17
Chiara si disse che non avrebbe dovuto bere del vino a cena. Ma il signor Ritter, un affabile vecchietto con gli occhiali dalla montatura all’apparenza costosissima, e il panciotto stile Bianconiglio, aveva insistito.
Le modelle le passavano davanti e lei le vedeva come sdoppiate.
Aveva chiamato quella sfilata “Incanto di primavera” e, dopo aver letto le lettere di Irena a Violetta, in cuor suo aveva deciso di dedicarla a sua nonna.
D’altronde nella collezione erano presenti tutti i fiori che lei aveva amato e descritto sul suo diario. La gardenia, l’iris, il ranuncolo. Proprio in quel momento Chiara si ritrovò a sistemare il suo “ranuncolo”, una ragazza dai tratti orientali, che indossava con grande stile un abito tutto giallo.
«Non avrebbe potuto scegliere modelle migliori» si complimentò la segretaria di Ritter, che per tutto il pomeriggio non l’aveva mollata un istante.
«Oh, ma non è merito mio. Voi mi avete mandato delle foto strepitose. È tutto così…»
«Perfetto?» concluse la segretaria, che si chiamava Melanie e aveva un sorriso contagioso. «Sì, qui in hotel c’è sempre qualcuno che ce lo dice, almeno due volte al giorno. A proposito: come ha trovato la sua suite?»
«Perfetta» concluse Chiara.
Le due donne risero.
Anche Chiara voleva essere perfetta per la serata: aveva indossato un lungo vestito nero, con un piccolo strascico, che le lasciava interamente scoperta la schiena. Semplice, ma adatto all’occasione. Si era fatta acconciare i capelli con uno chignon strettissimo, lasciando però qualche ciocca sciolta, come la corolla di un fiore. Il truccatore si era dato da fare per più di un’ora e quando si era guardata allo specchio aveva fatto fatica a riconoscersi.
Non si era mai sentita così bella.
La musica partì e Chiara diede un’occhiata al pubblico: c’erano tantissime persone, anche molti giornalisti e fotografi. Sperò che tutto andasse per il meglio.
Rimase a incoraggiare e dare consigli alle sue modelle, fino a che anche il vestito “gladiolo” non tornò da lei. Le modelle si prepararono per tornare sul palco tutte insieme, mentre Ritter annunciava il nome della collezione e ringraziava gli sponsor che avevano contribuito a rendere “perfetta” quella serata.
«E adesso vi presento una grande stilista, un nome che forse vi giungerà nuovo, ma di cui, vi assicuro, sentirete ancora parlare: Chiara Marcelli!»
Chiara si accorse di avere le mani sudate. Fece il suo ingresso insieme alle modelle e il pubblico la applaudì calorosamente. In prima fila, insieme all’uomo vestito di nero e ad altre facce sconosciute, Chiara scorse Arold e aggrottò la fronte per lo stupore.
«Vorremmo anche ringraziare e chiamare su questo palco la persona che ha reso possibile tutto questo: il nostro dirigente del marketing. Ne inventa sempre una nuova ogni anno, per rendere indimenticabile il vostro soggiorno: Thomas, vieni qui!» chiamò Ritter.
Tutti si voltarono e lasciarono passare l’uomo che Ritter aveva chiamato sul palco. Chiara sgranò gli occhi: non era un Thomas qualunque, ma il “suo” Thomas, il “cuoco” di Villa Garbald.
«So che ha già avuto modo di conoscere la stilista di questa sera» disse Ritter, «anzi, pare che l’abbia rapita e trattenuta nella sua villa.»
Il pubblico rise. Thomas le strizzò un occhio e applaudì verso di lei.
«E adesso, Chiara, raccontaci com’è nata questa bellissima e colorata collezione, che ricorda, come il suo nome suggerisce, l’incanto della primavera!»
Calò il silenzio.
David Ritter passò il microfono a Chiara, ancora scioccata.
«Ecco, io…» balbettò.
Il microfono fischiò. Ci fu un leggero brusio in sala.
Poi Chiara decise di non essere disonesta con se stessa.
«Vorrei ringraziare David per l’opportunità che mi ha concesso questa sera. Non sono una stilista, in realtà. Creo abiti da quando ne ho memoria, ma lavoro in una boutique, a Firenze. Infatti il vostro invito mi ha colto completamente alla sprovvista. Pensavo che nessuno, al giorno d’oggi, spulciasse tra le pagine internet degli aspiranti stilisti.»
Qualcuno rise. Thomas le lanciò un’occhiataccia, forse perché non voleva che facesse la figura della ragazzina inesperta. Chiara se ne infischiò.
«È vero, sono rimasta bloccata, se così si può dire, a Villa Garbald. Tanto che la sfilata è dovuta slittare di un giorno.» Fece una pausa, e si accorse di aver catturato l’attenzione del pubblico. «E in quella villa ho scoperto molte cose. Vorrei dedicare Incanto di primavera a una persona che amava i fiori, tanto da aggrapparsi a loro, da trarne la propria forza, nei momenti più difficili: mia nonna Irena. Il mio augurio è che questi vestiti vi ricordino il vostro fiore preferito. Quello di cui sentite il bisogno quando lo sconforto ha la meglio. Grazie ancora a tutti.»
Chiara passò il microfono a David, che sembrava perplesso. Certo non era il discorso che si sarebbe aspettato. Ma il pubblico stava applaudendo ancora più forte.
Durante il rinfresco, Chiara avrebbe voluto intercettare Arold, ma lui le sparì da sotto il naso e i giornalisti la braccarono. Fece una lunga chiacchierata con la direttrice di una casa di moda, una bella signora tedesca, e alla fine si misero d’accordo per sentirsi su Skype e trattare un contratto di rappresentanza.
