XII
Anche se la mezzanotte era ampiamente passata, André non si stupì di dover riaccompagnare Dubarry in Commissariato e non a casa. D’altronde, anche lui non intendeva andare a dormire.
“Buona notte,” lo salutò Dubarry quando stava per scendere. “E buon anno,” aggiunse dopo un attimo, durante il quale si era chiesto se fosse opportuno, in quelle circostanze, fargli un augurio così spensierato e vacuo.
Ma lui sembrò sinceramente contento. “Anche a te, amico mio,” rispose tendendogli la mano. “Che tutto ti vada sempre meglio.”
Dubarry salutò il piantone e salì nella sua stanza.
“Buona sera, Commissario.” Benzekri si alzò in piedi. “Deve scusarmi, ma la mia sedia non può competere con la sua in fatto di comodità, e quindi mi sono permesso di aspettarla qui.” Gli indicò cerimoniosamente la poltrona dietro la scrivania. “Prego.”
“Va bene, ma perché mi aspettava?”
“Perché sono curioso. Vorrei sapere che cosa escogiterà Bomel. Soprattutto vorrei sapere se domattina avrò ancora un lavoro.”
“Come la fa tragica, Benzekri. Alla sua età dovrebbe essere un po’ più leggero.” Si lasciò andare sulla poltroncina lasciatagli libera dal ragazzo. “E adesso che cosa facciamo?”
“Aspettiamo, credo.”
Dubarry annuì. “Sono d’accordo.”
Adesso che era finita, si rendeva conto che era stata una giornata veramente strana. Aveva parlato a lungo di uno sconosciuto con uno sconosciuto, aveva arrestato uno che secondo lui non era colpevole, aveva raccolto lo sfogo di un amico confuso, aveva scoperto un indizio di cui non si poteva servire. Tutto considerato, avrebbe fatto fatica a considerarla una buona giornata. Eppure, dopo una buona cena e un buon caffè, più che infastidito al pensiero di avere sprecato tempo ed energie si sentiva curioso di quello che sarebbe successo nelle ore seguenti.
“Mi chiedevo…” cominciò Benzekri. “Se adesso il simpatico avvocato Roux bussa alla porta, spiegando che cazzo ha fatto il suo cliente quella notte, e non è ammazzare la ragazzina, noi che cosa facciamo?”
“Noi?”
“Lei.”
Dubarry si strinse nelle spalle. “Dipenderà da quello che ci viene a dire, no?”
“Certo,” ammise Benzekri. “In ogni caso, mi sa che credergli sarà un bel rischio.”
Dubarry fece un cenno di rassegnazione. Era sempre un rischio. Il suo mestiere era leggere fra le righe di quello che gli diceva la gente, e poi decidere a che cosa credere. Vero che avrebbe potuto lasciare che se ne occupassero i magistrati, che erano lì per quello. Non era suo compito prevenire i loro errori, per poi sentirsi dire che era presuntuoso, arrogante, invadente, insopportabile. Però non si era mai limitato a fare il suo dovere e non intendeva cominciare quella notte. Si chiese se potesse fare, in quelle poche ore che aveva a disposizione prima che il mattino gli imponesse di riprendere a comportarsi da poliziotto, qualche cosa di utile per prepararsi a decidere che cosa fare di Jean.
“Lei che è ben introdotto in polizia,” cominciò. Benzekri si mise a ridere. “E’ la verità. Conosce qualcuno alla scientifica?”
“Conosco Maillard.”
“Vede che non mi sbaglio. Lo conosce bene?”
“Insomma. Abbiamo fatto un corso insieme. Qualche volta è capitato che siamo andati a bere una birra.”
“Gli telefoni.”
“Sta scherzando? E’ quasi l’una.”
“Maillard fa il poliziotto, sa benissimo che nel suo mestiere non ci sono orari.”
Maillard abitava a Le Bouscat. Non aveva la macchina, così ad accompagnarlo dovette pensarci Benzekri. Seduto accanto a lui, sembrava molto interessato alla pioggia ed osservò che in moto si sarebbe inzuppato tutto.
“Dovresti accompagnarmi più spesso,” disse. Benzekri lo lasciò davanti al portone del laboratorio della scientifica, poi fece un paio di giri larghi intorno al palazzo, sentendosi più nervoso ad ogni metro, ed al terzo passaggio trovò Maillard fermo davanti al portone con una borsa a tracolla, e lo caricò di nuovo in macchina. Nel giro di un quarto d’ora erano di nuovo davanti alla palazzina a Le Bouscat.
