Spesso ho osservato che una nazione sceglie gli dei secondo la propria

natura. I filistei adorano Baal, e gettano i neonati vivi nella fornace ardente

della sua bocca. Le tribù nere dei cushiti venerano con i riti più bizzarri

mostri ed esseri infernali. Noi egizi adoriamo divinità giuste e benevole che

non pretendono certamente sacrifici umani. E gli hyksos hanno Sutekh.

A quanto pareva, i prigionieri di Remrem non erano i soli egizi traditori

che si spostavano con l'esercito nemico. Uno dei disertori, messo alla

tortura, aveva parlato di un grande nobile dell'Alto Egitto che faceva parte

del consiglio di guerra del re Salitis. Quando lo seppi, rammentai quanto mi

aveva sorpreso constatare che gli hyksos avevano dimostrato di conoscere

bene il nostro ordine di battaglia nella piana di Abnub. In quell'occasione

avevo intuito che fra loro doveva esserci una spia ben informata dei nostri

segreti.

Se ciò era vero, dovevamo aspettarci che il nemico conoscesse tutte le

nostre debolezze e i nostri punti di forza. Doveva conoscere i piani e le

difese delle nostre città, e soprattutto doveva sapere dei ricchissimi tesori

accumulati dal Faraone nel suo tempio funerario.

«Forse questo spiega la fretta con cui il re Salitis si spinge verso Tebe»,

dissi a Tanus. «Possiamo prevedere che tenteranno di attraversare il Nilo

alla prima occasione.»

Tanus imprecò con rabbia. «Se Horus è generoso, metterà nelle mie mani

il nobile traditore.» Si batté il pugno sul palmo dell'altra mano. «Dobbiamo

impedire a Salitis di attraversare il fiume. Le nostre navi costituiscono

l'unico vantaggio che abbiamo su di lui. Devo sfruttarlo al massimo.»

Si aggirò sul ponte e alzò gli occhi al cielo. «Quando tornerà a soffiare il

vento dal nord? A ogni sera che passa, i carri nemici ci distanziano sempre

di più. Dov'è la flotta di Nembet? Dobbiamo unire le nostre forze e tenere la

linea del fiume.»

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

351

Quel pomeriggio il consiglio di Stato dell'Alto Egitto si riunì davanti al

trono sulla poppa della nave reale. Il sommo sacerdote di Osiride

rappresentava il potere spirituale, il cancelliere Merseket quello temporale,

e il nobile Tanus Harrab l'autorità militare.

I tre dignitari innalzarono la regina Lostris sul trono dell'Egitto e le

misero il figlio sulle ginocchia.

Mentre tutti, a bordo, levavano la voce nel saluto reale, le altre navi della

flotta ci passarono accanto; i soldati feriti si trascinarono ai parapetti per

acclamare la nuova reggente e il giovane erede al trono del grande Egitto.

Il sommo sacerdote di Osiride legò la barba finta della regalità al mento

della mia padrona, anche se questo non sminuì affatto la sua bellezza e la

sua femminilità. Il nobile Merseket le legò intorno alla vita la coda di leone

e le posò sulla testa la corona doppia, rossa e bianca. Finalmente Tanus sali

sui gradini del trono per metterle nelle mani lo scettro uncinato e il flagello

d'oro.

In quel momento Memnone vide i giocattoli splendenti che Tanus stava

portando e tese le manine per afferrarli.

«È un vero re! Sa che lo scettro gli spetta di diritto!» esclamò con

orgoglio Tanus, e tutti applaudirono lietamente.

Credo che fosse la prima volta che qualcuno di noi rideva dopo la terribile

giornata sul campo di Abnub. Mi sembrò che fosse una liberazione e che

segnasse un nuovo inizio per noi tutti. Fino a quel momento eravamo

sopraffatti dal trauma della sconfitta e dalla morte del Faraone.

Ma ora, mentre i grandi potentati egizi andavano a inginocchiarsi a uno a

uno davanti al trono su cui sedeva l'incantevole regina con il figlio in

braccio, uno spirito nuovo ci pervase tutti, ci riscattò dall'apatia della

disperazione e fece rinascere la nostra volontà di resistere e di combattere.

Tanus fu l'ultimo a inginocchiarsi davanti al trono e a giurare fedeltà. La

regina lo guardava con un'espressione adorante che le illuminava il volto e

le faceva brillare gli occhi verdi come due soli. Mi sorprendeva che nessuno

dei presenti se ne accorgesse.

Quella sera, dopo il tramonto, la mia padrona mi mandò sul ponte della

nave reale con un messaggio per il comandante delle sue armate, e lo

convocò per un consiglio di guerra nella sua cabina. Questa volta Tanus non

rifiutò, perché aveva appena giurato di obbedirle.

Lo straordinario consiglio di guerra del quale fui l'unico testimone era

appena iniziato quando la nuova reggente dell'Egitto mi bandi dalla cabina e

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

352

mi mandò a sorvegliare la porta e a respingere tutti gli altri visitatori.

L'ultima volta che li vidi mentre tiravo la pesante tenda si stavano

abbracciando con slancio. Il loro desiderio era così grande ed era stato

frustrato per tanto tempo che si gettarono l'uno verso l'altra, più che come

amanti, come nemici irriducibili che si affrontano in un duello mortale.

I suoni felici della battaglia continuarono per quasi tutta la notte. Per me

era un sollievo che non fossimo all'ancora e risalissimo il fiume per

raggiungere il nobile Nembet. Il tonfo dei remi, il rullo del tamburo che

dava il ritmo alle vogate e i canti dei rematori riuscivano quasi a

sommergere il tumulto nella cabina reale.

Quando venne sul ponte di poppa al cambio della guardia, Tanus aveva

l'aria sorridente di un generale che ha appena conquistato una grande

vittoria. La mia padrona lo seguì poco più tardi: splendeva di una nuova,

eterea bellezza che mi sbalordì sebbene fossi abituato al suo incanto.

Per il resto della giornata si mostrò amabile e gentile con quanti le

stavano intorno, e trovò numerose occasioni per consultare il comandante. Il

principe Memnone e io trascorremmo così insieme gran parte del tempo,

una situazione gradita a entrambi.

Con la discutibile collaborazione del principino avevo già cominciato a

intagliare una serie di modellini di legno: e uno di questi era un carro a

cavalli. Un altro era una ruota montata su un asse, che usavo per fare

esperimenti.

Memnone si alzò in punta di piedi per guardare la ruota che girava sul

minuscolo mozzo.

«Un disco pieno è troppo pesante, non sei d'accordo? Guarda con quanta

rapidità perde velocità e rallenta.»

«Dammela!» ordinò, e cercò di afferrare il disco che volò via dalla sua

manina, cadde e si spezzò in quattro segmenti quasi eguali.

«Sei un cattivo hyksos», gli dissi in tono severo, anche se parve

interpretarlo come un complimento. M'inginocchiai per raccattare il mio

povero modellino.

I segmenti erano ancora disposti in una sagoma circolare, e prima che li

toccassi la vista mi giocò uno strano scherzo. Agli occhi della mente i pezzi

di legno diventarono spazi vuoti, gli intervalli apparvero solidi.

«Dolce soffio di Horus! Ci sei riuscito!» Lo abbracciai. «Un cerchione

sostenuto da raggi che partono dal mozzo. Quando sarai Faraone, quali altri

miracoli farai per noi?»

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

353

E così il principe Memnone, primo di questo nome, Sovrano dell'Aurora,

con un piccolo aiuto da parte di un amico inventò la ruota a raggi.

Non immaginavo, allora, che un giorno noi due saremmo andati insieme

incontro alla gloria su ruote come quella.

Prima di mezzogiorno trovammo il primo egizio morto. Galleggiava sul

fiume, sostenuto dal ventre gonfio, e la sua faccia guardava in cielo con

occhi ciechi. Un corvo nero gli stava appollaiato sul petto: gli strappò gli

occhi e rovesciò all'indietro la testa per inghiottirli uno dopo l'altro.

In silenzio ci affacciammo al parapetto e guardammo il morto che ci

passava accanto.

«Porta il gonnellino delle Guardie del Leone», disse Tanus a voce bassa.

«I Leoni sono l'avanguardia dell'esercito di Nembet. Prego Horus di non

vederne altri discendere il fiume.»

Ma li vedemmo. Altri dieci, e poi cento. Erano sempre di più. Alla fine la

superficie del fiume era coperta di cadaveri da una sponda all'altra. Erano

numerosi come le foglie dei giacinti d'acqua che durante l'estate intasano i

canali per l'irrigazione.

Finalmente ne trovai uno ancora vivo. Era un capitano delle Guardie del

Leone, facente parte degli ufficiali superiori di Nembet.

Era aggrappato a una stuoia di papiro che galleggiava nella corrente. Lo

ripescammo e io gli curai le ferite.

Una mazza di pietra gli aveva fracassato le ossa della spalla, e non

avrebbe più potuto usare il braccio.

Quando si fu ripreso quanto bastava per parlare, Tanus si accosciò

accanto al suo giaciglio.

«Che è accaduto al nobile Nembet?»

«Il nobile Nembet è stato ucciso con tutti i suoi ufficiali», rispose il

capitano con voce rauca.

«Non aveva ricevuto il dispaccio che lo avvertiva dell'arrivo degli

hyksos?»

«L'ha ricevuto alla vigilia della battaglia e ne ha riso.»

«Ha riso?» chiese Tanus. «Com'è possibile?»

«Ha detto che il Cucciolo... Perdonami, nobile Tanus, ma ti ha chiamato

così. Ha detto che il Cucciolo era stato annientato e che cercava di

mascherare la sua stupidità e la sua vigliaccheria con messaggi menzogneri.

Ha detto che avrebbe combattuto la battaglia nel modo classico.»

«Vecchio pazzo arrogante!» commentò Tanus. «Ma racconta il resto.»

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

354

«Il nobile Nembet ha spiegato le sue forze sulla riva orientale, con il

fiume alle spalle. I nemici sono piombati su di noi come il vento e ci hanno

buttati in acqua.»

«Quanti dei nostri si sono salvati?» chiese Tanus.

«Credo di essere l'unico sopravvissuto fra coloro che erano scesi a terra

con il nobile Nembet. Non ho visto altri superstiti. Il massacro sulla riva del

fiume è stato tale che non saprei neppure descriverlo.»

«Tutti i nostri reggimenti più famosi sono stati decimati», mormorò

mestamente Tanus. «Siamo rimasti senza altre difese che le navi. Che fine

ha fatto la flotta di Nembet? Era ancora al centro del fiume?»

«Il nobile Nembet aveva lasciato all'ancora la maggior parte delle navi,

ma ne aveva fatte tirare in secco cinquanta sulla riva alle nostre spalle.»

«Ma perché?» esclamò Tanus. «La sicurezza delle navi è il principio

fondamentale di tutti i nostri piani di battaglia!»

«Non so che cosa pensasse il nobile Nembet. Forse voleva averle a

portata di mano per far reimbarcare in fretta le truppe nell'eventualità che il

tuo avvertimento risultasse vero.»

«Che è accaduto alla flotta? Nembet ha perduto l'esercito ma ha salvato

almeno le navi?» La voce di Tanus fremeva di collera e d'angoscia.

«Molte che erano all'ancora al centro del fiume sono state affondate e

incendiate dagli equipaggi. Ho visto le fiamme e il fumo mentre la corrente

mi trasportava. Altre hanno tagliato i cavi delle ancore e sono fuggite a sud,

verso Tebe. Chiamavo a gran voce i marinai quando mi passavano accanto,

ma erano così atterriti che non si fermavano per raccogliermi.»

«E le cinquanta navi...?» Tanus s'interruppe e trasse un respiro profondo

prima di concludere la domanda. «Che fine ha fatto la squadra tirata in

secco sulla spiaggia?»

«È caduta nelle mani degli hyksos.» Il capitano rispose tremando, poiché

aveva paura della collera di Tanus. «Mi sono voltato a guardare e ho visto i

nemici sciamare a bordo delle navi.»

Tanus si alzò e andò a prua. Guardò verso monte, dove i cadaveri e il

fasciame bruciato delle navi di Nembet galleggiavano sull'acqua verde. Gli

andai accanto, pronto a placare la sua furia.

«Quel vecchio orgoglioso ha sacrificato la sua vita e quella di tutti i suoi

uomini, solo per dimostrarmi il suo disprezzo. Dovrebbero erigere una

piramide a ricordo della sua follia, perché l'Egitto non ne ha mai vista una

simile.»

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

355

«Non è stata interamente colpa della sua follia», mormorai, e Tanus

annui.

«No. Ha dato agli hyksos i mezzi per attraversare il fiume. Per il dolce

latte del seno di Iside, quando avranno passato il Nilo noi saremo veramente

finiti.»

Forse la dea senti pronunciare il suo nome, perché in quell'attimo il vento

che da tanto tempo ci soffiava in faccia cambiò direzione all'improvviso.

Anche Tanus se ne accorse. Si voltò e ruggì un ordine ai suoi ufficiali sul

ponte di poppa.

«Ora abbiamo il vento in favore. Date il segnale alla flotta: alzare tutte le

vele. Alternare i rematori ogni ora. Aumentare il ritmo della vogata.

Procedere verso sud alla massima velocità.»

Il vento continuò a spirare energicamente dal nord. Le nostre vele si

gonfiarono come ventri di donne gravide. I tamburi davano il ritmo ai

rematori, e la nostra flotta avanzava verso il sud.

«Ringraziamo tutti la dea che ci ha mandato questo vento», gridò Tanus.

«Divina Iside, fai che arriviamo in tempo per sorprenderli sull'acqua.» La

nave reale era lenta e poco manovrabile, e cominciò a restare nella retrovia

della flotta. Sembrava che il fato fosse intervenuto ancora una volta perché

la vecchia nave di Tanus cui era tanto affezionato, il Soffio di Horus, stava

navigando in formazione vicino a noi.

Aveva un nuovo comandante, ma era ancora un vascello temibile,

costruito per la velocità e per l'attacco. Dalla prua spuntava lo sperone di

bronzo, appena al di sopra della linea di galleggiamento.

Tanus ordinò di accostare alla nave reale, trasferì sul Soffio di Horus lo

stendardo dei suoi e prese personalmente il comando. Il mio posto sarebbe

stato a fianco della mia padrona e del principe. Non so come mi trovai a

bordo del Soffio di Horus accanto a Tanus, mentre risalivamo il fiume alla

massima velocità. A volte commetto follie quasi incredibili come quella di

cui aveva dato prova il nobile Nembet.

Ricordo soltanto che non appena la nave reale rimase indietro rispetto a

noi incominciai a pentirmi amaramente della mia impetuosità. Pensai di dire

a Tanus che avevo cambiato idea e di chiedergli di fermarsi per farmi

tornare a bordo della nave reale. Ma diedi un'occhiata alla sua espressione e

conclusi che avrei preferito incontrare di nuovo gli hyksos.

Tanus dava gli ordini dal ponte del Soffio di Horus; e a voce e per mezzo

delle bandiere questi ordini venivano trasmessi da un vascello all'altro.

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

356

Senza rallentare mai, Tanus spiegò la fiotta. Raccolse le navi più grandi

intorno alla sua mentre si portava alla testa della formazione.

I feriti e quelli che non erano in condizioni di combattere furono

trasbordati sui vascelli più lenti, che rimasero indietro con la nave reale.

Quelli più veloci all'avanguardia erano stati sgombrati e potevano entrare in

azione. Portavano quasi tutti a bordo le truppe fresche di Remrem che

avevamo liberato dall'assedio ad Asyut e che smaniavano di vendicarsi

degli hyksos.

Tanus issò lo stendardo del Coccodrillo Azzurro sull'albero maestro del

Soffio di Horus, e tutti lanciarono grida di battaglia: era riuscito a infondere

in loro uno spirito nuovo dopo la sanguinosa sconfitta.

I segni della catastrofe subita da Nembet diventavano sempre più evidenti

via via che avanzavamo. I cadaveri, i relitti e il ciarpame erano sparsi fra i

papiri sulle sponde del fiume. Finalmente vedemmo la polvere dei carri

mescolarsi al fumo dei fuochi da campo e salire al cielo davanti a noi.

«È come avevo sperato!» esultò Tanus. «Hanno interrotto l'avanzata

verso Tebe, ora che Nembet gli ha regalato i mezzi per attraversare il Nilo.

Ma non sono marinai e avranno difficoltà a imbarcare uomini e carri. Se

Horus sarà generoso, arriveremo in tempo per aiutarli.»

In ordine di battaglia sgranato superammo l'ultima, ampia ansa del fiume

e trovammo gli hyksos. Per una felice coincidenza eravamo arrivati

esattamente nel momento in cui erano impegnati nella traversata del fiume.

Attraverso il Nilo erano sparse le cinquanta navi catturate. Le vele e il

sartiame erano aggrovigliati e ogni rematore vogava a modo suo, le pale dei

remi sollevavano spruzzi e s'impigliavano. Ogni vascello si muoveva in

modo caotico, non in armonia con gli altri.

Vedemmo che quasi tutti gli hyksos sui ponti portavano le armature

bronzee. Evidentemente non avevano capito quanto fosse difficile nuotare

in quelle condizioni. Ci guardavano costernati mentre ci avvicinavamo:

finalmente i ruoli s'erano invertiti. Noi eravamo nel nostro elemento, e loro

erano in preda ai capricci del vento come una vela lacera.

Ebbi a disposizione qualche momento per studiare i nemici. Il grosso

dell'esercito era ancora sulla riva orientale. Stavano bivaccando ed erano

così numerosi che l'accampamento si estendeva fino ai piedi delle colline,

fin dove potevo giungere con lo sguardo dal ponte del Soffio di Horus.

Il re Salitis stava mandando oltre il fiume un contingente limitato, che

aveva senza dubbio l'ordine di scendere velocemente lungo la riva

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

357

occidentale e di impadronirsi del tempio funerario del Faraone Marnose

prima che noi potessimo portar via il tesoro.

Ci avvicinammo rapidamente al convoglio delle navi degli hyksos, e io

gridai a Tanus, fra il rullo dei tamburi e le urla feroci dei nostri: «Hanno già

portato i cavalli sull'altra sponda. Guarda!»

Protetta soltanto da poche guardie armate, c'era un'enorme mandria di

animali sulla riva occidentale. Calcolai che fossero centinaia: e anche da

quella distanza riuscivamo a scorgere le lunghe criniere fluenti e le code

agitate dal forte vento settentrionale. Era uno spettacolo inquietante. Alcuni

degli uomini che mi stavano intorno rabbrividivano e imprecavano con odio

e ribrezzo. Ne sentii uno borbottare:

«Gli hyksos nutrono i loro mostri di carne umana, come se fossero leoni o

sciacalli. È la vera ragione del massacro: hanno bisogno di cibo per

sfamarli. Chissà quanti nostri commilitoni sono già finiti nei loro ventri?»

Non potevo contraddirlo, anzi avevo la sgradevole sensazione che dicesse

la verità. Distolsi l'attenzione dai magnifici mostri sanguinari e la rivolsi alle

navi davanti a noi.

«Li abbiamo sorpresi mentre trasportano carri e uomini sull'altra riva»,

dissi a Tanus. I ponti dei vascelli tolti a Nembet erano carichi di carri e

materiali, e affollati di guerrieri.

Quando si resero conto della difficoltà della loro situazione, alcuni

tentarono di tornare indietro per rifugiarsi sulla riva orientale, si scontrarono

con le navi che li seguivano, rimasero incastrati e furono trascinati via dalla

corrente.

Tanus rise nel vedere quella confusione e gridò nel vento: «Segnale

generale: aumentare il ritmo alla velocità d'attacco. Accendere le frecce

incendiarie».

Gli hyksos non avevano mai subito un attacco di quel tipo, e al pensiero

di quanto stava per accadere risi anch'io, sebbene nervosamente. Poi

m'irrigidii e la mia risata si spezzò.

«Tanus!» Gli strinsi il braccio. «Guarda! Guarda la nave davanti a noi.

Là, a poppa! Ecco il traditore.»

Per un momento Tanus non riconobbe l'alta figura maestosa che stava

accanto al parapetto, perché portava la corazza a squame e l'elmo degli

hyksos. Poi proruppe in un urlo di collera e d'indignazione.

«Intef! Perché non avevamo intuito che era lui?»

«Ora capisco tutto. Ha guidato Salitis in Egitto. È andato in oriente e ha

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

358

tentato gli hyksos con le descrizioni dei nostri tesori.» Anch'io ero indignato

quanto Tanus.

Tanus tese l'arco Lanata e scagliò una freccia: la distanza però era troppo

grande e la punta rimbalzò contro la corazza di Intef. Lo vidi girare di scatto

la testa e guardare verso di noi. Ci riconobbe entrambi e per un momento

credetti di vedere la paura nei suoi occhi. Poi si chinò e scomparve dietro il

parapetto.

La nostra squadra all'avanguardia si avventò in mezzo alla confusione

delle navi avversarie. Con un suono lacerante lo sperone di bronzo colpi la

parte centrale del vascello di Intef. La violenza dell'urto fu tale che caddi.

Quando mi rialzai, i rematori stavano già vogando all'indietro, e con un

altro schianto del fasciame ci disincagliammo.

Nel contempo i nostri arcieri facevano piovere sulla nave nemica una

grandinata di frecce incendiarie. Intorno alle punte erano legati ciuffi di steli

di papiro intrisi di pece, che ardevano come comete, lasciando una scia di

scintille e di fumo mentre volavano nelle vele. Il vento dei nord alimentava

le fiamme che salivano guizzando sul sartiame con esuberanza diabolica.

L'acqua continuò a penetrare nello squarcio, e la nave s'inclinò

nettamente. Le vele presero fuoco e bruciarono con incredibile rapidità.

Nonostante la distanza, il calore era così intenso che mi bruciacchiò le

ciglia.

La grande vela maestra incendiata piombò sul ponte, imprigionando gli

uomini dell'equipaggio e i guidatori dei carri. Le urla ci trapassarono gli

orecchi quando il fuoco avvolse i capelli e gli indumenti. Io ricordavo la

piana di Abnub e non provavo alcuna pietà per loro mentre si gettavano in

acqua e venivano trascinati a fondo dal peso delle corazze. Soltanto un

gorgo increspato e qualche sbuffo di vapore segnavano il punto dove erano

scomparsi.

Lungo l'intera linea le navi degli hyksos bruciavano e colavano a picco. I

nostri nemici non avevano l'esperienza e l'abilità necessarie per

controbattere il nostro attacco, ed erano impotenti quanto lo eravamo stati

noi di fronte all'assalto dei carri. Le nostre navi indietreggiarono e

caricarono di nuovo, fracassando lo scafo delle loro e bersagliandole con

torrenti di frecce incendiarie.

