Il principio della fine
Egitto.
Rick tossì violentemente per liberare le vie respiratorie dalla sabbia, che però gli era finita un
po’ dappertutto compresi gli occhi. Ci mise qualche istante per capire che era appena stato lanciato
fuori dal grosso vortice, che lo trasportava, ed era finito faccia a terra.
C’era un freddo pungente e il suo corpo venne percorso da brividi. Si tirò su a fatica – non era
stato un atterraggio dolce – e si mise a sedere. Quando finalmente fu in grado di vedere, si rese
conto che c’era parecchio buio, ma vi era comunque una fonte luminosa abbastanza potente da
permettergli di riconoscere la persona, che stava sdraiata accanto a lui, ancora intontita.
“Evelyn” disse scuotendola. “Tutto a posto?”
“Ehm… sì” rispose lei titubante.
“Eccoli! Sono qui!” un’altra voce femminile, proveniente da dietro di loro, li raggiunse, mentre
i due cercavano di alzarsi. Quando si voltarono videro Jenn, che teneva ancora in mano il fucile,
accompagnata da Jonathan, entrambi con i capelli e i vestiti pieni di sabbia.
Dietro di loro un’enorme luna piena si accingeva a scomparire dietro le dune, che, riflettendo la
sua luce, parevano brillare come se fossero ricoperte da una polvere argentata. Ma quella stessa
polvere formava a poca distanza dai presenti un grosso vortice, che avvicinandosi faceva
ondeggiare le loro vesti, ma nello stesso tempo sembrava ridursi sempre più fino a delineare due
figure umane e scomparire in esse.
I lunghi capelli di Anck-Su-Namun erano ora ben pettinati e tra le ciocche vi erano qua e là dei
filamenti che brillavano come anch’essi fossero d’argento. Il suo viso era perfettamente truccato,
proprio secondo lo stile egiziano, dando particolare rilievo ai suoi profondi occhi neri. Il suo corpo
era avvolto da una lunga veste scura – era impossibile distinguere i colori nel buio della notte -, che
però grazie a una profonda scollatura e ai lunghi spacchi laterali lasciava ben poco
all’immaginazione.
Jenn osservava sconsolata Jonathan, che era perso nella contemplazione della donna, ma nel
contempo sapeva che sua cugina non era più una sua rivale. In realtà non lo era mai stata.
Infatti accanto a lei vi era l’imponente figura di Imhotep, che, tenendola per mano, avanzava
con fierezza accanto a lei verso gli altri quattro. Ma avevano lo sguardo rivolto a qualcosa posto
oltre di loro.
Fu Rick il primo a rendersene conto e, quando si voltò, sulle prime non riuscì ad articolare una
sola parola, ma si limitò ad attirare l’attenzione di Evelyn verso l’oggetto di tanto stupore.
Di fronte a loro vi era un’estesa piana e sullo sfondo ciò che restava dell’ampio cratere di un
vulcano spento, parzialmente sprofondato nel terreno.
Quando finalmente il Gran Sacerdote e la sua amata superarono Rick ed Evelyn, anche gli altri
due si voltarono.
“Ma dove siamo?” chiese candidamente Jenn.
“Hamunaptra” sussurrò Evelyn.
Jonathan da parte sua si stropicciò gli occhi ripetutamente, onde assicurarsi di non essere in
preda ad allucinazioni dovute alla fame – a pensarci bene non toccava cibo da pranzo e adesso era
notte fonda -, ma poi dovette arrendersi all’evidenza e fece la prima cosa che gli venne in mente. Si
mise a ridere.
Gli altri lo guardarono storto, chiedendosi se nella caduta avesse battuto la testa su qualche
sasso.
“Scusate” si affrettò a dire lui, cercando di soffocare le risate. “Ma stavo pensando a quanto
tempo ci abbiamo messo a lasciare questo posto e a tornare in Inghilterra… e adesso… puff… e
siamo di nuovo qui!” E giù a ridere di nuovo, questa volta seguito da Jenn, che in realtà non aveva
ancora ben capito dove fossero finiti, ma ci teneva a partecipare all’ilarità del suo Jonathan.
Anche Rick si mise a ridere fra sé, ma soprattutto perché solo adesso si era reso conto dello
stato in cui si trovava Evelyn. Quando avevano lasciato Londra era completamente bagnata, ma
durante il viaggio i suoi vestiti si erano velocemente asciugati, come pure i suoi capelli, che adesso
però avevano dato origine a un’acconciatura quanto meno bizzarra. Lei, d’altronde, notando lo
sguardo divertito del fidanzato e comprendendone la causa, non poté fare a meno di riderne a sua
volta con lui.
Il simpatico quadretto venne interrotto dal secco ‘Sbrigatevi!’ pronunciato da Anck-Su-Namun,
che ne frattempo si stava dirigendo verso la Città di Morti insieme a Imhotep.
“Su… sbrigatevi” ripeté Jenn, agitando il fucile, alquanto divertita dalla posizione di potere
conferitale da quell’arma, di cui, in verità, non le era del tutto chiaro il funzionamento.
Gli altri tre non se lo lasciarono comunque ripetere e seguirono docilmente i due amanti,
attraverso ciò che restava di un accampamento abbandonato e quasi del tutto ricoperto dalla sabbia.
Quest’ultima, però, aveva solo parzialmente nascosto numerose impronte molto più recenti, che
però passarono inosservate agli occhi del gruppo.
A eccezione di Imhotep.
Attraversarono a ritroso lo stesso corridoio percorso l’anno prima durante la loro fuga da
Hamunaptra e in breve tempo raggiunsero l’ingresso alla sala del tesoro, che, rispetto ad allora,
adesso era aperto.
Durante gran parte del tragitto nessuno osò parlare, a parte Jenn che più volte si era lamentata
per il caldo soffocante, la polvere presente in quel luogo e quel terribile odore di chiuso.
“Odio l’Egitto” commentò infastidita, mentre si agitava nel tentativo di togliere una ragnatela,
che le si era impigliata nei capelli. Jonathan, pur di farla smettere, accorse in suo aiuto e in un
attimo l’atteggiamento della donna cambiò.
“Grazie, caro” gli disse con un ampio sorriso stampato sul volto, al che l’uomo lanciò
un’occhiata eloquente a Rick.
“Sei proprio un gentiluomo, caro” commentò divertito O’Connell.
Evelyn, invece, non aveva assistito alla divertente scenetta. La sua mente era agitata da mille
pensieri.
“Cosa vi fa pensare che lui sia qui?” chiese ad Anck-Su-Namun e Imhotep, che la precedevano,
ma non fece in tempo a ricevere risposta, poiché appena entrarono nella sala fu evidente che
qualcun altro era stato lì di recente.
La stanza infatti era ben illuminata da numerose torce appese alle pareti e ve ne erano delle altre
anche nei corridoi, che da essa si dipartivano. Ma la luce era molto più forte di quanto ci si potesse
aspettare, anche perché riflessa ed enormemente moltiplicata dagli antichi specchi disposti un po’
ovunque.
“Immagino che non sia stata tu a dimenticare la luce accesa durante la tua ultima visita” disse
Rick, rivolto ad Anck-Su-Namun, ma la donna non lo degnò neanche di uno sguardo, poiché tutta la
sua attenzione era diretta a Imhotep. Il sacerdote si fermò in cima alla grande scalinata e rimase in
silenzio per qualche istante, come se stesse ascoltando qualcosa.
“Non è solo” sentenziò nella sua lingua. Queste parole zittirono i presenti. Anche coloro che
non ne avevano capito il significato. Ma durò poco.
“Oh… nonostante tutto, questo ben di Dio riesce ancora a togliermi il fiato” esclamò Jonathan,
che senza indugio aveva preso a scendere le scale, seguito a ruota da un’esterrefatta Jenn, che se ne
stava a bocca aperta e col naso all’insù nella contemplazione di tutte quelle ricchezze.
“Potete pure prendervelo” disse Anck-Su-Namun con un’espressione estremamente seria.
“Grazie” rispose Jonathan, continuandosi a guardare intorno, ma in quel momento lo raggiunse
Jenn, che quasi inciampò su di un cadavere ed egli l’afferrò per un braccio, impedendole di cadere.
“Che schifo!” esclamò la donna.
“Se sopravvivrete” concluse Anck-Su-Namun in tono beffardo.
Rick le rivolse un sorriso sarcastico. “Troppo gentile” disse, mentre insieme alla fidanzata,
superava i due egizi e iniziava a scendere le scale. Ben presto si trovarono accanto a Jonathan e
Jenn a contemplare i resti umani giacenti sul pavimento.
“Il caro vecchio Beni” commentò Rick, che, nonostante tutti i problemi, che quell’individuo gli
aveva causato, non poté fare a meno di provare pietà per come era morto. Divorato dagli scarabei.
“Eh, gran brutta fine!” aggiunse Jonathan scuotendo la testa.
“Ma che è tutta questa… roba?” fu la voce di Jenn questa volta a distogliere i presenti dai loro
pensieri.
“Mummie!” spiegò Jonathan. “O meglio ciò che ne resta” aggiunse tra sé.
“Sì, Jenn” intervenne Rick. “Mummie, come tua cugina!”
Nel sentire queste parole Jenn diede un’occhiata al cranio, che giaceva ai suoi piedi, e poi volse
uno sguardo perplesso in direzione di Anne, che insieme al suo affascinante compagno aveva
raggiunto il gruppo e si apprestava a dirigersi altrove. Poi lanciò un’occhiata interrogativa in
direzione di O’Connell.
“Avresti dovuto esserci quando l’abbiamo incontrata la prima volta” esclamò l’uomo divertito.
“Ti assicuro che non era molto meglio di quella lì.”
“Rick!” lo redarguì sotto voce Evelyn.
“Io non riderei al posto tuo, Rick” si limitò a dire l’interessata, fulminandolo con lo sguardo.
“Che significa ‘se sopravvivremo’?” chiese Jonathan, che solo adesso si rendeva conto di
quanto affermato un attimo prima dalla donna. “Siamo insieme al tuo… amico… Imhotep” ma
subito s’interruppe, poiché il Gran Sacerdote di Osiride, avendo sentito pronunciare il suo nome, si
era voltato verso colui che aveva parlato. E non pareva molto compiaciuto che si discutesse di lui,
senza che potesse capire cosa si stesse dicendo.
“Sì… insomma… lui” continuò Carnahan, dopo un attimo di esitazione, guardandosi bene
dall’indicarlo. “Con lui siamo al sicuro, no?” E adesso non pareva più tanto convinto mentre
pronunciava queste parole.
Questa volta fu la sua interlocutrice ad assumere un’espressione divertita, che ebbe però
l’effetto di raggelare il sangue dei presenti.
Evelyn aveva ripreso a osservare gli specchi e subito aveva notato che uno di essi, situato su di
una nicchia posta in alto in corrispondenza di un’apertura, era ridotto in mille pezzi. Si trattava
probabilmente di quello che originariamente riceveva la luce dal sole, che, quando, l’anno prima, il
tetto si era abbassato, era stato schiacciato. Adesso però il tetto era di nuovo al suo normale livello,
ma le tracce del suo movimento erano rimaste sotto forma di profondi solchi nelle pareti.
“Sembra che abbiate attivato il meccanismo, che risolleva la città” disse la donna.
“In realtà chiude soltanto i collegamenti tra camere del primo livello e con l’esterno. E
ovviamente fa crollare le costruzioni di superficie per nascondere la città. Per riaprire le porte e
risollevare parzialmente il soffitto è stato sufficiente mettere in funzione una leva posta sull’altro
ingresso” spiegò Anck-Su-Namun, indicando una porta. “Quello da cui siamo entrati il mese
scorso.”
“Come avete fatto a trovarla?” chiese Evelyn.
“Assad ne conosceva l’ubicazione.”
“Già, Assad!” esclamò Jonathan. “Che fine ha fatto?”
“È morto” sussurrò Jenn.
Rick sospirò. Un’altra vittima. Poi notò una pistola abbandonata sul pavimento e la raccolse. La
controllò: era scarica. Ma, mentre era ancora accovacciato, ebbe modo di vedere alcune sacche
abbandonate tra dei vasi colmi di gioielli e vi si diresse velocemente.
“Eh… questa sì che è una bella sorpresa!” esclamò rovesciandone il contenuto sul pavimento.
Ne saltarono fuori una scatola di munizioni, un’altra pistola e una bottiglia, che rotolò fino ai
piedi di Jonathan. Questi la raccolse e si mise a leggere l’etichetta.
“Davvero non male” commentò, quindi l’aprì e bevve un sorso, ma subito sputò via il
contenuto.
“Bleah… ma che è?!”
O’Connell scosse la testa divertito, quindi caricò l’arma, che aveva in mano, e la incastrò nel
cinto. Poi fece lo stesso con l’altra e la porse all’amico, insieme a un bel po’ di munizioni di scorta.
“Credo che questa ti sarà più utile.”
“Anck-Su-Namun” fu Imhotep, che nel frattempo aveva iniziato a perlustrare la sala, a
chiamarla. La donna lo raggiunse senza esitare.
Il sacerdote si era fermato di fronte all’ingresso di un’altra camera, anch’essa illuminata. Prima
che il suo tradimento venisse scoperto, aveva officiato personalmente alla sepoltura di Seti, perciò
non ebbe alcuna difficoltà a riconoscere il luogo, che ospitava il sarcofago del Faraone. I sigilli
erano rotti e la parete di pietra, che fungeva da porta, era crollata verso l’interno. Questo aveva
senza dubbio fatto scattare il meccanismo, che muoveva il pavimento, e infatti, osservandolo, notò
subito che l’area ai suoi piedi era ricoperta da uno strato di sabbia e polvere molto sottile, a
differenza del resto della sala. Alcuni scheletri di scarabei vi giacevano, probabilmente uccisi dai
fumi dell’acido ancora prima di entrarvi a contatto, altri erano incastrati nella fessura, che separava
la lastra col resto del pavimento scavato nella roccia.
Imhotep entrò nella stanza e Anck-Su-Namun fece per seguirlo, quando sentì alle sue spalle la
voce di Evelyn.
“Anne” la chiamò esitante. La conosceva da sempre e adesso le era difficile pensare che si
trattasse di una persona diversa. Ma decise di mettere da parte ogni suo timore. Voleva capire.
Anck-Su-Namun si voltò riluttante, mentre Rick, Jonathan e Jenn le passarono accanto per
accedere nella camera del sarcofago.
“Quando è… accaduto?” chiese Evelyn. “Ti guardo e mi sembra di vedere lei, ma solo adesso
mi rendo conto che è morta, che l’hai uccisa” concluse amaramente.
Queste sue parole provocarono in Anck-Su-Namun una reazione sdegnosa. “Io non ho ucciso
Anne! Io sono Anne!”
“Come?” sussurrò la Carnahan visibilmente perplessa, ma la loro conversazione venne
repentinamente interrotta dal grido emesso da Jenn.
“Che succede?” chiese Rick, raggiungendola dalla parte opposta del sarcofago, ma una volta
giunto accanto a lei non ebbe necessità di alcuna spiegazione.
“Ahaa…” esclamò portandosi una mano al volto per coprirsi bocca e naso.
“Ciò spiega questo terribile tanfo” commentò con una faccia schifata Jonathan, che si era
affacciato anche lui per vedere l’oggetto di tanto interesse.
“Donald Hanson” spiegò Anck-Su-Namun, unendosi agli altri tre. “Era il nostro socio.” Quindi
si inchinò a raccogliere la maschera mortuaria del faraone, abbandonata accanto al cadavere.
“Probabilmente ha avuto la sfortuna di trovarsi di fronte a lui, quando Seti si è risvegliato, mentre
Robert ha avuto il tempo di fuggire.”
“Non mi pare che la sua fuga abbia avuto buon esito comunque” intervenne Rick.
“Era riuscito a raggiungere il tempio. L’ultima volta che l’ho visto è stato lì. Ma credevo fosse
morto.”
“Credevi?” fu Evelyn a parlare questa volta.
“Devi essere vivo affinché uno spirito richiamato dall’altra vita possa entrare dentro di te!”
spiegò in tono asciutto, guardando dritta negli occhi la sua interlocutrice. Questa per un attimo si
paralizzò, nel ricordare con quanto accanimento la mummia di Anck-Su-Namun avesse cercato di
impossessarsi del suo corpo e, incapace di sostenere quello sguardo, lo volse in direzione della
parete. Subito però venne attirata dalle scene della vita del faraone in essa rappresentate. Seti era
raffigurato al tempo della sua incoronazione, poi insieme a un bambino – probabilmente suo figlio
Ramses, che poi sarebbe stato il suo successore. Nel dare una rapida scorsa, la sua attenzione venne
attirata da una particolare immagine, che rappresentava l’assassinio del sovrano da parte di una
giovane donna brandente un pugnale. L’arte raffigurativa egizia di certo non rispettava le
prospettive, ma le persone erano spesso ritratte in maniera molto simile al soggetto originale.
E mai come in quel momento Evelyn si rese conto di quanto questo corrispondesse alla realtà.
Poiché la donna rappresentata in quell’immagine stava proprio accanto a lei.
Non era una semplice somiglianza. Era proprio identica!
“Oh mio Dio…” fu l’unica cosa che riuscì a dire, mentre incredula tornava a volgere lo sguardo
verso Anck-Su-Namun.
“Solo per intercessione degli dei può essere spezzata la maledizione. E gli dei ci sono
favorevoli. Il fatto che mi abbiamo concesso questo corpo ne è la dimostrazione.”
Tutti i presenti rimasero in silenzio ad ascoltare le sue parole.
“Sarei dovuta venire con te in Egitto un anno fa e tutto questo sarebbe finito da un pezzo, ma
non lo sapevo. Avevo fatto dei sogni, che mi avevano terrorizzata, e per questo non ho accettato la
tua proposta.”
“Anne?” chiese timidamente Jonathan.
“Sì, sono io” spiegò la donna. “Ma adesso sono anche Anck-Su-Namun. Quando il mio vecchio
corpo è andato distrutto, la mia anima ha ugualmente raggiunto quello nuovo, che gli dei avevano
già scelto per me, e da allora siamo un’unica persona.”
