CAPITOLO 8
Accidenti a te, cowboy.
Le immagini della serata precedente affollavano la mente di Swami. La sensazione della bocca di Riley sulla sua e il ricordo delle mani che le ricoprivano il seno l’avevano tormentata tutta la notte. L’idea che quelle stesse mani toccassero il corpo di un’altra donna la rendeva folle di gelosia. Faceva fatica ad ammetterlo anche a se stessa perché erano rare le volte in cui si era ritrovata a fare i conti con quel sentimento; le storie avute in passato non avevano mai raggiunto un coinvolgimento tale da portarla a manifestarlo. Forse era proprio quella la ragione per la quale in quel momento detestava quell’uomo. Doveva ritrovare il controllo e porre fine a quella situazione. In tarda mattinata avrebbe telefonato a Sophie per accertarsi che l’ufficio non fosse sull’orlo di una crisi dovuta alla sua assenza e poi avrebbe controllato la proposta di vendita del ranch che da giorni giaceva sul comodino. Ma nel frattempo sarebbe andata da Skim e, senza aspettare oltre, gettò le lenzuola da una parte e scattò in bagno a prepararsi.
Stava attraversando il cortile che portava alle stalle quando notò la porta dell’alloggio di Riley e Liam che si apriva. Riconobbe la figura femminile che ne uscì e senza quasi rendersene conto si fermò in mezzo al viottolo: era la barista del pub in città, Faith. Il viso della ragazza era stravolto e anche da quella distanza le sembrava che gli occhi fossero arrossati per la stanchezza. I capelli scarmigliati incorniciavano il volto allungato della ragazza e davano l’impressione che qualcuno vi avesse affondato ripetutamente le mani.
Sentì una morsa allo stomaco quando si rese conto che quello poteva essere l’aspetto di qualcuno che aveva fatto sesso per tutta la notte. Non appena Faith si accorse che la stava osservando, le rivolse un ghigno di scherno ed entrò in macchina. Swami non si mosse e rimase a fissare la nube di polvere sollevata dagli pneumatici. Si sentì un’idiota per aver passato la notte a rigirarsi da sola tra le lenzuola senza riuscire ad allontanare il pensiero da quel mandriano mentre lui si sbatteva ripetutamente quella gatta morta.
E dopo aver baciato prima lei, per giunta.
Che bastardo…
Nonostante l’elettricità che scorreva tra loro, quest’ultimo aveva cercato sollievo tra le gambe di un’altra donna.
Strinse i pugni e con passo deciso si fermò davanti al recinto di Skim. Cercò con lo sguardo il cavallo trovandolo sdraiato per terra. Sbuffava con il volto rivolto verso di lei. Si piegò tra i pali della staccionata scavalcandola, e si addentrò fino a raggiungere il centro del recinto. Con movimenti lenti si mise seduta. Skim aveva indosso i finimenti usati durante gli allenamenti. Chissà quale dei ragazzi l’aveva preparato. Di certo non quello stronzo che ancora si crogiolava fra le lenzuola.
«Ciao bello» mormorò guardandolo. Cercò di ricordare gli insegnamenti del padre. La prima cosa era guadagnarsi la fiducia del mustang. Per riuscire a cavalcarlo ci sarebbe voluto del tempo. Si sdraiò incrociando le caviglie e abbassò il cappello da cowboy sul viso. Si concentrò sulla respirazione del cavallo e iniziò a parlare con lui. «Mi sento esattamente come te. In un posto dove non vorrei essere. Quest’adozione è una fregatura, eh? Abituato a essere libero, non deve essere semplice adattarsi a queste persone.»
Spostò il cappello con un dito e voltò la testa, cercando lo sguardo dell’animale. Il cavallo la fissava. Ogni tanto muoveva la testa dall’alto verso il basso come se volesse annuire o fosse d’accordo con le sue parole. «So che mi comprendi, Skim.» Swami si piegò su se stessa con movimenti lenti e rimase seduta raddrizzando la schiena. Sospirò e fece leva sulla mano guantata per alzarsi dal suolo polveroso. Con la coda dell’occhio vide Skim imitarla ed erigersi in tutta la sua maestosità.