Maillard lo fece entrare nel garage di casa e cominciò a trafficare, con aria assorta. Aveva in mano uno spruzzatore simile a quelli che Benzekri aveva sempre visto usare da sua madre quando si apprestava a stirare la biancheria, e lo scuoteva leggermente, con un movimento vagamente ipnotico. Prima di avvitare la parte superiore, aveva versato nel contenitore panciuto una soluzione di acqua ossigenata e di varie polverine, mentre Benzekri osservava ogni gesto trattenendo il fiato e maledicendosi per non avere scelto anche lui di specializzarsi in indagini scientifiche. Sarebbe bastato avere un po’ di voglia di studiare.
“Suppongo che questa cosa non sia regolare,” disse Maillard mentre continuava a scuotere lo spruzzatore.
Benzekri non rispose.
“Perché attardarsi a spiegare l’ovvio,” commentò Maillard. Cercò nella borsa che aveva portato dal laboratorio e diede a Benzekri una macchina fotografica, chiedendogli se la sapeva usare.
Il ragazzo la prese in mano con cautela. “Ma è nuovissima,” si sorprese.
“Che cosa ti aspettavi?”
“Non pensavo che avessimo roba così. Costa quasi duemila euro.”
“Esatto. In laboratorio ne abbiamo quattro.”
“Cazzo.”
Maillard attese con pazienza che Benzekri inquadrasse il manubrio di una bicicletta attraverso il mirino, e poi confrontasse l’immagine del mirino con quella che appariva sul piccolo schermo posteriore, e poi provasse anche la messa a fuoco manuale ed il grandangolo. “Gran macchina, eh?”
“L’hai già usata?”
“Hai letto di quella rapina che hanno fatto dieci giorni fa a Saint Medard en Jalles? Secondo te chi è andato a fare i rilievi?”
“Filma anche al buio?”
“Certo. Ha un sensore da paura.”
Benzekri annuì con ammirazione. Con strumenti del genere in mano, essere in polizia poteva essere, per una volta, motivo di grande orgoglio.
Maillard riprese in mano lo spruzzatore. “Quindi?”
“Quindi facciamo questa gran stronzata, e speriamo bene.”
Maillard gli indicò il tavolo da lavoro che aveva liberato dai suoi strumenti. Si capiva che doveva essere appassionato di meccanica.
Benzekri estrasse dalla propria borsa qualcosa di verde, che posò sul piano del tavolo. Distesa, risultò essere una giacca a vento.
“Dove sono le macchie?” chiese Maillard.
“Non ci sono macchie vere e proprie.”
“E’ stata lavata?”
“Non lo so.”
“Comunque non sembrerebbe,” osservò Maillard sollevando una manica e mostrando alcune striature quasi nere nella parte interna del gomito.
“Sì,” disse Benzekri. “Probabilmente è un po’ sporca.”
“Quindi?”
“Niente, è solo un tentativo. Proviamo con il davanti e le braccia.” A guardare bene, sulla giacca c’erano parecchi segni di sporcizia. Che era poi normale, pensando a quanti schizzi di fango, a quante gocce di caffè, a quante briciole unte potevano esserci finiti sopra. Per non parlare del sangue che può schizzare dalle ferite di una persona che viene picchiata.
“Lo sai che la prova si può fare una sola volta, vero? La luce blu non si vedrà più in nessun caso.”
“Non è un problema. Una volta che sapessi che c’è del sangue, farei analizzare tutte le macchie.”
Maillard riprese a scuotere lo spruzzatore. Fece un cenno con il mento per indicare all’altro di avviare la macchina fotografica.
“Un giorno mi spiegherai perché lo stiamo facendo? Un giorno qualunque prima di morire.”
“Può darsi.”
Benzekri impostò la macchina per filmare. “Va bene, così?”
“Sì.” Maillard spruzzò di liquido incolore il davanti della giacca a vento e spense la luce.
Attraverso le fessure della porta metallica, da cui il garage prendeva aria, entrava il chiarore mandato dal lampione più vicino. Non era gran cosa, ma via via che gli occhi si abituavano al buio sembrava diventare una luce accecante.
“Forse è meglio coprire le fessure,” disse Benzekri.
“Ma no. Non ce n’è bisogno.”
“E se non vediamo il blu?”
“Se c’è lo vediamo. Invece sarebbe carino se non si vedesse niente del mio garage e della mia faccia.”