Osservavo la prima nave che avevamo attaccato, nella speranza di

rivedere il nobile Intef. Era quasi affondata quand'egli ricomparve

all'improvviso. S'era liberato dell'elmo e della corazza di bronzo, e portava

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

359

un perizoma di lino. Si tenne agevolmente in equilibrio sul parapetto e poi,

quando le fiamme si tesero per avvilupparlo, giunse le mani sopra la testa e

si tuffò.

Era un figlio del Nilo e si trovava a suo agio in quelle acque. Risali in

superficie dopo un minuto, a cinquanta passi di distanza dal punto in cui

s'era immerso, con i lunghi capelli bagnati e incollati alla testa che lo

facevano somigliare a una lontra.

«Eccolo!» gridai a Tanus. «Travolgi quel maiale!»

Tanus diede subito l'ordine di far virare il Soffio di Horus, ma anche se il

timoniere obbedì con prontezza, la nave si girò lentamente. Intanto il nobile

Intef guizzava nell'acqua come un pesce, e si dirigeva verso la riva orientale

e la protezione dei suoi alleati.

«Forza!» Tanus diede un segnale ai rematori di babordo, che girarono la

prua. Appena fummo in linea con il fuggiasco, Tanus ordinò di remare tutti

insieme, e ci lanciammo all'inseguimento.

Ma ormai Intef ci aveva distanziati ed era vicino alla riva dove

cinquemila arcieri hyksos attendevano con gli archi tesi, pronti ad

assicurargli una copertura.

«Che Seth pisci su di loro!» urlò Tanus in tono di sfida. «Gli porteremo

via Intef da sotto il naso!» Fece puntare il Soffio di Horus verso di loro per

inseguire il nuotatore solitario.

Quando giungemmo a tiro, gli hyksos lanciarono una raffica di frecce che

oscurò il cielo. I dardi caddero intorno a noi in una nube sibilante. Erano

così fitti che si piantarono sul ponte, numerosi come le penne sull'ala di

un'oca. Alcuni rematori furono colpiti e caddero dai banchi contorcendosi e

perdendo sangue.

Ma eravamo ormai vicini a Intef. Girò la testa. Lessi sul suo volto il

terrore quando si rese conto di non poter sfuggire alla nostra prua appuntita.

Ignorai le frecce che cadevano e corsi a urlargli:

«Ti ho odiato dal primo giorno che ci siamo incontrati. Ho odiato ogni

contatto con te. Voglio vederti morire. Sei malvagio! Malvagio!»

Mi senti. Glielo lessi negli occhi. Poi le divinità tenebrose vennero di

nuovo in suo aiuto. Una delle navi degli hyksos che stavano affondando si

avvicinò a noi sprizzando fumo e fiamme. Se ci avesse toccati saremmo

andati a picco con lei in una torre di fuoco.

Tanus fu costretto a girare il timone e a segnalare con urgenza ai rematori

di indietreggiare. La nave incendiata passò fra noi e la riva e ci nascose

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

360

Intef; ma quando passò oltre, lo rividi. Tre robusti hyksos lo stavano

trascinando fuori dell'acqua, sulla riva scoscesa.

Si fermò sull'argine, si voltò a guardarci e quindi spari, mentre io tremavo

per la rabbia e la delusione.

Molti dei nostri uomini cadevano sotto le frecce, e perciò Tanus ordinò di

virare. Ci affrettammo quindi a partecipare alla distruzione dei pochi

vascelli nemici che erano ancora a galla.

Quando l'ultimo s'inclinò e si capovolse, le acque verdi del Nilo l'invasero

e spensero le fiamme in una nube sibilante di vapore. I nostri arcieri si

sporsero dalle fiancate e colpirono i pochi hyksos superstiti che si

dibattevano fiaccamente in acqua.

Appena si rese conto che erano tutti annegati, Tanus rivolse l'attenzione

alla riva occidentale dove stavano un piccolo gruppo di nemici e la mandria

di cavalli.

Mentre la nostra nave si avvicinava rapidamente alla riva, i mandriani

hyksos si diedero alla fuga, ma i nostri balzarono a terra con le spade in

pugno e li rincorsero. Gli hyksos erano abituati ad andare in battaglia sui

carri: i nostri erano fanti, allenati alla corsa, e isolarono e circondarono i

nemici come un branco di cani a caccia d'uno sciacallo. Li fecero a pezzi e

lasciarono cento cadaveri insanguinati sparsi sui campi verdi di durra.

Ero balzato a terra dietro la prima ondata delle nostre truppe. Avevo un

piano ben preciso. Non aveva senso realizzare modelli e progettare carri se

non c'era un modo per trainare le ruote a raggi che avevo visto con

l'immaginazione.

Era necessario un enorme atto di coraggio da parte mia per avviarmi

verso la mandria degli esseri terribili che gli hyksos avevano abbandonato

sulla riva. Ogni passo mi costava uno sforzo di volontà, perché erano

centinaia, chiaramente irrequieti e allarmati dalle grida e dal clangore delle

armi.

Ero certo che da un momento all'altro si sarebbero avventati contro di noi

come leoni feriti. L'idea che avrebbero ingurgitato brani ancora caldi del

mio corpo mi impedì di andare oltre. Mi fermai a una distanza di cento passi

e, impaurito e affascinato, guardai quei predatori selvaggi tenendomi pronto

a correre via e a mettermi al sicuro sulla nave al primo segno d'attacco.

Era la mia prima occasione per studiare quegli animali. Erano quasi tutti

bruni ma con sfumature diverse. Un paio erano neri come Seth. Erano alti

come uomini, con il petto poderoso e colli lunghi, arcuati ed eleganti. Le

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

361

criniere sembravano le chiome di una bella donna, e i manti brillavano al

sole come se fossero bruniti.

Uno dei più vicini a me rovesciò la testa all'indietro e aggricciò il labbro

superiore. Arretrai di scatto quando vidi i grossi denti quadrati. Scalciò con

le zampe posteriori ed emise un nitrito così terribile che girai su me stesso e

mi avviai velocemente verso la nave.

Il grido rauco d'uno dei nostri soldati arrestò la mia pavida ritirata:

«Uccidete i mostri degli hyksos!»

«Uccidete i mostri!» Gli altri ripresero il grido.

«No!» urlai, dimenticando i timori per la mia sicurezza. «No! Salvate i

cavalli! Ne abbiamo bisogno.»

La mia voce si perse nel rabbioso grido di guerra dei nostri soldati che si

avventarono verso la mandria di cavalli con gli scudi levati e le spade

ancora gocciolanti del sangue dei mandriani.

Alcuni si fermarono per incoccare le frecce agli archi e per tirare contro

gli animali.

«No!» urlai, mentre uno stallone nero s'impennava e nitriva

disperatamente, colpito da una freccia.

«No! Vi prego, no!» urlai di nuovo mentre un marinaio accorreva con una

scure da combattimento e recideva la giuntura della zampa d'una giovane

femmina che, storpiata dal colpo, non poté fuggire quando la scure la centrò

fra le orecchie e la fece stramazzare nella polvere.

«Lasciateli stare! Lasciateli stare!» implorai, ma le frecce abbatterono una

dozzina di quegli animali splendidi, e le spade e le scuri ne uccisero un'altra

dozzina prima che la mandria cedesse all'assalto e trecento cavalli si

lanciassero in massa al galoppo in direzione del deserto.

Mi schermai gli occhi per seguire la fuga, e mi sembrò che una parte del

mio cuore andasse con loro. Quando sparirono, accorsi per proteggere e

assistere gli animali che erano rimasti feriti e storpiati in mezzo ai papiri.

Ma i soldati mi avevano preceduto. Spinti dalla furia, si raccoglievano

intorno alle carogne e, in preda alla frenesia, affondavano le lame nella

carne inerte e facevano a pezzi le teste sfracellate.

Un po' in disparte c'era un gruppo isolato di papiri, dietro il quale,

nascosto alla vista dei soldati, stava lo stallone nero colpito per primo.

Avanzò barcollando, con la freccia piantata profondamente nel petto. Senza

pensare alla mia sicurezza, gli corsi incontro e mi fermai quando si voltò

verso di me.

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

362

Solo allora mi resi conto del pericolo. Era un animale ferito e, come un

leone nelle stesse condizioni, mi avrebbe senza dubbio caricato. Ci

guardammo, e io sentii la paura abbandonarmi.

Gli occhi erano grandi e pieni di sofferenza. Erano occhi miti e bellissimi,

e il mio cuore si gonfiò di pietà. Emise un suono debole e fremente e si

avvicinò zoppicando. Tesi la mano, gli toccai il muso, morbido come la seta

araba. Venne direttamente verso di me, e mi appoggiò la fronte al petto in

un gesto di fiducia e d'implorazione quasi umano. Capii che mi chiedeva

aiuto.

Istintivamente gli cinsi il collo con le braccia. In quel momento

desideravo soltanto salvarlo, ma dalle sue narici un filo di sangue mi colava

sul petto. Compresi che era stato colpito ai polmoni e stava per morire. Non

potevo aiutarlo.

«Povero caro, che cosa ti hanno fatto quegli stupidi ignoranti!» mormorai.

Vagamente, in quel momento d'angoscia, mi resi conto che la mia vita era

cambiata di nuovo, e che a cambiarla era stata quella creatura morente. Mi

sembrava di intuire che, negli anni futuri, dovunque avessi lasciato le mie

impronte in terra africana, accanto vi sarebbero state le orme degli zoccoli

d'un cavallo. Avevo trovato un altro grande amore destinato a riempire i

miei giorni.

Lo stallone emise di nuovo quel suono palpitante, e il suo respiro era

caldo contro la mia pelle. Poi gli si piegarono le gambe. Cadde

pesantemente sul fianco e giacque ansimando. Dalla ferita al petto usciva

una schiuma rossa. Mi inginocchiai accanto a lui, sollevai la nobile testa e

attesi fino a quando mori. Poi mi alzai e tornai al Soffio di Horus.

Era difficile vedere la strada perché ero accecato dalle lacrime roventi. Mi

rimproveravo d'essere uno sciocco sentimentale ma questo non serviva a

rianimarmi. Ero sempre vulnerabile di fronte alla sofferenza di un'altra

creatura, umana o no, specialmente quando era nobile e bella.

«Accidenti a te, Taita! Dov'eri finito?» inveì Tanus quando salii a bordo.

«C'è una battaglia in corso. L'esercito non può stare ad aspettare che finisca

con le tue fantasticherie.» Comunque, non mi aveva abbandonato.

Tanus non volle neppure ascoltarmi. M'interruppe con fare brusco quando

chiesi il permesso di inseguire la mandria di cavalli nel deserto e di portare

con me diversi uomini.

«Non voglio aver a che fare con quegli esseri immondi», gridò.

«Rimpiango che i miei li abbiano lasciati scappare invece di sterminarli

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

363

tutti. Speriamo che i leoni e gli sciacalli rimedino.» In quel momento

compresi che li odiava non meno di quanto facessero i bricconi più

ignoranti del suo reggimento.

«C'eri, tu, sulla piana di Abnub?» Di solito non mi impegolo in

discussioni accanite, ma la sua intransigenza mi fece infuriare. «Oppure

accanto a me c'era uno stupido? Non hai visto il futuro che ti caricava su

zoccoli e ruote e faceva a pezzi i tuoi uomini? Non capisci che senza carri e

cavalli tu e l'Egitto che conosciamo siete spacciati?» Questa discussione

amichevole si svolgeva sul ponte di poppa del Soffio di Horus.

I suoi ufficiali tacevano inorriditi nel sentire uno schiavo che trattava il

Grande Leone d'Egitto, comandante di tutte le armate, come se fosse un

imbecille. Ma io avevo perso la pazienza, e continuai di slancio. «Gli dei ti

hanno fatto questo dono meraviglioso. Trecento cavalli nelle tue mani! Ti

costruirò i carri. Sei cieco al punto di non capire?»

«Ho le mie navi!» ruggì Tanus. «Non ho bisogno di quelle immonde

bestie antropofaghe. Sono un'abominazione agli occhi degli uomini onesti e

degli dei benigni. Sono creature di Seth e Sutekh, e non voglio saperne.»

Mi resi conto troppo tardi di aver spinto Tanus in una posizione dalia

quale non poteva ritirarsi. Era un uomo intelligente... fino a che il suo

orgoglio non imbavagliava la ragione. Moderai i toni e continuai con voce

melliflua.

«Ti prego, Tanus, ascoltami. Ho tenuto fra le mani la testa d'uno di quegli

animali. Sono forti, ma stranamente gentili. Nei loro occhi brilla

l'intelligenza d'un cane fedele. E non sono carnivori.»

«E come hai potuto capirlo da un contatto così breve?» ringhiò Tanus,

ancora indignato.

«I denti», risposi. «Non hanno le zanne e neppure gli artigli dei carnivori.

I maiali sono gli unici animali con gli zoccoli che mangino la carne, e quelli

non sono maiali.»

Lo vidi esitare e lo incalzai. «Se questo non ti basta, guarda le provviste

che gli hyksos hanno trasportato oltre il fiume. Avrebbero bisogno di quella

montagna di foraggio per nutrire un branco di leoni carnivori?»

«Carne o foraggio, non voglio stare a discutere. Hai sentito la mia

decisione. Lasceremo che quei maledetti cavalli periscano nel deserto. È la

mia ultima parola.» Si allontanò rabbiosamente, ma io mormorai:

«L'ultima parola, eh? Vedremo».

C'erano ben poche occasioni in cui non potevo spuntarla con la mia

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

364

padrona, e adesso lei era la massima autorità dell'Egitto. Andai a trovarla

quella sera stessa non appena la nave reale tornò sotto la protezione dei

vascelli da guerra.

All'insaputa di Tanus le mostrai il modellino funzionante del carro

trainato dai minuscoli cavalli. La regina Lostris ne fu incantata.

Naturalmente non aveva visto gli squadroni dei carri da guerra alla carica, e

non provava per loro lo stesso odio del grosso dell'esercito.

Quando ebbi conquistato la sua attenzione con il modellino, le descrissi la

morte dello stallone con tale partecipazione che entrambi piangemmo. La

regina non riusciva a resistere alle mie lacrime, come io non resistevo alle

sue.

«Devi andare immediatamente nel deserto a salvare quegli animali

meravigliosi. E quando avrai tempo, ti ordino di creare uno squadrone di

carri per le mie armate», esclamò.

Se Tanus le avesse parlato prima che avessi la possibilità di convincerla,

non credo che avrebbe dato quell'ordine, e la storia del nostro mondo

sarebbe stata molto diversa. Cosi, Tanus s'infuriò per il mio raggiro, e per la

prima volta in tutti quegli anni arrivammo sull'orlo della rottura della nostra

amicizia.

Per fortuna la regina Lostris mi aveva ordinato di scendere a terra, e potei

sfuggire alla collera di Tanus. Avevo a disposizione poche ore per radunare

alcuni aiutanti, e il primo tra tutti era anche il più inverosimile.

Non avevo mai preso in simpatia Hui, l'Averla che avevamo catturato a

Gallala e che aveva comandato una delle navi affondate ad Abnub per

ordine di Tanus. Adesso era un capitano senza nave, e cercava una ragione

per tirare avanti. Venne a cercarmi appena si sparse la notizia della mia

missione.

«Che cosa sai dei cavalli?» mi chiese in tono di sfida. In quel momento

non ero preparato a rispondere alla domanda. «Evidentemente ne so meno

di te», ribattei per prudenza.

«Una volta ero mozzo di scuderia», si vantò Hui con la baldanza abituale.

«Sarebbe a dire?»

«Uno che cura i cavalli», rispose.

Lo fissai sbalordito. «E dove mai avevi visto i cavalli prima della

sanguinosa giornata di Abnub?» chiesi.

«Quand'ero piccolo i miei genitori furono uccisi e io fui catturato da una

tribù di barbari che vagavano nelle pianure orientali, un anno di viaggio al

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

365

di là del fiume Eufrate. Avevano i cavalli, e da bambino vivevo con quegli

ammali. Il latte delle giumente era il mio cibo, e dormivo sotto la pancia dei

cavalli per ripararmi, la notte, perché gli schiavi non potevano entrare nelle

tende. Quando fuggii, lo feci in groppa al mio stallone preferito. Mi portò

molto lontano, ma morì prima di arrivare all'Eufrate.»

Hui era con me quando una nave trasbordò sulla riva occidentale un

piccolo gruppo riluttante di cacciatori di cavalli. Ero riuscito a reclutare

appena sedici uomini, ed erano la feccia dell'esercito. Tanus aveva fatto in

modo che nessuno dei migliori mi accompagnasse. Non poteva contrastare

la volontà della reggente, ma mi rese difficile per quanto era possibile

l'esecuzione dell'ordine.

Seguendo il consiglio di Hui avevo equipaggiato i miei con leggere corde

di lino e sacchi di grano di durra macinato. Tutti, tranne me e Hui, erano

atterriti al solo pensiero degli animali che dovevamo inseguire. Quando mi

svegliai, la mattina dopo la prima notte di ricerche, mi accorsi che erano

spariti tutti. Non li rividi mai più.

«Dobbiamo tornare indietro!» esclamai disperato. «Da soli non possiamo

far nulla. Il nobile Tanus sarà soddisfatto: sapeva che sarebbe andata così.»

«Non sei solo», rispose allegramente Hui. «Ci sono io.» Per la prima

volta incominciai a provare un po' di simpatia per quel giovane

vanaglorioso. Ci dividemmo il carico di corde e di sacchi e proseguimmo.

Le tracce dei cavalli risalivano a tre giorni prima; ma erano rimasti uniti e

avevano aperto una specie di pista facile da seguire. Hui mi assicurò che

avevano un forte istinto di branco, e che con quei ricchi pascoli lungo il

fiume non potevano essersi allontanati molto. Era certo che non si fossero

addentrati nel deserto, contrariamente ai miei timori.

«Perché dovrebbero? Là non troverebbero né cibo né acqua.»

Risultò che aveva ragione.

Con l'arrivo degli hyksos, i contadini avevano abbandonato le fattorie e si

erano rifugiati nelle città murate. I campi erano incolti, e il grano cresciuto a

metà. Trovammo la mandria prima del mezzodì del secondo giorno. Era

sparsa in uno dei campi e pascolava pacificamente.

Nonostante la mia esperienza con lo stallone ferito, quelle creature

misteriose mi incutevano un certo nervosismo.

«Sarà difficile e pericoloso catturarne qualcuno», confidai a Hui per

chiedergli consiglio. Non avevo neppure pensato di poterli prendere tutti.

Mi sarei accontentato di venti, e sarei stato felice se fossero stati cinquanta.

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

366

Immaginavo che avremmo dovuto stenderli a terra a uno a uno e legarli

con le corde.

«Ho sentito dire che hai fama di essere uno schiavo molto intelligente.»

Hui sogghignò, fiero di saperne più di me. «Ma senza dubbio è una

reputazione infondata.»

Mi mostrò come dovevo usare le corde per intrecciare una cavezza. Ne

preparammo una dozzina prima che fosse soddisfatto.

Poi ci armammo con una cavezza e un sacco di grano macinato per

ciascuno e ci avviammo verso i cavalli al pascolo. Non ci muovemmo

direttamente verso di loro, ma procedemmo obliquamente a passo tranquillo

accanto agli animali ai margini del branco.

«Vai piano, ora», mi raccomandò Hui quando le bestie alzarono la testa e

ci scrutarono con quegli occhi stranamente franchi e quasi infantili che avrei

imparato a conoscere così bene.

«Siedi.» Ci lasciammo cadere fra il grano e restammo immobili fino a

quando i cavalli ripresero a pascolare. Poi avanzammo fino a che li

vedemmo diventare irrequieti.

«Giù!» ordinò Hui. E quando fummo accovacciati fra il grano continuò:

«Amano il suono d'una voce gentile. Quand'ero bambino cantavo per

calmare i miei cavalli. Stai a vedere!» Incominciò a cantare un ritornello in

una lingua che non conoscevo e che doveva essere quella dei suoi

catturatori.

La sua voce era melodiosa quanto il gracchiare dei corvi che si disputano

la carogna putrefatta d'un cane. I cavalli più vicini ci fissarono incuriositi.

Posai la mano sul braccio di Hui per farlo tacere. Ero certo che la

mandria, come me, giudicava sgradevoli i suoi tentativi canori.

«Lasciami provare», mormorai. E cantai la ninnananna che avevo

composto per il mio principe:

Dormi, Memnone, Sovrano dell'Aurora,

dormi, principino, tu dominerai il mondo.

Riposa la testolina ricciuta piena di sogni meravigliosi,

riposa le braccia che diventeranno forti per reggere arco e spada.

Una delle cavalle più vicine si accostò di qualche passo, e quando si

fermò emise dalle labbra quel suono sommesso e palpitante. Era incuriosita,

e io continuai a cantare dolcemente. Era seguita da un puledro,

un'incantevole bestiola baia con la testa graziosa e gli orecchi diritti.

Grazie al dono particolare che mi permette di comprendere gli animali,

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

367

incominciavo già a capire perché sarebbe stato utile allevare quegli esseri.

Imparavo in fretta e istintivamente a trattare con loro e non dovevo più

affidarmi del tutto alle istruzioni di Hui.

Continuai a cantare; presi una manciata di farina e la porsi alla cavalla.

Mi accorsi subito che era abituata a quei trattamenti e capiva la mia offerta.

Soffiò dalle narici e si accostò di qualche altro passo.

Ancora oggi ricordo il brivido che per poco non arrestò il battito del mio

cuore quando mosse l'ultimo passo e abbassò delicatamente la testa nella

mia mano per assaggiare la farina che le incipriò il muso. Risi per la gioia e

l'emozione nel vederla mangiare.

Non cercò di scostarsi quando le passai l'altro braccio intorno al collo al

quale appoggiai la guancia, per respirare l'odore strano e caldo della sua

pelle.

«La cavezza», mi rammentò sottovoce Hui. La infilai sopra la testa della

giumenta come lui mi aveva insegnato.

«È tua», disse Hui.

«E io sono suo», risposi senza riflettere. Ma era vero: c'eravamo

conquistati a vicenda.

Il resto della mandria aveva osservato la scena. Appena videro che avevo

messo la cavezza alla giumenta gli animali si acquietarono e lasciarono che

Hui e io ci aggirassimo fra loro. Venivano a mangiare nelle nostre mani,

lasciavano che gli esaminassi gli zoccoli e gli accarezzassi il collo e le

spalle.