Forza Swami, puoi farcela.
Infilò una mano nella tasca dei jeans e tirò fuori una zolletta di zucchero. Protese il braccio verso Skim e dopo alcuni istanti sussultò vedendolo avvicinarsi. Lo stallone abbassò la testa e prese la zolletta dalla sua mano, restandole di fronte. La donna sorrise compiaciuta e allungò ancora una volta la mano, lasciandola sospesa fra loro. «Vieni bello, fatti accarezzare.»
Il cavallo continuava a fissarla negli occhi e Swami si rifiutò di abbassare lo sguardo. Era una lotta a cui non poteva rinunciare. Skim avrebbe dovuto fidarsi di lei e lei voleva riuscire a cavalcarlo a tutti i costi e riscoprire il sapore della libertà insieme a lui. Appartenevano a due mondi differenti eppure sentiva l’empatia che li legava. Rivedeva se stessa in quell’animale tanto elegante quanto spaesato. Alla diffidenza di lui Swami continuò a rispondere con il suo sorriso benevolo fino a quando non accadde il miracolo: Skim mosse un passo nella sua direzione e le strofinò il muso sul palmo aperto, facendole sussultare il cuore nel petto.
Swami svuotò i polmoni dall’aria che aveva trattenuto e allungò l’altra mano, sfiorandogli la criniera. Con lievi movimenti cercò di trasmettergli tutte le sue emozioni nei suoi confronti. Sapeva che addomesticare un cavallo selvatico necessitava di molta calma e Skim era una forza della natura; un solo gesto avventato e lui si sarebbe subito ritratto. Il fatto di averlo ferrato non significava che fossero anche riusciti a sottometterlo. Swami comprendeva quanto si sentisse violato, mantenere la sua fiducia sarebbe stata un’impresa anche più grande rispetto a quella di averla ottenuta. Era il rischio che si correva cercando di rendere docile un animale destinato alla libertà.
«Skim, ora prendo la corda» passò la mano sul lazzo che aveva legato in vita e lo portò davanti al muso del cavallo. Lui fece un passo indietro e iniziò a scuotere la testa agitandosi. «Skim, guardami.» Swami ricordava perfettamente l’atteggiamento che suo padre assumeva davanti a questi animali. Rammentava che il tono di voce era fondamentale per far capire all’animale chi comandasse e anche lui dovette comprenderlo perché si calmò all’istante.
«Bravo, bello. Non voglio usarla, la lascerò qui per terra.» Quel passo era fondamentale. Il cavallo doveva abituarsi alla corda e vedendola nel recinto le avrebbe dato un significato diverso dalla costrizione per la quale era stata usata fino a ora. Provò ad allontanarsi camminando a ritroso e allungò le mani facendo segno a Skim di seguirla. L’animale necessitava di concentrazione ma sembrava rispondere bene per il momento, quindi era il caso di continuare. Il cavallo fece un passo avanti ma improvvisamente si bloccò.
«Che diavolo ci fai lì dentro?» irruppe Riley.
E tanti saluti ai suoi progressi!
Swami lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e Skim iniziò a trottare in tondo al recinto.
«Il tuo tempismo fa davvero schifo» chiarì in tono duro Swami mentre usciva dal recinto.
«Non mi sembrava che ti lamentassi del mio tempismo ieri notte» scherzò Riley raggiungendola all’interno della staccionata. «Lo fai sempre, ragazzina?»
La ragazza corrugò la fronte non capendo il senso di quella domanda. «Faccio cosa?»
«Non rispondere alle domande. Non è la prima volta che succede.»
Poteva dirgli che ogni volta che il suo corpo si trovava vicino al suo raggiungeva temperature altissime e che il cervello le andava in tilt?
Per l’appunto… che cosa aveva domandato?
Si riscosse da quei pensieri e incrociò le braccia sul petto cercando di trovare un minimo di controllo e fiducia. «Forse sei così affascinante che mi mancano le parole quando ti vedo.» Riley ridacchiò ma Swami bloccò subito il suo flirtare. «O magari sei tanto noioso da non riuscire a canalizzare la mia attenzione su di te.»