“Tanto è buio.”
“Dico per quando riaccendiamo. Vorrei che fosse chiaro che io non sono qui in questo momento.”
“Non ci sei. C’è solo un coglione e non sei tu.”
“Sì, ma non qui. Neanche il coglione è qui.”
Benzekri cominciò a filmare. Non vedendo niente sullo schermo posteriore della macchina, alzò lo sguardo per controllare che cosa stava succedendo. Aveva dimenticato di chiedere quanto ci sarebbe voluto per vedere la luce blu, o per sapere che non l’avrebbero mai vista, e non voleva farlo mentre filmava. Se Maillard non voleva comparire, non vedeva perché lui avrebbe dovuto rendersi riconoscibile attraverso la voce. Che cosa ne faremo del filmato? aveva chiesto a Dubarry, e lui aveva alzato le spalle come faceva sempre quando non voleva dare spiegazioni, o non ne aveva. Quindi gli sembrava il caso di prendere tutte le precauzioni possibili perché fra lui e quel filmato non risultasse alcun nesso. Nel buio a cui ormai si era abituato intravvide Maillard, che effettivamente si comportava come se non fosse stato lì e guardava senza curiosità la giacca a vento, o almeno il punto del tavolo in cui sapeva di averla distesa. Spostò lo sguardo sullo schermo della macchina fotografica, poi guardò di nuovo la giacca con i suoi occhi.
Dubarry lo sapeva che non avrebbe potuto riposare, ma era ugualmente andato a casa appena dopo che Benzekri era uscito per incontrarsi con Maillard. Aveva bisogno del suo computer personale per fare una ricerca.
Inserendo Saint-Julien-en-Born come parola chiave imparò che il paese aveva 1.517 abitanti, un faro visitabile ed una spiaggia. Nei dintorni c’erano vari paesi, molti dei quali en-Born anche loro, qualche campeggio, qualche capanno evolutosi in alberghetto. Non gli veniva in mente una ragione per cui una persona potesse andare là durante l’inverno. Nelle cronache dell’ultimo mese, Saint-Julien compariva due volte, a causa di un incidente stradale con due morti, e di una bega che riguardava la mensa del liceo di un paese vicino, frequentato anche dai ragazzi di Saint-Julien. I morti nell’incidente erano stati identificati e sepolti, quindi da quella notizia non poteva venire niente per lui. La scuola e la sua mensa non gli interessavano minimamente. Le altre ricerche che aveva pensato di fare gli sfuggirono di mente mentre si addormentava scomodamente tutto di traverso su una poltrona, con le spalle appoggiate ad un bracciolo le gambe buttate sull’altro ed il computer in grembo in pericolo di cadere.
“Merda.”
Benzekri aveva telefonato poco prima delle tre, svegliandolo.
Dubarry lo ascoltò. Avere dormito scomodamente gli permise di essere subito sveglio. Sentì la pioggia che batteva sui vetri, riconobbe i rumori di un camion che passava a raccogliere la spazzatura. “Merda,” ripeté.
Non sapendo che cosa dire, Benzekri rimase in silenzio.
“Va bene, vediamoci in Commissariato fra mezz’ora,” disse Dubarry.
“Maillard ha detto che al Luminol reagiscono parecchie sostanze,” disse Benzekri appena entrò.
“Lo so.”
Benzekri gli ridiede le chiavi della macchina in cui avevano nascosto i vestiti prelevati a casa Bomel. La giacca a vento verde però era rimasta lì, piegata ed appoggiata ad una sedia.
“Che cosa ne facciamo, di questa?”
“Direi che sequestriamo tutto, no?”
“Sì, ma quando? Che data mettiamo sul verbale?”
“Non si preoccupi per queste cazzate. E’ ancora qui l’avvocato di Bomel?”
“Chiedo al piantone.”
“Dica che lo facciano venire da me con il suo cliente.”
Il piantone bussò e mise dentro la testa. Nonostante l’ora non aveva l’aria insonnolita o annoiata.
“Posso far passare le persone?” chiese, e Dubarry fece un cenno di assenso.
“Prego,” disse il piantone verso l’esterno, ed aprì del tutto la porta. Non guardò Jean, ma accompagnò l’ingresso dell’avvocato Roux con uno sguardo sprezzante. Se uno fa l’avvocato, che già non è un mestiere simpatico, almeno dovrebbe essere abbastanza furbo da non dover lavorare di notte come loro, che guadagnavano forse la decima o la ventesima parte di quello che guadagnava lui.
