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Questo libro è un’opera di fantasia.
Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione
dell’autrice o sono usati in maniera fittizia.
Qualunque somiglianza con fatti, luoghi o persone,
reali, viventi o defunte è del tutto casuale.
Titolo originale: Hardline
Copyright © 2014 by Meredith Wild
This edition published by arrangement with
Grand Central Publishing, New York, New York, USA.
All rights reserved
Traduzione dall’inglese di Valentina Cabras
Prima edizione ebook: luglio 2016
© 2016 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-9601-8
Realizzazione a cura di Librofficina
Progetto grafico: Sebastiano Barcaroli
Foto: © Shutterstock.com
Meredith Wild
Senza pentimento
The Hacker Series
Per la famiglia che mi ha aperto il suo cuore,
e per le due persone il cui amore l’ha reso possibile
Capitolo uno
Il cellulare squillò.
Blake: Stacco tra venti minuti.
Misi il silenzioso e ignorai il messaggio di Blake tornando a concentrarmi su Alli, che si portò una ciocca dei lunghi capelli castani dietro l’orecchio e continuò ad aggiornarci sulle statistiche settimanali della nostra start up, Clozpin. La ascoltai attentamente, grata di averla di nuovo in squadra.
Alli era tornata a Boston solo da qualche settimana, ma finalmente era di nuovo nella stessa città, e nello stesso appartamento, di Heath. Lui era felice, lei era felice e io ero elettrizzata ad averla di nuovo come direttrice marketing dopo il disastro con Risa. Lo avevo proposto a Alli ancora prima di mandare via Risa perché aveva rivelato informazioni riservate sull’azienda.
Trasalii a quel pensiero. Alli era una fonte di ottimismo, ma il tradimento di Risa bruciava ancora. Non la sentivo dal nostro ultimo incontro, e in qualche modo quel silenzio mi preoccupava più di qualsiasi altra cosa. Avrei voluto dubitare della sua capacità di creare un sito concorrente al nostro con Max, il nostro quasi-investitore e l’acerrimo nemico di Blake, ma l’ignoto mi spaventava. E se fossero riusciti a sottrarci gli inserzionisti? A creare qualcosa di migliore di Clozpin che potesse soddisfare maggiormente i bisogni degli utenti?
Con i soldi di Max e le informazioni che Risa aveva raccolto in prima persona da me e dalla mia breve esperienza come amministratore delegato dell’azienda, tutto era possibile. In più, qualcosa nel modo in cui lei se n’era andata, piena di veleno e rancore, aveva aumentato le mie insicurezze su come gestire gli affari. Ero una novellina, non c’erano dubbi. Volevo credere di potercela fare da sola, ma avevo ancora molto da imparare.
Ricevetti un altro messaggio che mi distrasse ulteriormente, dal momento che il telefono vibrò sulla superficie di vetro del tavolo della sala riunioni.
Blake: Erica?
Alzai gli occhi al cielo e digitai una rapida risposta. Sapevo che mi avrebbe tormentata finché non gli avessi prestato attenzione.
Erica: Sono in riunione, ti chiamo dopo.
Blake: Ti voglio trovare nuda nel mio letto quando arrivo a casa. Esci prima.
Erica: Mi serve più tempo.
Blake: Sarò dentro di te entro un’ora. Nel tuo ufficio o nel nostro letto, scegli tu. Fine della discussione.
La stanza mi sembrò all’improvviso troppo fredda contro la mia pelle caldissima. Tremai e sentii i capezzoli turgidi premere sulla maglia. Ma come faceva? Qualche parola ben selezionata, tra l’altro via messaggio, e mi ritrovavo impaziente a guardare l’ora.
«Erica, c’è qualcos’altro di cui vuoi parlare?».
Il mio sguardo incrociò quello di Alli, che inarcò un sopracciglio come se avesse capito che non ero attenta. Non riuscivo a pensare ad altro che alle conseguenze del far aspettare Blake, e la risposta fisica a quell’idea stava già diventando difficile da ignorare. Accantonai i pensieri su Blake e tornai al presente.
«No, direi che va bene così. Grazie a tutti». Raccolsi le mie cose velocemente, impaziente di andare via. Salutai con la mano il resto del gruppo che si disperse nelle proprie postazioni, mentre Alli mi seguì nel mio ufficio.
«Che succede con Perry? Non volevo tirare fuori l’argomento durante la riunione, visto che si tratta una situazione particolare».
«Niente di che. Mi ha mandato un’altra mail, ma non ho ancora risposto». In quel momento non avevo tempo di scendere nei dettagli, se volevo rispettare la scadenza di Blake.
«Stai valutando la sua offerta come inserzionista?»
«Non lo so». Ero ancora indecisa sulla questione.
«Blake lo sa che ti ha contattata?», mi chiese, spalancando i suoi grandi occhi castani.
«No», risposi, rivolgendole uno sguardo eloquente per farle capire che non volevo che lo sapesse.
L’ultima volta che avevo visto Isaac Perry, Blake l’aveva preso per il collo e sbattuto contro il muro minacciando di mutilarlo se avesse osato toccarmi. Non volevo difendere il comportamento di Isaac di quella sera, né avevo intenzione di perdonarlo, esattamente come Blake, ma si trattava di affari.
«Non gli farà piacere se lavorerai con lui».
Infilai il portatile nella borsa. «Pensi che non lo sappia?».
Le conoscenze di Blake influenzavano più decisioni strategiche di quanto volessi ammettere.
«Quindi cos’hai intenzione di fare? Se non l’hai ancora liquidato, significa che Perry ha fatto un’offerta incredibile», disse Alli, sporgendosi sulla mia scrivania.
«Il Perry Media Group rappresenta dozzine di pubblicazioni multimediali sparse in tutto il mondo. Non sto dicendo che mi fido, ma posso almeno sentire cos’ha da dirmi».
Lei scrollò le spalle. «Avrai il mio sostegno qualsiasi decisione prenderai per il bene dell’azienda. E
posso anche parlarci io, se tu non te la senti».
«Grazie, Alli, ma preferisco pensarci io. Ora devo andare, Blake mi sta aspettando. Ne riparliamo».
«Ah, avete un appuntamento?», mi chiese, illuminandosi. Il suo lato professionale sparì per fare spazio all’energica migliore amica che rallegrava ogni mia giornata.
«Sì, abbiamo da fare. Ci vediamo dopo», risposi, cercando di non sembrare troppo misteriosa, prima di svignarmela dall’ufficio mentre la salutavo con la mano.
Un minuto dopo mi ritrovai nella calura di agosto. Il traffico dell’ora di punta avanzava lentamente, e il mio telefono squillò prima ancora che potessi muovere il primo passo in direzione di casa. Con un lamento ripescai il cellulare dalla borsa: Blake poteva essere fin troppo insistente. Guardai lo schermo, in cui era apparso un numero di Chicago.
«Pronto?», risposi incerta.
«Erica?»
«Sì, chi parla?»
«Sono io, Elliot».
Mi portai una mano alla bocca, cercando di nascondere lo stupore nel sentire il nome del mio patrigno.
«Elliot?»
«Hai un minuto? È un brutto momento?»
«No, va bene». Spinsi la porta del Mocha, il bar sotto l’ufficio, per sfuggire all’afa. «Come stai? Non ti sento da una vita».
«Sono stato occupato», rispose con una risatina.
Sorrisi tra me e me. Non sentivo quel suono da tanto tempo. «Capisco. Come stanno i bambini?»
«Benissimo, crescono troppo in fretta».
«Me lo immagino. E Beth?»
«Sta bene anche lei. È tornata al lavoro ora che i piccoli vanno a scuola, così si tiene impegnata. Non stiamo fermi un attimo». Poi si schiarì la voce e fece un respiro profondo. «Senti, Erica, so che non sono stato proprio bravissimo a tenermi in contatto e mi sento in colpa. Mi sarebbe davvero piaciuto assistere alla tua laurea, ma la situazione qui era un po’ frenetica…».
«Non ti preoccupare, Elliot, lo capisco. Sono successe tante cose».
«Grazie», disse con un sospiro. «Sei sempre stata molto giudiziosa, anche da piccola. A volte penso che tu abbia gestito la situazione molto meglio di me. Sono sicuro che tua madre sarebbe orgogliosa della donna che sei diventata».
«Grazie, lo spero». Chiusi gli occhi, lasciando che il ricordo di mia madre mi invadesse la mente.
Nonostante mi mostrassi forte, il mio cuore sanguinava al pensiero di quando eravamo felici, tutti e tre insieme. Quel periodo si era interrotto bruscamente quando a mia madre fu diagnosticato un tumore che si diffuse in poco tempo e ce la portò via troppo presto. Dopo la sua morte le nostre vite avevano preso direzioni diverse, ma speravo che Elliot avesse trovato la felicità con la nuova moglie e i figli, anche se questo mi era costato un’infanzia normale. Ero cresciuta in collegio e poi all’università, e non riuscivo a immaginare come sarebbe potuto essere diversamente. Quel percorso mi aveva portata fino a Blake e la mia vita aveva finalmente iniziato a prendere forma, una volta finiti gli studi.
«Ultimamente ho pensato molto a Patricia. Non riesco a credere che siano passati quasi dieci anni. A volte il tempo vola, e mi sono reso conto da quant’è che non ci sentiamo».
«Vero. Gli ultimi anni sono stati parecchio caotici, soprattutto quest’ultimo periodo. Se prima pensavo di essere impegnata, ero pazza».
Tra il lavoro e la mia relazione con Blake c’erano stati già diversi sconvolgimenti, e quando le acque sembravano calmarsi, ecco che succedeva qualcosa che scombinava di nuovo tutto.
«Allora, ho intenzione di passare a Boston. Non posso tollerare il pensiero che sia il decimo anniversario senza… be’, sai, un qualche tipo di commemorazione. Glielo dobbiamo».
Le mie labbra si incurvarono in un sorriso triste. «Sarebbe bello, mi piacerebbe».
«Ottimo. Allora vedo cosa riesco a fare».
«Fammi sapere quando vieni, così mi organizzo di conseguenza».
«Perfetto. Ne parlo a Beth e ti faccio sapere cosa decidiamo».
«Non vedo l’ora. Mi farebbe tanto piacere rivederti e conoscere la tua famiglia, ovviamente». La tua famiglia. Era strano pronunciare quelle parole.
«Stammi bene, Erica. Ci sentiamo».
Lo salutai e subito arrivò un’altra chiamata. Il mio cuore accelerò quando vidi il numero di Blake.
Merda.
Entrai in casa e posai la borsa sul bancone della cucina. Le luci erano spente, ma il sole del pomeriggio filtrava attraverso le tende. Arrivata in salotto sentii la voce di Blake.
«Sei in ritardo».
Mi girai e lo vidi al mobile bar dall’altra parte della stanza: era senza maglia, scalzo e aveva un bicchiere in mano. Sul suo viso non si leggevano emozioni, eppure mi guardava con una tale intensità che mi fece entrare in agitazione. I suoi occhi verdi sembravano brillare nell’oscurità della stanza. Aveva la mascella serrata, la rilassava solo per bere.
«Scusami, ho ricevuto una chiamata…».
«Vieni qui».
Non finii la frase; non avremmo parlato della chiamata inaspettata di Elliot, almeno non in quel momento. C’era qualcosa di strano nel modo in cui mi guardava, e aveva pronunciato quelle parole con un tono duro.
Camminai lentamente verso di lui, fino ad arrivargli a pochi centimetri di distanza, tanto da sentire il calore che emanavano i nostri corpi. Blake era senza dubbio affascinante, un perfetto esempio di bellezza maschile. Alto e snello, il suo corpo mi faceva puntualmente perdere lucidità. E fu quello che successe anche in quel momento. Gli toccai il petto, incapace di resistere a quella vicinanza, e i suoi muscoli si irrigidirono.
«Togliti la camicetta», mi disse.
Lo guardai negli occhi, ma non c’era traccia di umorismo nel suo sguardo. Era lì davanti a me, come una statua, una bellissima scultura, fredda e immobile. Gli sfiorai gli addominali con le dita, che feci poi scivolare sulla cintura dei jeans all’altezza dei fianchi.
«Stai bene?», chiesi a bassa voce. L’avevo già visto in quello stato e non c’era bisogno che mi dicesse niente, perché sapevo già che qualcosa lo infastidiva.
Ebbe un sussulto quasi impercettibile. «Tra un minuto starò meglio».
Sapendo di cosa aveva bisogno, mi tolsi la camicetta e la lasciai cadere per terra.
«Meglio?». Inclinai la testa di lato, sperando di tirare fuori la parte allegra di lui.
Il suo sguardo non cambiò, restò di ghiaccio. «Non farmi più aspettare, Erica».
La sua voce era pericolosamente bassa. Trattenni il respiro, cercando invano di controllare le reazioni del mio corpo. Un potente misto di desiderio e aspettativa offuscò i dettagli della giornata appena trascorsa per farmi concentrare solo su quel momento e su quell’uomo dispotico che stava per mandare al diavolo il suo autocontrollo con il mio corpo.
Spostai la mano sulla sua erezione e iniziai a massaggiare attraverso la stoffa dei jeans.
«Ora sono qui, mi farò perdonare».
«Certo che ti farai perdonare», disse, afferrandomi il polso.
Lo guardai lasciare la presa e portare la mano sul mio petto. Quel semplice contatto mi scaldò.
Abbassò la coppa del reggiseno per accarezzarmi e far scivolare il pollice sul capezzolo. Mi abbandonai a quel movimento circolare, colta da un fremito di piacere.
Gemetti e lui strinse di più. Trattenni un sospiro ma non lo spinsi via. Piegò le labbra all’insù e un lampo di malizia gli attraversò lo sguardo.
«Spogliati e vai al tavolo».
Eccola la parte allegra, ma c’era anche qualcos’altro.
Aggrottai le sopracciglia guardando il grande tavolo di legno al centro della stanza. Prima che potessi dire qualsiasi cosa, mi diede una pacca sul sedere e mi spinse gentilmente da quella parte. Mi sfilai la gonna, il reggiseno e gli slip e mi girai verso il tavolo, appoggiando le mani sulla superficie. Al centro notai delle corde ammassate.
«Giù», disse con tono secco, mettendomi la mano sulla spalla e spingendo leggermente. Allungai le braccia davanti a me e sussultai quando la parte anteriore del mio corpo fu a contatto con la superficie fredda del tavolo e le cosce premettero contro il bordo. Ero come prigioniera e non riuscivo a capire più nulla, tranne che Blake aveva il controllo della situazione. E gliel’avevo permesso io.
Non appena la giornata lavorativa finiva ed entravo nell’appartamento in cui ora vivevamo insieme, dovevo combattere contro la maggior parte dei miei istinti. Cedevo il controllo all’uomo che amavo, confidando nel fatto che avrebbe pensato a entrambi. E così era, ma a volte non riuscivo a sopprimere l’impulso di ribellarmi, almeno un po’, per fargli capire che non avrei smesso di lottare.
Fece scorrere la sua mano fredda sui miei glutei e mi irrigidii. Mi morsi il labbro e mi preparai a quello che sarebbe venuto dopo.
«Sei arrivata con venti minuti di ritardo. Sai cosa vuol dire?».
Prima che potessi rispondere mi sculacciò. Gemetti, ma poi quel dolore si trasformò in un calore che mi invase. Mi inarcai, muovendomi contro di lui.
«Mi punisci?», gli chiesi con calma.
«È quello che vuoi?»
«Sì». Il tono mansueto delle mie risposte continuava a stupirmi, visto quanto ci eravamo spinti oltre e quanto amavo l’oscurità che avevamo trovato l’uno nell’altra. Ammettere quanto mi piacesse richiedeva ancora un certo coraggio.
«Benissimo. Ti darò venti sculacciate e voglio che le conti, altrimenti prendo la cintura».
Senza indugiare mi sculacciò di nuovo, abbastanza forte che potei sentire l’eco della botta. Rimasi un istante senza fiato, ma poi parlai subito.
«Uno».
«Brava», disse, e colpì di nuovo.
«Due».
A ogni sculacciata mi irrigidivo e mi eccitavo sempre di più. Non riuscivo a capire il perché, ma Blake mi faceva impazzire. Quando arrivammo alla decina mi tenevo stretta al tavolo, più che pronta al piacere che sarebbe seguito a quel gradevole dolore.
Venti.
Sospirai e lasciai che il mio corpo si rilassasse contro il tavolo. Il sollievo durò poco, perché Blake mi tirò per i capelli per farmi alzare.
«Su».
Mi sollevai e lui mi girò. Mi sembrò sul punto di parlare, invece fece aderire i nostri corpi. La sua pelle bruciava contro la mia, e all’improvviso lo desiderai ancora di più. Unì le nostre labbra, e il sapore dello scotch si mescolò al suo profumo di muschio. Schiusi la bocca, invitandolo a entrarvi; volevo sentire il suo sapore sulla lingua. Ma Blake interruppe il contatto tirando indietro la mia testa.
«Sei troppo avida».
Mi imbronciai a quell’accusa.
«Sei viziata e non ascolti mai».
«Invece sì che ascolto», protestai.
«Forse sì, ma non obbedisci. Ora basta giocare, devi imparare a comportarti e ho intenzione di insegnartelo».
Lottai contro la paura che mi attanagliava, la paura dell’ignoto. «Scusa».
«È un buon inizio. Mettiti sul tavolo».
Esitai un istante, ma poi mi sedetti sul bordo. Lui scosse la testa e mi spinse.
«Al centro, sbrigati».
Inarcai le sopracciglia, ma non replicai. Quando mi fui sistemata, lui fece il giro del tavolo e prese la corda.
«Sdraiati».
Obbedii. Blake afferrò il mio polso e mi fece allungare il braccio fino all’angolo. Con una velocità e un’abilità impressionanti, mi legò le braccia alle gambe del tavolo. Quando si spostò alle caviglie, testai la corda: era resistente. Mi legò una gamba e poi l’altra finché non mi ritrovai a X sul tavolo.
«Molto meglio», disse, stringendomi leggermente il polpaccio.
Mi sentii avvampare al pensiero di quanto fossi vulnerabile. Volevo dirgli che era troppo e le parole erano sul punto di uscire, ma l’eccitazione ebbe la meglio: avevo bisogno di lui, di qualsiasi cosa stesse escogitando quella sua mente diabolica. Il disagio aumentò quando Blake si allontanò, fino a non rientrare più nel mio campo visivo.
«Dove vai?», chiesi, cercando di mascherare l’ansia nella voce.
«Tranquilla, non me ne vado. Non quando sei lì sul tavolo come un bel banchetto».
Lo sentii riempire un bicchiere di ghiaccio e poi versarsi da bere. Tornò e mi si parò davanti, portandosi alle labbra il bicchiere e nascondendo un accenno di ghigno sul suo viso bellissimo. Qualcosa nella sua espressione mi fece capire che mi aspettava una lenta tortura. Il desiderio che sentivo dentro aumentò, ormai ero completamente alla sua mercé.
Passarono secondi che sembrarono minuti; il mio petto si alzava e si abbassava a ritmo del respiro, che scandiva l’attesa. Attesa di che cosa? Non ne avevo la minima idea, ma le varie possibilità mi elettrizzavano.
Bevve l’ultimo sorso e posò il bicchiere sul tavolo, tra le mie gambe. Dopodiché vi immerse la mano e il rumore del ghiaccio fu seguito dallo shock del freddo sulla mia pelle. Mi disegnò lentamente una scia bagnata nella parte interna della gamba, fino ad arrivare all’interno coscia. Tremai e mi irrigidii mentre lui passò dai miei fianchi al ventre. Mentre il cubetto si scioglieva lentamente sull’ombelico, Blake ne prese un altro.
Fece il giro del tavolo e si fermò di lato. Fece scorrere il secondo cubetto sui miei capezzoli, indugiando su ognuno. Era quasi doloroso, ma soffocai una protesta: non potevo rischiare altre punizioni che avrebbero ritardato l’averlo dentro di me. Si abbassò e sostituì il freddo del ghiaccio con le sue labbra calde e umide. Strinse i capezzoli tra i denti, mentre la mano fredda scendeva tra le mie gambe.
Scivolò facilmente tra le pieghe della mia intimità e mi stuzzicò il clitoride. «Ti piace quando ti lego, piccola?».
Mi passai la lingua sulle labbra secche e annuii velocemente. Mi piaceva davvero? Non ne ero sicura, ma sapevo per certo che non volevo che si fermasse, e non volevo dire niente che gli impedisse di darmi piacere come solo lui poteva fare. Ero quasi al limite, ed era così intenso da essere quasi insopportabile.
Diedi uno strattone e le corde mi sfregarono la pelle.
«Basta ribellarsi, Erica».
Si alzò privandomi del suo tocco e della sua vicinanza.
«Non avevi fretta?», protestai, cercando di controllare il desiderio sempre più ardente ogni minuto che passava. Maledetti lui e quella corda del cavolo.
«Sì, ma poi il pensiero di punirti ha smorzato l’urgenza. Adesso mi sto solo divertendo», disse con un ghigno.
Chiusi gli occhi. Cercai di rilassarmi respirando profondamente, e a quel punto sentii qualcosa di freddo tra le gambe. Gridai per la sorpresa, ma anche per una sensazione che non ero sicura fosse disagio. Il clitoride pulsava contro il ghiaccio che lui stava facendo scivolare sul mio sesso. Trattenni l’aria mentre lo spostava dai punti più sensibili e lo infilava con delicatezza nella mia intimità. Quando pensai che mi avrebbe dato tregua, un leggero tocco sostituì il ghiaccio. Quanto ancora sarebbe riuscito a torturarmi così e a tenere sotto controllo i suoi desideri? Quanto ancora io avrei resistito? Stavo per esplodere.
«Blake… non ce la faccio più, mi stai uccidendo».
«Come ci si sente ad aspettare? A desiderare?».
Serrai la mascella, cercando di distrarmi dal terribile dolore tra le gambe. Non riuscivo a fare a meno di dimenarmi, pur sapendo che non l’avrei comunque convinto a scoparmi subito.
«Lo odio».
«Vuoi che smetta?»
«Sì», dissi disperata.
Lui si avvicinò e le sue labbra mi sfiorarono la pelle sensibile del collo, poi tracciò la linea del mio orecchio con la lingua, continuando la sua lenta tortura.
«Supplica».
Mi venne la pelle d’oca. Mi inarcai contro l’aria, lui non mi stava quasi più toccando.
«Dimmi quanto lo vuoi. Devo sentirtelo dire».
«Blake… ti prego, scopami e basta».
«Sembrava un ordine, io voglio una supplica».
Gemetti e lui si allontanò; ormai non mi sfiorava nemmeno.
«Blake!». Ero furiosa e disperata.
«Sottomettiti».
Sobbalzai al tono tagliente della sua voce.
«Ti devi sottomettere se vuoi venire, Erica. Basta giocare, basta mettermi alla prova».
Deglutii, lottando contro l’istinto di ribellarmi a quell’ordine. Sottomettiti. Sentii un groppo in gola, come se la parola fosse bloccata lì finché non avessi deciso di accettare. Quella parola aveva un significato profondo. Sottomettersi sembrava più facile quando lo avevo dovuto convincere a prendersi quello di cui aveva bisogno. Ora lo stava facendo. Non stava chiedendo e non stavamo negoziando.
Chiusi gli occhi, sforzandomi di ascoltare la voce nella mia testa che mi diceva di rilassarmi, di lasciarmi andare. «Non rendi le cose facili».
Volevo che capisse perché facevo resistenza e magari che lasciasse correre. Anche quando faceva il dominatore, a volte mi aveva permesso di ribellarmi.
«Mi sono occupato di problemi urgenti tutto il giorno. Dopo il lavoro voglio venire a casa da te, e non voglio combattere così ogni volta. Se devo, lo faccio, ma sappi che non te lo chiederò sempre gentilmente e non ti renderò le cose facili, quindi abituati a sottometterti. Sei nuda, legata al tavolo e ti manca pochissimo per venire. Vuoi venire?»
«Sì, non sai quanto».
«Allora supplica».
«Per favore…», dissi piano.
«Ti ascolto, Erica. “Per favore” cosa?»
«Per favore, fammi venire. Voglio le tue mani su di me. Farò tutto quello che vuoi, te lo giuro».
«La prossima volta che te lo chiederò, ti farai trovare a casa nuda?»
«Sì».
Mi sfiorò il clitoride con le dita, al che trattenni il respiro e sollevai il bacino contro il suo tocco, ma lui mi schivò subito.
«Giuri?»
«Giuro. Cristo, farò tutto quello che vuoi».
«E non dovrò dirti di nuovo come fare per sottometterti, vero?»
«No», dissi, scuotendo la testa con enfasi.
Sentii il calore della sua mano dove più lo volevo e resistetti all’impulso di premere il mio corpo contro di lui.
Porca puttana, è una tortura.
Ogni cellula del mio corpo si tendeva verso il suo tocco, ma non avevo il controllo. Era questa la realtà che non volevo accettare, ma in qualche modo dovevo fidarmi completamente di lui. Quella consapevolezza fece sciogliere qualcosa dentro di me. Mi lasciai andare sul tavolo, senza più lottare. I miei muscoli si rilassarono e la mia cominciò a vorticare, così come il mio corpo, perso nell’immenso desiderio che avevo di lui.
Poi mi toccò, coprendo la mia intimità con il palmo della mano e tenendola stretta.
«Questa è mia, e tu non vieni finché non te lo dico io, hai capito?».
Lo guardai, gli occhi annebbiati dal desiderio. Ancora pochi secondi e avrei urlato per quanto ero nervosa, come se in qualche modo la sua frustrazione fosse passata a me.
«Tutto quello che vuoi, Blake».
Il suo sguardo si addolcì un po’ alla mia affermazione, poi mi penetrò con due dita. Aprii la bocca emettendo un sospiro di sollievo, e mi strinsi fremente intorno a lui, desiderando che mi penetrasse, ma grata che ci fossero almeno le sue dita. Premette e con movimenti circolari mi stuzzicò il clitoride.
Gemetti per il suo tocco così intenso, sollevata e scombussolata allo stesso tempo. Mi sentii tornare in vita, la mia pelle bruciava ed ero di nuovo pronta per lui.
Cristo, quell’uomo aveva il dono di farmi sentire quanto il mio corpo avesse bisogno del suo, e mi dovetti trattenere per non sollevare i fianchi.
Supplica.
La sua richiesta mi rimbombò in testa, appassionata e implacabile. Il mio sesso pulsò, sentii il sangue scorrere nelle vene e un ronzio nelle orecchie: stavo raggiungendo l’orgasmo, inarrestabile, e non avevo intenzione di rinunciare, né per orgoglio né per altro.
«Non ti fermare. Ti prego, non ti fermare».
«È questo che voglio sentire, piccola. Mi vuoi dentro di te?»
«Cristo, sì».
«Prima vuoi che ti faccia venire?».
Vidi un turbinio di colori e i muscoli si tesero. Aprii gli occhi di scatto quando mi resi conto che non mi aveva ancora dato il permesso di venire. Incrociai il suo sguardo e notai che aveva le palpebre socchiuse a causa dello stesso desiderio che stavo provando io.
«Per favore, Blake, fammi venire. Ti prego…».
