CAPITOLO OTTAVO
Era una di quelle domeniche come ne esistono solo nei ricordi d'infanzia: tutto era allegro, e fresco, dal cielo di un azzurro pervinca fino all'acqua che rifletteva, allungandole, le immagini delle case. Perfino i taxi erano più rossi o più verdi degli altri giorni, e nelle strade vuote e sonore riecheggiavano anche i minimi rumori.
Maigret chiese al tassista di fermarsi un po' prima della chiusa di Charenton, e Lucas, che aveva l'incarico di sorvegliare Gassin, uscì dal bistrot e gli andò incontro.
«Non si è mosso. Ieri sera ha bevuto qualcosa con la padrona della balera, ma non è più uscito da lì dentro. Forse sta ancora dormendo».
I ponti delle chiatte erano deserti, e così pure le strade. Si vedeva solo un ragazzino che, seduto sopra un timone, si stava infilando le calze della domenica.
«Ieri, la matta era nervosa» proseguì Lucas indicando la Toison d'Or. «Ogni tanto spuntava fuori dal boccaporto, e una volta è corsa fino al bistrot dell'angolo.
Un paio di battellieri l'hanno notata e sono andati ad avvertire il vecchio, che però non ha voluto tornare a bordo. Dopo il funerale e tutto il resto, questa faccenda ha creato una sorta di imbarazzo. Fino a mezzanotte c'è stato un gran movimento sulle barche, e tutti guardavano da questa parte. Devo anche dirle che la balera ha ripreso a funzionare. Si sente la musica fin dalla chiusa. I battellieri avevano ancora indosso il vestito della domenica. Per farla breve, alla fine la matta dev'essersi addormentata, ma stamattina all'alba ha cominciato a girare qui attorno, a piedi nudi, agitata come una gatta quando ha avuto i micini.
Passando ha svegliato quelli delle chiatte vicine, tanto che un paio d'ore fa da tutti i boccaporti si vedevano spuntare delle coppie in camicia da notte.
Però nessuno le ha detto dov'era il vecchio. Meglio così, credo. Una donna l'ha riaccompagnata a bordo della Toison d'Or, e adesso sono lì tutt'e due a prepararsi la colazione. Guardi, si vede uscire del fumo dal tubo della stufa».
Il fumo saliva dritto dalla maggior parte delle imbarcazioni, i cui abitanti si stavano vestendo avvolti dal caldo aroma del caffè.
«Continua a sorvegliarlo» disse Maigret.
Invece di risalire sul taxi, entrò nella balera: la porta era aperta, e la padrona stava spruzzando dell'acqua sul pavimento prima di spazzare.
«E' di sopra?» chiese il commissario.
«Credo che si sia già alzato, mi sembra di sentire dei passi».
Maigret salì qualche scalino e si mise in ascolto.
Qualcuno, in effetti, andava avanti e indietro. Si aprì una porta e Gassin mise fuori la faccia tutta insaponata; poi scrollò le spalle e se ne tornò in camera.
La casa di campagna di Ducrau, a Samois, dava sulla Senna, da cui la separava l'alzaia, ed era una grande costruzione a tre ali preceduta da un cortile d'onore. Quando il taxi si fermò, Ducrau era già in attesa vicino al cancello, vestito come al solito di blu e con un berretto nuovo in testa.
«Rimandi pure indietro la macchina» disse a Maigret.
«La farò riaccompagnare io».
Aspettò che il commissario pagasse e richiuse lui stesso il cancello con estrema cura, si mise la chiave in tasca e chiamò l'autista che, in fondo al cortile, stava lavando con la pompa un'automobile grigia.
«Edgar! Non far entrare nessuno, e se vedi qualcuno gironzolare intorno alla casa, vieni ad avvertirmi».
Dopodiché guardò Maigret con aria grave e chiese:
«Dov'è?».
«Si sta vestendo».
«E Aline? Non si è spaventata?».
«L'ha cercato. Adesso è sulla chiatta insieme a una vicina».
«Vuole fare uno spuntino? Qui non si pranza prima dell'una».
«No, grazie».
«Un bicchiere di qualcosa?».
«Adesso no».
Ducrau si fermò nel cortile a guardare gli edifici circostanti, e con la punta del bastone indicò una finestra.
«La vecchia non si è ancora vestita. Quanto agli sposini, può sentirli litigare».
Infatti, dalle finestre aperte di una camera al primo piano, si sentiva discutere animatamente.
