XIII

 

 

Ultimo giorno dell’anno. Gli uffici del Palazzo di Giustizia erano quasi deserti. Chi poteva, aveva preso qualche giorno di ferie. Gli altri erano impegnati a ripulire le scrivanie dai cascami dell’anno che finiva, intanto che stappavano qualche bottiglia.

Dubarry percorse il corridoio della procura senza incontrare altro che una segretaria, che, sentendo i suoi passi, si affacciò sulla porta della propria stanza. I telefoni erano praticamente muti, bastava un rumore molto piccolo per attirare l’attenzione. La segretaria non lo conosceva e lo guardò in silenzio, allarmata, con l’atteggiamento di chi pensa di doversi proteggere. Quando lui le mostrò il tesserino e chiese dove erano andati tutti a bere, si rilassò.

“Nella stanza del Procuratore capo,” rispose prima di tornare al suo posto.

Fra magistrati e poliziotti c’era una quindicina di persone. La Pillon e altri due o tre che lo conoscevano abbastanza bene commentarono il suo arrivo con grandi manifestazioni di stupore.

“Ti sei degnato di farti vedere con noi?” gli chiese un collega dell’ufficio per i minorenni, stringendogli la mano.

Anche il Procuratore capo fu cordiale, lo prese sottobraccio per condurlo alla scrivania su cui avevano messo le bottiglie ed un vassoio di tartine.

“Ne approfitto per farle i complimenti, Commissario. Ho visto che avete fermato l’assassino della ragazzina. Il probabile assassino,” si corresse per scrupolo. “La sua rapidità è sempre impressionante.”

“Beh,” disse Dubarry evasivamente. Capiva che il Procuratore capo non aveva letto la comunicazione partita dal Commissariato alle cinque del mattino, dove si parlava di un ragazzo fermato per sospetto spaccio di droga. Cadiot, che l’aveva letta, gli aveva telefonato poco dopo le sette, chiedendo che cos’era questa strana storia. Lei voleva che io arrestassi Bomel, ho arrestato Bomel, aveva risposto Dubarry prima di dirgli che voleva essere lasciato in pace dopo l’ennesima notte in bianco.

Il Procuratore capo fece per servirgli personalmente un calice di champagne.

“Mai sia, signor Procuratore,” intervenne la Pillon, raggiungendoli. “Il Commissario è un affronto vivente allo spirito della nostra città.”

“Allo spirito in generale, semmai,” replicò Dubarry. Prese un bicchiere, che lei gli stava porgendo.

“E’ succo di mela,” disse. “Se non passa al vino dopo avere provato questo, per lei non c’è proprio speranza.”

Risero tutti e tre.

Il Procuratore capo gli strinse ancora la mano e tornò verso il gruppo degli altri, con un calice in una mano ed una bottiglia nell’altra.

“Dovrei dirle una cosa riservata,” disse Dubarry a bassa voce appena il Procuratore capo si fu allontanato.

Lei lo guardò interrogativamente. “Questa è la mattina delle grandi sorprese. Mi dica tutto.” Tornò a volgersi verso il tavolo; Dubarry le riempì il bicchiere, perché il loro rimanere lì avesse una spiegazione.

“So che il telefono dello scomparso - quello di cui io non mi devo occupare, per capirci - è stato in un paesino delle Landes.”

“Quando?”

“Il giorno stesso della scomparsa.”

“E poi?”

Dubarry scosse la testa. “Non risulta altro.”

“Più niente per un mese?”

“No.”

Lei sospirò. “Non le chiedo come l’ha saputo, mi dica solo se è un’informazione che posso usare.”

“Certo. Viene dal gestore telefonico. Sarebbe bastato guardare i tabulati, e forse si sarebbe risparmiato un mese di angoscia ad una famiglia,” aggiunse amaramente. Si guardò intorno e notò che il collega dell’Ufficio scomparsi non era lì. Quel coglione.

