi. Crome non sa più a che santo votarsi. Su, fate lavorare le vostre cellule grigie e spiegateci questo enigma: può una persona essere in due posti contemporaneamente? Vi saluto, amici miei.»
Japp se ne andò, ridendo.
«E così?» domandai a Poirot, non appena l'ispettore fu uscito. «Credi che le famose cellule grigie saranno pari al compito?»
Poirot mi rispose con un'altra domanda: «Dimmi un po'. Tu pensi che quest'affare sia finito?».
«Credo di sì» risposi. «Abbiamo in mano l'assassino, con tanto di prove. Che vuoi di più? Ora si tratta di chiarire qualche fatto secondario.»
«No, caro, non è finito. Per me, almeno, non lo è affatto. Abbiamo l'uomo, ma il mistero rimane insoluto e lo rimarrà fino al giorno in cui sapremo tutto sul conto di quest'uomo. Tutto, capisci?»
«Sappiamo già molto.»
«Un corno. Sappiamo dov'è nato, come si chiama, quanti anni ha. Sappiamo che ha combattuto nella guerra mondiale, che è stato ferito alla testa e quindi congedato per epilessia. Sappiamo che abitava da quasi due anni in casa della Marbury, che ha un aspetto insignificante e che ha abitudini tranquille e metodiche. Sappiamo che ha ideato e preparato con infernale abilità il piano per i suoi delitti e che ha commesso certi errori assurdi. Sappiamo che ha ucciso con cinismo rivoltante varie persone e che si è dato gran cura perché nessun innocente fosse accusato in vece sua.
«Come vedi, caro Hastings, siamo di fronte a una personalità singolarissima, al più bizzarro contrasto di astuzia e di ingenuità, di ferocia e di magnanimità. Ma ci dev'essere un fattore dominante che giustifica tali contrasti. È questo che dobbiamo scoprire.»
«Al solito» borbottai. «Tu consideri ogni caso come uno studio psicologico.»
«E come vuoi considerarlo? Finora siamo andati avanti a tentoni, senza conoscere l'assassino. Ora che l'abbiamo in mano, che possiamo parlargli, mi accorgo che non lo conosciamo affatto, e ci troviamo ancora in alto mare.»
«È un ambizioso» azzardai.
«Sì, questo potrebbe spiegare molte cose, ma non mi persuade. Vorrei sapere altre cose. Perché ha ucciso proprio quelle date persone? Perché proprio quelle?»
«Per via dell'alfabeto.»
«Già, ma credi che in tutta Bexhill, per esempio, ci fosse soltanto Betty Barnard il cui cognome cominciava per B? Perché, ricordati, Betty era solo il diminutivo... Oh, dev'essere proprio così. Ma certo!»
Poirot doveva aver avuto una idea luminosa a giudicare dallo stato di profonda riflessione in cui cadde. Lo lasciai tranquillo. Dopo un poco sentii la sua mano che mi batteva sulla spalla.
«Il mio Hastings!» esclamò. «Il mio buon genio!»
«Cosa?»
«Sei sempre stato il mio più valido aiuto, l'ho sempre detto. Tu mi porti fortuna, m'ispiri.»
«Non capisco proprio che cosa posso averti ispirato.»
«Mentre mi ponevo delle domande, poco fa, mi è tornata alla mente una tua osservazione, così chiara e limpida nella sua ovvia semplicità. Tu hai il genio di rilevare ciò che è semplice e ovvio, mentre io, di solito, ho il torto di trascurarlo.»
«E quale sarebbe, questa mia brillantissima osservazione?» domandai ridendo.
«Brillantissima, proprio l'aggettivo esatto. In grazia tua è diventato tutto chiaro. Ho trovato la risposta a tutte le mie domande: il motivo per i delitti di Andover, di Bexhill, di Churston, di Doncaster. E infine, cosa di estrema importanza, il perché l'assassino si è rivolto proprio a me.»
«Vorresti avere la bontà di spiegarti?»
«Non è il momento, caro. Ora ho bisogno di qualche altra informazione, che potrò avere dalla nostra "brigata scelta". Più tardi, quando avrò le risposte che desidero, farò una visita a Cust e finalmente si troveranno di fronte A.B.C. e Hercule Poirot, i due avversari. Farò parlare Cust e credi, amico mio, non c'è cosa più pericolosa della conversazione. "La parola è il mezzo di cui l'uomo si serve per nascondere il proprio pensiero" ha detto un saggio; ma è anche un mezzo infallibile per far saltar fuori ciò che un altro desidera tenere celato. Raramente un essere umano resiste alla tentazione di rivelare la propria personalità a chi sa indurlo con discorsi opportuni. Ci cascherà anche costui, Hastings.»
«E che cosa pensi che Cust possa raccontarti?»
«Una bugia» rispose Poirot sorridendo. «E da quella bugia io risalirò alla verità.»
31
Nei giorni che seguirono Poirot fu occupatissimo. Usciva spesso, rimaneva fuori a lungo, parlava poco e si rifiutava di darmi qualsiasi spiegazione.
Verso la fine della settimana, però, mi domandò se desideravo accompagnarlo a Bexhill e dintorni. Accettai con entusiasmo, ma poi mi avvidi che l'invito non era per me solo, ma per tutti i componenti la "brigata scelta".
La prima visita, appena giunti a Bexhill, fu per i coniugi Barnard. Poirot chiese alla signora Agnes un resoconto particolareggiato del passaggio di Cust il 24 luglio. L'ora esatta, le parole scambiate e così via. Andammo poi all'albergo dove Cust aveva alloggiato fino alla sera del ventiquattro luglio, e anche qui il mio amico chiese i minuti particolari sull'arrivo e sulla partenza del rivenditore di calze. Da questi andirivieni non risultò nessun fatto nuovo, ma Poirot sembrava soddisfatto. Alla fine andammo sulla spiaggia nel punto esatto in cui era stato rinvenuto il cadavere di Betty, e qui Poirot si aggirò a lungo, esaminando minuziosamente la sabbia. I nostri amici sembrarono considerare inutili queste manovre, ma io che conoscevo bene Poirot sapevo che lui non faceva mai nulla senza un motivo.
Dalla spiaggia andammo al posteggio più vicino, poi fino alla piazza dove stazionavano i torpedoni che facevano servizio con Eastbourne e finalmente Poirot c'invitò tutti al Caffè della Marina, dove la prosperosa Martha Higley ci servì un pessimo tè. Poirot si congratulò con la cameriera per la sua floridezza.
«Le ragazze inglesi» le disse «sono troppo magre. Voi, invece, avete delle forme perfette. Che gambe!»
Martha gli rispose, lusingata, che i francesi sono sempre pronti a fare complimenti. Lei se ne intendeva.
Poirot non si curò di rettificare l'errore di Martha sulla sua nazionalità, ma continuò a guardarla in maniera che mi parve sconveniente.
«E adesso farò una corsa a Eastbourne» disse Poirot, alzandosi. «Non c'è bisogno che veniate anche voi. Ma prima passiamo all'albergo, per prendere un cocktail: questo tè era abominevole.»
Mentre stavamo centellinando le bibite, Frank Clarke osservò: «Monsieur Poirot è molto allegro, oggi. Si direbbe che abbia scoperto chissà cosa. Ma non avete trovato nulla circa il famoso alibi, vero?»
«No, infatti. Ma ci vuol pazienza e vedrete che tutto si aggiusterà.»
«Ma perché siete così contento?»