Si abbassò per baciarmi, le nostre labbra si sfregarono e le lingue si scontrarono, mentre le sue dita continuavano il loro lavoro, penetrandomi delicatamente, portandomi al limite. Quel piacere bruciante mi travolse, come se l’unica cosa al mondo che avesse un senso fossero i punti in cui i nostri corpi erano in contatto, le sensazioni che mi stava facendo provare. Ne ero appagata e nello stesso tempo provavo un disperato bisogno di averlo. Un intenso calore mi attraversò e iniziai a tremare per lo sforzo di resistere all’orgasmo.
«Oddio», piagnucolai, perdendo il contatto con la realtà. «Ti prego, ti prego, ti prego».
«Vieni, Erica. Subito», mi disse contro la bocca mentre approfondiva il suo tocco intimo.
Restai senza fiato. Essendo legata non potevo affrettare né controllare niente. Le sue parole, il suo ordine, mi avevano distrutta. Mi possedeva, ero sua. Alla sua mercé, sotto il suo comando, venni con un gemito. Strinsi forte i pugni e rimasi con i muscoli in tensione mentre fremevo dal piacere.
Per un istante perfetto, il mondo rimase in silenzio. Stavo ancora tremando quando mi lasciò per andare a slegarmi le caviglie. Provai sollievo per essere di nuovo libera. Pochi secondi dopo Blake era completamente nudo sopra di me. Mi fece allacciare le gambe intorno ai suoi fianchi e iniziò a penetrarmi.
«Sono così eccitato che fa male. Voglio scoparti così a fondo che la prossima volta non ti scorderai a chi appartieni, piccola. Ti farò venire ancora e ancora, finché non ti sarai convinta che ti darò quello che entrambi vogliamo».
Avevo perso la voce per l’estasi e annaspavo, in attesa di quello che mi avrebbe fatto. Aveva i muscoli tesi e mi mise un braccio intorno alla vita. I suoi occhi verdi erano più scuri del solito e aveva le pupille dilatate, il suo sguardo era incatenato al mio. Allora lo vidi: l’uomo, ma anche l’animale che viveva appena sotto la superficie.
Tutto questo gli serviva. Gli serviva che io fossi così.
«Blake». Mi leccai le labbra, secche per il respiro irregolare. «Baciami. Ti prego».
La tensione e la determinazione dei suoi lineamenti lasciarono spazio a qualcos’altro, e lo sentii quando le nostre labbra si incontrarono: fu più delicato, ma non meno appassionato. Era amore, lo riconobbi.
Nonostante le sue fissazioni e la mania di controllo esasperante, amavo quell’uomo. Lui aveva bisogno di tutto questo, e io dovevo essere così per lui.
«Ti amo», gli dissi subito dopo aver interrotto il bacio.
Il suo sguardo intenso mi fece bruciare. Il desiderio che vibrava nel suo corpo sembrò placarsi per un secondo. Poi si abbassò di nuovo e sfiorò le mie labbra con le sue delicatamente.
«Non posso neanche respirare senza di te. Mi distruggi e poi rimetti insieme i pezzi. Accetti tutto di me e continui ad amarmi».
L’interrogativo che lessi nei suoi occhi e l’insicurezza delle sue parole mi spezzarono il cuore.
«Blake… sono tua. Voglio tutto questo, voglio ogni parte di te». Sentii un groppo in gola, completamente diverso da quello di prima. Il mio desiderio e il mio amore struggente esplosero. Le nostre bocche si incontrarono ancora e Blake infilò la lingua mentre affondava dentro di me. Il mio sesso si strinse attorno al suo, che spinse ancora più in fondo. Eravamo vicinissimi, le nostre anime erano unite come i nostri corpi. Uscì e rientrò, andando ancora più in profondità. Gemetti; il suo corpo era teso sopra al mio e tremava per lo sforzo di trattenersi. Lo sentii anch’io quel bisogno di lasciarsi andare, di affogare nel desiderio selvaggio.
Potei vedere il fuoco nei suoi occhi mentre mi afferrava la nuca e si appoggiava su un gomito. Incrociai le caviglie attorno ai suoi fianchi e sentii il suo bicipite flettersi attorno alla mia vita. Poi si mosse forte, proprio come volevo, e la frizione mi portò quasi all’orgasmo. Aprii la bocca in un grido silenzioso che trovò voce quando spinse di nuovo dentro di me. Veloce, senza pietà e rude, uno dei tanti modi in cui adoravo averlo.
A quel ritmo venni di nuovo, il mio sesso stretto attorno a lui mentre facevo aderire le mie cosce ai suoi fianchi. Anche lui raggiunse l’apice, e il suo orgasmo fu la continuazione del mio. Premette il suo corpo contro il mio tenendoci entrambi attaccati al tavolo, in una corsa per avere sollievo, col mio nome sulle labbra.
Capitolo due
A cavalcioni su Blake, gli facevo un massaggio con i pollici ai muscoli delle spalle. Non sentivo reazioni e iniziavo a chiedermi se quello che stavo facendo avesse un minimo effetto su di lui. Poi emise un piccolo gemito, quindi sorrisi e appoggiai la fronte sulla sua schiena. Gli baciai la pelle profumata e respirai il suo odore. Per una ragione inspiegabile, rilassai i muscoli anch’io. Il suo profumo di muschio misto al sudore dell’amplesso quasi mi sopraffece. Sarei potuta rimanere così tutto il giorno.
«Hai un profumo fantastico», gli dissi, prima di premere le labbra sulla sua pelle, baciandolo e respirandolo. Lui rise. Tirai fuori la lingua per assaggiarlo, come se il suo odore non fosse abbastanza, come se andare in estasi legata al tavolo, sottomessa, non fosse abbastanza. Blake Landon era la mia droga, la mia ossessione, un’abitudine che avevo intenzione di non perdere mai.
Iniziai a concentrarmi su di lui con le labbra e i denti, mentre lo massaggiavo e facevo scivolare le dita sul suo corpo con urgenza. In un lampo mi disarcionò e mi ritrovai sulla schiena con il suo meraviglioso corpo nudo tra le gambe.
«Stai cercando di farti scopare di nuovo? Perché se è così stai facendo un ottimo lavoro».
Ridacchiai e lui sorrise in risposta. Poi mi afferrò i polsi per fermarli ai lati della mia testa, e mi accarezzò i punti in cui la corda aveva sfregato. Gli lessi negli occhi un velo di preoccupazione, quindi mi liberai e gli presi il viso tra le mani per farlo concentrare su di me.
«Sto bene, non iniziare a sentirti in colpa».
«Non volevo farti male».
«Fidati, non ho sentito niente. In quel momento sentivo solo te, su di me e dentro di me. È stato così intenso che quello che di solito fa male ha solo amplificato il piacere. E lo sai bene che mi piace, quindi non fare il cucciolo ferito».
«Ma ora ti fa male. Se ti vengono i lividi?»
«Chi se ne importa. La prossima volta non mi ribellerò. Volevi darmi una lezione, no?».
Mossi le anche sotto di lui, sfregandomi contro la sua erezione calda e pulsante sulla mia pancia.
Inarcai le labbra in un sorriso. Volevo il Blake allegro e non avevo intenzione di farlo vergognare dei suoi bisogni, che piano piano stavano diventando anche i miei.
Dopo essere stata violentata quattro anni prima, non avrei mai creduto che sarei stata in grado di cedere a qualcuno il controllo che stavo concedendo a Blake. Ma lui mi aveva mostrato come lasciarmi andare, mi aveva fatto capire cos’era il vero desiderio, qualcosa di più profondo e intenso di qualsiasi altra sensazione avessi mai provato.
Lottavo per avere il controllo solo per farmelo togliere da lui con quei suoi modi prepotenti. Abbatteva ogni resistenza finché non rimaneva altro che il desiderio, e ormai non volevo né riuscivo a immaginare qualcosa di diverso.
Feci scorrere due dita lungo la ruga che gli solcava la fronte.
«Comunque, cos’hai? Prima mi sembravi sconvolto».
Si stese di schiena e fissò il soffitto. Prima che potessi insistere, sentii una porta sbattere e poi il suono attutito di due voci. Saltai velocemente giù dal letto e chiusi a chiave la porta della stanza. Tornai da Blake per rannicchiarmi tra le sue braccia, appoggiando pigramente una gamba sulla sua coscia.
Dal corridoio udimmo un tonfo che rimbombò fino in camera, seguito poi da una risatina e da un gemito.
Sorrisi: Alli e Heath, di nuovo. Ma chi ero io per giudicare? Grazie al cielo non erano entrati durante il nostro giochino nella sala da pranzo, perché non avrei saputo come spiegarlo a Alli. Non le avevo mai parlato dei gusti di Blake tra le lenzuola e, almeno per il momento, preferivo continuare a lasciarla all’oscuro.
«Dovremmo fare un viaggio», disse all’improvviso Blake.
«Sono sicura che presto troveranno una casa», replicai, sospirando.
«Non abbastanza presto. In più non stiamo fuori insieme da… be’, da Las Vegas. Un fine settimana lungo ci farà bene. Voglio stare un po’ con te, solo noi due, senza distrazioni».
Una serie di eventi inaspettati, la maggior parte dei quali orchestrata da Blake, ci aveva fatto arrivare dove eravamo. Las Vegas era stato un punto di svolta, e il ricordo della nostra prima volta insieme mi scaldava ancora. Allora c’era stato solo desiderio fisico tra noi, ma poi era diventata un’ossessione e, in un certo momento, mi ero innamorata di lui.
«Non credo di potermi prendere una pausa dal lavoro, adesso». Le ultime ore mi avevano fatto dimenticare Risa, Max e le loro macchinazioni, ma piano piano la realtà era tornata ad affollarmi i pensieri.
«Ce lo meritiamo. Andiamo via per qualche giorno. Ci sarà sempre qualcosa da fare e qualcuno che avrà bisogno di noi, ma niente che non possa aspettare un paio di giorni».
Inarcai le sopracciglia, l’irrefrenabile lavoratrice che era in me non era ancora del tutto convinta.
«Sicuro?»
«Certo. Anzi, ho appena deciso che non ti darò scelta: partiamo domani dopo il lavoro».
Sorrisi, già elettrizzata. «Cosa mi devo portare?»
«Ci penso io al bagaglio».
«Non c’è bisogno».
«Non credo che passeremo molto tempo vestiti, quindi non importa. Bikini e qualche tanga dovrebbero bastare».
Risi e gli diedi uno schiaffetto. Lui mi prese la mano e brontolò, portandomi sopra di lui.
«Fino ad allora, dovremmo fare un po’ di casino anche noi».
Risi di nuovo e scossi la testa. «Non puoi essere da meno. Sei incorreggibile».
«Fidati, non mi interessa sentire il mio fratellino che fa sesso. L’unico modo perché gli arrivi il messaggio è restituire il favore. Devo solo trovare come farti urlare».
Il mio sorriso svanì. Blake mi abbracciò stretta, facendo bruciare ogni porzione di pelle che sfiorava.
«Ho l’impressione che tu sappia già molto bene come fare».
Sentii bussare alla porta e aprii gli occhi. Blake si mosse dietro di me, ma non si svegliò.
«Erica, sei in piedi?», disse la voce dietro la porta.
Mi infilai la maglietta di Blake e guardai che lui fosse coperto, poi aprii. Alli era sveglissima e pronta per andare al lavoro.
«Che succede?», chiesi, aggrottando le sopracciglia. «Che ore sono?»
«Le otto. Vestiti, devo farti vedere una cosa».
La studiai con gli occhi assonnati, ma non ero abbastanza sveglia per pensare a qualcosa che non fosse il desiderio di tornare a letto tra le braccia di Blake. «Che succede?»
«Preparati, ci vediamo in ufficio».
«Perché…».
Prima che potessi finire la frase sparì nel corridoio, e la porta si chiuse pochi secondi dopo. Mi girai e andai in bagno. Blake stava ancora dormendo quando finii la doccia. Mi vestii in fretta e lo fissai per un attimo, godendomi la rara espressione serena che aveva mentre dormiva. In genere era lui quello che si svegliava presto, ma era stata una lunga notte. Alcune sere non ne avevamo abbastanza l’uno dell’altra, e quella scorsa era già diventata mattina quando il sonno ci aveva colto. Gli diedi un bacio sulla guancia e uscii per andare al lavoro.
Quando entrai in ufficio, tutta la squadra era accalcata intorno a James, con gli occhi incollati allo schermo. Mi unii a loro, ma non capii subito cosa stavo guardando.
«Che succede?»
«Questo sito. PinDeelz, lanciato ieri sera», spiegò Alli.
«Tutti gli utenti di Clozpin hanno ricevuto un messaggio, inclusi noi. Molto discreto».
Mi chinai sulla spalla di James, mentre lui navigava su un sito che, nonostante il marchio differente, era molto simile al nostro. Sentii un nodo allo stomaco quando vidi che in ogni pagina c’erano annunci di Bryant, uno dei nostri maggiori inserzionisti che avrebbe dovuto rinnovare il contratto con noi per il mese successivo.
Stronzo.
Mi alzai e sparii nel mio ufficio, dove accesi il computer per continuare a esaminare il sito. Sulla pagina CHI SIAMO si leggevano il nome di Max come fondatore e quello di Risa come direttrice operativa.
Non fui sorpresa che quello di Trevor non comparisse, ma sapevo benissimo che l’hacker che per mesi, forse anni, aveva cercato di rovinare le attività di Blake era stato cruciale per l’avvio del sito avversario, anche se ciò aveva significato per lui prendersi una pausa dall’attacco costante nei confronti degli affari miei e di Blake.
Ero arrabbiata, capivo a malapena cosa stava succedendo. Io e Sid avevamo impiegato mesi a perfezionare Clozpin per renderlo quello che era. I nostri successi, gli errori e le lezioni erano stati copiati e migliorati in un attimo.
Alli si unì a me, sedendosi sulla sedia all’altra parte della scrivania; la mia preoccupazione era la stessa dipinta sul suo viso. Si tormentò il labbro, ma non disse niente. Dentro di me provavo una furia cieca, volevo fare la scenata più violenta che si fosse mai vista; volevo imprecare e, che Dio mi aiutasse, se mi fossi trovata davanti Max e Risa – e Trevor… sarebbe stato un bagno di sangue.
«Non posso credere che l’abbiano fatto davvero».
«Lo so», rispose semplicemente.
«È incredibile che qualcuno covi così tanto rancore nei confronti miei e di Blake da fare una cosa del genere. È un sabotaggio bello e buono».
«Tanto non durano, Erica».
Risi amaramente. «Perché no? Hai conosciuto Risa, quindi sai quant’è determinata, e con i soldi di Max non vedo perché non dovrebbero riuscire a farci fuori. Nel nostro mercato non c’è abbastanza spazio per due siti che offrono servizi tanto simili».
«Non dire così. Di sicuro non siamo vicini al fallimento. Da quando sono tornata ho parlato con diversi potenziali clienti. Stiamo ancora trattando, ma siamo vicini a chiudere dei contratti. Siamo già avviati e abbiamo esperienza, mi sorprende che Bryant stia rischiando con loro che sono nuovi».
La rabbia montò di nuovo al pensiero di quello che Risa doveva aver detto per adescare uno dei nostri maggiori inserzionisti.
«E ora cosa dovrei fare?»
«Andiamo avanti. Vogliono spaventarci e distrarci, non permetterglielo».
Scossi la testa. Niente di quello che aveva detto aveva migliorato il mio umore, e in realtà neanche le credevo. Stava andando tutto a rotoli e non potevo starmene seduta a guardarli mentre distruggevano quello per cui avevo lavorato.
La mia esasperazione non diminuì nel corso della mattinata. Mi ero tormentata per ore su ogni dettaglio del loro sito, sul paragonare ogni funzione, utile o meno, alle nostre. La mia insicurezza stava avendo il sopravvento e mi stava portando fuori strada. Per l’ora di pranzo, la botta di adrenalina si era calmata e il mio corpo mi ricordò che ero stata sveglia quasi tutta la notte con Blake: mi serviva un caffè.
Andai al Mocha e mi sedetti a un tavolino in un angolo. Giocherellai con il menu, anche se prendevo sempre la stessa cosa. Simone, con i suoi capelli rossi, curve generose e sorriso impertinente, si avvicinò e mi salutò, lasciandosi alle spalle una serie di sguardi ammirati.
«Come sta la mia informatica preferita?»
«Ho visto giorni migliori», le risposi. «Ma credevo che fosse James il tuo informatico preferito».
Lei sorrise e si chinò sul tavolo. «Sì, be’, ci stiamo arrivando. Non sono del tutto convinta che non ti venga più dietro».
Lottai contro l’impulso di alzare gli occhi al cielo. Speravo davvero che a James fosse passata, e Simone aveva la mia benedizione. Con la zazzera di capelli nerissimi e il braccio tatuato, James era l’uomo dei suoi sogni; l’unico problema era che aveva male interpretato i segnali quando io e Blake ci eravamo separati. O forse li aveva interpretati bene, capendo che avevo un bisogno disperato di un amico o di qualsiasi cosa potesse riempire il vuoto lasciato dall’assenza di Blake. Mi ero resa conto solo più tardi che niente l’avrebbe mai potuto riempire, se non l’uomo con cui ora dividevo il letto.
«Non penso che ti debba preoccupare di questo, Simone».
Lei si accigliò leggermente. «Non siete mai stati a letto insieme, vero?»
«No», risposi, sgranando gli occhi. «Dio, no».
Simone rise. «Tranquilla, era solo una domanda».
Ma in realtà non lo era. Era il promemoria sgradito di un momento di debolezza tra me e James. Mi sentivo in colpa ogni volta che ci pensavo. All’epoca ero convinta che Blake fosse in combutta con Risa, senza contare la sua ex Sophia, spietata nel cercare di riconquistarlo. Era tutto confuso, non sapevo cosa mi riservava il futuro, finché non mi ero trovata tra le braccia di James in un bacio che subito mi aveva riportata alla dura realtà: se ci fosse stato un uomo nella mia vita, quello sarebbe stato Blake.
«Cos’hai, tesoro? Mi sembri distrutta».
Alzai lo sguardo. «Lo sono. Problemi di lavoro, è una storia lunga».
«Mi fai un riassunto stasera? Magari davanti a un cocktail e con parole semplici, visto che di solito capisco solo la metà della roba che dite».
Ridacchiai. «Stasera vado fuori città con Blake, ma magari riusciamo a berci qualcosa al volo prima di partire. È un problema se lui ci raggiunge?»
«Certo che no. Allora, cosa ti porto?».
Ordinai e mangiai con calma. La maggior parte delle volte mi affrettavo per poter tornare subito al lavoro, ma oggi avevo deciso di soffermarmi a guardare le persone che camminavano davanti alle vetrine del bar. Dietro ognuna di loro c’era una storia e non potevo fare a meno di chiedermi se sarei mai riuscita a fidarmi di nuovo di qualcuno esterno alla squadra. Ingenuamente e senza ascoltare gli avvertimenti di Blake mi ero fidata di Max, abbastanza da considerare l’idea di affidargli la mia azienda prima che se ne occupasse Blake. E Risa… era stata avida, bramosa di imparare e prendersi le responsabilità che avevo un disperato bisogno di delegare, per poi usarle contro di me.
Trattenni le lacrime che minacciavano di uscire. Se lo avessi permesso, sarebbero state lacrime di rabbia per aver imparato la lezione in quel modo.
Capitolo tre
Passai in rassegna il locale alla ricerca di Simone. Siccome non riuscii a trovarla, decisi di sedermi su uno sgabello e feci un cenno al barista, un po’ troppo desiderosa di qualcosa di fresco da bere per dimenticarmi della giornata di merda.
In TV c’era il telegiornale delle diciassette senza volume. Il mio cuore si fermò quando comparve il viso di Mark, seguito da un video di Daniel, probabilmente durante la campagna elettorale. In basso si leggeva il titolo: SI INDAGA ANCORA SULLA MORTE DI MACLEOD. Mi venne la nausea, volevo che quel capitolo della mia vita rimanesse chiuso, probabilmente tanto quanto lo voleva Daniel. Non riuscivo a capire cosa c’era ancora da dire dopo il presunto suicidio di Mark, e forse preferivo non saperlo. Stavo per chiedere al barista di alzare il volume quando qualcuno arrivò alle mie spalle.
«Ciao».
Sobbalzai e mi ritrovai davanti James, con un sorriso incerto. Aveva una maglietta con le scritte che si adattava perfettamente all’uomo tatuato che la stava indossando.
«Oh. Ciao».
Inarcò le sopracciglia. Non stavamo da soli, o comunque faccia a faccia, da un bel po’ di tempo. Al lavoro era tutto normale, ma non avevamo mai chiarito come avremmo dovuto. Le cose non dette a volte mi pesavano, ed ero stata troppo presa dal dramma con Blake per trovare il tempo di chiarire con James, quindi la questione era rimasta in sospeso. Era acqua passata, ma ogni volta che lui era vicino mi ritornava in mente.
«Scusa, non sapevo che saresti venuto», gli dissi per giustificare l’imbarazzo.
«Simone non te l’ha detto?».
Scossi la testa e cercai di nascondere la mia sorpresa bevendo un sorso. Chissà dove voleva arrivare Simone.
Mi mossi sullo sgabello leggermente a disagio, sentendo il suo sguardo attento che mi studiava. Voleva farmi ingelosire? O farmi vedere che era andato avanti? In quel caso, desideravo che sapesse quant’ero felice che fosse interessato a una persona incredibile come Simone. Non sopportavo l’idea di averlo potuto incoraggiare quando non ne avevo alcun diritto, visto lo stato pietoso in cui mi trovavo poche settimane prima.
«Come va tra voi? È una cosa seria?». Evitai di guardarlo, come se in quel modo potessi nascondere il fatto che cercavo una conferma.
Lui rise e si portò una mano tra i capelli, togliendoseli da davanti agli occhi per guardare la birra che il barista gli aveva appena messo davanti.
«Scusa, ma non me la sento di parlare di donne con te, Erica. È… strano, vista la situazione».
«Hai ragione, scusami». Cristo, poteva andare peggio di così?
Sorrise, alleggerendo un po’ la tensione. «Non fa niente. Comunque Simone è una tua amica, no? Sono sicuro che ti avrà raccontato tutto».
Gli sorrisi a mia volta, sollevata. «No, non le ho chiesto niente. Non sono affari miei».
«Sa di… noi?», chiese, indicandoci. Quel gesto riassumeva settimane di tensione in cui avevamo girato attorno a un’attrazione inaspettata saltata fuori all’improvviso.
Scossi la testa. «Insomma, più o meno, ma sa che sto con Blake».
«Giusto», disse con un sospiro di sollievo.
Vederlo così mi fece sperare che quella con Simone non fosse solo una cosa passeggera. Forse non voleva che scoprisse il nostro momento di debolezza proprio come io non volevo che lo venisse a sapere Blake. Mi si rivoltò lo stomaco a quel pensiero. Era già abbastanza geloso di James.
«Come stai? Stamattina sembravi parecchio turbata».
James aveva la particolare capacità di capire come mi sentivo, anche se facevo di tutto per nasconderlo. Non sarebbe servito a niente camuffare il mio vero stato d’animo o far finta che andasse tutto bene.
«Sì, effettivamente lo sono. In tutta onestà, non mi dispiacerebbe ammazzare di botte qualcuno, in questo momento. Non so se sono più delusa dalla pugnalata alle spalle di Risa o dagli effetti che tutto questo avrà sull’attività».
«Immagino, ti fidavi di lei. Che cavolo, ci fidavamo tutti di lei».
Posai lo sguardo sul mio bicchiere. «Mi sento una stupida, avrei dovuto saperlo».
«Non potevi, era impossibile».
«Forse. O forse, se non fossi stata così presa dai miei problemi…».
«Ma se non hai fatto altro che lavorare. Non so in che modo saresti potuta essere più presente.
Davvero, la maggior parte delle volte hai dormito in ufficio».
Scossi la testa e ripensai a quel periodo, sentendomi stanca al solo ricordo. Non ero mai stata così esausta, e decisa a volerlo essere. E Risa stava già complottando con Max, anche quando lavoravo senza sosta per farci andare avanti. La mia mente continuava a ripercorrere quegli eventi, ancora e ancora. Ogni volta avevano sempre meno senso e mi convincevo che non avrei davvero potuto fermarli. Cos’avrei potuto fare, in fondo?
Giocherellai con le gocce di condensa che si erano formate sul bicchiere, facendole scivolare sul tovagliolino che le assorbiva subito. James mi accarezzò la spalla.
«Erica», disse a bassa voce.
Alzai lo sguardo, tornando a concentrarmi sul presente, mentre lo sguardo azzurro di James mi trafiggeva.
«Hai sempre noi, hai me. Lo sai che siamo una squadra solida, e riusciremo a superare anche questa.
Non darle la soddisfazione di sapere che ti ha sconvolta. Questo weekend prenditi una pausa, la settimana prossima troveremo una soluzione. Preoccuparsi fino a farsi venire un esaurimento nervoso non aiuta.
Abbiamo bisogno di te, lo sai?»
«Grazie, James», dissi, sorridendo debolmente.
«Erica», mi chiamò una voce maschile alle mie spalle, mentre una mano possessiva si posava sul mio braccio. Blake era dietro di me e stava fissando James. L’astio nel suo sguardo rifletteva quello di James, che a malapena soppresse un ghigno. Avrei voluto alzarmi e mettermi tra i due per bloccare sul nascere qualsiasi potenziale diverbio.
«Blake».
Non fui sicura di averlo detto ad alta voce finché non mi rispose, continuando però a tenere d’occhio James.
«Dobbiamo andare, altrimenti facciamo tardi».
Lo sguardo di James indugiò sulla mano di Blake che stringeva possessivamente il mio braccio. Serrò la mascella e tese i muscoli del collo, mentre quella brutta sensazione si impadronì nuovamente di me: credeva ancora che Blake mi picchiasse. Volevo smentire quel sospetto, ma non potevo farlo senza rivelare informazioni che non era il caso sapesse.
«Credevo avessimo il tempo per bere un drink», dissi, posando una mano sopra la sua. Spostò lo sguardo su di me, come se quel tocco leggero l’avesse risvegliato.
«Cambio di programma», replicò velocemente.
Annuii e presi la borsa, ansiosa di alleggerire la tensione che si era creata. Mi girai verso James e mi liberai della presa di Blake.
«Ci vediamo la prossima settima», salutai.
James annuì e si girò, io mi irrigidii. Avrei voluto dire qualcosa per sistemare la situazione, ma la gelosia di Blake e il bisogno di James di proteggermi da pericoli immaginari erano ben radicati. Blake frugò nella tasca e posò venti dollari sul bancone, intrecciò le dita con le mie e mi condusse all’uscita.
«Qual è il cambio di programma?».
Uscimmo dal locale mentre il sole del pomeriggio iniziava a tramontare. Prima che mi potesse rispondere, incrociammo Simone.
«Ehi, dove andate?»
«Scusa, Simone, dobbiamo partire prima del previsto», le rispose Blake.
«Ma James è dentro che ti aspetta», aggiunsi allegramente, indicando l’interno.
Spostò lo sguardo da me a Blake. «Okay. Be’, voi piccioncini divertitevi».