 

Ripercorrendo i corridoi verso l’uscita, questa volta in compagnia di un viceprocuratore, non provò quel sollievo che generalmente sentiva allontanandosi da una riunione in cui si doveva parlare del più e del meno, simulando grande divertimento. Non era quello il suo modo di distrarsi. Passare del tempo inutile, con la faccia congelata in un sorriso innaturale fino ad avere male agli angoli della bocca, non gli piaceva. Ma adesso aveva così poca voglia di tornare al suo ufficio che rimpiangeva che la riunione fosse finita quasi rapidamente, sottraendogli un pretesto per rimanere lontano da un’indagine che non era ancora arrivata a niente. Prepararsi all’ultima notte dell’anno come tutto il resto del mondo e non pensare ad uno stupido arresto sbagliato, questo era il suo desiderio in quel momento, anche se sapeva già che non avrebbe festeggiato la mezzanotte, perché del capodanno non gliene era mai fregato niente.

 

“Dove sono i tabulati delle chiamate?” chiese a Monier, sedendosi alla scrivania.

“Li ho qui.” Si sedette davanti al computer, trafficò per qualche secondo e la cartella comparve anche sullo schermo di Dubarry.

“C’è qualcosa di strano?” chiese prima ancora di aprirla.

“In che senso?”

“Bomel e Maxime si sono sentiti molte volte prima della festa?”

Monier lo guardò senza capire.

“Vorrei capire se è vero che è stato Bomel a portare l’erba, o quel che era, quella sera.”

“A quell’epoca non erano mica intercettati,” disse Monier.

“Grazie tante, lo so. Mi accontenterei di scoprire che si sono sentiti più del normale.”

Monier fece uno sbuffo, come per dire che era una ricerca un po’ cretina.

“Voglio anche sapere che fine ha fatto Maxime. L’hanno dimesso?”

“Non lo so, chiedo.”

Dubarry fece un cenno di assenso, scorrendo l’elenco dei file per  cercare le conversazioni fra Jean ed i compagni nei giorni precedenti la festa.

In effetti, Jean e Maxime si erano sentiti quattro volte il giorno prima, e tre volte addirittura in un’ora. Entrambi avevano fatto altre telefonate negli intervalli fra una conversazione e l’altra. Dubarry immaginò conversazioni convulse, alla ricerca di uno spacciatore affidabile e non troppo caro. Naturalmente niente escludeva che invece avessero parlato di un amplificatore che funzionava male o di una bella ragazza che non sarebbe andata alla festa perché era stata invitata ad uscire da uno più grande di loro.

Come che fosse, né Jean né Maxime avevano parlato con Marion il giorno prima della festa, né il giorno stesso. Ne poteva uscire confermata l’innocenza di Jean, in un certo senso. Ma dal telefono di Marion si vedeva che quel giorno lei aveva parlato solo con le sue amiche, per consigliarsi su vestiti e pettinatura, quindi con il suo assassino non aveva parlato, chiunque fosse.

“Ma siamo sicuri sicuri che non è stata la sua amica?” buttò lì Monier. “La cicciona.”

“Perché lo avrebbe fatto?”

Monier si strinse nelle spalle. “Non lo so. Magari erano innamorate dello stesso ragazzo.”

“E l’ha riempita di botte prima di buttarla in acqua.”

“Potrebbe.”

“E’ un’idea,” disse Dubarry.

 

Non ci fu nessun dramma.

Dubarry trovò Maxime seduto su un divano, in pigiama, con il telecomando in mano. La sorella che aveva introdotto il Commissario scomparve nella sua stanza. Maxime tolse l’audio dalla trasmissione.

“Scusi se non mi alzo, ma faccio ancora fatica a fare certi movimenti.”

“Non si preoccupi.” Si sedette accanto a lui. Nel televisore, due squadre di basket americane continuavano a giocare in silenzio.

“Io sono un grande appassionato di basket. A lei piace?” chiese Maxime.