«Perché vedo che una mia idea si conferma sempre più.» Poirot, che fino a quel momento aveva parlato in tono ilare, divenne serio e riprese: «Il mio amico Hastings, una volta, mi raccontò che da ragazzo giocava con i compagni al "gioco della verità". A ciascuno, a turno, si rivolgevano tre domande, a due delle quali bisognava rispondere con assoluta sincerità. La terza poteva essere annullata. Naturalmente erano sempre domande indiscrete, ma prima di cominciare ogni ragazzo doveva giurare di dire la verità, almeno a due domande su tre.
«Conosciamo le regole» disse Margaret.
«Benissimo. Vorrei giocare anch'io con voi» propose il mio amico. «Ma non vi farò tre domande. Mi accontenterò di una sola, a cui dovrete rispondere con sincerità assoluta. Ci state?»
«Perché no?» rispose Clarke un po' seccato. «Se volete divertirvi, fate pure, e padronissimi noi di rispondere ciò che vorremo.»
«Ah, no! Io esigo, prima, il giuramento di dire la verità. Siete disposti a giurare?»
Il tono delle parole di Poirot era cosi solenne che tutti alzarono la mano, con mossa unanime.
«Benissimo» disse Poirot. «Cominceremo da voi, Clarke. Che ve n'è sembrato dei cappellini inalberati quest'anno, dalle signore eleganti, alle corse di Ascot?»
«Ma state scherzando?» domandò.
«Per niente.»
«È una domanda seria?»
«Serissima.»
«Bene» annuì Frank, con un sorriso forzato. «Se proprio volete saperlo, quest'anno non sono andato ad Ascot, ma dal poco che ho potuto vedere, mentre passavano in automobile, le signore portavano dei cappellini più buffi del solito.»
«Fantastici, vero?»
«Fantastici è la parola esatta.»
Poirot sorrise e si rivolse ad Aldo Fraser.
«Quando avete avuto le vostre ferie, quest'anno?»
«Le due prime settimane d'agosto» rispose il giovane.
Poirot sembrò quasi non ascoltare la risposta e si volse verso Thora Grey. Io notai subito il tono più secco della sua voce, mentre formulava la domanda alla ragazza.
«Mademoiselle, quando Lady Clarke fosse morta, se Sir Clement vi avesse chiesto di sposarlo, avreste accettato?»
Thora balzò in piedi, indignata.
«Come osate farmi una domanda simile?» gridò. «Mi insultate.»
«Può darsi. Ma voi avete giurato di dire la verità. Allora?»
«Sir Clement mi trattava come una figlia e come una figlia gli ero affezionata e riconoscente.»
«Vi ho chiesto di rispondere sì o no.»
Thora esitò un attimo, poi rispose:
«È ovvio, la mia risposta è no.»
«Grazie... Mademoiselle Barnard, voi sperate davvero che il risultato delle mie indagini sia fortunato? In poche parole, desiderate davvero che io scopra la verità?»
«No» rispose Margaret e la risposta chiara e concisa mi sbalordì, perché giudicavo Margaret una fanatica dell'onestà e della verità.
«Forse non desiderate la verità» commentò Poirot «però è certo che siete capace di dirla. Brava. E voi, Mary, ditemi: avete un innamorato?»
La nipote di Alice Ascher arrossi e balbettò:
«Non... non lo so, signore.»
Poirot sorrise, si alzò e mi disse: «Andiamo a Eastbourne, Hastings».
L'auto ci attendeva alla porta e in pochi minuti fummo sul magnifico lungomare fra Bexhill ed Eastbourne.
Poirot, di ottimo umore, canticchiava una canzonetta in voga. A Pevensey volle fermarsi per dare un'occhiata al castello. Nel tornare all'automobile sostammo un attimo a osservare un girotondo di bambini. Le vocette acute e stonate si alzavano nell'aria serena e calma del pomeriggio.
«Che cosa cantano, Hastings?» mi domandò Poirot. «Non riesco ad afferrare una parola.»
«È una filastrocca di bambini» risposi.
Han preso una volpicina,
l'han rinchiusa in cantina
non ne uscirà mai più,
mai più, mai più, mai più.
«Non ne uscirà mai più» mormorò Poirot, con espressione grave. «Hastings, hai mai preso parte alla caccia alla volpe?»
«No» risposi «e non mi sentirei di farlo.»
«È un genere di sport abbastanza diffuso qui in Inghilterra. Che strani gusti ha la gente! La posta, la battuta, poi la canizza e gli squilli del corno, le grida dei battitori... E la corsa pazza attraverso i campi, oltre le siepi e i fossati. La povera bestia inseguita corre, disperata. Qualche volta potrebbe anche salvarsi, ma i cani, che hanno fiutato la traccia, non la lasciano. La raggiungono, la straziano... Eppure, vedi, meglio quella morte crudele, ma rapida che l'altra cosa... Come cantavano i bimbi? Rinchiusa in cantina per sempre... Che orrore! Domani andrò a parlare con Cust. E adesso torniamo a Londra.»
«Ma non dovevamo andare a Eastbourne?»
«A far che? Ormai ne so abbastanza.»
32
Non assistei al colloquio fra Poirot e Cust, ma il mio amico mi riferì l'incontro per filo e per segno e così sono in grado di descrivere l'intervista come se fossi stato presente.
La figura allampanata di Cust sembrava essersi accorciata, e le sue spalle, sempre curve, parevano piegate sotto un peso enorme.
Poirot lo fissò a lungo, senza parlare. Si era seduto di fronte a lui e lo scrutava col suo sguardo penetrante. Cust sopportava a disagio quell'indagine e l'atmosfera si faceva più tesa di minuto in minuto.
Poirot, come sempre, si preoccupava di fare un grande effetto sul suo interlocutore. Quando si decise a parlargli gli domandò: «Sapete chi sono?».
L'altro scosse il capo.
«No» rispose con voce velata. «Forse venite da parte dell'avvocato Lucas, quello che ha assunto la mia difesa?»
«Io sono Hercule Poirot.»
«Ah, sì?» Cust pronunciò i due monosillabi con la stessa indifferenza con cui li avrebbe pronunciati Crome, ma senza l'intonazione sdegnosa e arrogante dell'ispettore.
Gli sguardi dei due contendenti s'incrociarono, senza ira, e Poirot annuì.
«Sono proprio quello a cui indirizzavate le lettere.»
Cust abbassò gli occhi e rispose, in tono irritato: «Non vi ho mai scritto in vita mia. L'ho detto e ridetto mille volte».
«So che l'avete detto, infatti. Ma se non le avete scritte voi, quelle lettere, chi le ha scritte? Io le ho ricevute.»
«Devo avere un nemico che mi vuol perdere. Tutti mi vogliono male. È una congiura. Ho sempre avuto tutti contro nella mia vita.»
«Anche da bambino?»
«No, da bambino no. Mia madre mi voleva bene, ma era terribilmente ambiziosa. Per questo mi affibbiò quei due nomi ridicoli. Voleva che lo diventassi un grand'uomo. Mi spingeva, m'incitava ad affermare la mia personalità... Diceva che ognuno è padrone del proprio destino, che la volontà può tutto. Se io avessi voluto, fermamente voluto, diceva, sarei diventato grande e potente. Aveva torto, è naturale» continuò Alexander Bonaparte Cust. «Checché dicesse mia madre, e nonostante i miei nomi gloriosi, io non ero nato per la grandezza. Ero timido, scontroso, taciturno, e questi difetti mi avvelenarono la vita fin dall'infanzia. Mi rendevo antipatico e ridicolo. A scuola i miei compagni mi canzonavano per i miei nomi pomposi. Non riuscivo in niente. Nello studio e nei giochi ero sempre l'ultimo. Mia madre morì giovane, per fortuna, così non ebbe la delusione di assistere al mio fallimento. Eppure non sono uno stupido, signor Poirot.»
