Versailles – Petit Trianon, tardo pomeriggio

 

 

«Maestà» la chiamo.

È sola e mi dà le spalle. Indossa un abito bianco, candido con una fascia celeste stretta in vita. Si volta, sorpresa di essere stata disturbata in quel momento di solitudine e intimità. Siede sull’erba, incurante di macchiare il vestito, le mani poggiate in grembo stringono un libro che però non stava leggendo. La Regina non ama leggere, non ci vede bene e di solito è una delle sue dame a farlo per lei ma è probabile che l’abbiano abbandonata. Come topi che abbandonano la nave durante una tempesta, così coloro che ruotavano intorno a lei un po’ alla volta la stanno lasciando sola.

Mi osserva, uno sguardo smarrito nel volto pallido, gli occhi arrossati per il pianto.

«Marchese… Non vi ho sentito arrivare» mi dice.

So essere molto silenzioso e invisibile come uno spettro quando voglio, mia Regina. Mi avvicino e mi siedo sull’erba accanto a lei.

Rimane in silenzio qualche istante, ne osservo i lineamenti delicati, la fronte alta e il collo sottile, i capelli biondo cenere acconciati in una semplice treccia che le ricade sulla schiena. È bella anche se molti direbbero il contrario. Nelle mie molte vite raramente sono rimasto così affascinato da un essere umano, non è nella mia indole. Io uso uomini e donne a mio piacimento, per il mio appagamento personale e nulla di più. Questa donna però ha qualcosa di diverso. Io non ho un cuore e nemmeno un’anima, non ho sentimenti come gli esseri umani ma posso dire di provare qualcosa per questa donna. Attrazione fisica sicuramente ma anche qualcosa di più, di diverso e sconosciuto. Voglio aiutarla, salvarla, dare una possibilità di salvezza se non al suo corpo almeno al suo spirito. Ho riflettuto e a lungo, niente e nessuno mi vieta di fare quanto sto per proporle. Non andrei a infrangere nessuna delle regole imposte nel mio mondo, dopotutto sono libero di prendere tutte le anime che voglio e farne ciò che più mi aggrada.

Siedo  sull’erba accanto a lei, la mia vicinanza non la disturba né la mette a disagio.

Se ho deciso di rimanere in questo corpo per un decennio la ragione è soltanto lei.

Il nostro è stato un avvicinamento lento, graduale. La Regina non ha ma visto di buon occhio soggetti dissoluti e licenziosi come il sottoscritto ma allo stesso tempo dietro la facciata di diffidenza riconoscevo i segnali del suo interesse nei miei confronti. Era curiosa ma non voleva darlo a vedere. Con gli anni però il muro di cautela eretto nei miei confronti un po’ alla volta si è sgretolato e oggi mi considera un amico. Oggi, quando tutti gli altri se ne sono andati…

«Cosa vi porta qui, amico mio?» mi domanda.

Pondero bene le parole che sto per pronunciare, potrebbe scambiarmi per un folle ed è molto probabile che lo farà. Almeno all’inizio.

«Un patto, mia Regina» le dico.

«Un… patto, Marchese? E perché mai?» mi domanda sgranando gli occhi chiari.

Le gote appena arrossate, le labbra socchiuse… questa donna è deliziosa. No, non mi sto spingendo troppo oltre. È la cosa più giusta da fare.

«Voi morirete, Maestà» le confesso senza tanti giri di parole e ora sul volto della Regina posso leggere orrore oltre che sorpresa.

«Certo… Tutti siamo destinati a morire, Marchese. Io così come voi…» afferma ritrovando la calma perduta per un momento e tentando di sdrammatizzare. Sorride ma è nervosa. Cerca il ventaglio lasciato da qualche parte sull’erba e quando lo trova inizia a sventolarlo davanti al viso.

«Forse, Maestà. O forse no» le dico, enigmatico.

Maria Antonietta osserva un punto indistinto del giardino, evita il mio sguardo ma è facile intuire i suoi pensieri senza bisogno di leggerle nella mente. Potrei farlo ma non serve. Pensa che io sia un folle e spera che qualcuno del suo seguito compaia in giardino in modo da non essere più sola con me. Nel palazzo ci sono solo un paio di cameriere e un valletto. La sua lettrice, le dame di compagnia e la sua amica favorita, Gabrielle, Duchessa di Polignac si sono già dati alla fuga in una notte silenziosa e senza luna abbandonando Versailles e i reali al loro destino.