“Mah.. non lo seguo, ma capisco che è divertente.”

“E’ vero. Quasi sempre.” Si fissò sullo schermo per qualche secondo. “Darei un braccio per poter giocare.”

“Fra qualche settimana sarà completamente guarito. Può tenersi il braccio.”

Maxime si mise a ridere. “Intendevo, per poter giocare con loro,” disse indicando il televisore. “Cosa impossibile perché sono troppo scarso.”

Dubarry alzò le spalle. “Pazienza.”

“In realtà a me non piacciono i grandi campioni. Se uno è un campione, che gusto c’è? A me piacciono quelli come Jeremy Lin. Sa chi è?”

“No.”

“E’ un tipo di origine cinese che non si sa come un anno è stato ingaggiato dai Knicks. Gli davano quattro soldi, probabilmente non sapevano neanche che esisteva, poi un giorno lo hanno messo in campo e ha cominciato a fare i miracoli. Valanghe di punti, canestri decisivi all’ultimo secondo, la comunità cinese di New York era impazzita, e anche gli altri davano di matto perché da un pezzo non avevano in squadra un giocatore così decisivo. Per un mese a New York non hanno parlato d’altro che dei Knicks e di Lin.”

“Solo per un mese?”

“Solo per un mese. Dopo lui si è infortunato, poi quando è tornato a giocare il momento magico era finito. Però è stata una storia fantastica. Per me queste sono cose fantastiche,” ripeté.

Dubarry sorrise, scuotendo la testa.

L’albero di Natale era ancora lì, probabilmente per l’ultima sera. Il giorno seguente sarebbe stato spogliato e riportato in cantina. Maxime colse il suo sguardo.

“Ha visto, Commissario? Aveva ragione mio padre, non festeggerò neanche il capodanno.”

“Non è grave. E’ una festa stupida.”

“Ma a me piace fare festa.”

“Alla sua età è normale. Perché l’altro giorno non mi ha detto che la sera della sua festa avevate un bel po’ di fumo?”

Maxime rimase in silenzio per un attimo. Da parte sua il silenzio era così strano che per un momento Dubarry pensò che si fosse sentito male, poi Maxime sorrise.

“Ma lei non si occupa questo. Abbiamo parlato della mia compagna che è morta.”

“Allora parliamone adesso. Dove l’ha comprato?”

Maxime scosse la testa. “Questo non posso dirglielo. Abbiamo anche in Francia quell’emendamento che citano spesso nei film americani?”

“No, e soprattutto abbiamo poca pazienza. Dove l’ha comprato?”

“Veramente. Non posso dirlo.”

“Lo spacciatore chi lo conosceva, lei o Jean?”

Maxime fissò il televisore, continuando a scuotere la testa. “Non posso. Non me la sento.”

Dubarry si alzò in piedi. “Va bene. Si vesta, andiamo a parlarne in Commissariato.”

“No! Io sto ancora male, non posso uscire.”

“Non si preoccupi, la farò ricoverare in infermeria.”

“Sto male, devo telefonare a mio padre.”

“Lo faccia mentre io chiamo una delle nostre macchine.”

“Ma insomma, che cosa vuole da me? Non vede che sto male?”

Dubarry si chinò con il viso fino alla sua altezza. “Voglio sapere dove ha comprato la roba che avete fumato alla festa, e lo voglio sapere molto in fretta.” Mentre parlava, il centralino del Commissariato prese la chiamata e sentirono la voce di un agente, un po’ distorta dal telefono, che ripeteva pronto, pronto.

“Mi mandi una macchina in rue Francis Martin.”

“Commissario?”

“Sì, sono io. Mandate la macchina al 7.”

“No!” gridò Maxime.

Dubarry chiuse la telefonata. “Ne parliamo con calma in Commissariato. Tanto il Capodanno non lo avrebbe festeggiato comunque.”

“Non voglio venire!”