«Capisco benissimo» annuì il mio amico. «Continuate.»
«Siccome non sono stupido, ho sempre capito che tutti mi ritenevano sciocco. È una cosa atroce, che paralizza qualunque iniziativa. Più tardi, quando trovai un impiego, fu la stessa cosa.»
«E in guerra?»
Il volto di Cust s'illuminò.
«Ah, in guerra sì che stavo bene!» esclamò. «Mi sentivo un uomo come gli altri, finalmente. E i compagni di trincea mi trattavano da pari a pari. Ma fui ferito. Una cosa da nulla, alla testa. Però all'ospedale scoprirono che qualche volta avevo delle crisi... le avevo sempre avute... Momenti in cui non sapevo dove fossi, o cosa facessi. Ma non c'era bisogno di rimandarmi a casa per questo, avrei potuto continuare a battermi.»
«E poi?»
«M'impiegai come commesso. Guadagnavo bene e per qualche anno me la cavai discretamente. Ma non facevo un passo avanti. Tutti gli altri venivano promossi, avevano degli aumenti di stipendio: io ero sempre allo stesso punto. Così, quando venne la crisi, fui il primo a venire licenziato. Cercai di tirare avanti ugualmente, facendo qualche lavoretto saltuario. Così, quando mi capitò quella bazza delle calze, con stipendio e provvigione...»
Poirot lo interruppe, con garbo: «Ma lo sapete, vero, che la ditta presso la quale voi sostenete di essere impiegato nega recisamente la cosa?».
«Ve l'ho detto! Sono tutti d'accordo» si accalorò Cust agitandosi di nuovo. «Tutti contro di me, per rovinarmi. Ma io ho le prove! Ho le lettere che la ditta mi ha scritto con le istruzioni circa i luoghi dove dovevo recarmi e le persone cui dovevo vendere la merce.»
«Non sono lettere manoscritte» disse Poirot «ma dattilografate.»
«Non è la stessa cosa? Ogni ditta che si rispetti scrive la sua corrispondenza a macchina.»
«Ma voi sapete che una lettera dattilografata è impersonale, perché non è possibile identificare chi l'ha battuta. Tutte quelle lettere vennero battute con la stessa macchina. E quella macchina era la vostra. L'hanno trovata nella vostra camera.»
«Me la mandò la ditta stessa, qualche tempo dopo avermi assunto alle sue dipendenze.»
«Ma le lettere le avete ricevute dopo che vi fu mandata la macchina. Il che lascia supporre che siete stato voi a scriverle, indirizzandole a voi stesso.»
«Ma no!» disse Cust con uno scatto d'impazienza. «Anche questo fa parte del complotto. Del resto, è quasi logico che la ditta possegga una macchina uguale a quella che ha mandato a me per la corrispondenza.»
«Uguale si, ma non la stessa.»
«È un complotto» ripeté Cust.
«Perché avevate segnato con una croce il nome di Alice Ascher sulla lista di Andover?»
«Perché avevo deciso di cominciare da lei. Si deve cominciare con qualcuno, no?»
«Già; "Si deve cominciare con qualcuno".»
«Non nel senso che intendete voi.»
«E voi sapete che cosa intendo io?»
Cust non rispose. Fu scosso da un tremito e protese le mani con un gesto implorante.
«Non sono stato io» disse. «Sono innocente, credetemi. Deve esserci un errore. Il delitto di Bexhill, per esempio. Quella sera io ero a Eastbourne, all'albergo Croce Bianca, e giocavo a domino con un signore. Volete negarlo, questo?»
«Sappiamo che siete stato a Eastbourne» annui Poirot. «Ma è così facile sbagliarsi di un giorno. E forse il vostro compagno di gioco si è sbagliato.»
«Vi dico che quella sera ho giocato a domino.»
«Voi sapete giocare bene a domino, vero?»
«Sì, non c'è male.»
«È un gioco che sembra facile, ma richiede molta attenzione e abilità.»
«È vero. Ci sono tanti modi di giocarlo» disse Cust, infervorandosi. «Io ho il mio metodo. Ricordo un certo tipo, incontrato in una trattoria... Facemmo quattro chiacchiere dopo il caffè e giocammo a domino. Dopo un quarto d'ora eravamo amiconi, ma lui non mi disse come si chiamava. Questo tale, vi dicevo, aveva tutto un altro metodo e, siccome io vincevo, s'inquietò. Doveva essere più istruito di me, perché riuscì a prendermi in giro.
«Mi parlò di chiromanzia. Mi disse che ognuno di noi porta il proprio destino tracciato sulle linee della mano. Mi mostrò la sua, indicandomi le linee. Disse che una di quelle linee indicava che lui sarebbe sfuggito, per miracolo, alla morte per annegamento. "Infatti", continuò, "ho già avuto un incidente del genere." Poi guardò la mia mano e vi lesse un sacco di cose, tanto che mi spaventai. Mi disse che, prima di morire, io sarei diventato uno degli uomini più celebri del Regno Unito, che tutti avrebbero parlato di me. Ma aggiunse anche che... sarei morto sulla forca. E rideva, rideva. Più io ero spaventato, più lui rideva. Poi mi assicurò che si era trattato di uno scherzo.»
Cust tacque, poi si portò la mano alla fronte.
«La testa!» gemette. «Mi fa tanto male. Quando mi prende questa emicrania, non capisco più nulla.» Si abbandonò contro la spalliera della sedia.
Poirot si chinò verso di lui: «Ma voi lo sapete, vero?» disse con voce pacata e ferma. «Voi lo sapete di aver ucciso!»
Cust alzò gli occhi. Il suo sguardo era limpido e diretto. In lui si era spenta ogni resistenza e una strana espressione di pace gli distendeva i lineamenti.
«Sì» rispose piano. «Lo so.»
«Ma non sapete perché avete ucciso, vero?»
«No, non lo so» mormorò Cust.
33
Eravamo radunati ancora una volta Intorno a Poirot, e ascoltavamo le sue parole con attenzione.
«Ciò che mi preoccupava in questa faccenda» cominciò il mio amico «era il perché, il motivo dei delitti. E quando Hastings osservò, l'altro ieri, che ormai l'affare poteva considerarsi concluso, io replicai che esso era ancora insoluto, perché dell'uomo conoscevamo ancora troppo poco. Non si trattava più di delitti misteriosi, ma del mistero di un uomo. Perché costui era stato spinto a commettere quei delitti? E perché aveva scelto me come avversario?
«Inutile osservare che il perché andava ricercato nel fatto che era uno squilibrato. Dire che un uomo commette atti insani perché è pazzo, è sciocco e irragionevole. Un pazzo è altrettanto logico e ragionevole, nelle sue azioni, quanto lo può essere un savio; considerando il suo punto di vista anormale, naturalmente. Per esempio, se un tipo esce per la strada nudo, con solo un pannolino intorno alle reni, tutti lo considereranno un pazzo; ma se voi tenete conto che il poveretto è fermamento convinto di essere il Mahatma Gandhi, dovrete convenire che la sua tenuta è logica e ragionevole.
«Nel caso nostro, perciò, era necessario cercare di immaginare una data mentalità, per la quale dovesse esser logico e ragionevole commettere un omicidio dietro l'altro, mandando prima lettere di avviso a Poirot.
«Il mio amico Hastings può dirvi come io fossi turbato fin dalla prima di tali lettere; avevo la sensazione di trovarmi davanti a un essere malato, a un essere guasto.»
«E avevate ragione» commentò Frank Clarke.