Al momento mi sembrò un miracolo; ma dopo una certa riflessione

compresi che era del tutto naturale. Erano abituati fin dalla nascita a essere

curati e accarezzati, nutriti e imbrigliati. Erano sempre vissuti a stretto

contatto con gli uomini.

Il vero miracolo venne più tardi, quando mi accorsi che sapevano

riconoscere l'affetto ed erano capaci di ricambiarlo.

Hui aveva messo la cavezza a un'altra giumenta e nel frattempo non

aveva smesso di darmi spiegazioni e di dimostrarmi la sua conoscenza degli

equini. Io ero così euforico che per una volta la sua presunzione non

m'irritava.

«Bene», disse finalmente Hui. «Adesso gli monteremo in groppa!» Con il

mio più grande stupore appoggiò le mani sul dorso della sua cavalla, si

sollevò, le passò una gamba sopra la schiena e sedette a cavalcioni.

Lo fissai incredulo. Mi aspettavo che la cavalla reagisse con violenza,

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

368

s'impennasse e lo scagliasse a terra o almeno gli azzannasse la gamba con i

denti poderosi e lo buttasse giù. Ma non lo fece: rimase tranquilla,

dolcissima.

«Ehilà, bellezza mia!» esclamò il giovane, e le premette i calcagni contro

i fianchi. La giumenta si avviò e quando Hui la spronò di nuovo procedette

prima al trotto e poi al galoppo. Hui la guidava agevolmente, in un modo

che non riuscivo a capire. Animale e cavaliere compirono eleganti

evoluzioni sul prato, quindi tornarono verso di me.

«Su, Taita, prova a galoppare!»

Capivo che si aspettava un rifiuto: e questo mi indusse a vincere la

riluttanza. Non potevo permettere che il giovane insolente avesse la meglio.

Il mio primo tentativo di montare fallì, ma la giumenta restò tranquilla e

Hui rise. «Ha davvero molte cose da insegnarti. Dovresti chiamarla

Pazienza.»

Non mi sembrò molto spiritoso, ma il nome rimase: da quel giorno la

cavalla divenne Pazienza.

«Sollevati più in alto prima di girare la gamba, e stai attento a non

strizzarti le palle quando siedi», consigliò Hui, poi rise fragorosamente.

«Ah, di questo non devi preoccuparti. Credo che saresti felice di averne

ancora un paio, a costo di schiacciarle.»

Tutta la simpatia che cominciavo a provare per lui si dileguò dopo quella

battuta; mi buttai sulla groppa della cavalla e mi aggrappai al collo con

entrambe le mani per paura di finire sfracellato.

«Stai seduto eretto!» Hui incominciò a istruirmi e Pazienza collaborò con

la sua tollerante mitezza.

Mi sorprendevo a pensare a quegli animali in termini umani; ma nei

giorni seguenti, mentre procedevamo verso Tebe, scoprii che potevano

essere stupidi o intelligenti, sospettosi o fiduciosi, austeri o maliziosi,

amichevoli o scostanti, coraggiosi o pavidi, nervosi o flemmatici, tolleranti

o impazienti, prevedibili o bizzarri... insomma, più simili all'uomo per

temperamento di qualunque 'altro quadrupede. Più passavo il tempo a

lavorare con loro e più li amavo.

Procedevo in testa, in groppa a Pazienza, con il puledrino alle calcagna.

La mandria ci seguiva docilmente... tutti i trecentosedici cavalli. Hui veniva

alla retroguardia per raccogliere i ritardatari.

Via via che avanzavamo mi sentivo sempre più sicuro, e il rapporto fra

me e Pazienza si consolidò. La cavalla divenne un'estensione del mio corpo,

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

369

assai più veloce e più forte delle mie membra. Mi sembrava giusto e

naturale trovarmi su quella groppa robusta e mi sbalordivo perché

pochissimi altri erano disposti a dividere quell'esperienza.

Forse non era soltanto il terrore che aveva colpito i nostri soldati sulla piana

di Abnub, ma anche le parole e l'atteggiamento del nobile Tanus Harrab li

avevano influenzati. In ogni caso, non riuscii a trovare un egizio disposto a

montare in groppa a un cavallo, eccettuati Hui e, molto più tardi, il principe

Memnone. Naturalmente gli altri impararono a curare e allevare i cavalli.

Sotto la mia guida diventarono abili conduttori di carri, ma non vidi mai

uno di loro a cavallo.

Quando i carri ideati da me, con le ruote a raggi, travolsero ogni

resistenza e fecero dell'Egitto il trionfatore del creato, Tanus non segui il

nostro esempio, e non lo sentii mai esprimere un sentimento affettuoso per

gli ammali docili e coraggiosi che lo portavano in battaglia.

Anche molti anni dopo, quando i cavalli erano comunissimi in tutto il

regno, era considerato osceno e indecoroso montarli. Quando noi tre

passavamo a cavallo, molta gente comune sputava tre volte per terra e

faceva gli scongiuri contro il malocchio.

Tutto questo comunque apparteneva al futuro quando guidai la mia

mandria lungo la riva destra del fiume in direzione di Tebe. Fummo accolti

con gratitudine dalla mia padrona e con scarso entusiasmo dal comandante

in capo delle armate egizie.

Devo ammettere che il suo malumore aveva valide giustificazione. La

salvezza dello Stato era in pericolo. In tutta la storia egizia non c'era mai

stato un momento in cui la nostra civiltà fosse stata minacciata così

gravemente dai barbari.

Tebe era perduta, come tutta la riva orientale del fiume sino a Dendera.

Per nulla spaventato dalla sconfitta navale subìta a opera di Tanus, il re

Salitis aveva continuato con i carri e aveva circondato la grande città

murata.

Le mura avrebbero potuto resistere a un assedio decennale, ma purtroppo

in campo nemico c'era il nobile Intef. Venimmo a sapere che quando era

ancora gran visir dell'Alto Egitto aveva ordinato in segreto la costruzione di

un passaggio nascosto sotto la cinta muraria. Persino io, che conoscevo

quasi tutti gli altri suoi segreti, non ne avevo mai avuto il sospetto e, poiché

Intef aveva sterminato gli operai che avevano effettuato il lavoro, era

rimasto il solo a conoscerne l'esistenza.

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

370

Non so perché avesse fatto costruire la galleria: ma la sua mente tortuosa

era portata a quei sotterfugi. Il palazzo era pieno di botole e corridoi

nascosti, come la tana di una lepre o di una volpe del deserto.

Quando il nobile Intef gliene rivelò l'esistenza, il re Salitis mandò un

drappello dei suoi uomini migliori nel passaggio segreto; una volta

all'interno delle mura assalirono le ignare guardie egizie che sorvegliavano

le porte, le massacrarono e spalancarono i battenti. L'orda degli hyksos si

riversò nella città: così pochi giorni dopo l'inizio dell'assedio, Tebe fu

perduta e metà dei suoi abitanti vennero uccisi.

Dalla riva occidentale, dove Tanus aveva stabilito il suo quartier generale

nel palazzo incompiuto di Memnone, vedevamo bruciare i tetti degli edifici

oltre il fiume che gli hyksos avevano incendiato. Ogni giorno scorgevamo

le nubi di polvere sollevate dai loro carri mentre correvano avanti e indietro

sulla sponda opposta e lo scintillare delle lance sul pendio dove ci

preparavamo per la battaglia che sapevamo inevitabile.

Con la sua flotta decimata, Tanus era riuscito fino a quel momento a

tenere la linea del fiume, e durante la mia assenza aveva respinto un altro

tentativo che gli hyksos avevano compiuto per attraversare il Nilo in forze.

Le nostre difese erano piuttosto fragili perché dovevamo proteggere un

vasto tratto del fiume, mentre gli hyksos potevano attraversare dove

preferivano. Le nostre spie sulla sponda orientale ci comunicarono che

avevano requisito tutte le imbarcazioni, dalle chiatte ai barchini.

Avevano fatto prigionieri molti operai dei nostri cantieri e li avevano

costretti a lavorare. Potevamo essere certi che il nobile Intef li consigliava

in tutto, perché doveva essere ansioso quanto Salitis di mettere le mani sui

tesori del Faraone.

Gli equipaggi delle nostre navi erano sempre in armi, di giorno e di notte,

e Tanus dormiva quando poteva, cioè non molto spesso. La mia padrona e

io lo vedevamo poco; e quando lo vedevamo era sempre esausto e

impaziente.

Ogni notte arrivavano sulla riva occidentale molte centinaia di profughi di

tutte le età che attraversavano il Nilo con ogni tipo di zattere e di piccole

imbarcazioni. Molti dei più robusti passavano il fiume a nuoto. E tutti

desideravano disperatamente sfuggire agli hyksos.

Riferivano episodi atroci di rapine e saccheggi, ma ci davano anche

notizie aggiornate sui movimenti dei nemici.

Naturalmente li accoglievamo tutti, perché erano compatrioti: ma erano

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

371

così numerosi da intaccare le nostre risorse. I nostri granai più grandi erano

tutti a Tebe, e quasi tutte le mandrie di bovini e i greggi di pecore erano

caduti nelle mani degli hyksos. La regina Lostris mi affidò il compito di

raccogliere tutte le scorte di cereali e tutte le mandrie sulla riva occidentale.

Preparai gli elenchi per razionare carne e grano. Per fortuna era la

stagione dei datteri, e il fiume forniva pesce in abbondanza. Gli hyksos non

sarebbero riusciti a prenderci per fame.

La mia padrona mi aveva anche nominato comandante della reale

cavalleria. Non c'era concorrenza per quell'incarico, tanto più che non

comportava paga o privilegi. Nominai Hui mio vice; e per mezzo di

minacce, ricatti e corruzione riuscì a reclutare cento inservienti per aiutarlo

a curare i nostri cavalli. Avevamo deciso che più tardi li avremmo addestrati

come guidatori di carri.

Per me era difficile trovare ogni giorno il tempo di visitare le nostre

scuderie improvvisate nella necropoli. Pazienza mi correva sempre incontro

per salutarmi e io portavo focacce per lei e per il puledrino. Spesso riuscivo

a sottrarre il principe Memnone alla madre e alle governanti; lo issavo sulle

spalle e lo portavo nelle scuderie. Memnone strillava emozionatissimo

appena vedeva i cavalli.

Lo tenevo seduto davanti a me in groppa a Pazienza che galoppava lungo

la riva del fiume, e lui schioccava la lingua e muoveva il sederino per

imitare il modo in cui incitavo la giumenta. Facevo di tutto perché il nostro

percorso non incrociasse mai quello di Tanus. Non mi aveva ancora

perdonato e, se avesse visto il figlio in groppa a un odiato cavallo, sapevo

che se la sarebbe presa con me.

Passavo anche molto tempo nell'officina degli armaioli del tempio

funerario di Marnose, dove alcuni dei migliori artigiani del mondo mi

aiutarono a costruire il primo carro.

Mentre progettavo i veicoli, mi vennero in mente certi congegni destinati

a diventare la nostra prima linea difensiva contro i carri degli hyksos. Erano

semplici, lunghe aste di legno affilate alle due estremità e con le punte

indurite con il fuoco. Ognuno dei nostri fanti poteva portarne una decina

sulle spalle. Quando si avvicinava uno squadrone di cavalleria, le aste

venivano piantate obliquamente in terra, con le punte al livello del petto dei

cavalli. I nostri uomini si piazzavano dietro la barriera di lance e

scagliavano le frecce.

Quando diedi una dimostrazione a Tanus della mia invenzione, mi passò

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

372

un braccio intorno alle spalle per la prima volta da quando avevamo litigato

a causa dei cavalli.

«Bene», disse, «almeno non sei rimbambito.»

Capii che mi aveva perdonato almeno in parte.

Ma il terreno che avevo riguadagnato lo persi quasi completamente per la

questione del carro di Taita.

I miei artigiani e io avevamo ultimato il primo carro. Il parapetto e le

fiancate erano di bambù tagliato e lavorato come un cesto. L'asse era di

legno d'acacia, i mozzi di bronzo forgiato a mano e lubrificato con grasso di

montone, e le ruote a raggi erano cerchiate egualmente di bronzo. Il carro

era così leggero che due uomini potevano sollevarlo e portarlo sul terreno

accidentato dove i cavalli non avrebbero potuto trainarlo. Persino io mi

rendevo conto che era un capolavoro; e gli artigiani Io chiamarono carro di

Taita, un nome che accettai senza fare obiezioni.

Hui e io attaccammo due dei nostri cavalli migliori, Pazienza e Lama, e

andammo a fare una prima galoppata. Impiegammo un po' per imparare a

controllare il veicolo, ma ci riuscimmo piuttosto in fretta. I cavalli, che

erano abituati, ci mostravano come si doveva fare. Alla fine volavamo sul

terreno e compivamo curve molto strette senza rallentare.

Quando tornammo alle scuderie, emozionati e trionfanti, eravamo

convinti che il nostro carro fosse più veloce e maneggevole di quelli che gli

hyksos avrebbero inviato contro di noi.

Per dieci giorni continuammo a collaudare e a modificare la mia

invenzione e lavorammo alla luce delle lampade nell'armeria fino ai turni di

notte più avanzati; finalmente decisi che potevo mostrare a Tanus il

risultato.

Tanus arrivò imbronciato e riluttante, ed esitò a salire dietro di me sul

carro.

«Mi fido di questa tua trappola quanto mi fido dei mostri maledetti che la

trascinano», borbottò. Ma io insistetti, e alla fine sali sulla pedana e

partimmo.

Feci procedere i cavalli a un trotto tranquillo fino a quando sentii che

Tanus si rilassava e, suo malgrado, cominciava ad apprezzare quella corsa;

allora li lanciai al piccolo galoppo.

«Vedi com'è veloce? Puoi piombare sui nemici prima che se ne

accorgano», esclamai.

Rise per la prima volta, e mi sentii incoraggiato. «Con le tue navi domini

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

373

il fiume. Con questo carro dominerai la terraferma. Dominerai il mondo.

Nulla potrà opporsi a te.» Mi guardai dal criticare le sue amatissime navi e

dal fare paragoni poco lusinghieri

«È questa la velocità massima?» gridò Tanus, fra lo scalpitio degli

zoccoli. «Con un buon vento, il Soffio di Horus è più veloce.» Era una

menzogna e una sfida.

«Aggrappati alla fiancata e respira profondamente», gli dissi. «Ti porterò

dove volano le aquile.» E lanciai Pazienza e Lama.

Nessun uomo aveva mai viaggiato a una simile velocità. Il vento ci

bruciava gli occhi e le lacrime che ne sgorgavano venivano ributtate nei

capelli.

«Per il dolce respiro di Iside!» gridò emozionato Tanus. «È...» Non seppi

mai che cosa intendeva dire, perché non terminò la frase. In quell'istante

una delle ruote urtò contro una pietra, e il cerchione esplose.

Il carro si capovolse e Tanus e io fummo scagliati in aria. Ricaddi a terra

con una violenza che avrebbe potuto storpiarmi; ma non sentivo dolore

perché ero troppo preoccupato dal modo in cui Tanus avrebbe preso

l'incidente e avrebbe distrutto i miei sogni e i miei piani.

Mi rialzai e lo vidi strisciare sulle ginocchia sanguinanti venti passi più in

là. Era coperto di polvere e aveva metà faccia spellata. Cercò di conservare

la dignità mentre si rimetteva in piedi e tornava barcollando verso il carro

sfasciato, ma zoppicava vistosamente.

Per un lungo istante restò a fissare il rottame della mia creazione, quindi

proruppe in un muggito degno d'un toro ferito e gli sferrò un calcio così

potente da capovolgerlo di nuovo come se fosse un giocattolo.

Poi si voltò senza degnarmi di un'occhiata e si allontanò claudicando.

Non lo rividi per una settimana, e quando ci incontrammo nessuno dei due

parlò del carro.

Credo che l'incidente avrebbe potuto segnare la fine del progetto e che

non avremmo mai costituito il nostro primo squadrone, se in fatto di

ostinazione l'orgoglio della mia padrona non avesse superato persino quello

del suo amante.

Mi aveva dato un ordine e non intendeva ritirarlo. Quando Tanus cercò di

convincerla, riuscì soltanto a rafforzare la mia posizione. In tre giorni Hui e

io ricostruimmo il carro e ne fabbricammo un altro identico.

Prima che gli imbalsamatori della cappella funeraria avessero completato

i settanta giorni rituali per la mummificazione del re, noi avevamo a

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

374

disposizione il primo squadrone di cinquanta carri e avevamo addestrato i

guidatori.

Da quando eravamo tornati nel palazzo di Memnone, dopo la sconfitta

nella battaglia di Abnub, la mia padrona era stata molto occupata con gli

affari di Stato impostile dalla reggenza. Trascorreva molte ore con i ministri

e i consiglieri.

L'insegnamento che le avevo impartito nel palazzo di Elefantina

cominciava a dare i suoi frutti. Le avevo insegnato a destreggiarsi in modo

infallibile nei meandri del potere e dell'influenza. Aveva solo ventun anni;

ma era regina, e come tale governava.

Ogni tanto s'imbatteva in un problema che la angustiava o la sconcertava

in modo particolare, e mi convocava. Abbandonavo il lavoro nell'armeria o

alle scuderie o al piccolo scrittoio che mi aveva assegnato poco lontano

dalla sala delle udienze, e correvo da lei.

A volte passavo intere giornate seduto ai piedi del suo trono e la guidavo

nelle decisioni difficili. Ancora una volta la mia capacità di leggere le

labbra degli uomini senza udire le parole ci fu molto utile. Certi nobili, in

fondo alla sala, mentre tramavano o complottavano fra loro, non si

accorgevano che io stavo riferendo alla mia padrona le loro esatte parole. La

regina acquisi ben presto la fama di essere dotata di sagacia e prescienza.

Né lei né io avemmo grandi possibilità di riposarci in quei giorni bui e

preoccupanti.

Sebbene le giornate fossero molto piene, le notti erano lunghe. Gli

interminabili consigli di Stato e di guerra si protraevano fin dopo

mezzanotte. Appena veniva scongiurata una crisi, un'altra incombeva

davanti a noi. Ogni giorno gli hyksos ci minacciavano più direttamente, e si

indeboliva la tenuta della linea del fiume.

A poco a poco un senso di disperazione ci invase. Gii uomini sorridevano

poco e non ridevano mai. Persino i giochi dei bambini erano privi di

allegria. Bastava guardare oltre il fiume: il nemico era là e si preparava, e

ogni giorno diventava più forte.

Dopo settanta giorni, la mummificazione del Faraone venne completata. I

miei sforzi per conservare il corpo avevano avuto buon esito, e il gran

maestro della corporazione degli imbalsamatori mi aveva elogiato in

presenza della mia padrona.

Non aveva trovato tracce di putrefazione quando aveva tolto il cadavere

dalla giara per le olive; persino il fegato, la parte più soggetta alla

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

375

corruzione, s'era ben conservato.

Quando il re era stato deposto sulla lastra di diorite nella cappella

funeraria, il gran maestro aveva inserito il cucchiaio nelle narici e aveva

estratto il contenuto del cranio cui la salamoia aveva conferito la

consistenza del formaggio. Poi il re era stato immerso nel bagno di sali di

natron, dal quale emergeva soltanto la testa. Quando era stato estratto dal

bagno dopo trenta giorni tutti i tessuti grassi si erano disciolti e gli strati

esterni della pelle si erano staccati, eccettuati quelli della testa.

L'avevano deposto di nuovo sulla lastra di pietra screziata e avevano

raddrizzato lo scheletro in posizione distesa, l'avevano pulito e asciugato.

La cavità dello stomaco era stata riempita con tamponi di lino intrisi di

resina e cera, e poi suturata.

I visceri, intanto, erano stati asciugati, collocati nei canopi d'alabastro, e

sigillati. Durante i quaranta giorni successivi il corpo del re era rimasto a

prosciugarsi completamente. Le porte della cappella erano allineate nella

direzione dei venti caldi prevalenti che soffiava no sulla lastra funeraria. Al

termine del periodo rituale di settanta giorni, il corpo del Faraone era

asciutto come un fuscello di legna da ardere.

Le unghie, che erano state asportate prima d'immergere il corpo nel bagno

di natron, furono fissate alle dita delle mani e dei piedi con sottili fili d'oro.

Il primo strato di bende di puro lino bianco fu avvolto intorno al corpo in

modo che restassero scoperti soltanto la testa e il collo. La fasciatura era

meticolosa e complessa, con le bende che si sovrapponevano e si

incrociavano in motivi elaborati. Sui nodi furono collocati amuleti e

talismani d'oro e pietre preziose.

Le bende furono quindi intrise di lacche e resine che, asciugandosi,

assunsero la consistenza della pietra. Era venuto il momento della cerimonia

dell'Apertura della Bocca che, secondo la tradizione veniva compiuta dal

parente più stretto del Faraone. Memnone era troppo piccolo, quindi toccò

alla reggente.

La mia padrona e io ci recammo nella cappella prima dello spuntar del

sole. Il lenzuolo che copriva il re fu rimosso. La testa era meravigliosamente

conservata. Gli occhi erano chiusi, l'espressione serena. Gli imbalsamatori

gli avevano imbellettato e dipinto il viso: morto, aveva un aspetto migliore

di quanto avesse avuto in vita.

Mentre il sommo sacerdote di Ammon-Ra e il gran maestro della

corporazione degli imbalsamatori preparavano gli strumenti per la

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

376

cerimonia, salmodiammo l'Incantesimo per non morire per la seconda volta.

Egli è l'immagine riflessa e non lo specchio,

è la musica e non la lira,

è la pietra e non lo scalpello che le dà forma, egli vivrà per sempre,

non morirà per la seconda volta.

Il sommo sacerdote porse alla mia padrona il cucchiaio d'oro, la prese per

mano e la condusse alla lastra funeraria.

La regina Lostris si chinò sul Faraone e gli posò il cucchiaio della vita

sulle labbra dipinte.

Io apro le tue labbra perché tu possa di nuovo parlare, apro le tue narici

perché tu possa respirare.

Quindi toccò le palpebre del re con il cucchiaio.

Io apro i tuoi occhi perché possa vedere di nuovo lo splendore di questo

mondo e l'aldilà degli dei dove dimorerai da questo giorno.

Accostò il cucchiaio al petto bendato.

Io risveglio il tuo cuore perché tu possa vivere in eterno. Non morirai una

seconda volta. Tu vivrai per sempre!