“Basterebbe rispondere alle mie domande. Perché non vuole dirmi dove ha comprato il fumo?”

“Perché non lo so!”

“Ragazzino, mi prendi per il culo?”

Maxime alzò gli occhi al soffitto. “Non l’ho comprato io, va bene?”

“Allora chi?”

“Non posso sputtanare un amico.”

“Ti converrebbe farlo, invece. Avrai qualche guaio in meno tu.”

Il ragazzo lo guardò con odio. Ma pensò per qualche secondo, poi fece un gesto fatalista. “Jean Bomel.”

“E voi l’avete ricomprato da lui?”

“Ma che domanda è? E’ stato un regalo, altri hanno portato una torta.”

 

Dubarry se ne andò appena arrivò Monier a raccogliere il verbale delle dichiarazioni di Maxime. A quel punto sapeva già che Jean era arrivato alla festa a mani vuote, perché quel pomeriggio lo spacciatore non si era fatto trovare. Verso le dieci Jean lo aveva raggiunto - Maxime negò di sapere dove - e dopo un po’ era tornato con il suo acquisto. Era solo qualche grammo e quelli fra i presenti che erano interessati si erano divisi qualche canna. Per quanto lo riguardava, Maxime aveva detto che era la prima volta che ci provava, e non gli era affatto piaciuto. Dubarry non si era sentito obbligato a crederci.

In ufficio, fece il numero di Charriaud. “Può parlare?” chiese.

“Sì, sono a casa.”

“Conosce uno spacciatore che si fa chiamare Dedé?”

“Sì, è un poveraccio. Credo che venga dal Mali. Perché?”

Dubarry gli spiegò la cosa. Charriaud gli riferì che Dedé spacciava in alcuni bar frequentati dagli studenti. Anche nel pub che aveva indicato Jean. Poi, che fosse stato al lavoro proprio la sera della festa di Maxime non lo si poteva sapere per certo, ma il Natale è il periodo d’oro del commercio, ed era Natale anche per gli spacciatori.

 

“E quindi?” chiese Claire. Dubarry le aveva telefonato per dirle che  la sua vaga idea di ritornare a Parigi per l’ultima notte dell’anno era naufragata.

“Lavorerai tutto il giorno?”

“Mah.. può darsi.”

In effetti nessuno dei due aveva mai pensato seriamente che lui avrebbe fatto un altro viaggio a Parigi a distanza di pochi giorni dal Natale, quindi non stettero a parlarne a lungo. Piuttosto, Claire voleva sapere se c’erano sviluppi nell’indagine sull’omicidio di Marion. Ovviamente se ne parlava anche sui giornali nazionali, anche se l’indisponibilità dei genitori di Marion ad esibire il loro dolore aveva stroncato sul nascere ogni tentativo di farne un argomento da talk show. Dubarry le disse che fino a quel momento, più che trovare degli indiziati, ne aveva esclusi.

Magari a Parigi ci sarebbe tornato dopo avere chiuso l’indagine. Rimandare non era un sacrificio. In quel momento, quello che rimpiangeva era di non poter vedere la faccia del Procuratore nel momento in cui gli sarebbe arrivata la comunicazione del rilascio di Jean. Non solo non era mai stato arrestato per l’omicidio della ragazza, ma addirittura se l’era cavata discretamente rispetto all’accusa di spaccio. Certo, il procedimento non sarebbe finito lì, ma alla fine le conseguenze sarebbero state minime. Una condanna con la condizionale e la non menzione, di cui il ragazzo si sarebbe dimenticato rapidamente. Chissà se lo avrebbe fatto anche il Procuratore.

Quando seppe la notizia, Benzekri allargò le braccia. “Allora aveva detto la verità.”

“In parte,” disse Dubarry.

Restavano le tracce di sangue sulla famosa giacca a vento, ma, dato che Jean sembrava proprio fuori dall’indagine sull’omicidio, non c’era nessuna scusa per farle analizzare. Anzi, ufficialmente non c’erano né tracce né giubbotto.