Dubarry fece cenno che l’avvocato e Jean si sedessero.
“Ha niente di nuovo da dirmi?” chiese a Jean.
Il ragazzo scosse la testa.
Indicò la giacca posata su una sedia vuota accanto alla scrivania.
“E’ sua, questa?”
Prima che Jean potesse rispondere, l’avvocato osservò che giacche come quella si trovavano in tutti i negozi, quindi non si poteva dire esattamente di chi era quella lì.
“La guardi da vicino, allora,” acconsentì Dubarry, porgendola a Jean.
Il ragazzo guardò superficialmente la giacca e disse che era sua.
“Sicuro?”
“Ma sì,” rispose lui, come infastidito.
Dubarry annuì e la rimise sulla spalliera della sedia. “La porta sempre, vero? Mi ha detto che lo aveva anche la sera della festa.”
“Di sicuro non l’ho tenuta addosso mentre ero in casa.”
“Ovviamente. Solo quando era fuori.”
“Certo.”
“Lo sa che su questa giacca ci sono macchie di sangue?”
“Sangue di chi?” chiese Jean, d’istinto, bruciando l’intervento dell’avvocato, che stava dicendo no, non lo sa.
“Dovrebbe rispondermi il suo cliente,” osservò Dubarry con un sorriso.
Jean guardò tutti e due e poi fece per parlare. Roux lo fece tacere con un gesto e si alzò in piedi.
“Prima deve parlare con me.”
Si alzò anche Dubarry. “Vi lascio soli.”
Roux si mise a ridere. “Non si offenda, ma preferisco una bella cella.”
“Non penserà che qui dentro ci siano dei microfoni.”
“Non si offenda,” ripeté l’avvocato.
“Non ci torno, in cella,” sbottò Jean.
“Ascolta,” cominciò Roux.
“Non ci torno e basta. E del sangue sulla giacca non ne so niente.”
“Nessuno può dire che lì c’è del sangue,” ripeté l’avvocato. Dubarry notò con un minimo di ammirazione che alle quattro del mattino, e con un cliente che non si lasciava aiutare, si ostinava a fare il suo lavoro puntigliosamente, come se non si rendesse conto dell’assurdità della situazione.
“E’ vostro diritto parlare in privato,” disse, come se non avesse neanche sentito i lamenti di Jean. “Ma, avvocato, prima mi lasci fare al suo cliente una domanda. Potrebbe anche servirle per la sua linea di difesa.”
L’avvocato si risedette. “Prego.”
“E’ stato lei a portare la droga alla festa?”
“Assolutamente no,” gridò Jean.
L’avvocato si alzò in piedi, prendendolo per un braccio. “Andiamo,” disse.
“Chi l’ha portata?” chiese Dubarry ignorandolo.
“Non lo so!” disse Jean.
L’avvocato gli diede una bella pacca sulla nuca. “Devi parlare con me, non con lui,” disse tirandolo nuovamente per il braccio. Jean lo assecondò, in preda alla confusione.
“Se è uscito per andare a comprare il fumo, penso che le convenga dirlo,” disse Dubarry ad alta voce, mentre i due erano già arrivati alla porta.
“Intanto ha ammesso che hanno fumato,” osservò Benzekri. Nel silenzio, la sua voce si tenne più bassa del solito.
Dubarry fece un cenno di assenso. “Non ha neanche detto che il sangue è suo.” Era quello che dicevano tutti, in questi casi.
Delle tracce, alcune erano sui polsi ed una sulla parte anteriore della giacca. “Non sono molto estese, le macchie,” aveva detto Benzekri, come per confortarlo, quando si era reso conto di non avere avuto successo dicendo che il luminol reagisce con altre sostanze oltre al sangue.
Ma che fossero macchie piccole era vero. Jean poteva essersi tagliato facendosi la barba, una delle poche mattine in cui si radeva, ed il taglietto poteva essersi riaperto durante il giorno. Poteva essersi ferito trafficando col motorino, graffiandosi con il gancio del bauletto mentre spingeva per schiacciarci dentro la giacca a vento prima di entrare a scuola. Poi magari si era distrattamente pulito la mano sulla stoffa lucida.
Però non lo aveva detto.