Le sorrisi timidamente e lasciai che Blake mi guidasse verso l’Escalade parcheggiata davanti al marciapiede. Un attimo dopo entrai nella macchina guidata da Clay, la guardia del corpo che Blake aveva voluto avere a disposizione sempre più spesso, ultimamente.
Scivolai sulla pelle fredda del sedile accanto a Blake. Prima che potessi iniziare a parlare, mi fece sedere a cavalcioni su di lui e posò le labbra sulle mie. Era un bacio dettato dall’urgenza, intenso com’era stato la notte prima. Mi lambì le labbra, sollecitandomi ad aprirle per lui. Lo feci e potei godere della carezza vellutata della sua lingua, che con movimenti delicati esplorò la mia bocca.
Scacciando tutti i pensieri, mi concentrai sulla passione dei suoi gesti e sul bisogno che potevo quasi assaporare. Il suo odore mi riempì i polmoni mentre ci respiravamo l’un l’altra. Infilai le mani tra i suoi capelli e approfondii il bacio, avvicinandolo ancora di più a me. Sentivo la dolcezza della sua lingua mentre ci stuzzicavamo e ci mordicchiavamo.
Soffocai un gemito, appena consapevole che non eravamo da soli.
Ci separammo abbastanza da riprendere fiato. Se fossimo andati oltre, ci saremmo divorati in pochi secondi.
«Ciao», gli dissi, rendendomi conto che non ci eravamo parlati da quando eravamo entrati in macchina, ormai diversi minuti prima.
«Ciao a te», mormorò in risposta.
I suoi occhi erano scuri e determinati. Fece scivolare la mano sulla mia coscia e poi fino al sedere, afferrandomi da sotto il vestito. Mi morsi un labbro, consapevole del dolore tra le gambe e del desiderio selvaggio che riusciva a risvegliare in pochi minuti. Non riuscivo a pensare ad altro che non fosse il modo più veloce di averlo.
«Non so dove stiamo andando, ma di questo passo sarà un viaggio molto lungo».
«Non viaggiamo in macchina. Clay ci sta portando all’aeroporto, abbiamo un aereo che ci aspetta».
«Dove andiamo?»
«Non volevo allontanarci troppo, ma non volevo neanche trascorrere ore in mezzo al traffico.
Prendiamo l’aereo per Martha’s Vineyard e tra un’ora siamo a casa. Non avevo intenzione di perdere un minuto più del necessario».
Sorrisi e lo baciai dolcemente. «Non vedo l’ora di arrivare».
Come prevedibile, una piccola auto sportiva ci stava aspettando agli arrivi dell’aeroporto e ci portò poi alla destinazione finale, veloce come la Tesla di Blake. Parcheggiammo alla buona nel punto più alto dell’isola, dove c’era la casa. Eravamo appena a qualche ora e pochi chilometri dalla vita di tutti giorni, ma la distanza si fece sentire appena salimmo i gradini ed entrammo in casa: l’aria tiepida dell’oceano era un gradito cambiamento rispetto all’afa della città, e quel sollievo fu l’ulteriore prova che avevo davvero bisogno di una pausa.
Blake portò i bagagli dentro e si girò verso di me. Mi strinse e io gli circondai il collo con le braccia, al che lui fece scivolare le mani sul mio vestito finché non arrivò all’orlo e lo tirò su.
«Mi sei mancata un sacco, oggi», disse, stringendo la presa sul mio fianco.
«Anche tu mi sei mancato. Come sempre».
«Ti avviso, oggi non sono paziente, farò forte e veloce. Puoi reggere?».
Mi mancò il respiro e sentii come una scia di lava sulla pelle a quell’affermazione. Mi spinse contro la porta e, senza aspettare una risposta, portò entrambi i pollici sull’orlo dei miei slip e li tirò giù.
«Ti voglio, ora».
Il mio respiro accelerò e avvampai, con il cuore tremante per l’eccitazione. Mi liberai del vestito e Blake si allontanò abbastanza per farlo cadere. Poi tornò su di me, premette la bocca sul mio seno e succhiò forte, prima uno e poi l’altro. Gemetti quando mi mordicchiò la pelle sensibile. Non c’era una sola cellula del mio corpo che non volesse che iniziasse a fare quanto aveva promesso poco prima.
«Va bene».
Armeggiai con la sua camicia e gliela tolsi, poi tirai giù la lampo dei pantaloni e liberai la sua erezione prima di prenderla in mano. Mi morsi il labbro. Non avrebbe aspettato ulteriormente per possedermi.
Si portò la mia gamba sul fianco e si posizionò. Iniziò a spingere piano in modo che mi abituassi gradualmente, uscendo e poi rientrando per andare più a fondo. Quando entrò del tutto, ero completamente bagnata.
Piegai la testa all’indietro e l’appoggiai sulla porta con un piccolo grido.
«Blake».
Pulsai attorno al suo sesso. Restammo così, uniti e senza fiato, il desiderio che mi scorreva nelle vene.
Affondai le unghie sui suoi fianchi e lo avvicinai, facendolo affondare di più.
«Cazzo, sei fantastica. Ho pensato tutto il giorno a questo, ai tuoi muscoli contratti mentre vieni con me dentro. Per tutto il cazzo di giorno non sono riuscito a pensare ad altro». Spinse più forte andando sempre più a fondo.
«Ancora», soffiai.
A quella preghiera, mi afferrò i glutei e mi sollevò, in modo da farmi allacciare le gambe ai suoi fianchi e appoggiare la schiena contro il muro. Il mio peso e la sua forza ci tennero uniti. I miei muscoli erano tesi ed ero confortata dalla sensazione di averlo lì, i nostri corpi di nuovo appiccicati. Erano passate poche ore, eppure la carne morbida tra le mie gambe sentiva ancora quel forte desiderio di lui. Gli presi il viso tra le mani, e il suo accenno di barba mi pizzicò leggermente i palmi. Blake mi guardò intensamente: c’erano desiderio, amore e un’intensa possessività in quei pozzi verdi, che mi toglievano il respiro ogni volta.
«Sei mia, Erica».
Dopo aver pronunciato quelle parole, spinse ancora e subito mi contrassi attorno al suo sesso, boccheggiando per la posizione scomoda. Sembrava impossibile che fosse riuscito ad andare così a fondo.
«Sono tua», dissi in un soffio.
«Se devo ricordarlo a ogni uomo che ti guarda troppo e che pensa anche solo per un attimo di poterti avere, sappi che lo farò.
Un’altra spinta. L’attrito dei nostri corpi e la sua tensione presero il sopravvento sui miei sensi. Voleva possedermi con la stessa urgenza con cui lo volevo io. Chiusi gli occhi, sentendo l’orgasmo sempre più vicino; avevo i muscoli tesi e contratti intorno a lui. Mi tremò la voce, strozzata per la forza delle sue spinte sempre più veloci. Il suo nome riecheggiò nell’aria, ancora e ancora, mentre gli chiedevo di più.
Mi strinsi a lui, mostrandogli come quei movimenti mi stessero facendo sciogliere, affondo dopo affondo.
«Lo deve sapere. Cazzo, lo deve sapere che sei mia».
«Sì, Blake, lo sa. Sono tua… lo sono sempre stata». Aprii gli occhi, la vista offuscata dal desiderio.
«Fammi tua, Blake».
Gli infilai una mano tra i capelli e strinsi le ciocche. Emise un gemito, attutito dal bacio. Mi spinse più forte contro il legno freddo della porta mentre affondava ancora dentro di me. Pochi secondi dopo ero ubriaca del suo sapore, persa in lui; mi lasciai trasportare da quelle sensazioni. Blake mi prese intensamente, in ogni sua stretta percepivo amore e disperazione. Ci muovemmo insieme per arrivare all’apice del piacere, l’unica cosa che in quel momento contava.
«Cazzo, Blake. Oddio».
La mia presa sui suoi fianchi si indebolì man mano che l’orgasmo cresceva e prendeva il controllo della mia mente. Non riuscivo a pensare a nient’altro che a Blake e al nostro amore; era l’unica cosa positiva quando niente nella mia vita andava per il verso giusto.
Avevo bisogno di questo e di lui, in un modo che non aveva senso, ma allo stesso tempo ce ne aveva moltissimo.
«Ora», disse.
Quella semplice parola mi fece cedere. Aprii la bocca in un grido silenzioso, mentre l’orgasmo mi pervase. Mi avvinghiai a lui, concentrandomi sulle sue spinte che mi stavano portando al limite. Pochi istanti dopo venni con un grido. Lui spinse ancora e mi strinse forte, ogni muscolo teso mentre affondava dentro di me.
«Erica!».
La sua voce era roca, ridotta al minimo, proprio come mi sentivo io. Mi strinse più forte tra le braccia, come se fossi potuta sparita se non l’avesse fatto. Poi riprese fiato e mi sfiorò il collo con le labbra.
Ero senza forze, cosa che risultò palese quando allentò l’abbraccio e, toccando terra, le gambe mi tremarono. Blake mi sorresse, tenendomi per i fianchi mentre usciva dal mio corpo.
Il suo umore tiepido mi colò sulla coscia. Feci per muovermi, ma lui mi tenne ferma e osservò la scia traslucida che scivolava sulla mia gamba.
«Cazzo. Vederlo mi fa venire voglia di farlo di nuovo».
«Sporcherò il pavimento».
Lui rise. «Ci toccherà sporcare tutta la casa, allora, perché sono ancora eccitato. Sono sfinito, ma non riesco a pensare ad altro che non sia venirti dentro di nuovo, per tutta la notte».
Feci un gran sorriso. «Mi vuoi tenere sveglia due notti di fila? Di questo passo ci consumiamo».
Sorrise e mi strinse di nuovo tra le braccia, dandomi un bacio a fior di labbra. «Siamo in vacanza, ricordi? Possiamo fare l’amore tutta la notte e dormire tutto il giorno. Nessuno può dirci niente».
«Non ci sono ospiti», sussurrai.
«Grazie a Dio. Fino a martedì mattina non voglio dividerti con nessuno».
Dopo essersi tirato su la zip dei pantaloni, mi prese in braccio e mi portò in camera da letto, poi nel bagno.
Facemmo una doccia, insaponandoci a vicenda. Quando uscimmo, Blake mi avvolse in un asciugamano bianco e morbido, e con un altro mi asciugò i capelli. La doccia calda aveva portato via l’ultimo briciolo di energia che ci era rimasta e crollammo entrambi sul letto, sfiniti per la giornata pesante e per l’amplesso.
Mi accoccolai tra le sue braccia, godendomi quella vicinanza, pelle contro pelle.
«Ti amo, Blake».
Mi alzò il mento in modo che incrociassi il suo sguardo.
«Ti amo anch’io».
Capitolo quattro
Aprii gli occhi e misi a fuoco l’ambiente. Appoggiato sul gomito, Blake mi guardava con un sorriso pigro sulle labbra. Mi stiracchiai, chiedendomi quanto avessimo dormito. Fece scorrere la mano sul profilo del mio corpo e ansimai, fin troppo consapevole di essere nuda e che Blake fosse coperto solo da un lenzuolo. I suoi occhi brillavano di ammirazione e vi vidi riflesso l’amore che ci legava. Amore. Era sbocciato in momenti come questo, rendendo migliori le cose belle e incoraggiandoci ad andare avanti nei momenti duri. Ciò che provavo per quell’uomo mi toglieva il respiro.
«Sei bellissima la mattina», sussurrò.
Cercai di nascondere il sorriso girandomi verso il cuscino. «Smettila».
Mi scostò i capelli dalla guancia e mi baciò, soffermandosi vicino all’orecchio. «Non smetterò mai finché vivo».
Mi sporsi verso di lui per baciarlo, sciogliendomi in un attimo. Mi lasciai sopraffare da questa nuova libertà: essere lontana da tutto insieme all’uomo che amavo disperatamente. Mi distesi di nuovo, accoccolandomi sul suo braccio. Una parte di me era ancora un po’ intontita, avrei potuto dormire per giorni interi e avevo percepito la stessa stanchezza negli occhi di Blake la sera prima. Sentivo che ultimamente era turbato, ma non avevo idea del perché. Per quanto fossimo vicini sul piano fisico, odiavo la distanza che c’era tra noi a volte, quel muro che lui alzava, di solito per proteggermi.
Gli tracciai il contorno del labbro inferiore con un dito. «Voglio che ti senta libero di dirmi tutto. Sai che puoi farlo, vero?»
«Sì, perché?», rispose inarcando un sopracciglio.
«È che… non so, ultimamente sei un po’ teso. Mi piacerebbe che me ne parlassi».
Lui sospirò, mi prese le mani e mi baciò le dita. «Non è che non me la sento di parlare con te, so che posso dirti tutto. Devo più che altro decidere se voglio addossarti il peso di quello di cui mi sto occupando».
Aspettai che il suo sguardo si posasse sul mio, perché volevo fargli vedere la mia risolutezza. «Non mi addossi nessun peso, ma non sapere cosa ti turba mi preoccupa. Non posso sapere se è a causa mia o se posso fare qualcosa per aiutarti».
La sua espressione cambiò, nel tentativo di nascondere le emozioni che si stavano scatenando appena sotto la superficie. «In questo caso non puoi fare niente».
«Che caso? Dimmi».
Sospirò e si appoggiò sul cuscino. «Vuoi davvero parlare di Max? Non è proprio un argomento piacevole».
Aggrottai le sopracciglia, curiosa di sapere cosa stesse facendo Max. «Che combina?»
«In realtà niente, ma questo non toglie il fatto che sia una gran rottura di coglioni. È da quando ho scoperto che stava finanziando Trevor per attaccare i miei, anzi, i nostri siti che cerco di cacciarlo dall’Angelcom».
«Non dovrebbe essere un gioco da ragazzi? Sei il direttore».
«È vero, ma si tratterebbe di fare il dittatore contro la democrazia che ho sempre voluto vigesse da noi, cosa di cui ora mi sto pentendo. Non posso prendere e cacciarlo, devo decidere insieme al consiglio. La maggior parte voterebbe contro l’espulsione».
«Perché? Non c’è neanche da pensarci su».
«Non vogliono far incazzare Michael, il padre di Max. Ha un sacco di soldi e non vale la pena rischiare un eventuale rapporto con lui per punire l’assoluta mancanza di etica del figlio».
Lo fissai, pensando a quella situazione complicata. Non mi sorprendeva che Blake scattasse per qualsiasi cosa, ultimamente. Era difficile immaginare di dover sopportare l’uomo che aveva cercato di scalzarlo per anni, e senza il supporto dei colleghi. Almeno i miei dipendenti erano dalla mia parte e non c’erano mai stati dubbi su chi fosse il nemico. Be’, almeno da quando Risa se n’era andata. Avevo ancora il terrore di fidarmi di qualcuno, dopo che avevo affidato a lei tutte le informazioni, anche confidenziali, che stava usando contro di me. Ma comunque Clozpin era ben lontana dagli investitori col colletto bianco e dagli ambienti in cui si ritrovavano molti di loro.
«Sei davvero sorpreso?»
«Che vuoi dire?»
«Be’, lo scopo della Angelcom è far fare soldi alle persone che ne hanno già un sacco. E pare che li abbiano perché sono abituati ad accumularli e proteggerli. Ti aspetti che si comportino diversamente?».
Scosse la testa. «Direi di no. Ma c’è una cosa ironica».
«Cioè?»
«L’azienda è infestata da quei pezzi di merda avidi che prima volevo distruggere».
«E cosa farai adesso? Se voteranno contro, che altre possibilità avrai?»
«Non ho ancora deciso quale sarà la mia prossima mossa. Non sono sicuro di come reagirebbe Michael se gli dicessi cosa sta succedendo. Se riuscissi a farglielo capire, otterrei il supporto del consiglio e potrei assicurarmi che Max non si avvicini mai più a una delle mie sale riunioni».
«Credevo che tu e Michael foste intimi».
«Infatti, o almeno lo eravamo. Non lo vedo da un po’, e ovviamente non vorrei che durante il nostro prossimo incontro dovessi dirgli che suo figlio è un imbroglione».
Il suo petto si muoveva a ritmo con il respiro; vi feci scorrere sopra le dita. Il mio splendido uomo.
Odiavo avere a che fare con persone come Max. E Trevor. Cristo, continuava ad aggiungersi gente alla lista.
«Mi dispiace tantissimo, Blake, è una situazione di merda. Ma riuscirai a superare anche questa, come sempre. E quelli come Max non possono continuare a calpestare i sogni delle persone scampandola sempre. Almeno spero».
Era talmente arrabbiato con Max, che non ero sicura fosse il momento migliore per dirgli del nuovo sito di Risa e della minaccia che rappresentava.
Mi alzò il mento e incrociai il suo sguardo. «Che succede?».
Esitai un attimo. «Max e Risa hanno lanciato la loro attività, un sito concorrente. Hanno plagiato Clozpin e a quanto pare si sono portati via almeno uno dei nostri maggiori inserzionisti. Chissà poi quanti utenti».
«E quando avevi intenzione di dirmelo?», chiese, inarcando le sopracciglia.
«Alli me ne ha parlato ieri, voleva che fossi io a dirtelo. E onestamente avevo bisogno di un po’ di tempo per farmene una ragione, anche se credo di non esserci riuscita. Ho paura che cercheranno di mandare a rotoli la mia attività con la stessa determinazione che hanno avuto con te. Solo che io non sono te, non ho le tue risorse né la tua esperienza. Sto ancora imparando come si gestisce un’azienda, non mi aspettavo di dovermi difendere così già nella fase di crescita. Prima Trevor e ora questo. Sto cercando di non disperarmi, ma è difficile».
«Fidati, non distruggerà la tua attività, non glielo permetterò. E per quanto siano pieni di rancore, non sono alla nostra altezza», disse, accarezzandomi la guancia con le nocche. «È dura, ma gli affari sono così. Non puoi perdere la speranza, è quello che gli altri vogliono. Se mi fossi arreso ogni volta che qualcuno mi ha pugnalato alle spalle in ambito lavorativo, avrei chiuso parecchio tempo fa. Tu sei troppo forte per lasciare che succeda una cosa simile».
«È che non riesco a credere che qualcuno possa essere così infido. Io non riuscirei a fare una cosa del genere a nessuno, neanche se lo odiassi».
«Non vorrei dirlo, ma ti ci devi abituare. Appena l’attività inizia ad andare bene, arriva qualcuno che se la vuole prendere o ti vuole far fuori».
Sgranai gli occhi. «Non mi stai facendo sentire molto meglio sulle prospettive future».
«Diventerai più forte, e poi hai me».
«Sì, ma cosa possiamo fare? Non abbiamo il controllo su quello che stanno facendo. È chiaramente un sabotaggio, ma sono impotente».
Blake restò in silenzio, come se stesse pensando a una strategia. «Be’, posso sempre hackerare il loro sito», disse, sollevando un angolo della bocca.
Alzai gli occhi al cielo. «Ottimo, una lotta tra hacker. Credo che concordiamo entrambi sul fatto che la cosa non risolverebbe nulla. E comunque tu sei migliore di lui».
«Dici?», chiese con un ghigno.
«Avevi detto che usi il tuo potere solo per fare del bene, ti ricordi? Anche se sono persone orribili, non ti ci vedo a distruggere il loro sito».
Lui contrasse le labbra. «Forse hai ragione». Mi circondò con un braccio e mi tirò giù, baciandomi delicatamente. «Basta parlare di Max, questo fine settimana è per noi. Cosa vuoi fare?».
Guardai l’orologio: era quasi l’ora di pranzo. I nostri orari ormai erano sballati, il tempo non contava quando c’eravamo solo noi due.
«Tu cosa vuoi fare?».
Mi sorrise malizioso mentre i suoi occhi diventavano più scuri. «Fosse per me, non usciremmo dal letto».
Mi tirai su, a cavalcioni su di lui. «Non siamo venuti fin qui per stare a letto tutto il giorno».
Lui gemette frustrato e mi fece notare che ero nuda. «Non è che così mi incoraggi ad alzarmi».
Iniziò ad accarezzarmi, toccandomi il seno e stuzzicando i capezzoli fino a farli inturgidire.
L’espressione di lussuria sul suo volto mi fece avvampare. Desiderai ardentemente la sua bocca e iniziai a fremere senza rendermene conto.
Non appena si accorse che la mia fermezza vacillava, Blake mi afferrò i glutei e mi strinse contro la sua erezione costretta dal lenzuolo che ci separava. Mi morsi il labbro e mi abbandonai, sedotta dall’ineluttabile consapevolezza che volevo quello che voleva lui, con la stessa intensità. Piegai all’indietro la testa quando iniziò a stuzzicarmi il clitoride nel modo giusto. Sentii un calore che mi infiammò la pelle, fino all’inguine.
Blake mi tirò su con i fianchi, scostando il lenzuolo che ci separava. Era eccitato come mi immaginavo, più che pronto per me. I suoi occhi, socchiusi, mi fecero capire che rifiutare era inutile. Trovò il punto caldo tra le mie gambe e infilò le dita.
«Sei sempre pronta per me», sussurrò.
Rispondendo alla supplica silenziosa del mio corpo, mi abbassò sulla sua lunghezza eretta. Rimasi senza respiro, sopraffatta dalla sensazione di camminare su un filo sottile, insieme, come sempre.
«Eccoci. Fammi entrare tutto».
Serrai gli occhi e mi abbandonai completamente. Tutti i miei sensi erano concentrati sui nostri corpi e sui modi in cui quest’uomo mi sapeva dare piacere.
Lasciammo la riservatezza della casa per dirigerci in città. L’isola era in piena attività, e trascorremmo il resto del pomeriggio a girare per negozi, cercando di evitare l’inevitabile folla di turisti. Parlammo, ma mai di lavoro, e ridemmo, sempre mantenendo un qualche contatto fisico; ne avevo bisogno e forse anche lui, perché non ci fu un solo momento in cui non eravamo uniti. La maggior parte del tempo rimanemmo semplicemente insieme senza parlare, ma felici di essere l’uno con l’altra.
Ultimamente eravamo famelici, consumati da una specie di fame che aumentava sempre di più una volta saziata. Avevo bisogno di lui, un bisogno che mi scorreva nelle vene ogni secondo. Durante il giorno, la notte e nei momenti di silenzio che condividevamo. Avevo perso il controllo su quel bisogno, e avevo rinunciato a sopprimerlo. Avevamo passato troppo tempo separati, non potevo sprecare neanche un’occasione per stare insieme.
Il giorno in cui Blake aveva rovinato la mia presentazione, mesi fa, mi aveva catturata. Quello che c’era tra noi era cresciuto fino a diventare indispensabile. Forse lui provava la stessa cosa, e quel bisogno sempre presente – di toccarci, di stringerci, di perderci l’una nell’altro la notte – era una manifestazione del sentimento sconfinato che ci univa.
Tra il pomeriggio di divertimento, le attività in città e l’aria frizzante dell’isola, nel momento in cui tornammo a casa ero stremata, e tremai quando varcammo la soglia e sentii l’aria fredda. Preferivo di gran lunga la brezza estiva all’aria condizionata. Avevo passato fin troppi mesi al freddo agognando l’estate, e non avevo intenzione di sprecare l’occasione di stare al sole caldo.
Sempre attento a me, Blake mi sfregò le braccia per riscaldarmi.
«Hai fame?»
«Sì, un po’».
«Allora vai al molo a rilassarti, io prendo qualcosa da mangiare».
Annuii e mi avviai verso il molo, che mi regalò una vista aperta sull’oceano. Mi abbandonai su una sedia e appoggiai i piedi su uno sgabellino, poi chiusi gli occhi e lasciai che la brezza tiepida mi accarezzasse la pelle mentre il sole tramontava. Il rumore delle onde che s’infrangevano sul bagnasciuga mi cullò, e mi sarei addormentata se fossi rimasta da sola ancora qualche minuto.
Blake si unì a me posando un piatto di formaggi, cracker e salumi su un tavolo, poi riempì due bicchieri di vino bianco e me ne porse uno.
«Grazie».
I suoi occhi brillavano e sorrideva; mi chiesi il motivo di quell’espressione. «Sei felice».
Lui si sedette e mi sorrise, prima di bere un sorso. «Sono molto felice. Sei tu che mi fai quest’effetto».
Mi sentii il cuore scoppiare di gioia. Presi il bicchiere e, mentre il liquido mi scivolava sulla lingua, riconobbi che quella pausa era stata un’idea fantastica. Quei tre giorni di pace e tranquillità con Blake erano come stare in paradiso.
Mi rilassai sulla sedia.
«È incredibile, Blake. Starei qui per sempre, è così tranquillo…».
«Attenta a quello che desideri, potrei traslocare qui con te entro la fine della settimana».
Risi. «Hai ragione, non posso neanche esprimere un desiderio senza che tu cerchi di esaudirlo il più in fretta possibile».
Ci fissammo, la sua espressione era seria. Il tono scherzoso delle mie parole sparì, mentre pensavo al fatto che Blake per me fosse un dono. Respirai profondamente, all’improvviso sopraffatta da quella verità. Cos’avevo fatto per meritarmi un uomo così incredibile?
«Non so come ringraziarti per tutto quello che fai per me. Scherzo sempre, ma ora sono seria: come posso ripagarti per tutto quello che hai fatto?»
«Mi verrà in mente qualcosa», rispose. Poi fece un cenno verso il mio bicchiere. «Bevi».
Sospirai e bevvi un lungo sorso. Quasi sputai il vino quando qualcosa mi urtò le labbra. Ingoiai velocemente e guardai nel bicchiere.
Oh, mio Dio.
Mi drizzai e puntai i piedi a terra, anche se niente avrebbe potuto impedire alle mie gambe di tremare, di fronte a quella vista. Fissai stupidamente l’interno del bicchiere, raggelata e vagamente consapevole che Blake si era messo in ginocchio davanti a me e mi accarezzava le gambe.
«Respira».
Inspirai automaticamente, incapace di spostare lo sguardo da quell’anello col diamante che brillava nel bicchiere vuoto. Non ero in grado di pensare, a malapena riuscivo a respirare.
«Non è una cosa a senso unico, tu mi hai dato tanto quanto ti ho dato io. Sei stata capace di amarmi anche quando non te l’ho reso per niente facile, e… Erica, guardami».
Deglutii per mandare giù il groppo che avevo in gola. Sentii le lacrime affacciarsi agli angoli degli occhi mentre lo guardavo. «È una pazzia», sussurrai.
«Sarà, ma è la nostra vita e voglio passarla con te, come tuo marito. Voglio tornare a casa e sapere che ci sarai sempre, voglio fare l’amore con te tutte le notti e svegliarmi con te accanto ogni mattina fino alla fine dei miei giorni».
Scossi la testa incredula, con le lacrime che mi rigavano il viso. Cercai le parole giuste, ma non riuscii a trovarle.
Lui mi asciugò le guance, mi prese il bicchiere e, dopo avervi tolto l’anello, lo posò. Poi mi afferrò la mano e alzò lo sguardo su di me.
«Erica, vuoi sposarmi?».
Lo guardai negli occhi, verdi e luccicanti alla luce del tramonto. Il tempo si era fermato; quella domanda mi rimbombava in testa e all’improvviso fui consapevole di quanto fosse importante ciò che mi stava chiedendo. Era tutto vero? Diceva sul serio?
«Sei sicuro?».
Sorrise e non mi era mai sembrato più bello.
«Sì, sono sicuro».