Lei è sola.

«Voi avete un’anima, mia Regina…» dico ma non mi lascia terminare la frase, Maria Antonietta si alza e si allontana da me. Ha paura.

«Ora basta, Marchese. Non mi piacciono discorsi del genere!» sventola il ventaglio nervosamente e si incammina a passo svelto verso il palazzo del Petit Trianon voltandomi le spalle. La raggiungo e la prendo per mano, la trattengo. Si volta sorpresa e spaventata per il mio gesto e apre la bocca forse per chiamare aiuto ma glielo impedisco premendole una mano sulle labbra.

«Shht… Buona Maestà, vi prego. Non voglio in alcun modo farvi del male. Fidatevi di me».

Se anche qualcuno sta assistendo alla scena dall’interno del palazzo, ha saggiamente deciso di farsi i fatti propri. La donna tenta di liberarsi dalla mia stretta ma invano, sono troppo forte per lei.

«Ora, mia Regina, vi lascerò andare ma dovete giurarmi di non mettervi a correre né a urlare. Guardate e ascoltatemi».

Maria Antonietta annuisce, poco convinta ma non ha alternativa. Sa bene quanto me che nessuno verrebbe in suo aiuto…

«Osservate» e senza indugiare oltre le do una prova dei miei poteri. Una piccola prova naturalmente ma sufficiente ad avere la sua attenzione. Il ventaglio che ancora impugna prende fuoco sotto i suoi occhi increduli e lo lascia andare appena in tempo prima che le bruci le dita. Poi mi guarda e so che può vedere i miei veri occhi, rossi come le fiamme dell’Inferno che mi ha generato, spaventosi come quelli di una bestia mostruosa. Non voglio trasformarmi ora, non qui, non è il momento. Ma voglio che sappia. Le stringo le mani con forza anche se sento che non ha intenzione di fuggire. Mi osserva a bocca aperta, affascinata e terrorizzata insieme.

Mia Regina… non vorrei spaventarti in questo modo, ma devo…

«Chi… Che cosa siete?» mormora, la voce un sussurro.

«Sono colui che anche se non riuscirà a salvare il vostro corpo, si prenderà la vostra anima, mia signora. Ora ascoltatemi…».

Maria Antonietta annuisce, incerta ma so che vuole conoscere  cosa ho da rivelarle. Le lascio le mani e rimaniamo in piedi, uno di fronte all’altra.

«Fra meno di quattro anni, nel gennaio del 1793 vostro marito verrà ghigliottinato in nome del popolo sovrano, la sua testa esposta al pubblico urlante e i suoi resti gettati in una fossa comune insieme a quelli di ladri e assassini…» è sconvolta ma ancora non mi crede «…e la stessa sorte toccherà a voi nel mese di ottobre», concludo.

«No! Voi siete pazzo… Smettetela mi state facendo paura!» urla, ha le lacrime agli occhi e mi colpisce in viso con uno schiaffo.

«No, mia Regina, ma vorrei esserlo» così dicendo la afferro per un braccio e le metto una mano sulla fronte. Non ho scelta se non di farle vedere il futuro, anche se solo un frammento ma sarà sufficiente.

 

Una prigione, una cella grigia e fredda, minuscola. Una donna ancora giovane ma dall’aspetto di una vecchia. Magra, pallida, sciupata. È sola di fronte a uno specchio e si spazzola i lunghi capelli completamente bianchi. Una donna che aspetta la sua condanna a morte.

 

Basta così, tolgo la mano e torniamo al presente, al Petit Trianon, a Versailles, a questo caldo pomeriggio d’estate dove il tempo sembra essersi fermato ma dove la Rivoluzione e la devastazione sono alle porte.

Non parla, piange. Lo so cosa pensa, è impossibile che i suoi sudditi, gli stessi che l’hanno amata e omaggiata in tante occasioni, decretino la sua fine e in un modo tanto orribile. Ma è la verità, mia Regina… Tutto ciò accadrà ma tu, mia amata, hai ancora una possibilità. Grazie a me.