Poi attendemmo mentre gli imbalsamatori avvolgevano le bende intorno

alla testa della mummia e la spennellavano di resina. Modellarono le bende

bagnate in modo che aderissero al volto e finalmente posero sulla faccia

fasciata la prima delie quattro maschere funerarie.

Era la maschera funeraria che avevo visto forgiare in oro puro. Da vivo, il

Faraone aveva posato per lo scultore e la maschera gli somigliava in modo

sorprendente. Gli occhi di cristallo di rocca e di ossidiana parevano

guardarmi con la vivacità e l'intelligenza possedute un tempo dal re. La testa

di cobra si ergeva regale e mistica dalla fronte aristocratica.

La mummia fu collocata nella bara interna d'oro; questa, una volta

sigillata, fu deposta nella seconda bara dorata con una maschera scolpita sul

coperchio. Metà del tesoro recuperato nel nascondiglio segreto del nobile

Intef era stata usata per realizzare quel peso enorme di metallo prezioso e di

gemme.

Le bare erano sette in tutto, incluso il massiccio sarcofago di pietra che

attendeva sulla slitta dorata, pronto per trasportare il Faraone lungo la strada

cerimoniale soprelevata fino alla tomba fra le colline. Ma la mia padrona

rifiutò di concedere la sua approvazione.

«Ho giurato. Non posso deporre mio marito in una tomba che potrebbe

essere saccheggiata dai barbari hyksos. Il Faraone giacerà qui fino a quando

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

377

non potrò mantenere la parola. Troverò una tomba sicura in cui potrà

giacere per l'eternità. Gli ho promesso che nessuno disturberà il suo riposo.»

Tre notti più tardi capimmo che la decisione della regina Lostris di

rimandare la sepoltura era molto saggia. Gli hyksos tentarono di attraversare

il fiume e Tanus riuscì a respingerli a stento. Compirono il tentativo in un

tratto non sorvegliato del fiume, un po' a nord di Esna. Fecero attraversare i

cavalli a nuoto, quindi li seguirono con una flotta di piccole imbarcazioni

che avevano trasportato da Tebe per via di terra per nasconderci la loro

intenzione.

Riuscirono a creare una testa di ponte sulla sponda occidentale ma Tanus

arrivò prima che potessero scaricare i carri e attaccare i cavalli. Distrusse le

barche con i carri ancora a bordo, e lasciò quasi tremila hyksos arenati sulla

nostra sponda. I loro cavalli si dispersero e fuggirono nella notte quando le

truppe di Tanus effettuarono la prima carica.

I nostri erano in condizioni di parità, ora che gli hyksos non avevano i

carri: ma i nemici, che non potevano fuggire, si batterono con estremo

accanimento. La consistenza numerica era quasi pari, perché Tanus era

riuscito a portare sul posto soltanto un reggimento: il resto del suo esercito

era sgranato lungo la riva occidentale. Il combattimento fu feroce e

sanguinoso e si svolse nell'oscurità, rischiarata soltanto dai vascelli che

Tanus aveva incendiato sulla spiaggia.

Per una strana coincidenza o forse per volontà degli dei, Hui e io

avevamo portato il nostro squadrone di cinquanta carri a Esna per un

addestramento. Per la verità ci eravamo allontanati tanto da Tebe soprattutto

per sottrarci alla disapprovazione e all'interferenza di Tanus.

Eravamo accampati nel bosco sacro di tamarindi accanto al tempio di

Horus a Esna. Ero esausto dopo una giornata trascorsa a galoppare e a

manovrare il carro a grande velocità. Al ritorno all'accampamento, Hui

aveva aperto un orcio di ottimo vino, e io avevo bevuto un po' troppo.

Dormivo come un macigno quando Hui entrò barcollando nella mia tenda

e mi svegliò.

«Si vedono i fuochi sulla riva del fiume, verso valle», mi disse. «E

quando gira il vento, si sentono le grida. Poco fa mi è parso di sentire l'inno

di battaglia degli Azzurri. Credo che sia in corso un combattimento.»

Mi reggevo anch'io a stento: reso temerario dal vino, gli gridai di

svegliare tutti e di attaccare i cavalli. Eravamo ancora inesperti, e perciò era

quasi l'alba prima che avessimo terminato.

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

378

Nel freddo della nebbia dell'alba, ci avviammo al trotto lungo la strada del

nord, affiancati a due a due.

Io guidavo il primo carro, mentre Hui comandava la retroguardia. I nostri

cinquanta carri erano stati ridotti a trenta dall'esercitazione del giorno prima,

perché non ero ancora riuscito a perfezionare le ruote a raggi, che avevano

l'allarmante tendenza a volare in pezzi alle velocità elevate, e quasi metà del

mio squadrone era fuori uso.

Il contatto del vento sul petto nudo mi faceva rabbrividire e attenuava la

spavalderia ispirata dal vino. Cominciavo ad augurarmi che Hui avesse

sbagliato, quando sentii all'improvviso il coro inconfondibile di grida e di

acclamazioni e il clangore del bronzo sul bronzo. Questo poteva significare

una cosa sola. Quando si odono una volta, non è facile dimenticare i rumori

di una battaglia.

La pista che stavamo seguendo lungo la riva del fiume svoltò verso

sinistra. Allo sbocco della curva vedemmo il campo di battaglia.

Il sole era appena spuntato all'orizzonte e aveva trasformato la superficie

del fiume in una brillante lamina di rame battuto che feriva gli occhi. Le

navi di Tanus erano a poca distanza dalla riva, per permettere agli arcieri di

tirare contro gli hyksos e per tagliare ogni tentativo di ritirata attraverso il

fiume.

Il reggimento nemico resisteva al centro d'un campo di grano verde che

arrivava al ginocchio. Gli uomini erano disposti in cerchio, spalla contro

spalla, con gli scudi accostati e le lance protese in avanti. Quando li

scorgemmo avevano appena respinto un altro tentativo di sfondamento. Il

reggimento egizio si stava ritirando per riorganizzarsi e aveva lasciato morti

e feriti sparsi intorno alla formazione difensiva nemica.

Non sono un soldato, anche se ho scritto diversi testi sul modo di

condurre la guerra. Il titolo di comandante della cavalleria reale mi era stato

imposto dalla regina nonostante la mia profonda riluttanza. Io avrei voluto

limitarmi a perfezionare il carro, addestrare il primo squadrone e affidarlo a

Hui o a qualcun altro più adatto a una professione tanto bellicosa.

Avevo freddo ed ero ancora ubriaco per metà quando sentii la mia voce

gridare l'ordine di schierarsi nella formazione a punta di freccia. Era

un'evoluzione che avevamo messo in pratica il giorno prima e i carri che

seguivano il mio si piazzarono, con ragionevole efficienza, nelle posizioni

volute.

Sentivo lo scalpitio degli zoccoli sulla terra soffice e il cigolio dei

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

379

finimenti, lo scricchiolio delle ruote che giravano sui mozzi bronzei e il

tintinnio delle frecce che gli uomini prendevano dalle faretre. Mi guardai

intorno e vidi il nostro squadrone disposto a punta di freccia, con il mio

carro all'apice. Era una formazione che avevo copiato dagli hyksos. Trassi

un respiro profondo.

«Squadrone, al galoppo!» gridai con la voce resa stridula dalla paura.

«Avanti!»

Mi bastò sollevare la mano sinistra che teneva le briglie, e Pazienza e

Lama si lanciarono. Per poco non venni sbalzato all'indietro, ma mi

aggrappai al parapetto con l'altra mano mentre puntavamo verso il cerchio

degli hyksos.

Il carro sobbalzava sulla terra smossa. Guardavo al di là dei quarti

posteriori dei miei cavalli e vidi la muraglia degli scudi scintillare

impenetrabile nel primo sole e farsi sempre più vicina.

Ai lati, i miei uomini gridavano per nascondere il terrore e io gridavo con

loro, come un cane al plenilunio. I cavalli sbuffavano e nitrivano.

All'improvviso Pazienza sollevò il lungo pennacchio della coda e cominciò

a scorreggiare al ritmo della corsa.

Mi sembrò incredibilmente buffo. Le mie urla di terrore si trasformarono

in risate. L'elmo che mi aveva prestato Hui era troppo grande per me: volò

via e il vento mi agitò i capelli.

Pazienza e Lama erano la pariglia più veloce dello squadrone e il nostro

carro stava distanziando il resto della formazione. Tentai di rallentare la

carica tirando le redini, ma Pazienza non volle saperne. Evidentemente era

eccitata e si divertiva. Raddrizzò il collo e continuò la corsa.

Passammo come folgori tra le linee dei fanti egizi che si ritiravano dopo

l'assalto fallito contro gli hyksos e che si disperdevano davanti a noi

guardandoci con il più grande sbalordimento.

«Avanti!» urlai ridendo. «Vi mostreremo la strada!» I fanti si fermarono,

poi ci seguirono in direzione dei nemico. Sentii i trombettieri suonare la

carica, e la voce dei corni sembrò spronare i nostri cavalli. A una certa

distanza, sulla destra, vidi lo stendardo di Tanus che sventolava e riconobbi

il suo elmo crestato che spiccava in mezzo alla folla dei suoi soldati.

«Che ne pensi adesso, dei miei mostri maledetti?» gli gridai mentre lo

superavamo, e Pazienza scorreggiò di nuovo strappandomi altre risate

nervose.

Il carro alla mia sinistra era quasi affiancato al mio. Poi una delle ruote

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

380

cedette e lo fece volare via. Gli uomini furono scagliati a terra, i cavalli

caddero nitrendo come disperati. Noi continuammo la corsa.

La prima fila dei nemici era ormai così vicina che potevo vederne gli

occhi al di sopra degli scudi. Le frecce mi fischiavano intorno agli orecchi.

Distinguevo chiaramente le figure dei mostri e dei demoni scolpiti sugli alti

elmi di metallo, vedevo le gocce di sudore brillare nelle barbe intrecciate e

ornate di nastri, sentivo il loro grido di guerra... E poi li investimmo.

I miei cavalli balzarono contro la barriera di scudi che s'infranse sotto la

furia della nostra carica. Vidi un uomo scagliato in aria, e sentii le sue ossa

scricchiolare come legna da ardere gettata nel fuoco. Dietro di me, il mio

compagno stava dando un'ottima prova. L'avevo scelto perché era il

migliore fra le reclute, e adesso stava ben saldo e scagliava un dardo dopo

l'altro.

I carri che ci seguivano si avventarono nella breccia aperta da noi. Non

frenammo ma continuammo la corsa, sfondando il cerchio degli hyksos

dalla parte opposta. Quindi invertimmo la direzione in gruppi di tre e

tornammo all'attacco.

Tanus approfittò del momento e scagliò la fanteria nel varco. La

formazione nemica si frantumò in gruppetti disorganizzati che a loro volta

si disgregarono. In preda al panico, gli hyksos fuggirono verso il fiume. Nel

momento in cui arrivarono a tiro, gli arcieri schierati sui ponti delle nostre

navi cominciarono a scagliare nugoli di frecce.

Davanti a me c'era un gruppo isolato di guerrieri hyksos che

continuavano a battersi schiena contro schiena e riuscivano a tenere i nostri

a distanza. Feci girare il carro e mi avventai al gran galoppo.

Ma prima che li raggiungessi la ruota destra si spaccò, il guscio leggero

del carro si capovolse e io volai nell'aria, poi piombai a terra con un tonfo

che mi squassò le viscere. Battei la testa. I miei occhi si riempirono di stelle

e meteore luminose. Poi vi fu solo l'oscurità.

Rinvenni sotto un tendone, a bordo dell'ammiraglia di Tanus. Giacevo su

un giaciglio di pelle di pecora e Tanus stava chino su di me. Quando si

accorse che avevo ripreso i sensi nascose l'espressione preoccupata che gli

contraeva il viso.

«Vecchio pazzo», disse con un gran sorriso. «In nome di Horus, perché

ridevi tanto?»

Cercai di sollevarmi a sedere, ma la testa mi doleva orribilmente. Gemetti

e gli strinsi il braccio quando ricordai l'accaduto.

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

381

«Tanus. I cavalli che i nemici hanno fatto attraversare a nuoto questa

notte. Mi servono.»

«Non preoccuparti. Ho già mandato Hui a prenderli», mi assicurò Tanus.

«Se voglio avere cento dei tuoi trabiccoli per la mia divisione di carri, avrò

bisogno di mille mostri maledetti che li tirino. Comunque, le tue ruote

nuove sono più pericolose d'un reggimento di hyksos. Non salirò più su un

carro con te fino a che non avrai trovato una soluzione.»

Per un momento non compresi: poi mi resi conto di quanto era successo.

Tanus aveva represso l'orgoglio e aveva ceduto. Finalmente il mio

squadrone avrebbe fatto parte dell'esercito regolare, e Tanus mi avrebbe

dato gli uomini e l'oro necessari per costruire altri cinquecento veicoli. E

sarebbe salito ancora su un carro assieme a me, se fossi riuscito a risolvere

il problema delle ruote.

Ma ciò che mi colmava maggiormente di gioia era il fatto che mi aveva

perdonato e che eravamo di nuovo amici.

Il successo dei miei carri a Esna e il senso di fiducia che ispirò a noi tutti

ebbero breve durata. In segreto, avevo temuto ciò che stava per accadere.

Era la mossa più logica da parte dei nemici: Salitis e il nobile Intef

avrebbero dovuto compierla molto prima.

Sapevamo che, mentre attraversava il Basso Egitto, Salitis aveva catturato

quasi tutta la flotta del Pretendente Rosso. Le navi erano abbandonate nei

porti di Menfi e di Tanis, nel Delta. Comunque dovevano esserci molti egizi

rinnegati della marina dell'Usurpatore a disposizione di Salitis; e anche se

non fosse stato così, avrebbe avuto la possibilità di reclutare marinai siriani

mercenari a Gaza e loppa e negli altri porti della costa orientale del grande

mare, in numero sufficiente per formare gli equipaggi di centinaia di

vascelli.

Avevo immaginato che potesse accadere, ma mi ero astenuto

dall'avvertire Tanus e la regina perché non volevo aggravare l'atmosfera

opprimente e accentuare l'avvilimento dei nostri. Avevo frugato nel mio

cuore in cerca d'un sistema per contrastare tale mossa quando Salitis e Intef

l'avrebbero compiuta, ma non avevo trovato nulla. Quindi, dato che ero

nell'impossibilità di scongiurarli, avevo pensato fosse meglio tenere per me

quei timori.

Quando alla fine l'evento temuto si verificò e le nostre spie sulla riva

orientale del fiume di fronte ad Asyut ci segnalarono che stava per arrivare

la flotta del Delta, Tanus prese il comando delle sue navi e si diresse verso

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

382

nord per incontrarla. La sua era superiore in tutto a quella messa insieme da

Salitis e Intef; ma la battaglia durò quasi una settimana prima che Tanus

riuscisse a distruggere le forze nemiche o a costringerle a ritornare nel

Delta.

Salitis, tuttavia, aveva portato i suoi vascelli da trasporto dietro

l'avanguardia delle navi da guerra, e mentre infuriava ancora la battaglia sul

fiume riuscì a imbarcare quasi due reggimenti completi con carri e cavalli e

a traghettarli sulla nostra sponda del fiume senza che i nostri potessero

raggiungerli.

reggimenti comprendevano quasi trecento carri da guerra veloci, i

contingenti scelti che il re hyksos comandava personalmente. Era

finalmente riuscito ad aggirarci, e nulla poteva fermarlo mentre i carri

sfrecciavano verso il sud.

massimo che potevano fare le nostre navi da guerra era tentare di reggere

l'andatura della nube di polvere che le sue truppe sollevavano mentre

correvano verso il tempio funerario di Marnose e i relativi tesori.

La regina Lostris convocò il consiglio di guerra quando la notizia che gli

hyksos avevano attraversato il fiume arrivò al palazzo di Memnone. Rivolse

la prima domanda a Tanus:

«Ora che ha passato il fiume, puoi fermare il barbaro?» «Forse potrò

rallentare la sua avanzata», rispose con franchezza Tanus. «Abbiamo

imparato molte cose; possiamo attenderlo dietro mura di pietra o dietro le

barriere di pali appuntiti che ci ha fornito Taita. Ma Salitis non ha bisogno

di dare battaglia. I suoi carri sono così veloci che può aggirare le nostre

posizioni come ha fatto ad Asyut. No, non posso fermarlo.»

La regina mi guardò. «Taita, e i tuoi carri? Non possono combattere gli

hyksos?»

«Maestà, ho quaranta carri e posso lanciarli contro i nemici. Gli hyksos

ne hanno trecento. I miei sono più veloci, ma gli uomini non sono

abbastanza addestrati. Poi c'è il problema delle ruote. Non le ho

perfezionate. Salitis ci annienterà molto facilmente. Se avrò a disposizione

tempo e materiale, potrò costruire carri nuovi e più efficienti, con ruote che

non vadano in pezzi. Ma non posso rimpiazzare i cavalli. Non possiamo

metterli in pericolo. Sono la nostra unica speranza per una vittoria finale.»

Mentre stavamo discutendo arrivò un altro messaggero, questa volta dal

sud. S'era lasciato trasportare dalla corrente e dal vento, e le notizie che

recava risalivano appena a un giorno prima.

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

383

Tanus ordinò di farlo entrare, e il messaggero si gettò in ginocchio

davanti alla regina Lostris.

«Parla», lo invitò Tanus. «Che cos'hai da dirci?»

Il messaggero balbettò, spaventato. «Divina maestà, mentre la nostra

flotta era impegnata ad Asyut, i barbari hanno compiuto un'altra traversata a

Esna. Hanno fatto passare i cavalli a nuoto, come la volta precedente: ma

non c'erano le nostre navi a bloccare le loro imbarcazioni. I reggimenti

hyksos sono passati. Ora vengono verso di noi in una nube di polvere,

veloci come rondini in volo. Saranno qui entro tre giorni.»

Nessuno di noi parlò fino a che Tanus non ebbe mandato via l'uomo con

l'ordine di sfamarlo e assisterlo. Il messaggero, che si era aspettato di venire

ucciso, baciò i sandali della regina Lostris.

Quando rimanemmo soli, Tanus disse a voce bassa: «Salitis ha quattro

reggimenti al di là del fiume. Seicento carri. È finita».

«No!» La voce della mia padrona vibrava. «Gli dei non possono

abbandonare l'Egitto in questo momento. La nostra civiltà non può perire.

Abbiamo troppo da dare al mondo.»

«Posso continuare a combattere, naturalmente», dichiarò Tanus. «Ma non

cambierà nulla. Non possiamo vincere contro i carri.»

La mia padrona si rivolse a me. «Taita, prima non te l'avevo chiesto

perché so quanto ti costa. Ma ora devo farlo prima di prendere la decisione

finale. Ti prego di percorrere i Labirinti di Ammon-Ra. Devo sapere che

cosa vogliono da noi gli dei.» Chinai la testa e bisbigliai: «Vado a prendere

la cassetta».

Per la divinazione scelsi il santuario interno di Horus nel palazzo

incompiuto di Memnone. Il sacrario non era stato ancora dedicato al dio, la

sua statua non era ancora stata eretta: ma ero certo che Horus aveva già

avvolto quel luogo della sua influenza benevola.

La mia padrona sedette davanti a me con Tanus al fianco e assistette,

affascinata, mentre bevevo la pozione stregata che doveva aprire gli occhi

della mia anima, il mio Ka, la piccola creatura simile a un uccello che vive

nel cuore di ognuno di noi.

Misi davanti a loro i Labirinti d'avorio e chiesi alla regina e a Tanus di

accarezzarli e maneggiarli per trasfondervi il loro spirito e lo spirito della

nazione che rappresentavano, il nostro Egitto.

Mentre li guardavo dividere i mucchietti dei dischi d'avorio sentivo la

droga diventare più forte nel mio sangue: e il mio cuore rallentò quando la

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

384

piccola morte s'impadronì di me.

Presi i due Labirinti rimasti dall'ultimo mucchietto e li strinsi al petto. Li

sentii scaldarsi contro la mia pelle. L'istinto mi suggeriva di allontanarmi

dalla tenebra che sentivo avvicinarsi; invece mi abbandonai e lasciai che mi

trascinasse via.

Sentii la voce della mia padrona come se giungesse da molto lontano.

«Che ne sarà della corona doppia? Come potremo resistere ai barbari?»

Davanti ai miei occhi incominciarono a prendere forma le visioni: fui

trasportato nei giorni che dovevano ancora venire, e vidi avvenimenti che

non erano ancora accaduti.

La luce del mattino entrava dall'apertura nel tetto e investiva l'altare di

Horus quando tornai finalmente dal viaggio nei Labirinti. Ero scosso e

nauseato dalla droga allucinogena, stordito e tremante per il ricordo delle

strane cose che avevo visto.

La mia padrona e Tanus erano rimasti con me durante la lunga notte. I

loro volti ansiosi furono la prima cosa che vidi al ritorno, ma erano così

distorti e tremuli che li credetti parte della visione.

«Taita, ti senti bene? Parla. Devi dirci che cosa hai visto.» La regina era

ansiosa. Non riusciva a nascondere il rimorso che provava per avermi

costretto ad addentrarmi ancora una volta nei Labirinti di Ammon-Ra.

«C'era un serpente.» La mia voce aveva un'eco strana, come se fossi

distaccato dal mio corpo. «Un grande serpente verde che strisciava nel

deserto.»

Vidi la loro espressione perplessa, ma non avevo ancora considerato il

significato della visione, e perciò non ero in grado di fornire indicazioni.

«Ho sete», mormorai. «Ho la gola secca, e la mia lingua sembra una

pietra coperta di muschio.»

Tanus andò a prendere un orcio di vino; riempi una ciotola, e io bevvi con

avidità.

«Parlaci del serpente», ordinò la mia padrona non appena posai la ciotola.

«Il suo corpo sinuoso non finiva mai e splendeva verde sotto la luce del

sole. Strisciava attraverso una terra sconosciuta dove vivevano uomini nudi

e altissimi e bestie strane e meravigliose.»

«Sei riuscito a vedere la testa o la coda del serpente?» chiese la regina.

Scossi la testa. «Tu dov'eri? Dove ti trovavi?» insistette lei. Avevo

dimenticato che amava le mie visioni e trovava un grande piacere

nell'interpretarle.

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

385

«Ero sul dorso del serpente», risposi. «Ma non ero solo.»

«Chi c'era con te?»

«Al mio fianco c'eri tu, padrona, e anche Memnone. Tanus era dall'altra

parte, e il serpente ci trasportava.»