 

Era rimasto davanti al computer per alcune ore. A uno a uno, tutti i collaboratori si erano presentati nella sua stanza, accennando cautamente all’eventualità di andare a casa. Lui non si era opposto. Sottrarre qualche ora al lavoro nel pomeriggio dell’ultimo giorno dell’anno non era poi così grave, tanto più che non avevano nessun fermato da torchiare. Benzekri era stato l’ultimo ad entrare. Dubarry, vedendolo titubante, gli aveva detto che la facesse corta e se ne andasse.

Lui stesso non aveva veramente lavorato.

Su Google maps aveva cercato tutte le strade che arrivavano a Saint-Julien-en-Born da Bordeaux, anche alla fine di giri lunghi e illogici, ed aveva incrociato i loro numeri con quelli delle strade su cui qualche incauto Grange o Grangé o Lagrange aveva preso una multa nelle ultime cinque settimane. Non si sa mai che qualcosa fosse sfuggito al primo controllo. Non avrebbe voluto farlo sul computer del Commissariato, ma quella notte si era addormentato prima di riuscire a fare la ricerca, ed al risveglio non ne aveva più avuto il tempo. Comunque, le multe non gli dissero niente. Invece, il file con i dati degli ingressi in autostrada non lo aveva ancora ricevuto, quindi si doveva accontentare di quello che aveva.

Dopo un po’ si stufò e decise di andarsene.

Nell’atrio del Commissariato, davanti alle porte automatiche che scivolavano, aprendosi al centro, se lui si avvicinava anche solo di mezzo passo, esitò per qualche minuto, chiedendosi se l’idea di andare di persona a Saint-Julien fosse assurda, mentre il piantone lo fissava dalla guardiola senza parere. Il fatto che Dubarry, pur potendosene andare, restasse lì a non far niente, per giunta facendo scattare ripetutamente la fotocellula in modo che entrasse il freddo, doveva infastidirlo non poco.   

Alla fine, si decise ad uscire ed a salire in macchina. Decise che sì, l’idea di andare a Saint-Julien quella sera era assurda. Invece l’ultimo treno che gli avrebbe permesso di essere a Parigi ad un’ora sensata partiva verso le cinque e mezzo e sarebbe stato ancora in tempo per prenderlo, ma rimase seduto al volante, con il motore spento, per fare una telefonata. Il treno, sapeva benissimo che non l’avrebbe preso.

Le strade del centro si andavano svuotando in vista della lunga notte. I negozi chiudevano prima del solito, le compere erano finite, rimaneva in giro poca gente e si sentiva ogni tanto lo scoppio dei primi petardi, in anticipo di parecchie ore sulla mezzanotte.  Guidando lentamente, Dubarry riconobbe in tutto questo una riproduzione di quel senso di imminenza e di attesa di cui gli aveva parlato la sera prima la dottoressa Pillon. Lui però non se ne sentiva gratificato come lei. Semmai provava fastidio: non tanto a causa di quella sensazione, quanto per l’isteria che generava, inducendo la gente ad ampliare di anno in anno il limite di quello che era piacevole fare in occasione di una festa. Non preparare una cena ma preparare un banchetto, non andare ad una serata ma cercare la festa più affollata e rumorosa, non divertirsi fino a tardi ma rimanere aggrappati alla notte anche quando si è troppo stanchi per  riuscire a divertirsi ancora. Eppure la mezzanotte sarebbe arrivata come tutti i giorni, ed il giorno seguente sarebbe cominciato senza il minimo sussulto, anche se l’impercettibile passaggio sarebbe stato sottolineato con grida e mortaretti. Dal canto suo, sarebbe stato contento di rivedere il giorno, nell’alba tardiva del pieno inverno, sapendo che la follia era finita.