«Sì, avevo ragione» annuì Poirot «ma commisi un errore. Lasciai che la prima impressione rimanesse tale e non vi diedi tutta l'importanza che meritava. La polizia considerò la lettera come uno scherzo, ma io no. Ero convinto che ad Andover ci sarebbe stato un delitto. E infatti, ci fu.
«Capii subito che l'assassino non si sarebbe scoperto, per lo meno non allora. Non potendo far altro, decisi di scoprire che genere di persona fosse costui. Avevo delle indicazioni: la lettera, il modo con cui era stato commesso il delitto, la persona uccisa. Bisognava scoprire qual era il motivo, sia dell'omicidio, sia della lettera.»
«Desiderio di pubblicità» suggerì Clarke.
«Giustificato da una condizione d'inferiorità» completò Thora Grey.
«Questo, infatti, pensammo subito» annuì Poirot. «Ma perché l'assassino aveva avvertito proprio me, Hercule Poirot? Se voleva la pubblicità, perché non si rivolgeva a Scotland Yard? O meglio ancora, a un giornale? Un giornale, forse, non avrebbe preso in considerazione la prima lettera, ma alla seconda, dopo il primo delitto, la pubblicità sarebbe stata assicurata e l'ambizione di A.B.C. sarebbe stata soddisfatta in pieno. Perché, allora, scegliere a confidente Hercule Poirot? C'era di mezzo un fatto personale? Non era difficile scorgere, in quella prima lettera, una velata prevenzione per il forestiero. Ma questa non mi parve una spiegazione sufficiente.
«E arrivò la seconda lettera, seguita, purtroppo, dall'assassinio di Betty Barnard, a Bexhill. A questo punto mi apparve chiaro il procedimento per ordine alfabetico, benché fin dal primo delitto avessi subodorato la cosa. Ma questo fatto, che per altri sembrava sostanziale, per me non modificò la questione: che cosa aveva spinto A.B.C. a tali delitti?»
Margaret Barnard si agitò sulla sedia e osservò con voce dura:
«Ho sentito parlare di mania sanguinaria, qualche volta.»
«Sì, signorina: la voglia smodata di sangue. Non era il caso nostro, perché il maniaco sanguinario tende sempre a nascondere i suoi delitti, non a darne avviso con anticipo. Ora, se consideriamo le quattro vittime scelte da A.B.C. (o almeno le prime tre, perché della vittima di Doncaster sappiamo ben poco) ci rendiamo conto che l'assassino, purché lo avesse voluto, avrebbe potuto farla franca. Franz Ascher, Fraser o Margaret Barnard, e Frank Clarke, sarebbero state le persone su cui sarebbero caduti i sospetti della polizia. Chi avrebbe mai pensato a un maniaco, se lui stesso non avesse attirato la nostra attenzione su di sé? Che bisogno aveva, A.B.C., di scrivermi quelle lettere? E di lasciare un orario A.B.C. accanto alle vittime? Che c'entrava l'orario ferroviario con i suoi delitti?
«Non mi riusciva d'interpretare questo atteggiamento dell'assassino. Forse era una ripugnanza istintiva, in lui, a far ricadere su degli innocenti la colpa dei propri misfatti? Mi pareva strano, se non inconcepibile. Però, anche se ero incapace di risolvere la questione principale, andavo formandomi un concetto su alcune caratteristiche del delinquente.»
«E cioè?» domandò Fraser interessato.
«Per prima cosa, A.B.C. aveva una mentalità ordinata e il fatto che i suoi delitti si susseguissero per ordine alfabetico doveva avere per lui un'importanza estrema. D'altro canto, non dimostrava una particolare predilezione per un dato genere di vittime: la signora Ascher, Betty Barnard, Sir Clement Clarke non potevano essere più diversi l'uno dall'altro, e anche questo era un fatto curioso. Quando un pazzo uccide, a caso e senza distinguere, ciò avviene perché lui si propone di togliere di mezzo chiunque lo importuni o lo ostacoli in qualche modo. Ma qui avevamo la progressione alfabetica a dimostrarci che il caso era diverso e, comunque, c'è una strana incompatibilità fra l'ordine scrupoloso del procedimento e la scelta delle vittime fatta a caso.
«Un'altra deduzione mi fu suggerita dal particolare dell'orario e mi confermò nella persuasione che l'assassino fosse un uomo. Gli uomini viaggiano più delle donne e più di loro amano il treno. I maschietti giocano col trenino: questa considerazione, però, poteva suggerire che l'assassino aveva una mentalità poco sviluppata, fanciullesca.
«L'assassinio di Betty Barnard e il modo come fu compiuto mi fornirono altre indicazioni. Il metodo usato per ucciderla (perdonatemi, caro Fraser) mi parve significativo. Betty fu strangolata con la sua stessa cintura: da ciò era facile arguire che l'assassino doveva essere in rapporti amichevoli, confidenziali con la ragazza, e ciò che appresi in seguito sul carattere di Betty mi diede una chiara visione del fatto.
«Betty era una buona figliola, ma leggerina e vanitosa. Amava i divertimenti e si compiaceva di farsi corteggiare. Era ovvio che il misterioso A.B.C., per richiamare la sua attenzione, doveva essere un uomo piuttosto attraente.
«Immagino la scena che si svolse sulla spiaggia: il cavaliere loda l'elegante cintura della damigella, lei se la toglie per fargliela ammirare e l'altro, così per gioco, passa la cintura intorno al collo della ragazza, dicendo in tono scherzoso: "Ora ti strangolo". Lei ride, e lui... stringe davvero.»
Fraser balzò in piedi, livido.
«Poirot, basta, per carità!» esclamò con voce soffocata dall'angoscia.
«Ho finito, Fraser, sedetevi. Ora passiamo all'altro delitto, cioè l'assassinio di Sir Clement Clarke. Qui l'omicida ritorna al primo sistema della bastonata alla nuca. La progressione alfabetica continua, ma c'è un particolare che mi turba. L'assassino, per essere coerente, avrebbe dovuto scegliere i nomi delle località in modo più regolare. Ora mi spiego:
«Fra le località inglesi che cominciano per A, Andover tiene il 155° posto. Perché il paese che cominciava per B non era anch'esso il 155°, o il 156°, e di conseguenza C il 157°? Si tornava, dunque, alla scelta casuale.»
«Ma credi forse che siano tutti così pignoli come te?» osservai.
«Prendo per buona la tua osservazione e vado avanti» disse Poirot. «Il delitto di Churston mi fu di pochissimo aiuto. Il disguido postale, che fece ritardare la lettera, complicò la situazione. Ma non appena mi fu annunciato il delitto di Doncaster, fummo in grado di preparare un piano formidabile, atto a mettere il nostro A.B.C. nell'assoluta impossibilità di commettere altri misfatti.
«Fu a questo punto, poi, che la mia attenzione si polarizzò sul fattore calze. Quel rivenditore di calze, che ogni volta si aggirava sulla scena del delitto, non poteva essere una coincidenza fortuita. L'assassino era lui, senza dubbio. Devo aggiungere, però, che la descrizione della signorina Grey sull'uomo in questione non corrispondeva all'immagine di colui che aveva strangolato Betty Barnard.
«E concludo. Un altro delitto viene commesso. La vittima si chiama George Earlsfield. Si pensa a un errore, dato che accanto a Earlsfield sedeva un individuo il cui nome era Downes. E qui siamo all'ultima fase della tragedia. La fortuna, che fino a quel momento aveva assistito A.B.C., ora gli volta decisamente le spalle, tutto gli va a rovescio. Lui è identificato, inseguito e infine arrestato. L'affare, come dice Hastings, è finito.
«Infatti, è finito agli occhi del pubblico. L'assassino è in prigione e verrà rinchiuso in un manicomio criminale. L'incubo del pazzo sanguinario è finito, la tranquillità assicurata.