«Il Nilo! Il serpente è il fiume!» esclamò trionfante la regina Lostris. «Hai

previsto un viaggio che faremo sul Nilo.»

«In quale direzione?» chiese Tanus, che era assorto quanto la mia

padrona. «Dove scorreva il fiume?»

Mi sforzai di ricordare ogni particolare. «Ho visto il sole sorgere alla mia

sinistra.»

«A sud!» esclamò Tanus.

«Nell'interno dell'Africa», disse la mia padrona.

«Alla fine ho visto davanti a noi le teste del serpente. Il suo corpo si

biforcava, e a ogni biforcazione c'era una testa.»

«Il Nilo ha due rami?» chiese a voce alta la mia padrona. «Oppure la

visione ha un significato più profondo?»

«Ascoltiamo ciò che deve dirci Taita», l'interruppe Tanus. «Continua,

vecchio mio.»

«Poi ho visto la dea», proseguii. «Era seduta su un'alta montagna, ed

entrambe le teste del serpente l'adoravano.»

La regina non seppe trattenersi. «Quale delle dee hai visto? Oh, presto,

dimmi chi era.»

«Aveva la testa barbuta di un uomo, ma i seni e le parti intime di una

donna. Dalla vagina scaturivano due grandi getti d'acqua che finivano nelle

fauci aperte del serpente bicipite.»

«È la dea Hapi. Il dio del fiume», mormorò la regina Lostris. «Genera il

fiume e lo fa scorrere nel mondo.»

«Che altro ti ha mostrato la visione?» chiese Tanus.

«La dea ci sorrideva e il suo viso splendeva d'amore e di benevolenza.

Parlava con una voce che era il suono del vento e dei mare, del tuono sulle

vette dei monti lontani,»

«E che cosa diceva?» chiese la regina Lostris.

«Ha detto: "Lascia che mia figlia venga a me. Io la renderò forte, affinché

possa vincere e affinché il mio popolo non perisca di fronte ai barbari".»

Ripetei le parole che martellavano ancora nella mia testa.

«Io sono la figlia della dea del fiume», disse semplicemente la mia

padrona. «Alla nascita le sono stata consacrata. Ora mi chiama e devo

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

386

recarmi nel luogo in cui dimora, alla sorgente del Nilo.»

«È il viaggio cui avevamo pensato Taita e io», disse Tanus con aria

assorta. «Ora la dea lo comanda. Non possiamo disobbedirle.»

«Sì, dobbiamo andare, ma ritorneremo», dichiarò la mia padrona.

«Questa è la mia terra, il mio Egitto. E questa è la mia città, la bella Tebe

dalle cento porte. Non posso abbandonarli per sempre. Tornerò a Tebe. Lo

giuro e chiamo la dea Hapi a testimone del giuramento. Ritorneremo.»

La decisione di fuggire a sud oltre le cataratte, nella terra selvaggia e

inesplorata, Tanus e io l'avevamo già presa in passato. La prima volta era

stato per sfuggire alia collera e alla vendetta del Faraone. Ora fuggivamo da

un nemico ancora più implacabile.

Sembrava che gli dei avessero deciso d'imporci quel viaggio e non

ammettessero un rifiuto.

Avevamo poco tempo per prepararci alla partenza. Gli hyksos stavano

piombando su di noi da due direzioni, e i nostri informatori riferivano che al

più tardi entro tre giorni le loro coorti sarebbero state visibili dal tetto del

palazzo di Memnone.

Tanus mise Kratas al comando di una metà delie forze disponibili e lo

mandò incontro al re Salitis che era partito da Asyut e probabilmente, con la

sua colonna, sarebbe stato il primo a raggiungere la necropoli e il palazzo.

Kratas aveva l'ordine di usare i pali appuntiti e di difendere tutte le posizioni

fortificate per ritardare il più possibile l'avanzata di Salitis senza correre il

rischio di restare tagliato fuori o di venire sopraffatto. Quando non fosse più

stato in grado di resistere, avrebbe dovuto evacuare i suoi uomini con le

navi.

In quanto a Tanus, prese personalmente il comando dell'altra metà del

nostro esercito e si diresse a sud, per combattere un'altra battaglia dilatoria

contro la divisione hyksos che stava arrivando da Esna.

Nei frattempo, la regina avrebbe fatto imbarcare i nostri e tutto ciò che

possedevano a bordo delle altre navi della flotta. Lostris delegò l'incarico al

nobile Merseket, ma naturalmente mi nominò suo aiutante.

Il nobile Merseket era molto avanti negli anni, e da poco tempo aveva

preso in moglie una sedicenne, quindi non era di molta utilità per se stesso e

per me. La pianificazione e l'attuazione del piano ricaddero interamente

sulle mie spalle.

Ma prima che potessi preoccuparmi di queste cose, dovevo provvedere ai

miei cavalli. Già in quella fase iniziale capivo con estrema chiarezza che

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

387

erano la chiave della nostra sopravvivenza come nazione e come popolo

civile.

Con i capi che avevamo catturato a Esna, ormai ne avevamo diverse

migliaia. Divisi la mandria in quattro parti, perché trovassero più facilmente

da pascolare durante la marcia. Inoltre i branchi più piccoli avrebbero

sollevato meno polvere ed eluso più facilmente gli esploratori degli hyksos.

Mandai Hui, i guidatori e gli stallieri a sud con queste mandrie, verso

Elefantina, con l'ordine di evitare la riva del fiume lungo la quale stavano

avanzando gli hyksos, e di procedere nell'entroterra, al margine del deserto.

Dopo la partenza dei cavalli, potei dedicare la mia attenzione agli uomini.

Sapevo che il numero limitato delle navi a disposizione avrebbe

determinato la consistenza del seguito che ci avrebbe accompagnati nel

lungo viaggio. Ero certo che quasi tutti gli egizi avrebbero voluto

partecipare all'esodo. La crudeltà feroce degli hyksos era evidente in ogni

città che incendiavano, in ogni atrocità che infliggevano al nostro popolo.

Tutti i pericoli dell'Africa selvaggia erano preferibili ai mostri sanguinari

che correvano verso di noi a bordo dei loro carri.

Alla fine calcolai che avremmo potuto ospitare appena dodicimila

persone a bordo delle navi, e lo riferii alla regina.

«Dovremo scegliere senza pietà coloro che verranno con noi e coloro che

resteranno», dissi.

Ma Lostris non volle ascoltare il mio consiglio. «Questa è la mia gente.

Preferirei cedere il mio posto, pur di non lasciare uno solo di loro in balia

degli hyksos.»

«E i vecchi decrepiti, maestà? I malati e i bambini?»

«A ognuno dei sudditi sarà offerta la possibilità di scegliere. Non

abbandonerò un vecchio o un mendicante, un neonato o un lebbroso. Sono

il mio popolo: e se non potranno partire, resteremo anch'io e il principe

Memnone.» Naturalmente parlò del principe per avere la certezza di

spuntarla nei miei confronti.

Le navi sarebbero rimaste a galla a stento sotto il peso degli esseri umani,

ma non avevo possibilità di scelta. Comunque, imbarcai per primi i sudditi

più utili, e li scelsi in tutte le arti e professioni, muratori e tessitori, ramai e

vasai, conciatori e fabbricanti di vele, scribi e artisti, costruttori di navi e

carpentieri, tutti i migliori nelle rispettive discipline. Li sistemai nel

migliore dei modi. Quindi mi concessi la soddisfazione di assegnare le

sistemazioni più scomode a bordo dei vascelli più squallidi ai sacerdoti e

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

388

agli scribi della legge, le pulci che succhiano il sangue dello Stato.

Quando furono tutti a bordo, permisi alla marmaglia di invadere il molo

ai piedi del tempio.

Come risultato dell'intransigenza della mia padrona dovetti prestare la

massima attenzione alla scelta del carico. Non c'era posto per gli oggetti

inutili. Feci stivare le armi, gli utensili e le materie prime che sarebbero stati

necessari per costruire un'altra civiltà in una terra sconosciuta. In quanto al

resto, cercai in tutti i modi di ridurre il peso e il volume. Per esempio,

anziché cereali e frutta, caricai i semi di tutte le piante utili in vasi d'argilla

sigillati con cera e pece.

Ogni deben di peso che mettevamo nelle stive ci imponeva di lasciare a

terra qualcos'altro. Il viaggio poteva durare dieci anni o tutta la vita. Il

percorso sarebbe stato difficile. Sapevamo che davanti a noi stavano le

grandi cataratte. Non potevamo portare nulla che non fosse indispensabile:

ma restava da rispettare la promessa fatta dalla regina al Faraone.

C'era spazio a malapena per i vivi... quanto potevamo accordarne a un

morto?

«Ho dato la mia parola al re mentre stava per morire», insistette Lostris.

«Non posso lasciarlo qui.»

«Maestà, scoverò un nascondiglio sicuro per la salma del re, una tomba

senza contrassegni tra le colline, dove non lo troverà nessuno. Quando

torneremo a Tebe lo esumeremo e l'onoreremo con la sepoltura regale che

gli hai promesso.»

«Se verrò meno al voto, gli dei ci abbandoneranno e il nostro viaggio sarà

un disastro. Il corpo del re deve venire con noi.»

Mi bastò guardarla in faccia per capire che sarebbe stato inutile

continuare a discutere. Aprimmo il massiccio sarcofago di granito ed

estraemmo le sei bare interne: anche quelle erano così ingombranti che

sarebbe stata necessaria una nave apposta.

Presi una decisione senza consultare la regina Lostris. Ordinai agli operai

di rimuovere solo le due bare dorate più interne e di coprirle con un telo

pesante che venne cucito per proteggerle. In questo modo le dimensioni e il

peso si ridussero a proporzioni accettabili, e caricammo le due bare nella

stiva del Soffio di Horus.

La maggior parte del tesoro del Faraone fu chiusa in casse di cedro: tutto

l'oro, l'argento e le pietre preziose. Ordinai agli orafi di rimuovere l'oro dalle

bare scartate e dall'intelaiatura lignea della grande slitta funeraria e di

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

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ricavarne lingotti. In segreto, ero ben lieto di distruggere quella mostruosità

di pessimo gusto.

I forzieri del tesoro e i lingotti furono trasportati al molo e caricati sulle

navi: li distribuii in modo che ogni vascello portasse almeno una cassa o un

mucchio di lingotti. In questo modo si riduceva al massimo il rischio che

l'intero tesoro venisse distrutto da un colpo di sfortuna.

C'era una gran parte del corredo funerario che non potevamo portare con

noi: i mobili e le statue, la corazza cerimoniale e le casse degli ushabti, e

naturalmente la struttura sgraziata della slitta funebre che avevo spogliato

dell'oro. Per evitare che cadessero nelle mani degli hyksos, ammucchiammo

tutto nel cortile del tempio. Gettai con le mie mani una torcia accesa su

quella montagna di oggetti preziosi e li guardai ridursi in cenere.

Facemmo tutto in gran fretta e prima che l'ultima nave venisse caricata, le

vedette sul tetto del palazzo gridarono che le nubi di polvere sollevate dai

carri degli hyksos erano in vista. Meno di un'ora dopo le nostre truppe

esauste, che al comando di Tanus e Kratas avevano combattuto azioni di

retroguardia, incominciarono ad arrivare nella necropoli e a imbarcarsi sui

vascelli in attesa.

Andai incontro a Tanus che saliva la via cerimoniale soprelevata alla testa

d'una squadra di guardie. Con il loro coraggio e il loro spirito di sacrificio

erano riusciti a guadagnarci qualche giorno in più per completare

l'evacuazione. Non potevano fare altro, e i nemici li incalzavano.

Quando mi sbracciai e gridai il suo nome, Tanus mi vide e chiese a gran

voce:

«La regina Lostris e il principe sono a bordo del Soffio di Horus?»

Mi feci largo tra la folla e lo raggiunsi. «La mia padrona non vuole partire

fino a che tutti i suoi sudditi non saranno a bordo delle navi. Mi ha ordinato

di accompagnarti subito da lei. Ti aspetta nel suo appartamento a palazzo.»

Tanus mi fissò, inorridito. «Il nemico incalza. La regina Lostris e il

principe sono più preziosi di questa marmaglia. Perché non l'hai costretta...»

Risi. «Non è facile costringerla a fare ciò che non vuole, dovresti saperlo

anche tu. Non intende abbandonare nessuno dei suoi agli hyksos.»

«Che Seth folgori l'orgoglio di quella donna! Ci farà uccidere tutti.» Ma

le parole dure erano smentite da un'espressione di ammirazione che gli

rischiarava il viso sudato e coperto di polvere. Mi sorrise. «Bene. Se non

vuole venire andremo a prenderla.»

Ci facemmo largo tra le file dei profughi carichi di fagotti e di bambini

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

390

che accorrevano al molo per imbarcarsi.

Mentre procedevamo a passo svelto lungo la via soprelevata, Tanus

indicò le nubi minacciose di polvere ocra che si avvicinavano da entrambe

le direzioni.

«Si muovono più velocemente di quanto credessi possibile. Non si sono

fermati neppure per abbeverare i cavalli. Se non affrettiamo l'imbarco, ci

piomberanno addosso mentre metà dei nostri sono ancora a terra», disse

rabbiosamente indicando il molo sottostante.

Il molo era largo quanto bastava perché si accostassero due vascelli alla

volta. I profughi intasavano la via soprelevata e congestionavano l'ingresso.

Con pianti e lamenti accrescevano la confusione; e in quel momento

qualcuno, in coda alla colonna, gettò un urlo.

«Gli hyksos sono qui! Fuggite! Salvatevi! Gli hyksos sono qui!»

Il panico dilagò tra la folla che si mise a correre alla cieca. Molte donne

vennero schiacciate contro i pilastri, molti bambini furono calpestati. Ogni

parvenza d'ordine era sparita, i sudditi dignitosi e i soldati disciplinati erano

ridotti a un'orda disperata in lotta per sopravvivere.

Dovetti usare il bastone appuntito per aprirmi un varco e procedere.

Finalmente Tanus e io ci liberammo dalla folla e corremmo verso il palazzo.

Le sale e i corridoi erano deserti. C'erano soltanto alcuni saccheggiatori

intenti a rubare: fuggirono appena videro Tanus. Era un'apparizione

spaventosa, coperto di polvere e con una rossa stoppia di barba che gli

cresceva sul mento. Mi precedette e irruppe nell'alloggio privato della

regina. La sua camera non aveva sentinelle e la porta era spalancata. Ci

precipitammo all'interno.

La mia padrona era sulla terrazza sotto il pergolato con il principe

Memnone sulle ginocchia e gli additava le navi. Sembravano entrambi

entusiasti dello spettacolo.

«Guarda che belle navi.»

La regina si alzò sorridendo quando ci vide e Memnone si lasciò scivolare

a terra e corse incontro a Tanus che se lo issò sulle spalle e strinse a sé la

regina con la mano libera.

«Dove sono le tue schiave, dove sono Aton e il nobile Merseket?» le

chiese.

«Li ho mandati alle navi.»

«Taita mi ha detto che hai rifiutato d'imbarcarti. È molto arrabbiato con

te, e a ragione.»

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

391

«Perdonami, caro Taita.» Il sorriso di Lostris aveva il potere d'illuminare

la mia vita o di spezzarmi il cuore.

«Chiedi perdono al re Salitis», ribattei. «Sarà qui fra poco.» Le presi il

braccio. «Ora che il tuo rude soldato è finalmente arrivato, possiamo salire

sulle navi?»

Lasciammo la terrazza e riattraversammo i corridoi del palazzo. Eravamo

soli: persino i ladri erano spariti come ratti nelle loro tane. L'unico che non

sembrava preoccupato era il principe Memnone: per lui era solo un altro

gioco. Stava a cavalcioni delle spalle di Tanus: premette con i calcagni e

gridò: «Ehilà!» come aveva imparato da me quando montavamo Pazienza.

Attraversammo di corsa i giardini del palazzo e raggiungemmo la scala

che portava alla via soprelevata. Era il percorso più breve per raggiungere il

molo del tempio. Mi accorsi che la situazione era cambiata radicalmente da

quando eravamo andati a prendere la regina e il principe.

Davanti a noi la via soprelevata era deserta. Gli ultimi profughi s'erano

imbarcati. Al di là dei parapetti di pietra vedevo gli alberi delle navi che si

spostavano lentamente verso il centro del fiume.

Con un senso di vuoto alla bocca dello stomaco, mi resi conto che

eravamo gli ultimi rimasti a terra e avevamo ancora una distanza

considerevole da coprire prima di arrivare al molo deserto.

Ci fermammo e guardammo le ultime navi che si allontanavano.

«Avevo ordinato al capitano di attendere», gemetti. «Ma gli hyksos sono

troppo vicini e hanno pensato soltanto a mettersi in salvo.»

«Che cosa possiamo fare?» mormorò la mia padrona. Persino le grida

allegre di Memnone si spensero.

«Se possiamo raggiungere la riva del fiume, Remrem o Kratas ci

vedranno e manderanno una barca a prenderci», suggerii.

Tanus annui. «Di qua! Seguitemi!» gridò. «Taita, pensa alla tua padrona.»

Presi il braccio della regina per aiutarla: ma era forte e agile come un

giovane pastore e correva veloce al mio fianco. Poi all'improvviso sentii lo

scalpitio dei cavalli e lo scricchiolio delle ruote dei carri. Erano suoni

inconfondibili e purtroppo molto vicini.

I nostri cavalli erano partiti tre giorni prima e si stavano avvicinando a

Elefantina; i nostri carri smontati erano nelle stive delle navi appena salpate.

Quelli che sentivo erano ancora invisibili sotto il muro della via soprelevata,

ma sapevo a chi appartenevano.

«Gli hyksos!» mormorai. Ci fermammo di nuovo. «Deve essere un

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

392

gruppo inviato in ricognizione.»

«Mi pare che siano appena due o tre carri», confermò Tanus. «Ma sono

anche troppi. Siamo tagliati fuori.»

«Ci siamo mossi tardi», ammise la mia padrona con calma forzata, e

guardò con fiducia me e Tanus. «Che cosa proponete?»

La sua sfacciataggine mi lasciò sbalordito. Se eravamo in quella

situazione era colpa della sua testardaggine. Se avesse ascoltato le mie

esortazioni in quel momento saremmo stati tutti a bordo del Soffio di Horus,

in viaggio verso Elefantina.

Tanus alzò la mano per imporre silenzio. Ascoltammo il suono dei carri

nemici che procedevano ai piedi del muro. Più si avvicinavano e più

appariva evidente che era un gruppo poco numeroso.

All'improvviso il rumore delle ruote cessò. Sentimmo i cavalli sbuffare e

scalpitare. Poi voci di uomini che parlavano una lingua aspra e gutturale.

Erano proprio sotto di noi e Tanus diede un altro segnale perché non

facessimo rumore.

I! principe Memnone non era abituato a tacere se non ne aveva voglia. E

aveva sentito e riconosciuto quei suoni.

«I cavalli!» gridò con voce squillante. «Voglio vedere i cavalli.»

Subito si levò un urlo. Gli hyksos lanciarono ordini e fecero tintinnare le

armi. Poi passi pesanti salirono precipitosamente la scala di pietra, e un

gruppo di nemici piombò sulla via soprelevata.

Gli elmi apparvero al di sopra della balaustrata di pietra proprio davanti a

noi. Erano cinque: si avventarono verso di noi con le spade sguainate. Erano

uomini imponenti, con le corazze a squame e nastri colorati intrecciati alla

barba. Ma uno era più alto degli altri. In un primo momento non lo

riconobbi perché s'era fatto crescere la barba e l'aveva ornata di nastri

secondo l'usanza degli hyksos, e la visiera dell'elmo nascondeva per metà il

viso. Poi gridò con quella voce che non avrei mai dimenticato.

«Dunque sei tu, giovane Harrab! Ho ucciso il vecchio cane e ora ucciderò

il cucciolo.»

Avrei dovuto prevedere che il nobile Intef sarebbe stato il primo ad

accorrere come una iena affamata in cerca del tesoro del Faraone. Doveva

aver preceduto di molto la divisione degli hyksos per precipitarsi nel tempio

funerario. Nonostante quella vanteria non corse ad affrontare Tanus. Fece

un gesto per ordinare agli hyksos di procedere.

Tanus si tolse dalle spalle il principe Memnone e me lo lanciò come se

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

393

fosse un giocattolo.

«Fuggi!» ordinò. «Ti farò guadagnare un po' di tempo.» Caricò gli

hyksos, che erano ancora ammassati sulla scala e non avevano lo spazio

necessario per brandire le spade, e uccise il primo con quell'affondo alla

gola che sapeva compiere infallibilmente.

«Non stare li a bocca aperta!» mi gridò. «Fuggi!»

Non stavo a bocca aperta ma, mentre tenevo il bambino stretto a me, mi

rendevo conto dell'inutilità del suo ordine. Appesantito in quel modo, non

avrei mai raggiunto la riva del fiume.

Mi accostai al parapetto delia via soprelevata e guardai giù. C'erano due

carri proprio sotto di me, con i cavalli che sbuffavano, e un uomo solo che

era rimasto a custodirli mentre i suoi compagni erano saliti. Stava accanto

alle teste degli animali e concentrava tutta l'attenzione su di loro. Non mi

aveva visto.

Strinsi Memnone a me, scavalcai il parapetto e mi lanciai.

Il principe gridò, allarmato. Dalla via soprelevata al punto dove si trovava

l'hyksos con i carri c'era un'altezza quattro volte superiore a quella di un

uomo. Avrei potuto spezzarmi una gamba, ma per fortuna piombai sulla

testa dell'ignaro nemico. L'urto gli spezzò il collo: sentii le vertebre

rompersi. Si accasciò sotto di me, interrompendo la nostra caduta.

Mi rialzai mentre Memnone urlava indignato per quel trattamento, ma il

più doveva ancora venire. Lo gettai a bordo del carro più vicino e alzai gli

occhi verso la mia padrona che sbirciava dal parapetto.

«Salta!» le gridai. «Ti prenderò io!»

Non esitò. Si lanciò nel vuoto con prontezza quando non ero ancora ben

puntellato. Mi piombò addosso, con la gonna che sventolava e lasciava

scoperte le cosce tornite. Mi investi in pieno e mi lasciò senza fiato.

Cademmo insieme a terra.

Mi rialzai ansimando e la rimisi in piedi. La spinsi bruscamente sul carro

e gridai: «Attenta a Memnone!»

Lo afferrò appena in tempo mentre cercava di balzare a terra, urlando per

la collera e lo spavento.