Rimasero a lungo ad aspettare che qualcosa succedesse. Ogni minuto che passava era un minuto di tempo in meno che avevano per concludere non troppo ingloriosamente quella faccenda. Liberare Jean all’alba, in silenzio, senza pubblicità, avrebbe salvato un ragazzo dalla rovina, ma avrebbe creato un sacco di problemi ad un Commissario ed avrebbe rovinato il capodanno a molta altra gente. Spedire Jean in carcere, offrendolo a tutta la Francia come stupratore assassino, forse avrebbe dato un po’ di pace ai genitori di Marion, ma forse avrebbe aggiunto orrore a orrore.
Dovendo passare il tempo in qualche modo, Dubarry aprì il fascicolo e si mise a leggere i rapporti sulle ricerche fatte nelle rosticcerie. Quello di Monier era lungo quattro pagine, quello di Benzekri non arrivava a finirne una.
“Non avevo niente da dire,” spiegò Benzekri quando il Commissario gli sventolò lo striminzito foglietto davanti agli occhi. “Scrivere di più era solo una perdita di tempo.”
Dato che la lettura gli aveva impegnato solo pochi secondi, Dubarry passò ad altro, e così rilesse il verbale delle dichiarazioni rese dai baristi dei locali sui Bassins, e poi quello delle ricerche fatte nei dintorni. Che avevano permesso di repertare una discreta quantità di preservativi usati e di sigarette fumate, più altri oggetti insensati - una sciarpa da uomo, un guanto da donna, un sacchetto di plastica di un minimarket con sei lattine di birra intatte - sprecando tempo degli agenti e soldi dei cittadini.
“Lei conosce qualcuno a Saint-Julien-en-Born?”
Benzekri stava per assopirsi e rialzò la testa di scatto. Però nel dormiveglia non aveva capito la domanda.
“Lei conosce qualcuno a Saint-Julien-en-Born?” ripeté Dubarry.
“Non so neanche bene dov’è. Perché me lo chiede?”
“Ho bisogno di qualcuno a cui chiedere un favore.”
“Vuole già prenotare le vacanze? E’ sul mare, no?”
“Pare di sì.”
Li interruppe un colpetto sulla porta. L’avvocato Roux la socchiuse.
“Dovrei parlarle, Commissario.”
“La aspettavo.”
Roux si sedette davanti a lui. “Ho bisogno del suo aiuto.”
Dubarry fece una risatina di gola. “Non mi sembra una buona cosa per lei.”
“Ma io di lei mi fido.”
“Grazie.”
L’uomo fece un respiro profondo. “Quello che sto per dire non viene da me. Il mio cliente mi ha imposto dei limiti precisi, sui quali non sono d’accordo. Gli ho spiegato quale linea sarebbe preferibile tenere ma non mi ha autorizzato a seguirla.”
“Avvocato, conosco a memoria tutte le scuse che voi adottate per pararvi il culo. Sono quasi le cinque del mattino, venga al sodo.”
Roux non si offese. “E’ uno strano ragazzo, prima ha pianto come un vitello per mezz’ora, poi si è un po’ calmato e ho cercato di farlo confidare, ma a quel punto ha cominciato a fare il duro.”
“Fanno tutti così.”
“Non tutti. Comunque, l’unica cosa che mi ha detto è che lui non vuole infamare nessuno.”
“Quindi se parlasse coinvolgerebbe qualcun altro.”
“Evidentemente.”
“Nel senso che sa chi ha ammazzato la ragazza e non lo vuole dire?”
“Questo proprio no,” disse seccamente l'avvocato. “Il punto è che l’omicidio non c’entra niente. Ci ha preso lei, Commissario, c’entrano le canne.” Lasciò che la notizia si assestasse nella stanza, anche se i due poliziotti non mostrarono di esserne molto colpiti. “Era una festa di ragazzini, che qualcuno si facesse una canna era praticamente scritto,” aggiunse.
“Quindi?”
“Quindi Jean è andato a comprarle. Non è stata un’idea sua, ma si è prestato per gentilezza.”
“Non perché sapeva dove andare ed a chi rivolgersi.”
Roux non rispose.
“Avvocato, lei non pensa che questo mi possa bastare, vero?”
“Quando le ho detto che la linea voluta dal mio cliente non corrisponde a quella che ho suggerito io, intendevo proprio questo.”
Dubarry si strinse nelle spalle.
“Il mio cliente è disposto ad ammettere di essere andato a comprare alcuni grammi di hashish, e di essersi poi fumato una canna.”
“E di avere spacciato agli amici quello che avanzava.”
“No, questo non l’ho detto.”