«L'orto è sul retro, come pure le vecchie scuderie.
Quella casa a sinistra è di un famoso editore ed in quella là a destra abitano degli inglesi».
Tutta la zona compresa tra la Senna e la foresta di Fontainebleau era disseminata di ville e di case di campagna. Maigret sentiva il rumore sordo delle palle in un vicino campo da tennis. I giardini confinavano l'uno con l'altro. Una vecchia signora vestita di bianco era sdraiata su una sedia a dondolo, al margine di un prato.
«Non vuole proprio bere niente?».
Ducrau sembrava un po' disorientato, come se stesse chiedendosi cosa fare dell'ospite. Non si era rasato e aveva gli occhi stanchi.
«E' qui, vede, che passiamo la domenica».
E lo disse con lo stesso tono con cui avrebbe esclamato:
«Guardi che vita penosa mi tocca fare!».
Attorno ai due uomini regnava la quiete, con contrasti di luce ed ombra, muri bianchi, rosai rampicanti e vialetti ricoperti di ghiaia. La Senna scorreva lenta, solcata da piccole imbarcazioni, e sull'alzaia passavano delle persone a cavallo.
Ducrau si diresse verso l'orto caricando la pipa, indicò a Maigret un pavone che zampettava in un'aiola di insalata e borbottò:
«Un'idea di mia figlia: è convinta che faccia fino.
Voleva anche dei cigni, ma non c'è acqua!».
Pensava così poco a quello che stava dicendo che all'improvviso, guardando negli occhi Maigret, sbottò:
«E lei, non ha cambiato idea?».
Non era una domanda casuale. Se l'era preparata da tempo, probabilmente dal giorno prima, e non faceva che rimuginarci sopra. Era così importante, per lui, che si era rabbuiato in volto.
Maigret fumava e guardava il fumo salire nell'aria trasparente.
«Mercoledì lascio la polizia».
«Lo so».
Si capivano benissimo, pur non volendo darlo a vedere.
Non era un caso se Ducrau non aveva chiuso il cancello a chiave, e soprattutto se misurava a grandi passi l'orto deserto.
«Non le basta?» disse il commissario, a voce così bassa e con un tale distacco che c'era da chiedersi se avesse parlato davvero.
Ducrau si fermò di botto e rimase a fissare a lungo la campana di vetro che copriva un melone. Quando rialzò la testa aveva un'espressione diversa. Un momento prima non aveva alcuna maschera: era un uomo contrariato, esitante, inquieto.
Adesso era del tutto mutato, e i suoi lineamenti si erano induriti. Aveva sulle labbra un sorriso cattivo.
Anziché guardare il compagno, osservava lo scenario che gli stava attorno, il cielo, le finestre della grande casa bianca.
«Verranno da me, vero?».
Alla fine si decise a guardare in faccia Maigret, con l'aria di uno che si sforza di essere ottimista e che, poco sicuro di sé, fa lo spavaldo.
«Parliamo d'altro. E se andassimo comunque a berci qualcosa? Sa cosa mi stupisce? Che la sua inchiesta non abbia coinvolto minimamente Decharme. né la mia amante, né...».
«Credevo volesse parlare d'altro».
Ma Ducrau, con fare bonario, proseguì toccando la spalla di Maigret:
«Un momento! Mettiamo le carte in tavola: mi dica innanzi tutto chi è il colpevole secondo lei».
«Colpevole di cosa?».
Sorridevano entrambi. Da lontano, si sarebbe detto che stessero scherzando su un argomento irrilevante.
«Di tutto».
«E se ci fosse più di un colpevole?».
Ducrau aggrottò le sopracciglia: la risposta non gli andava a genio. Spinse una porta, quella della cucina, dove sua moglie, ancora in vestaglia, stava dando disposizioni a una sguattera. La signora, un po' confusa perché l'avevano sorpresa tutta spettinata, balbettò delle scuse tenendosi una mano sulla crocchia, mentre il marito borbottava:
«Ma non importa! Il commissario se ne infischia!
Mélie, dovresti andare in cantina a prenderci una bottiglia di... di cosa?... Champagne? No? Allora, troveremo qualche aperitivo in salotto».
Richiuse la porta con violenza e, una volta in salotto, si mise a cercare fra le bottiglie posate sul ripiano di una finestra.