Dovetti passare praticamente addosso a entrambi per afferrare le redini e

prendere il controllo dei cavalli.

«Tenetevi forte!»

I due cavalli risposero immediatamente al mio tocco. Feci girare il carro

ai piedi del muro. Una ruota passò sul corpo dell'uomo che avevo ucciso

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

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cadendo.

«Tanus!» urlai. «Da questa parte!»

Tanus balzò sul parapetto e si tenne in equilibrio, scambiando affondi e

parate con gli hyksos che latravano come cani intorno a un leopardo

arrampicato su un albero.

«Salta, Tanus, salta!» gridai.

Tanus si lanciò nel vuoto. Con il mantello che gli svolazzava intorno alla

testa e alle spalle, piombò a cavalcioni su uno dei cavalli. La spada gli volò

dalla mano e fini rumorosamente sulla terra compatta, mentre Tanus

cingeva con le braccia il collo dell'animale.

«Via!» ordinai, e feci schioccare le redini sui quarti posteriori dei cavalli

che si lanciarono al galoppo. Li guidai attraverso il sentiero e i campi che

digradavano verso la riva del fiume. Vedevo le vele delle nostre navi al

centro del Nilo, e potevo persino riconoscere il vessillo del Soffio di Horus

che sventolava nella foresta di alberi. Avevamo ancora un buon tratto da

percorrere per raggiungere la riva, e mi guardai alle spalle.

Il nobile Intef e i suoi s'erano precipitati giù per la scala e in quel

momento stavano salendo sull'altro carro. Purtroppo non avevo pensato a

renderlo inutilizzabile. Sarebbe bastato un momento per tagliare i finimenti

e far fuggire i cavalli, ma mi ero preoccupato soltanto di portare in salvo la

regina e il principe.

Ora il nobile Intef ci inseguiva. Il suo carro non aveva coperto cento passi

quando mi resi conto che era più veloce del mio. Il peso di Tanus sulla

groppa d'uno dei cavalli ne intralciava il galoppo: era pesante e continuava a

stringere le braccia intorno al collo dell'animale, come se fosse paralizzato

dal terrore. Era la prima volta, credo, che lo vedevo veramente spaventato.

L'avevo visto attendere con fermezza un leone e ucciderlo con l'arco: ma il

cavallo lo atterriva.

Cercai di ignorare il carro che ci inseguiva e di usare tutta la mia abilità di

guidatore per attraversare i campi coltivati e il labirinto dei canali per

l'irrigazione e raggiungere la riva del Nilo.

Il carro hyksos era pesante e poco maneggevole in confronto al mio. Le

ruote di legno massiccio con le lame falcate intorno all'orlo affondavano

profondamente nel terreno, e le piastre e gli ornamenti di bronzo ci

appesantivano. I cavalli dovevano aver corso parecchio prima che me ne

impadronissi: erano coperti di sudore, e dai musi sgocciolava la bava

bianca.

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

395

Non avevamo ancora coperto metà della distanza che ci separava dal

fiume quando sentii le grida degli hyksos che si avvicinavano e il trepestio

di zoccoli. Girai la testa e vidi che erano a non più di tre lunghezze da noi. Il

guidatore sferzava i cavalli con una frusta a nodi e urlava in quella sua

lingua odiosa. Accanto a lui, il nobile Intef stava proteso in avanti con

impazienza. La barba ornata da nastri sventolava e il bel volto era

illuminato dall'estasi della caccia.

Gridò, e la sua voce mi giunse fra gli ansiti dei cavalli.

«Taita, mio caro, mi ami ancora? Voglio che me lo provi ancora prima di

morire.» Rise. «T'inginocchierai davanti a me e morirai con la bocca

piena.» Mi sentii accapponare la pelle per l'orrore all'immagine evocata

dalle sue parole.

Davanti a noi c'era un canale per l'irrigazione, e io deviai per

fiancheggiarlo, perché era profondo e ripido. Il carro che ci seguiva

guadagnava terreno.

«In quanto a te, mia bella figlia, ti darò ai soldati hyksos perché si

divertano. Ti insegneranno qualche trucco che Harrab ha dimenticato di

mostrarti. Non ho più bisogno di te, adesso, perché ho il tuo marmocchio.»

La regina Lostris strinse a sé il figlioletto. Era pallidissima.

Compresi subito il disegno di Intef. Un figlio che aveva nelle vene il

sangue reale dell'Egitto, anche come semplice satrapo degli hyksos, avrebbe

garantito la fedeltà del nostro popolo. Il principe Memnone era la

marionetta grazie alla quale il re Salitis e il nobile Intef intendevano

dominare i due regni. Era un metodo antico ed efficace usato dai vincitori.

Spinsi al massimo i cavalli, ma erano stanchi e stavano rallentando. Il nobile

Intef era ormai così vicino che non aveva più bisogno di urlare per farsi

sentire.

«Nobile Harrab, è un piacere che ho atteso a lungo. Che ne farò di te?

Prima tu e io assisteremo mentre i soldati faranno divertire mia figlia...»

Tentai di non ascoltare ma la sua voce era penetrante.

Continuavo a guardare davanti a me, concentrando l'attenzione sul terreno

accidentato e pericoloso; tuttavia con la coda dell'occhio vidi le teste dei

cavalli dell'altro carro affiancarsi al nostro. Le criniere sventolavano, gli

occhi parevano lanciare lampi mentre procedevano al galoppo.

Li guardai. Il robusto arciere hyksos che stava dietro Intef incoccò una

freccia al corto arco ricurvo. A quella breve distanza, nonostante i sobbalzi,

non poteva evitare di colpire uno di noi.

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

396

Tanus non poteva battersi. Aveva lasciato cadere la spada. Era ancora

aggrappato al collo del cavallo, sul lato opposto a quello del carro

sopravanzante. Io avevo soltanto il mio pugnale, e la regina Lostris era

inginocchiata e faceva scudo al principe con il suo corpo.

In quel momento mi accorsi dell'errore commesso dal guidatore hyksos.

Aveva spinto la sua pariglia nella fascia fra noi e il canale per l'irrigazione,

e non aveva spazio per manovrare.

L'arciere alzò l'arco e si accostò alle labbra le piume della freccia. Mirò

contro di me e io lo guardai negli occhi al di sopra della punta di selce.

Aveva le sopracciglia nere e irsute, gii occhi scuri e gelidi come quelli d'una

lucertola.

I cavalli degli hyksos correvano all'altezza del mozzo della mia ruota.

Raccolsi le redini e deviai verso di loro. Le lame di bronzo fissate all'orlo

della ruota ronzavano sempre più vicine alle zampe degli animali.

Il guidatore hyksos gettò un grido costernato quando si accorse del suo

errore. I suoi cavalli erano intrappolati tra il fosso e le lame, che ormai

erano a meno di una spanna dalle ginocchia del grande stallone baio più

vicino a me.

In quell'istante l'arciere scagliò la freccia, ma la mia brusca deviazione

disorientò anche lui. La freccia parve volare lentamente verso la mia testa,

ma era soltanto un'illusione creata dal terrore. In realtà saettò come un

raggio di luce sopra la mia spalla, il filo di selce mi scalfì l'orecchio e una

goccia di sangue mi piovve sul petto.

L'altro guidatore aveva cercato di controbattere la mia sterzata

allontanandosi, ma ora la ruota più lontana girava lungo il bordo del fosso

che si sgretolava sotto il cerchio di bronzo. Il carro sobbalzò e barcollò.

Feci deviare di nuovo i miei cavalli verso l'altro carro. Le lame

affondarono nelle zampe dell'animale più vicino, che gridò per la

sofferenza. Vidi brandelli di pelle e ciuffi di pelo che volavano in aria. Mi

feci coraggio e colpii di nuovo. Questa volta frammenti di carne e d'osso

schizzarono dalle zampe mutilate: il cavallo cadde, scalciando e nitrendo, e

trascinò a terra il compagno.

Il carro piombò nel canale. Vidi i due passeggeri che venivano sbalzati

via, ma il guidatore fini schiacciato sotto il veicolo rovesciato e le ruote

pesanti.

Anche il nostro carro sfiorava pericolosamente l'orlo del fossato; ma

riuscii a dominare i cavalli e a riprenderne il controllo.

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

397

«Ua!» Li feci rallentare e mi voltai indietro. Una nube di polvere

aleggiava sopra il fosso dov'era scomparso il carro degli hyksos. Misi la mia

pariglia al trotto. La riva era a duecento passi, e nulla stava fra noi e la

salvezza.

Mi voltai un'ultima volta. L'arciere kyksos che aveva scagliato la freccia

contro di me giaceva a terra. Il nobile Intef era steso un po' più lontano dal

fossato. Sono convinto che lo avrei lasciato lì se non si fosse mosso: ma in

quei momento si sollevò a sedere e poi si rimise in piedi barcollando.

All'improvviso l'odio per lui mi riassalì con tutte le sue forze. Era come se

una vena fosse scoppiata dietro i miei occhi perché la mia vista si oscurò e

si velò di sangue. Con un grido incoerente, girai i cavalli e li lanciai verso la

via soprelevata.

Il nobile Intef stava sul mio percorso. Nella caduta aveva perso l'elmo e le

armi e sembrava semistordito, perché vacillava.

Lanciai i cavalli al galoppo e le ruote rombarono sul terreno. Puntai verso

di lui. La barba era in disordine, con i nastri impolverati. I suoi occhi erano

opachi ma, quando guidai i cavalli verso di lui, li vidi schiarirsi. Alzò la

testa.

«No!» gridò e cominciò a indietreggiare, tendendo le mani verso di me

come per scacciare il carro e i cavalli. Continuai a puntare verso di lui, ma

all'ultimo istante i suoi dei tenebrosi lo difesero ancora una volta.

Mentre gli piombavo addosso si lanciò di lato. L'avevo visto traballare e

avevo immaginato che fosse debole e impotente. Invece si mosse con

l'agilità d'uno sciacallo inseguito dai cani. Il carro era pesante e poco

maneggevole, e non riuscii a girarlo abbastanza rapidamente per seguire le

sue schivate. Lo mancai e passai oltre. Lottai con le redini ma i cavalli mi

portarono oltre per cento passi prima che riuscissi a controllarli e a girare di

nuovo il veicolo.

Intef, intanto, correva verso il fossato. Se l'avesse raggiunto sarebbe stato

salvo, e me ne rendevo conto. Imprecai rabbiosamente e continuai a

inseguirlo.

E finalmente i suoi dei lo abbandonarono. Era quasi arrivato al canale, ma

s'era voltato a guardarmi e non badava a dove metteva i piedi. Urtò un tratto

di zolle argillose dure come pietre, e una caviglia gli si piegò. Cadde, rotolò

e si rimise in piedi come un acrobata. Cercò di riprendere a correre, ma il

dolore lo costrinse a fermarsi. Mosse ancora un passo o due, zoppicando,

quindi cercò di saltellare verso il fosso su una gamba sola.

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

398

«Finalmente sei mio», gli urlai. Si voltò di scatto tenendosi in equilibrio

su un piede. Era pallido, ma gli occhi di leopardo brillavano di tutta la

rabbia e l'odio della sua anima crudele.

«È mio padre!» gridò la regina, stringendo contro il seno il viso del

principe perché non vedesse. «Lascialo, Taita. È mio padre.»

Non le avevo mai disobbedito in tutta la mia vita: ma quella fu la prima

volta. Non tentai neppure di trattenere i cavalli. Per una volta senza paura,

guardai negli occhi di Intef.

Alla fine, per poco non riuscì a sfuggirmi ancora. Si gettò di lato, con

tanta agilità e tanta forza da sottrarsi alle ruote del carro, ma non poté

sottrarsi alle lame. Una di esse si agganciò alle squame della corazza: la

punta lacerò il metallo e affondò nel ventre.

La lama continuò a girare, e gli intestini di Intef vi si avvolsero e

fuoriuscirono, come quelli dei grossi persici azzurri che le pescivendole

sventravano al mercato.

Intef era trascinato dietro di noi dalle funi viscide dei suoi intestini:

tuttavia restava sempre più indietro via via che altri avvolgimenti di visceri

venivano strappati dal ventre squarciato. Li stringeva con entrambe le mani,

ma gli scivolavano fra le dita come un grottesco cordone ombelicale che lo

legava alla ruota del mio carro.

Le sue urla erano un suono che mi auguro di non dovere udire mai più. A

volte le sento ancora oggi nei miei incubi: quindi alla fine fu lui a

infliggermi la sua ultima crudeltà. Non sono mai riuscito a dimenticarlo,

anche se l'avrei desiderato.

Quando finalmente la macabra corda che lo trascinava sulla terra nera si

spezzò, rimase a giacere al centro del campo. D'un tratto le grida si

smorzarono e rimase immobile.

Fermai i cavalli. Tanus smontò e ci raggiunse. Posò a terra la mia padrona

e il principe e li strinse al petto. La regina piangeva.

«Oh, è stato terribile. Qualunque cosa ci avesse fatto era pur sempre mio

padre.»

«Ora è finita.» Tanus l'abbracciò. «È finita.»

Il principe Memnone sbirciava al di sopra della spalla della madre la

figura stesa a terra: come tutti i bambini, era affascinato dagli spettacoli

macabri. All'improvviso pigolò con quella vocina squillante:

«Era un uomo cattivo».

«Si», affermai sottovoce. «Molto cattivo.»

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

399

«Adesso è morto?»

«Si, è morto. Adesso potremo dormire più tranquilli.»

Dovetti far correre i cavalli lungo la riva del fiume per raggiungere la

nostra flotta, ma finalmente arrivai all'altezza della nave di Kratas che ci

notò a bordo dello strano veicolo e ci riconobbe. Il suo sbalordimento era

visibile anche attraverso la distanza che ci separava. Più tardi mi disse che

ci aveva creduti a bordo di una delle prime navi della flotta.

Lasciai liberi i cavalli prima di abbandonare il carro. Poi avanzai a guado

nel fiume per raggiungere la barca che Kratas aveva mandato a prenderci.

Gli hyksos non erano disposti a lasciarci andare tanto facilmente. Giorno

dopo giorno i loro carri inseguirono la nostra flotta su entrambe le rive del

Nilo, mentre fuggivamo verso sud.

Ogni volta che guardavamo dalla poppa del Soffio di Horus vedevamo la

polvere delle colonne nemiche che ci seguivano. Spesso la polvere si

mescolava alle nubi di fumo che salivano dalle città e dai villaggi

rivieraschi saccheggiati e incendiati. Quando passavamo davanti a un centro

abitato, una quantità di piccole imbarcazioni veniva a unirsi alla nostra

flotta, che diventava più numerosa con il passare dei giorni.

A volte, quando il vento era sfavorevole, le colonne dei carri ci

raggiungevano. Li vedevamo sulle rive, sentivamo le loro sfide irridenti e

inutili echeggiare sull'acqua. Ma il Nilo eterno ci offriva la sua protezione

come aveva sempre fatto, e i nemici non potevano raggiungerci.

Poi il vento riprendeva a spirare verso nord e noi li distanziavamo di

nuovo. Le nubi di polvere restavano indietro, all'orizzonte settentrionale.

«I loro cavalli non potranno continuare ancora per molto l'inseguimento»,

dissi a Tanus la mattina del dodicesimo giorno.

«Non contarci. Salitis è attratto dal tesoro del Faraone Marnose e dal

legittimo erede della corona doppia», rispose Tanus. «L'oro e il potere

rafforzano meravigliosamente la volontà di un uomo. Rivedremo ancora i

barbari.»

L'indomani mattina il vento era cambiato di nuovo e i carri guadagnarono

lentamente terreno e raggiunsero le prime navi della nostra flotta mentre ci

avvicinavamo alle Porte di Hapi, le prime muraglie di granito che

restringevano il fiume a valle di Elefantina. In quel tratto il Nilo si riduceva

a un'ampiezza inferiore ai quattrocento passi, e le rupi di granito nero si

ergevano quasi a perpendicolo. La forza della corrente ci respingeva; la

velocità della nostra avanzata si ridusse. Tanus ordinò di mettere ai remi

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

400

uomini riposati.

«Credo che abbia ragione tu, Taita. È qui che ci aspetteranno», disse in

tono cupo e pochi attimi più tardi tese il braccio per indicare. «Eccoli.»

Il Soffio di Horus, che viaggiava in testa alla flotta, stava appena entrando

nelle porte, quindi dovemmo girare la testa per guardare i dirupi. Le figure

degli arcieri hyksos piazzati sui cornicioni rocciosi erano scorciate dalla

prospettiva, e ci apparivano come gnomi grotteschi.

«Da quell'altezza potrebbero scagliare le frecce da riva a riva», borbottò

Tanus. «Resteremo a tiro per gran parte della giornata. Sarà terribile per

tutti, ma specie per le donne e i bambini.»

Fu anche peggio di quanto avesse previsto Tanus. La prima freccia tirata

contro la nostra nave dalle rupi sovrastanti lasciò una scia di fumo contro la

volta azzurra del cielo mentre scendeva in un arco e piombava nell'acqua a

un solo cubito di distanza dalla nostra prua.

«Frecce incendiarie», disse Tanus. «Avevi ragione anche in questo, Taita.

I barbari imparano in fretta.»

«È abbastanza facile insegnare trucchi nuovi a una scimmia.» Odiavo gli

hyksos quanto tutti gli uomini della flotta.

«Vediamo se i tuoi mantici riescono a pompare l'acqua all'interno di una

nave e non soltanto a estrarla», disse Tanus.

Avevo previsto l'attacco con le frecce incendiarie e negli ultimi quattro

giorni avevamo lavorato a bordo delle navi attrezzate con le pompe ad

acqua ideate da me.

Ora, via via che uno dei nostri vascelli si avvicinava, Tanus ordinava al

comandante di abbassare le vele, pompare acqua sui ponti e bagnare il

sartiame. I secchi di cuoio furono riempiti e tenuti pronti: quindi una delle

navi da guerra incominciò a scortare un vascello nella gola di granito, sotto

la pioggia dei dardi fiammeggianti.

Furono necessari due giorni per far passare l'intera flotta perché le rupi

bloccavano il vento. Nel varco c'era calma, e ogni nave doveva navigare a

remi contro la corrente.

Le frecce cadevano su di noi in parabole scintillanti, martellavano gli

alberi e i ponti. Ognuna appiccava un incendio che doveva essere domato

con i secchi o con i tubi di cuoio delle pompe della nave di scorta.

Non potevamo reagire all'attacco perché gli arcieri erano piazzati troppo

in alto, al di fuori della portata dei nostri archi meno potenti. Quando

Remrem scese a terra con un contingente per stanarli, gli hyksos

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

401

bersagliarono i suoi uomini e li costrinsero a risalire sulle barche

infliggendogli pesanti perdite.

I vascelli che riuscivano a passare erano tutti sfregiati da profonde

bruciature. Molti altri furono meno fortunati: le fiamme sconfissero i secchi

e le pompe e li avvilupparono. Fu necessario sganciarli e lasciarli andare

alla deriva sulla corrente, causando un pandemonio nel resto della flotta che

avanzava nella strettoia. In molti casi riuscimmo a trarre in salvo equipaggi

e passeggeri prima che le fiamme diventassero indomabili, ma in qualche

caso arrivammo troppo tardi.

Le urla delle donne e dei bambini assediati dal fuoco mi gelavano il

sangue nelle vene. Mi rimarrà impressa per sempre un'immagine di quel

giorno terribile: una giovane donna che si tuffava dal ponte d'una chiatta

incendiata con i lunghi capelli inghirlandati dalle fiamme come da una

corona nuziale.

Alle Porte di Hapi perdemmo cinquanta navi. C'erano bandiere a lutto che

sventolavano su tutti gli alberi mentre proseguivamo verso Elefantina, ma

sembrava che gli hyksos si fossero sfiniti in quel lungo inseguimento verso

sud. Le nubi di polvere non deturpavano più il nostro orizzonte

settentrionale: avevamo una tregua per poter piangere i nostri morti e

riparare i vascelli.

Nessuno di noi, però, pensava che avessero rinunciato completamente. Il

fascino del tesoro del Faraone doveva essere irresistibile.

Il principe Memnone e io, confinati sul ponte della nave, passavamo

molto tempo sotto il tendone di poppa. Il bambino ascoltava avidamente le

mie storie e mi guardava disegnare e intagliare il primo modello di un

nuovo arco per il nostro esercito, ispirato al tipo ricurvo degli hyksos.

Memnone aveva ormai imparato il vecchio trucco di fare domande per

tenere concentrata su di lui la mia attenzione.

«Che cosa fai, Tata?»

«Un arco nuovo.»

«Si, ma perché?»

«Va bene, te lo dirò. Il nostro arco a curva unica, oltre ad avere meno

potenza, è troppo lungo perché sia possibile usarlo dai carri.» Memnone mi

ascoltava con aria molto seria. Fin da quando era piccolo non gli avevo

parlato come si fa con i bambini, e l'avevo sempre trattato come un adulto.

A volte non capiva, ma apprezzava comunque il suono della mia voce.

«Sono convinto che il nostro futuro stia nei cavalli e nei carri, e sono

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

402

sicuro che la tua altezza reale sia d'accordo con me.» Lo guardai. «Anche tu

ami i cavalli, no, Memnone?»

Questo lo capiva benissimo. «Si, soprattutto Pazienza e Lama», rispose

annuendo con energia.

Avevo già riempito tre rotoli con le osservazioni e i diagrammi per

l'utilizzazione di questi mezzi militari. Mi sarebbe piaciuto poterne

discutere con Tanus in modo approfondito, ma l'interesse del Grande Leone

d'Egitto per gli equini era rancoroso e superficiale.

«Fabbrica quelle cose maledette, se proprio devi, ma non continuare a

parlarne», mi diceva.

Il principe era un ascoltatore molto più attento, e mentre lavoravo,

sostenevamo lunghe discussioni che solo molto più tardi avrebbero dato il

loro frutto. Quale compagno, Memnone aveva sempre dato la preferenza a

Tanus, ma anch'io avevo un posto importante nel suo cuore, e

trascorrevamo insieme molte ore felici.

Era sempre stato un bambino eccezionalmente precoce e intelligente, e

sotto la mia influenza sviluppò quei doni assai più rapidamente di chiunque

altro avessi mai istruito, inclusa la mia padrona che alla stessa età non era

stata altrettanto pronta nell'apprendere.