Era una spiegazione pazzesca, ma in fondo non era più illogica di quanto era loro accaduto
finora. Ciononostante Evelyn non riusciva a fidarsi di quella donna, poiché non sapeva dire fino a
che punto fosse rimasto qualcosa di Anne in lei.
“Se avessimo voluto semplicemente consumare la maledizione, niente avrebbe potuto
impedircelo” continuò Anck-Su-Namun. Imhotep, dopo aver dato un’occhiata all’interno del
sarcofago, era giunto al suo fianco, con l’intenzione di parlarle, ma preferì non interrompere il suo
discorso.
“A parte il Libro di Amun-Ra, che è nelle mani del vostro faraone” insinuò Rick, che era
convinto che, se loro tutti erano ancora vivi, il motivo era che in qualche modo quei due avevano
ancora bisogno della loro presenza. E una volta ottenuto ciò che volevano, li avrebbero eliminati.
Ma non riusciva a capire bene di cosa si trattasse, tranne che riguardava il libro d’oro.
“Basterebbe distruggere la chiave e questa città!” esclamò la donna, gesticolando,
evidentemente infastidita da tanta diffidenza. “In questo modo elimineremmo Seti e il libro in un
solo colpo. E potremmo dominare il mondo intero!”
Questa volta aveva parlato a voce alta e con un’espressione sul viso, che non lasciava dubbi su
quanto fosse vero ciò che affermava.
“Se ci serve il libro è perché vogliamo fermare tutto questo e riguadagnarci il favore degli dei”
concluse, con più calma.
“E a voi cosa accadrà, una volta spezzata l’Hom-Dai?” chiese Jonathan con autentica
preoccupazione per la sorte di quella donna, per la quale, nonostante tutto, non poteva fare a meno
di provare ancora qualcosa.
Lo sguardo di Anck-Su-Namun si fece improvvisamente serio. Triste.
Si volse a guardare l’uomo che amava, in cerca di conforto. Imhotep riconobbe subito la paura
nei suoi meravigliosi occhi scuri e le cinse le spalle con un braccio, avvicinandola a sé.
Rick ed Evelyn rimasero estremamente colpiti da quel semplice gesto d’affetto. In un attimo si
resero conto di non sapere nulla di loro, né di ciò che li avesse legati tremila anni prima. Si trattava
di qualcosa che aveva distrutto la loro vita, ma era durato per tutto questo tempo e ora era l’unica
cosa che desse senso alla loro esistenza. Nonostante tutto questo, avevano deciso di liberare le loro
anime dalla collera degli dei. Ma a che prezzo?
“Otterremo la pace” sussurrò Anck-Su-Namun.
“Qualunque cosa questo comporterà.”
Dopo aver dato un’altra controllata alla pistola, Rick si mise in spalla una sacca, nella quale
aveva raccolto tutti gli attrezzi, che riteneva potessero tornare utili in futuro.
“Tutto bene?” chiese a Evelyn, che lo fissava distrattamente.
“Sì” rispose lei, ritornando alla realtà.
O’Connell, notando il suo turbamento, le accarezzò dolcemente il viso. “Ti preoccupi per lei,
vero?”
“Sì. Vedi, per tanto tempo siamo state come sorelle, ma non è solo quello… è tutta questa
situazione… assurda.” Il suo sguardo era di nuovo perso nel vuoto.
“Ehi” esclamò Rick, attirando la sua attenzione, e lei non poté fare a meno di sorridere
all’espressione amorevole dipinta sul volto del suo fidanzato.
Jenn, che se ne stava un po’ in disparte a osservarli, volse quindi lo sguardo in direzione di
Anck-Su-Namun e Imhotep. I due stavano discutendo in quella strana e incomprensibile lingua. Dal
loro tono di voce, comunque, la cosa sembrava molto seria, ma i loro atteggiamenti in fondo non
erano molto diversi da quelli di Rick ed Evelyn. Infine rivolse la sua attenzione su Jonathan, il quale
nell’attesa che si prendesse una qualche decisione sul da farsi, si era messo a curiosare tra i tanti
tesori.
A un tratto si abbassò a raccogliere un braccialetto. Non era un esperto di gioielli, ma quello
aveva l’aria di essere molto prezioso. Stando alle dimensioni delle pietre in esso incastonate.
“Tutto questo ben di Dio in una tomba. Che spreconi questi egiziani. Be’, buon per noi!”
commentò fra sé nel risollevarsi, ma subito si accorse che il braccialetto era inserito all’interno di
una grossa catenina, anch’essa d’oro, della quale non vedeva la fine. O, meglio, questa si perdeva in
mezzo a un mucchio di altri oggetti. L’uomo si mise a tirare, ma questa non accennava a muoversi.
“Problemi?”
La voce di Jenn lo colse inaspettatamente alle spalle – aveva il passo felpato più di un gatto
quella ragazza! – e lo fece trasalire. In questo modo Jonathan diede involontariamente uno strattone
alla catenina, che infine cedette, tanto che lui cadde sul pavimento, sbattendo la testa.
“Ops” disse lei, precipitandosi in suo soccorso. “Ti sei fatto male?” chiese innocentemente e gli
passò una mano fra i capelli, per sincerarsene.
“Stavo meglio prima” rispose Jonathan, un po’ intontito. In quel momento guardò per caso
verso l’alto e per un attimo ebbe come l’impressione di vedere una figura umana vagamente
familiare in cima alle scale. Subito strizzò gli occhi, ma quando li riaprì non c’era più nessuno!
“Ma dove…?” esclamò, mettendosi di scatto a sedere, ma vacillò. Il colpo era stato più forte di
quanto pensasse.
“Aspetta, ti do una mano” disse Jenn, offrendogli il suo aiuto per rialzarsi. Jonathan accettò di
buon grado, anche se sapeva che se ne sarebbe pentito, poi si guardò intorno. Nessuno aveva fatto
caso al suo incidente, né tanto meno aveva notato qualche presenza estranea.
“L’hai visto?” chiese alla giovane donna, indicando la scalinata.
“Cosa?” fu la sua risposta perplessa, ma estremamente interessata. Anche troppo.
Nel venirgli dietro, però, per poco non inciampò nel mucchietto di gioielli, fuoriusciti dal vaso,
che Jonathan aveva rovesciato, mentre tirava la catenina. In questo modo, fece inavvertitamente
rotolare il manufatto, rivelando il buco nel quale questo era precedentemente inserito. In realtà era
la terra, che si era depositata sul pavimento della sala del tesoro, ad aver coperto gran parte degli
oggetti in essa contenuti.
Uno strano movimento all’interno di quel buco la incuriosì, tanto che la donna si abbassò per
dare un’occhiata. Ma non riusciva a vedere bene. Allora inserì la canna del fucile, con la quale ebbe
l’impressione di toccare qualcosa.
Ma all’improvviso quella cosa si riversò al di fuori del buco. Non una cosa - si corresse
mentalmente Jenn - ma tante piccole cose, che sgambettavano dritte nella sua direzione!
“Aaaaahhhhh!” urlò la ragazza, lanciandosi tra le braccia di Jonathan.
“Scarabei!” replicò quest’ultimo, trascinandola via di lì e dirigendosi verso gli altri.
Questa volta la reazione dei presenti fu immediata. Rick ed Evelyn si voltarono subito in
direzione degli altri due e, riconoscendo la macchia nera in avvicinamento, pensarono bene di
imitarli, ma come si girarono per darsela a gambe, s’imbatterono in Anck-Su-Namun e Imhotep, i
quali osservavano imperturbabili la scena, che si svolgeva davanti ai loro occhi.
Gli scarabei stavano per raggiungere Jonathan e Jenn, ma poi, inspiegabilmente, lo sciame si
divise in due, che li superò senza toccarli, per poi continuare la loro corsa verso una delle porte che
dava nella sala.
Nello stesso momento in cui quel fatto incredibile stava accadendo, Evelyn ebbe come
l’impressione di vedere sul viso di Imhotep un sorriso divertito.
Suo fratello, resosi conto di quanto stava succedendo, si fermò e trattenne Jenn. Aveva già visto
una cosa del genere, sul Waterloo Bridge, ma quella volta gli scarabei avevano schivato Anne.
Questo forse significava che anche loro ne erano in un certo senso immuni?
L’espressione sul volto di Anck-Su-Namun confermò la sua ipotesi.
“Be’, a quanto pare abbiamo un problema in meno!” esclamò Rick, visibilmente sollevato.
“Purtroppo ne abbiamo uno ben più grosso da risolvere” commentò Anck-Su-Namun, al che
tutta l’attenzione del gruppo si catalizzò su di lei.
“Dobbiamo trovare il corpo di Seti” spiegò subito la donna.
“Certo che dobbiamo trovare Seti: lui ha il libro d’oro!” disse Rick.
“Sì, dobbiamo trovare Seti, siamo venuti qui per questo. Ma prima dobbiamo trovare il suo
corpo” aggiunse Anck-Su-Namun, ma subito si accorse di non essere stata abbastanza chiara. “La
sua mummia, intendo” precisò.
“Scusa” intervenne Jonathan. “Ma che ce ne facciamo della mummia? Il suo spirito è nel corpo
di Robert, no?”
“Questo è vero” rispose la donna. “Ma finché non distruggiamo il suo vero corpo, non potremo
veramente eliminarlo.”
“Che intendi? Vuoi dire che potrebbe rimpossessarsene?” Fu Evelyn questa volta a parlare.
“Precisamente” affermò l’egiziana. “Deve aver usato il pugnale sacrificale per prendersi quello
di Robert, ma se noi ci limitiamo a distruggerlo, il suo spirito tornerà nella sua vecchia mummia.
“Ma come facciamo a distruggerlo?” chiese O’Connell. “Mi è parso di capire che è immortale
come voi. Prima quando gli hai sparato con il fucile, sembrava che le pallottole gli facessero il
solletico!”
“Non proprio.” Il tono di voce di Anck-Su-Namun non faceva che incrementare la curiosità
degli altri e lei, dopo aver ricevuto un cenno di approvazione da Imhotep, diede loro la spiegazione
che cercavano.
“Io e lui siamo simili. Entrambi abbiamo acquisito il corpo di un mortale. Anche se abbiamo un
rapporto diverso con esso. Ma in entrambi i casi l’abbiamo reso immortale.” La donna fece una
breve pausa, durante la quale gli altri rimasero in silenzio assoluto. In attesa.
“A patto di mantenerlo intatto.”
“Vuoi dire che possiamo effettivamente ucciderlo?” chiese Rick.
Anck-Su-Namun sorrise e si fece spazio tra i presenti, che si scansarono di lato per farla
passare, per evitare che in qualche modo potessero interrompere il suo discorso, poi raccolse il
braccio di una delle mummie sparse sul pavimento.
“In realtà è in grado di curarsi, ma fino a un certo limite. Se lo facciamo a pezzi” e nel dire
queste parole spezzò di scatto il braccio, facendo trasalire le altre due donne, colte di sorpresa. “Non
si può ricomporre!” concluse con un sogghigno, liberandosi dei due pezzi di braccio.
“Bene!” esclamò Jonathan. “Troviamo il mucchietto di ossa e lo facciamo a pezzi. Poi andiamo
a cercare la sua versione più… in carne e facciamo altrettanto! Qual è il problema? Abbiamo il tuo
amico!”
“Giusto!” disse Jenn, esaltando la sua proposta.
Ma il suo entusiasmo venne interrotto da Imhotep, che disse qualcosa nella sua lingua, con un
tono estremamente serio.
“Protetto?” chiese Evelyn, che aveva capito le parole del Gran Sacerdote di Osiride.
“È sicuramente molto ben protetto, sia lui che la sua mummia” spiegò Anck-Su-Namun. “Seti,
però, ha bisogno della chiave e ciò significa che lo incontreremo presto.”
“Ma non sarà altrettanto semplice trovare la sua mummia” suggerì O’Connell.
“Infatti, questo posto è enorme, potrebbe essere ovunque… anche se…” continuò la donna. “Se
dovessi decidere da dove iniziare una ricerca, lo farei dalle cripte, che sono nel secondo livello a
sud-ovest della città. Là ci sono un gran numero di tombe, anche il mio sarcofago si trovava lì,
prima che il mio corpo venisse trasportato nel tempio dai sacerdoti di Imhotep.”
“Insomma sarebbe il posto ideale per nascondere una mummia?” Quella di Rick era una
domanda retorica, alla quale Anck-Su-Namun si limitò ad annuire.
Jenn, che aveva ascoltato tutti quei discorsi in silenzio, si fece avanti. Stava rimuginando
qualcosa e Jonathan fu il primo a farci caso. E a temere che si mettesse a parlare.
I suoi timori si rivelarono fondati.
“Io avrei un’idea” iniziò la giovane donna, timidamente. La cugina si volse verso di lei, pronta
ad ascoltarla.
“Potremmo dividerci” suggerì Jenn. “Invece di andarcene tutti e sei in giro insieme… così si
guadagnerebbe anche tempo.”
“Dividerci?” chiese Jonathan, già certo che la risposta alla sua domanda non gli sarebbe
piaciuta affatto.
“Sì… io e Jonathan potremmo andare a cercare la mummia.”
‘Lo sapevo!’ pensò quest’ultimo, mentre cercava mentalmente un modo per evitare che una
cosa del genere accadesse.
Ma Jenn continuò il suo fiume di parole, tanto che nessuno osò fermarla.
“Le mettiamo addosso un po’ di quella dinamite, che avete trovato nelle sacche e boom… la
riduciamo in mille pezzi!”
Era sempre più entusiasta della sua idea.
“Intanto voi andate a dare la caccia a Robert… o Seti… o come cavolo si chiama, tanto noi due
contro quello lì potremmo fare ben poco.”
“Parla per te!” esclamò Jonathan. “Io sono perfettamente in grado di misurarmi contro… quello
lì!” Ma il tono della sua voce perse di convinzione nel finire la frase, anche per effetto delle
occhiate poco fiduciose di sua sorella e di Rick.
Anck-Su-Namun, dopo aver sentito la proposta di sua cugina, si mise a confabulare con
Imhotep, mentre quest’ultima continuava a parlare.
“Insomma, è solo un cadavere! Al massimo farà un po’ schifo” disse e accompagnò questa
parola con un’eloquente espressione del volto. “Che male può farci un cadavere?”
Rick ed Evelyn si scambiarono un’occhiata d’intesa, poi O’Connell disse: “Un tempo lo
pensavo anch’io, ma ho dovuto ricredermi.”
Ma non fece in tempo a dire altro, perché in quel momento Anck-Su-Namun riprese la parola.
“È una buona idea, cara cugina.”
“No, è una pessima idea!” esclamò Jonathan, tentando di ribellarsi, ma l’egiziana lo fulminò
con lo sguardo. In un attimo aveva riassunto quell’espressione sinistra. “A pensarci bene è…
un’ottima idea” si affrettò a dire Carnahan, rettificando la sua precedente affermazione.
Diceva di avere un perfetto senso dell’orientamento e per questo, dopo aver ricevuto istruzioni
da sua cugina, si mise a fare strada, imbracciando l’ormai inseparabile fucile, seguita, anche se
evidentemente contro voglia, da Jonathan, in quale invece trascinava sulle spalle una delle sacche,
con tutto il necessario per difendersi da eventuali spiacevoli incontri e, ovviamente, alcuni
candelotti di dinamite
“È inutile che ti affretti, cara Jenn” disse lui, in tono sarcastico.
“Ma che dici?!” esclamò lei, lasciandosi raggiungere. “Ci hanno dato un compito da svolgere…
insieme” affermò con grande soddisfazione, non tanto per il compito in sé, ma per il fatto di doverlo
svolgere col suo Jonathan. L’interessato di certo non mancò di cogliere questa sfumatura nelle sue
parole, tanto che alzò gli occhi alla ricerca di un qualche aiuto divino.
“Ci hanno mandato a distruggere una mummia, a loro detta, sicuramente molto protetta e non
sappiamo neanche dove sia. Be’ tutto questo mi fa pensare una sola cosa” iniziò Carnahan.
Jenn lo guardò con aria interrogativa in attesa di una risposta, che non tardò ad arrivare.
“Si sono voluti liberare della nostra inutile presenza!” esclamò Jonathan, che in fondo trovava
pure la cosa in un certo senso divertente. La donna invece continuò a guardarlo con un’espressione
dubbiosa.
“Se con loro non ci fosse mia sorella e il mio migliore amico, quasi quasi proporrei di trovare il
più rapidamente possibile un’uscita e andarcene da qui” esclamò accompagnando queste parole con
eloquenti gesti.
Ma Jenn non era affatto convinta.
“Non è vero che non sappiamo dove sia la mummia” protestò la donna.
“Sì, certo, probabilmente nascosta tra altre centinaia di mucchietti di ossa identici in qualche
cripta. Sarà uno scherzo trovarla!”
Di colpo la classica aria svampita di Jenn scomparve, lasciando il posto a una estremamente più
seria, che non mancò di incuriosire Jonathan. Poi lei sorrise, con l’espressione rassicurante di chi ha
tutto sotto controllo.
“Non temere, la riconosceremo” disse in maniera risoluta, quindi riprese a camminare
trascinando sotto braccio il suo compagno d’avventura, che la seguì senza fare la minima resistenza
e continuando a guardarla con aria sempre più stupita.
Nel percorrere l’ennesimo corridoio, nessuno dei due si rese conto delle numerose presenze
nascoste nell’ombra, che continuavano a osservare ogni loro mossa.
“Non credi di averli messi inutilmente in pericolo in questo modo?” chiese Evelyn.
Anck-Su-Namun sorrise divertita. “Lo sarebbero se trovassero effettivamente il corpo di Seti”
spiegò. “Ma dubito che questo avvenga.”
“Oh bene…” disse la Carnahan.
Mentre le due donne camminavano affiancate, davanti a loro Rick faceva lo stesso col Gran
Sacerdote di Osiride. Ma non era altrettanto a suo agio.