Da qualche parte sbagliò strada, come d’altronde gli capitava spesso per colpa del suo snobismo parigino:, trovava che Bordeaux, dove prima o poi si arrivava a destinazione comunque, fosse troppo piccola perché valesse la pena studiare i percorsi o i nomi delle strade. E poi c’erano Benzekri e gli altri agenti a guidare quando occorreva sbrigarsi. Così gli succedeva ancora, dopo più di un anno, di girare a vuoto come i turisti che bloccavano gli incroci cercando disperatamente di capire dove erano finiti. Adesso stava dirigendosi, a giudicare dai cartelli stradali, verso il nuovo stadio, benché all’inizio fosse stato convinto di andare nella direzione di quello vecchio, che era dalla parte opposta della città. Ma siccome non gliene importava niente, invece di cercare il punto buono per tornare indietro proseguì per inerzia lungo la serie dei viali che lo portò dai palazzi eleganti di Boulevard Pierre 1er ai centri commerciali ed ai motel appena fuori dagli svincoli, fino a passare accanto alla sagoma bianca e leggera del nuovo stadio, quella sera deserto, dopo avere imboccato una strada che prometteva di riportarlo verso il centro città per altre strade di capannoni, cespugli e prati abbandonati a se stessi. Anche se non sapeva esattamente dov’era, aveva idea che i Bassins non fossero molto lontani, ed infatti, facendo finalmente caso alle indicazioni stradali, arrivò presto ad una strada che costeggiava, da un lato, una banchina, e dall’altro il retro di una fila di capannoni bui, su cui si vedevano vecchie insegne di produttori di vele, rivenditori di motori per motoscafi e altri oggetti destinati alla navigazione. Dalla banchina partivano delle passerelle a cui erano ormeggiate le barche più piccole, e dalla strada si vedevano spuntare i loro alberi bianchi, come una foresta spoglia in mezzo all’acqua. Era lì che avevano trovato Marion. In fondo alla strada vide il McDonald’s che aveva notato il giorno del ritrovamento, in un piccolo edificio con una struttura a listelli di legno vagamente orientale, totalmente fuori posto in mezzo al cemento ed alle lamiere dei Bassins. Non c’era nessuno in giro, e Dubarry rallentò davanti alle vetrine per capire se il ristorante era aperto. Vide qualche luce bassa, il movimento di una persona all’interno, e parcheggiò nello spazio deserto davanti all’entrata. Si rifiutava di pensare che Monier e Benzekri, nelle notti passate a cercare tracce di Marion fra un chiosco e l’altro, potessero avere ignorato proprio il posto più ovvio, ma entrare non costava niente. In più aveva fame.

“L’ho vista solo sul giornale, poverina,” disse la donna alla cassa. Spero che troverete presto l’assassino.”

“Certo. Lei era di turno la notte della scomparsa?”

La donna scosse la testa. “Non lavoro di notte. Sono troppo vecchia,” aggiunse con una risatina. Dubarry la guardò meglio, doveva avere al massimo una quarantina d’anni. Ma in effetti non era poco rispetto alla media dei commessi dei McDonald’s. La donna chiamò il ragazzo che lavorava alla piastra, perché Dubarry potesse parlargli. Anche lui guardò attentamente la foto che il Commissario gli mostrava sul proprio cellulare.

“Effettivamente mi dice qualcosa,” disse. “Probabilmente l’ho vista, ma non saprei dire dove. Qui non credo, perché io sono sempre in cucina, non servo i clienti.”

“Si chiama Marion,” disse Dubarry, prevenendo la commessa, che stava per intervenire e probabilmente dire troppo.

Il ragazzo piegò gli angoli della bocca. “Il nome non mi dice niente, mi dispiace.”

A quel punto, tanto valeva parlare chiaro. Spiegò al giovane cuoco chi era la ragazza della foto. “Ah, ecco perché mi pareva di conoscerla! L’ho vista alla televisione, hanno parlato del suo caso.”

Dubarry rimise il cellulare in tasca. “Prima di me non era venuto nessuno della polizia a farvi vedere questa foto?”