«Non stiamo correndo troppo? È quello che diranno tutti».
Strabuzzò gli occhi. «Ne abbiamo passate così tante da averne abbastanza per una vita intera. Non mi serve altro tempo per capire che voglio stare con te, e sinceramente non me ne frega niente di quello che dirà la gente. E non dovrebbe importare neanche a te».
Spostai lo sguardo alle sue spalle, osservando l’oceano. Il nostro piccolo paradiso era diventato ancora più surreale. Diventare la moglie di Blake, legarci per la vita irrevocabilmente… Certo, ci avevo pensato, ma non avevo mai cercato qualche significato particolare nelle sue allusioni al futuro. In fondo era quello che volevo anch’io, però. Per quanto quella prospettiva mi spaventasse, volevo stare per sempre con Blake. Mi sfiorò le nocche con il pollice, generando una scarica che mi arrivò dritta al cuore.
Amavo quell’uomo ed era una cosa che non sarebbe mai cambiata.
«Okay», dissi piano.
Lui inarcò un sopracciglio. «Okay?»
«Sì», confermai, sorridendo.
«Sei sicura?».
Risi. «Sì, sono sicura. Voglio… voglio sposarti. Ti amo, Blake, cos’altro potrei risponderti, se non sì?».
Il suo volto si illuminò e mi infilò l’anello, baciando il punto in cui era a contatto con la mia pelle. Si tirò su e mi fece alzare per poi stringermi così forte tra le sue braccia che feci fatica a respirare.
«Ti amo, Erica. Non puoi capire quanto, ma farò di tutto per dimostrartelo».
Lo strinsi a mia volta, e la realtà di quella promessa mi scaldò. Il nostro amore mi riempì completamente, talmente tanto che pensai che il cuore potesse esplodermi.
In quel momento sapevo che non avrei mai potuto amare nessuno come amavo Blake.
Capitolo cinque
Il resto del fine settimana volò. Blake mi portò in giro in barca e ci crogiolammo al sole sulle isole lì intorno, ascoltando il rumore dell’oceano finché non eravamo troppo stanchi o affamati. Esplorammo ogni angolo tranquillo di Martha’s Vineyard. Mangiammo, bevemmo e facemmo l’amore; parlammo e ci facemmo delle promesse. Ogni minuto fu come stare nel nostro piccolo paradiso.
L’impegno che avevamo deciso di onorare era inedito, sembrava un sogno, e la stessa cosa era lo stare lì, isolati dal mondo reale. Ogni volta che lo sguardo mi cadeva sull’anello, il cuore perdeva un battito.
Era un meraviglioso promemoria dell’amore di Blake. Elettrizzata e allo stesso tempo timorosa di quello che sarebbe stato il nostro futuro, non potevo fare a meno di fantasticare sul nostro “per sempre felici e contenti”.
«Ti piace l’anello?».
Alzai lo sguardo su Blake, che mi aveva beccata ad ammirare il gioiello mentre l’aereo si avvicinava a Boston. «Lo adoro, è semplice».
«Se vuoi ne possiamo prendere uno più grande. Con questo ho rischiato, non sapevo cosa ti sarebbe piaciuto».
«No, voglio questo. È perfetto».
«Bene», replicò, sorridendo e stringendomi delicatamente la mano. «Quando metteremo l’altro, saprò che sarai mia per sempre».
Immaginai il compagno di quell’anello, e il suo significato mi colpì.
«Come i braccialetti».
Lui annuì.
«Sicuro di volerlo? Sarò legata a te per sempre, Blake».
Si sporse verso di me, poggiando delicatamente le labbra sulle mie. «L’idea è quella».
Ebbi una fitta al cuore e sentii un brivido al pensiero di stare per sempre con Blake. Come sua moglie.
Appena l’aereo atterrò al Logan Airport, rimpiansi di essere tornata così presto. Quella pausa era stata meravigliosa, ma troppo breve. Ero ancora elettrizzata, ma ci aspettavano momenti decisamente meno piacevoli. Avremmo sempre affrontato insieme qualsiasi problema, così avevo promesso a Blake. Basta scappare e basta cercare di cavarmela da sola. Tenere sotto controllo la mia indole indipendente sarebbe stato difficile, ma condividere con lui tutti i momenti belli e brutti della vita era la cosa più importante.
Quando arrivammo a casa, Alli mi accolse con un grido e un abbraccio forte. Risi e ricambiai la stretta.
Avere la mia migliore amica così vicina, unità all’emozione per la grande novità mi riempirono il cuore di gioia.
«Congratulazioni, bello», disse Heath, stringendo la mano di Blake.
«Grazie», gli rispose con un sorriso.
Heath si rivolse a me e mi abbracciò forte. «Erica, futura cognata. Non sai in cosa ti stai cacciando con questo qui, hai tutta la mia stima».
Risi e lo spinsi via scherzosamente. I due uomini andarono nel soggiorno a parlare, mentre Alli mi trascinò in cucina per poter esaminare bene l’anello. Lo studiò alcuni secondi, mentre la luce si rifletteva sul diamante. Sorrisi, ancora elettrizzata dalla proposta e dal fatto che avessi accettato. Non avevo neanche avuto la possibilità di fantasticare su come sarebbe stato quel momento, ma sapevo che era quello che volevo.
Alli passò il pollice sull’anello con un sopracciglio inarcato. «È diverso da quelli classici».
Scrollai le spalle, non sapevo bene cosa dire. Non avevo intenzione di raccontarle che i braccialetti che mi aveva regalato mesi prima fungevano anche da manette e che questo anello aveva un significato simile.
«Diverso, ma è da noi. Lo adoro. E poi come farei a lavorare tutto il giorno al computer con una pietra enorme al dito?».
Si appoggiò contro il bancone dietro di lei e spostò lo sguardo dall’anello a me, per la prima volta dopo diversi minuti. Mi studiò, quasi con lo stesso interesse con cui aveva esaminato il diamante.
«Quindi, se ti conosco bene, la tua testolina starà viaggiando a tutta velocità in questo momento».
Risi. «Un po’. Sono solo…».
«Cosa?».
Sospirai. «Non lo so. Credo di essere ancora sotto shock perché vuole, be’, una cosa per sempre».
«Blake è pazzo di te, lo sai».
«È stata una decisione facile, perché anch’io sono pazza di lui. Non che avrebbe accettato un no come risposta, comunque». Risi, cercando di immaginare fino a dove si sarebbe spinto per ottenere quello che voleva.
Mentre i miei pensieri vagavano, Alli fece un grande sorriso e saltellò sul posto. «Sono felicissima per te, Erica! Ho dato di matto tutto il fine settimana. Heath me l’ha detto appena siete partiti e non vedevo l’ora che tornassi».
«Non ne avevo idea», dissi, ammirando il regalo di Blake, la sua promessa.
«Ma non sarà stata la prima volta che avete parlato di matrimonio, no?»
«Perché, voi ne avete parlato?», le chiesi, inarcando le sopracciglia.
Lei arrossì. «Non sto parlando di me, ma di te. Di solito prima di fare la proposta si sonda il terreno».
«Una volta l’ha accennato, credo per scherzo, ma gli ho risposto che era pazzo. E dicevo sul serio.
Penso ancora che sia una follia e sono terrorizzata, ma voglio stare con lui. Se è questo quello che vuole e lo vuole ora, va bene».
Quella prospettiva era travolgente e inaspettata. Amavo Blake incondizionatamente, ma, fosse stato per me, non avrei preso in considerazione l’idea di consolidare la nostra relazione con le nozze ancora per qualche anno. Per me il matrimonio significava stabilità, era qualcosa di saldo e sicuro, “per sempre felici e contenti” e tutto il resto. Invece pochissime cose della mia vita erano stabili al momento, tranne il mio amore per Blake. Nonostante le rassicurazioni, il futuro della mia attività mi avrebbe preoccupata finché non avessi saputo che era fuori pericolo, così come il lavoro di tutti.
Clozpin era molto più che un semplice lavoro, e vederne il successo non era semplicemente un obiettivo a breve termine, avevo bisogno che funzionasse per tantissime ragioni. Se così non fosse stato, sarei dipesa ancora da Blake. Apprezzavo il fatto che avrebbe assunto quel ruolo senza farmi sentire inferiore, ma l’idea di dipendere completamente da lui o da qualcun altro mi dava fastidio.
«Allora, avete pensato alla data e al posto?».
Risi per l’entusiasmo di Alli, ma fui colpita da un’ondata di ansia pensando all’organizzazione. Quando cavolo avrei avuto il tempo? La sua famiglia si aspettava una cosa del genere? Ero stata talmente sopraffatta dalla proposta che non mi era venuto in mente di chiedere a Blake cosa ne pensasse. Stavo ancora cercando di capire a fondo il concetto base del matrimonio.
«Non ho davvero la minima idea di cosa faremo e quando».
Alli spalancò gli occhioni castani in attesa.
«Ma ovviamente mi farebbe piacere che mi aiutassi», aggiunsi subito.
Sorrise e saltellò ancora. Risi nuovamente per il suo entusiasmo, sarebbe stata una risorsa preziosa per l’organizzazione del matrimonio. Se c’era qualcuno che poteva gestire tutto, quella era Alli.
«Dovresti essere tu a sposarti, sicuramente hai già organizzato tutto», dissi a bassa voce, poi guardai alle mie spalle per assicurarmi che Heath non mi avesse sentita.
«Già, ma per ora mi accontento di organizzare il tuo. Chissà se e quando toccherà a noi».
«Quindi ne avete già parlato?».
Lei scrollò le spalle e appoggiò il fianco contro il bancone.
«Un po’, ma è un passo importante e non siamo ancora pronti. Comunque ho altre buone notizie da darti».
«Ah, sì?», chiesi curiosa, inarcando le sopracciglia.
«Io e Heath abbiamo trovato un appartamento. È abbastanza vicino, ma sono sicura che Blake sarà entusiasta di riavere casa sua. Inizieremo a portare via le nostre cose in settimana, così Brontolo non ti dovrà più dividere con me», disse, sorridendo, mentre mi dava un pugno leggero sulla spalla.
Le sorrisi di rimando, felice per lei e per noi. «Sarai elettrizzata».
«Infatti. È la prima volta che prendiamo casa insieme, un posto tutto nostro. È già disponibile, quindi dovremmo riuscire a finire il trasloco in pochi giorni».
«Fantastico. Fammi sapere se ti serve una mano».
«Tranquilla, concentrati sul lavoro. So che hai un bel po’ di cose di cui occuparti in ufficio, ma tieniti libera la prossima settimana per una cena. Heath vuole invitare la famiglia per far vedere la casa. E poi sono sicura che tutti vorranno sapere i dettagli del matrimonio Sarà divertente».
«Okay», acconsentii, un po’ incerta.
Il nodo che avevo allo stomaco si strinse, sentendo parlare della famiglia di Blake. Li adoravo, ma a volte erano un po’ irruenti. Si poteva essere troppo gentili o troppo premurosi? Forse sì, soprattutto a confronto con la mia famiglia. Il pensiero di coinvolgere gli Hathaway nella mia vita per celebrare quest’occasione mi metteva a disagio. Avevano evitato mia madre da quando avevano saputo che era incinta; avrebbero fatto lo stesso con me, o avrebbero finto interesse e sarebbero venuti, come se fosse loro importato qualcosa della mia vita? Entrambe le prospettive sembravano stressanti, ma non volevo privare la famiglia di Blake di un’occasione che per loro sarebbe stata importantissima. Che Dio mi aiutasse, le nostre famiglie non potevano essere più diverse.
Per evitare ulteriori indagini, trascinai Alli in soggiorno e parlammo con i ragazzi per il resto della serata. Mi rilassai al fianco di Blake, grata, innamorata e determinata a sfruttare al meglio le ultime ore di pausa dal mondo.
Quella settimana in ufficio tutto era taciuto, fatta eccezione per il rumore dei computer e il ticchettio delle tastiere. Stavo facendo dei calcoli veloci quando il telefono squillò e il numero di Daniel comparve sullo schermo. Per la prima volta dopo settimane presi in considerazione l’idea di rispondere. Non appena avessi ripreso i contatti con lui, sarebbe incominciata la battaglia per tenere separati lavoro e vita privata. Fino a quel momento non me l’ero sentita, e dopo aver appreso che altri due inserzionisti avrebbero cancellato il contratto con noi da quando era stato lanciato PinDeelz, non sapevo perché avrei dovuto farlo. Ma, forse perché volevo pensare a qualcosa che non fosse la calata a picco della mia attività, alla fine accettai la chiamata.
«Ciao, Daniel».
«Ciao. Non pensavo che avresti risposto».
Da un lato avrei voluto dirgli la verità, ma dall’altro non volevo farlo incazzare. Speravo davvero che il livello successivo del nostro rapporto non sarebbe stato bellicoso, perché in quel caso non ero sicura che sarei riuscita a sopportarlo. Daniel Fitzgerald si era dimostrato violento e pericoloso, ma mi sforzavo di credere di poter tenere sotto controllo l’uomo che stava dietro alla macchina politica, sotto a tutta la pressione sociale che l’aveva fatto diventare quello che era. Nonostante i timori, qualcosa dentro di me si voleva impegnare a salvare il salvabile del nostro rapporto padre-figlia.
«Sono stata fuori città», risposi, scegliendo di dire una mezza verità. «Come stai?»
«La campagna sta andando bene, non mi lamento. Tu?»
«Bene».
Rimase in silenzio per diversi secondi e sentii il bisogno di dire qualcosa. «Io e Blake ci siamo fidanzati ufficialmente».
«Immagino che le congratulazioni siano d’obbligo, allora».
«Grazie», risposi a voce bassa. Mi era difficile credere che fosse sinceramente felice per me, quando era stato lui il motivo per cui avevo passato le settimane peggiori della mia vita lontana da Blake. Quella separazione ci aveva quasi rovinati.
«Suppongo tu non abbia dimenticato il lavoro per la campagna di cui avevamo parlato».
Inspirai, imponendomi di restare inflessibile. «Avevo bisogno di un po’ di tempo dopo tutto quello che è successo, Daniel. Ma no, non mi sono dimenticata».
«Quindi hai avuto abbastanza tempo? Possiamo vederci per discuterne? Il tempo stringe e il tuo contributo sarebbe molto importante. Non sto dando niente per scontato per questa corsa».
Tamburellai con la penna sul tavolo, mentre i pensieri sui miei problemi lavorativi mi turbinavano nella mente. «Forse. Quando vuoi che ci vediamo?». L’ultima cosa che volevo era ammettere lo stato in cui si trovava la mia attività: Daniel avrebbe colto la palla al balzo per spingermi a lavorare per lui in modo permanente. Non potevo immaginare una punizione peggiore per aver fallito come imprenditrice. «Magari la prossima settimana potremmo pranzare insieme e poi andare in sede. Will deve aggiornarti su un paio di cose».
«Va bene».
«Allora ci vediamo. E ancora congratulazioni, Erica, sono felice per te».
Aggrottai le sopracciglia, avevo le parole bloccate in gola. «Grazie», riuscii infine a dire.
Chiusi la chiamata e fissai il telefono. Forse non sarei mai stata in grado di capire Daniel, o forse quello era il primo passo per guadagnare la fiducia reciproca.
Trascorsi il resto della giornata dedicandomi a una serie di mansioni più o meno impegnative, finché non esaurii del tutto le energie. Diedi un’occhiata all’orologio e presi in considerazione l’idea di iniziare a raccogliere le mie cose, in modo da avere qualche minuto in più per prepararmi alla cena con Marie, la migliore amica di mia madre, e il suo compagno Richard. Sid entrò nel mio ufficio e interruppe quel pensiero.
«Che succede?», gli chiesi, alzando lo sguardo su di lui, che si sedette sulla sedia all’altra parte della scrivania.
«Mi chiedevo se avessi qualche minuto per parlare».
Mi irrigidii pensando al peggio: il sito era distrutto o aveva trovato un altro lavoro.
«Va tutto bene?».
Scrollò le spalle. «Sì, a parte il fatto che stiamo perdendo inserzionisti e la risposta degli utenti sta rallentando. Abbiamo intenzione di stare a guardare e basta?».
Mi rilassai un po’, ma il tono di quella domanda mi mise sulla difensiva. «Cosa vuoi che faccia, Sid?
Non ho il controllo sul sito di Risa né su quello che sono disposti a fare per indebolirci».
«Appunto», replicò guardandomi tranquillamente.
«Quindi?»
«Be’, perché non ti concentri su quello che puoi controllare invece di fissarti su quello che stanno facendo? Tanto continueranno a stare lì dove sono, e se il tuo piano è non fare nulla e sperare in un intervento divino, non dureremo molto. I siti come il nostro compaiono e spariscono ogni giorno».
«Ci stiamo assestando, Sid, non tutto è perduto», dissi, cercando di credere a quelle parole.
«Non sono qui per assestarmi. Non c’è niente che ci impedisca di crescere. Diversifichiamoci».
«Cosa intendi?»
«Intendo che dovremmo alzare la posta. Loro hanno copiato la nostra idea, e se è l’unica cosa che sanno fare non andranno molto avanti. Dovremmo iniziare a pensare fuori dagli schemi: cosa possiamo fare per migliorare il sito?».
Alzai le mani. «Per giorni non ho pensato ad altro, credimi. Cioè, ho qualche idea, ma niente di rivoluzionario».
«Forse non stai pensando in grande. Ora hai molti contatti, no? Che ne dici di una partnership? Forse dovremmo prendere in considerazione opportunità del genere».
«Non abbiamo bisogno di soldi, Blake ha investito».
«Non intendo quello, sto parlando di allargare il nostro target. Lascia perdere un attimo quello che offriamo, e pensa a quello che potremmo fare su scala più ampia».
Annuii, un po’ mortificata. «Potresti essere sulla pista giusta. Hai qualche idea?».
Lui scrollò le spalle. «Non sono proprio una ventenne, ma mi sembra che stiamo guardando il problema da un’angolazione sbagliata. L’idea del sito è tua, e credo che se riesci a superare il panico e a dimenticarti cosa sta facendo PinDeelz, possiamo superarli e far mangiare loro la polvere».
«Grazie, Sid. Ci penserò, va bene?»
«Certo. Fammi sapere se posso fare qualcosa».
«Naturalmente», risposi, appoggiandomi sullo schienale della sedia. «Come sta Cady?»
«Bene. Stiamo bene», disse, arrossendo.
Trattenni un sorriso. «Mi fa piacere».
Sid si alzò velocemente dalla sedia. «Ora vado, ci vediamo domani».
Lo salutai con la mano e mi persi nei miei pensieri. Scarabocchiai sul mio bloc-notes finché le cifre delle perdite che avevo annotato poco prima non furono circondate da cornicette. Forse Sid aveva ragione. Perché non potevano esserci soluzioni facili? Ogni decisione importante che avevo preso ultimamente sembrava reazionaria. Dov’era il tempo in cui eravamo guidati dalle idee e non dalla necessità di sopravvivere? Avevamo affidato le finanze a Blake per crescere e andare avanti, ma se non avessi trovato il modo di uscire da questa situazione, il suo investimento sarebbe man mano diminuito.
Mi sentii male all’idea di deluderlo: mi aveva aperto talmente tante porte, e per cosa?
Stavo per arrendermi quando un pensiero mi balenò nella mente. Frugai nel cassetto finché non trovai un biglietto. Respirai profondamente per calmarmi e composi il numero.
L’aria condizionata di Abe & Louie’s ci investì in pieno, mentre la porta pesante richiudeva fuori la luce che era penetrata al nostro ingresso. Presi a braccetto Blake. Il maître della steak-house sparì per prepararci il tavolo, e Blake si girò verso di me stringendomi al petto. Mi mancò il respiro a quel contatto improvviso, davanti a tutti.
«Ti ricorda qualcosa?».
Sorrisi al ricordo del nostro primo incontro. Anche quella volta mi aveva tolto il fiato.
«Qualcosina. Ero pronta a trascinarti in uno dei guardaroba e baciare la tua faccia da schiaffi».
Borbottò qualcosa mentre mi sfiorava il labbro inferiore. Il desiderio che intravidi nei suoi occhi mi fece battere forte il cuore. «Sei sempre in tempo».
«Vero, ma non voglio farmi sbattere fuori prima che arrivi Marie».
«Credi che ci caccerebbero per una cosa del genere?».
Trattenni il respiro e lui mi afferrò la nuca per baciarmi dolcemente sulle labbra. Fece scivolare l’altra mano sulla vita per tenermi mentre mi faceva fare un casquè. Sorrisi contro le sue labbra, mettendogli le braccia intorno al collo.
«Ma come siamo romantici, eh?».
Lui sorrise e mi tirò su, senza allentare la presa.
«State ancora festeggiando, immagino».
Spostai lo sguardo verso la porta, da cui quella voce mi ricordò che non eravamo proprio soli. Marie si avvicinò, seguita da un uomo con i capelli scuri. Gli occhi della mia amica comunicavano curiosità, orgoglio e affetto, e quello sguardo mi colpì al cuore. Blake allentò la presa e potei andare da lei, che mi abbracciò calorosamente.
«Congratulazioni, piccola», mi sussurrò.
«Grazie».
Fece un passo indietro e guardò l’uomo che si era portato al suo fianco. Era alto sul metro e ottanta, con i capelli neri corti e la carnagione olivastra. Per un attimo i suoi occhi scuri mi catturarono.
«Erica, sono Richard Craven. È un piacere conoscerti, finalmente», disse, stringendomi la mano.
«Piacere mio. Ho sentito tanto parlare di te».
È alto, scuro e non vuole impegnarsi. Guardai prima l’una e poi l’altro. Marie, che poteva essere mia madre ma che mi era sempre sembrata troppo giovanile ed esuberante per la sua età, appariva in qualche modo ancora più giovane vicino a lui: aveva un’espressione dolce e da ragazzina.
Blake si avvicinò. «Richard, sono Blake Landon».
Richard sorrise e gli strinse la mano. «Finalmente ci conosciamo».
Blake socchiuse gli occhi, perplesso.
«Abbiamo partecipato entrambi ad alcuni eventi in città. Sono un giornalista, ero lì per occuparmi della cronaca locale».
«Capisco. Be’, è un piacere conoscerti ufficialmente, Richard. Mangiamo?».
Marie batté le mani e sorrise. «Sì, forza».
Blake mi prese la mano e fece un cenno al maître che si stava avvicinando.
Ci accomodammo al tavolo e Marie mi tempestò di domande. Dove e quando ci saremmo sposati? Chi erano gli invitati? Quando sarei andata a cercare il vestito? Cercai di rispondere, per quanto mi era possibile. Io e Blake avremmo dovuto stilare un piano per il matrimonio, prima che tutti iniziassero a chiedermi i dettagli. Non sapere cosa rispondere mi stava facendo impazzire, e mi faceva venire ancora più ansia. Rivolsi la mia attenzione alla conversazione tra Blake e Richard, in cerca di salvezza.
«Scrivi per qualche testata in particolare?», gli chiese Blake.
«Sono impiegato al “Globe”, ma ogni tanto scrivo anche per altri».
«Lo fanno sempre andare in giro», si intromise Marie.
«Che genere di articoli scrivi?», chiesi.
Spostò lo sguardo su di me e vidi qualcosa balenargli negli occhi. Curiosità, forse un vago interesse, non avrei saputo dire di preciso.
«In realtà copro vari argomenti, ma sono particolarmente interessato alla politica».
«E ti piace?». Sperai che il mio disinteresse non fosse trasparito dalla mia voce.
«C’è qualcosa della politica che non è piacevole?», replicò con un sorriso affascinante.
Mi vengono in mente giusto un paio di cose. Risi, restia o forse incapace di dare una risposta sincera senza rischiare di scatenare discussioni poco consone a una cena piacevole.
«E tu, Erica? Ti interessi di politica?»
«Non direi, no», risposi, posando il tovagliolo sul tavolo. «Scusate, devo andare un secondo al bagno».
«Ti accompagno, cara», disse Marie.
Si diede una rinfrescata e si applicò il rossetto sulle labbra.
«Allora, che ne pensi?»
«Di Richard? Sembra magnifico. Sicuramente molto affascinante».
Mi sorrise maliziosamente. «Non sai come affascina me».
Alzai gli occhi al cielo e risi. «Troppe informazioni, Marie. Comunque pensavo che le cose tra voi non fossero molto stabili. Cos’è cambiato?»
«Ha viaggiato per un po’ e non ci siamo visti molto. Sinceramente credevo che la relazione si fosse raffreddata, ma le ultime settimane sono state diverse. Non lo so… è difficile da spiegare, ma forse abbiamo fatto un passo avanti».
«Ed è una buona cosa, no?»
«Sì, per ora è abbastanza. Mi sto divertendo troppo per tirare fuori l’argomento. E Blake, invece? Sarai al settimo cielo».
Sorrisi, emozionata anche solo a pensare a lui. Non lo vedevo da quattro minuti e già mi mancava. Ero senza speranza.
«Sì, infatti. Mi ha presa completamente alla sprovvista, mi sto ancora abituando all’idea del matrimonio e tutto il resto».
Lei scosse la testa e mi diede un colpetto sulla spalla. «La mia piccola. Non posso crederci, ti sposi prima di me. Se non ti volessi tanto bene, potrei odiarti un pochino».
«È Blake che sembra avere fretta, altrimenti sarei felice di darti la precedenza», risposi con una risata.
Marie inclinò la testa. «Sei sicura? Blake sembra fantastico, ma lo sai che non devi fare niente se non sei pronta. Non voglio che diventi una vecchia zitella come me, ma hai tutto il tempo che vuoi».
Abbassai lo sguardo su quel bellissimo anello e mi contorsi le dita. Non mi veniva in mente niente, nessun dubbio né riserva, che minacciava di mettersi tra me e la volontà di tenere quell’anello al dito.
«Non credo che il matrimonio sia una cosa per cui tutti sono pronti, giusto? In più ho già detto di sì, ormai ho preso l’impegno», dissi, ridendo nervosamente.
Lei mi accarezzò la guancia. «Ascolta il tuo cuore, Erica. In questo mondo c’è tanto caos, e abbiamo bisogno di qualcosa di stabile nelle nostre vite. Se il tuo cuore dice di sì, non importa nient’altro».
Mi avvicinai e l’abbracciai a lungo. Pensai a tutte le volte che mi aveva consolata, che mi aveva dato consigli e conforto.
«Grazie, Marie, per tutto quanto. E non sei una vecchia zitella».
Lei rise e mi lasciò, scacciando le lacrime. «Va bene, basta così, altrimenti mi cola il trucco. Torniamo dai nostri uomini».
Il resto della serata andò bene. Chiacchierammo e Marie raccontò alcune storie delle estati che avevamo trascorso insieme quando andavo a scuola. L’imbarazzo per il suo modo fin troppo onesto di raccontare fu subito rimpiazzato dalla gratitudine per il fatto che fosse l’unica persona che avrebbe rappresentato la mia famiglia. Blake mi stringeva la mano sotto il tavolo, ogni tanto mi lanciava uno sguardo d’intesa, come se apprezzasse fin troppo quelle storielle sul mio passato. Era la cosa più vicina alle foto imbarazzanti di quando si è piccoli che sarebbe riuscito a ottenere.
Finimmo il dessert e Richard si fece portare il conto nel momento in cui il mio telefono iniziò a squillare. Frugai nella borsa, presi il cellulare e riconobbi il numero.