Occasionalmente si volgeva verso il suo nuovo amico, nel tentativo di capire cosa gli stesse
passando per la mente, ma ogni volta la cosa non passava inosservata a Imhotep, che ricambiava lo
sguardo, con un’aria divertita. Ma O’Connell non era il tipo da lasciarsi intimorire – o almeno di
darlo a vedere - e gli sorrideva, anche se un po’ troppo forzatamente, per poi volgere la sua
attenzione altrove.
Imhotep dal canto suo era effettivamente divertito dall’atteggiamento di quell’uomo e si
dispiaceva che egli non comprendesse la sua lingua. Avrebbe voluto dirgli alcune cose solo per il
gusto di metterlo in difficoltà e vedere come avrebbe reagito alle sue provocazioni.
“Scusa se mi intrometto” disse Rick, che aveva ascoltato la conversazione tra Evelyn e Anck-
Su-Namun. “Ma se loro non saranno in grado di trovare la mummia di Seti, come potremmo
riuscirci noi?”
Per tutta risposta l’egizia raggiunse O’Connell e, mettendogli una mano sulla spalla, disse
candidamente: “Ci basterà seguirlo.” Poi avanzò fino a raggiungere il suo amato Imhotep, che la
prese per mano.
Rick e la sua fidanzata, invece, si guardarono con un’espressione interdetta sul volto, ma prima
che potessero esprimere le proprie perplessità, si accorsero di essere appena giunti alla sommità
della scalinata di accesso al tempio.
I due amanti scesero le scale, senza esitazione. Sapevano bene cosa dovevano fare.
“Non posso credere che siamo di nuovo qui” sussurrò Evelyn con un sospiro.
“Effettivamente avevo altri programmi per la serata!” commentò Rick. Al che la donna lo
guardò incuriosita.
“Facevo parte di questi programmi?”
O’Connell per tutta risposta sorrise. “Chi può dirlo adesso!” aggiunse quindi, facendo
spallucce, e riuscendo così nel tentativo di far sorridere la fidanzata.
Evelyn gli diede uno scherzoso buffetto, quindi scese le scale velocemente, ma, giunta di sotto,
si fermò di fronte a quella che sembrava una vecchia macchia di sangue.
Rick, che le era venuto dietro, indirizzò subito dopo la sua attenzione altrove, indicando ciò che
stava accadendo nei pressi dell’altare.
Imhotep vi aveva posato il Libro dei Morti, che aveva portato con sé per tutto quel tempo,
mentre Anck-Su-Namun se ne stava in disparte alla sua destra, osservando con devozione ogni suo
piccolo movimento.
Il sacerdote, volgendo lo sguardo verso l’alto, disse alcune parole nella sua lingua, poi estrasse
la chiave da una tasca della tunica. La aprì e la posò sulla stella presente nella copertina, facendola
combaciare perfettamente.
Stava per far scattare la serratura, quando le parole di Rick lo interruppero.
“Un momento. Che avete intenzione di fare?”
Immediatamente Imhotep e Anck-Su-Namun si voltarono verso di lui, fulminandolo con lo
sguardo, tanto che l’uomo mise davanti le mani, cercando di scusarsi. “Come non detto…
continuate pure.”
Poi si rivolse a Evelyn con una scherzosa espressione di scampato pericolo dipinta sul volto.
Ma il sacerdote e la sua amante non badarono a lui.
Imhotep aprì il libro e, come al solito, questo semplice gesto provocò anomale correnti d’aria
per tutta la sala, che scossero la fiamma delle torce appese al muro. A ciò si aggiunse l’ormai noto
sfrigolio provocato dagli sciami di scarabei, che numerosi, quanto invisibili, attraversavano
velocemente le intercapedini e i corridoi adiacenti.
L’egizio non si fermò alle prime pagine del volume, ma iniziò a sfogliarlo velocemente. Tra le
sue mani quei fogli di ossidiana sembravano leggeri come se fossero di carta.
A un certo punto si fermò, chiuse gli occhi e respirò profondamente.
Anck-Su-Namun si allontanò da lui e si spostò lentamente, ponendosi a una certa distanza sia
dall’altare che dalla pozza, che si trovava di fronte a esso, la cui acqua melmosa aveva iniziato a
tremare come scossa da una impercettibile vibrazione.
Rick ed Evelyn osservavano i due egizi come paralizzati, in attesa di capire quali fossero le loro
intenzioni. A metà strada tra la curiosità e la paura.
Dopo aver riaperto gli occhi, Imhotep iniziò a leggere, alzando le braccia in segno di
invocazione. La sua voce calda, echeggiando per la sala, aveva però l’effetto di raggelare il sangue
dei presenti, tanto appariva carica di odio.
Anche O’Connell, che non era in grado di comprendere una sola parola, riusciva a riconoscere
in essa una condanna.
A ogni sillaba l’acqua della pozza tremava più forte e sulla sua superficie si modellavano
immagini di volti urlanti, che si contorcevano nel dolore e si confondevano gli uni negli altri.
Le luci si abbassarono ripetutamente, mentre un alone oscuro si sollevava dalla pozza e si
contraeva su sé stesso. Poi, improvvisamente, sembrò quasi esplodere e ridursi in una serie di
minuscole particelle, che si dispersero in pochi istanti in tutte le direzioni.
In un attimo tutto si fermò. Imhotep smise di leggere, così come l’acqua smise di tremare e le
fiamme delle torce riassunsero la loro usuale forma.
Cadde il silenzio, rotto soltanto dal respiro affannoso di Evelyn, che stringeva disperatamente,
quasi senza rendersene conto, il braccio di Rick.
Passò appena qualche secondo, quando di colpo un orrendo e agghiacciante gemito, rimbombò
tra i corridoi di Hamunaptra, facendo voltare i presenti verso la direzione dalla quale, almeno
apparentemente, sembrava provenire.
Jenn trasalì e, senza indugiare, lasciò cadere il fucile e si fiondò tra le braccia di Jonathan.
“Co… cosa è stato?” chiese, balbettando.
L’uomo, che da parte sua era in realtà terrorizzato quanto lei – anche se cercava di non darlo a
vedere -, indugiò prima di risponderle.
“Un… lamento…?” si limitò a dire. ‘Un lamento non è mai un buon segno’ pensò, mentre si
guardava intorno con circospezione, con quella ragazza avvinghiata addosso e che pareva non avere
alcuna intenzione di staccarsi da lui. Almeno per il momento.
“Ehi, ehi, tranquilla” esclamò, cercando di rassicurarla. “Di qualunque cosa si tratti… be’ non
ci riguarda. Qui non c’è nessuno.”
Jenn aprì timidamente gli occhi e da dietro la spalla del suo Jonathan controllò la situazione.
Resasi quindi conto che non c’era alcun pericolo, si rilassò, allentando un po’ – ma non troppo – la
presa su Carnahan. Poi sollevò il capo, volgendo lo sguardo verso di lui.
Jonathan le sorrise. “Tutto bene?” le chiese.
“Oh, sì” rispose lei, che spesso nelle passate quindici ore aveva sperato di trovarsi in una
situazione del genere e per la prima volta sentiva di avere su di sé tutta l’attenzione di quell’uomo.
Lui la guardò con un’espressione premurosa. Una ciocca dei suoi capelli rossi le era finita sul
naso e lei aveva incrociato gli occhi per riuscire a vederla, poi aveva cercato di spostarla soffiandovi
contro, ma con scarso risultato. Tutto ciò ebbe l’esito di riuscire a farli ridere.
“Avrei dovuto prendere qualcosa per legarli” esclamò lei, alludendo ai capelli.
“Lascia… faccio io” disse Jonathan e con una mano raccolse la ciocca, sfiorandole appena la
fronte, e gliela adagiò dietro l’orecchio.
Jenn non si lasciò sfuggire quell’incredibile occasione e con un repentino movimento afferrò la
mano di lui, facendo in modo che la posasse sulla sua guancia.
Jonathan, che finora non aveva mai gradito il particolare interesse, che quella ragazza aveva
verso di lui, in quel momento non trovò alcun motivo plausibile per fermarla. Al contrario le
sorrise, sinceramente compiaciuto per quel contatto.
Ma poi notò qualcosa e il terrore si dipinse sui suoi occhi.
La donna, accortasi dell’improvviso mutamento della sua espressione, si voltò giusto in tempo
per vedere le quattro mummie agghindate da antichi guerrieri egizi, che se ne stavano in fondo al
corridoio, venire loro incontro con aria minacciosa e con le lance spianate.
“Le guardie del faraone!” esclamò lui, mentre prendeva per mano Jenn e faceva per trascinarla
via da lì.
Ma lei lo trattenne. “Il fucile!” urlò e subito lo raccolse e lo puntò senza esitazione verso i
quattro antichi Med-Jai che avanzavano inesorabilmente.
Sparò.
Il grosso proiettile prese in pieno una delle mummie disintegrandola letteralmente e facendo
schizzare i pezzi in tutte le direzioni, mentre la donna, a causa del rinculo, venne catapultata
all’indietro per circa tre metri.
Jonathan accorse subito in suo aiuto.
“Bel colpo!” esclamò, mentre l’aiutava ad alzarsi. “Ma adesso andiamocene!”
La donna diede un’ultima occhiata agli altri tre guerrieri, che, senza preoccuparsi affatto delle
sorti del loro compagno, continuavano a camminare, anche se lentamente, verso di loro, quindi
scattò subito in piedi.
“Ottima idea” affermò, mentre si accingeva a correre via insieme a Jonathan.
Gli antichi Med-Jai, vedendo che le loro prede stavano fuggendo, allungarono il passo. Ed
erano dannatamente veloci!
I due inseguiti raccolsero tutte le loro forze per correre verso quello che sembrava l’ingresso a
una stanza molto illuminata, ma, improvvisamente altre due ombre scure comparvero, bloccando
quella via di fuga e scagliandosi verso di loro.
“Oh, no!” gridò Jenn. Jonathan, però, con sorprendente sangue freddo, frenò la corsa di lei e la
trascinò in un corridoio laterale, proprio un attimo prima che i due gruppi di Med-Jai giungessero
loro addosso.
Adesso però erano ben cinque le mummie che stavano dietro ai due malcapitati, che
continuarono a correre disperatamente, finché, di colpo, non sentirono più la terra sotto i loro piedi
e caddero disotto urlando.
“Sembrava molto… vicino” sussurrò Evelyn, quando ritornò il silenzio, ma a questa
considerazione seguì un rumore di passi concitati, che sembrava provenire da ogni direzione.
Il sorriso di compiacimento di Imhotep in un attimo scomparve, lasciando il posto a
un’espressione ben più seria, mentre si guardava tutt’intorno con affanno alla ricerca dell’origine di
quel rumore, imitato dagli altri tre.
Ma fu Anck-Su-Namun la prima a vederla.
“Med-Jai!” esclamò allarmata, indicando le sei mummie, che erano apparse alla sommità della
scalinata.
Al che Rick ed Evelyn, senza perdere tempo, iniziarono a scappare nella direzione opposta, ma
appena giunsero nel pressi della pozza, altri due guerrieri sbucarono dalla melma nera, che la
riempiva, puntando le loro lance e scagliandosi contro di loro.
“Ma quante sono?!” chiese urlando O’Connell, che, senza perdere la calma, aveva estratto la
pistola e iniziato a sparare, ma, benché i suoi colpi andassero tutti a segno, provocavano ben pochi
danni nei suoi avversari, limitandosi a far schizzare pezzi di ossa a destra e a manca.
“Fermali!” ordinò Evelyn disperata, mentre si voltava da una parte all’altra, cercando di capire
quale dei due gruppi di guerrieri li avrebbe raggiunti prima.
“Ci sto provando!” esclamò Rick, ma le munizioni erano finite e le mummie si trovavano a
meno di due metri da loro.
Proprio in quel momento, però, come sospinte da una forza invisibile, si sollevarono da terra.
Rick ed Evelyn fecero appena in tempo ad abbassarsi, che queste sorvolarono le loro teste e si
andarono a schiantare violentemente sulle altre sei, che giungevano alle loro spalle, facendole
cadere come tanti birilli.
Quando i due fidanzati si rialzarono, trovarono di fronte a essi Anck-Su-Namun.
“Questo non li fermerà per molto… muovetevi!” E infatti non si sbagliava, poiché i Med-Jai si
erano subito rialzati e, senza indugio, si erano di nuovo fatti avanti con aria minacciosa.
Nel frattempo Imhotep aveva richiuso il libro, che ormai non gli serviva più, e recuperato la
chiave, che aveva riposto nella tunica, per poi lasciare l’altare e unirsi ai compagni. Ma prima che
potesse farlo, un altro gruppo di Med-Jai, letteralmente caduto dal cielo, si frappose tra lui e la sua
amata. Nell’alzare lo sguardo il sacerdote vide con orrore che tutto il soffitto e le pareti brulicavano
i guerrieri mummificati. Contemporaneamente altre mummie fecero la loro comparsa dalle pozze e
da tutti gli altri ingressi.
Nel giro di pochi secondi il tempio si riempì di cadaveri ambulanti e armati, pronti a scagliarsi
contro Evelyn, Rick e Anck-Su-Namun, mentre sembravano disinteressarsi completamente di
Imhotep, contro il quale evidentemente sapevano di non avere scampo.
I tre fecero subito fronte comune. Anck-Su-Namun si difese come meglio poteva, usando i suoi
poteri per allontanare da sé gli aggressori. Rick afferrò una lancia, persa da una delle vittime
dell’egizia, e si oppose agli attacchi di alcuni guerrieri. Ne colpì uno all’altezza della spalla e
l’articolazione cedette quasi subito, facendo cadere sul pavimento il suo braccio armato. Ciò lo rese
indifeso, permettendo così all’uomo di allontanarlo da sé con un calcio, ma subito si fecero sotto
altri due.
Evelyn, invece, non faceva altro che urlare e cercare rifugio tra il suo fidanzato e Anck-Su-
Namun.
Imhotep, che non poteva usare i suoi poteri liberamente, nel timore di nuocere alla sua amata,
iniziò a farsi strada tra la folla di Med-Jai e, mentre avanzava, l’aria intorno a lui sembrava prendere
consistenza e andare a colpire i guerrieri facendoli in mille pezzi. Ma per ognuno di essi che veniva
distrutto, altri quattro piombavano nella stanza.
Tutt’un tratto la terra iniziò a tremare e una profonda crepa si aprì sul soffitto.
“Imhotep!” urlò Anck-Su-Namun, indicando verso l’alto. Il tetto stava crollando proprio in
direzione del Gran Sacerdote di Osiride. La sua fu una reazione istintiva, poiché in realtà sapeva
bene che nulla poteva nuocere a Imhotep, ma questa distrazione fu tutt’altro che priva di
conseguenze.
Il tremendo urlo di dolore, che ne seguì, paralizzò Imhotep, il quale, nel sentirlo, fu
improvvisamente assalito dal terrore e dalla rabbia.
In un attimo si avvolse su sé stesso, formando un enorme vortice di sabbia, sul quale caddero,
senza il minimo effetto, alcune lastre di pietra staccatesi dal soffitto. Il vortice si scagliò con
violenza contro i Med-Jai e laddove esso passava le mummie venivano scaraventate contro le pareti
della stanza, finché raggiunse Rick e le due donne, che vi scomparvero all’interno.
Questo quindi attraversò la sala e ne uscì rapidamente.
“Aaaaahhhh” urlò Jenn, rendendosi conto di essere caduta proprio accanto a quello che aveva
tutta l’aria di essere uno scheletro umano. E si ripeté un attimo dopo, quando, nel ritrarsi inorridita,
finì sopra a un altro di essi.
“Ehi, calma!” intervenne Jonathan. “A quanto pare siamo stati più fortunati di loro!”
La donna ci mise qualche istante per comprendere che Carnahan non si riferiva soltanto a quei
due tizi, con i quali aveva appena fatto conoscenza. Infatti tutto intorno a loro ce n’erano tanti altri –
difficile dire quanti -, più tutta una serie di ossa sparse, che però erano semisepolte dalla sabbia. La
stessa sabbia che aveva attutito la loro caduta.
Jonathan si alzò in piedi e aiutò la donna a fare altrettanto, poi volse lo sguardo verso l’alto, per
capire cosa fosse effettivamente successo.
“Siamo finiti in uno dei soliti trabocchetti” spiegò, facendole notare che il soffitto, che si
trovava ad almeno cinque metri sopra di loro, si era richiuso. “Gli antichi egizi andavano pazzi per
questo genere di cose!”
“Perlomeno” disse lei. “Ci siamo liberati di quelle…” quindi esitò in cerca della parola adatta.
“Mummie!” suggerì lui.
“Già” rispose Jenn, avvicinandosi all’uomo, con tutta l’intenzione di riprendere il discorso
laddove erano stati interrotti.
“E non solo” continuò invece Jonathan, spostandosi dalla sua traiettoria. “Stavamo cercando un
passaggio per raggiungere il livello inferiore… be’… ora non ci serve più!” E accompagnò a queste
parole un ampio sorriso di compiacimento.
“Giusto!” commentò lei con entusiasmo, poi raccolse il fucile da terra e lo caricò con una delle
munizioni datele dalla cugina.
“Bene” esclamò, brandendo l’arma con aria soddisfatta. “Adesso dove si va?”
L’uomo rimase interdetto da quella domanda: si trovavano in una stanza con un’unica uscita!
“Da quella parte” suggerì, indicandola e dirigendosi verso di essa.
“Giusto!” ripeté lei, che, senza perdere altro tempo, gli andò dietro e lo prese per mano,
sfoderando il migliore dei suoi sorrisi. Cosa che spinse nuovamente Jonathan a chiedere un aiuto
divino.
“Sinceramente ne ho abbastanza di questo mezzo di trasporto” commentò Rick, mentre con un
colpo di tosse liberava le vie respiratorie dalla sabbia. Ma gli bastò osservare lo sguardo
preoccupato di Evelyn per capire che non era proprio il momento di fare dell’ironia. Inizialmente,
infatti, non aveva notato l’espressione sofferente di Anck-Su-Namun e solo adesso si era accorto del
sangue, che le macchiava la veste tutt’intorno a una lancia spezzata, che le si era conficcata in
profondità nella parte alta della schiena.