La donna scosse la testa. Il ragazzo disse che qualche sera prima uno doveva essere passato, ma in quel momento lui era fuori a fumare e non l'aveva visto. Era stato l’altro cuoco a dirgli, quando era rientrato, di essere stato consultato dalla polizia.

Dubarry annuì, pensando a quanto fossero affidabili le ricerche a tappeto. “Qui fino a che ora siete aperti?”

“Stasera è un po’ particolare,” rispose la donna, accennando al locale vuoto. “Chiudiamo alle otto. Nessuno festeggia il capodanno al McDonald’s.”

“No, intendevo nei giorni normali.”

“Di solito siamo aperti fino alle dieci, dieci e mezzo. Anzi, sono aperti, perché io gliel’ho detto, di notte non ci sono.”

“Vale anche per la notte della scomparsa della ragazza, quindi.”

“Vale per tutte le notti.”

Dubarry se ne andò con il suo panino e un bicchiere di cocacola, che in macchina sistemò nell’incavo davanti al cambio.

Come un malfattore, per tornare in centro evitò la strada più grande ed ovvia, perché se uno della stradale lo avesse fermato in quel momento avrebbe trovato molto da ridire sul fatto che lui guidasse con la destra impegnata dal cibo o dal grande bicchiere di carta invece che dal volante o dal cambio, e così a lui sarebbe toccato estrarre il portafoglio con il tesserino della polizia, strizzargli l’occhio e lasciarlo lì, interdetto e scocciato. Quindi, volle evitarsi tutto quell’imbarazzo. E, come un malfattore ancora più incallito, quando ebbe finito di mangiare pensò di lanciare dal finestrino, fra i cespugli che costeggiavano lunghi tratti dei marciapiedi, la carta unta ed il bicchiere in cui era rimasto solo qualche cubetto di ghiaccio mezzo sciolto. In fondo, sarebbe stata solo un po’ di immondizia in più dove ce n’era già parecchia. Nella ricerca, inutile, di qualche traccia di Marion, i ragazzi avevano trovato almeno una decina di preservativi sul retro di un capannone - forse proprio sulla strada che Dubarry stava percorrendo. Nel parcheggio di un discount, invece, un mucchietto di siringhe, repertate senza un motivo, dato che Marion non era risultata drogata. Fra gli sterpi che crescevano fra i binari della linea in disuso che correva parallela al Bassin, un sacchetto di plastica pieno di lattine, giusto un po’ ammaccate ma intonse, e anche di queste non si capiva perché fossero state repertate. Dubarry sospettava che il sequestro delle birre non fosse tanto una manifestazione di zelo nelle ricerche, quanto il presupposto di una bevuta gratis. Tuttavia, quel sacchetto pieno di birre gli era rimasto impresso. In un primo momento aveva dato per scontato che lo avesse gettato dal finestrino qualcuno che aveva avvistato una pattuglia della stradale con le palette già brandite. Però, visto che le lattine erano chiuse, era una cautela superflua. E quindi non si capiva. Magari, qualcuno - una delle persone che passavano la notte facendo chissà che cosa fra i cantieri ed i capannoni di quelle strade senza qualità - aveva pensato bene di costituirsi una scorta, da sfruttare quando tutti i bar ed i negozi erano chiusi. In dicembre non c’era neanche bisogno del frigo. Poteva essere.

Dubarry si fermò sul lato della strada e cercò sul telefonino. Se il Commissariato funzionava, cosa non certissima, tutto quanto - verbali, foto, referti - doveva essere stato scannerizzato. Infatti trovò quello che cercava: il sacchetto delle birre era stato scovato dal solerte agente Antoine Girault, che aveva riportato nel verbale non solo il luogo del ritrovamento ma addirittura la marca delle birre, e, fortunatamente, anche il nome del minimarket scritto sulla ricevuta. Emessa la notte della morte di Marion, alle 12 meno un quarto.