Riley si avvicinò di un passo e si piegò sussurrandole all’orecchio: «Vuoi che ti faccia vedere come riesco a mantenere viva la tua attenzione nei miei confronti?» Swami deglutì quando lui continuò. «Ti voglio nuda. Sotto di me e con le gambe avvinghiate ai miei fianchi» concluse allontanandosi.
«Cos’è questa? Una delle battute migliori del tuo repertorio? Scommetto che stanotte hai detto la stessa cosa a Faith» rimarcò acida.
Riley la stava osservando con durezza, ma lei non aveva intenzione di abbassare lo sguardo. Quando aveva visto quella stronza uscire dal suo appartamento le era sembrato che l’avessero presa a calci nello stomaco. Aveva un mucchio di frustrazione repressa e non si sarebbe tirata indietro. L’espressione dell’uomo, però, mutò all’improvviso passando allo sbigottimento. «Cazzo, ma Skim sta trottando?» indicò un punto alle spalle di Swami in preda allo sconcerto.
«A te cosa sembra, genio.» Si voltò dandogli le spalle. «Certo che sta trottando, e senza nemmeno averglielo ordinato. Reagisce proprio come chiunque di noi quando è rilassato. Se fossi arrivato più tardi, sarei riuscita anche a farmi seguire.»
«Sei forte, ragazzina. Non è semplice entrare in sintonia con un mustang. So che esisteva solo una persona in grado di fare una cosa del genere. Si chiamava...» si fermò facendo mente locale. «Cazzo, ecco perché l’altra sera, quando mi hai detto il nome di tuo padre, mi risultava familiare. Non avevo mai collegato il tuo nome con quello dell’addestratore Cheyenne più famoso del Montana.»
Swami sentì di nuovo una morsa al petto ma questa volta non aveva niente a che fare con lo stronzo che le stava davanti. No, era per suo padre e per il fatto che Riley avesse parlato di lui al presente, quando purtroppo lui non c’era più da tanti anni. Dio, avrebbe pagato oro per potersi rannicchiare di nuovo tra le sue braccia come faceva quando era bambina. Le mancava così tanto…
«Ti ho detto il suo nome, ti ho parlato delle sue origini e che era lui che mi aveva insegnato a cavalcare, oltre al fatto che Johnny Robinson l’ha sbattuto fuori dal ranch a calci nel culo quando ha saputo che lui e sua figlia si erano innamorati. E tu l’hai collegato solo adesso. Caspita. Sei proprio sveglio.» Lasciò che il risentimento per il nonno prendesse il sopravvento sul dolore per la mancanza del padre. Era più facile da gestire rispetto a quella penosa nostalgia. Distolse lo sguardo dal suo bellissimo volto quando notò la sua espressione confusa. Lui continuava a guardarla come se non capisse il perché di tanta acidità. L’immagine di Faith le riempiva ancora la testa e non riusciva a smettere di pensare a loro due avvinghiati nel suo letto che facevano sesso tutta la notte. La stessa notte che lei aveva passato a fantasticare sul bacio che si erano scambiati e sulle emozioni che ne erano scaturite.
Fu lui a interrompere quel momento di forte imbarazzo. Provò ad allungare una mano verso la sua ma Swami si ritrasse inorridita. Non voleva essere toccata, per la miseria, non voleva sentirsi così confusa e delusa perché poteva ignorare fino allo sfinimento quello che provava ma la verità era che si stava innamorando di lui e non poteva permetterselo. Non sarebbe stata il giocattolo di nessuno e in special modo di quel duro da rodeo.
«Swami...»
Oddio, no.
La voce roca carica di preoccupazione con cui pronunciò il suo nome fece risuonare ancora più forte i campanelli d’allarme nella sua testa. Doveva allontanarsi da lì e mettere una distanza tra di loro perché non riusciva a capire se fosse maggiore la voglia di tirargli un pugno sul naso oppure gettargli le braccia al collo e baciarlo fino a perdere il fiato. «L’allenamento per oggi è concluso, grazie cowboy.» Si girò in fretta per andarsene prima di fare qualcosa di stupido ma subito lui le trattenne il braccio con la mano, impedendole di compiere un nuovo passo.