«Pernod?... Genziana?... Ha visto? E sua figlia è anche peggio! Se non fosse in lutto, fra poco la vedremmo arrivare con un vestito di seta rosa o verde, il sorriso della domenica e l'aria sdolcinata».
Riempì due bicchieri e spinse una poltrona verso il commissario.
«Sono sicuro che i vicini ci ridono dietro, specialmente quando mangiamo sulla terrazza, come faremo tra poco!».
Il suo sguardo passava lentamente da un oggetto all'altro. Il salotto era arredato con sfarzo, e c'era un enorme pianoforte a coda.
«Alla sua salute! Quando ho comprato il mio primo rimorchiatore, avevo bisogno di facilitazioni di pagamento, ovviamente. La banca accettava dodici tratte a condizione che portassi una firma di garanzia.
L'ho chiesta a mio suocero, e lui me l'ha rifiutata con la scusa che non aveva il diritto di gettare sul lastrico la sua famiglia! Adesso sono io che mantengo la vecchia».
Si capiva che quel rancore era così profondamente radicato in lui che ci soffriva anche solo a parlarne.
Cercò di cambiare discorso e tirò fuori una scatola di sigari.
«Ne vuole uno? Se preferisce la pipa, non faccia complimenti!».
E intanto stropicciava la tovaglietta ricamata stesa sul tavolo.
«Ecco come passano il loro tempo, queste donne!
Quanto a quell'imbecille di un ufficiale, lui s'interessa solo ai problemi di scacchi che mettono nell'ultima pagina dei giornali!».
Pensava ad altro, e Maigret, che cominciava a conoscerlo, adesso sorrideva nel constatare che lo sguardo di Ducrau era totalmente estraneo a quello che lui diceva. Uno sguardo che continuava a scrutarlo, a valutarlo, a chiedersi se la prima impressione non fosse stata errata, e soprattutto quale potesse essere il suo punto debole.
«Cosa ne ha fatto, della sua amante?».
«Le ho detto di togliersi dai piedi, e non so neanche dove sia andata. In compenso, ha avuto il buon gusto di seguire il funerale, tutta in gramaglie, con quella faccia infarinata da vecchia puttana!».
Si stava rodendo, e ogni cosa lo irritava. Si sarebbe detto che arrivasse a odiare perfino gli oggetti, come quella tovaglietta che continuava a stropicciare.
«Da Maxim era tutta carina e allegra. Rappresentava qualcosa, come dire, qualcosa di diverso da mia moglie e da quelle come lei! Le metto su casa ed ecco che comincia ad ingrassare, a pensar solo a farsi il bucato e a cucinare come una portinaia».
Già da un bel po' Maigret si era reso conto del clima tragicomico che avvelenava l'esistenza di Ducrau.
Partito da zero, adesso guadagnava soldi a palate.
Trattava affari con gente dell'alta borghesia e sapeva bene come si vive in quegli ambienti. Ma i suoi erano rimasti indietro. Sua moglie, a Samois, faceva gli stessi gesti, aveva le stesse abitudini di quando lavava i panni a poppa del rimorchiatore, e sua figlia non era altro che la caricatura di una borghesuccia.
Ducrau ne soffriva come di un'offesa personale e si rendeva perfettamente conto che i vicini non lo prendevano sul serio, nonostante quella grande casa bianca, l'autista e il giardiniere.
Moriva dall'invidia nel vederli sul loro prato o sulla loro terrazza. Si infuriava, e per sfogarsi sputava per terra, poi affondava le mani nelle tasche e si metteva a gridare parolacce.
Quando sentì dei passi per le scale, sospirò strizzando l'occhio a Maigret:
«Ecco che arrivano gli altri!».
Entrarono la figlia e il genero, tutti impettiti nei loro abiti a lutto e pettinati con cura, e chinarono il capo con il doloroso riserbo di chi è stato colpito da una grave sciagura.
«Molto lieta, commissario. Nostro padre ci ha spesso parlato di lei e...».
«Va bene, va bene! Bevete qualcosa, invece!».
La loro presenza lo rendeva più astioso. In piedi accanto alla finestra, guardava verso il cancello che si stagliava contro la Senna.
«Permette, signor commissario?».
Il genero era biondo, corretto e rassegnato.
«Un goccetto di porto?» chiese a sua moglie.
«Lei cos'ha preso, signor commissario?».
Ducrau, intanto, tamburellava con impazienza le dita sui vetri. Stava forse meditando qualche cattiveria?
In ogni caso, si girò di scatto e grugnì:
«Il commissario mi chiedeva informazioni su di voi.