«Scusatemi, devo rispondere».
Blake inarcò il sopracciglio, ma mi allontanai dal tavolo prima che potesse fare domande.
«Pronto?»
«Erica, sono Alex Hutchinson».
«Alex, salve. Grazie per aver richiamato. Non so se si ricorda di me».
«Ma certo. Landon ci aveva presentati all’evento a Las Vegas. Ci ho messo qualche istante per ricordarmi, ma ha quel social sulla moda, giusto?»
«Esatto, Clozpin».
«Allora, come procede?»
«Nel complesso molto bene. In realtà sto cercando idee per espandermi, possibilmente integrando l’e-commerce. Mi è venuto in mente lei, per quello ho chiamato. Non so se c’è la possibilità di collaborare, ma se non altro mi farebbe piacere avere un consiglio. So che è molto impegnato».
«Nessun problema. Sarebbe meglio parlarne di persona, però. Per caso sarà ai Tech Awards questo fine settimana?»
«Ehm… no», dissi, per non ammettere che quell’evento non mi era neanche passato per la mente.
«Potrei riuscire a procurarmi due biglietti, se riesce a partire. Potremmo valutare le possibilità di collaborazione mentre siamo lì. E potrebbe farla passare come spesa aziendale, ovviamente».
Risi. «Credo di potercela fare. Controllo l’agenda e le mando una mail per conferma, ma mi piacerebbe molto esserci».
«Perfetto, mi faccia sapere. E se non riesce, tra qualche settimana sarò dalle sue parti per andare a trovare dei parenti, quindi eventualmente potremmo incontrarci in quell’occasione».
«Fantastico. Grazie ancora, Alex».
Riattaccai e non riuscii a nascondere il sorriso quando Blake mi si avvicinò.
«Chi è che ti ha fatto sorridere così?»
«Alex Hutchinson».
«E perché l’hai sentito?», chiese, mentre la ruga sulla fronte si faceva più profonda. Tuttavia sparì velocemente non appena Marie e Richard ci raggiunsero. Ci abbracciammo e Marie mi fece promettere di chiamarla quando sarei andata a cercare il vestito.
Mi girava la testa mentre Blake mi conduceva all’uscita. Il parcheggiatore portò la Tesla vicino al marciapiede e Blake aprì la portiera per farmi salire, poi si mise al volante e partimmo nel traffico della sera. Dopo alcuni minuti di silenzio, finalmente parlò.
«Allora, che succede con Alex?»
«Parlavo con Sid del fatto che dovremmo far prendere a Clozpin un’altra direzione, cercare di pensare un po’ fuori dagli schemi, e mi è venuto in mente che Alex si era offerto di aiutarmi quando ci siamo conosciuti. Non sono sicura che sia interessato a collaborare…».
«Che tipo di collaborazione?».
L’euforia per la chiamata calò subito sentendo il suo tono scettico. «Non so se prenderà in considerazione la cosa. Il suo sito è grande e va benissimo da solo. Ma Max e Risa ora sono rivali, ho perso diversi inserzionisti e le mie entrate stanno per ricevere un brutto colpo. Ho solo pensato che…».
«Lo capisco, ma stai pensando di collaborare con Alex Hutchinson e non ne hai prima parlato con me?».
Mi agitai sul sedile. «Non credevo di doverlo fare. C’è qualcosa che devo sapere su Alex? Se è così e non me lo stai dicendo, come per Max, vorrei saperlo prima di andare a San Francisco per incontrarlo».
Sospirò forte, tradendo la crescente frustrazione, poi parcheggiò bruscamente vicino a casa e restò con lo sguardo fisso per qualche istante. «Non è per niente come Max. Sono solo sorpreso che non me ne abbia parlato, però. Sono il tuo investitore».
«E ti ringrazio per quello che hai fatto, Blake. Ho tutta l’intenzione di ripagarti, ma se ho anche una piccola possibilità, devo riportarci in carreggiata, altrimenti sarà un fallimento totale e il tuo investimento andrà perso».
«Non me ne frega un cazzo dei soldi, Erica. Sarà valsa la pena perdere quattro milioni di dollari, se ti hanno portata nella mia vita. Varrebbe la pena perdere tutti i soldi che ho».
Sentendo quella dichiarazione, il mio cuore perse un battito. «Grazie, Blake. Ma qui si tratta di me che faccio andare avanti l’attività. Ho cercato Alex d’impulso, e sinceramente non credevo mi avrebbe richiamata così presto. Di sicuro non mi aspettavo che avrebbe accettato di discutere della cosa, ma è un’occasione che devo cogliere. Te lo sto dicendo ora, letteralmente dopo pochi minuti che è successo.
Mi dispiace che tu abbia pensato che te lo stessi nascondendo, perché non era certo mia intenzione».
Mi prese la mano e mi accarezzò delicatamente il dorso.
«Al lavoro va tutto bene?», chiesi. Non volevo litigare, ma sapevo che c’era qualcosa che lo turbava.
Speravo di non essere io. «Sei riuscito a parlare con Michael?»
«L’ho chiamato, ma non si è ancora fatto vivo. Forse andrò a Dallas, di certe cose è meglio parlare di persona».
«Puoi andare mentre io sono in California».
Scosse la testa e strinse le labbra. «No, vengo con te. Alex è un amico e abbiamo già lavorato insieme, ma in ogni caso non voglio che viaggi da sola».
«Mi piace l’idea. C’è un evento sulla tecnologia questo fine settimana, e ha detto che potrebbe farmi avere dei biglietti».
Mi strinse la mano un po’ più forte. «Certo. Dico a Cady di organizzare. Possiamo partire venerdì sera».
Mi sporsi verso di lui e feci scivolare la mano libera sulla sua camicia, mentre vidi il suo sguardo adombrarsi. Rimanemmo così, al buio, gli occhi che brillavano nella luce fioca dell’abitacolo. Sentivo che aveva altro da dire, ma quella sera non volevo insistere, quindi mi avvicinai.
Sigillammo le nostre bocche e approfondimmo il bacio, mentre le nostre lingue si intrecciavano. Blake mi lasciò la mano per toccarmi la guancia, facendomi inclinare la testa.
Mi sentii avvampare e desiderai che i nostri corpi fossero più vicini, nonostante non saremmo stati molto comodi.
«Ti amo», sussurrai quando ci separammo.
Abbassai la mano sulla sua erezione, compiaciuta come sempre di sentirlo eccitato. Lo baciai profondamente, stuzzicandolo con il movimento della lingua che immaginai da un’altra parte.
Lui si scansò, riprendendo fiato. «Entriamo».
Prima che si potesse muovere, gli abbassai la lampo e afferrai il suo sesso. Poi gli baciai il collo e gli diedi qualche morso, mentre lo massaggiavo dalla base alla punta.
«Cazzo, Erica, entriamo. Prima o poi passa qualcuno».
Sorrisi. «E allora? Fa la spia? Magari vorrà guardare mentre te lo succhio», dissi, baciandogli il lobo.
«Il mio uomo ha avuto una brutta giornata e voglio farlo stare meglio».
Sospirò profondamente, mentre il suo membro pulsava nella mia mano.
«Dopo ti punirò per questo».
Risi, calma. «Mi punisci perché voglio farti un pompino? Credo di essere in grado di gestire la cosa».
«Se un poliziotto arriva prima che io sia venuto, rivedremo i termini della punizione. E non ti piacerà.
Fai veloce».
Si alzò leggermente, l’erezione che pulsava nella mia stretta. Mi venne l’acquolina al solo pensiero di assaggiarlo. Mi abbassai e presi la carne calda in bocca. Mossi la lingua sulla punta e poi giù sulla lunghezza, lubrificando il percorso finché la sua erezione pulsante non mi riempì.
«Porca puttana, adoro la tua bocca».
Gemetti. I miei sensi furono sopraffatti dal suo sapore e dal suo odore. Iniziai ad andare su e giù, ritmicamente. Blake mi mise una mano tra i capelli e rallentai, lasciando che fosse lui a controllare i miei movimenti. Strinse la presa guidandomi, facendomi andare più a fondo e più veloce. Lo sentii colpire il volante con la mano; sollevò i fianchi, spingendosi a fondo nella mia gola e poi tornando indietro.
Respirai profondamente un secondo prima che ripetesse il movimento, provando a capire quanto riuscissi a sopportare. Ancora una volta, e con un grido soffocato, si sollevò. Nell’abitacolo risuonarono i suoi gemiti, e un attimo dopo il liquido caldo mi riempì la bocca e finii il lavoro, ingoiando ogni goccia della prova del suo piacere. Mi tirò su bruscamente, poggiando la testa sul sedile.
«Così mi uccidi».
«Conosco la sensazione», replicai, contorcendomi dal desiderio.
Lui si girò verso di me e mi guardò. «Sei bagnata, vero?».
Mi mossi leggermente, e lo sfregamento delle cosce affievolì leggermente il piacevole dolore che stavo provando. «Sì, e ti pregherei di fare qualcosa a riguardo».
Fece scivolare un dito sulla scollatura della mia camicetta, toccandomi il seno. Mi morsi forte il labbro, la tensione aumentava sempre di più. Sollevò la mano per liberarlo con il pollice, e posò la bocca sulla mia. Fu un bacio profondo e possessivo, avevo ancora il suo sapore sulle labbra gonfie.
«Toccami», pregai.
«Vorrei, credimi, ma se lo facessi non riuscirei a uscire dalla macchina senza scoparti. Magari vuoi far sapere al mondo che ti faccio impazzire, ma se devo andare in prigione preferirei che fosse per qualcosa di più rilevante».
«Dov’è finito il tuo spirito di avventura?», lo presi in giro. Poi lo baciai appassionatamente, mio malgrado troppo eccitata. «Non ce la faccio ad aspettare».
«Fidati, ce la fai e lo farai. E aspetterai ancora di più se non entri subito in casa», grugnì. «In questa macchina non c’è abbastanza spazio per quello che ho intenzione di farti».
Capitolo sei
Il sole tramontò all’orizzonte mentre l’aereo volava verso est. Mi appoggiai a Blake, stanca per la lunga giornata. Ero felice di quel fine settimana, anche se significava viaggiare e lavorare ancora. Avrei preferito un’altra pausa a Martha’s Vineyard, ma mi sarei accontentata.
«Dovremmo parlare del matrimonio. Un altro interrogatorio sull’argomento da parte di Alli e impazzisco».
«Starà facendo venire un infarto a Heath», disse con un sorriso.
Rimasi in silenzio. Non volevo insinuare che forse il loro matrimonio non fosse così lontano. Heath doveva ancora lavorare parecchio per rimettere a posto la sua vita dopo la riabilitazione. Tornare a Boston con la sua famiglia e poi con Alli sembrava fosse stata la cosa giusta, ma ci tenevamo troppo a lui per dare per scontato quell’ultimo periodo buono. Forse era per quello che Blake non aveva insistito per farlo andare via da casa sua, nonostante la cosa avesse minato la nostra privacy da quando vivevamo insieme.
«Hai pensato a cosa vuoi fare?».
Sospirai. «In realtà no. Credo di essere troppo sopraffatta per pensare ai dettagli. Dove, quando, chi…
non so proprio come farò a gestire tutto».
Mi prese la mano e la strinse forte. «Possiamo fare tutto quello che vuoi, alla fin fine quello che conta è essere sposati. Non mi importa che sia un ricevimento in grande stile che verrà ricordato nella storia dei Landon o un fine settimana a Las Vegas con solo noi due, basta che alla fine tu diventi la signora Erica Landon. Solo non farmi aspettare troppo, okay?».
Mi rilassai un po’ alla vista del suo sguardo dolce quando pronunciò quello che sarebbe diventato il mio nome. «La penso così anch’io, ma non voglio deludere la tua famiglia. Se scappassimo insieme probabilmente mi odierebbero in eterno per averli privati del loro momento».
Blake rise. «Il loro momento? Amore, è il nostro momento. Possiamo fare quello che vogliamo. Basta che lo dici e prenoto la cappella con Elvis».
Gli posai la testa sulla spalla e chiusi gli occhi. «Non lo so, credo di doverci pensare».
«Sei preoccupata per la tua famiglia?».
Il terrore che mi attanagliò lo stomaco rispose alla domanda prima che potessi dire qualcosa. «Forse un po’. Peccato che la mia famiglia non sia come la tua. Sono sicura che in quel caso li avrei voluti invitare alla cerimonia».
«L’hai detto a Elliot?».
Scossi la testa.
«Daniel?»
«Sì, a lui sì. Ha anche detto che era felice per noi. Mi ha sorpresa».
«Be’, di sicuro non ti accompagnerà all’altare».
«Per quello non c’è da preoccuparsi. Se deve farlo qualcuno, quello è Elliot. Mi ha chiamata, dal nulla, l’altro giorno. Non ci sentivamo da mesi».
«Non me l’avevi detto».
«Avrei voluto, ma tu avevi fretta di legarmi al tavolo. È per quello che ho fatto tardi, a proposito».
Mi strinse la mano, forse per scusarsi, ma ero troppo comoda e non mi mossi per vedere la sua reazione.
«E cos’ha detto?».
Scrollai le spalle, pentendomi di aver tirato fuori il discorso. Capivo i motivi per cui Elliot mi voleva contattare, ma odiavo il fatto che sembrava farlo perché si sentiva obbligato o in colpa.
Blake mi sollevò il mento e mi guardò. «Ha detto qualcosa che ti ha turbata?».
Incrociai il suo sguardo e mi raddrizzai sul sedile. «No, è che parlargli di nuovo mi ha ricordato tante cose, molte delle quali tristi. Vuole venire per l’anniversario della morte di mamma. Sono passati dieci anni».
Fissai fuori dal finestrino il cielo che si imbruniva, e mi balenò nella mente un’immagine di mia madre, come succedeva in momenti del genere. Era sempre con me, in qualche modo.
«È strano come gli anni passino e una conversazione mi abbia riportato indietro nel tempo così velocemente. Di colpo avevo di nuovo dodici anni. Insomma, adesso sono adulta, riesco a razionalizzare e affrontare le difficoltà, ma non credo che sarò più in grado di pensare alla sua vita e alla sua morte senza la disperazione che ho provato da bambina».
«Be’, è normale».
«Dici? Dovrei essere in grado di andare avanti, ormai, ma quella conversazione mi ha fatto capire quanto per me sia ancora una questione irrisolta».
«Cosa credi sia rimasto irrisolto, esattamente? Cioè, non è che avesse scelta».
«Non è quello. Lo so che non c’era niente che si potesse fare per salvarla, è più che altro il modo in cui tutto è andato a pezzi quando è morta».
«Con Elliot?».
Annuii. «Non sono arrabbiata con lui, alla fin fine non è il mio vero padre. Lui si era impegnato con mia madre e non avrebbe mai potuto sapere che si sarebbe ammalata».
«Ma si era impegnato anche con te».
Mi soffermai su quel pensiero più a lungo di quanto volessi.
«Ora non ha importanza, non so neanche perché ne parlo».
«Perché ti fa stare ancora male».
«Sono grande, posso sopportarlo».
«Lo so», disse, baciandomi delicatamente la mano. «Ma non è che devi sempre essere forte, sai?».
Risi. «Non so come altro essere».
«Siamo in due. Solo che sarei molto più felice se condividessi queste cose con me più spesso».
Gli lanciai uno sguardo interrogativo.
«L’incontro con Alex, per esempio. Avrei potuto organizzartelo facilmente, testare il terreno e trattare per farti ottenere condizioni favorevoli. Ma sei testarda e vuoi fare sempre da sola».
«Perché non dovrei?».
Rise. «Perché lo vuoi fare, quando potrei pensarci io e tu potresti concentrarti su altro?».
Mi staccai da lui. «Tipo? Organizzare il matrimonio?»
«No, tipo gestire altri aspetti dell’attività. Non è quello che ti piace fare?»
«Anche fare pubbliche relazioni fa parte del mio lavoro. Se qualcuno deve farlo, quella sono io».
«Come vuoi, Erica. Se vuoi fare le cose nella maniera più difficile, fai pure, ma io non vado da nessuna parte, quindi dovresti ripensarci. Ricordati che siamo nella stessa squadra».
Mi prese la mano che avevo sul grembo, intrecciò le nostre dita e mi sfiorò il braccio con le labbra.
Tremai sentendo il suo respiro sulla mia pelle, e i miei capezzoli si inturgidirono subito. Guardai fuori dal finestrino, cercando di essere arrabbiata, ma quel tocco innocente era un segno di come poteva facilmente assumere il controllo quando voleva. Blake era abbastanza insistente da superare le difese di chiunque. Avrei potuto combattere, ma avrebbe sempre vinto lui.
Il salone si stava riempiendo di persone, tutti professionisti: legali, informatici e qualsiasi categoria vi fosse nel mezzo. Da quanto mi aveva detto Blake, era l’evento mondano per eccellenza del mondo della tecnologia, e mi aspettavo di incontrare un rilevante spaccato della gente del settore. Blake indossava un abito grigio scuro, io un semplice vestito rosso incrociato davanti e scarpe col tacco nere.
Blake mi mise un braccio intorno alla vita mentre ci muovevamo tra la folla, e quel gesto mi emozionò per più di un motivo. Ero sempre nervosa quando partecipavo a eventi del genere e, per quanto volessi cavarmela da sola, averlo lì con me mi confortava.
«Landon».
Erano passati mesi da quando ci eravamo incontrati, ma dopo un secondo riconobbi in Alex la persona che ci stava venendo incontro. Spostò lo sguardo da me a Blake, e poi sul braccio di lui intorno alla mia vita. Valutai la possibilità di scostarmi, ma sarebbe stato imbarazzante. Se Alex non era a conoscenza della nostra relazione, l’avrebbe saputo in quel momento. E se pensava che il mio recente successo fosse dovuto alla ricchezza di Blake… be’, forse aveva ragione. Speravo solo che la cosa non avrebbe minato la possibilità di una collaborazione.
Mi rimproverai per quel pensiero. Dopotutto, io e Blake eravamo fidanzati ufficialmente.
Ufficialmente. Quel pensiero mi esaltava ogni volta.
«Alex, è un piacere vederla. Grazie mille per averci invitati». Gli porsi la mano e gliela strinsi nel modo più professionale possibile. Lui rispose con un sorriso.
«Si figuri. Sono felice che siate riusciti a venire, è sempre un evento divertente. Tutti i pezzi grossi sono qui, sarà sicuramente a suo agio».
«Oh, grazie», risposi timidamente.
«Allora, mi dica di Clozpin. Come sta andando?».
Mi schiarii la voce, sperando di non sembrare a disagio come in realtà mi sentivo, e guardai Blake.
«Ehm… mi porteresti da bere?»
«Certo», rispose con un sorrisetto. «Per te, Alex?»
«Sono a posto», disse, sollevando il suo bicchiere.
Blake si mosse con eleganza verso il bar. Sentii freddo nel punto in cui fino a poco prima mi aveva stretta. Presi fiato; avevo bisogno di spazio per parlare ad Alex. Incrociai il suo sguardo e sorrisi.
«Sarò sincera, Alex: l’attività va benissimo. Abbiamo inserzionisti importanti e siamo in rapida crescita, la nostra è una parabola ascendente. Tuttavia da poco è sbucato un sito rivale. In sostanza ci hanno copiati e ora cercano di portarci via gli inserzionisti».
«Dev’essere frustrante», replicò, aggrottando le sopracciglia.
«Molto, ma mi ha anche aperto gli occhi. La squadra è più forte che mai, abbiamo basi solide e credo che potremmo passare facilmente a un livello successivo lasciando indietro i plagiatori».
Alex bevve un sorso del suo drink. «E come pensa di fare?»
«È qui che entra in gioco lei. Sono aperta a qualsiasi suggerimento, ma questo mi sembra il momento più adatto per collaborare con qualcuno che potrebbe sfruttare il nostro traffico per aumentare la propria rete di vendita e, in cambio, aiutarci a crescere. Avevo dato un’occhiata al suo sito dopo la conferenza, e devo ammettere che non avevo preso seriamente in considerazione l’e-commerce perché ero troppo occupata a far crescere la nostra attività secondo il modello attuale. Non ero pronta per un cambiamento significativo fino a poco fa».
Annuì lentamente e un accenno di sorriso comparve sulle sue labbra. «Capisco perché Landon ha investito nella sua attività».
Risi nervosamente, non sapendo bene cosa rispondere, e i miei pensieri andarono a Blake. Inclinai la testa e studiai Alex per qualche istante.
«Non ricordo di aver detto che Blake era un mio investitore, ma forse era ovvio».
«Avrei potuto supporlo, ma no, oggi ci siamo sentiti per telefono. Voleva parlarmi ed è saltato fuori.
Stia tranquilla, era deciso a lasciare che fosse lei a convincermi. Però non ha detto niente sul plagio, e sono molto impressionato che lei me l’abbia confessato».
Rimasi a bocca aperta. Non sapevo se essere infastidita da quello che aveva fatto Blake o orgogliosa per aver impressionato Alex. Ma perché si metteva sempre in mezzo? Quando avrebbe capito che sapevo cavarmela da sola? Il mio cervello mi ricordò che voleva solo aiutarmi, in modo ossessivo, certo; ma un’altra parte di me si chiedeva se lui pensava davvero che ce l’avrei fatta.
La voce di Alex interruppe quei pensieri. «Sembra un inizio promettente, comunque. Vediamoci domani per discutere dei dettagli, non voglio farle perdere la festa. Sono sicuro che Blake non vede l’ora di portarla in giro, ci sono molte persone che dovrebbe conoscere».
Fece un cenno con la testa e io seguii il suo sguardo, all’improvviso più desiderosa di individuare il viso di Blake tra la folla che di conquistare il mio possibile socio. Quando lo trovai, sentii una stretta allo stomaco. Il suo profilo perfetto era rivolto verso Risa, che si stava attorcigliando una ciocca di capelli neri intorno al dito mentre parlava, pronunciando parole che non potevo distinguere. Era più elegante che mai in un vestito nero, ma la sua espressione era titubante, i suoi occhi spalancati e il suo corpo leggermente piegato all’indietro rispetto a Blake, che era immobile.
«Erica?».
Tornai a rivolgere la mia attenzione ad Alex.
«Va bene se ci vediamo domani a pranzo?»
«Sì, va benissimo», risposi, scacciando i miei pensieri.
«Ottimo. Allora ci vediamo al ristorante dell’albergo verso mezzogiorno».
«Perfetto, non vedo l’ora».
A quel punto Blake ci raggiunse e mi posò la mano sul braccio. La sua presa salda inviò un segnale d’avvertimento al mio cervello. Quand’è che avevo iniziato a capire alla perfezione i suoi stati d’animo?
E che il mio corpo aveva preso a reagire così intensamente?
«Alex, vuoi scusarci?». La voce di Blake non era più tranquilla e informale, le sue parole suonarono brusche, come se Alex non fosse più un vecchio amico, ma solo uno dei tanti conoscenti in ambito lavorativo.
«Certo. Buona serata».
Alex ci fece un cenno di saluto senza dire altro. Blake mi condusse alla porta da cui eravamo appena entrati, la sua presa sempre più stretta. Resistetti all’impulso di liberarmi e gridargli contro per aver parlato con Alex prima che lo facessi io; volevo essere arrabbiata con lui perché si era di nuovo intromesso nella mia vita professionale, ma c’era qualcosa di strano.
«Che ci fa qui Risa?»
«È qui per lo stesso motivo di tutti gli altri: conoscere e farsi conoscere», disse a denti stretti.
Sentii un nodo allo stomaco per la preoccupazione. Ci fermammo davanti agli ascensori, e lui premette forte il pulsante.
«Cos’ha detto?».
Il campanello suonò ed entrammo nella cabina, fortunatamente vuota; le porte si chiusero lentamente e Blake mi bloccò con il suo corpo contro la parete a specchi dell’ascensore. Mi afferrò il mento, costringendomi così a guardarlo in faccia, e non riuscii a evitare l’intensità bruciante dei suoi occhi.
«Te lo chiedo per l’ultima volta e mi devi dire la cavolo di verità, altrimenti tra noi è finita».
Lo stomaco mi si strinse di nuovo sentendo quella minaccia.
«Mi hai mentito una volta perché pensavi di proteggermi, ma se mi menti anche adesso sarà l’ultima volta che lo farai», disse. Poi prese aria. «Dimmi la verità e troveremo una soluzione».
Credevo che il cuore mi sarebbe uscito dal petto visto il ritmo dei battiti. Ero troppo scioccata per rispondere subito.
«Blake… mi stai spaventando».
Strinse la mascella, come se stesse lottando per non far uscire le parole dalla sua splendida bocca. «Ti sei scopata James?».
Il mio cuore si fermò. Lo guardai negli occhi alla disperata ricerca del motivo di quella domanda inaspettata.
«No», sussurrai.
L’ascensore si fermò e lui mi lasciò, camminando velocemente nel corridoio. Gli corsi dietro, seguendolo fino alla nostra camera e rimasi ferma sulla porta, con la mente che viaggiava ancora a tutta velocità. Cos’aveva detto Risa? Cos’è che l’aveva fatto agitare così, apparentemente dal nulla?
Blake si tolse la giacca e la lanciò su una sedia, poi andò verso la finestra. Si passò le mani tra i capelli mentre guardava la città.
Io, semplicemente, lo fissavo: con soggezione, con paura, con amore. Non sapevo cosa stesse succedendo, ma odiavo la distanza che si era appena creata. Feci un passo verso di lui e mi fermai appena si voltò. Smisi di respirare quando incrociai di nuovo il suo sguardo: freddo come il ghiaccio, i suoi occhi erano scuri come non mai. Non era più l’amante dolce e romantico, ma il miliardario senza scrupoli con cui nessuno vorrebbe mai avere a che fare.
«Spogliati».
Quell’ordine ruppe il silenzio che aleggiava nella stanza. La parola mi raggelò e sentii un brivido lungo la schiena.
«Blake, non capisco…».
Si sbottonò la camicia tirandola fuori senza fretta dai pantaloni. «Spogliati, ti voglio nuda qui, al centro della stanza».
«Perché… perché sei così arrabbiato con me?».
La sua maschera di autocontrollo si ruppe e digrignò i denti con una smorfia. «Porca puttana, Erica. Mi prendo un’altra camera e salgo sul primo volo domani mattina, tu puoi dormire da sola e tornartene a casa da sola. Mettimi alla prova se è quello che vuoi, così vedi quanta scelta ti do», disse sempre più paonazzo in volto.
Era mai stato tanto arrabbiato con me? Ma perché, poi? Strinse la mascella, i muscoli del suo viso tremavano mentre aspettava la mia reazione. Aprii la bocca per parlare, ma non ci riuscii. Non sapevo da quale accusa mi dovevo difendere. Per quale motivo quella serata piacevole era diventata all’improvviso un inferno?
Come in risposta alla mia domanda silenziosa, Blake prese a parlare in tono misurato. «Risa mi ha detto di James. Hai presente? Il vostro piccolo incontro fuori dall’ufficio dopo che le ho dato un passaggio? A quanto pare le cose tra voi due si sono scaldate», disse piegando la testa. «Posto che la sua storia sia vera».