La donna si teneva in piedi, scossa da brividi, aggrappata al suo amante e col volto rigato di
lacrime implorava il suo aiuto.
“Toglimela…” sussurrò a fatica in egiziano antico. La lancia le trafiggeva un polmone,
rendendole ogni singolo respiro estremamente doloroso.
“Ti prego” insisté.
Imhotep le accarezzò dolcemente il viso e la strinse a sé, mentre con l’altra mano afferrava la
lancia spezzata e, senza esitazione, la estraeva dalla ferita.
Anck-Su-Namun s’irrigidì e urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, mentre un fiotto di
sangue allargava la macchia sulla sua veste e un rivolo fuoriusciva da un angolo della sua bocca.
Poi si abbandonò tra le braccia di Imhotep, maledicendo la sua condizione. Avrebbe preferito poter
svenire, pur di non sentire tutto quel dolore.
“Tra poco starai meglio” la rassicurò lui con un sorriso, che con difficoltà cercava di
nascondere tutta la sua preoccupazione.
Lei sollevò la testa e guardandolo negli occhi si sforzò di rispondere al suo sorriso.
“Lo so” disse esitante. “Ma… non puoi aspettarmi adesso…”
L’espressione di Imhotep mutò improvvisamente. “Non ho nessuna intenzione di lasciarti qui”
contestò lui scuotendo la testa, ma Anck-Su-Namun gli chiuse la bocca con due dita.
“Seti è qui vicino” iniziò la donna, dando una rapida occhiata in giro, per poi volgere
nuovamente lo sguardo verso il suo uomo. “I Med-Jai sono arrivati in un lampo e dove ci sono loro
c’è anche chi li comanda.”
“Con il libro di Amun-Ra!” suggerì Evelyn.
Imhotep sapeva che avevano ragione, ma non poteva accettare di separarsi da lei nemmeno per
un istante. L’ultima volta che l’aveva fatto erano passati più di tremila anni prima che potessero
ricongiungersi.
“Non hai motivo di preoccuparti” continuò Anck-Su-Namun. “Rick sarà in grado di difendermi,
casomai se ne presentasse l’occasione.”
“Sì” intervenne Evelyn annuendo. “Noi due ci occuperemo di lei” ripeté questa volta in inglese,
affinché anche il suo fidanzato potesse capire.
“Sicuro!” confermò Rick, al che Imhotep lasciò un’occhiataccia verso di lui – non gli piaceva
l’ostentata sicurezza di quell’uomo -, quindi guardò Evelyn e poi Anck-Su-Namun. Alla fine
cedette, poiché sapeva che lei aveva già deciso e lui non sarebbe riuscito a farle cambiare idea,
quindi disse: “Come desideri, mia principessa.” Così facendo riuscì a indurla a sorridere ancora: lei
adorava il suono della sua voce, quando la chiamava in quel modo.
In quel momento, però, il corpo di Anck-Su-Namun venne scosso da un brivido e per poco le
gambe non le cedettero.
Allora il sacerdote si sfilò rapidamente la tunica e l’avvolse intorno alla donna, quindi la sollevò
e poi, delicatamente, l’adagiò sul pavimento, facendole poggiare la schiena contro la parete.
Dopo averle accarezzato ancora una volta i capelli, si alzò e di scatto afferrò O’Connell,
avvicinandolo a lei.
“Se le dovesse succedere qualcosa, tu lo pagherai con la morte!” esclamò nella sua lingua, con
un tono che non ammetteva repliche.
Evelyn fece per tradurre le sue parole, ma Rick la fermò con un gesto della mano. “Questo l’ho
capito” disse accennando un sorriso, ma nel frattempo Imhotep aveva di nuovo rivolto tutte le sue
attenzioni ad Anck-Su-Namun e l’aveva lasciato andare.
“Stai imparando l’egiziano antico?” chiese Evelyn incuriosita, rivolgendosi al suo fidanzato.
“No” le rispose lui. “Ma, a forza di sentirla, la parola ‘morte’ mi sta diventando stranamente
familiare” concluse e la donna questa volta dovette trattenersi dal ridere apertamente. Poi allungò
una mano verso di lui e gli accarezzò teneramente il viso, al che Rick le cinse la vita e,
avvicinandola a sé, la baciò.
Ma il loro gesto d’affetto venne bruscamente interrotto da Imhotep, che, senza tanti
complimenti, afferrò Evelyn per un braccio e la staccò dal suo fidanzato.
“Ehi!” protestò O’Connell, ma subito dopo realizzò il significato di quell’intervento. “Un
momento!” esclamò, avvicinandosi a lui con fare minaccioso. “Lei resta con me!”
Imhotep gli indirizzò l’ennesimo sorriso beffardo, che finì per farlo alterare ancora di più, ma
prima che potesse dire o fare qualcosa, di cui si sarebbe poi pentito, fu Evelyn a parlare.
“Rick!” disse la donna. “È tutto a posto. Non mi accadrà nulla. Tu devi pensare ad Anne”
concluse, indicandola. Il suo gesto spinse O’Connell a indirizzare lo sguardo verso Anck-Su-
Namun, che se ne stava rannicchiata contro la parete, coprendosi il più possibile con la tunica, nel
tentativo di combattere il freddo provocatole da tutto sangue, che aveva perduto.
Quando alla fine si voltò di nuovo, Imhotep ed Evelyn avevano imboccato il corridoio di fronte
a lui e in un attimo erano scomparsi dietro un angolo.
“No” disse tra sé, accompagnando le sue parole con un gesto di stizza.
“È più al sicuro con lui che con noi.” Questa volta era stata Anck-Su-Namun a parlare.
Rick esitò per qualche istante, poi, rassegnatosi, tornò indietro e, avvicinatosi a lei, si lasciò
cadere lungo la parete finché non le fu seduto accanto.
“Certo! Così se ti accade qualcosa, potrà sempre farti rivivere in lei!” esclamò con sarcasmo.
“Non è escluso che ci abbia pensato” commentò candidamente Anck-Su-Namun, ma la cosa
non piacque affatto a Rick, che la fulminò con lo sguardo.
“Comunque… a quel punto non sarebbe più un problema tuo” continuò l’egizia. “Perché saresti
morto.”
“Davvero incoraggiante” commentò l’uomo, ma quando si voltò verso di lei, notò che aveva
un’espressione tremendamente seria.
“Sta a te evitare che ciò accada” disse la donna. “E l’assenza di Evelyn farà sì che tu non abbia
la tentazione di difendere lei invece che me!” Ma nel dire queste ultime parole Anck-Su-Namun
non poté fare a meno di sorridere, il che ebbe l’effetto di allentare notevolmente la tensione.
‘Sta semplicemente scherzando’ pensò O’Connell, ridendo tra sé.
“Rick, non c’è niente di divertente” intervenne invece lei, cancellando quella sensazione di
sollievo, che egli aveva provato, anche se solo per un attimo. “Lui non esiterebbe a ucciderti.”
“Questi tacchi mi stanno uccidendo!”
La voce di Jenn echeggiò per l’ampia stanza, prima che lei e Jonathan giungessero all’ingresso.
Il suo interno era poco illuminato, allora Carnahan prese una delle tante torce accese, appese alle
pareti del corridoio, quindi vi entrò, seguito a ruota dalla donna, che adesso gli teneva stretto
l’intero braccio.
Man mano che avanzavano i loro occhi si abituarono all’oscurità e permisero di notare la
presenza di numerose inscrizioni e affreschi, che sembravano ricoprire ogni centimetro delle pareti.
E del soffitto. E non solo.
“Un sarcofago” disse Jonathan.
“E qui ce n’è un altro” intervenne Jenn, che spinta dalla curiosità aveva finalmente lasciato la
presa su di lui e si stava guardando intorno. “E qui un altro ancora” continuò.
Fu allora che i due si accorsero che l’intera stanza era ne era piena. Alcuni, grandi e finemente
decorati, erano messi in bella mostra, ma altri erano parzialmente sepolti o inseriti in nicchie
ricavate nelle mura.
“Uh…” esclamò Jonathan, con un’espressione di meraviglia dipinta sul volto.
“Mai visti tanti tutti insieme. Neanche al museo” commentò la donna. “Se Anne fosse qui, non
starebbe nella pelle.”
“Vuoi dire nelle… bende” la corresse Carnahan, mentre con la torcia cercava di fare luce su
alcuni geroglifici. “Anzi, a pensarci bene, credo proprio che qui ci sia già stata” aggiunse e quindi si
abbassò per vedere un po’ più da vicino alcuni disegni.
Jenn lo guardò con aria interrogativa, poi capì. “È la cripta che stavamo cercando!” esclamò
sorridente.
“Ebbene sì, cara Jenn. Ti presento l’intero harem del Faraone Seti I!” disse con aria solenne.
“Da questa parte” continuò, indicando i sarcofagi più grandi. “Ci sono le sue consorti secondarie.”
Poi si voltò dalla parte opposta. “Mentre qui puoi ammirare le sue numerose concubine.”
“Oddio… ma quante ne aveva?!” chiese la donna, perplessa. Nel sentire la sua domanda,
Jonathan si voltò verso di lei e con aria maliziosa disse enfaticamente: “Non ti scordare che era un
dio!”, quindi le fece l’occhiolino, prima di tornare a osservare gli affreschi.
Questo semplice gesto incoraggiò Jenn, che gli andò dietro e gli poggiò una mano sulla spalla.
“Lascia che ti dica una cosa su noi donne.”
Quindi la fece scivolare sul collo e avvicinò la sua bocca all’orecchio di lui. “A noi non serve
un dio, ma un uomo” gli sussurrò.
Jonathan sorrise tra sé. Non era certo da tutti i giorni subire delle avance così insistenti, tanto
meno in una tomba! Poi notò una nicchia vuota e, soprattutto, l’inscrizione riportata accanto a essa.
“Jenn…”
“Sì” rispose lei in tono accondiscendente.
“Non credo proprio che la mummia che stiamo cercando si trovi qui” disse lui, allontanandosi
dalla donna, la quale non dissimulò affatto la sua delusione.
“Ah, no?” chiese in tono arrabbiato.
“Probabilmente non sarebbe stato così facile arrivare in questo luogo, se fosse quello giusto.”
“Probabilmente” ripeté lei, sbuffando.
“Inoltre questi sarcofagi sono tutti occupati e intatti da migliaia di anni.” Poi si accorse
dell’espressione del volto di lei e le andò incontro, afferrandola per le spalle e costringendola ad
ascoltarlo.
“Non capisci che intendo?” le chiese, guardandola dritta negli occhi. Questo fece sì che
dimenticasse in un attimo la sua precedente delusione e gli lanciasse un’occhiata carica di
complicità.
“Vuoi dire che la mummia non si trova in uno di questi sarcofagi, né nel suo, che come ben
sappiamo è vuoto, ma è anche vero che quello non è l’unico sarcofago disponibile ad Hamunaptra!”
Jonathan rimase letteralmente senza parole.
“Credi che io sia completamente stupida?” chiese Jenn, nel notare il suo stupore. “Ti dirò di
più” continuò lei. “Ce ne sono almeno due liberi! Quello di Imhotep, che però a quanto pare non
sarebbe il posto ideale, o almeno io al posto di Seti non mi ci sarei messa per paura di rimanere
chiusa dentro!”
Nel sentire queste parole Carnahan sorrise. No, non era affatto stupida quella ragazza.
“Rimane quindi solo un’altra scelta” continuò lei e subito dopo volse lo sguardo verso la
nicchia vuota.
“Anck-Su-Namun” disse lui, leggendo l’inscrizione.
“Dove ha detto che è stato portato il suo corpo?” chiese allora Jenn.
“Potresti gentilmente lasciarmi il braccio?”
Nel sentire questa richiesta, Imhotep volse lo sguardo verso Evelyn. Aveva lo stesso tono
impertinente del loro precedente incontro di un anno fa. E quel bizzarro accento.
“Dove vuoi che scappi?” continuò lei, sempre in egiziano antico, accompagnando le parole con
un gesto della mano.
Ma il suo tentativo non sembrava portare alcun risultato, allora la donna si fermò,
costringendolo a fare altrettanto. E quando il sacerdote si voltò di nuovo con aria contrariata, lei
disse la prima cosa che le passò per la testa.
“Insomma, mi fai male.”
Non era vero. Glielo stringeva quel tanto da impedirle di liberarsi, ma non così forte da farle
male. E lui lo sapeva bene.
‘E va bene’ pensò il sacerdote, che per tutta risposta emise un sospiro annoiato, quindi le lasciò
il braccio.
“Grazie” disse lei, massaggiandoselo in maniera un po’ troppo teatrale. Quando poi risollevò lo
sguardo, si accorse che Imhotep la stava aspettando. Infatti subito dopo le fece cenno di camminare,
con un gesto, che lei stessa si trovò a definire da perfetto gentiluomo. Anche se, in realtà, la sua
intenzione era quella di farla andare avanti per tenerla d’occhio.
Evelyn accettò senza esitazione l’invito, ma fece in modo di camminare al suo fianco, piuttosto
che davanti a lui. Anche lei voleva tenerlo d’occhio, in un certo senso, e dopo pochi passi si ritrovò
a fissarlo senza neppure rendersene conto.
“Non sei una persona molto loquace” commentò lei.
“Non vedo alcun valido motivo per fare conversazione al momento” rispose lui, guardandosi
intorno e ascoltando ogni singolo rumore. Era la prima volta che le rivolgeva direttamente la parola
da quando era ripiombato nella sua vita.
“Credo che parlare sia il modo migliore per abbattere il muro di diffidenza che ci divide” cercò
di spiegare lei. “In fondo vogliamo la stessa cosa… adesso… o ce l’hai ancora con me per averti
fermato l’anno scorso? Ma d’altronde tu volevi ucciderci.”
“Sono contento di non averti ucciso” fu l’inaspettata affermazione di Imhotep, che interruppe il
discorso di Evelyn, spiazzandola.
“Oh, grazie” disse lei, imbarazzata. Poi, ripensandoci, aggiunse: “È un complimento?” E nel
sentirla il sacerdote rise tra sé, inducendo Evelyn a fare altrettanto.
Subito dopo, però, l’espressione di lui divenne improvvisamente seria e smise di camminare,
facendole cenno di tacere.
“Cosa c’è?” chiese lei e Imhotep le rispose indicandole la stanza, il cui ingresso si trovava
proprio di fronte a loro. Era stranamente buia. Infatti al suo interno non c’erano torce accese e la
poca luce proveniente dal corridoio non era sufficiente a illuminarla completamente.
Dopo un attimo di esitazione i due entrarono, ma subito il portone si chiuse di colpo alle loro
spalle, facendo trasalire la donna e piombare la stanza nella completa oscurità.
Evelyn rimase per qualche istante paralizzata. L’unica cosa che riusciva a sentire era il suo
stesso respiro affannato. Poi chiamò timidamente: “Imhotep…”
Ma non ottenne nessuna risposta. Allora fece alcuni passi allungando le mani in avanti.
“Imhotep” ripeté questa volta a voce più alta.
Improvvisamente si sentì afferrare da dietro alla vita e sollevare, mentre una mano le tappava la
bocca. La donna si dimenò con tutte le sue forze, mugolando, senza riuscire a liberarsi da quella
presa. Poi improvvisamente il suo aggressore la lasciò e lei cadde sul pavimento ansimante.
“Ahi” fu la sua esclamazione di dolore, mentre il terrore, che le faceva battere forte il cuore, le
impediva di articolare anche la più semplice parola.
In quel momento vide come una scintilla e l’accendersi di una fiamma su di una torcia, seguita
una per una da tutte le altre che, appese al muro, circondavano l’enorme stanza e in pochi istanti la
illuminarono. Evelyn seguì con lo sguardo il comparire della luce emessa da ognuna di esse, poi,
quando tutte furono accese, notò l’ampia pozza, che si estendeva a poco meno di un metro da lei per
quasi tutta la sala, lambendone le mura laterali. Solo parecchi metri più avanti questa
s’interrompeva, lasciando di nuovo spazio al pavimento, che andava a incontrare una grande parete,
completamente ricoperta da imponenti bassorilievi, raffiguranti il faraone seduto sul suo trono e un
gruppo di sudditi prostrati al suo cospetto.
Solo dopo un’osservazione più attenta la donna si rese conto che quella pozza aveva qualcosa di
strano, poiché sulla sua superficie galleggiavano qua e là dei resti di ossa. In particolare nei pressi
del margine, che le era più vicino. Fu allora che notò la presenza di qualcuno accanto a lei e sollevò
lo sguardo.
“Fai troppo chiasso.” Imhotep la stava osservando con aria divertita e subito notò la perplessità,
che si dipinse sul volto della donna nel riconoscerlo. In quel momento uno scarabeo attraversò
rapidamente il pavimento, passando tra i due, ma il sacerdote con uno scatto fulmineo si abbassò e
lo raccolse. Quindi diede un’occhiata a Evelyn, la quale sembrava adesso incuriosita, poi allungò la
mano e lasciò cadere l’insetto nella pozza.
Nel momento stesso in cui toccò l’acqua, questo si dissolse letteralmente emettendo un fumo
bianco puzzolente e un caratteristico sfrigolio.
La donna sgranò gli occhi e in quel momento capì: avrebbe fatto esattamente la stessa fine, se
Imhotep non l’avesse fermata. Quella stanza era uno dei soliti antichi trabocchetti.
“Io… ecco…” farfugliò lei. “Ti ringrazio.”
Il sacerdote allora le porse la mano, per aiutarla ad alzarsi.
Evelyn gli sorrise e fece per allungare la sua, quando improvvisamente si ricordò di quando
l’anno prima egli aveva fatto lo stesso. In quel caso l’aveva invitata a seguirlo in cambio della vita
dei suoi amici, ma poi aveva ordinato di ucciderli. E in quel momento Imhotep aveva la medesima
espressione sul volto. Nel ricordare quei fatti si fermò e sentì come un brivido attraversarle la
schiena.