Chiara era al settimo cielo. Thomas le si avvicinò solo quando finalmente la lasciarono in pace.
«Un successo immenso, complimenti» le disse. Non c’era traccia di scherno nella sua voce.
«Grazie» rispose lei. «Solo quando ti ho visto, ho capito il senso di quel biglietto. Ma perché tanta segretezza? Che bisogno c’era?»
Thomas si strinse nelle spalle. «Sono fatto così.» Poi, offrendole l’ennesimo bicchiere di champagne, mormorò: «Dunque hai capito di essere la nipote di Irena».
«Sì» si affrettò a rispondere Chiara, «ma ci sono almeno altre cento cose che vorrei sapere, prima di tornare a casa.»
«Le saprai. Tutte quante» promise Thomas, «ma adesso vieni un attimo con me in terrazza. C’è una cosa che devi assolutamente vedere.»
Quella sera, le nuvole avevano lasciato la scena a una stupenda falce di luna.
«Sembra un gioiello» disse Chiara. Poi rabbrividì. Thomas, che le aveva poggiato una mano sulla schiena nuda, si tolse la giacca e gliela porse.
«Grazie» fece lei.
Erano rimasti soli, in silenzio.
Chiara si trattenne dal fargli una delle tante domande che le ronzavano in mente, per non rovinare quel momento.
Si sporse verso di lui e cercò le sue labbra.
Si baciarono e lei sospirò.
«Ti accompagno in camera» mormorò Thomas, staccandosi quasi subito.
Chiara pensò che anche lui non resisteva più. Mentre erano in ascensore, gli mise una mano sul petto e lo baciò ancora, lasciandogli il rossetto sulle guance e sul collo. Lui le toccò ancora la schiena nuda. «Sei bellissima» le mormorò.
«Questa è la mia camera» disse lei, una volta che furono davanti alla porta, come se lui non lo sapesse.
Aprì e attese che Thomas entrasse. Non vedeva l’ora di continuare a baciarlo.
«Buonanotte, Chiara» disse invece lui, «ci vediamo domani mattina.»
«Che cosa?» s’infuriò lei.
Thomas fece un sorrisetto. «Scusa, ma nonostante tutto sono un uomo semplice. Non mi va di rimanere con il cuore in poltiglia per colpa di una bellissima stilista che non ha voglia di impegnarsi.»
O che non ha più il coraggio di amare, pensò lei. Lo guardò andare via, sperando che si voltasse, che tornasse indietro e che la prendesse selvaggiamente sulla porta della suite. Ma non successe niente di tutto ciò. Thomas era davvero figlio di suo padre: un attimo c’era, l’attimo dopo non c’era più.
Chiara rientrò in camera sconsolata e furiosa: perché gli aveva detto di non volersi impegnare? Cosa le era saltato in mente?
Perché il tuo cuore, come il suo, non vuole essere maciullato, le disse una vocina.
Immaginò che si trattasse della voce di nonna Irena.
Si tolse il vestito e le scarpe e rimase nuda, a guardare la luna fuori dalla finestra.
Leggermente brilla e con addosso tutta l’adrenalina della serata, si lasciò cadere sul letto, urtando contro qualcosa.
Si rialzò e vide che il letto era stato cosparso da piccoli fiori azzurri: i nontiscordardimé. Si portò una mano alla bocca, stupita. Era stato Thomas? Come aveva fatto a non accorgersene?
In mezzo al letto, adagiato sul copriletto, c’era un libro: Fiori e piante. Istruzioni per l’uso. Doveva essere un manuale di giardinaggio appartenuto a sua nonna.
Lo aprì e trovò un piccolo nontiscordardimé, questa volta secco. Lo rimise al suo posto e si accorse che tra le pagine faceva capolino una busta voluminosa: altre lettere di Irena a sua madre.
«Oh, mamma» mormorò, «se fossi qui anche tu, a leggere con me.»
In quel momento, il telefono squillò. Era mezzanotte passata, perciò Chiara si allarmò all’istante.
«Mamma?»
«Ciao, piccola mia. Sono qui con Ivan, a casa nostra. Ci chiedevamo come fosse andata la sfilata.»
«Mamma, sei impazzita? Non potevi aspettare domani mattina per chiamarmi? Mi hai fatto prendere un colpo!»
Sentì ridere all’altro capo del telefono.
«Che c’è?» domandò, stizzita. «Cosa ho detto di così divertente?»
Sentì che sua madre raccontava a Ivan che la figlia si era spaventata per via della telefonata.
«Mamma? Hai bevuto? Lo sai che non puoi, nelle tue condizioni.»
«No, cara. Sono solo ubriaca di felicità. Mi è concesso almeno questo, per una sera?»
Chiara si rabbonì. «Domani ti racconto. Ma è andato tutto bene. Anzi, di più. Abbiamo un sacco di cose di cui parlare.»
«Non vedo l’ora.»
«Sapessi io.»
Si diedero la buonanotte. Poi Chiara si stese in mezzo a tutti quei fiorellini e sprofondò nel loro meraviglioso profumo. Si accinse a leggere l’ultima parte della storia, sperando di trovare risposta a una domanda che l’assillava da quando aveva scoperto di Irena: sua madre sapeva di essere stata adottata?
Era perfettamente consapevole che il suo rapporto con Valeria, o Violetta, come l’aveva chiamata Irena, sarebbe dipeso da quella consapevolezza. In un modo o nell’altro, quella storia la riguardava in prima persona: che tipo di donna era stata la sua mamma?