E siccome sa che avete dei debiti, mi faceva notare che la mia morte risolverebbe tutto. In séguito a quella di Jean, poi, la vostra eredità è raddoppiata».
«Papà!...» gridò la figlia portandosi agli occhi un fazzoletto bordato di nero.
«Papà!...» le fece il verso Ducrau. «E allora? Sono forse io che ho dei debiti? Sono io che voglio andare a vivere nel Midi?».
I due ci avevano fatto l'abitudine, e Decharme era piuttosto abile: abbozzò un sorriso di timida rassegnazione, come se considerasse quel discorso una spiritosaggine o l'effetto di un malumore passeggero. Aveva delle belle mani, bianche e lunghe, e se le accarezzava giocherellando con la vera di platino.
«Gliel'ho detto che aspettano un bambino?».
Berthe si nascose il viso. Era una situazione penosa.
Ducrau se ne rendeva perfettamente conto, ma lo faceva apposta. L'autista attraversò il cortile, si diresse verso la scalinata, e l'armatore aprì la finestra per chiamarlo.
«Che cosa c'è?...».
«Il signore mi aveva detto...».
«Be', e allora?».
L'autista, tutto confuso, indicò un tale che si era seduto sull'erba, al di là del cancello, e che stava tirando fuori dalla tasca un pezzo di pane.
«Imbecille!».
La finestra venne richiusa. La domestica, che si era messa un grembiule bianco, stava apparecchiando la tavola sulla terrazza, sotto un ombrellone rosso.
«Sai almeno cosa c'è per pranzo?».
La figlia ne approfittò per andare di là, mentre Decharme fingeva di scorrere gli spartiti per pianoforte.
«Lei suona?» gli chiese Maigret.
Fu Ducrau a rispondere:
«Lui? Neanche per sogno! Qui non c'è nessuno che sappia suonare! Il piano serve solo a far scena, come tutto il resto!».
Aveva la fronte imperlata di sudore, benché nella stanza facesse piuttosto fresco.
I vicini di sinistra stavano ancora giocando a tennis e un cameriere in livrea serviva i rinfreschi mentre i Ducrau erano già seduti a tavola sulla terrazza.
L'ombrellone non riparava a sufficienza dal sole, e il vestito di seta nera di Berthe Ducrau aveva degli aloni umidi sotto le ascelle. Ducrau, poi, era talmente teso che ci si stancava solo a guardarlo. Tutto quello che diceva o faceva era sgradevole.
Quando venne servito il pesce, chiese di vedere il piatto, lo annusò, lo toccò con la punta dell'indice e ringhiò:
«Portalo via!».
«Ma, Émile...».
«Portalo via!» ripeté.
Quando sua moglie tornò dalla cucina, aveva gli occhi rossi. Lui stava chiedendo a Maigret, con aria insistente:
«Dunque, è mercoledì che lei va in pensione.
Mercoledì sera o mercoledì mattina?».
«Mercoledì a mezzanotte».
Allora, rivolto al genero, disse in tono aggressivo:
«Sai quanto gli ho offerto perché venga a lavorare da me? Centocinquantamila franchi. E se ne vuole duecento, glieli darò!».
Continuava a spiare il viavai davanti al cancello.
Aveva paura, e Maigret, che era l'unico a saperlo, si sentiva più a disagio degli altri, perché la vista di quel pover'uomo che lottava contro il panico era drammatica, ma anche un po' ridicola e irritante.
Quando arrivarono al caffè, Ducrau trovò qualcos'altro di cui lamentarsi.
«Ecco» disse indicando il cerchio che formavano attorno alla tavola «quello che si chiama una famiglia.
In primo luogo un uomo che ha tutto il carico sulle sue spalle, che l'ha sempre avuto e che l'avrà finché crepa. Poi gli altri, che gli si aggrappano addosso senza muovere un dito...».
«Ci risiamo?» chiese la figlia alzandosi.
«Hai ragione. Va' a fare un giretto. Forse è la tua ultima bella domenica».
Berthe trasalì, e suo marito, che si stava asciugando la bocca con il tovagliolo, sollevò la testa. Quanto alla signora Ducrau, forse non aveva sentito.
«Che cosa vuoi dire?».
«Niente! Non voglio dire niente! Continua pure a preparare il tuo viaggio nel Midi!».