«Ma per me non è finito. Io non sono tranquillo. Io non sono soddisfatto, perché non conosco il motivo, lo scopo di questa strage, e c'è un fatto positivo, indiscutibile: per il delitto di Bexhill, Cust ha un alibi, perché, effettivamente, la notte tra il ventiquattro e il venticinque luglio Cust dormì a Eastbourne, non a Bexhill, e si trattenne a giocare a domino con un certo Tranche, il quale sostiene a spada tratta la sua versione.»
«Già» annuì Clarke. «È una cosa che dà fastidio.»
«Sì, dà fastidio» ripeté Poirot. «Perché, se l'alibi è autentico, significa che tre delitti furono commessi da Cust: il delitto A, quello C, e il delitto D. Ma quello B non fu opera sua... Un momento, signorina Barnard, non interrompetemi. Voglio scoprire la verità e la scoprirò, a dispetto di tutto e di tutti.
«Immaginiamo, dunque, che A.B.C. non abbia commesso il secondo delitto. Come ricorderete, Betty Barnard fu uccisa nelle prime ore del venticinque luglio, il giorno stesso in cui Cust doveva commettere il "suo" delitto. Cosa accadde? Qualcuno prevenne A.B.C.? E che doveva fare il nostro pazzo? Ammazzare qualcun altro o lasciar correre, accettando il fatto compiuto come un macabro dono?»
«Ma, signor Poirot!» Questa volta Margaret non si lasciò zittire. «Perché volete complicare le cose? L'assassino è uno solo. Deve essere uno solo.»
Poirot continuò, senza dar retta alla ragazza: «Tale ipotesi poteva spiegare un fatto: la discordanza fra la personalità di Cust, che non credo capace di far la corte a una ragazza, e quella dell'assassino di Betty. Ma a questo punto mi trovai davanti a una strana situazione: fino al giorno dell'assassinio di Betty, nessuno aveva accennato al mistero dell'A.B.C. Il delitto di Andover aveva suscitato scarso interesse nel pubblico e i giornali non avevano accennato affatto all'orario ferroviario rinvenuto nella tabaccheria della Ascher. Ma l'assassino della Barnard, chiunque fosse, conosceva i fatti noti a un limitatissimo numero di persone, cioè ad alcuni funzionari di polizia e a pochi vicini della vecchia Ascher. Ciò mi chiudeva la strada a qualunque indagine.»
Poirot tacque e guardò i presenti, uno per uno. Erano tutti pallidi e attenti.
Fraser intervenne, con voce cupa: «Dopo tutto, i funzionari di polizia sono uomini come gli altri... E ci sono fra loro, dei bei giovanotti».
«No, caro Fraser, non è così» disse Poirot. «È molto più semplice. Ma andiamo avanti. Supponiamo, dunque, che Cust non abbia ucciso la Barnard e che un'altra persona sia colpevole di tale delitto; questa persona poteva, eventualmente, aver commesso anche gli altri delitti? Ecco la domanda chiave.»
«Ma è assurdo!» esclamò Clarke.
«Davvero? Ebbene, io feci, allora, quello che avrei dovuto far subito: presi a considerare le lettere ricevute da un punto di vista completarnente diverso. Come vi ho già detto, fin dalla prima lettera sentii un'impressione penosa, come di una cosa stonata e falsa. E sapete perché? Perché quelle lettere erano state scritte da una persona perfettamente sana e normale.»
«Come dici?» domandai con voce alterata.
«Ma sì, Hastings, è proprio così. Quelle lettere erano false, com'è falsa l'imitazione dell'opera d'arte. Ma erano una bellissima imitazione e sembravano proprio scritte da un pazzo.»
«È assurdo» disse Frank Clarke.
«Non lo è affatto» rispose Poirot. «Ragioniamo, per favore. A quale scopo erano state scritte, quelle lettere? Per attirare l'attenzione sullo scrivente e, di conseguenza, sui suoi delitti. Questo, a prima vista, poteva sembrare assurdo, ma non lo era. Lo scopo vero era di attirare l'attenzione su parecchi omicidii, su tutta una serie di delitti... Dov'è che uno spillo può passare più facilmente inosservato? Sopra un puntaspilli. In quali condizioni un singolo omicidio farà meno impressione? Nel caso in cui esso faccia parte di un'intera serie di delitti.
«Mi trovavo alle prese con un assassino terribilmente intelligente, astuto e audace. Non certo con quel povero Alexander Bonaparte Cust, uomo modesto, inoffensivo, tranquillo. No, il mio antagonista era un tipo del tutto diverso. Un uomo dalla mentalità un po' giovanile (me lo dicevano le lettere a stampatello, curate come quelle di uno scolaretto, e la trovata dell'orario A.B.C.). Un bell'uomo, che doveva piacere alle donne, indifferente al valore della vita dei suoi simili, un uomo, infine, che un forte interesse personale spingeva a sopprimere una delle quattro vittime.
«Quando una persona viene uccisa, che cosa si cerca di stabilire, per prima cosa? L'opportunità. La polizia comincia subito a indagare su dove si trovano i familiari al momento del delitto. Poi si ricerca il motivo. La polizia cerca la persona a cui la morte dell'assassinato può recar vantaggio. Se opportunità e motivo sono evidenti, l'assassino può sperare di salvarsi solo fabbricandosi un alibi, cosa molto difficile e rischiosa. Ma il delinquente di cui ci occupiamo non fa nulla di simile. Si fabbrica un sostituto, sotto la forma di un pazzo omicida.
«A questo punto delle mie meditazioni, non mi rimaneva che riesaminare a uno a uno i quattro delitti e cercare l'assassino fra le persone più vicine alle vittime. Il delitto di Andover? Tutti i sospetti cadevano, inevitabilmente, su Franz Ascher. Ma come si poteva immaginare in quel beone abbrutito la capacità d'ideare e condurre a termine un piano d'azione tanto complicato? Il delitto di Bexhill. Qui Fraser pareva abbastanza incriminabile; non gli mancavano né l'intelligenza, né la mentalità ordinata e tanto meno l'opportunità di avere convegni serali con Betty. Per quale motivo avrebbe ucciso la fidanzata, se non in un impeto di gelosia? Ma la gelosia non ammette premeditazione. Inoltre, domandai a Fraser in quale epoca aveva preso le ferie estive; mi rispose che le aveva avute nelle prime due settimane d'agosto, e questo lo escludeva dal delitto di Churston, e anche da quello di Andover, perché un uomo che lavora non avrebbe potuto essere nelle due località durante i giorni lavorativi.
«E ora analizziamo il terzo caso, che ci offre un campo assai vasto di possibilità. Sir Clement era ricchissimo. L'erede del suo immenso patrimonio chi era? La moglie, gravemente ammalata, ne sarebbe stata l'usufruttuaria fino alla morte, poi il patrimonio sarebbe passato al fratello Frank.»
Poirot si volse lentamente e cercò lo sguardo di Clarke.
«A questo punto» riprese «ogni mio dubbio sparì. Ormai sapevo. L'immagine che mi ero formata dell'assassino era reale. Il misterioso A.B.C., l'efferato assassino di quattro vittime innocenti non era altri che Frank Clarke! L'avventuriero, l'uomo che disprezza la vita umana, e gli stranieri, l'uomo galante, simpatico, piacevole e gioviale corteggiatore di ragazze, dalla mentalità ordinata e metodica (ricorderete come un giorno, proprio in questa stanza, scrisse sul suo taccuino il programma delle varie incombenze assegnate a ciascuno di voi), e allo stesso tempo fanciullesca (Lady Clarke me lo dipinse come un ragazzone e so che egli si diletta ancora a leggere i libri della Nesbit). Era lui, l'autore delle lettere misteriose, l'assassino cinico e crudele: Frank Clarke.»