La sua esitazione non sorprese l’egizio, che si era ritrovato a pensare la stessa cosa.
“Non hai nulla di cui temere, questa volta” disse lui.
La donna sospirò. In un attimo i suoi timori erano si erano inspiegabilmente dissolti e, senza
attendere oltre, afferrò la mano di lui.
“Dobbiamo andare dall’altra parte?” chiese lei, una volta in piedi. Imhotep annuì
semplicemente, suscitando ancora una volta la perplessità di Evelyn.
Stava per chiedere come avrebbero potuto attraversare quella pozza, ma lui la precedette.
“Esiste un solo modo affinché tu ci arrivi tutta intera.” Le sue parole suonavano come una
richiesta ed Evelyn ci mise qualche istante per capire cosa intendesse di preciso. Inizialmente pensò
al solito vortice di sabbia, ma poi si rese conto che esisteva qualcosa di molto più semplice e,
soprattutto, più comodo per lei.
“Va bene” rispose, annuendo. Allora il sacerdote le si avvicinò e la prese in braccio. Poi
s’incamminò attraverso la pozza.
Evelyn s’irrigidì, quando egli entrò nell’acido, ma subito dopo si accorse che, per quanto questo
lo bagnasse fin sopra le ginocchia, non gli provocava alcun danno. Né a lui, né al suo gonnellino.
Era come se stesse camminando nell’acqua. Quando invece un lembo della gonna di lei sfiorò
appena la superficie, si dissolse rapidamente e subito la donna si affrettò a trattenere il resto con una
mano, mentre con l’altra si aggrappava saldamente al collo del sacerdote.
In men che non si dica – anche se quei trenta secondi furono senza dubbio i più lunghi della vita
di Evelyn – giunsero dalla parte opposta.
Imhotep la depose delicatamente sul pavimento e si mise a tastare il bassorilievo, alla ricerca di
qualcosa.
“E adesso?” chiese la donna, rendendosi conto che effettivamente non vi era alcuna via
d’uscita, ma proprio in quel momento egli trovò quello che stava cercando: spinse con una mano la
raffigurazione di uno dei sudditi e questa rientrò nella parete. Subito si sentì il rumore provocato
dallo scattare di un meccanismo, poi il muro iniziò a muoversi silenziosamente e, man mano che si
spostava, rivelava ai suoi piedi una scalinata, che portava al centro di una camera posta su di un
livello inferiore.
Evelyn emise un’esclamazione di meraviglia, ma Imhotep le intimò subito di tacere con un
cenno della mano.
Quando il muro si fermò, il sacerdote iniziò a scendere con molta circospezione, tallonato dalla
donna, che ricalcava esattamente le sue orme, nel timore di fare qualcosa di sbagliato. Una volta
giunto al terzultimo scalino, Imhotep si fermò e si sporse leggermente per vedere attraverso una
porta aperta, posta alla sua destra sulla parete situata a circa due metri da lui.
Evelyn gli si accostò e fece altrettanto.
Entrambi potevano vedere in lontananza la presenza di circa una decina di mummie di Med-Jai,
disposti tutti intorno a una statua. Immobili.
Imhotep ed Evelyn scesero un altro scalino, nel tentativo di vedere meglio cosa stessero
proteggendo, ma entrambi avevano già capito di cosa si trattasse. E il loro sospetto venne
confermato, quando finalmente lo scorsero, posato proprio sul piedistallo della statua.
Il Libro di Amun-Ra.
“È difficile dirlo” rispose Anck-Su-Namun alla domanda di Rick, dopo una lunga pausa. “A
quei tempi un segreto era qualcosa conosciuto solo da persone fedeli… o adeguatamente motivate a
non rivelarlo.”
O’Connell sorrise fra sé, poi guardò di sottecchi la donna. Era evidente che il suo discorso non
era affatto finito, ma appariva indecisa sull’opportunità di parlare ancora di questa dolorosa storia.
“No, non saprei dire con certezza chi ci ha tradito” aggiunse quindi con la voce spezzata
dall’emozione. “In quest’ultimo anno ho passato intere notti a pensarci, ma poi mi sono resa conto
che era del tutto inutile.”
“Be’, di chiunque si trattasse a quest’ora sarà morto da un pezzo!” esclamò Rick ironicamente,
con tutta l’intenzione di chiudere al più presto quell’argomento, che aveva già turbato abbastanza
Anck-Su-Namun.
“Spero che gli dei abbiano inflitto una giusta punizione a quel traditore!”
L’uomo rimase colpito dal repentino cambiamento di tono nella voce della donna, che ora
pareva colma d’odio. Né in lei né nel suo amante esisteva il benché minimo pentimento per le loro
azioni sacrileghe. Si sentivano ingiustamente puniti dagli uomini, poiché la loro unica colpa era
stata quella di essersi trovati e amati così intensamente da essere pronti a qualsiasi cosa per stare
insieme.
Rick si chiese che cosa avrebbe fatto, se lui ed Evelyn si fossero trovati nella medesima
situazione.
“Sei sicuro che stiamo andando dalla parte giusta?” chiese Jenn. Aveva la strana sensazione di
esserci già passata da quelle parti.
Proprio in quel momento entrarono in una stanza, all’interno della quale giaceva rovesciata sul
pavimento una statua di Horus. Ancora una volta si potevano notare pezzi di mummie sparsi qua e
là, ma ormai non ci si faceva più caso.
“Sì!” rispose Jonathan soddisfatto, al che la donna sfonderò uno dei suoi soliti sorrisi. “Da
questa parte!” aggiunse Carnahan, indicando un passaggio scavato nella roccia.
‘Non scavato, ma aperto con l’esplosivo’ si corresse mentalmente Jenn, mentre si attardava a
osservare la superficie irregolare delle pareti.
“Muoviti!” disse a voce alta Jonathan, che nel frattempo era andato avanti. La donna non se lo
fece ripetere e subito gli corse dietro. Quando lo raggiunse, egli si trovava sulla sommità di una
scalinata.
“È questo il tempio?” chiese lei perplessa. In realtà la presenza di un altare al centro della
stanza non lasciava dubbi, ma quest’ultima era in un stato di confusione tale che lo stesso Jonathan
per qualche istante stentò a riconoscerla.
Ovunque vi erano resti di quelle avevano tutta l’aria di essere mummie di Med-Jai. O almeno
era ciò che si poteva intuire nel vedere i loro scudi, le loro lance e le loro spade, in quanto i corpi
erano quasi polverizzati, tanto erano piccoli i pezzi d’ossa nei quali erano stati ridotti.
“Secondo te dove potrebbe essere nascosto il sarcofago di Anck-Su-Namun? Ammesso che lì ci
sia veramente quello che stiamo cercando.”
“Come sarebbe? Un attimo fa sembravi tanto sicura!” protestò Jonathan.
“Mio caro, ti devo confessare una cosa” disse Jenn, guardando con aria sempre più schifata tutti
quei resti umani vecchi di millenni. “Non ne ho mai azzeccata una!”
“B… be’” balbettò l’uomo, sgranando gli occhi. “C’è sempre una prima volta.”
Proprio in quel momento un piccolo gruppo di Med-Jai mummificati faceva il suo ingresso
nella sala dalla sommità della scalinata posta alle spalle dell’altare.
“Come?” chiese la donna voltandosi verso di lui, poiché non aveva notato l’arrivo degli sgraditi
ospiti. In questo modo, però, fece appena in tempo a vedere gli altri due guerrieri che, giunti dietro
di loro, si accingevano a colpirli alle spalle.
“Attento!” urlò. Jonathan si abbassò d’istinto, facendo andare a vuoto il colpo, che una delle
mummie intendeva infliggergli con la sua lancia. In questo modo essa si trovò proprio di fronte a
Jenn e al suo fucile.
Premette il grilletto e il Med-Jai, investito dal proiettile, vide aprirsi un grosso buco nel centro
dell’addome. La sua colonna vertebrale si spezzò e il corpo collassò su se stesso. Nel frattempo
Jonathan, accovacciato sul pavimento, aveva afferrato l’altro guerriero per una gamba, facendogli
perdere l’equilibrio. In un attimo l’uomo gli fu sopra e, dopo aver preso l’arma abbandonata dal suo
compagno, gliela conficcò nella gabbia toracica, andando a piantarla sul pavimento.
Il Med-Jai cercò subito di reagire, ma era letteralmente inchiodato a terra.
“Ne arrivano altri!” esclamò lei, mentre ricaricava il fucile.
“È appunto quello….” ‘Che stavo cercando di dirti’ avrebbe voluto concludere l’uomo, ma Jenn
non si riferiva al piccolo esercito, che nel frattempo aveva sceso l’altra scalinata e si trovava già nei
pressi della pozza, ma ad altri due guerrieri, che erano sbucati dallo stesso corridoio dal quale erano
giunti i due malcapitati.
Jonathan e Jenn scesero velocemente le scale, ma quando arrivarono giù si accorsero di essere
circondati. I Med-Jai se ne stavano con le loro armi in mano in attesa, pronti a sferrare l’attacco.
Fu allora che Jonathan si accorse che non tutti i guerrieri erano venuti loro incontro, ma quattro
di questi erano rimasti a metà della seconda rampa situata alle spalle dell’altare. Subito fece un
cenno a Jenn, la quale senza pensare troppo alle conseguenze di qualunque suo possibile gesto,
puntò il fucile e sparò, disintegrando il cranio di uno di quei quattro.
Ciò bastò a scatenare l’inferno. Gli altri Med-Jai in un attimo si scagliarono contro i due
inglesi.
“Ma come diavolo hai fatto?!” urlò Jonathan nel scansare un colpo di spada e subito dopo
sparare con la pistola contro i suoi aggressori.
“Caccia alla volpe!” rispose lei ad alta voce, mentre colpiva col calcio del fucile una prima
mummia e, dopo averle strappato di mano lo scudo – o, meglio, averle strappato sia mano che scudo
-, si proteggeva dagli attacchi delle altre. Ricaricò velocemente il fucile e sparò di nuovo. Questa
volta la pallottola attraversò ben tre mummie prima di finire la sua corsa contro una parete.
“Sì!” esultò la donna. Ma c’era ben poco da stare allegri, poiché, constatata la sua pericolosità,
gli altri guerrieri decisero subito di concentrare la maggior parte dei loro sforzi su di lei.
“Oddio!” fu l’esclamazione di Jenn nel vedere ben dieci Med-Jai venirle incontro. Subito mise
una mano nella tasca della gonna per prendere un’altra munizione, ma, mentre la tirava fuori,
Jonathan, nel cercare di evitare di essere colpito da una mummia, urtò il braccio di lei. In un attimo
le munizioni caddero tutte sul pavimento e con esse lo scudo.
“No!” urlò Jenn gettandosi a terra per raccoglierle e, nell’impeto, travolgendo Carnahan. In
questo modo i loro rispettivi aggressori si infilzarono vicendevolmente con le loro armi e i loro resti
caddero a terra contorcendosi.
Jonathan allora afferrò una delle loro spade, si alzò in piedi e iniziò ad agitarla in tutte le
direzioni.
“Jonathan!” urlò Jenn, che rimasta a terra stava per essere colpita da uno dei guerrieri. Nel
sentire il suo richiamo d’aiuto, Carnahan si voltò di scatto e, così facendo, involontariamente
tranciò in due il torso del Med-Jai. La parte superiore del busto cadde addosso alla donna urlante e
la spada della mummia andò a piantarsi sul pavimento a pochi centimetri dall’orecchio destro di lei,
tagliando di netto una ciocca dei suoi capelli.
Jenn si tolse velocemente quel peso di dosso e fece per tirarsi su, quando con orrore si accorse
che un altro guerriero era giunto alle spalle di Jonathan – il quale le stava dando una mano ad
alzarsi – e aveva tutta l’intenzione di fare all’inglese lo stesso trattamento, che lui aveva riservato al
suo compagno.
“Aaaaaaaaaaahhhhhhhhhhh!” fu il gridò disperato della donna, ma improvvisamente la
mummia si fermò. E lo stesso fecero tutte le altre.
Erano come impietrite.
Jonathan deglutì e, lentamente, si voltò verso il suo potenziale aggressore. Nel momento stesso
in cui egli si trovò faccia a faccia con lui, tutti i Med-Jai scattarono sull’attenti, ponendo l’arma in
verticale davanti a loro, al che l’uomo, colto di sorpresa trasalì e, così facendo, perse l’equilibrio e
cadde accanto a Jenn.
I due si guardarono sbigottiti.
“Che… che succede?” chiese lei, ma proprio allora i guerrieri si voltarono tutti
simultaneamente nella stessa direzione e poi, subito dopo, attraversarono in marcia la sala,
dirigendosi verso una delle uscite.
“Credo che abbiano ricevuto un ordine” suggerì Jonathan e, nel voltarsi verso l’altare, vide che
anche i tre guerrieri rimasti sulla scalinata si apprestavano a scenderla rapidamente per seguire gli
altri.
Allora i due inglesi si alzarono, lasciando tutte le armi sul pavimento, e lentamente girarono
intorno alla pozza e all’altare, seguendo con gli occhi i movimenti delle tre mummie.
Quando queste finalmente si trovarono in fondo alle scale, con un movimento simultaneo si
voltarono verso l’uscita posta alla loro destra e ripresero a camminare. A quel punto Jonathan prese
la mano di lei e esclamò: “Andiamo!”
Jenn lo seguì immediatamente su per le scale.
In un batter d’occhio furono di sopra e di colpo si fermarono sulla soglia di una stanza
illuminata da una grande quantità di torce. Sul loro volto si dipinse un’espressione di sorpresa,
seguita poi da una di estrema soddisfazione.
Al centro della stanza c’era un sarcofago.
I due vi si avvicinarono con riverenza e, quando finalmente vi giunsero accanto, riconobbero
immediatamente il volto familiare della donna raffigurata sul coperchio. Si guardarono per un
istante, esitanti, poi, dopo un cenno di assenso, allungarono le mani verso il sarcofago e lo
scoperchiarono.
Una nuvola di polvere si sollevò, impedendo momentaneamente di scorgere cosa ci fosse al suo
interno, ma presto si diradò.
“Maestà, che fai? Ti nascondi ancora sotto le gonne delle signore?!” esclamò ironicamente
Jonathan, osservando la mummia, e Jenn rise della sua battuta.
“Che si fa adesso?” chiese quindi l’uomo, guardandosi intorno. “Accidenti! Ho lasciato
l’esplosivo di sotto” aggiunse poi e si voltò per andare a prenderlo.
“No! Aspetta!” disse Jenn, fermandolo. “Se facciamo scoppiare la dinamite qua dentro
rischiamo che ci crolli il soffitto sulla testa.”
Era un’obiezione decisamente sensata: quella stanza era troppo piccola e Jonathan non aveva
alcuna intenzione di far compagnia al ‘divino’ Seti nel suo sonno eterno.
“Non ci resta che portalo giù” suggerì l’uomo.
Anck-Su-Namun e Rick volsero lo sguardo simultaneamente l’una verso l’altro e subito dopo si
alzarono in piedi.
“L’hai sentito anche tu, vero?” chiese O’Connell e la donna si limitò ad annuire.
Subito dopo lo sentirono di nuovo e questa volta volsero gli occhi verso l’altro. Il soffitto della
stanza, in cui si trovavano, distava dal pavimento almeno quattro metri e nella parete alla loro
sinistra in alto c’era un’ampia apertura dalla quale provenivano degli strani rumori. Come se
qualcuno, o qualcosa, vi stesse strisciando.
“Non mi piace questa storia” commentò l’egizia.
“Neppure a me” rispose Rick. “Ce la fai a camminare?”
Anck-Su-Namun, che finora si era appoggiata al muro, se ne staccò e fece alcuni passi incerti
nella direzione dell’uomo, poi respirò profondamente.
“Be’, non potrei fare una maratona, ma fa meno male.”
Erano passati una ventina di minuti da quando era stata ferita. Anche se a loro erano sembrati
interminabili, erano stati solo venti minuti.
Mentre Anck-Su-Namun si voltava per dare un’occhiata intorno a sé, Rick si ritrovò a osservare
la sua veste impregnata di sangue. Nel punto, in cui era stata lacerata dalla lancia, si poteva vedere
la ferita, che ormai aveva smesso di sanguinare e sembrava decisamente in via di guarigione.
“Sei in grado di farlo anche su altre persone?” chiese incuriosito l’uomo. Lei lo guardò
perplessa, domandandosi inizialmente di cosa parlasse, poi capì.
“Ah, sì. Anche se…” e nel dire questo il suo sguardo si rabbuiò. “In certe situazioni non posso
fare molto.” Il pensiero di Assad la rattristò. L’aveva guidata e protetta in quegli ultimi mesi, ma
soprattutto era stato un amico fedele. Qualcosa che Anck-Su-Namun in un tempo molto lontano
aveva creduto di avere, ma aveva scoperto a sue spese di essersi sbagliata.
I suoi pensieri vennero improvvisamente distolti da un altro rumore - questa volta erano senza
dubbio passi -, che fece sì che Rick voltasse le spalle alla donna. Proprio in quel momento lei sentì
una mano afferrarle un braccio, mentre la fredda lama di un pugnale le andava a premere contro la
gola.
Anck-Su-Namun gemette impaurita e quando O’Connell si rigirò verso di lei, lo stupore si
dipinse sui suoi occhi.
“Tu?” esclamò lui con aria perplessa.
“O’Connell, non avrei mai creduto di incontrarti di nuovo qui, un giorno” disse Ardeth Bay con
un’espressione tremendamente seria sul volto. Anche troppo.
“Sai, mi mancavano tutte queste cose… la sabbia del deserto, gli scarabei… le mummie!”
spiegò Rick accennando un sorriso ironico, ma il Med-Jai non reagì minimamente.
“Senti, lasciala andare. Non è come pensi…”
“Ciò che penso io non conta!” lo interruppe Ardeth Bay, stringendo ancora più forte la donna.