Allora il genero, che non doveva avere il senso dell'opportunità, disse garbatamente:
«Io e Berthe ci abbiamo riflettuto. Il Midi è un po' troppo lontano. Se troviamo qualcosa lungo la Loira...».
«Ma certo! Non hai che da chiedere al commissario di scovarvi qualcosa nei dintorni di casa sua, e lo farà sicuramente, se non altro per il piacere di avervi come vicini!».
«Lei abita nel dipartimento della Loira?» si affrettò a chiedere Decharme.
«Ci abiterà, forse» precisò Ducrau.
Maigret girò lentamente la testa verso di lui, e questa volta non sorrideva. Aveva provato una fitta al cuore, un'emozione che gli faceva fremere le labbra. Da giorni brancolava in una fastidiosa incertezza, ed ecco che all'improvviso tutto cambiava per la magia di una parolina: «Forse!».
Ducrau sostenne il suo sguardo con la stessa gravità, la stessa consapevolezza del significato di quell'attimo.
«In che zona è la sua proprietà?».
Ma la voce del genero era solo un brusio al quale nessuno dei due prestava attenzione. Assai più significativo era il respiro di Ducrau che, nell'eccitazione di quello scontro, aveva le narici dilatate ed il volto acceso.
Era da un po' che si giravano intorno misurandosi l'un l'altro senza avere il coraggio di passare alle vie di fatto.
Adesso, anche Maigret respirava meglio. Si mise a caricare la pipa e affondò voluttuosamente le dita nella borsa del tabacco.
«A me piacerebbero molto i dintorni di Cosnes o di Gien...».
Le palle rimbalzavano sul campo da tennis rosso dove svolazzavano i vestiti bianchi delle ragazze. Una barchetta a motore risaliva la Senna con il ron ron di un micio che fa le fusa.
La signora Ducrau agitò un campanello per chiamare la domestica, ma tutto ciò non contava nulla, non esisteva neanche per i due uomini che finalmente avevano trovato un punto d'incontro.
«Va' pure da tua moglie, che probabilmente sta piangendo in camera sua».
«Crede? Io penso che sia il suo stato a renderla nervosa».
«Va', imbecille!» sbottò Ducrau, mentre l'altro si allontanava scusandosi. «E tu, cosa diavolo vuoi, con il tuo campanello?».
«Mélie ha dimenticato i liquori».
«Non preoccuparti. Quando avremo voglia di liquori, ce li troveremo da soli. Vero, Maigret?».
Non aveva detto «commissario». Aveva detto «Maigret».
Si alzò in piedi, si asciugò le labbra con il tovagliolo e gonfiò il petto guardando il paesaggio tutt'attorno.
Aspirava l'aria a pieni polmoni e, compiaciuto, faceva le fusa anche lui.
«Cosa ne dice?».
«Di che?».
«Di tutto! Di tutto questo! E' così bello! To', perfino il guardiano della chiusa pranza all'aperto con la sua famiglia! Quando, all'inizio, facevo il cavallante, io e Gassin mangiavamo sulla scarpata, poi, siccome i cavalli devono riposare per un paio d'ore, schiacciavamo un pisolino sull'erba, con le cavallette che ci saltavano sopra la testa...».
Si sarebbe detto che le sue pupille emanassero un duplice sguardo: l'uno, alquanto vago, accarezzava gioiosamente il paesaggio, l'altro, centrale e ben distinto dal primo, era pungente, deciso, feroce.
«Facciamo due passi per digerire?».
Si diresse verso il cancello e lo aprì. Ma prima di arrivare sull'alzaia mise la mano nella tasca posteriore, tirò fuori ostentatamente la sua browning e ne verificò il caricatore.
Un gesto teatrale, puerile, ma comunque sconcertante.
Maigret non batté ciglio, anzi fece finta di non aver visto niente. Dalla camera di sopra giungevano delle voci, una delle quali parlava in tono concitato.
«Che cosa le avevo detto? Stanno litigando».
Ducrau, dopo essersi rimesso in tasca la pistola, camminava tranquillamente al fianco di Maigret, con il petto in fuori, come uno che fa la passeggiata domenicale. Vicino alla chiusa si fermò qualche istante a guardare l'acqua che filtrava attraverso le mille fessure della porta e la famiglia del guardiano seduta a tavola davanti all'ingresso.
«Che giorno è oggi?».
«Il 13 aprile».
Guardò Maigret con aria sospettosa.
«Il 13? Ah!».
E ripresero il cammino.