Una risata fragorosa rispose alle gravi parole di Poirot.
«Bravo!» esclamò Clarke. «Molto ben trovata. E come spiegate la giacca insanguinata dell'amico Cust e il coltello nascosto in casa sua? Cust ha un bel negare, ma...»
«Vi sbagliate» lo interruppe Poirot. «Cust non nega nulla. Anzi ammette di aver ucciso.»
«Come?» Clarke spalancò gli occhi.
«Proprio così. Mi sono accorto subito, parlando con lui, che Cust era convinto di aver ucciso. Me l'ha detto lui stesso.»
«E non vi basta?»
«No, caro signore, perché non è possibile che l'assassino sia lui. Cust non ha la forza, né il coraggio e nemmeno l'intelligenza sufficiente per ideare una tale serie di misfatti. Fin dal principio rimasi colpito dalla doppia personalità dell'assassino. Ora so in che cosa consisteva. Mi stavano di fronte due persone, sotto il velo del mistero: l'autentico assassino, astuto, audace, abilissimo; e l'altro, l'uomo di paglia sciocco, indeciso, suggestionabile.
«In quest'ultima parola sta il nodo del mistero. Suggestionabile! Ecco il ritratto del povero Cust, ed ecco l'origine della sua disgrazia. A voi, Clarke, non bastava il piano formidabile di una serie di delitti allo scopo di stornare l'attenzione da quell'unico che v'interessava; vi occorreva anche un capro espiatorio. Penso che l'idea vi sia nata una sera, quando incontraste in una trattoria un povero diavolo, afflitto da due nomi altisonanti e da un carattere timido e suggestionabile. In quel tempo voi stavate già progettando il modo di assassinare vostro fratello.»
«E perché avrei dovuto far fuori mio fratello?»
«Perché pensavate al futuro, e non ci vedevate chiaro. Forse non ve ne siete accorto, ma quando mi avete mostrato una certa lettera di Sir Clement, mi avete reso un segnalato servigio. In quella lettera Sir Clement parlava un po' troppo di Thora Grey; il suo affetto per la bionda segretaria poteva essere quello di un padre, ma forse era diverso e le condizioni di Lady Clarke costituivano un serio pericolo. Niente di più facile che, rimasto solo, Sir Clement si aggrappasse più saldamente alla giovinezza che gli fioriva accanto e che l'affetto paterno lo portasse ben presto a un legittimo matrimonio.
«Quando siete tornato in patria, conosceste Thora Grey e i vostri timori non poterono che aumentare. Spregiudicato e cinico come siete, avrete certo valutato tutte le possibilità di questa ragazza bella, intelligente, astuta che, a parer vostro, non si sarebbe lasciata sfuggire l'occasione di diventare Lady Clarke. Vostro fratello era un uomo sano e vigoroso. Era probabile che la giovane sposa gli avrebbe dato dei figli, e così sarebbe crollata, per sempre, ogni vostra speranza di eredità.
«Voi eravate stanco della vita nomade, eravate geloso della ricchezza di vostro fratello e, ripeto, già elaboravate dei piani quando v'imbatteste in Alexander Bonaparte Cust. I suoi nomi pretenziosi, il racconto dei suoi attacchi epilettici, le emicranie ricorrenti, quella sua personalità umile e insignificante, tutto ciò costituiva un insieme adatto a fornirvi lo strumento che occorreva per la riuscita del vostro diabolico piano. Le iniziali di quel disgraziato vi suggerirono anche il trucco dell'alfabeto e dell'orario ferroviario. Il nome e il cognome di vostro fratello cominciavano per C, e per di più abitava a Churston. Bastava trovare altre vittime, cominciando da A e il piano era pronto. Il giorno che incontraste Cust aveste persino là crudeltà d'insinuare in quel povero cervello l'idea del destino che lo attendeva: la notorietà prima, la forca poi.
«E così era tutto pronto. A nome di Cust, voi ordinaste a un grossista una partita di calze e insieme a questa faceste pervenire al pover'uomo una scatola piena di orari A.B.C., parecchia carta da lettere a mano, e una lettera da voi scritta sulla macchina stessa che, qualche giorno dopo, inviaste a Cust, come regalo della ditta. Nella lettera offrivate al poveretto un ottimo stipendio e una buona provvigione. Lui accettò, credendo che l'offerta fosse stata fatta davvero da una ditta di calze.
«Mancavano ancora le vittime dai nomi adatti e che abitassero rispettivamente nelle località A, B, D. Per il primo delitto la scelta cadde su Andover e sulla vecchia tabaccaia Alice Ascher. Il nome era scritto sull'insegna e la donna era spesso sola, nel suo negozietto. Bastava un po' di sangue freddo, di decisione e... di fortuna.
«Per la lettera B occorreva mutar tattica, perché era possibile che le vecchie bottegaie sole fossero state avvertite e avessero preso delle precauzioni. Immagino che abbiate frequentato i caffè e i ristoranti di varie spiagge, scherzando con le giovani cameriere per cercare quella che rispondesse ai requisiti necessari. In Betty Barnard trovaste la vittima adatta. La circuiste con una corte discreta e galante, la portaste a passeggio in automobile e le spiegaste che eravate sposato e quindi non potevate farvi vedere in pubblico con una bella figliola. Preparato il terreno, spediste a Cust una lista di probabili clienti ad Andover, con l'ordine di recarsi sul posto in un dato giorno e mandaste la prima lettera firmata A.B.C. a me. Nel giorno stabilito andaste ad Andover e uccideste la Ascher. Andò tutto liscio e il primo delitto fu compiuto felicemente.
«Il secondo delitto riteneste opportuno sbrigarlo prima della data fissata. Sono sicuro che la povera Betty Barnard fu uccisa prima della mezzanotte del ventiquattro, comunque prima del venticinque.
«E veniamo al terzo delitto, il solo importante per voi. E qui mi sento in obbligo di rivolgere un meritato elogio al mio amico Hastings, il quale vide subito la verità. Hastings insinuò che il ritardo della terza lettera potesse essere voluto, e non casuale. Aveva ragione, naturalmente, mentre io, sul momento, gli diedi torto.
«In questo semplice quesito sta l'ossessione che mi prese per parecchio tempo. Perché le lettere erano state indirizzate a Hercule Poirot e non alla polizia? Pensavo che potesse esserci un motivo personale, ma m'ingannavo. A.B.C. inviava le sue lettere a me perché era indispensabile che una di esse arrivasse in ritardo, per un errore d'indirizzo, e non è facile che una lettera diretta alla Sezione Omicidi di Scotland Yard possa subire un disguido postale. Si può fare lo stesso discorso per un giornale. Occorreva un indirizzo privato, ma il destinatario doveva essere persona conosciuta, in ottimi rapporti con la polizia, senza contare che, come straniero, offrivo un divertente bersaglio all'umore sarcastico di isolano campanilista che alberga nello spirito di Clarke.
«E l'errore fu ideato molto bene. Whitehorse invece di Whitehaven... una svista giustificabile. Solo Hastings, che non guarda tanto per il sottile e non cerca il pelo nell'uovo, vide chiaro. L'errore d'indirizzo era stato fatto apposta, affinché la lettera giungesse nelle mani della polizia solo a cose fatte. La passeggiata serale di Sir Clement fornì l'occasione e l'attenzione del pubblico era talmente presa dal misterioso A.B.C. che nessuno avrebbe mai incolpato Clarke di quella morte violenta.