Solo adesso O’Connell si rese conto che il suo sguardo era vuoto e che c’era qualcosa di innaturale
nella sua voce. Era un discendente delle guardie del faraone, che li avevano aggrediti poco prima
nel tempio, e, come loro, era schiavo di Seti I.
In quello stesso istante il rumore di passi, che prima avevano sentito, si fece più forte e subito
dopo fecero il loro ingresso gli uomini di Ardeth Bay. Erano almeno una ventina. Questi
circondarono l’uomo, costringendolo spalle al muro, poi tra loro si aprì un varco, dal quale emerse
la figura di Robert. Indossava gli abiti regali del faraone, compresa la doppia corona, ma la sua pelle
era pallida come quella di un cadavere, a eccezione delle profonde ferite provocate dai colpi di
fucile, che Anne gli aveva sparato contro, e delle bruciature tutte intorno a esse. Ingiurie troppo
gravi per essere curate tramite i suoi poteri.
Il suo corpo era morto, ma non era affatto debole, poiché rinvigorito dalla forza della recente
condanna, che Imhotep gli aveva inferto con il favore degli dei. Era lui adesso colui che stava
contravvenendo al loro volere e il suo Ka, ritornato dall’altra vita, non ne avrebbe mai più potuto
oltrepassare le soglie.
Seti sorrise soddisfatto e si avvicinò alla sua concubina, facendo nel contempo cenno ad Ardeth
Bay di lasciarla andare.
“Mio amore, vedo che sei tornata da me” disse con un sogghigno, afferrando con una mano il
volto di Anck-Su-Namun e avvicinandolo al suo.
“Mi fai schifo!” esclamò lei con odio e subito dopo gli sputò contro.
Il faraone rimase un attimo contraddetto, poi inaspettatamente le sorrise, mentre le stringeva
con forza il viso.
“Hai ragione: faccio schifo” affermò lui, pulendosi. Nel frattempo la donna cercava
disperatamente di liberarsi dalla sua morsa, ma subito dopo Seti l’accontentò, spingendola
violentemente all’indietro. Alle sue spalle Ardeth Bay fu pronto a prenderla e a porla di nuovo sotto
la minaccia del suo pugnale.
Nel vedere l’accaduto, Rick reagì istintivamente.
“Bastardo!” urlò, mentre tentava di scagliarsi contro di lui, ma un Med-Jai lo colpì
immediatamente col calcio del suo fucile, facendolo cadere faccia a terra. A quel punto il guerriero
fece per colpirlo ancora.
“Fermo!” ordinò il faraone, bloccandolo. Poi estrasse un pugnale.
Non era un pugnale qualsiasi. Sebbene rintontito dal colpo, O’Connell lo riconobbe subito.
“Non vorrai rovinare il nuovo corpo del tuo Faraone” aggiunse Seti, sogghignando.
Sì, era proprio quel pugnale, pensò Rick.
“No!” tentò di urlare Anck-Su-Namun, ma Ardeth Bay spinse ancora di più il suo pugnale
contro la pelle, strozzando sul nascere le sue parole. In quello stesso momento i Med-Jai afferrarono
l’uomo sia per le braccia che per le gambe.
“Lasciatemi!” urlò, ma, nonostante i suoi tentativi di liberarsi, i guerrieri riuscirono a sollevarlo.
“Non potete dargli ascolto! Ardeth Bay, amico mio, maledizione svegliati!”
Ma era come parlare al muro: né Ardeth Bay né i suoi uomini sembravano reagire
minimamente alle sue parole.
“È tutto inutile… loro non possono sfuggire alla mia volontà” esclamò con soddisfazione il
faraone nell’avvicinarsi inesorabilmente a quello che sarebbe stato il prossimo ospite del suo spirito
malvagio, brandendo fermamente il pugnale sacrificale.
Afferrò con forza O’Connell al collo e in breve il volto dell’uomo divenne paonazzo, poi
sollevò l’arma e la sua vittima chiuse gli occhi, consapevole che quella era veramente la fine.
Ma si sbagliava.
Un colpo di pistola e un agghiacciante urlo di dolore fu ciò che seguì.
Rick riaprì gli occhi, mentre sentiva venir meno la presa al collo, come pure quella dei Med-Jai.
Poi vide la mano sanguinante di Seti, trapassata da un proiettile, e il pugnale abbandonato ai suoi
piedi. Infine volse lo sguardo laddove tutti i presenti, impietriti, si erano rivolti e ciò che vide lo
lasciò senza parole.
“È giunta l’ora che il tuo spirito lasci questa terra, mio Signore!” esclamò l’uomo, che, con la
pistola in mano, era comparso inaspettatamente in quell’apertura posta in alto, nella parete alle
spalle di Ardeth Bay.
Quell’uomo era Assad.
Anck-Su-Namun sgranò gli occhi incredula, mentre la reazione del faraone fu più di rabbia che
di stupore.
“Nertef! Osi ancora sfidarmi?” urlò Seti, al che Assad saltò giù sul pavimento e con un’aria
soddisfatta replicò: “Questa volta sono gli dei a guidarmi.”
“E tu non hai scampo!” aggiunse quindi avvicinandosi a lui
L’egizia osservava la scena spaventata, mentre una tempesta di emozioni pervadeva i suoi
pensieri. Rick invece era sempre più perplesso.
Proprio in quel momento si udirono dei passi di marcia, che anticiparono di qualche istante
l’apparizione del folto esercito di Med-Jai mummificati, che avanzava inesorabilmente lungo il
corridoio.
Il loro arrivo fu sufficiente a distrarre Ardeth Bay il tanto necessario da permettere ad Anck-Su-
Namun di reagire. La donna gli assestò una violenta gomitata tra le costole, costringendolo a
lasciarla, poi lo spinse facendo ricorso all’eccezionale forza, che i suoi poteri le conferivano.
L’uomo cadde a terra, sbattendo la testa su una pietra e perdendo conoscenza.
Nel frattempo Seti aveva raccolto il pugnale sacrificale e si accingeva ad aggredire la sua
concubina.
“Anne! Attenta alle spalle!” urlò Rick, rialzandosi, mentre gli uomini di Ardeth Bay
osservavano immobili l’arrivo delle guardie mummificate, incapaci di decidere sul da farsi.
Anck-Su-Namun si voltò e fermò il braccio del faraone, prima che questo potesse colpirla. Egli
era però più forte di lei e, nonostante i tentativi della donna, stava per avere la meglio. Fu allora che
intervenne Assad, afferrando Seti alle spalle e trascinandolo all’indietro. Questo fece perdere
l’equilibrio all’egizia, che inciampò sulla tunica di Imhotep, che si trovava sul pavimento, e cadde
in avanti. In questo modo fece involontariamente scivolare fuori da una tasca un oggetto.
La chiave.
Sia Rick che il faraone si accorsero immediatamente di essa, ma quest’ultimo liberatosi senza
troppa fatica dal suo assalitore, riuscì a raggiungerla per prima, indirizzando all’americano un
sorriso di estremo compiacimento. In quello stesso momento i Med-Jai mummificati raggiunsero il
gruppo.
“Già sentivo la loro mancanza!” esclamò O’Connell, strappando una sciabola dalle mani di un
guerriero accanto a lui, il quale non sembrava avere alcuna intenzione di reagire.
“Uccideteli!” urlò il faraone, ma le mummie, invece che ubbidirgli, gli si scagliarono contro e
fecero lo stesso con gli uomini di Ardeth Bay, i quali iniziarono a darsela a gambe in preda al
terrore.
Assad e Anck-Su-Namun si alzarono in piedi, osservando con un espressione incredula ciò che
stava accadendo. Gli antichi guerrieri non eseguivano più gli ordini del solo signore, ma addirittura
li stavano aiutando. Improvvisamente una forte ventata li raggiunse e subito dopo un grosso vortice
di sabbia entrò nella stanza.
Nel rendersi conto che la situazione gli era ormai sfuggita di mano, Seti utilizzò lo stesso mezzo
di trasporto per tagliare la corda, mentre dal vortice emergeva la figura di Evelyn e subito dopo la
sabbia andava a ricomporre quella di Imhotep.
In un attimo cadde il silenzio.
Evelyn sorrise al suo fidanzato e fece per andare verso di lui, quando notò la presenza di Assad
e impallidì.
“Oh mio Dio!” esclamò esterrefatta.
“Nertef…” sussurrò Anck-Su-Namun, volgendo uno sguardo sinistro in direzione dell’uomo.
Nel sentire questo nome, Imhotep s’irrigidì. “Come hai detto?” chiese nella sua lingua.
“Come ci sei arrivato qui?” fu invece la domanda di Rick, che nel frattempo si era avvicinato
alla sua fidanzata, ma non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Non cercò neanche di ottenere
una spiegazione sul perché fosse ancora vivo. Ormai più nulla poteva stupirlo a riguardo. “E Perché
Seti ti ha chiamato… Nertef?” aggiunse, esitando sull’ultima parola.
“Perché quello è il mio nome” affermò solennemente Assad.
“No, non è possibile!” esclamò Anck-Su-Namun e sembrava proprio sull’orlo di una crisi
isterica. Cercava invano nel volto del suo amico qualcosa che le dicesse che non era la verità ciò
che aveva appena sentito. Ma non lo trovò.
Come aveva fatto a non capirlo fin dall’inizio?
“Tu! Maledetto traditore!” gli urlò improvvisamente Imhotep, puntandogli contro l’indice e
andando verso di lui.
Assad prese a indietreggiare, mentre Rick ed Evelyn si facevano da parte. Il sacerdote appariva
decisamente di cattivo umore e sapevano bene di cosa fosse capace in quelle situazioni.
“No, ti sbagli” iniziò Assad in egiziano antico, mettendo avanti le mani, ma Imhotep non
sembrava avere alcuna intenzione di fermarsi. “Non sono stato io a tradirvi. Ti prego… devi
ascoltarmi!”
“Anck-Su-Namun – adesso si stava rivolgendo a lei in inglese – lascia che vi spieghi!”
La donna esitò per un istante, poi raggiunse il suo amante e, poggiandogli una mano sulla
spalla, gli sussurrò in tono quasi implorante: “Aspetta.”
Imhotep la guardò negli occhi e, notando l’espressione addolorata del suo volto, si fermò.
“Sì, bravo, spiegaci cosa diavolo sta succedendo!” esclamò O’Connell. “Incominciando dal
dirci chi sei veramente.”
Assad sospirò. In realtà neanche lui era in grado di capire fino in fondo tutto quello che era
accaduto.
“Il mio nome è Nertef” disse quindi. “Al tempo del regno del Faraone Seti I, io ero a capo delle
sue guardie personali.”
Si fermò un attimo per osservare le reazioni dei presenti, che letteralmente pendevano dalle sue
labbra, poi riprese.
“Un giorno Mek-het, la guardia alla quale il faraone aveva segretamente assegnato il compito di
sorvegliare Anck-Su-Namun, a sua insaputa, si presentò da me e mi raccontò ciò che aveva
scoperto.”
“Mek-het aveva scoperto che voi eravate amanti” spiegò a Imhotep, questa volta in egiziano
antico.
“Io allora non ne ero a conoscenza. Lei me lo confidò solo successivamente” continuò in
inglese. “E non sapevo se fosse la verità o una diceria messa in giro dalle consorti di Seti, gelose per
le particolari attenzioni, che egli aveva nei confronti della sua nuova amante. Allora decisi di non
credergli e lo uccisi, poiché se il faraone avesse saputo di questa storia, che fosse vera oppure no,
non avrebbe esitato a mandare a morte Anck-Su-Namun.”
“Un attimo” intervenne Rick, mentre la donna finiva di tradurre al suo amante le parole di
Nertef. “Per quale motivo volevi proteggerla?”
“Perché era mio amico” disse Anck-Su-Namun.
“Sì” confermò lui. “E anche suo fratello.”
Quest’ultima rivelazione suscitò lo stupore dei due fidanzati e anche quello di Ardeth Bay, che
nel frattempo si era ripreso e li aveva raggiunti. Rick volse lo sguardo verso di lui e subito notò che
sembrava tornato in sé. Era lo stesso uomo, che li aveva aiutati l’anno prima.
“Se, come dici, hai ucciso l’unica altra persona, che sapeva di noi” esclamò Imhotep nella sua
lingua. “Solo tu puoi averci tradito!”
“Perché avrei dovuto fare una cosa del genere?” rispose Nertef. “Prima cerco di aiutarvi e poi vi
tradisco? Che senso avrebbe avuto?”
“Perché io ero morta e tu volevi vendicarti sull’uomo che aveva causato la mia fine!” affermò
Anck-Su-Namun con rabbia.
“No!” protestò l’uomo. “Credi veramente che io sia uno stupido? Imhotep aveva trafugato il tuo
corpo e non ci voleva molto a capire quali fossero le sue intenzioni. Ma a quel punto la verità, non
so come, era venuta fuori. Forse Mek-het si era confidato con qualcuno prima di venire da me o
forse era stato uno dei sacerdoti a parlare. Non lo so. L’unica cosa che so è che anch’io sono stato
ritenuto colpevole e giustiziato per ordine di Ramses II!”
“Ho pagato anch’io per il mio tradimento al faraone” ripeté questa volta in inglese. “Ma la mia
anima non è stata condannata a varcare le soglie dell’oscuro oltretomba, bensì a vagare per queste
terre per l’eternità.”
“Sono parte della tua maledizione” disse quindi in egiziano antico, rivolto a Imhotep.
“Sono il custode dell’Hom-Dai” spiegò a Rick ed Evelyn, nella loro lingua. “Ho vissuto cento
volte. E cento volte sono morto. Sono stato tanti uomini diversi, ma sempre un Med-Jai con il
compito di impedire a ogni costo che la maledizione venisse consumata e si ritorcesse contro
l’umanità.”
“Poi ti ho vista” disse quindi Nertef, rivolgendosi ad Anck-Su-Namun. “E in un attimo ho
capito cosa gli dei avessero cercato di dirmi in tutti quegli strani sogni, che agitavano le mie notti
già prima che la mia anima s’impossessasse di quest’ultimo mio corpo. E me l’hanno ribadito
quando pensavo che anch’esso fosse morto. Ho avuto una visione nella quale mi è stato detto che
Assad non aveva terminato la sua missione e, quando mi sono risvegliato, mi trovavo qui ad
Hamunaptra.”
“Sono qui, adesso, per aiutarvi a spezzare la maledizione. Ti prego di credermi” aggiunse
implorante.
Una lacrima solcò il volto di Anck-Su-Namun, incapace di contenere tutta la sua emozione e la
sua gioia. Il solo sospettare il tradimento del fratello l’aveva tormentata e angosciata, da quando il
suo spirito era tornato alla vita, e ora sentiva il suo cuore libero da un tremendo fardello. Come
aveva potuto pensare una cosa del genere?
“Perdonami…” riuscì appena a sussurrare la donna.
“Sono io che chiedo il tuo perdono. Avrei dovuto stare più attento… avrei dovuto proteggerti.”
Ma le sue parole vennero interrotte dall’abbraccio di Anck-Su-Namun.
“Potrai aiutarci adesso” disse Imhotep, accarezzando i capelli della sua amata e volgendo uno
sguardo d’approvazione nei confronti di Nertef.
Gli altri tre, che nel frattempo erano rimasti in silenzio, si avvicinarono.
“Potete contare su di noi” affermò Evelyn e Rick confermò, annuendo. Si erano finalmente
convinti della buona fede dei due amanti e per la prima volta avevano deciso di offrire il loro aiuto,
senza che venisse loro posta alcuna imposizione.
“E anche su di me” esclamò Ardeth Bay con estrema serietà, non nascondendo una certa
riverenza nei confronti di quello che era un suo antenato.
“C’è solo una cosa che non mi è chiara” intervenne inaspettatamente O’Connell.
Anck-Su-Namun intanto aveva lasciato il fratello e si era appoggiata a Imhotep, il quale adesso
si stava sincerando dello stato di salute della sua amata.
“Se tu sei stato sempre qui per questi tremila anni” continuò Rick. “Dove diavolo eri un anno
fa?!”
Nel sentire questa domanda, Nertef si lasciò scappare una risata, poi volse lo sguardo verso
Evelyn.
“Ero un uomo che ingenuamente credeva bastasse dare fuoco a una mappa, per fermare una
ragazza testarda… ma si sbagliava!”
La donna spalancò gli occhi e la bocca per la sorpresa, poi disse: “Il dottor Bey…?!”
Ma l’espressione bonaria, quasi paterna, che si dipinse nel volto dell’uomo, rese inutile
qualsiasi risposta.
“Questo spiega il perché tu ti sia gettato, senza esitazione, contro la folla per salvarci!” esclamò
ironicamente Rick, alludendo all’episodio di un anno prima, nel quale il curatore aveva perso la vita
per permettere la fuga di O’Connell, Jonathan e Ardeth Bay.
“Sì, in fondo che avevo da perdere? A parte un corpo già pieno di acciacchi!” confermò Nertef
sorridendo.
“Bene” intervenne Evelyn, che, ripresasi dalla sorpresa, aveva tirato fuori tutt’un tratto la sua
naturale tendenza a prendere il controllo della situazione. “Adesso non ci resta che scovare il
faraone!”
“C’è un piccolo problema” disse Anck-Su-Namun, nel raccogliere la tunica di Imhotep. “Avevo
la chiave con me e Seti è riuscito a portarmela via.”
“Be’” commentò l’altra, per niente preoccupata. “Non gli servirà a molto: noi abbiamo il
Libro!”
E nel dire queste ultime parole, mostrò trionfante l’oggetto, che teneva fra le mani e al quale
nella confusione del momento nessuno aveva fatto caso.
“Ecco perché i tuoi colleghi ci hanno aiutato” disse Rick rivolto a Nertef, alludendo al piccolo
esercito di mummie, che se ne stava immobile in attesa di ordini. “Sei tu che li comandi?” chiese
poi a Evelyn.