No no no no…
Non avrebbe resistito a lungo. Sentiva le lacrime pungerle gli occhi per la frustrazione e la rabbia. «Lasciami» gli ringhiò contro, strattonando il braccio per liberarsi dalla presa.
«Ma che diavolo ti prende oggi, ragazzina?» Adesso anche il suo tono era più adirato e lei si ritrovò quasi a emettere un sospiro di sollievo. La rabbia riusciva a gestirla, diversamente da altro.
«Non voglio che mi tocchi, per il resto non succede niente. Non è mai successo niente» le parole le uscirono dai denti digrignati.
«Okay.» Lo vide allontanarsi con un passo indietro alzando le mani. «Non capisco questo tuo atteggiamento del cazzo, dato che ieri sera non mi sembrava ti dispiacesse.» Un guizzo involontario contrasse un muscolo del suo viso.
«Non sono una ragazzina, stronzo!»
«E allora smetti di comportarti come tale» le ruggì contro, esasperato. «Non sono il tipo che ama mezze frasi o giri di parole. Parla chiaro e dimmi che cosa avrei fatto per ricevere un trattamento del genere. E scusa se sono troppo ignorante rispetto agli standard bostoniani dal non averne la minima idea.» Riley si mise le mani dietro alla nuca e lei ebbe l’impressione che lo facesse per tenerle impegnate ed evitare così di strozzarla. Era furioso.
«Ma che cavolo vuoi da me?» Swami rispose con altrettanta furia puntandogli il dito contro. «Quella gatta morta non ti ha soddisfatto a dovere questa notte? È per questo che sei così stronzo questa mattina? Bene. Non me ne importa un cazzo e per me puoi andare all’inferno te e lei ma non ti permetto di trattarmi così. Questo sia chiaro. Stai lontano da me perché la prossima volta che proverai a prenderti delle libertà, potrai dire addio alle tue palle.» Swami non poté impedirsi di ansimare per la veemenza dello sfogo. Sentiva il volto in fiamme e la gola bruciare.
«Uhhh…» L’uomo fece un passo in avanti per niente intimorito dalle sue parole. «Qualcuno qui è geloso, per caso?» la canzonò facendole perdere quel poco di lucidità rimastale.
«Vaffanculo!»
Fu l’unica cosa che riuscì a dire prima di voltarsi e fuggire. La fuga non durò molto. Si sentì avvolgere da dietro da due braccia che la immobilizzarono premendola contro un corpo solido. Sentiva il respiro pesante gonfiare il petto di lui contro la sua schiena e la bocca troppo vicina al suo orecchio. L’alito caldo di Riley le fece venire i brividi quando le sussurrò: «Non ho scopato nessuno stanotte e sono duro così da ieri sera per colpa tua.» A conferma di quelle parole sentì la sua erezione, impossibile da ignorare, spingersi contro di lei. «Avrei potuto alleviare questo disagio ma avevo in testa solo te. Era il tuo corpo quello in cui avrei voluto sprofondare e non quello di una qualsiasi. Hai visto uscire Faith stamattina perché, dopo che le ho detto che non avevo intenzione più di vederla, lei è scoppiata a piangere e non me la sono sentita di lasciarla guidare in quello stato. Non ti devo nessuna spiegazione ma te lo dirò lo stesso. Ho dormito sul divano perché, nonostante tu pensi il contrario, io non sono il bastardo che credi.»
Detto questo, Riley la lasciò andare e senza aspettare una risposta da lei, si girò e se ne andò incazzato più di prima.
Swami rimase immobile per un tempo che le parve infinito. Sentì le lacrime scorrere sul viso e serrò le labbra tremanti per evitare di emettere quei singhiozzi che le stavano dilaniando il petto. Non poté non avvertire il gelo che la travolse per l’assenza di quel corpo muscoloso premuto contro.