«Clarke, non appena vi foste liberato di vostro fratello, non avevate più motivo di commettere altri delitti, ma se la macabra serie fosse finita così, senza un motivo plausibile, poteva darsi che qualcuno sospettasse la verità. Il povero Cust aveva sostenuto la sua parte d'essere insignificante così bene che nessuno aveva notato la sua presenza. Nemmeno la signorina Grey ricordava di avergli parlato, il giorno della tragedia, a Churston. E così decideste per un quarto assassinio, ma lo progettaste in modo da rendere inevitabile la cattura della vostra vittima. Doncaster era il paese. Voi stabiliste le cose in modo di trovarvi sul posto a dirigere personalmente la scena. Cust ebbe l'ordine di recarsi a Doncaster, dove voi lo avreste seguito passo passo, approfittando della prima occasione favorevole. E tutto procedette a meraviglia. Cust andò al cinema a rivedere un film che aveva già visto. Voi lo seguiste e, prima che terminasse lo spettacolo, vi alzaste, fingeste d'inciampare e, nel chinarvi per raccogliere il cappello, pugnalaste il disgraziato spettatore che sedeva nella poltrona davanti. Gli faceste scivolare l'orario sotto il corpo e nell'andarvene, al buio, passaste vicino a Cust, urtandolo e nel gesto asciugaste sulla sua manica il coltello insanguinato, prima di fargli scivolare l'arma nella tasca della giacca.
«Questa volta non vi prendeste la briga di scegliere una vittima con le iniziali adatte; non ne valeva la pena. Tutti avrebbero pensato a uno sbaglio.»
Poirot si concesse una breve pausa, fissò Clarke e riprese: «Cerchiamo ora di considerare i fatti dal punto di vista di Alexander Bonaparte Cust.
«Il delitto di Andover non gli fece né caldo né freddo. Quello di Bexhill lo sorprese. Pensò che era strano: si era trovato sul luogo di due delitti, nel giorno in cui erano stati commessi. Il fatto di Churston fu il colpo di grazia per il poveretto. Gli epilettici vanno soggetti a brevi periodi di amnesia assoluta. Cust era un soggetto impressionabile, addirittura un nevropatico, e soffriva d'epilessia.
«Un bel giorno ricevette l'ordine di recarsi a Doncaster. E i giornali parlavano di un prossimo omicidio che avrebbe avuto luogo in quella località. Il destino lo perseguitava, lo incalzava. Cust era sgomento e immaginò che persino la padrona di casa lo guardasse con sospetto. Non ebbe il coraggio di rivelare alla signora Marbury che doveva andare a Doncaster e mentì. Ma andò a Doncaster, perché questo era il suo dovere. Nel pomeriggio andò al cinema e al ritorno in albergo si accorse di avere una manica insanguinata e un coltello in tasca. Quello che fino a quel momento era stato un vago presentimento, si trasformò in realtà.
«Cust ricordò le emicranie, le frequenti amnesie e non ebbe più dubbi. L'assassino era lui, Alexander Bonaparte Cust! Un pazzo omicida.
«Da quel momento Cust si comportò come un animale inseguito. Tornò a Londra, nella sua cameretta. Lì si sentiva al sicuro. Doveva far sparire il coltello che scioccamente aveva portato con sé. Lo nascose dietro l'attaccapanni dell'anticamera. E poi venne avvertito che la polizia stava per arrivare. Sì, ho parlato con Lily Marbury: è stata lei a telefonargli dopo che il fidanzato era andato alla polizia.
«Cust lasciò il suo covo e si gettò allo sbaraglio. Non so perché sia andato a Andover; forse perché voleva rivedere le varie tappe di quelli che credeva i "suoi delitti". Ma i suoi poveri piedi stanchi lo portarono al posto di polizia.
«Ed ecco perché Cust cerca ancora di difendersi, anche se è convinto di essere l'autore di quei delitti: perché anche una povera bestia ridotta agli estremi cerca di difendersi fino alla fine, con le unghie e con i denti. Ora Cust sa che il delitto di Bexhill non può averlo commesso lui e si aggrappa a questa speranza. Vedete, Clarke, quella sera, a Bexhill, per la prima e forse per l'ultima volta, Cust disubbidì agli ordini ricevuti. La sua lista diceva che il giorno dopo doveva spostarsi a Eastbourne e Cust partì da Bexhill subito, prima di cena, pensando che avrebbe pernottato a Eastbourne, per cominciare il lavoro di prima mattina. Se quella sera fosse rimasto a Bexhill, forse voi avreste avuto più fortuna ma, come ho detto parecchie volte, non sempre esce il nero al tavolo della roulette, ed è così che il giocatore ostinato perde.
«Quando vidi Cust per la prima volta, compresi subito che il mio nome, la mia persona, non gli dicevano nulla, ma compresi pure che si credeva fermamente colpevole dei delitti. E dopo che mi ebbe parlato di sé, della sua vita, mi convinsi che la mia teoria era giusta.»
«Una bella teoria!» esclamò Clarke. «Io la chiamerei una stupida cattiveria.»
«No, Clarke» rispose Poirot in tono pacato. «Finché nessuno vi sospettava eravate in una botte di ferro, ma è bastata l'ombra di un dubbio perché le prove saltassero fuori da ogni parte.»
«Prove? Quali prove?»
«In un armadio della villa a Churston, per esempio, abbiamo trovato un bastone da passeggio con il pomo di legno duro incavato e riempito di piombo fuso. Un bastone troppo pesante, preparato apposta come arma, insomma. Poi la vostra fotografia è stata riconosciuta da due persone di Doncaster che vi hanno visto uscire dal cinema, mentre noi vi credevamo all'ippodromo. Martha Higley e un'altra cameriera di Bexhill vi hanno riconosciuto come un avventore che faceva la corte a Betty, nel mese di giugno. Infine, siccome il diavolo insegna a fare le pentole e non i coperchi, abbiamo scoperto una vostra impronta digitale sulla macchina per scrivere che era stata mandata in dotazione a Cust, macchina che voi non avreste mai potuto toccare, se foste stato innocente. Che cosa potete dire a vostra difesa, Frank Clarke?»
Frank rimase muto un istante, poi esclamò con un sogghigno: «Rouge, impair, manque! Avete vinto Hercule Poirot. Ma valeva la pena di rischiare.»
Con un gesto rapido Clarke trasse di tasca una piccola automatica e se la puntò alla tempia.
Mandai un grido, attesi il colpo, ma lo sparo non ci fu, perché il grilletto dell'arma scattò a vuoto. Clarke abbassò la pistola e la guardò attonito.
«Mi dispiace, monsieur Clarke» disse Poirot con una lieve intonazione beffarda. «Voi non lo sapete, ma il mio cameriere è un ex borsaiolo, abile e svelto come pochi. Vi ha tolto la pistola di tasca, l'ha scaricata e l'ha rimessa a posto, mentre vi girava intorno per porgervi le bibite e per ritirare i bicchieri vuoti. È molto bravo, vero?»
«Maledetto pagliaccio di uno straniero!» sibilò Clarke, paonazzo in viso dall'ira.
«Sarebbe stato troppo comodo, caro Clarke. Dovete pagare il conto fino all'ultimo soldo. Un giorno avete detto a Cust che siete sfuggito per miracolo alla morte per annegamento. Forse perché eravate destinato a morire in modo diverso.»
Clarke aprì la bocca per inveire ancora, ma dalla gola contratta gli uscì solo un muggito inarticolato. Il suo viso da paonazzo si era fatto livido e i pugni, serrati fino allo spasimo, si alzarono con gesto minaccioso. Allora da una stanza vicina uscirono due funzionari di polizia. Uno di questi era il nostro amico Crome, che si rivolse all'assassino con la consueta formula: «Vi avverto che ogni parola da voi pronunciata avrà valore di deposizione».