“Io e Imhotep” rispose lei in tono sarcastico, lanciando un’occhiata d’intesa al sacerdote.
“Nessuno dei due si fidava dell’altro e allora abbiamo letto l’inscrizione insieme!”
“Sei sicura di quello che stai facendo?” chiese Jonathan.
Avevano portato la mummia del faraone giù per le scale e l’avevano posta sul pavimento del
tempio. Adesso Jenn era inginocchiata e stava legando un candelotto di dinamite intorno al collo del
cadavere.
“Ma non facevamo prima a farla semplicemente a pezzi?” continuò l’uomo, camminando avanti
e indietro.
“Rilassati, tesoro” disse lei, lanciandogli un’occhiata ammaliatrice.
“Senti, non sono molto pratico di queste cose, ma ricordo bene che con un solo candelotto – e
nel frattempo ne agitava uno sotto il naso della ragazza - Rick era riuscito ad aprire quel varco nella
stanza con la statua di Horus.”
“Non con uno di questi” rispose Jenn con sicurezza. “E sì, hai ragione: non sei molto pratico!”
La cosa incuriosì Carnahan, che si sedette accanto a lei. “Perché tu lo saresti?!”
La donna non si scompose e sistemò un secondo candelotto all’altezza della vita della mummia.
“Mio padre ha una fabbrica di esplosivi e io mi gingillo con queste cose da quando ho preso
coscienza di esistere” esclamò quindi, poi il suo volto assunse un’espressione titubante, senza che il
suo sguardo si staccasse dal suo lavoro. “O forse anche da prima” aggiunse con noncuranza.
“Ah!” esclamò l’uomo con aria pensierosa. “Sai, sei riuscita di nuovo a stupirmi.”
“E questo è niente” rispose lei maliziosamente, guardandolo dritto negli occhi, poi tornò ad
ammirare il suo operato e le scappò da ridere. Jonathan allora, perplesso, la scrutò di sottecchi.
“Mi ricordo quella volta che avevo fatto esplodere un bidone nel cortile del collegio” spiegò,
estremamente divertita. “Però dovevo aver sbagliato qualche calcolo, perché ho disintegrato i vetri
di una decina di finestre!”
Il racconto di questo aneddoto non divertì affatto l’uomo, che deglutì nervosamente, al che lei
gli sorrise ed esclamò in tono rassicurante: “Ma da allora sono molto migliorata! Sta’ tranquillo!”
“Ah… bene” commentò Jonathan, rialzandosi e dando un’occhiata in giro.
“E quanto tempo è passato da allora?” chiese esitante, ma subito dopo si pentì della sua
curiosità.
“Era l’anno del diploma” disse lei, sollevandosi a sua volta dal pavimento. “Quindi saranno
passati… - esitò un attimo, poi continuò sorridente – un anno!”
“Qui ce n’è uno che si muove” disse Rick, indicando con la lancia, che teneva in mano – presa
in prestito a una delle mummie -, uno dei Med-Jai giacente sul pavimento.
Avevano ripreso la loro caccia a Seti e ben presto avevano trovato lungo il loro cammino i
cadaveri massacrati degli uomini di Ardeth Bay. Proprio quest’ultimo raggiunse immediatamente
O’Connell e con il suo aiuto estrassero il corpo dell’uomo da sotto alcuni massi.
“Mohamed… ce la fai ad alzarti?” chiese Ardeth Bay. L’uomo rispose inizialmente con un
gemito, poi emise un colpo di tosse soffocato dal sangue, che usciva dalla sua bocca.
“Probabilmente ha un’emorragia interna” commentò Anck-Su-Namun. “Non credo vivrà a
lungo.”
“Puoi fare qualcosa?” disse Nertef, rivolto alla sorella. “Be’, posso provarci” rispose lei, ma
non sembrava molto convinta. Nonostante questo si chinò accanto all’uomo, ma, quando si avvicinò
per toccarlo, lui si ritrasse.
“Il faraone” affermò con la voce spezzata dal dolore. “Ci ha puniti per la nostra codardia e farà
lo stesso con gli altri… dovete fermarlo…”
“Non c’è che dire” esclamò Rick. “Quell’uomo, se così si può definire, è proprio un pessimo
soggetto!”
“Sai dirci dov’è andato?” intervenne Evelyn, avvicinandosi al guerriero ferito. Questi la
squadrò indeciso, poi sussurrò: “Vi ci posso portare.” Quindi cercò di alzarsi, ma, quando fu in
piedi, le gambe gli cedettero e Rick e Ardeth Bay lo sostennero.
“Qualcuno di voi deve occuparsi della mummia di Seti” affermò in antico egizio Imhotep, che
finora aveva taciuto.
“E di Jonathan” disse Evelyn rivolta a Rick. “Chissà in che guai si saranno cacciati quei due!”
Nertef rise delle sue parole. “Mi sembra di capire che tu non abbia molta fiducia nelle risorse di
tuo fratello!”
“Be’, non ha tutti i torti!” commentò O’Connell divertito, scambiandosi un’occhiata d’intesa
con la fidanzata.
“Lo stesso vale per mia cugina” aggiunse Anck-Su-Namun.
“Credo di sapere dove si trovino e restereste stupiti nel sapere che se la stanno cavando alla
grande” disse quindi il fratello. “Comunque penso che noi due – rivolto ad Ardeth Bay – potremmo
andare a dare loro una mano. Imhotep e mia sorella insieme non hanno certo bisogno del nostro
aiuto per fronteggiare Seti e lui stesso ne è consapevole. Per questo si nasconde.”
Un mugolio di dolore emesso da Mohamed ricordò ai presenti la sua presenza, al che Ardeth
Bay volse lo sguardo verso Rick, che subito lo rassicurò.
“Posso tenerlo da solo. Va pure.”
Il Med-Jai annuì e, dopo che Anck-Su-Namun, che aveva appena scambiato qualche parola col
suo amante, ebbe dato la sua approvazione, si allontanò insieme a Nertef.
“Per favore… non so fino a quando potrò resistere” implorò quindi Mohamed. “Da questa
parte” quindi indicò.
“Andiamo!” suggerì Evelyn, incamminandosi, seguita a ruota dagli altri, Imhotep per primo,
che subito la superò.
“Meglio che vada avanti io” disse nella sua lingua, con un tono che non ammetteva repliche. La
donna lo guardò indispettita: era lei ad avere il libro d’oro e se fosse stato necessario le sarebbe
bastato richiamare le sue nuove guardie del corpo, perciò era perfettamente in grado di stare alla
testa del gruppo.
“Non te la prendere” scherzò Anck-Su-Namun, dandole una pacca sulla spalla. “Sai come sono
fatti gli uomini… Ma se vuoi puoi stare davanti a me!” aggiunse, suscitando così l’ilarità di Rick.
Evelyn per tutta risposta s’imbronciò e andò subito dietro al sacerdote. Gli altri due si
lanciarono un’occhiata divertita, poi li seguirono.
Camminarono per alcuni minuti lungo cunicoli sempre più stretti. Imhotep aveva capito dove
Mohamed cercava di condurli. Di lì a poco sarebbero infatti giunti a un altro piccolo tempio
sotterraneo, molto più antico di quello principale, che, usato in epoche lontanissime, era già caduto
in disuso dopo l’ampliamento di Hamunaptra, avvenuto nel corso della X dinastia.
Il guerriero era ormai in fin di vita e, poiché Rick non riusciva più a tenerlo da solo, Anck-Su-
Namun lo stava aiutando. In questo modo però i tre rimasero presto indietro rispetto a Imhotep ed
Evelyn e, quando questi ultimi ebbero già raggiunto l’interno della sala, proprio in prossimità di un
altare, i primi si trovarono nello stesso momento ad attraversarne la soglia.
L’americano non si rese immediatamente conto di quanto accadde successivamente. Si sentì
scaraventato violentemente contro il pavimento e udì delle urla.
Era stata Anck-Su-Namun a urlare.
Quando riaprì gli occhi, vide da una parte l’espressione atterrita di Imhotep e di Evelyn, ma
solo quando si voltò, poté capire.
“Dammi il libro, Imhotep! O la uccido qui… davanti ai tuoi occhi!” urlò Mohamed, che aveva
sbattuto Anck-Su-Namun contro la parete e adesso le puntava contro la sua sciabola.
Solo che quello non era più Mohamed.
“Davvero un cattivo soggetto…” commentò fra sé Rick e proprio in quel momento il sacerdote
fece per reagire.
“Ah… non un altro passo!” minacciò Seti, avvicinando la punta della sua arma al petto della
donna. Non stava affatto scherzando.
“Sai bene che non è lei che mi interessa!”
Imhotep rivolse quindi lo sguardo in direzione di Evelyn, la quale, tenendo stretto tra le braccia
il Libro di Amun-Ra, era in attesa di un suo cenno.
Che non tardò ad arrivare.
“No!” urlò Anck-Su-Namun. “Non farlo!”
Ma il sacerdote decise di non ascoltarla: tutto avrebbe potuto accettare, ma non che lei morisse.
Di nuovo.
“Evelyn, ti prego, non dargli ascolto” ma le parole dell’egizia non la poterono dissuadere.
La Carnahan avanzò riluttante in direzione del faraone, poi, quando gli fu vicino, egli tirò fuori
dalla sua veste la chiave e gliela porse. Evelyn lo guardò perplessa, cercando di capire cosa volesse
da lei.
“Ho bisogno del tuo aiuto” disse Seti con un sogghigno, premendo ancora di più la sciabola
contro Anck-Su-Namun. L’inglese volse lo sguardo verso l’amica, la quale cercava quasi di evitare
di respirare, pur di non essere trafitta, quindi si girò verso il faraone e, infine, allungò una mano
sulla scatola. Mentre l’uomo la teneva ferma, Evelyn fece scattare il meccanismo, che l’aprì.
Sul volto di Imhotep, costretto ad assistere impotente a quanto stava per accadere, si poteva
osservare un forte senso di frustrazione, mentre Seti incastrava la chiave nell’incavo della copertina
e, ruotandola, apriva il libro tenuto dalla Carnahan.
Fu allora che il sacerdote notò qualcosa alla quale nessuno aveva fatto caso, meno che mai il
faraone, che, dopo aver sfogliato rapidamente il volume, si fermò a una pagina e iniziò a leggere
solennemente.
“Kadesh mal… kadesh mal…” pronunciò estremamente compiaciuto dell’imminente vittoria.
“Parad oos… parad…”
La sua voce venne improvvisamente spezzata da un suono sordo, mentre una lancia gli
tranciava di netto la trachea.
“Leggi adesso… Maestà!” esclamò sarcasticamente Rick, che da dietro gli aveva appena
conficcato l’arma nel collo.
Evelyn immediatamente indietreggiò inorridita, portando con sé il libro.
Seti invece emise un orribile verso, mentre il sangue gli sgorgava copiosamente dalla carotide, e
si dimenò, lasciando cadere la sciabola e costringendo O’Connell a lasciare la presa sulla lancia, che
egli subito si strappò dal collo. Poi rivolse di nuovo l’attenzione verso la Carnahan, andandole
incontro.
La donna urlò nel ritrovarsi spalle al muro e nel vedere davanti a sé quell’essere assetato di
vendetta.
Fu allora che Imhotep fece un semplice gesto con la mano.
Di colpo un familiare brusio pervase la stanza, cogliendo di sorpresa il faraone, che iniziò a
guardarsi intorno, cercandone la provenienza. Ma la sua curiosità venne subito soddisfatta:
un’enorme macchia scura pullulante sbucò da ogni singola fessura della sala e ognuna di esse si
dirigeva velocemente e inesorabilmente nella sua direzione.
Seti avrebbe voluto urlare con tutte le sue forze, ma non era più in grado di farlo, e tutto ciò che
riuscì a emettere fu un profondo sibilo, prima che gli scarabei gli saltassero addosso.
Mentre gli insetti iniziavano a pasteggiare con la sua carne, il suo corpo cadde a mezzo metro
da Evelyn, che paralizzata dalla paura, continuò imperterrita a urlare. Poi i tremendi carnivori si
diradarono, lasciando sul pavimento il cadavere, parzialmente divorato. Accanto a esso vi era la
chiave, probabilmente saltata fuori da ciò che restava della sua veste.
La donna si protese a osservarlo, con un’aria schifata e improvvisamente incuriosita, e la
raccolse.
Ma inaspettatamente quel corpo martoriato scattò in piedi.
“Aaaaaaahhhhhhhh!” urlò Evelyn, mentre Seti si voltava di nuovo verso di lei.
Fu allora che Anck-Su-Namun, senza esitare, si chinò ad afferrare la sciabola abbandonata sul
pavimento e con un grido di rabbia si scagliò contro il faraone, trafiggendolo alle spalle.
Il corpo di Seti s’inarcò per il dolore, poi l’egizia estrasse di scatto l’arma, provocando in esso
un altro sussulto incontrollato.
“Attento a non perdere la testa… mio Signore” esclamò poi sarcasticamente e, subito dopo, con
un rapido movimento gli tagliò di netto il collo.
Per un attimo il capo rimase al suo posto, poi s’inclinò di lato, quindi rotolò giù sul pavimento.
Successivamente le sue ginocchia si piegarono e il cadavere decapitato cadde a terra con un tonfo.
Di colpo i presenti tacquero e rimasero in attesa. Evelyn e Rick si lanciarono un’occhiata
interrogativa, chiedendosi cosa stessero aspettando, poi notarono l’oscuro alone impalpabile, che si
sollevava dal corpo senza vita di Seti, riproducendone le fattezze. L’alone andava sempre più a
assomigliare in consistenza alla melma, che riempiva le pozze del grande tempio. Essa si riunì in
un’unica massa, lievitante sopra le loro teste. Lo spirito maledetto di Seti, quindi, che sembrava
riprodurre alla sua sommità un volto, emise un verso disumano e poi, improvvisamente si lanciò
verso l’uscita della stanza, scomparendo rapidamente nel cunicolo.
In quello stesso istante Imhotep e Anck-Su-Namun formarono un ampio vortice di sabbia, che,
portando con sé gli altri due, si lanciò all’inseguimento.
Jenn staccò una torcia appesa alla parete.
“C’è abbastanza fuoco qua dentro. Possiamo fare a meno dei fiammiferi” disse la donna, mentre
Jonathan dava un’ultima occhiata all’interno della sacca, ma non trovò ciò che stava cercando.
“Ecco!” esclamò quindi. “Potremmo dargli fuoco: non credi che sarebbe sufficiente?”
Jenn lo guardò divertita. “Ti ho detto che non c’è alcun pericolo. Fidati di me, so quello che
faccio. E poi ci vorrebbe troppo tempo per bruciarlo e non riusciremmo mai a fargli raggiungere
una temperatura tale da ridurlo in cenere… come quella di un forno crematoio, intendo.”
Carnahan lasciò perdere la sacca e si sollevò ridendo. “Aspetta… lasciami indovinare… tuo zio
è un impresario di pompe funebri!”
“No” rispose lei, dirigendosi verso la mummia e passandogli accanto, senza incontrare il suo
sguardo.
“Ah, meno male!” commentò lui ironicamente, fingendosi sollevato.
“Lo era mio nonno” aggiunse candidamente Jenn, che, dopo aver poggiato la torcia sul
pavimento, raccolse un quaderno, scivolato fuori dalla sacca, strappò una pagina e l’arrotolò.
Jonathan era rimasto interdetto dall’ultima uscita della donna, ma incassò rapidamente e
replicò: “C’è qualcos’altro che dovrei sapere a proposito della tua famiglia?”
Nel sentirlo, Jenn si voltò verso di lui estremamente compiaciuta, ma subito dopo impallidì.
“Ma… ma… non eri… morto?”
L’uomo la guardò perplesso, poi, nel sentire dei passi alle sue spalle, capì che non stava
parlando con lui e si girò a sua volta.
“Felice di rivederti, amico” disse Ardeth Bay, ma Jonathan era più che altro interessato all’altro
visitatore inatteso.
“Assad” esclamò, non c’era però stupore nella sua voce. “Allora eri proprio tu quello che avevo
visto nella sala del tesoro!”
“Già…” rispose lui. “Vedo che avete trovato il nostro vecchio amico!”
“Sì” disse ironicamente l’inglese. “Muore dalla voglia di vedere i fuochi d’artificio e credo che
sia giunta l’ora di accontentarlo.”
Nel frattempo Jenn era tornata al lavoro. Aveva acceso il rotolo di carta e si apprestava a fare
altrettanto con le due micce.
Ma proprio allora delle urla assordanti rimbombarono per tutta la stanza, cogliendo di sorpresa i
presenti.
“Sta arrivando!” gridò Nertef. “Fallo saltare!”
Jenn non se lo fece ripetere due volte e accese le due micce, subito dopo venne trascinata da
Jonathan lontano dalla mummia.
In quello stesso momento lo spirito di Seti entrò nel tempio e si diresse direttamente verso il suo
corpo. Quando vi fu sopra, la massa oscura si estese e si abbassò lentamente, plasmandosi in modo
tale da riprodurre l’originale fisionomia del sovrano, quindi venne come assorbita dalla mummia,
nello stesso momento in cui un vortice di sabbia faceva il suo ingresso nella stanza.
Jonathan osservò le figure di Rick ed Evelyn emergere dalla sabbia e subito dopo il
materializzarsi di quelle di Anck-Su-Namun e Imhotep. I quattro però non sembravano di certo
interessati a lui.
Improvvisamente la mummia di Seti ebbe un sussulto, spalancando le palpebre e la bocca ed
emettendo un grido soffocato, poi scattò in piedi.
Questo fulmineo movimento fece trasalire Jenn, la quale però, dopo l’iniziale smarrimento,
sorrise soddisfatta. Allo stesso modo reagì Jonathan, che però aggiunse all’espressione del suo volto
un cenno di saluto fatto con la mano.
“Buon viaggio… Ta-Nutri!” esclamò quindi ridacchiando.
Fu allora che il faraone sembrò quasi assumere un’aria perplessa. Ma poi abbassò lo sguardo.