No. No, non stava succedendo. Mi si annebbiò la vista a causa delle lacrime che stavo trattenendo. Ero paralizzata. Avrei fatto di tutto per fermare la piega che quella situazione stava prendendo.
Blake lanciò via la camicia e venne verso di me.
«È stato come sulla spiaggia? Mi sembra di ricordare che fossi piuttosto eccitata dopo».
«Blake», supplicai. Stava rigirando tutto. Maledetta Risa che mi stava facendo questo, che ci stava facendo questo.
Rimase di fronte a me, fissandomi negli occhi. Appariva più alto e più minaccioso, non ricordavo di averlo mai visto così. Abbassai le spalle, sembrava che la sua postura me lo stesse ordinando.
«È vero? Dimmi di no».
Serrai la mascella. Tutto quello che avrei detto sarebbe stato inutile, non gli interessavano le mie scuse.
Mi infilò le dita tra i capelli, afferrandoli alla radice per attirarmi più vicino, e gemetti per quel lieve dolore. Posai le mani sul suo petto per riuscire a stare in piedi, le ginocchia mi tremavano. Il calore della sua pelle quasi bruciò la mia. Si chinò su di me e percepii il suo respiro sui miei capelli, contro il collo.
Riuscivo a sentire il suo odore, quello dell’uomo che amavo e che forse mi odiava.
«Spogliati». Il tono velenoso della sua voce fu sostituito da uno pericolosamente determinato che mi fece formicolare la pelle. «E inginocchiati».
Serrai gli occhi e feci un respiro profondo, come se già le sue parole mi avessero spogliata. Volevo piangere, ma ricordai la sua minaccia: mi avrebbe lasciata. Forse solo per una notte, ma il pensiero di lui che se ne andava in quel modo mi terrorizzava. Senza pensare, perché in quel momento non riuscivo a dare un senso a niente, lanciai via le scarpe, prima una e poi l’altra. Feci scivolare le dita sul nodo del vestito e, con le mani che tremavano, sciolsi il nodo e lasciai che il vestito cadesse per terra. Sapevo che lui stava contando i secondi che passavano, in attesa. Mi tolsi velocemente il reggiseno e abbassai gli slip. Rimasi in piedi, nuda. Alzai lo sguardo e l’intensità dei suoi occhi sembrò ruggire l’ordine nel silenzio della stanza.
A quel tacito comando mi abbassai e posai le mani tremanti sulle ginocchia. Una voce nella mia testa mi urlava che non dovevo farlo, non così, e un’altra rispondeva che mi meritavo ogni secondo di quello che stava succedendo. In qualunque caso, non potevo permettere che mi lasciasse, e se mi fossi dovuta inginocchiare per farlo restare, l’avrei fatto.
Capitolo sette
Fissai il tappeto che avevo davanti. Era quello che voleva da me. Desideravo chiedere il perché, lottare, ma le parole di Blake mi risuonavano in mente: Sottomissione totale. Controllo totale sul tuo piacere e sul tuo dolore. Era quello che voleva… la mia sottomissione. Non voleva spiegarsi. Avrei potuto chiedere scusa, avremmo potuto parlarne, litigare, ma al momento voleva solo quello. E forse era anche ciò di cui avevo bisogno io: i nostri corpi che si scontravano come in un ciclone, riducendo al silenzio il resto del mondo. Solo che lui era furioso, e odiavo leggerglielo negli occhi sapendo che la colpa era mia.
Si accovacciò davanti a me, ma io tenni lo sguardo basso concentrandomi sulle sue scarpe, sul modo in cui i pantaloni gli avvolgevano le cosce muscolose. Dio, quell’uomo era bellissimo, anche quando era infuriato.
Mi sfiorò la guancia, e un brivido mi corse lungo tutta la schiena.
«Se non fossi così incazzato sarei impressionato, Erica. Finalmente hai imparato a sottometterti.
Vediamo quanto riuscirai a resistere, dal momento che stasera verrai punita per una vita intera. Credi di potercela fare?».
Alzai la testa e strizzai gli occhi. Il mio spirito combattivo minacciava di venire fuori e scagliarsi su di lui. Inspirai lentamente. Devo resistere.
«Sicura di non volere una parola di sicurezza?».
Avevo il fiatone. Feci un altro respiro veloce e scossi la testa, riabbassando lo sguardo. Stupidamente pensai che, se l’avessi avuta, l’avrei autorizzato a fare in modo che desiderassi usarla. Mi fece scivolare le dita sulle labbra.
«Ti ha baciata. Hai risposto al bacio?».
Presi aria, con le labbra che tremavano.
«Se non l’avessi notato, stasera non sono in vena di ripetermi. Hai risposto al bacio?»
«Sì… ho risposto al bacio». Quelle parole mi lasciarono un sapore amaro in bocca. Perché? Perché mi ero lasciata andare così? Mi venne la nausea a pensare che avrei potuto perdere Blake per uno stupido momento di debolezza.
«Con la lingua?».
Aspettai un attimo e poi annuii, e mi sentii ancora peggio. Fece scivolare la mano sul mio seno, prendendone uno.
«E le mani? Come poteva resistere a queste tette perfette mentre ti metteva la lingua in bocca? Ti ha toccato qui?», chiese, pizzicando il capezzolo e provocandomi un brivido.
«Non lo so. No».
Abbassò ancora la mano, scivolando sulla pancia per arrivare fino in mezzo alle gambe, dove sfiorò le labbra della mia intimità.
«E qui?»
«No», ribadii.
«Avresti voluto che lo facesse?»
«No».
Mi diede uno schiaffo tra le gambe, e provai dolore, ma anche un inaspettato piacere.
«La verità, Erica», sbottò.
«Volevo che fossi tu», dissi subito. «Se in quel momento ho avuto un minimo desiderio, è stato per quello. Ma non ho provato niente, è la verità».
«Vorresti dirmi che ti ha baciato abbastanza a lungo perché Risa vi vedesse, ti ha messo la sua lingua del cazzo in bocca e non hai provato niente?».
Chiusi gli occhi, non potevo sopportare quella situazione. Era tutto annebbiato, confuso come quando avevo lasciato che James mi si avvicinasse troppo quel giorno. Sentii un groppo in gola.
«Blake, credimi, ti prego. È successo tutto in fretta. Mi ha presa alla sprovvista e forse, per un decimo di secondo, sì, ho creduto di volerlo. Ma poi non ce l’ho fatta. Anche se pensavo di averti perso, che non ti avrei più rivisto, non volevo lui. Volevo te. Ma lui non è te, non lo sarà mai. E anche se mi odi e mi punisci, questo non cambierà».
Mi tremò la voce mentre pronunciavo l’ultima frase, una verità che mi avrebbe perseguitata fino alla morte, se mai mi avesse lasciata. Ne sarei uscita devastata.
«Perché non me l’hai detto? Perché cazzo l’ho dovuto scoprire così?».
Chinai il capo. «Non volevo ferirti, Blake», risposi, ma ormai era troppo tardi.
«Hai la minima idea di quanto sia infuriato in questo momento?», chiese con un tono basso, pericolosamente basso.
Mi azzardai a guardarlo in faccia, e lo vidi sfocato a causa delle lacrime; tuttavia la freddezza che scorsi nei suoi occhi mi agghiacciò. «Mi dispiace. Mi dispiace tantissimo…». La mia voce tremava, ma volevo disperatamente che lo sapesse.
«Ah, sì? E mi vuoi dimostrare quanto ti dispiace?»
«Farò tutto quello che vuoi». Mi avvicinai a lui, che però mi fermò tenendomi i polsi.
«Cosa ti fa credere che ti voglia ancora dopo quello che hai fatto?».
Quelle parole mi colpirono come una pugnalata al cuore, ma i suoi occhi dicevano tutt’altro: c’era rabbia, ma anche dolore. Non tanto da ammorbidire la sua espressione, ma abbastanza per darmi un minimo di speranza.
«Sei l’unico che vorrò mai. Non odiarmi, ti prego. Sono stata stupida e avevo paura, Blake. Odio il fatto che sia successo, che abbia rinunciato a noi prima che riuscissimo a ritrovarci. Ti amo. Ti prego… ti prego, lascia che te lo dimostri».
Si fermò un momento prima di lasciarmi andare i polsi, poi si alzò e andò verso il divano.
Quell’immediato rifiuto fece aumentare la mia nausea. Trattenni il fiato quando sentii che si stava togliendo la cintura. La tenne in mano per un momento e mi guardò. Sentii una fitta al petto, che si muoveva a ritmo del mio respiro inquieto. Inaspettatamente la lasciò cadere per terra prima di sistemarsi sul divano. Tirò già la zip dei pantaloni e liberò la sua erezione, poi iniziò a massaggiare tutta la sua lunghezza. Su e giù. Dentro di lui c’era un’emozione diversa, da cui l’avrei potuto liberare, se me l’avesse permesso. Trascorsero diversi secondi e lui continuò a toccarsi, senza mai distogliere lo sguardo dal mio. Strinsi le mani sulle cosce, lasciando il segno delle unghie. Volevo disperatamente andare da lui, ma mi avrebbe punita se mi fossi mossa senza permesso, e non osavo parlare.
«Vieni qui», disse con voce roca.
Feci per alzarmi, sollevata, ma lui mi bloccò. «A quattro zampe. Mani e ginocchia a terra finché non ti dico diversamente».
Esitai un attimo e poi iniziai a muovermi. Il tappeto faceva pressione sui palmi e mi pungeva le ginocchia mentre attraversavo la distanza che ci separava. Le mie guance avvamparono per l’imbarazzo: in quella posizione subivo l’umiliazione che lui voleva infliggermi, ma niente avrebbe potuto placare il desiderio che provavo per lui. Mi sedetti sui talloni, tra le sue gambe, proprio come volevo fare poco prima. La punta del suo grosso membro, lucida, spariva sotto il suo palmo e ricompariva quando la mano scendeva fino alla base. Mi leccai le labbra, quasi riuscivo a sentire il suo sapore. All’improvviso non desiderai nient’altro che averlo in bocca. Avrei potuto alleviargli la frustrazione e mitigare il dolore che bruciava dentro entrambi.
«Lo vuoi?». La tensione gli fece abbassare la voce mentre il ritmo aumentava.
«Sì». Mi sollevai e poggiai le mani sulle sue ginocchia.
«Non ti meriti la soddisfazione che ti darebbe».
Il pugnale che avevo conficcato nel cuore si rigirò, e mi abbassai come un animale ferito.
«Per favore. Fammelo fare», pregai piano.
Sibilò tra i denti e mi morsi le labbra, la mia frustrazione cresceva man mano che il suo orgasmo si avvicinava. Sembrava avessi parlato a vuoto. Mi avrebbe ignorata finché non fosse venuto? Feci scivolare le mani sulle sue cosce, su e giù. Mi leccai le labbra, immaginando il suo sapore.
«Fai fare a me. Ti amo. Lo voglio fare».
Chiuse le palpebre, i muscoli tesi sotto il mio tocco.
«Cazzo», grugnì, mentre faceva cadere la testa all’indietro con un sospiro. Incoraggiata, posai una mano sulla sua bloccando i suoi movimenti, e un attimo dopo era nella mia bocca. Leccai velocemente la punta e succhiai, mi mossi e gemetti, le cosce che sfregavano mentre mi sistemavo in modo da prenderlo ancora più a fondo.
Bastò quel poco per portarlo al limite. Poche spinte veloci in fondo alla gola e lui fremette, gemendo.
Mi strinse i capelli e mi tenne la testa ferma finché non si svuotò completamente, il suo membro ancora pulsante dopo l’orgasmo.
Il dolore alle ginocchia e la scomodità della posizione sparirono mentre lo assaporavo e respiravo il suo odore. Leccai dalla base alla punta per pulirlo. Il mio uomo, il mio bellissimo uomo tormentato.
Volevo essere questo, volevo adorarlo, servirlo. Volevo essere tutto per lui, anche nei momenti oscuri in cui niente aveva senso se non il bisogno dei nostri corpi.
Scivolò fuori dalla mia bocca e i nostri respiri ruppero il silenzio. Il mio seno era pesante, ed ero bagnata tra le gambe. Lo volevo subito, arrabbiato com’era stato poco prima, ma lottai contro l’impulso di mostrarglielo, di chiedere di più. Poggiai nuovamente le mani sulle mie ginocchia, ansimando per il forte desiderio.
Lui alzò la testa e vidi che la sua espressione si era addolcita, ma la mascella restò ferma. «Toccati».
Senza pensarci due volte, feci andare la mano tra le gambe; portai l’umidità dell’eccitazione sul clitoride e iniziai muovermi. Chiusi gli occhi e gemetti piano, pensando alle sue dita che mi davano piacere.
«Vuoi che sia io a toccarti?»
«Sì».
«Vuoi che entri subito?»
«Sì», ansimai. I muscoli del ventre si tesero e una sensazione di calore si diffuse in tutto il corpo. La mia intimità pulsò e si contrasse per il desiderio di essere colmata da lui. Lo volevo tutto, finché quella follia non fosse sparita lasciando solo noi due, insieme.
«Continua a fare da sola».
Un lampo di paura mi attraversò quando sentii che si stava allontanando. Se prima aveva intenzione di evitarmi, cosa gli avrebbe impedito di portarmi al limite e poi lasciarmi lì, per ripicca? Le mie dita si muovevano in modo febbrile sul clitoride, l’orgasmo era sempre più vicino. Con gli occhi serrati, rimossi qualsiasi altro pensiero. All’improvviso fui convinta che mi avrebbe lasciata insoddisfatta se non ci avessi pensato da sola.
«Blake», gemetti. Pronunciai il suo nome come fosse una preghiera disperata. Non era dentro di me, ma era ancora con me: nei miei pensieri e in ogni fantasia che mi avrebbe portato all’apice del piacere.
Continuai a immaginarlo mentre mi aggrappavo al divano, ormai vuoto, sollevando i fianchi.
«Sono qui».
Aprii subito gli occhi al suono della sua voce sul mio collo. Prima che potessi realizzarlo, mi prese le braccia all’altezza del gomito e le tirò indietro, lasciandomi con il seno all’infuori e il clitoride che pulsava in cerca di attenzione. Mi mossi irrequieta, fin troppo desiderosa di concludere, o che fosse lui a farmi concludere. Fece scivolare la mano libera sulla mia gola, delicato e possessivo al tempo stesso, e, mentre mi circondava il collo, tenne il pollice fermo nel punto in cui il mio battito si sentiva più forte.
«Voglio far capire al tuo corpo a chi appartiene, ma voglio sentirtelo dire», sussurrò, portando la bocca al mio lobo, per succhiarlo e poi morsicarlo forte. Mi spostai di scatto, per quanto la sua presa lo permettesse, ma la sua stretta era troppo forte perché avessi scampo. Placò il dolore con la lingua, e mi lasciò sul collo una scia di caldi baci umidi, che mi tolsero il respiro e mi fecero contorcere dal piacere.
Spinsi indietro i fianchi contro la sua erezione, supplicandolo silenziosamente di scoparmi. Lui si piegò in avanti e il mio petto andò a toccare il divano. La sua mano mi lasciò il collo e scivolò giù, infilandosi nella mia intimità umida, con le sue dita che stuzzicavano il clitoride gonfio. Mi irrigidii e il ritmo del suo tocco mi fece quasi impazzire.
«Mi appartieni, Erica. Il tuo cuore, il sangue che lo fa battere quando ti tengo in questa posizione, il tuo corpo e il modo in cui si muove quando vieni per me. È tutto mio. Dillo. Di’ che mi appartieni».
Mi spinsi contro la sua mano, ignorando la sua richiesta.
«Dillo».
Sussultai. Il mio spirito combattivo era di nuovo in fiamme. «Non appartengo a nessuno».
«Cosa?», mi chiese con un tono di sfida. In qualche modo il fuoco del desiderio stava alimentando anche la mia rabbia. Avevo bisogno di venire, di liberarmi di quella tensione, di tutto.
«Non appartengo a nessuno», dissi bruscamente, di nuovo indifesa e frustrata.
Le sue dita si allontanarono dal clitoride; afferrandomi forte i fianchi mi spinse indietro contro di lui, finché il mio sedere non fu premuto sulla sua erezione. Boccheggiai, tra la rabbia e il desiderio bruciante.
«Invece sbagli. Mi appartieni dal momento in cui ti ho messo l’anello al dito, non fare finta di non saperlo. Mi hai promesso che nessuno ti avrebbe più toccata, ti ricordi? Ti avevo punita allora e ho intenzione di rifarlo finché non ti sento dire quella cazzo di frase».
Si spostò di lato, e l’unica cosa che sentii dopo fu il colpo della cintura sulle cosce. L’urlo che emisi fu affievolito dal divano, quando arrivò un’altra frustrata.
«Blake!».
«Possiamo andare avanti quanto vuoi, vedere il tuo culo che diventa rosso mi eccita».
«Non stavamo insieme». La mia voce, carica di tutte le emozioni che lui sembrava non provare, si ruppe mentre lui sferrava l’ennesimo colpo sul mio sedere.
«E di chi cazzo è stata la colpa?».
Mia. Il dolore bruciante sulla mia pelle raddoppiò quando ricevetti un’altra frustata nello stesso punto.
Gridai, irrigidendomi e cercando di spostarmi, ma lui mi teneva troppo stretta. Non lasciava intervallo tra un colpo e l’altro, voleva che quella volta li sentissi in un modo che non avevo mai provato prima.
Mi appartieni.
Quelle parole si imprimevano nella mia mente, mentre sopportavo un colpo dietro l’altro, tendendo i muscoli finché non temetti che mi sarebbero venuti i crampi. Ogni frustata era più forte della precedente, e il piacere sembrava sempre più lontano. I muscoli mi si intorpidirono, le lacrime iniziarono a scendere e l’unico dolore che sentivo era al cuore, che avevo spezzato a entrambi.
Quasi non mi accorsi del sollievo che provai quando Blake si fermò. China sul cuscino del divano, vedevo la stanza offuscata a causa delle lacrime. Mi fece allargare le ginocchia e sobbalzai quando sentii le sue mani stringere la pelle ancora sensibile che scottava per la punizione subita. Fece scivolare le dita tra i miei glutei e sul mio sesso umido, dove le fece affondare. Gemetti, sopraffatta da tutto quello. Il mio corpo era in tensione, intorpidito e sovraccarico. Nonostante la punizione, ero eccitata.
Tolse un dito umido che andò a infilare nella fessura tra i glutei. «Dovrei scoparti qui, te lo meriti», mormorò.
Scossi la testa. Avevo sopportato il dolore fino a quel momento, ma non sarei riuscita ad andare oltre.
Non credevo, almeno. Non sapevo se mi avrebbe fatta venire, ma anche quell’eventualità esasperante era meglio di quello che stava minacciando di fare.
«No, ti prego».
Infilò un secondo dito. Trattenni il fiato e il mio cervello tornò in attività. Alzai la testa dal divano e irrigidii tutti i muscoli del corpo. «No! Ti prego, Blake. No, per favore, non posso».
Si fermò e tolse le dita senza dire niente, al che fui avvolta dal sollievo.
«Magari non stasera, ma ti scoperò anche lì, puoi contarci. E sai perché?». Si abbassò, le labbra a un millimetro dal mio orecchio. «Perché mi appartieni», sussurrò.
Strinsi la mascella, una fiammella di combattività era ancora dentro di me. Il groppo che sentivo in gola indicava il mio fiume di emozioni: aspettativa, dolore, amore. Che fossero passati minuti oppure ore, stavo provando un’ondata di sensazioni violente che mi avevano colpita come un fulmine.
«Ora ti scopo, e ti assicuro che non verrai finché non dirai quella frase».
Mi afferrò i fianchi e infilò il suo membro pulsante dentro di me, spingendo forte. Un urlo quasi disumano si levò nella stanza e mi resi conto di essere stata io. Fui colta da un desiderio disperato che mi percorse le vene come la droga più potente che potesse esistere e mi fece quasi impazzire, trasportandomi in un mondo dove l’unica cosa importante era che Blake fosse dentro di me. Mi allargò ancora di più le gambe, in modo che sentissi ogni spinta fino in fondo.
«Mia», disse, spingendo. «Non dimenticartelo mai più, Erica».
Quel modo di possedermi mi consumò, portandomi su un altro pianeta. Ne avevo bisogno, avevo bisogno di lui, di questo. Ed ero sua.
Mio. Sei mio. Sono tua. Per sempre. Mi ripetei quelle parole quasi irrazionalmente, come un mantra, finché non persero significato. Ti appartengo. Ti appartengo. È sempre stato così.
«Esatto. Mi appartieni, piccola».
Spalancai gli occhi: l’avevo detto ad alta voce senza rendermene conto, sconvolta dal desiderio che avevo di lui.
«E, cazzo, io appartengo a te».
Quella dichiarazione bloccò tutti i miei pensieri. Poi affondò dentro di me così forte che urlai. Portò nuovamente le dita sul mio clitoride, facendo salire ancora una volta il mio desiderio alle stelle. Tesi ogni muscolo del corpo, ma lui mi tenne ferme le braccia. Restai intrappolata nel piacere che mi stava dando, trattenendomi in modo che potessi sentire solo i suoi movimenti bruschi, l’attrito dentro di me. Il bisogno di venire mi bruciava nelle vene come lava.
«Blake… Oddio, ti prego, fammi venire. Ti amo. Sono tua… per favore, ti prego. Non riesco a fermarmi».
«Vuoi venire?»
«Per favore!».
«Allora vieni», disse.
A quel comando, la tempesta che avevo dentro infuriò. Mi irrigidii e lo attirai a me; ogni muscolo si tese mentre la soddisfazione continuava ad aumentare. I gemiti di piacere furono smorzati dal cuscino sotto di me, e poco dopo fui libera da tutto e rimasi debole e tremante. Poggiando una mano sul divano, Blake fece leva e raggiunse il piacere, reclamando il mio corpo con la stessa passione e lo stesso vigore con cui aveva reclamato il mio cuore e tutta me stessa.
Lo accolsi fino in fondo, sperando che quel modo di possedermi mi toccasse l’anima.
Affondò dentro di me con un’ultima spinta, teso e silenzioso. Un sudore freddo mi imperlava la schiena, e Blake mi avvolse col suo calore. Tutto il mio corpo sembrò sospirare, debole come mai era stato.
Blake emise infine un sospiro tremante e mi mise un braccio intorno al busto. Un abbraccio caldo, che volevo credere fosse anche affettuoso. Allungai le dita verso la sua pancia, cercando di stringerlo a me, di tenerlo vicino, ma ero ancora prigioniera e lui non mi liberava.
«Ti amo», gli dissi. Mentre quelle parole mi uscivano dalla bocca, pregai perché anche lui le dicesse a me. Perdonami. Mettiamo tutto da parte. Ma subito scivolò via da me e non lo sentii più. Mi girai e lo vidi sparire in bagno. Chiuse la porta, l’unico suono nel silenzio di quella stanza.
Sentendomi fredda e vuota, mi sedetti sul pavimento e strinsi le braccia intorno al corpo. Ascoltai il rumore dell’acqua per alcuni minuti, poi mi alzai per andare a letto. Le gambe quasi non ressero.
Collassai sulle lenzuola fresche e mi coprii col piumone, desiderando che fossero le braccia di Blake ad avvolgermi.
Iniziai a piangere e, lacrima dopo lacrima, mi addormentai e tutto diventò nero.
Capitolo otto
«Erica… svegliati».
Spalancai gli occhi di scatto e misi a fuoco la stanza, ora inondata di luce. Il cuore mi batteva fortissimo, come se fossi ancora in preda al panico. Blake era in piedi dietro di me e beveva il caffè. Era già vestito, pantaloni e camicia perfettamente stirata. Mi tranquillizzai un po’, sollevata che fosse ancora lì.
«Pranziamo con Alex. Mi ha mandato un messaggio dicendo che sarebbe arrivato tardi, ma dovresti comunque prepararti».
Mi sedetti lentamente e tirai su le coperte per nascondere la mia nudità. Mi stropicciai gli occhi per scacciare la sonnolenza, poi guardai l’orologio: avevo dormito quasi dodici ore, ma mi sentivo esausta.
Piano piano mi ricordai della notte appena passata. Non avevo bevuto una goccia d’alcol, ma era come se avessi i postumi di una sbronza. Come promesso, Blake mi aveva sculacciato così tanto che sarebbe bastato per una vita. Cercai di provare rabbia, ma non sentivo altro che tristezza e rimpianto.
Quando cercai il suo sguardo, lui si allontanò e prese il telefono.
«Dovresti iniziare a lavarti».
Mi coricai di nuovo. Mi infilai la mano tra i capelli scompigliati e pensai al modo in cui si era conclusa la serata precedente: da sola, lontanissima da lui. Piano piano trovai la forza di alzarmi e dirigermi in bagno, ma non ero per niente reattiva. Avevo i muscoli indolenziti e un gran mal di testa.
Temporeggiai nella doccia, rifugiandomi sotto il getto caldo come se in qualche modo fosse in grado di lavare via il dolore che ancora provavo. Pensai a James, all’errore che avevo commesso e che ora sia io che Blake stavamo pagando: era molto geloso, ma sapevo che la sera prima l’avevo ferito.
Si era allontanato da me, lasciandomi sola con l’intensità di quello che avevamo fatto senza dire una parola. C’erano state altre notti intense, certo: mi aveva portato sull’orlo del precipizio e vi eravamo precipitati entrambi; nel bene e nel male, quelle notti si erano concluse con noi due insieme. Ma non quella appena trascorsa, e quando se n’era andato era successo qualcosa: aveva oltrepassato un limite nuovo e invisibile che non sapevo esistesse. Forse lo avevo fatto anche io, con quel mio errore che l’aveva portato a esplodere, ma il vuoto con cui mi aveva lasciata non l’avevo mai provato con lui. Quel vuoto aveva gettato un’ombra sul dolore e sulle punizioni che aveva sempre dosato, rendendo tutto più nero.
Il getto caldo della doccia mi stava indebolendo di nuovo. Uscii e mi asciugai, ben conscia che Blake era dall’altra parte della porta con il mio cuore tra le mani. A un certo punto avremmo dovuto parlare di quello che era successo, ma non sarebbe stata una conversazione facile. In quel momento non ero neanche nelle condizioni di contrattare con Alex per una collaborazione, ma la cosa non mi importava come avrebbe dovuto.
Blake si mise a lavorare al computer mentre io mi vestivo, e nessuno dei due parlò. Come se fossero attirati da una qualche forza magnetica, i miei occhi continuavano a cercarlo. Se lui se n’era accorto non lo dava a vedere, rimaneva apparentemente concentrato su quello che stava facendo. Ma anche se avesse voluto parlare, cos’avrei potuto dirgli?
Allungai il passo per stargli dietro mentre entravamo nel ristorante dell’albergo per prendere il tavolo.
Cercai di nascondere un sussulto quando mi sedetti: non riuscivo a ignorare il dolore al sedere, ma non volevo dare a Blake la soddisfazione di mostrargli che mi dava fastidio.
Alex arrivò e mi salutò, io risposi con un sorriso debole e ci scambiammo frasi di circostanza, qualcosa sull’essere andati via prima dalla festa perché non stavo bene – il che in un certo senso era vero. Poi Alex mi chiese di Clozpin: voleva avere più dettagli, capire la logistica. Io annuivo, ma mi mancava l’entusiasmo che avrei dovuto avere per affrontare quella conversazione. Fissavo il mio piatto, senza il minimo appetito, e continuavo a pensare a quello che era successo tra me e Blake. Che cosa poteva avere importanza, se le cose tra noi non andavano bene?