«Oh, ha già detto abbastanza!» esclamò Poirot.
34
Quando la porta si fu richiusa alle spalle di Clarke e dei due funzionari, Poirot osservò: «È un uomo abominevole. E non solo perché ha ucciso il fratello e tre altre persone innocenti, ma per aver meditato con cinismo l'incriminazione di Cust. Nel suo animo aveva condannato, senza ombra di rimorso, un povero infelice alla più orribile delle sorti: la morte vivente. Hastings, ricordi la canzoncina di quei bambini? "Hanno preso una volpicina - l'han rinchiusa in cantina - non ne uscirà mai più!" Mai più! Che parole tremende!»
Tutti gli astanti, che fino a quel momento erano rimasti immobili e silenziosi come statue di cera, lasciarono sfuggire un profondo sospiro.
«Non posso crederci» mormorò Margaret Barnard. «Ma è proprio vero?»
«Sì, signorina. L'incubo è finito, per voi e per tutti.»
La ragazza arrossì violentemente mentre Poirot si rivolgeva a Fraser: «La signorina Barnard» disse il mio amico «era assillata dal terrore che l'assassino di Betty foste voi.»
«Quasi quasi lo sospettavo io stesso» rispose il giovane.
«Per via di quel sogno?» Poirot si chinò sul giovanotto e abbassò la voce, in tono confidenziale: «Quel sogno, caro Fraser, non era che il riflesso del vostro stato d'animo, poiché l'immagine della ragazza morta si sta affievolendo nel vostro cuore per lasciare il posto alla sorella. Margaret ha soppiantato Betty, ma voi vi ribellate ancora al pensiero di essere infedele alla vostra fidanzata e tentate di soffocare il nuovo sentimento, tentate di ucciderlo. Ecco la spiegazione del sogno, ragazzo mio».
Gli occhi di Aldo cercarono quelli di Margaret. Il giovanotto divenne pallido, poi arrossì.
«Non difendetevi da questo nuovo amore» continuò Poirot in tono paterno. «Betty non era degna di voi e Margaret vale mille volte di più.»
«Credo che abbiate ragione, signor Poirot» mormorò Fraser. «Vi ringrazio. Margaret, hai anche tu gli stessi miei sentimenti?»
Per tutta risposta la ragazza gli tese una mano, che lui afferrò e tenne nelle sue.
Tempestammo Poirot di domande, chiedendogli mille spiegazioni.
«Quelle domande che rivolgesti a ognuno di noi, pochi giorni fa a Bexhill» chiesi «che cosa significavano? Non riesco ancora a capirlo.»
«Infatti, per la maggior parte non avevano nessun significato. Però mi servirono ad appurare che Clarke era a Londra il giorno in cui venne impostata la prima lettera. Ricordi? Disse di aver veduto passare le automobili con le signore che andavano ad Ascot. Poi volevo pigliarmi il gusto di vedere la sua faccia, mentre rivolgevo alla signorina Grey quella domanda insidiosa. Clarke non se l'aspettava e non riuscì a nascondere il suo dispetto.»
«Siete stato cattivo con me, signor Poirot» si lamentò Thora.
«E voi non mi avete detto la verità» ribatté il mio amico in tono secco. «E ora rimarrete delusa per la seconda volta, perché Frank Clarke non erediterà i milioni del fratello. Speravate di sposare Sir Clement e, dopo la sua morte, c'era ancora Frank da accalappiare.»
«È inutile che rimanga qui a farmi insultare» disse la ragazza con un gesto sdegnoso del capo. Si alzò di scatto.
«Nessuno vi trattiene, signorina Grey» rispose Poirot, affrettandosi ad alzarsi per andarle ad aprire la porta. Poi s'inchinò profondamente, al suo passaggio.
Thora Grey uscì così dalla mia vita, e per sempre.
«Quell'impronta digitale trovata sulla macchina per scrivere ha dato il colpo di grazia al nostro Clarke» osservai, con una certa soddisfazione. «Dopo non ha saputo più ribattere».
«Già, sono davvero utili le impronte digitali» annuì Poirot, e aggiunse, sbirciandomi di sottecchi: «Se lo vuoi sapere, quell'impronta digitale l'ho aggiunta proprio per farti piacere».
«Come dici? Non era vero?» scattai con ira.
«Nemmeno per sogno, amico mio. Pura fantasia.»
Ancora due parole su Alexander Bonaparte Cust.
Venne a trovarci alcuni giorni dopo. Prese le mani di Poirot fra le proprie e le strinse con forza, mentre esprimeva al suo salvatore tutta la riconoscenza di cui era capace.
«Ma lo sapete?» soggiunse poi, quando si fu un po' rinfrancato. «Un giornale mi ha offerto cento sterline, dico cento sterline, per un breve resoconto della mia vita e di questa mia vicenda disgraziata. Che cosa mi consigliate, signor Poirot? Credete che debba accettare e mettere per iscritto quello che mi è capitato?»
«Non accettate, amico mio» si affrettò a dire Poirot. «Cento sterline non sono una gran somma. Chiedetene cinquecento e non spostatevi di un centesimo. Vedrete che accetteranno. E non limitatevi a un solo giornale. I memoriali, oggi, sono di moda.»
«Ma davvero, signor Poirot? Credete che mi daranno cinquecento sterline?»
Poirot scoppiò a ridere, divertito dalla confusione del poveretto.
«Ma non capite» disse «che voi ora siete un uomo celebre? Anzi, posso dirlo senza tema di esagerare, in questo momento siete l'uomo più celebre e più in vista di tutta l'Inghilterra! Dovete sfruttare la situazione, finché dura. Vedrete che troverete anche un buon impiego. E a questo proposito, vi consiglio di non accettare il primo che vi verrà offerto, ma di scegliere con cura il migliore.»
La schiena curva di Cust si raddrizzò come per incanto. Una gioia inesprimibile gl'irradiò la faccia sparuta.
«State parlando sul serio, Poirot? Non mi canzonate? Celebre, io? L'uomo più in vista... Il mio nome e il mio ritratto su tutti i giornali... Vi ringrazio e seguirò i vostri consigli. Finalmente avrò un po' d'agiatezza. Mi prenderò una vacanza, farò un viaggetto. E offrirò uno splendido regalo di nozze alla cara Lily Marbury. È una buona figliola, sapete, e mi vuole bene.»
Poirot gli batté affettuosamente la mano su una spalla.
«Bravo, signor Cust. Prendetevi un po' di svago, vi farà bene. E permettetemi un altro consiglio. Fatevi visitare da un buon oculista; ho l'impressione che i vostri mali di capo dipendano solo da un'insufficienza visiva. Non mi stupirei se un paio di occhiali più adatti vi facessero passare le emicranie. E curatevi anche per i vostri disturbi epilettici. Oggi la medicina può fare miracoli.»
«Davvero, Poirot? Credete proprio in ciò che avete detto?»
«Ci credo.»
Cust prese ancora una volta le mani di Poirot nelle proprie e gliele strinse con rinnovato calore.
«Ah, siete proprio un grand'uomo!»
Il mio amico si sforzò di sorridere con modestia, ma non ci riuscì perché, come sapevo bene, la vanità era il difetto più grosso che avesse.
Cust ci lasciò di lì a poco, ringiovanito di dieci anni.
Poirot sedette sulla sua poltrona preferita, mi guardò sorridendo e concluse: «E così, caro Hastings, anche questa ciambella è riuscita col buco, eh?».
FINE