Avevo fabbricato per Memnone un arco giocattolo del modello che stavo

studiando. Imparò a usarlo quasi perfettamente e riuscì ben presto a

scagliare le minuscole frecce attraverso la lunghezza del ponte, con grande

agitazione delle schiave e delle governanti che erano i suoi bersagli

preferiti. Nessuna di loro osava chinarsi quando il principe era armato

d'arco, e difficilmente egli mancava di colpire un paio di invitanti natiche

femminili a meno di venti passi.

Dopo l'arco il suo giocattolo preferito era il carro in miniatura che avevo

intagliato per lui. Avevo scolpito i cavalli e persino la figurina di un

guidatore che teneva le redini. Il principe chiamò Mem l'ometto, e Pazienza

e Lama i cavalli.

Si muoveva instancabilmente carponi sul ponte, spingeva il carro davanti

a sé, simulava i nitriti e gridava: «Avanti!» e «Ua!».

Anche se era piccolo, prestava sempre attenzione a quanto lo circondava.

I fulgidi occhi scuri si lasciavano sfuggire ben poco. Non rimasi sorpreso

quando fu il primo, a bordo del Soffio di Horus, a scorgere la strana figura

che stava sulla riva destra del fiume.

«Cavalli!» gridò. Poi, dopo un momento: «Guarda! Guarda! È Hui!».

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

403

Lo raggiunsi a prua e il mio cuore diede un balzo quando vidi che aveva

ragione. Hui, in groppa a Lama, scendeva sulla riva del fiume per venirci

incontro al galoppo.

«Hui è riuscito a portare i cavalli a Elefantina! Gli perdono tutti i peccati

e le stupidaggini. Ha salvato i miei cavalli.»

«Sono molto fiero di Hui», disse il principe solennemente, imitando le

mie parole e la mia intonazione con tanta esattezza che la regina e gli altri

presenti scoppiarono a ridere.

Quando arrivammo a Elefantina avemmo un po' di respiro. Non si

vedevano tracce dei carri degli inseguitori da tanti giorni che un ottimismo

nuovo si diffuse nella flotta e nella città. Molti uomini cominciarono a

parlare di rinunciare alla fuga verso sud e di rimanere lì, a valle delle

cataratte, per creare un esercito in grado di opporsi agli invasori.

Non permisi alla mia padrona di lasciarsi sedurre da tale spirito di fiducia

che aveva fondamenta tanto fragili. La convinsi invece che la visione dei

Labirinti ci aveva rivelato la strada giusta e che il nostro destino ci spingeva

ancora verso il sud.

Nel frattempo continuavo senza sosta i preparativi per il viaggio. Ormai,

credo, il fascino dell'avventura mi aveva conquistato ancora più della

necessità di sottrarci agli hyksos.

Volevo vedere che cosa c'era al di là delle cataratte: e la notte, dopo aver

passato la giornata a lavorare nel porto, sedevo fino a tardi nella biblioteca

del palazzo, a leggere i resoconti degli uomini che prima di me si erano

spinti nell'ignoto.

Scrivevano che il fiume non aveva fine e che scorreva fino all'estremità

della terra. Scrivevano che dopo la prima cataratta ve n'era un'altra ancora

più temibile, che uomini e navi non potevano superare. Affermavano che il

viaggio dalla prima cataratta alla seconda richiedeva un anno intero e che il

fiume continuava comunque il suo corso.

Io desideravo vederlo. Più d'ogni altra cosa al mondo volevo vedere

l'origine del grande fiume che era la nostra vita.

Una volta, quando mi addormentai sui rotoli alla luce della lampada,

sognai di nuovo la dea generosa seduta in vetta a una montagna, con i getti

d'acqua gemelli che le scaturivano dalla vagina. Sebbene avessi dormito

pochissimo mi svegliai all'alba riposato ed emozionato, e tornai subito al

porto a continuare i preparativi per il viaggio.

Era una fortuna che quasi tutte le corde usate nelle nostre navi venissero

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

404

intrecciate nelle fabbriche di vele d'Elefantina. Potevo quindi scegliere i

migliori cavi di lino. Alcuni avevano lo spessore di un dito, altri della mia

coscia. Ne riempii tutti gli spazi delle stive che non erano già colmi di

provviste. Sapevo che sarebbero stati indispensabili quando fossimo arrivati

alle cataratte.

Non fu sorprendente che lì a Elefantina si facessero conoscere quanti di

noi avevano cuore pavido e volontà vacillante. Le sofferenze della fuga da

Tebe avevano convinto molti di loro che gii hyksos fossero preferibili al

proseguimento del viaggio fra i roventi deserti meridionali dove li

attendevano uomini e belve ancora più feroci. Quando Tanus seppe che

tante migliaia di persone intendevano abbandonare la flotta, ruggì indignato.

«Maledetti traditori e rinnegati! So io come trattarli!» Ed espresse

l'intenzione di lanciare contro di loro i suoi armati per costringerli a

imbarcarsi.

All'inizio poté contare sull'appoggio della mia padrona, che era spinta da

motivazioni diverse dalle sue. Si preoccupava solo del bene dei suoi sudditi

e della sua promessa di non abbandonarli alla ferocia degli hyksos.

Dovetti trascorrere metà della notte a discutere con entrambi prima di

riuscire a convincerli che per noi sarebbe stato meglio liberarci dei

passeggeri restii.

Alla fine la regina Lostris emise un decreto: chiunque desiderava restare a

Elefantina poteva farlo. Tuttavia aggiunse un bel tocco personale al

proclama che venne letto dai banditori in ogni via della città e nel porto

dove stavano le nostre navi.

Io, la regina Lostris, reggente dell'Egitto e madre del principe Memnone

erede della corona doppia, faccio al popolo di questa terra una promessa

solenne.

Giuro di fronte agli dei e li chiamo a testimoni. Vi giuro che alla

maggiore età del principe tornerò con lui nella città di Elefantina, lo

innalzerò sul trono d'Egitto e gli cingerò la fronte con la corona doppia

affinché possa scacciare gli oppressori e regnare su di voi con giustizia e

misericordia per tutti i giorni della sua vita.

Cosi ha parlato la regina Lostris, reggente dell'Egitto.

L'annuncio centuplicò l'affetto e la devozione della gente comune per la

mia padrona e il principe. Non credo che in tutta la nostra storia vi fosse mai

stato un regnante benvoluto quanto lei.

Quando furono pronti gli elenchi di coloro che sarebbero venuti con noi

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

405

oltre le cataratte, non mi sorpresi nel vedere che includevano quasi tutti

coloro che più apprezzavamo per la fedeltà e le capacità.

Fummo ben lieti di liberarci di quanti preferivano restare a Elefantina, tra

i quali c'erano quasi tutti i sacerdoti. Il tempo, però, avrebbe dimostrato che

quelli rimasti a Elefantina ci sarebbero stati molto utili. Durante gli anni

solitari dell'esodo, infatti, ci inviarono regolarmente notizie della situazione.

Cosa ancora più importante, costoro tennero accesa la fiamma nel cuore del

popolo con il ricordo del principe Memnone e della promessa della regina

Lostris.

Gradualmente, durante i lunghi anni dolorosi della tirannia degli hyksos,

la leggenda del ritorno del principe si diffuse nei due regni. Alla fine tutto il

popolo egizio, dalla prima cataratta alle sette foci del Nilo nel grande Delta,

credette nel suo ritorno e l'invocò nelle preghiere.

Hui teneva i miei cavalli nei campi della riva occidentale, ai piedi delle

dune color arancio in riva al fiume. Il principe e io vi andavamo ogni

giorno; e sebbene diventasse sempre più pesante, Memnone voleva salirmi

sulle spalle per vedere meglio la mandria.

Ormai conosceva per nome tutti i suoi prediletti e Pazienza e Lama

venivano a mangiare le focacce di grano nella sua mano quando li

chiamava. La prima volta che la cavalcò senza che io lo sostenessi,

Pazienza fu docile con lui quanto lo era con il suo puledro, e il principe

gridò per la gioia di poter galoppare tutto solo intorno al campo.

Hui aveva imparato molte cose sulla gestione della mandria durante la

marcia; e sfruttammo queste conoscenze per pianificare nei minimi

particolari la tappa successiva del viaggio.

Spiegai a Hui, inoltre, il ruolo che volevo venisse svolto dai cavalli nel

superamento delle cataratte, e affidai a lui, ai cavalieri e agli stallieri il

compito di preparare i finimenti adatti.

Alla prima occasione Tanus e io risalimmo un tratto del fiume per una

ricognizione della cataratta. L'acqua era così bassa che tutte le isole erano

scoperte, e i canali erano così poco profondi che in certi punti un uomo

poteva passare a guado senza che l'acqua gli coprisse la testa.

Le cataratte si estendevano per un tratto molto lungo, in un'immensa

confusione di lucidi massi di granito levigati dall'acqua e di correnti

serpentine che li aggiravano.

Persino io mi sentivo scoraggiato di fronte al compito che ci attendeva

mentre Tanus ne parlava con la solita, brutale franchezza.

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

406

«Non riuscirai a far passare neppure un barchino senza sventrarlo. Come

farai con una nave a pieno carico? La trasporterai sulla groppa d'uno dei

tuoi maledetti cavalli?» Rideva, ma senza allegria.

Ripartimmo per Elefantina; ancora prima di arrivare alla città avevo

concluso che l'unico modo per proseguire consisteva nell'abbandonare le

navi e procedere per via di terra. Era difficile immaginare i disagi e i

problemi che questa decisione ci avrebbe causato. Prevedevo tuttavia che

avremmo potuto ricostruire la flotta sulle rive del fiume al di là delle

cataratte.

Quando tornammo al palazzo sull'isola Elefantina, Tanus e io andammo

subito nella sala delle udienze per fare il nostro rapporto alla regina.

Lostris ci ascoltò con attenzione, e alla fine scrollò la testa.

«Non credo che la dea ci abbia abbandonato così presto.» Poi ci condusse

con tutta la corte al tempio di Hapi, all'estremità meridionale dell'isola.

Fece un sacrificio generoso, e noi pregammo per tutta la notte chiedendo

ad Hapi di guidarci. Non penso che il favore degli dei si possa acquistare

tagliando la gola a qualche capra o posando grappoli d'uva su un altare di

pietra; comunque pregai con tutto il fervore di un sommo sacerdote anche

se all'alba avevo le natiche intormentite dalla lunga veglia sulla panca di

pietra.

Appena i primi raggi del sole penetrarono nel sacrario e illuminarono

l'altare, la mia padrona mi mandò nella galleria del nilometro. Prima di

arrivare in fondo mi trovai l'acqua alle caviglie.

Hapi aveva ascoltato le nostre preghiere. Il livello del Nilo stava

cominciando a crescere con diverse settimane di anticipo.

Il giorno dopo che le acque incominciarono a salire, una delle nostre navi

veloci che Tanus aveva lasciato a spiare i movimenti degli hyksos arrivò da

valle sulle ali del vento.

Gli hyksos s'erano rimessi in marcia. Entro una settimana sarebbero

arrivati a Elefantina.

Tanus parti immediatamente con il grosso delle sue forze per preparare la

difesa delle cataratte, e lasciò a me e al nobile Merseket il compito di far

imbarcare i nostri.

Riuscii a staccare il nobile Merseket dalla giovanissima moglie il tempo

sufficiente per fargli firmare gli ordini che avevo preparato. Questa volta

riuscimmo a evitare il panico e la confusione che ci avevano ostacolato a

Tebe, e la flotta si preparò a salpare in buon ordine per le cataratte.

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

407

Cinquantamila egizi si schierarono sulle due rive del fiume, e piansero e

cantarono inni ad Hapi e sventolarono fronde di palma per salutarci.

La regina Lostris era a prua del Soffio di Horus con il principino al

fianco, e tutti e due risposero al saluto della folla mentre procedevamo

lentamente verso monte. A ventun anni la mia padrona era al culmine della

sua bellezza, e quanti la guardavano erano colpiti da una reverenza

religiosa.

E la stessa bellezza si rispecchiava nel volto del bambino che, al suo

fianco, stringeva con decisione lo scettro uncinato e il flagello dei re egizi.

«Ritorneremo», gridava la mia padrona, e il principe le faceva eco.

«Torneremo. Aspettateci. Torneremo.»

La leggenda che avrebbe sostenuto nei tempi più bui la nostra terra

martoriata e oppressa nacque quel giorno sulle rive del fiume. Quando

arrivammo alla cataratta, a mezzogiorno dell'indomani, la gola costellata di

macigni s'era trasformata in una verde discesa d'acqua precipitosa che in

certi punti ribolliva e rombava e spumeggiava ma non aveva ancora

scatenato tutta la sua forza terribile.

Era il momento più favorevole alla nostra impresa nel ciclo vitale del

fiume. Le acque erano abbastanza alte per permettere che le navi passassero

senza arenarsi nelle secche, e nel contempo la piena non era ancora così

rabbiosa da scagliarle a sfracellarsi sui gradini di granito.

Tanus comandava personalmente le navi, mentre Hui e io, ufficialmente

al comando del nobile Merseket, dirigevamo le forze a terra. Sistemai il

bravo vecchio, con una grossa anfora di vino squisito da una parte e la

graziosa mogliettina sedicenne dall'altra, sotto una tettoia di paglia in un

punto soprelevato. Ignorai gli ordini confusi e contraddittori che il

dignitario ci mandò di tanto in tanto durante i giorni seguenti. E così ci

accingemmo a superare la prima cataratta.

Sulla riva furono disposti i cavi di lino più robusti, e i cavalli furono

imbragati a gruppi di dieci. Scoprimmo ben presto che potevamo far

avanzare dieci squadre per volta, cento cavalli in tutto, e agganciarli alle

corde da traino. Sarebbe stato impossibile usarne di più.

Oltre ai cavalli avevamo quasi duemila uomini che manovravano i cavi

secondari e quelli guida. Uomini e cavalli venivano sostituiti ogni ora, in

modo da poter disporre di squadre sempre fresche.

A ogni svolta pericolosa del fiume piazzammo altre squadre sulla riva e

sulle isole di granito. Tutti erano armati di lunghe pertiche per allontanare

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

408

gli scafi dalle rocce.

I nostri uomini erano nati sulle rive del fiume e conoscevano le

imbarcazioni e gli umori del Nilo meglio di quanto conoscessero le loro

mogli. Tanus e io studiammo un sistema di segnali per mezzo di corni fra le

navi e le squadre a terra, e le cose funzionarono addirittura meglio di quanto

avessi sperato.

A bordo dei vascelli, anche i marinai erano armati di pertiche per spingere

ed evitare urti. Cantavano le antiche canzoni del fiume mentre lavoravano.

Il Soffio di Horus fu la prima nave che compi il tentativo.

I canti dei marmai e le grida degli uomini che manovravano i cavalli si

mescolavano al rombo sordo delle acque mentre rimorchiavamo la nave,

spingendo la prua nella prima rapida relativamente tranquilla.

L'acqua verde si ammassò contro la prua, ma la pressione non bastò a

vincere la nostra decisione e la forza di duemila uomini e cento cavalli.

Trascinammo il Soffio di Horus su per la prima rapida e prorompemmo

in acclamazioni quando finalmente scivolò in un tratto profondo.

Ma eravamo soltanto agli inizi. Cambiammo gli uomini e i cavalli e

trascinammo la nave in un altro tratto d'acqua turbinoso dove le rocce

spuntavano come teste di ippopotami giganteschi pronti a dilaniare il suo

fragile fasciame con zanne di granito.

Dovevamo superare migliaia e migliaia di passi di rapide infernali, dove

la morte e il disastro erano in agguato dietro ogni macigno; ma le corde

reggevano e gli uomini e i cavalli continuavano ad avanzare alternandosi.

La mia padrona procedeva a piedi lungo la riva a fianco delle squadre.

Era fresca come un fiore nonostante il sole rovente, e la sua risata e le sue

parole amabili incoraggiavano gli uomini. Cantava con loro, e io mi

associavo nei ritornelli. Inventavamo via via parole nuove. Gli uomini

ridevano dei versi maliziosi e tiravano le funi con rinnovata energia.

Il principe Memnone era in groppa a Lama, nella prima squadra dei

cavalli. Hui aveva legato una corda intorno al petto del cavallo in modo che

il bambino potesse aggrapparsi, perché Memnone aveva le gambe ancora

troppo corte per tenersi ben saldo: sporgevano ai lati della groppa

dell'animale, mentre il principe salutava con orgoglio il padre che stava sul

ponte della nave.

Quando finalmente giungemmo nel corso imperturbato del grande fiume

a monte delle rapide, il canto dei marinai si trasformò in un inno di lode ad

Hapi che ci aveva aiutati.

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

409

La mia padrona ritornò a bordo e chiamò il capomastro per ordinargli di

ricavare un obelisco dal granito della gola. Mentre noi ci adoperavamo per

far passare il resto della fiotta, gli scalpellini si misero all'opera per ricavare

una lunga colonna di pietra screziata dalle rupi scoscese.

Quando l'ebbero liberata dalla matrice vi scolpirono le parole dettate dalla

mia padrona, con il suo nome e quello del principe racchiusi nei cartigli

reali. Mentre procedevamo e superavamo le cataratte diventavamo via via

sempre più esperti.

C'era voluto un giorno intero per portare il Soffio di Horus oltre le rapide.

Entro la fine della settimana successiva riuscimmo a compiere la traversata

in metà tempo; avevamo contemporaneamente cinque o sei vascelli nella

gola. Sembrava quasi una processione reale, con una nave che saliva dietro

l'altra. In ogni dato momento erano all'opera diecimila uomini e quasi mille

cavalli.

C'erano più di cento navi ormeggiate lungo la riva di un tratto tranquillo e

profondo del Nilo a monte delle rapide quando gli hyksos piombarono

nuovamente su di noi.

Il re Salitis s'era attardato a saccheggiare Elefantina e non si era accorto

immediatamente che avevamo continuato a risalire il fiume portando nella

stiva delle navi la parte più consistente del tesoro del Faraone.

Tutto ciò che sapeva del fiume, tutto ciò che le sue spie e il nobile Intef

avevano potuto dirgli sull'argomento, lo aveva convinto che le cataratte

fossero una barriera insuperabile: perciò aveva sprecato tutto quel tempo

nella città di Elefantina prima di riprendere l'inseguimento.

Aveva saccheggiato la città e il palazzo sull'isola, aveva pagato gli

informatori e torturato i prigionieri per sapere dove erano finiti il tesoro e il

principe. I cittadini di Elefantina avevano servito onorevolmente il principe

Memnone. Avevano resistito agli hyksos per lasciare alla nostra flotta la

possibilità di superare la cataratta.

Naturalmente questo non poteva durare all'infinito: alla fine qualche

sventurato aveva ceduto alle torture. Allora il re Salitis aveva fatto

aggiogare di nuovo i suoi cavalli e ci aveva inseguiti nella

gola delle cataratte.

Tanus, però, era pronto a riceverlo. Secondo i suoi ordini, Kratas,

Remrem e Astes avevano provveduto a tutto. Ognuno degli uomini che non

era impegnato a rimorchiare le navi nella gola veniva mandato a difenderla.

Il nostro migliore alleato era il terreno. La gola era profonda e rocciosa, il

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

410

sentiero lungo la riva stretto e tortuoso. A ogni svolta del fiume

s'innalzavano strapiombi e rupi crivellate di grotte, ognuno dei quali era per

noi un'utile fortezza naturale.

I carri erano nell'impossibilità di manovrare entro i confini della gola: non

potevano allontanarsi dal fiume e aggirarla passando dal deserto, dove non

c'era acqua né foraggio per i cavalli, e il suolo era infido. I carri pesanti

sarebbero sprofondati in modo irrecuperabile prima di poter raggiungere di

nuovo il fiume. Non avevano alternative: erano costretti a muovere contro

di noi in fila per uno lungo la riva.

Kratas, intanto, aveva avuto il tempo di migliorare le difese naturali del

terreno costruendo barriere di pietre nei punti più propizi. Piazzò gii arcieri

sulle rupi sopra questi ostacoli, e preparò frane artificiali al di sopra del

sentiero.

Quando l'avanguardia degli hyksos avanzò nella gola, fu accolta da una

grandinata di frecce che piovevano dalle ridotte fortificate. Poi, quando

smontarono dai carri e avanzarono a piedi per smantellare le barriere di

pietre erette attraverso il percorso, Kratas gridò un ordine e i suoi tolsero i

cunei che bloccavano le frane sul ciglio del precipizio.

Le pietre rotolarono addosso agli hyksos e trascinarono uomini, cavalli e

carri nelle acque verdi e turbinose del Nilo. Io, che ero sulla rupe con

Kratas, vidi le teste che roteavano nelle rapide e sentivo echeggiare fra le

pareti di roccia le fievoli grida disperate: poi il peso delle corazze li faceva

sprofondare e il fiume li sommergeva.

Il re Salitis era tenace. Mandò altri uomini a sgombrare il sentiero, e altri

ancora ad arrampicarsi sulle rupi per scacciare i nostri.

Subirono perdite tremende, diversamente da noi. Quando scalarono i

precipizi, appesantiti dalle corazze bronzee, li bersagliammo con le frecce;

quindi, prima che potessero raggiungere le nostre posizioni,

Kratas ordinò ai nostri di ripiegare nelle fortificazioni già predisposte.

Questo scontro poteva avere un solo esito. Prima di giungere a metà della

gola, il re Salitis fu costretto a rinunciare all'inseguimento.

Tanus e Lostris erano con noi sull'alto di una rupe quando gli hyksos

incominciarono la ritirata. Lasciarono il sentiero ingombro dei rottami dei

carri, gli equipaggiamenti che non potevano portare con sé e le

testimonianze della loro sconfitta.

«Suonate le trombe!» ordinò Tanus. Nella gola riverberò una fanfara

irridente che salutò la ritirata dei nemici. L'ultimo carro fu quello dorato e

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

411

scolpito del re. Anche da quella distanza potevamo riconoscere l'alta figura

selvaggia di Salitis, con l'elmo bronzeo e la capigliatura nera che sventolava

dietro le spalle. Alzò l'arco che stringeva nella destra e l'agitò

minacciosamente. La sua espressione era stravolta dalla frustrazione e dalia

rabbia.

Lo seguimmo con lo sguardo fino a quando non scomparve. Poi Tanus

mandò i nostri esploratori a spiare gli hyksos lungo il percorso fino a

Elefantina, nell'eventualità che si trattasse di un tranello, una falsa ritirata.

In cuor mio, però, sapevo che non sarebbero tornati a perseguitarci. Hapi

aveva mantenuto la promessa e ci aveva offerto ancora una volta la sua

protezione.