Piombò un silenzio imbarazzante e, anche se me ne sarei dovuta preoccupare, non fu così. Blake mi strinse un ginocchio sotto il tavolo e alzai lo sguardo. Il mio cuore iniziò a battere forte a quel contatto, come se avesse ripreso a funzionare in quel preciso momento. Aggrottò leggermente le sopracciglia in una domanda silenziosa, ma quando cercai di parlare gli occhi mi si riempirono di lacrime.
«Torniamo subito, Alex», disse.
In un attimo ci alzammo dal tavolo e trovammo un posto appartato in un angolo del ristorante. Fummo avvolti dall’oscurità, sentii il suo corpo avvicinarsi e fu come se mi stesse risucchiando l’aria dai polmoni. Aspettai che mi toccasse, avevo bisogno che lo facesse o sarei andata in pezzi.
Mi prese il viso con delicatezza. Sospirai e tornai a sentire la spossatezza di prima. Blake mi alzò la testa in modo da poterci guardare negli occhi. Gli occhi con cui mi faceva sciogliere, in cui infuriavano oscurità e passione, tutto quello che avevo imparato ad amare di lui, mi fissavano.
Ti amo. Volevo dirglielo, volevo pronunciare di nuovo quelle parole e volevo che lui le dicesse a me.
«Blake…».
«Stai bene?», mi chiese, sfiorandomi la guancia con il pollice. I miei occhi erano colmi di lacrime che iniziarono subito a scendere; posai le mani sul suo petto in cerca del suo calore, della sua forza.
«Non ce la faccio, Blake, non ora. Mi dispiace, non posso».
Cercò di calmarmi e mi asciugò le lacrime. «Posso pensarci io».
«No, non posso rovinare tutto, devo esserci».
«Non stai rovinando niente, va tutto bene. Ci parlo io con Alex, tu vai su in stanza e riposati». Mi strinse le spalle e mi accarezzò le braccia, indugiando un attimo per poi andare via. Prima che potessi chiamarlo era già sparito, e mi ritrovai di nuovo da sola.
Andai velocemente verso gli ascensori, con la testa bassa per nascondere il viso. Mi asciugai le lacrime, ma continuavano a scendere. Cosa cavolo avevo che non andava?
Arrivata di sopra, osservai la stanza, vuota come il mio cuore. Volevo che Blake fosse lì. Odiavo il fatto che non ci fosse, e non ero in condizioni di parlare di affari con Alex. Ironico, visto che quello era proprio lo scopo del viaggio.
Senza spogliarmi mi lasciai cadere sul letto sfatto. Mi ero svegliata senza le sue carezze e a malapena riuscivo a sopravvivere. Le palpebre si fecero pesanti e pregai di svegliarmi e poter ricominciare da capo.
Mi sedetti al tavolo delle riunioni e aspettai che il resto della squadra si accomodasse. Dopo aver dormito quasi tutto il pomeriggio in albergo e durante il viaggio di ritorno in aereo, sarei dovuta essere riposata. Parte della tensione si era attenuata abbastanza da farmi tornare in modalità lavorativa non appena Blake mi aveva aggiornata sul suo incontro con Alex. Le condizioni che avevano concordato erano buone, molto meglio di quello che avrei chiesto o addirittura sperato. Avrei voluto essere sorpresa, ma con Blake a dirigere la trattativa non mi sarei aspettata niente di meno. Quello che dovevo fare era cogliere quell’occasione e agire subito in modo che Clozpin rimanesse in testa.
«Com’è andata a San Francisco?».
La voce di Alli interruppe i miei pensieri. Si era seduta vicino a me, e quando incrociai i suoi occhi castani avrei voluto raccontarle tutto. La mia dolcissima amica. Non sapevo da dove cominciare. Come avrei potuto tirare fuori il discorso per spiegarle che il mio futuro marito mi aveva punita perché ero stata beccata a pomiciare con uno dei miei dipendenti quando ci eravamo lasciati? Dio, era proprio un bel casino.
«Bene», mentii.
Avevo il corpo indolenzito, per il sesso, certo, ma erano passate ore senza che tra me e Blake ci fossero state davvero interazioni. Durante il viaggio di ritorno, ci eravamo scambiati solo qualche informazione pratica. Avevo percepito però la sua esitazione, lo sforzo che traspariva dalle sue poche parole, il modo in cui evitava accuratamente i miei sguardi con cui lo supplicavo di darmi di più: un’occhiata, una carezza, qualsiasi cosa che mi facesse capire che andava tutto bene.
Troppo stremata per insistere, avevo lasciato perdere. Ricordavo quella sensazione, l’avevo provata non molto tempo prima, quando io e Blake eravamo stati separati a causa di circostanze molto diverse, e ora era tornata a infastidirmi. Odiavo non sapere a cosa stesse pensando, e una parte di me aveva paura di quello che mi avrebbe risposto se gliel’avessi chiesto. Avevo bisogno di credere che avremmo superato anche questa, che alla fine del tunnel c’era la luce. Se avessi creduto anche solo per un attimo che non ce l’avremmo fatta, non sarei stata in grado di andare avanti.
Piano piano tutti si sistemarono sulle sedie e, prima di iniziare, presi degli appunti al volo. Scacciai via le paure, rifiutandomi di permettere agli eventi del fine settimana di influenzare la mia giornata.
Nonostante tutto, avevamo del lavoro da fare, e io dovevo andare avanti.
James si sedette di fronte a Blake e l’atmosfera divenne subito pesante. Si percepiva l’avversione che provavano l’uno per l’altro, e ne ebbi la conferma quando incrociai lo sguardo di Blake. James si agitò sulla sedia all’occhiataccia di Blake, talmente velenosa che non mi sarei sorpresa se li avessi trovati a darsele di santa ragione nel giro di un secondo.
Imprecai tra me e me, chiedendomi perché mi fossi fatta convincere da Blake a farlo partecipare a quella riunione sapendo che ci sarebbe stato anche James. Forse cercava uno scontro diretto, qualcosa che potesse farla finita una volta per tutte.
Mi decisi a parlare, spostando la loro attenzione sulle questioni urgenti.
«Lo scorso fine settimana io e Blake abbiamo incontrato un potenziale socio, Alex Hutchinson, che ci ha dato il via libera per avviare una collaborazione, grazie alla quale il nostro e-commerce sarà indirizzato al suo sito in cambio di pubblicità e commissioni per noi. Stiamo ancora lavorando agli ultimi dettagli, ma è un passo importante per la nostra crescita, per andare oltre quello che abbiamo sempre fatto e allargare i nostri orizzonti. Dovremo apportare alcune modifiche alla piattaforma per sfruttare al massimo quest’opportunità».
«Ci sono novità sugli inserzionisti?», chiese James, smorzando l’entusiasmo per le buone notizie con la dura realtà del colpo che avevamo subito a causa del sito rivale.
Alli intervenne: «Dalla scorsa settimana non si è ritirato nessuno, quindi forse Risa è riuscita ad accalappiare solo le prede più facili, per così dire. Si spera che gli altri restino con noi anche mentre ci allarghiamo».
Nascosi una smorfia. Avevo un paio di soprannomi per Risa che avrei proprio voluto usare.
«Qual è la scadenza?», chiese Chris, il nostro sviluppatore amante delle camicie hawaiane.
«Il prima possibile. So che sarà difficile farlo e in parallelo continuare a occuparci di quello che già abbiamo, ma dopo tutto ciò che abbiamo passato per gli attacchi degli hacker, sono sicura che riusciremo tranquillamente a gestire anche questo. Sid, puoi iniziare a studiare la loro interfaccia di programmazione?».
Blake gli porse un fascicolo. «Ho la documentazione che ti serve. Io e Alex abbiamo controllato, dovrebbe essere abbastanza semplice da implementare».
Sid prese il plico e sgranò gli occhi. Sorrisi, non ancora in vena di festeggiamenti, ma grata di aver catturato il suo interesse. Vedere il piano attuarsi faceva un po’ paura; stavo navigando in acque sconosciute, ma era la cosa giusta da fare. O la va, o la spacca, mi ripetevo, ed ero determinata a non farci annegare. L’occasione che avevo avuto con Alex prometteva di essere l’àncora di salvezza che ci serviva.
La riunione proseguì bene, affidai a ognuno i propri compiti e iniziai a tranquillizzarmi. Ero stata fuori solo il fine settimana, ma ero tornata scombussolata; trovarmi di nuovo con la squadra mi faceva sentire a mio agio, ed ero impaziente di buttarmi a capofitto nel nuovo lavoro. La tensione si smorzò, e forse per Blake fu lo stesso. Però James continuò a lanciarmi delle occhiate preoccupate. Come sempre, aveva capito che qualcosa non andava, che non ero in me, ma non sapevo se gli avrei mai detto il perché.
Sospirai. Cosa non avrei fatto per tornare indietro.
La riunione terminò e tutti iniziarono ad allontanarsi. Io raccolsi i miei appunti e mi preparai a tornare alla mia scrivania e affrontare il resto della giornata.
«Dobbiamo parlare».
Il tono di Blake era basso, inequivocabilmente minaccioso. Alzai lo sguardo e vidi che si era rivolto a James, che rimase immobile dietro a una maschera di indifferenza.
«Di cosa?».
Blake si alzò lentamente. «Credo sia meglio discuterne in privato. Andiamo?», disse, facendo un cenno verso la porta.
James si alzò con disinvoltura dalla sedia e fece strada. Il mio cuore iniziò a battere all’impazzata mentre esaminavo l’ufficio: sembrava che nessuno avesse visto la scena. Li seguii in fretta e, quando erano quasi in fondo al corridoio, li raggiunsi, chiudendo poi la porta alle nostre spalle.
Blake si piazzò davanti a James, rigido e con le braccia incrociate.
«Volevo essere io a dirti che darai le dimissioni, preferibilmente questa settimana».
«Scusa?», chiese James, irrigidendosi. «È Erica il mio capo, non tu».
«Non è questo il punto. Te ne devi andare».
Il tono di Blake non lasciava dubbi. Mi sentii arrabbiata e confusa. Volevo che Blake sapesse quanto mi dispiaceva, quanto desideravo che le cose tra noi si risolvessero, ma mi stava attaccando sulla cosa a cui tenevo di più: il mio lavoro, la mia vita, il rifugio che era soltanto mio. E lui, con quella richiesta, stava rovinando tutto.
«Blake, che stai facendo? Smettila». Mi avvicinai di un passo, sperando che nessuno in ufficio ci sentisse. Si girò verso di me, gli occhi colmi di tutto il dolore che gli avevo provocato e della rabbia nei confronti di James.
«Se ne deve andare, Erica, è semplice. A meno che tu non voglia che sia io ad andare via».
«Non dici sul serio». Lo fissai, quasi troppo stanca per mettere alla prova la sua determinazione.
La risatina di James interruppe quella situazione di stallo. Aveva gli occhi azzurri fissi su Blake e i pugni stretti lungo i fianchi.
«Il successo ti dà proprio alla testa, eh, Landon? Credi di poter venire qui e dare ordini. Che razza di stronzo arrogante farebbe una cosa del genere? E hai anche le palle di alzare le mani su di lei. Dovrei riempirti di botte, così sapresti cosa si prova».
Blake si voltò di scatto e tornò a fissare James, con la mascella contratta. «Ma che cazzo dici? Non l’ho mai picchiata!».
Feci un passo incerto in avanti, a disagio perché stavano arrivando alle mani. Con tutta quella tensione, probabilmente mi sarei fatta male anch’io.
«James, no. Non capisci».
«Gli hai detto che ti picchio?».
Incrociai lo sguardo implorante e confuso, e forse colpevole, di Blake. Aveva frainteso tutto. Mi si spezzò il cuore e mi si riempirono gli occhi di lacrime.
«No. Cristo, piantatela tutti e due».
James si avvicinò a me, il tono di voce più tranquillo. «Non meriti questo schifo, Erica. Basta che lo dici e lo faccio andare via».
«Col cavolo», disse Blake, spingendo James e facendolo sbattere contro il muro. James reagì subito con un pugno che Blake riuscì a schivare per un soffio. I due iniziarono ad accapigliarsi e spintonarsi, ed ebbi la certezza che, se non mi fossi intromessa, si sarebbero distrutti. Dovevo farli smettere a tutti i costi.
«È stato Daniel!», gridai, rivelando il mio segreto con la speranza di fermare quella follia.
Blake spinse via James e per un momento si tenne a distanza, mentre entrambi boccheggiavano, gli occhi furiosi.
La rabbia di James si attenuò leggermente per la confusione. «Chi?»
«È… non importa. Ma quando mi hai vista in quello stato, mi ero appena incontrata con lui. Avevamo litigato e…». Sospirai, mentre il peso delle ultime quarantott’ore mi crollava di colpo addosso. «Mi ha colpita».
Silenzio. Nessuna parola, nessun pugno. Nessuno dei due si mosse.
Lo sguardo di Blake mi devastò. Come se scoprire di James non fosse stato abbastanza, alle mie ultime parole assunse un’espressione tradita che mi fece desiderare di andargli incontro, stringerlo a me e chiedere di nuovo scusa, per tutto quanto.
«Prima questo», disse Blake, indicando James, «e ora mi stai dicendo che Daniel ti ha picchiata. Che cavolo succede, Erica? C’è qualcos’altro che mi vuoi dire? Vuota il sacco, già che ci sei».
Mi tremò il labbro e gli occhi mi si riempirono nuovamente di lacrime. Il mio rimorso non gli avrebbe fatto effetto, era troppo arrabbiato. Ero sola e dovevo lottare per mantenere una parvenza di equilibrio tra vita privata e professionale, il che sembrava sempre di più una causa persa.
«Dovreste andare, tutti e due. Fuori». Le ultime parole quasi mi si strozzarono in gola, poco convinte, specchio dello stato in cui erano i miei nervi.
James imprecò e ci lasciò da soli, e lo sentii allontanarsi giù per le scale. La porta di sotto sbatté e il rumore arrivò fino a noi. Blake era immobile e mi stava fulminando con lo sguardo. In quel silenzio doloroso, i miei pensieri vorticavano facendo rumore, e quasi riuscivo a sentire anche i suoi. Altri perché. Perché ero stata così stupida e testarda? Quando lo guardai negli occhi feriti, ebbi la conferma: lo sforzo di trattenere la rabbia e il dolore era evidente dalla sua postura, dai muscoli delle braccia tesi, sicuramente ancora pronti a prendere a pugni James.
Mi sarei scusata e avrei cercato di riavvicinarlo, se non fossi stata così arrabbiata con me stessa.
Sapevo che era geloso, ma era andato troppo oltre. Non aveva il diritto di affrontare James e immischiarsi nel mio lavoro in quel modo, qualunque cosa fosse successa.
«Non so cosa dirti», disse finalmente.
«Allora non dire niente. Blake… sono esausta, irritata e sto per perdere la testa. Non ho bisogno di te che mi rimproveri e dici che è tutta colpa mia». Mi tremò la voce, mentre mi asciugavo una lacrima che era riuscita a scendere. «Forse è così, ma ora non ce la faccio a sentirtelo dire, proprio non ce la faccio».
Esitò un attimo, poi piombò di nuovo il silenzio. Infine, senza dire una parola, se ne andò.
Uscì di nuovo dal mio mondo. Guardai la sua ritirata, sentendomi libera dal peso del suo risentimento, ma anche molto più infelice di prima.
Capitolo nove
Esitai nel corridoio con la mano appoggiata alla porta. Le risate di Alli e degli altri riecheggiavano al di là delle pareti del suo nuovo appartamento. Volevo festeggiare ed essere felice per Alli e Heath, ma mi sentivo tutt’altro che felice da quando Blake mi teneva a distanza.
Aveva preso fin troppo alla lettera la mia richiesta di non dire niente e andare via. Erano passati un paio di giorni; la sera prima aveva lavorato fino a tardi, era tornato a casa dopo che mi ero addormentata ed era andato via prima che mi svegliassi. L’unica prova del suo passaggio era stata una tazza vuota dentro il lavandino. Sembrava sempre più lontano, e nonostante fossi arrabbiata anch’io quella distanza tra noi mi stava distruggendo.
Feci un respiro profondo ed entrai, neanche minimamente preparata ad affrontare l’affetto che la famiglia di Blake mi dimostrava ogni volta. Però la cosa era contagiosa, quindi c’era la speranza che sarebbe stata in grado di sbloccare me, e anche Blake, da quella situazione.
Perfettamente in sintonia con l’energia di Alli e Heath, nell’appartamento risuonavano risate, il mormorio delle conversazioni e il grido di Alli quando il tappo di sughero schizzò dalla bottiglia di spumante.
«Erica!».
La sorella minore di Blake, Fiona, mi corse incontro per abbracciarmi non appena misi piede in casa.
Catherine fu subito dietro di lei e mi strinse tra le braccia quando Fiona si allontanò.
«Come va, tesoro? Sei uno splendore».
«Tutto bene, grazie», risposi con un debole sorriso, guardando poi imbarazzata i vestiti che indossavo.
Strano che non mi fossi messa due scarpe diverse, visto quanto ero riuscita a stare concentrata ultimamente. Gonna nera, maglia e ballerine: difficile fare macello.
Quando incrociai di nuovo lo sguardo di Catherine, vidi che sulla fronte le era comparsa una ruga di preoccupazione, quindi mi stampai sul viso un’espressione allegra. Non volevo assolutamente che i miei problemi con Blake rovinassero la festa di Alli. Era un passo importante per lei e Heath, ed ero già preoccupata di averle rubato la scena con la storia del matrimonio – cosa di cui avremmo parlato quella sera, come lei stessa mi aveva assicurato. Alli si avvicinò, mi prese la mano e mi trascinò via. «Ti faccio fare il giro della casa».
«Va bene». Salutai con la mano Heath e Greg prima di andare nell’altra stanza.
Alli mi mostrò tutte le camere, una a una. Nell’appartamento non mancava niente, come c’era da aspettarsi in casa di un Landon: colori tenui, stanza spaziose e arredamento di ottimo gusto. In alcune camere c’erano ancora scatoloni, ma nel complesso era una casa accogliente. La loro casa.
«È stupenda, Alli».
Drizzò la schiena e sorrise. «Grazie. La adoro. Non vedo l’ora di farla più nostra. Heath ha lavorato molto, ma spero che tra poco riusciremo a sistemarla meglio».
Sorrisi di rimando, felice di vedere fin dove lei e Heath fossero arrivati. Era uscito dalla riabilitazione solo da un paio di settimane, ma stavano bene e sarebbero stati anche meglio costruendo la loro vita insieme. Alli si stava reinserendo nella mia attività, così come Heath in quella del fratello. Blake voleva coinvolgerlo di più, e da quello che avevo sentito stava prendendo il toro per le corna investendo più di quanto avesse mai fatto.
In fondo ero felice per loro, molto felice. Ma non potevo non fare paragoni con me e Blake. Anche se vivevamo insieme, eravamo più distanti di quando abitavo nell’appartamento sotto di lui. Andare a convivere era stato facile, forse fin troppo. All’inizio ero titubante, ma Blake insisteva, quindi avevo preso le buste piene di roba che avevo portato da Harvard solo pochi mesi prima e le avevo spostate al piano di sopra. In meno di ventiquattr’ore la mia vita si era unita ancora più saldamente alla sua. Mi piaceva vivere con lui, ma non avevo mai sentito mio quell’appartamento, non come Alli considerava questa casa.
«Sono felicissima per te», dissi, cercando di mantenere la voce ferma, mentre lei mi guardava in cerca della rassicurazione e del supporto della sua migliore amica. Sorrise felice e mi prese a braccetto.
«Grazie, tesoro. Sono felice anch’io. E ora diventiamolo ancora di più e andiamoci a bere un po’ di spumante. Dobbiamo discutere i dettagli del matrimonio e organizzare con Fiona le ultime cose per la festa».
«Festa?».
Sgranò gli occhi e si tappò la bocca con la mano. «Oh, cazzo».
«Cosa?»
«Merda, merda, merda. Dimentica che te l’ho detto».
Stava uscendo dalla stanza, ma la fermai. «Dài, Alli, sputa il rospo».
Rilassò le spalle. «Doveva essere una sorpresa. Catherine vuole organizzare una festa di fidanzamento».
Inarcai le sopracciglia. «Blake lo sa?»
«Certo».
«E perché nessuno me l’ha detto?»
«Pensavamo sarebbe stato divertente farti una sorpresa. So che sei stressata per tutto quello che sta succedendo al lavoro, e non volevamo rincarare la dose. E non è niente di che, davvero. Solo una festicciola a casa loro con alcuni amici di famiglia che ti vogliono conoscere, per stare un po’ tutti insieme».
In quel momento sentii un nodo allo stomaco. Non sapevo quali amici di famiglia fossero coinvolti, ma considerando le tensioni che c’erano tra me e Blake in quel periodo, probabilmente me ne sarei stata sola per la maggior parte del tempo, e quel pensiero non era per niente confortante.
«Ti va bene?»
«Sì, sembra divertente. Fammi sapere se posso fare qualcosa».
«Tranquilla, credo che Catherine abbia tutto sotto controllo. Voi due dovete solo venire ed essere voi stessi».
Mi prese la mano e me la strinse mentre tornavamo in salone. Fiona stava cercando di riempire i bicchieri fino all’orlo senza far cadere la schiuma.
«Dove sono i ragazzi?», chiesi.
Fiona si sedette sul divano col suo bicchiere. «Di sopra, c’è la terrazza. Al tramonto il panorama è molto bello».
Mi chiedevo se Blake fosse già arrivato e fosse su con suo padre e suo fratello, ma mi imbarazzava ammettere che non avevo quasi idea di dove fosse stato il giorno e la notte prima. Volevo credere che quella sera sarebbe stato diverso. La compagnia della sua famiglia lo faceva sempre sembrare più umano, e forse con la loro presenza avremmo abbattuto il muro che c’era tra noi e avremmo parlato sul serio. Ci eravamo appena fidanzati ufficialmente, avremmo dovuto essere una coppia innamorata, solida, sempre unita, ma in quel momento non riuscivamo neanche a stare nella stessa stanza senza che si percepisse la tensione tra noi.
Io e Alli ci sedemmo sul divano grande, di fronte a Fiona. Ammirai la sala spaziosa illuminata dalla luce che attraversava il finestrone.
«Dovremmo brindare. Al trasloco», dichiarò Fiona, facendo tintinnare il suo bicchiere con quello di Alli. «E ovviamente al fidanzamento di Blake ed Erica».
«Cin cin», dicemmo all’unisono.
Mi rilassai e bevvi un sorso. Forse era quello che mi serviva, in attesa che Blake si calmasse: spumante e qualche chiacchiera tra amiche.
Alli non perse tempo e iniziò a frugare nella sua borsa appoggiata per terra.
«A proposito di fidanzamenti».
Tirò fuori una notevole quantità di riviste sul matrimonio piene di post-it colorati. Il mio entusiasmo per quel momento tra sole donne si smorzò all’istante.
«Ovviamente la cosa più importante è il vestito, ma stasera dobbiamo decidere i colori perché sto diventando matta a non saperlo. Sì, sono egoista».
Sorrisi. Non ci avevo pensato, almeno non dai tempi della scuola media, quando il rosa e il viola erano in cima alla lista di ogni ragazzina.
Fiona si andò a sedere vicino a Alli.
«Oh, adoro questo qui, ma magari in blu», disse, indicando uno dei modelli.
Alli storse le labbra. «Non lo so… se lo facciamo in spiaggia, c’è poco contrasto. Invece malva, o qualcosa di molto brillante, tipo fucsia?»
«Far indossare a Blake e Heath gilet e cravatta rosa sarebbe magnifico», disse Fiona, ridendo.
Alli si unì a lei. In poco tempo quella riunione degenerò e finirono per parlare di cinture di seta con brillantini rosa, quasi cadendo dal divano per le risate. Avrei volentieri cambiato discorso, ma sentii dei rumori dalla cucina e mi ricordai che Catherine stava preparando la cena per tutti. Gli uomini non si vedevano ancora.
«Vado a controllare la cena, torno subito».
Sparii in cucina e trovai Catherine che mescolava qualcosa in una pentola fumante. A quanto pareva cibo italiano e, dall’odore, buonissimo. Mi venne subito fame, nonostante non avessi avuto molto appetito per tutta la giornata.
«Ehi, tesoro. Posso fare qualcosa per te?»
«No, grazie. Sono venuta a vedere se ti serviva una mano».
«No, è tutto sotto controllo, vai pure dalle ragazze», mi rispose, sorridendo.
Esaminai la grande cucina con la speranza di trovare qualcosa da pulire, qualsiasi cosa potessi usare come scusa per stare alla larga dal covo delle damigelle per qualche altro minuto.
Che cavolo avevo che non andava? Tutte le donne del mondo volevano essere coinvolte in quelle decisioni, no? Come potevo gestire una start up di moda e non avere il minimo interesse per i dettagli di quello che si preannunciava come un matrimonio che andava ben oltre ogni mia immaginazione? La definizione “matrimonio in grande stile” stava assumendo un nuovo significato man mano che Alli e Fiona si sfidavano per vedere approvate le loro idee.
Mi morsi il labbro e pensai a qualche scusa per restare.
«Tutto okay?»
«Sì, sto bene», dissi, annuendo. Però non mi dispiacerebbe essere inghiottita dal pavimento, pensai.
«Ho solo bisogno di staccare un attimo. Mi stanno…».
Lei sollevò un angolo della bocca, lanciandomi uno sguardo di comprensione. «Facendo diventare matta?»
«Sì, un po’», dissi, ridendo.
Si sentirono altre risate arrivare dal salone e ci scambiammo uno sguardo d’intesa.
«Alli si è fatta sfuggire della festa di fidanzamento. Grazie, non dovevi disturbarti».
«Oh, ma figurati. Volevo farlo. Non sai quanto tutti siano elettrizzati per la notizia, non vedono l’ora di conoscerti. E anche di rivedere Blake, in realtà. Quando si tratta di incontrare la famiglia al completo, è un po’ schivo».
«Be’, grazie ancora. Mi sento in colpa, perché immagino che dovrei essere io a occuparmene, probabilmente ci sono un sacco di cose a cui non ho neanche pensato».
Stava succedendo tutto troppo in fretta: lavoro, matrimonio… e, come se non bastasse, questo litigio con Blake che rischiava di rovinare tutto.
«Blake è uno che si occupa sempre di tutto, ma immagino che per organizzare il matrimonio non sia di grande aiuto».
«Direi di no», risposi scuotendo la testa.
Il mio sguardo rimbalzò per tutta la stanza tranne che sul suo viso; solo dopo un po’ che era rimasta in silenzio mi azzardai a guardarla. Aveva le sopracciglia aggrottate. Fece un passo avanti e mi prese una mano tra le sue.
«Va tutto bene tra voi?», chiese con delicatezza. «Spero tu non ti offenda se te lo dico, ma non mi sembri una futura sposa felice, in questo momento».
Cercai di mandare giù il groppo che avevo in gola. «Non c’è niente di cui preoccuparsi».