“Ha fumato solo lui,” disse Dubarry. “Gli altri lo guardavano con riprovazione.” Davanti al silenzio dell’avvocato scoppiò a ridere. “Ma se prima mi ha detto che Bomel è andato a comprare il fumo per fare un favore agli altri.”
“Non sarà mai scritto su un verbale.”
“Lo sa che ho dei testimoni che dicono che in casa c’era tanto fumo che si tagliava con il coltello?”
“Non so che cosa dirle, Commissario. Credo che comunque ci siamo capiti.”
Dubarry sospirò. “Ok. Il suo cliente vuole essere sentito?”
“Sì.”
Lo fecero passare da un corridoio interno. La madre era ancora lì fuori e Dubarry non aveva voglia di scene melodrammatiche in quel momento. Jean si sedette e raccontò la sua storia. Benzekri aveva tirato fuori la scatola di cioccolatini, così tutti ne mangiarono qualcuno.
“Pare che il cacao aiuti a stare svegli,” si giustificò l’avvocato scegliendo il secondo.
Dubarry fece del suo meglio per mostrarsi rilassato e confidenziale. “Senta, Jean.. Se vuole che io creda alla storia dell’acquisto notturno di hashish, bisogna che lei mi dica qualcosa di più.” E siccome il ragazzo stava cominciando a dire che se non gli credevano lui non sapeva che cosa farci, lo interruppe subito. “Dovrei almeno sapere dov’è andato, se qualcuno l’ha vista, se ha una qualche prova di quello che ha fatto.”
“Non è che gli spacciatori diano la ricevuta.”
“Sì, lo immaginavo. Ma magari mi può dire come si chiamano e dove lavorano.”
“No, io questo non lo faccio.”
“Lo fai sì,” intervenne Roux. “Ne abbiamo parlato prima, eravamo d’accordo.”
Jean scosse la testa due o tre volte, poi la stanchezza o la paura ebbero la meglio. Fece il nome di un pub, era sul lungofiume, precisò. Dubarry fece un cenno di assenso. Era uno di quelli che gli aveva indicato Charriaud.
“E l’uomo come si chiama?”
Jean cercò ancora di rifiutarsi, ma ormai il suo coraggio era andato. “Lo chiamano Dedé, credo che il nome completo sia diverso.”
“Perlomeno avrà un cognome.”
“Certo, ma non lo so.”
“Ottimo. E come faccio a sapere che lei è andato al pub proprio quella sera? Ha incontrato qualcuno? A parte Dedé, intendo.”
“No.”
“Ha preso una multa? L’ha fermata la polizia?”
“No, per fortuna.”
“Per sfortuna,” lo corresse l’avvocato.
“Allora le converrebbe che i suoi amici confermassero che lei è uscito per andare a rifornirsi ed è tornato dopo un po’ con la roba.”
Roux si inclinò leggermente verso Jean, dicendogli qualcosa a bassa voce. Jean ascoltò con aria assente. L’avvocato insisté e Jean finì per annuire. “Questo sì, forse,” disse.
“Ascolti, Commissario. Quella sera Jean ha fatto una bella cazzata, e adesso se ne è preso la responsabilità. Adesso che la verità è stata detta, i suoi amici non avranno più bisogno di proteggerlo e se lei li interroga di nuovo le diranno se lui è uscito e quanto tempo è rimasto fuori casa.”
“Lo vedremo. Il sangue sulla sua giacca a vento come c’è arrivato?”
“Non lo so. Può darsi che sia stato quando ho cambiato le candele alla moto. A un certo punto mi è partita la chiave inglese e mi sono fatto un taglio alla mano.” Si guardò le mani cercando la cicatrice e mostrò un segno quasi bianco fra il pollice e l’indice della sinistra. “E’ qui che mi sono tagliato.”
“Ok.” Dubarry si spinse indietro sulla poltrona e li guardò. “Se non ha dichiarazioni particolari da fare, per me basta così, per ora.”
“Nessuna altra dichiarazione,” disse l’avvocato.
Jean li guardò senza capire. “E io?”
“Lei adesso sta calmo e cerca di dormire un po’. Domattina vedremo se i suoi amici cambiano le loro dichiarazioni.”
“Ma posso andare a casa?”
Benzekri abbassò gli occhi. Dubarry e l’avvocato si guardarono chiedendosi silenziosamente chi glielo avrebbe detto.
“No,” disse Dubarry.
Jean picchiò un pugno sul tavolo e si girò verso l’avvocato, furibondo. “E allora perché cazzo mi hai detto di confessare?”