Poi tornammo indietro, percorremmo la pista aperta dalle capre selvatiche

lungo il precipizio, e raggiungemmo la flotta.

Gli scalpellini avevano terminato l'obelisco, un ago massiccio di granito

alto tre volte un uomo. Io avevo disegnato le proporzioni e la forma sulla

roccia prima che i tagliatori incominciassero a lavorare.

Di conseguenza, le linee del monumento erano così eleganti e piacevoli

che sembrò assai più alto di quanto fosse in realtà, quando fu collocato in

cima alla rupe, sopra l'ultimo tratto della cataratta che era stata la scena del

nostro trionfo.

Tutti i nostri accorsero ad assistere quando la regina Lostris lo consacrò

alla dea del fiume.

Lesse l'iscrizione che gli scalpellini avevano inciso sulla pietra levigata.

Io, la regina Lostris, reggente dell'Egitto e vedova del Faraone Marnose,

ottavo di questo nome, madre del principe ereditario Memnone che

governerà i due regni dopo di me, ho ordinato d'innalzare questo

monumento.

Questo è il segno e il patto della mia promessa al popolo dell'Egitto:

ritornerò dal deserto nel quale i barbari mi hanno costretta a rifugiarmi.

Questo monumento è stato collocato qui nel primo anno del mio regno,

milietrecentoquarantasei anni dopo la costruzione della grande piramide del

Faraone Cheope.

Che questa pietra rimanga inamovibile come la piramide, fino a quando

non manterrò la promessa di ritornare.

Poi, alia presenza di tutti, mise S'Oro del Valore al collo di Tanus, Kratas,

Remrem e Astes, gli eroi che avevano reso possibile il superamento della

cataratta.

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

412

Infine mi chiamò e quando m'inginocchiai ai suoi piedi mormorò in modo

che io solo potessi sentire:

«Come potrei dimenticarti, mio caro e fedele Taita? Non saremmo

arrivati fin qui senza il tuo aiuto». Mi accarezzò lievemente la guancia. «So

che ami questi graziosi monili.»

Mi mise al collo l'Oro del Valore: quando più tardi lo pesai vidi che era

trenta deben, cinque deben in più della catena accordatami dal Faraone.

Quando ridiscendemmo nella gola, mi avviai al suo fianco per reggerle il

parasole di piume di struzzo, e Lostris mi sorrise di nuovo. Ogni suo sorriso

era per me più prezioso della decorazione.

L'indomani mattina risalimmo a bordo del Soffio di Horus e puntammo la

prua verso il sud. Era incominciato il lungo viaggio.

Scoprimmo che il fiume aveva cambiato aspetto e carattere. Non era più

la presenza ampia e serena che ci aveva confortati e sostentati per tutta la

nostra vita. Era più severo e selvaggio, e nel suo spirito c'era poca

gentilezza. Era anche più stretto e profondo. Il terreno era più scosceso e

accidentato, e le gole e i canaloni erano scavati in modo crudo nel suolo

aspro. Le rupi scure e minacciose sembravano osservarci con un fiero

cipiglio.

In alcuni tratti la fascia di bassopiano lungo le rive si restringeva al punto

che cavalli, bovini e pecore dovevano passare a uno a uno lungo la pista

aperta dalle capre selvatiche fra i dirupi e l'acqua. In altri tratti anche la pista

scompariva: là dove le alture si spingevano audacemente sin nel flusso del

Nilo, i nostri animali non potevano più avanzare. Allora Hui era costretto a

farli immergere nel fiume perché lo attraversassero a nuoto e

raggiungessero la sponda opposta, dove i precipizi erano più lontani e

permettevano il passaggio.

Le settimane trascorrevano e noi vedevamo ben pochi segni della

presenza umana. Una volta i nostri esploratori trovarono lo scafo roso dai

vermi di una canoa rudimentale, arenato su un banco di sabbia, e lungo la

riva un gruppo abbandonato di capanne. I tetti traballanti erano di canne, i

lati aperti. C'erano i resti di tralicci usati per affumicare i pesci e le ceneri

dei fuochi, ma era tutto. Non c'era un coccio o una perlina che potessero

aiutarci a capire chi fosse quella gente.

Eravamo ansiosi di stabilire un primo contatto con le tribù di Cush,

perché avevamo bisogno di schiavi. La nostra civiltà era fondata sugli

schiavi, e avevamo potuto portarne pochissimi dall'Egitto. Tanus mandò gli

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

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esploratori a precedere la flotta, in modo che fossimo preavvertiti della

presenza di abitati umani per poter organizzare la cattura. Non vedevo

alcuna contraddizione nel fatto che io, pur essendo schiavo, dedicassi tanto

tempo e tanto ingegno a predisporre tale attività.

La ricchezza si può contare in quattro categorie: terra e oro, schiavi e

avorio. Pensavamo che il Paese davanti a noi fosse ricco di tutto questo. Se

volevamo diventare abbastanza forti per ritornare e scacciare gli hyksos

dall'Egitto, dovevamo scoprire questa ricchezza nel territorio inesplorato

che stavamo attraversando.

La regina Lostris mandò i cercatori d'oro fra le colline lungo il fiume, e

quelli si arrampicavano nelle gole e nei canaloni prosciugati, e scavavano in

tutti i punti più promettenti, scalpellando frammenti dalle vene scoperte di

quarzo e scisto. Quindi li riducevano in polvere e li lavoravano in piatti di

coccio, sempre nella speranza di vedere sul fondo il brillio delle particelle di

metallo prezioso.

I cacciatori reali andavano con loro in cerca di selvaggina per sfamare le

nostre moltitudini, e dei primi segni della presenza delle enormi bestie

grigie dalle zanne d'avorio. Chiesi ai marinai se qualcuno di loro avesse

visto un elefante vivo o anche morto. Sebbene le zanne fossero oggetto di

regolare commercio in tutto il mondo civile, non c'era un solo uomo in

grado di aiutarmi. Provavo un'emozione strana e inspiegabile al pensiero del

futuro primo incontro con quelle bestie favolose.

C'era una quantità di altri esseri che abitavano il territorio selvaggio:

alcuni ci erano familiari, altri completamente sconosciuti.

In ogni luogo in cui c'erano canneti lungo le rive trovavamo branchi di

ippopotami che stavano nell'acqua poco profonda come macigni di granito.

Dopo un lungo e dotto dibattito teologico non era stato possibile stabilire se

le bestie che vivevano a monte della cataratta appartenessero alla dea come

quelle che stavano a valle, o se si trattava di selvaggina reale, come tale

spettante alla corona. I sacerdoti di Hapi sostenevano la prima tesi, mentre

tutti noi, che apprezzavamo molto la carne grassa e tenera degli ippopotami,

eravamo dell'opinione opposta.

Per puro caso la dea Hapi decise di apparirmi in uno dei miei famosi

sogni. La vidi sorgere dalle acque verdi, sorridere benevolmente e porre

nella mano della mia padrona un ippopotamo non più grande d'una pernice.

Appena mi svegliai, mi affrettai a riferire alla reggente quella strana visione.

Ormai i miei sogni e le mie divinazioni erano accettati dalla regina e quindi

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

414

da tutti quali manifestazioni della volontà divina.

Quella sera banchettammo con le deliziose bistecche dei bovi di fiume

cucinate alla brace sulla riva sabbiosa dove erano ormeggiate le nostre navi.

La popolarità di cui già godevo fu ingigantita dal sogno. Soltanto i

sacerdoti di Hapi non si lasciarono coinvolgere nel generale sentimento

d'affetto nei miei confronti.

Il fiume brulicava di pesci. A valle della cataratta il nostro popolo aveva

pescato per mille anni o più, ma queste acque non erano mai state toccate

dall'uomo e dalle sue reti. Prendevamo lucenti persici azzurri che pesavano

quanto un uomo grasso; e c'erano pescigatti enormi dai lunghi baffi, troppo

forti perché fosse possibile catturarli con le reti. Con un guizzo delle code

potenti laceravano i fili di lino come se fossero ragnatele fragili. I nostri li

cacciavano nelle secche con le lance, come se fossero bovi acquatici. Uno

di quei giganti poteva sfamare cinquanta uomini con la ricca carne gialla

che faceva sgocciolare il grasso sul fuoco.

Fra le rupi che sovrastavano il fiume c'erano i nidi delle aquile e degli

avvoltoi: visti dal basso sembravano masse di fuscelli gettati a riva dalla

corrente, e lo sterco dei grandi uccelli colorava le rocce sottostanti con

striature bianche. I rapaci volteggiavano sopra di noi sulle ali spiegate,

planando sull'aria calda che saliva dalle rocce nere della gola.

Dall'alto, i branchi di capre selvatiche ci guardavano passare con aria di

maestà sdegnosa. Tanus andava a cacciarle lassù, ma passarono molte

settimane prima che riuscisse a prenderne una.

Avevano la vista acuta degli avvoltoi e l'agilità delle lucertole a testa

azzurra, ed erano capaci di arrampicarsi senza sforzo su una parete verticale

di granito.

Un vecchio maschio era alto quanto la spalla d'un uomo, e la barba

scendeva dal mento sino a sfiorare la roccia su cui era posato. Le corna

erano poderose e avvolte su se stesse.

Tanus riuscì finalmente ad abbatterlo con una freccia scagliata attraverso

una gola profonda cento passi, da una vetta all'altra. Il capro precipitò

roteando nell'abisso e fini sulle rocce sottostanti.

Dato il mio interesse appassionato per la fauna selvatica, dopo aver

scuoiato la carcassa Tanus mi portò la testa e le corna. Dovette usare tutta la

sua forza per portar giù quel carico scendendo dalie cime. Pulii e sbiancai il

cranio e io piazzai come polena sulla prua della nostra nave. E

proseguimmo verso l'ignoto.

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

415

I mesi passarono e il fiume incominciò ad abbassarsi alla fine

dell'inondazione. Quando transitavamo fra i promontori rocciosi, vedevamo

l'altezza del fiume misurata sulle pareti sopra cui tutte le piene precedenti

avevano lasciato il segno.

La notte Memnone e io restavamo sul ponte fino a quando lo permetteva

la mia padrona, e studiavamo insieme le stelle che illuminavano il cielo d'un

chiarore latteo. Gli insegnavo i nomi e la natura di quei punti luminosi e gli

spiegavo come influivano sui destino di ogni uomo. Con l'osservazione dei

corpi celesti potei accertare che il fiume non ci portava più direttamente

verso sud, e che stavamo deviando verso ponente.

«Il Nilo ci guida ai prati del paradiso», sostenevano i sacerdoti di Osiride

e Ammon-Ra.

«È un'astuzia di Seth, che mira a confonderci», dichiaravano i sacerdoti di

Hapi che fino a quel momento avevano esercitato un'influenza fin troppo

grande nei nostri consigli. La regina Lostris era figlia della loro dea, e tutti o

quasi riconoscevano in Hapi la protettrice della nostra spedizione. I

sacerdoti erano irritati nel vedere la loro posizione indebolita da quelle

capricciose evoluzioni del fiume.

«Presto volgerà di nuovo a sud», promettevano. Mi scandalizza sempre

vedere in qual modo uomini privi di scrupoli manipolano il volere degli dei

per farlo coincidere con il proprio.

Comunque, prima che la questione venisse risolta, arrivammo alla

seconda cataratta.

Nessun uomo civile si era mai avventurato oltre. Quando esplorammo la

cataratta ne scoprimmo la ragione. Le rapide erano assai più vaste e temibili

di quelle che avevamo superato.

Per un'area enorme il corso del Nilo era diviso da numerose isole grandi e

da centinaia di altre più piccole. L'acqua era bassa, e in molti punti il letto

del fiume era scoperto. Un labirinto di canali costellati di rocce si estendeva

per migliaia e migliaia di passi davanti a noi. Eravamo alquanto intimoriti

da quella grandiosità minacciosa.

«Come possiamo sapere che non vi sia tutta una successione di

cataratte?» si chiedevano coloro che si lasciavano scoraggiare facilmente.

«Esauriremo le nostre forze e finiremo per trovarci intrappolati fra le rapide

senza poter più avanzare né ritirarci... Dovremmo tornare indietro adesso,

prima che sia troppo tardi», concludevano.

«Andremo avanti», decise la mia padrona. «Coloro che vogliono tornare

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

416

indietro sono liberi di farlo. Ma non avranno vascelli per viaggiare, né

cavalli per trainarli. Torneranno da soli, e sono certa che gli hyksos li

accoglieranno a braccia aperte.»

Nessuno accettò la proposta. Scesero invece a terra sulle isole fertili che

strozzavano il corso del fiume.

Gli spruzzi delle rapide durante le inondazioni e l'acqua che filtrava nel

terreno durante il periodo di magra avevano trasformato quelle isole in

foreste verdeggianti che contrastavano nettamente con i terribili deserti sulle

due sponde. Nati dai semi che le acque avevano portato dai confini del

mondo, alberi altissimi che nessuno di noi aveva mai visto crescevano nel

limo deposto dal Nilo sulla base di granito.

Non potevamo tentare di superare quelle rapide prima della prossima

inondazione che ci avrebbe dato il necessario livello d'acqua. E dovevamo

attendere ancora molti mesi.

I nostri contadini scesero a terra e diboscarono per piantare le sementi che

avevamo portato con noi. In pochi giorni spuntarono i germogli, che nella

luce calda del sole crebbero in fretta. Qualche mese più tardi la durra fu

pronta per il raccolto; e noi mangiavamo di gusto la frutta e le verdure di cui

avevamo sentito la mancanza dopo la partenza dall'Egitto. I nostri smisero

di lamentarsi.

Per la verità quelle isole erano così belle e fertili che alcuni cominciarono

a parlare di stabilirvisi definitivamente. Una delegazione di sacerdoti di

Ammon-Ra si presentò alla regina e chiese il permesso di costruire un

tempio del loro dio su una delle isole. La mia padrona rispose:

«Noi siamo viaggiatori, e un giorno ritorneremo in Egitto. L'ho promesso

al mio popolo. Non costruiamo templi o altri insediamenti. Fino a quando

non torneremo in Egitto vivremo come i beduini, nelle tende e nelle

capanne».

Avevo a disposizione il legname degli alberi che avevamo abbattuto sulle

isole. Potei usarlo per fare esperimenti e studiarne le proprietà. Presi dunque

un'acacia dal legno forte ed elastico, il materiale migliore per le ruote dei

miei carri, e misi al lavoro i carpentieri e i tessitori perché rimontassero i

carri che avevamo portato con noi e ne costruissero di nuovi con il legname

e i bambù forniti dalle isole.

I bassipiani erano ampi per migliaia e migliaia di passi sulla riva destra, a

valle della cataratta, e ben presto gli squadroni dei nostri carri cominciarono

a manovrare su quelle pianure. I raggi delle ruote si rompevano ancora nelle

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

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condizioni difficili, ma con minore frequenza di prima. Riuscii a convincere

Tanus a risalire su un carro, anche se mi impose di mettermi alia guida.

Nel contempo riuscii a completare il primo arco curvo sul quale avevo

lavorato fin dalla partenza da Elefantina. Era di materiali compositi come

Lanata: legno, avorio e corno. Ma la forma era diversa. Quando la corda

non era fissata, la parte superiore e quella inferiore s'incurvavano verso

l'esterno. Solo quando si fissava la corda, le due estremità si piegavano

all'indietro nella forma consueta; ma la tensione si moltiplicava in misura

sproporzionata rispetto alla lunghezza ridotta.

Tanus cedette alle mie insistenze e acconsenti a tirar con l'arco contro una

serie di bersagli che avevo eretto sulla riva orientale. Scagliò venti frecce e

non fece molti commenti; ma vedevo che era sbalordito dalla precisione e

dalla gittata. Conoscevo molto bene Tanus, che era conservatore fino al

midollo delle ossa. Lanata era il suo primo amore... l'arco come la donna.

Sapevo che per lui sarebbe stato uno strazio riconoscere un amore nuovo,

perciò non mi ostinai a chiedere il suo parere e gli lasciai il tempo di

decidere.

I nostri esploratori vennero a segnalare una migrazione di orici che

provenivano dal deserto. Avevamo visto diversi piccoli branchi di questi

animali magnifici dopo aver superato la prima cataratta.

Di solito pascolavano sulla riva del fiume, ma fuggivano all'avvicinarsi

delle navi. Quello segnalato dagli esploratori era un movimento che si

verificava raramente: io l'avevo visto una sola volta. Quando nel deserto

scoppiava un temporale, in media ogni vent'anni, l'erba verde che spuntava

dal suolo bagnato attirava i branchi da distanze enormi. Cosi, mentre

avanzavano verso i nuovi pascoli, i branchi si amalgamavano in un unico

movimento massiccio attraverso il deserto. Era ciò che stava accadendo ora,

e ci offriva la possibilità di cambiare dieta e di collaudare i nostri carri.

Per la prima volta Tanus manifestò un interesse autentico per i carri,

perché poteva usarli per inseguire la selvaggina. Quando salì sulla pedana

vidi che aveva appeso alla rastrelliera il nuovo arco ricurvo anziché il fedele

Lanata. Non dissi una parola ma incitai i cavalli e li diressi verso il varco fra

le colline che ci permetteva di uscire dalla stretta valle del Nilo e di

avventurarci nel deserto.

Lo squadrone era formato da cinquanta carri, seguiti da una dozzina di

veicoli più pesanti con le ruote piene che trasportavano foraggio e acqua

sufficienti per cinque giorni. Procedevamo in colonna con i carri affiancati a

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

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due a due a una distanza di tre lunghezze: una formazione che avevamo

messo a punto per i viaggi.

Per ridurre al minimo il peso indossavamo soltanto i perizomi, e tutti gli

uomini erano in condizioni fisiche superbe per i lunghi mesi passati ai remi.

Le loro figure muscolose e unte d'olio splendevano nel sole come quelle di

giovani dei. Ogni carro portava un gagliardetto colorato che permetteva di

riconoscerlo, fissato a una canna di bambù. Offrivamo uno spettacolo

magnifico mentre salivamo la pista aperta dalle capre fra le colline. Quando

mi voltavo a guardare la colonna mi sentivo impressionato, sebbene non

fossi mai stato un soldato.

A quel tempo non mi rendevo conto della verità, ma gli hyksos e l'esodo

avevano imposto alla nazione un nuovo spirito militare. Eravamo stati una

razza di eruditi, di commercianti e sacerdoti: ma ora che la regina Lostris

era decisa a cacciare il tiranno e che Tanus ci guidava stavamo diventando

in fretta un popolo bellicoso.

Quando superammo la cresta delle colline e ci trovammo di fronte al

deserto, una figura minuscola usci dall'ultimo mucchio di rocce dov'era

rimasta in agguato.

«Ua!» gridai, trattenendo i cavalli. «Che cosa ci fai qui, tanto lontano

dalle navi?»

Non avevo visto il principe dalla sera prima, e avevo pensato che fosse al

sicuro con le governanti. Era una vera sorpresa trovarlo al margine del

deserto, e avevo un tono indignato. A quel tempo non aveva ancora sei anni,

ma portava in spalla l'arco giocattolo e aveva un'espressione decisa simile a

quella del padre quando era dell'umore più intrattabile.

«Vengo a caccia con voi», annunciò Memnone.

«No», ribattei. «Ti rimando subito da tua madre. Lei sa cosa fare con i

bambini che scappano dal campo senza dir niente ai loro istitutori.»

«Sono il principe ereditario dell'Egitto», disse Memnone, ma nonostante

quell'affermazione baldanzosa gli tremavano le labbra. «Nessuno può

proibirmi nulla. Ho il diritto e il dovere di guidare il mio popolo nel

momento del bisogno.»

Ci eravamo spinti su un terreno pericoloso. Il principe conosceva i suoi

diritti e le sue responsabilità, ed ero stato io a insegnarglieli. Ma per la

verità non mi aspettavo che li esercitasse tanto presto. Ne aveva fatto una

questione di protocollo, ed era difficile o addirittura impossibile discutere

con lui. Cercai disperatamente una via d'uscita.

Wilbur Smith - Il Dio Del Fiume

419

«Perché non me l'hai chiesto prima?» Volevo solo guadagnare tempo.

«Perché l'avresti raccontato a mia madre», rispose con molta schiettezza.

«E lei ti avrebbe dato ragione come al solito.»

«Posso andare comunque dalla regina», dissi in tono minaccioso, ma

Memnone si voltò a guardare la valle dove le navi sembravano piccole

come giocattoli, poi sorrise. Sapevamo entrambi che non potevo ordinare

all'intero squadrone di tornare indietro.

«Ti prego, lascia che venga con voi, Tata.» Aveva cambiato tono e

attaccava su tutti i fronti. Mi era impossibile resistere quando sfoderava

tutto il suo garbo. Poi mi venne un'idea.

«Il comandante della spedizione è il nobile Harrab. Devi chiederlo a lui.»

I rapporti tra loro erano strani. Solo noi tre, i genitori e io, sapevamo chi

era il vero padre di Memnone; persino il principe credeva che Tanus fosse il

suo precettore e il comandante del suo esercito. Anche se gli voleva bene,

aveva molta soggezione di lui. Tanus non era il tipo con cui un bambino

poteva scherzare, anche se era un principe.

Si guardarono in faccia. Capivo che Memnone stava studiando un piano

d'attacco e che Tanus tremava per lo sforzo di trattenere l'ilarità.

«Nobile Harrab.» Memnone aveva optato per l'approccio formale.

«Vorrei venire con voi. Credo che per me sarà una lezione utile. Dopotutto,

un giorno dovrò comandare l'esercito.» Gli avevo insegnato logica e

dialettica, ed era un allievo di cui potevo andare orgoglioso.

«Principe Memnone, il tuo è un ordine?» Tanus riuscì a nascondere il

divertimento con una smorfia tremenda e io vidi spuntare le lacrime negli

occhi del principe.

Memnone scosse la testa, avvilito. «No, mio signore.» Era ridiventato un

bambino. «Ma mi piacerebbe molto venire a caccia con voi. Ti prego.»

«La regina mi farà strangolare», disse Tanus. «Ma salta su, piccolo

briccone.»

Al principe piaceva che Tanus lo chiamasse briccone: era un termine che

di solito riservava agli uomini del suo vecchio reggimento degli Azzurri, e

dava a Memnone la sensazione d'essere uno di loro. Proruppe in un grido di

gioia e per poco non inciampò, nella fretta di obbedire. Tanus si chinò e io

prese per un braccio, lo issò a bordo e lo piazzò sulla pedana tra di noi.

«Avanti!» gridò Memnone a Pazienza e Lama, e avanzammo nel deserto.