«Ti ha fatta star male?».
Sentii una fitta al cuore e chiusi gli occhi. Come potevo spiegare a parole quello che era successo tra noi negli ultimi giorni?
Annuii semplicemente, incapace di nascondere il dolore. «Ci siamo feriti a vicenda, avevamo torto tutti e due e ora c’è tensione. Ultimamente è stato difficile parlare». Abbassai lo sguardo, facendo strisciare il piede sul pavimento. «A volte è opprimente. Esasperante, a dire la verità».
Fece una risatina. «Avrei dovuto dirtelo. Pensa com’è stato crescerlo».
Sorrisi debolmente. «Immagino».
«È un ragazzo difficile, lo è sempre stato. È mio figlio e gli voglio bene, ma è molto testardo. Però, quando ti ho vista, in qualche modo ho capito che eri perfetta per lui, e prego ogni giorno che lui sia perfetto per te. È cambiato tanto, non l’avevo mai visto comportarsi in modo così dolce tranne quando è con te, Erica. È diverso. Sono piccoli cambiamenti, ma li ho notati».
Sentii le lacrime affacciarsi e, prima che riuscissi a trovare una scusa qualsiasi per andarmene, mi abbracciò e io ricambiai.
«Non ti arrendere con lui», sussurrò. «Se c’è qualcuno che può abbattere il muro che si è costruito intorno, quella sei tu».
Mi scostai e mi asciugai le lacrime. «Vorrei non sentirmi così distante da lui, ora».
La voce di Blake risuonò nell’appartamento, insieme a quelle di suo padre e di Heath. Il mio cuore perse un battito: era qui.
«Blake!», chiamò Catherine, sciogliendo l’abbraccio.
Mi asciugai di nuovo le lacrime, sperando di nascondere i segni del mio dolore, e pochi secondi dopo Blake arrivò. Rimase fermo a qualche passo dalla porta, con le mani nelle tasche dei jeans. Sentii una fitta al cuore nel vedere quanto fosse bello senza che facesse il minimo sforzo. Era mio, mi rassicurai, anche se ultimamente non era stato proprio così. I suoi occhi verdi si spostarono da me alla madre, poi si fermarono su di me. Distolsi lo sguardo, cercando di nascondere la mia vulnerabilità, ma sapevo che mi ero già tradita nel momento in cui mi aveva vista.
«Blake», disse Catherine con tono duro. «Devi parlare con Erica. Qui stiamo tutti festeggiando e questa povera ragazza piange per te. È il caso che tu inizi a parlare».
La fissò un istante senza cambiare espressione. «Non parlo di queste cose con te, mamma».
Lei fece una smorfia. «Non sei il genio della famiglia? Santo cielo, non mi aspetto che ne parli con me.
Parla con la tua futura moglie. Sistema quello che non va. Questo è tutto quello che ho da dire sulla faccenda», disse, guardandolo duramente.
Poi la sua espressione si addolcì, quando si girò verso di me, e mi strinse la mano.
Senza dire una parola Blake si voltò, attraversò la cucina e sparì nel corridoio. Lo seguii finché non restammo soli in una delle stanze vuote che avevo visto prima. Questo sarebbe stato lo studio: due scrivanie allineate contro il muro, coperte da plichi di fogli in disordine.
Blake rimase immobile al centro della stanza, dandomi le spalle. Chiusi la porta e mi ci appoggiai contro.
Il lungo silenzio rendeva imbarazzante quell’intimità. Cercai le parole giuste, qualcosa che potesse farci tornare a com’eravamo prima di San Francisco, ma non sapevo cosa dirgli. Si sarebbe arrabbiato perché mi ero sfogata con sua madre, anche se non era stata mia intenzione parlarle di quello che era successo tra noi.
«Immagino tu voglia parlare», disse con calma, voltandosi verso di me.
Annuii e cercai di mandare giù il groppo alla gola. Non avrei voluto parlare in quell’occasione, ma chissà quando avrei avuto di nuovo la sua attenzione. «Non volevo farlo qui, ma sei sparito. Tua madre ha iniziato a chiedere di noi e non ce l’ho fatta a trattenermi, scusa».
«Ora sono qui».
La sua voce diventò ancora più calma e fece un altro passo verso di me. Si fermò a qualche centimetro di distanza, con le mani sempre in tasca. Di solito adoravo quella posizione, quell’aria menefreghista che aveva ogni tanto, in genere quando era al lavoro. Mi ricordai di quando si era seduto davanti a me nella sala riunioni dell’Angelcom, apparentemente disinteressato. Ero stata infastidita ma allo stesso tempo attratta da lui. Ma ora sapevo. Sapevo che ci teneva, anche se i miei sentimenti erano ugualmente contrastanti per la situazione che si era creata tra noi.
«Blake… mi hai ferita».
Serrò la mascella e rimase in silenzio per alcuni secondi.
«Ti avevo avvertita che se avessi aperto quella porta…».
«Non parlo del dolore fisico. A volte ci arrabbieremo e ci faremo del male a vicenda, è inevitabile, e so che ci sfogheremo l’uno sull’altra in modi diversi. Ammetto che l’altra notte per me è stato difficile, non perché non l’avessimo mai fatto prima, ma perché alla fine percepivo solo la tua rabbia, ed è quello che mi ha ferita molto di più del dolore fisico Mi sono sentita come se mi odiassi, se volessi ferirmi.
Forse ti ha fatto sentire meglio…».
«No, fidati», rispose con una smorfia.
«E allora perché? Mi hai lasciata lì, come se non contassi niente. Come se mi stessi escludendo per farmi ancora più male. Quand’è che finirà? In quanti altri modi devo dirti che mi dispiace, che ho fatto un errore stupido e che se potessi tornare indietro non lo rifarei?».
Si voltò e si infilò una mano tra i capelli, scompigliando le ciocche.
«Non sarebbe dovuto succedere».
«Lo so, vorrei non fosse successo», dissi, accasciandomi contro la porta.
Si voltò di nuovo verso di me. «No, non credo tu capisca. Tutto quello che è successo quando eravamo separati è successo perché non ti sei fidata e non hai lasciato che mi occupassi di Daniel e delle sue minacce».
«Non è vero».
«Sì che è vero, Erica. Se l’avessi fatto non ci saremmo mai lasciati e James non avrebbe avuto l’occasione di avvicinarsi a te quand’eri vulnerabile».
«Credevo che Daniel ti avrebbe ucciso, lo capisci? Ho sofferto tantissimo senza di te, speravo di riuscire a trovare un modo per salvare il nostro rapporto, ma quando quella sera ti ho visto con Sophia, e poi quel giorno con Risa, mi sono arresa. Ero convinta che tra noi fosse finita, che ti avessi perso. James non c’entrava niente, ma senza di te mi sentivo così vuota che ho lasciato che lui si avvicinasse troppo».
«Credi davvero che avrei permesso a Daniel di fare del male a me o a te? Credi che non avrei mosso mari e monti per assicurarmi che fossi al sicuro da quel pazzo? Invece mi hai strappato il cuore dal petto, cazzo».
Il dolore che si percepiva dalle sue parole era vero. Lo sapevo perché avevo provato quella stessa tortura: per paura delle minacce di Daniel, avevo fatto passare settimane d’inferno a entrambi.
«Non si tratta solo di James, anche se non sono contento che sia successo, credimi. Ma è un’ulteriore prova della situazione in generale. Ne hai passate tante con Daniel e io non volevo rincarare la dose, ma la verità è che ci hai messo ancora più in pericolo perché non sei venuta da me. Come faccio a diventare tuo marito se non lasci che ti protegga? Cristo, Erica, ho lottato contro tutti i miei istinti per darti lo spazio che ti serviva, e a cosa è servito?».
Mi tremarono le labbra alla violenza di quelle parole. «Ho sbagliato. Avevo paura, e tutto quello che contava era sapere che tu fossi al sicuro».
«Quante altre volte ci farai passare momenti del genere perché sei troppo testarda per fidarti di me?»
«Mi stai punendo per decisioni che ho preso in passato e per cui non posso fare più niente. Ora le cose sono diverse».
Lui scosse la testa. «Ah, sì? Non prenderesti le stesse decisioni? Perché io posso dirti subito, senza alcun dubbio, che se fossi venuta da me quando Daniel ti ha minacciata le cose sarebbero andate diversamente. E tutte le volte che ti ho messa in guardia su James… lo sapevo. Lo sapevo, cazzo, che ti stava troppo vicino, e tu hai lasciato che continuasse a girarti intorno. E non hai fatto niente per cambiare la situazione, anche se sai che la cosa mi sta facendo impazzire. Vorrei spaccargli la faccia per averti messo le mani addosso. Lo capisci come sto, Erica?».
Ricacciai indietro le lacrime. Giorni di assoluto silenzio e poi quell’attacco… «Blake…».
«Voglio avere il controllo, Erica. Ma non voglio prenderlo, voglio che sia tu a darmelo. Hai aperto quella porta e ora devi attraversarla. Hai cercato di tenere separati il lavoro e la nostra relazione e hai avuto il controllo che credevi ti servisse. Ma finisce qui».
Mi venne un nodo allo stomaco e sentii l’impulso familiare di scappare, di respingerlo. Non sapevo se sarei stata in grado di dargli il controllo che voleva. Se non ci fossi mai riuscita?
«Cosa stai dicendo?»
«Sto dicendo che hai detto che mi vuoi così come sono. E io sono fatto così. Quello che è successo con Daniel… e poi James. Non può succedere nient’altro del genere».
«Non voglio che succeda», insistetti.
«E ti assicuro che non succederà».
Rimasi un attimo con la bocca spalancata, non trovavo le parole per rispondere. Doveva sapere che quello che mi stava chiedendo era impossibile. Perché dominarmi solo tra le lenzuola non gli bastava?
«Vuoi che giochiamo al dominatore e alla sottomessa? Va bene, Blake, ti supplicherò e mi inginocchierò, ma fuori dalla mia vita lavorativa. Devi capire che ci sono dei limiti».
«Per me non è un gioco, e il problema è proprio questo tuo modo di pensare».
Si avvicinò di un passo, guardandomi negli occhi. Sulla difensiva, arretrai e mi ritrovai schiacciata contro la porta. Lui vi posò le mani, i nostri corpi si sfioravano appena. In quella posizione, così vicina a lui, non riuscivo a pensare lucidamente. Mi aveva bloccata con lo sguardo, privo del minimo accenno di incertezza. Riprese a parlare con un tono di voce basso.
«Com’è quando mi lasci il controllo, Erica?».
Era una domanda complessa, ma sapevo che non stavamo più parlando di Daniel o James. La sua espressione si era addolcita, l’intensità che c’era prima si era trasformata in qualcos’altro, qualcosa di sessuale. Quell’energia, non meno intensa di prima, era quasi palpabile. Risuonava tra noi, faceva scintille dove la nostra pelle era a contatto. La punta del suo dito fu sulla mia bocca, il pollice sul collo, per sentire il mio battito. Dio, ora volevo le sue mani dappertutto.
«Ti lasci andare del tutto ed è bello, vero? Sapere che mi occuperò di te, di noi. Che, qualsiasi cosa succeda, farò arrivare entrambi al culmine».
Fece scivolare giù la mano e il suo palmo sfiorò il mio seno e poi il mio busto, come a marcare tutti i posti di suo dominio, che, sul mio corpo, erano tanti.
«Ti ho mai lasciata insoddisfatta? C’è mai stata una volta in cui, anche se ti spingevo oltre i tuoi limiti, non avresti voluto averne di più? In cui non sei venuta gridando il mio nome? Dimmelo».
Mi mancò l’aria, avevo il respiro pesante. Scossi la testa, consapevole della risposta così come lo era lui. Mi sentii avvampare, e al ricordo di quello che mi faceva e al potere che riusciva a esercitare così facilmente su di me, fui percorsa da un brivido che arrivò fino all’inguine. Potevo accettare questo tipo di dominazione, anzi, non avrei cambiato quella parte di lui per niente al mondo.
Si sporse verso di me e si sfiorò le labbra. Mi alzai per approfondire il bacio ma lui si spostò, lasciandomi stordita. Presi aria, cercando di rompere l’incantesimo che mi aveva lanciato.
Dandomi prova del controllo di cui ero già schiava, mi stava attirando verso qualcosa che significava molto di più.
«Cosa mi stai facendo?»
«Ti faccio vedere quello che vuoi, quello di cui abbiamo bisogno».
«Lo sai che non si tratta di questo. Sono consapevole che posso darti tutta me stessa e che tu per me ci sarai sempre, ma non puoi… non puoi incatenarmi e rivendicare diritti su di me, come se fossi una tua cosa».
Inarcò le sopracciglia. «Ah, no? Non è quello che hai detto l’altra notte, ho sentito quelle parole forte e chiaro».
«Come se mi avessi dato scelta. Portami quasi all’orgasmo e ti dico pure che sei l’imperatore di Roma».
«Non vuoi appartenermi? Non vuoi essere mia come io voglio essere tuo? È questo che stai dicendo?».
Provai una fitta al cuore a quelle parole. Non riuscivo a tenere separato il discorso che stava facendo dalla paura che qualcun altro controllasse la mia vita.
«Non sono mai dipesa da nessuno, non ho mai reso conto a nessuno. Lo sai e continui a cercare di cambiarmi, come se fosse qualcosa che si può spegnere».
«Se ci sposiamo è una cosa che cambierà, in modo permanente».
«Cosa vorresti dire?»
«Voglio dire che verrai da me prima di pensare di prendere una decisione, che mi coinvolgerai in modo che mi possa assicurare che tu prenda quelle giuste, compreso mandare via James. Voglio dire che quando avrai bisogno di aiuto me lo chiederai e che non avrai mai più segreti con me. E quando sarà più logico che sia io a occuparmi di una determinata situazione, me lo lascerai fare».
Si avvicinò di nuovo, studiandomi con sguardo serio e disegnandomi il contorno della mascella.
Quando riprese a parlare la sua voce era un sussurro: «Vuol dire che ogni respiro che farai, ogni passo, non sarà per andare avanti nella tua vita, ma nella nostra. Lo farai sapendo che sono lì con te, irrevocabilmente legato a ogni decisione che prenderai».
Sentii un dolore al petto per lo sforzo di mandare aria ai polmoni. Un respiro dopo l’altro, mi aggrappai a quello che Blake stava dicendo. Non mi stava dando spazio per scappare, per lottare, per niente.
«Mi… mi sembra che mi stia dando un ultimatum», dissi, sgranando gli occhi, con la speranza di aver capito male. Ma il suo sguardo serio rispose prima che lui parlasse.
«Voglio tutto, Erica, non accetterò niente di meno. Ficcatelo bene in testa, altrimenti…».
Cercai di fermare il tremore che mi aveva assalita. Come poteva chiedermelo? Minacciarmi usando la nostra relazione? Mi sentivo una bestia in gabbia spinta in un angolo.
«Altrimenti cosa?». Quelle parole uscirono taglienti, con un tono di sfida.
La presa sul mio fianco si strinse, insieme al serrarsi della sua mascella. Prima che potessi rendermi conto di quanto la sua reazione fosse rabbiosa, fece scontrare le nostre labbra. Violento ed esigente, chiedeva di entrare. Schiusi le labbra, impreparata alla passione bruciante della sua lingua. La rabbia che doveva rimbombargli nel petto era smorzata dalla fusione sfrenata delle nostre bocche. Quell’attacco risvegliò i miei istinti per rispondere al suo ardore.
Ricambiai il bacio, stringendogli la camicia per avvicinarlo di più. Intrecciammo le lingue, ci mordemmo, ci fondemmo l’una con l’altro. Avvinghiata a lui, sul suo bacino, sentii la sua erezione che premeva contro il mio corpo. Mi afferrò la coscia tirando su l’orlo della gonna, per farmi capire chiaramente cosa voleva. Soffocai il forte gemito che stava per uscire dalla mia bocca. Fece scivolare la mano tra le mie gambe e iniziò a stuzzicarmi da sopra gli slip, facendomi impazzire. Mi sfuggì un gemito: il piacere aveva sopraffatto la parte razionale del mio cervello che sapeva che non eravamo nel posto adatto, ma al mio corpo non importava niente quand’ero stretta a lui.
«Perché, Erica? Perché cazzo ti ribelli?».
Mi spinsi contro di lui; gli slip erano fradici ed ero pronta ad accoglierlo dentro di me. Quando sentivo le sue mani addosso, vinceva sempre. Lottare contro di lui era una causa persa e, rimasta senza il suo tocco da così tanto tempo, ero disposta ad arrampicarmi per mettere fine a quella distanza.
Feci scivolare le mani sotto la sua camicia, accarezzandogli il petto.
«Ti voglio… subito», mormorai.
Il suo respiro si fece più veloce e continuò a massaggiare la mia intimità pulsante attraverso il sottile tessuto della biancheria. Piegai le dita e gli infilai le unghie nella carne, accecata dal desiderio.
Poi si sentì un altro botto dal salone seguito dalle voci dei familiari e da quella di Alli che mi chiamava, ricordandoci che non eravamo esattamente da soli e che non potevamo continuare quello che stavamo facendo.
Ci separammo, senza fiato.
«Cristo». Blake, un po’ instabile, si allontanò e si diede una sistemata. Anche attraverso i jeans riuscii a vedere che era eccitato, pronto a possedermi sulla prima superficie disponibile, che in quella stanza sarebbe stata probabilmente la scrivania di Heath. Ma non sarebbe stata una buona cosa. Decisamente piacevole, ma pessima.
Deglutii, cercando disperatamente di tornare alla realtà. Lasciai cadere la testa all’indietro e il mio respiro si fece regolare mentre cercavo di frenare quell’ondata di tensione sessuale che mi aveva pervasa. Cazzo. Era peggio che stare in un girone dell’inferno. Blake si allontanò di qualche passo, una distanza lunghissima, considerando l’intimità di qualche istante prima.
«Blake, non voglio litigare. Ti prego, torniamo a casa e lasciamoci tutto alle spalle».
Dopo un secondo si girò verso di me, facendomi di nuovo battere il cuore all’impazzata, ma non vidi segni di ripensamento nel suo sguardo. Anzi, sembrava aver ritrovato la determinazione in quei pochi secondi in cui il mio cervello era tornato a funzionare.
«Ti ho detto che mi dispiace, dico davvero», supplicai.
«Lo so, ma stavolta non basta. Quello che chiedo… non è che lo voglio, ne ho bisogno. Noi ne abbiamo bisogno».
Il suo sguardo mi paralizzava e la tensione tra noi era palpabile. Aprii la bocca, ma parlò prima lui.
«Sta a te, Erica».
Poche, semplici parole. Il tono definitivo che aveva usato, la speranza nei suoi occhi mentre aspettava… che cosa? Che mi sottomettessi? Che gli concedessi tutto? Pretendeva che gli consegnassi ogni piccola parte di me a cui valeva la pena aggrapparsi, insieme al mio amore, alla mia fiducia e al mio futuro. Volevo piangere, perché sapevo che non potevo dargli la risposta che desiderava. Oppure sì? Non riuscivo a immaginarlo.
Mentre combattevo contro me stessa, lui azzerò la distanza tra noi: mi baciò, una pressione leggera delle sue labbra sulle mie. Quel gesto dolce mi scombussolò di nuovo. Lo guardai negli occhi.
«Ti amo, Erica. Ma se non puoi darmi quello che ti chiedo…».
Non finì la frase, ma scosse la testa, negli occhi una tempesta di emozioni.
Ma… cosa stava dicendo? Era finita? Prima che potessi chiederglielo, raggiunse la porta e io mi spostai per farlo passare. Testa bassa e mani in tasca, sparì nel corridoio verso i rumori della festa.
Io rimasi lì, raggelata da quello che era successo. Ero stata io a voler parlare, ma non riuscivo a credere che Blake potesse sentirsi così.
Tutte le emozioni che avevo mandato giù negli ultimi giorni stavano riaffiorando, e non ero più in grado di restare lì con la sua famiglia e far finta che andasse tutto bene. Uno sguardo verso Blake, con il pensiero che il nostro rapporto era a rischio, mi avrebbe fatto scoppiare a piangere.
Anche se le scuse erano sufficienti, non potevo ripeterle più di quanto non avessi già fatto, e il mio cuore non avrebbe sopportato altro. Non sarei riuscita a stare lì un minuto di più, sapendo che quello che gli avevo dato non era abbastanza.
Senza dire niente alla madre di Blake su com’era andata la discussione, attraversai velocemente la cucina e andai in salone. Quando entrai il brusio amichevole si interruppe. Ignorai tutti per paura di crollare se avessi incrociato i loro sguardi, soprattutto quello di Blake, e andai verso Alli, che era in piedi vicino al divano, con il bicchiere in mano. Presi la borsa e la abbracciai velocemente.
«Scusa», le sussurrai, poi uscii.
Capitolo dieci
L’appartamento era buio e silenzioso. Troppo silenzioso.
Ero tornata a casa da sola e avevo cercato invano di dormire. Dentro di me ero combattuta per quello che Blake mi aveva chiesto, la proposta dopo la proposta. Solo che questa non era stata accompagnata da un anello di diamante, bensì dalla minaccia che tutto tra noi finisse. Volevo credere che stesse bluffando, che potessi convincerlo a ripensarci, ma se invece non fosse stato così? Se non fossi riuscita a dire niente per fargli riconsiderare la posizione in cui mia aveva messa?
Avevo mandato un messaggio a Alli poco prima di mezzanotte, per sapere se Blake avrebbe passato la notte lì. No, se n’era andato, ma non sapeva dove. Alle prime ore del mattino finalmente mi addormentai.
La mattina era più afosa del solito dopo una serata di pioggia. Uscii e trovai Clay in attesa davanti all’Escalade, pronto per portarmi al lavoro. Anche quando non mi accompagnava, stava comunque sempre nei paraggi. Evidentemente Blake non aveva intenzione di rischiare la mia sicurezza, e non credevo avrei potuto fargli cambiare idea in alcun modo.
Mi godetti l’aria fresca del SUV, mentre attraversavamo le strade della città. Torni a pensare a Blake e a dove poteva aver trascorso la notte e, prima di lasciarmi trasportare troppo dall’immaginazione, guardai Clay. «Sai dov’era Blake ieri notte?».
Lui alzò lo sguardo e incrociò il mio nello specchietto. «Non saprei, signorina Hathaway. Mi ha detto di tenermi disponibile per lei questa settimana, non lo sento da allora».
«C’è qualcun altro con lui?»
«No, signorina».
A quanto pareva, Blake non si preoccupava di se stesso, ma io sì. Sfrecciammo sulla carreggiata finché la macchina non rallentò davanti all’ufficio. Salutai Clay e mi diressi all’entrata. Avevo un disperato bisogno di caffè per affrontare la giornata, ma decisi di saltare la solita routine mattutina e di non andare al Mocha. Volevo evitare Simone. Non sapevo quanto James le avesse detto del faccia a faccia con Blake ed ero già abbastanza devastata per quello che era successo la sera prima; se avessi dovuto affrontare un’altra situazione emotivamente estenuante, avrei dato di matto.
«Erica».
Sulla porta che dava sulle scale per salire in ufficio mi fermai, vedendo un volto familiare: in pantaloni grigi e camicia, Isaac Perry era davanti a me. Davvero fantastico.
«Cosa ci fai qui?».
Riuscii a malapena a nascondere il fastidio. Di tutti i giorni in cui poteva presentarsi, doveva scegliere per forza quello. Almeno aveva la decenza di essere a disagio.
«Ti ho mandato una mail, ma non hai risposto e ho pensato di fare un salto, visto che sono in città».
«Avresti potuto chiamare e avvisarmi».
«Lo so, scusami. È stata una decisione presa all’ultimo».
Mosse leggermente la mascella. Non sembrava l’uomo che mi aveva palpata mesi fa, ma piuttosto quello col sorriso da ragazzino che mi aveva convinta ad andare alla cena che aveva dato inizio a tutto.
«So che sei impegnata, ma non ti ruberò molto tempo», disse.
«Se Blake sapesse che sei venuto qui…». Per una volta ero grata di non dovermi preoccupare che Blake si intromettesse nel mio lavoro. Almeno, non credevo che l’avrebbe fatto. Dopo ieri sera, immaginavo che ci saremmo presi una pausa.
Fece una smorfia e si guardò le scarpe. «Lo so, mi rendo conto che non è proprio il mio più grande sostenitore. Ma speravo che tu avessi pietà di me e mi lasciassi spiegare».
Feci un passo e incrociai le braccia al petto. Eravamo in pubblico, ma l’ultima volta che l’avevo visto avevo le sue mani addosso. Non potevo e non volevo fidarmi di lui.
«Non credo abbiamo qualcosa di cui discutere, Isaac».
Sospirò e sembrò più normale e meno titubante di prima. «Mi dispiace, Erica, davvero. Per favore, fatti offrire un caffè. Ti chiedo solo cinque minuti».
Mi supplicò con i suoi occhi azzurri e mi ricordai dell’Isaac Perry affascinante. In più mi stava offrendo caffeina.
«Va bene».
I suoi occhi si accesero, ma io non ero altrettanto entusiasta. Mentre entravo timorosa al Mocha con lui dietro, sperai che Simone non lavorasse quella mattina. Ma sarebbe stato chiedere troppo, visto che non mi era mai successo di varcare la soglia senza il saluto della vivace barista dai capelli rossi.
Stava servendo un altro cliente quando noi ci accomodammo. Isaac avrebbe insistito per le inserzioni e io non sapevo cosa fare. Blake naturalmente si sarebbe infuriato, ma io sarei stata un’idiota a respingere Isaac se poteva dare un incremento all’attività. Con tutte le emozioni implicate in quella situazione, non sapevo come valutare la sua offerta. Persa momentaneamente nei miei pensieri, quasi caddi dalla sedia quando Simone ci salutò.
«Ehi», disse con un sorriso. «Non ti vedo da un po’».
«Ciao, Simone. Sì, scusa». I nostri mondi si erano finalmente scontrati, ma in quel momento non potevo discutere con lei. Forse avrei dovuto dirle cos’era successo con James e finirla lì.
«Il solito?», chiese, riportandomi alla realtà.
«Sì».
Poi si rivolse a Isaac, che sembrava stesse mangiando con gli occhi la barista come la maggior parte degli uomini.
«Per me lo stesso», disse con un sorriso gentile.
Sospirai, desiderosa della mia dose di caffeina.
«Allora… di cosa vuoi parlare?»
«Volevo spiegare…».
«Che c’è da spiegare? Sul serio, non mi piace che gli uomini allunghino le mani o mi tocchino senza permesso».
«Non mi sono regolato, mi rendo conto».
«Non ti sei regolato per niente. E per me è un po’ difficile lasciar perdere e fare affari con te, spero che tu lo capisca».
«Sì. Ho sbagliato, il mio comportamento è stato imperdonabile», rispose, stringendo le labbra.
Quella semplice ammissione mi colpì e stavo quasi per perdonarlo, quando parlò di nuovo. «Non avrei dovuto bere».
Aggrottai le sopracciglia. Non ero disposta ad accettare quella scusa. «Ma scherzi? Era una bottiglia di vino in due».
«Avevo preso delle medicine. Medicine che, se mischiate con l’alcol, annebbiano il giudizio. Non potevi saperlo e non è una scusa».