Ciò che seguì fu un urlo disperato, il cui suono si confuse con il successivo rumore prodotto da
due piccole esplosioni quasi simultanee.
Jonathan fece scudo a Jenn, mentre i frammenti dal cadavere imbalsamato venivano dispersi per
tutto il tempio, andando a mescolarsi con quelli delle mummie dei Med-Jai.
Il cranio del faraone rimase intero e, dopo aver rimbalzato su una parete, venne proiettato in
avanti. Evelyn si abbassò istintivamente e, afferrando il suo fidanzato per la giacca, lo portò giù con
sé, un attimo prima che la testa di Seti sorvolasse le loro e andasse a schiantarsi sul pavimento.
Anche Ardeth Bay e Nertef si ripararono alla bell’e meglio, a differenza di Anck-Su-Namun e
Imhotep, che invece rimasero fermi, mano nella mano, a godersi la distruzione del loro nemico.
“Sì!” esultò Jenn, quando tutto fu finito, e subito dopo lei e Jonathan sull’onda dell’entusiasmo
si abbracciarono.
“Ci sei riuscita!” esclamò l’uomo, al che lei lo guardò dritto negli occhi. “Sì” ripeté, annuendo.
E poi, inaspettatamente, lo baciò.
Carnahan inizialmente sgranò gli occhi, sorpreso dell’inaspettata piega, che la situazione aveva
preso, ma dopo li richiuse e rispose al bacio. Quella ragazza gli piaceva più di quanto lui stesso
osasse ammettere.
“È proprio vero!” commentò Rick, seduto sul pavimento accanto a Evelyn. “Alla fine chi
disprezza compra!”
La sua battuta suscitò l’ilarità generale, poi l’americano si rivolse alla fidanzata. “Non ho
ragione?” chiese sorridendo e lei per tutta risposta gli diede un colpetto scherzoso sul petto, al quale
egli reagì, altrettanto scherzosamente, fingendo che lei gli avesse fatto male.
Anche il sacerdote e la sua amante stavano sorridendo, ma ben presto il loro umore cambiò.
Anck-Su-Namun volse lo sguardo verso Imhotep, incontrando il suo. L’iniziale felicità aveva
adesso lasciato spazio alla tristezza. Entrambi infatti sapevano che non c’era più alcun motivo per
rimandare. Era giunto il momento di assecondare il volere degli dei, dimostrando loro che non
avevano sbagliato nel dare ai due amanti un’altra possibilità.
Imhotep accarezzò dolcemente il viso della donna, raccogliendo con le dita una lacrima di lei,
poi la strinse a sé e le baciò teneramente la fronte.
“Jonathan…”
L’uomo si voltò, perplesso di sentirsi chiamare proprio da lei.
“Volevo ringraziarti” disse Anck-Su-Namun, in evidente difficoltà.
Jonathan per tutta risposta le sorrise, evidentemente imbarazzato. “E di cosa?” esclamò
ironicamente. “È tua cugina l’esperta di tutto! È una ragazza… sorprendente.”
“Be’, sono contenta che abbiate trovato un punto d’incontro” commentò la donna compiaciuta.
“A dire la verità volevo anche chiederti scusa.”
Egli allora la guardò incuriosito. “Sai per averti…” cercò di spiegare Anck-Su-Namun,
allungando la mano verso la fronte di lui.
“Ah” esclamò Carnahan, poi scosse la testa. “Cosa vuoi che sia! E poi non ero mai stato messo
k.o. da una donna. O meglio, non in quel modo! È stata un’esperienza che definirei… - si fermò un
attimo a riflettere - …illuminante!”
La donna sorrise, ma non sembrava aver finito. “E anche per quella volta, sai, quando hai
trovato quel grosso ragno nero… saranno passati almeno dieci anni.”
“Vuoi dire quell’estate a Brighton?” chiese Jonathan e lei annuì. Aveva quell’aria furbetta di
quando da piccola combinava qualcuno dei suoi scherzi, solo che nessuno aveva mai creduto che ne
fosse veramente lei l’artefice, così la colpa – o il merito – era spesso ricaduta sulla più
intraprendente Evelyn.
“Eri stata tu?!” esclamò l’uomo divertito. Non l’aveva mai sospettato. Pensava che quel ragno
gli si fosse arrampicato addosso in giardino, senza che lui se ne fosse accorto, e in seguito fosse
saltato fuori durante la cena. Poi del tutto casualmente fosse finito sul suo tovagliolo, un attimo
prima che se lo portasse al viso.
“Eh… sì” ammise lei, sorridendo.
“Hai sempre avuto uno spiccato gusto per l’orrido” commentò l’uomo scherzosamente. “Avrei
dovuto capire che c’era qualcosa sotto!”
Questa battuta la fece ridere di gusto. “Sì, hai ragione.”
Poi l’espressione di lei si fece di nuovo seria. “Sei davvero un amico” e subito dopo gli
accarezzò una guancia.
“Ti voglio bene, Jonathan” aggiunse, prima di dargli un bacio sull’altra guancia.
L’uomo rimase piacevolmente sorpreso da quell’inaspettata dimostrazione d’affetto.
“Te ne voglio anch’io… lo sai.”
Lei annuì, ma proprio in quel momento Imhotep le si avvicinò e le toccò una spalla per
richiamare la sua attenzione.
“Scusa” disse quindi Anck-Su-Namun, accomiatandosi dall’inglese, e subito raggiunse tutti gli
altri, insieme al suo amante.
Jonathan si guardò intorno. Rick, Ardeth Bay e Nertef avevano riportato un certo ordine nel
tempio. I resti delle mummie erano stati allontanati dalla zona adiacente all’altare e adesso su di
esso, dove ancora si trovava il Libro dei Morti, era stato posto anche il Libro di Amun-Ra. Dopo la
sua apertura Evelyn e Imhotep avevano iniziato a esaminarlo, alla ricerca della preghiera più
adeguata, per chiedere il perdono degli dei. E adesso anche Anck-Su-Namun si era unita a loro.
Ma mancava qualcuno all’appello.
Improvvisamente ne sentì su di sé lo sguardo e quando si voltò la vide. Jenn aveva un’aria
decisamente contrariata. Aveva assistito alla conversazione tra lui e sua cugina e, anche se non
aveva sentito cosa si erano detti, non le era piaciuto per niente. Che cosa voleva ancora Anne dal
suo Jonathan?
Quando la donna si rese conto che Carnahan si era finalmente accorto di lei, gli lanciò
un’occhiata risentita e si girò dalla parte opposta, poi fece per allontanarsi.
“Ehi… ehi… ehi…” esclamò lui, andandole dietro e afferrandola per una polso.
“Che fai?” aggiunse quindi, quando si trovò faccia a faccia con lei. “Mi hai inseguito per tutto il
giorno e, adesso che mi hai raggiunto, te ne vai?”
Jenn scrutò lo sguardo di lui.
Ciò che aveva appena detto significava proprio quello che lei pensava?
“Ti ho raggiunto?” chiese allora lei, per sincerarsene.
“Fino a prova contraria sono qui” esclamò lui, cingendole la vita. C’era un’espressione del tutto
nuova sul suo volto. Nuova ma inequivocabile.
Jenn gli sorrise, poi lui la baciò.
Erano di nuovo l’uno di fronte all’altra, in piedi davanti all’altare.
Imhotep volse lo sguardo verso Anck-Su-Namun e ancora una volta ne ammirò i lineamenti
perfetti e si perse nei suoi occhi scuri e profondi. Nessuno dei due sapeva prevedere cosa sarebbe
accaduto e forse quella sarebbe stata l’ultima occasione per stare insieme. Voleva fissare ogni
singolo particolare, affinché rimanesse per sempre impresso nella sua anima.
“Se potessi ritornare indietro, rifarei tutto da capo” le disse. “Sarei pronto a riaffrontare l’ira
degli dei e la non-morte… per un tuo bacio o anche solo per vedere tutto quell’amore nei tuoi occhi,
quando mi guardi, mia principessa”
Gli occhi di Anck-Su-Namun nel frattempo erano diventati lucidi e adesso riusciva a malapena
a trattenere le lacrime.
“Io ti amo, Imhotep” sussurrò con la voce spezzata, poi accarezzò dolcemente il suo viso e
subito dopo accolse il suo bacio.
Quando riuscì finalmente a staccarsi da lei, il sacerdote le prese entrambe le mai, poi si rivolse a
Evelyn, che attendeva col libro d’oro in mano. Rick e Ardeth Bay le erano accanto, mentre Jonathan
e Jenn se ne stavano in disparte.
Nertef invece si trovava anche lui nei pressi dell’altare. Anche lui attendeva il giudizio degli
dei.
“Leggi” disse Imhotep nella sua lingua. “E qualunque cosa accada, non ti fermare. Arriva fino
alla fine dell’inscrizione.”
Ed Evelyn ubbidì.
Lentamente iniziò a leggere e, appena le prime parole uscirono dalla sua bocca, una forte
corrente gelida attraversò il tempio e in un attimo tutte le torce si spensero.
Allora Rick accese un fiammifero, affinché la sua fidanzata potesse continuare. E lei continuò
fino alla fine, poi anche quella debole fiamma scomparve.
E fu buio.
I presenti rimasero in silenzio atterriti, incapaci di prevedere cosa sarebbe potuto succedere
adesso. E per dieci lunghi secondi non accadde nulla.
Poi, improvvisamente, una forte luce si accese al centro della stanza. Era così forte che con
estrema difficoltà riuscivano a tenere gli occhi aperti. All’inizio era solo un grosso vortice bianco,
che poi assunse tonalità cangianti dal blu al viola, e poi si estese ovunque nell’ampia sala.
Di colpo si contrasse di nuovo verso il centro, formando una silhouette evanescente,
riproducente una figura umana, con abiti anch’essi luminescenti.
Appena Imhotep, Anck-Su-Namun e Nertef la videro, immediatamente si inginocchiarono,
abbassando il capo al suo cospetto. Ardeth Bay li imitò subito dopo.
“E questo chi è?” chiese Rick, ma Evelyn lo zittì e s’inginocchiò, trascinandolo con sé, al che
anche Jonathan e Jenn fecero altrettanto.
La figura umana avanzò verso i due amanti, poi si fermò davanti a essi.
“Imhotep, alzati!” esclamò quindi in egiziano antico. “Il tuo dio è pronto ad ascoltare la tua
supplica.”
Il sacerdote ubbidì e si alzò in piedi, mentre gli altri restarono in ginocchio. Volse quindi lo
guardo verso la divinità, la quale fluttuava a circa un metro dal pavimento.
“Omaggio a te, Signore dell’Eternità, Re degli Dei. Io vengo a te, o potente governatore che
vivi nei cieli, e sulla terra, e in Khert-Neter, io sono giunto a te, o grande Osiride. Concedi la grazia
a quest’uomo – riferendosi a Nertef -, egli non ha commesso nessun atto che sia un abominio nei
confronti degli dei tutti. Fa sì che egli possa vivere accanto a te ogni giorno.”
“Tu che sei il Signore commemorato in Maati, l’Anima Occulta, tu che sei il primo fra i tuoi
fratelli, il Principe della Compagnia degli Dei, l’instauratore del Giusto e della Verità, accorda il tuo
perdono a questa donna – adesso si riferiva ad Anck-Su-Namun -. Il suo Ka era stato inviato
nell’Oscuro Oltretomba e ora, grazie a te, ha potuto riunirsi al suo proprio corpo. Fa che la sua
anima possa ottenere finalmente la pace.”
“O anima di Ra, essenza delle Due Terre, guarda me, il tuo servo, che ha tradito la tua fiducia e
quella del tuo figlio, che ha pagato i suoi empi atti col supplizio dell’Hom-Dai e che ora chiede a te,
tu che sei lo spirito caritatevole tra gli spiriti, di fermare la tremenda maledizione e preservare
l’umanità dalla sua stessa fine.”
Osiride aveva ascoltato attentamente le parole del suo sacerdote e ora lo osservava con sguardo
severo. Imhotep allora s’inchinò di nuovo al suo cospetto.
“Ho ascoltato la sua supplica” disse solennemente il dio. “E ho preso la mia decisione.” Poi
allargò le braccia e tutto d’un tratto ricomparve quella intensa luce.
Imhotep allungò una mano verso Anck-Su-Namun, che la prese nella sua, e proprio in quel
momento un raggio attraversò i loro corpi, come pure quello di Nertef, sollevandoli da terra e
facendoli urlare e contrarre dal dolore. Improvvisamente da essi iniziarono a emanarsi tanti piccoli
aloni oscuri, che, proiettandosi verso la divinità, divenivano sempre più chiari e luminosi.
Fu allora che la melma oscena della pozza iniziò a ribollire e sulla sua superficie si potevano
vedere tutti gli spiriti maledetti contorcersi e dimenarsi, nella loro disperata richiesta d’aiuto, ma
Osiride impose una mano verso di loro, ricacciandoli nell’oscurità.
Di colpo la figura del dio si dissolse in una enorme massa di energia dalla quale si dipartirono
in tutte le direzioni potenti fulmini, che andarono a scagliarsi ovunque nel tempio, colpendo le
pareti, il pavimento, le scalinate. Uno di questi raggiunse l’altare e prese in pieno il Libro dei Morti,
riducendolo in un mucchio di ceneri, cosicché nessuno potesse mai più richiamare dall’aldilà le
anime custodite ad Hamunaptra.
Infine, uno più grosso degli altri colpì la sommità della volta, che copriva la sala, e un’enorme
nube di polvere e fumo si sparse per tutto il tempio, togliendo ogni visibilità ai presenti e
costringendoli ad accovacciarsi a terra, in cerca di riparo.
Poi la luce sparì completamente e le torce si riaccesero.
Evelyn tirò su la testa e tossì, poi si stropicciò gli occhi. C’era come una fitta nebbia
tutt’intorno, nella quale malapena riusciva a distinguere il bagliore delle fiamme. Sentì qualcosa,
che le schiacciava il braccio, e solo allora si accorse che aveva ancora con sé il Libro di Amun-Ra.
Subito lo richiuse e lo lasciò sul pavimento.
“Rick” chiamò quindi a gran voce.
“Sono qui” rispose l’uomo, che in realtà si trovava proprio dietro di lei. Nel sentirlo la
Carnahan trasalì, poiché non si era accorta di lui.
“Ehi” disse O’Connell, accarezzandole i capelli. “Stai bene?”
“Sì” annuì lei, ma poi quando cercò di alzarsi, col suo aiuto, sentì un dolore lancinante alla
caviglia. “Ah, più o meno” aggiunse, sostenendosi al suo fidanzato.
“Dobbiamo attendere che il pulviscolo si diradi” affermò Ardeth Bay.
“Ragazzi, siete tutti interi?” chiese allora Rick.
Proprio in quel momento anche Jonathan e Jenn fecero la loro comparsa. E anche loro erano
completamente ricoperti di polvere.
“Be’, sono stato meglio” commentò Carnahan.
“Oddio, che disastro!” esclamò la donna, spolverandosi alla bell’e meglio gli abiti. “Cosa darei
per un bel bagno! Ma… dov’è Anne…?”
Nel sentire questa richiesta, gli altri si voltarono verso l’altare, nel tentativo di riuscire a vedere
qualcosa, poi, anche se esitanti, avanzarono lentamente nella sua direzione. A un certo punto
sentirono un mugolio e il capo dei Med-Jai vi si diresse immediatamente, seguito dal gruppo.
Un altro guerriero era sdraiato carponi sul pavimento e si massaggiava la testa. Sembrava
stordito.
“Nertef” disse Ardeth Bay, chinandosi su di lui, al che l’uomo si voltò inizialmente incuriosito.
Poi lo riconobbe.
“Amico mio, cosa hai detto?” chiese, poi si guardò intorno stupito. “Che ci facciamo ad
Hamunaptra?”
Ardeth Bay scrutò lo sguardo stranito dell’uomo. “Assad?” tentò allora Rick.
Il guerriero annuì e con il suo aiuto si mise in piedi, anche se barcollante. “Sì, è il mio nome.”
“Nertef deve aver lasciato il suo corpo” disse Evelyn. “Ma se così fosse…”
“Anne!” la interruppe Jenn, visibilmente allarmata.
Improvvisamente il tempio venne investito da una forte ventata, che costrinse i presenti a
chiudere gli occhi e coprirsi il viso, e subito dopo, quando li riaprirono, quella strana nebbia era
scomparsa.
Fu allora che videro i loro corpi giacenti davanti all’altare.
Mano nella mano.
Immobili.
“Oh mio Dio… Anne…” esclamò Jenn accorrendo verso la cugina.
“No aspetta!” le urlò contro Jonathan andandole dietro e afferrandola un attimo prima che
questa, inginocchiatasi accanto ad Anck-Su-Namun, allungasse una mano per toccarla.
Quell’intervento si rivelò provvidenziale, poiché subito dopo delle scariche elettriche
attraversarono il corpo della donna, facendolo sussultare. Ma subito dopo si esaurirono.
Seguirono attimi di silenzio, nei quali Rick ed Evelyn si unirono ai due nella contemplazione di
Imhotep e Anck-Su-Namun, interrotti quindi dai singhiozzi di Jenn.
“No… Anne…” disse la donna, con la voce spezzata dalle lacrime. “Jonathan” si rivolse quindi
implorante verso l’uomo. Ma lui non sapeva cosa dire. Si limitò a stringerla a sé, nel tentativo di
consolarla. Jenn però scattò improvvisamente e liberandosi dalla sua presa si lanciò verso la cugina,
urlando ancora una volta: “Anne!”
Iniziò quindi a scuoterla energicamente, ma ogni suo tentativo era inutile.
“Le loro anime ora sono in pace” affermò mestamente Evelyn, stringendo la mano al suo
fidanzato, che subito l’accolse tra le sue braccia.
“No!” urlò ancora più forte Jenn, spingendo violentemente da una parte Jonathan e
allontanandosi dall’altare, per poi lasciarsi andare in ginocchio sul pavimento, scossa dai sussulti
del suo pianto disperato.
Tutti si girarono a guardarla e fu allora che accadde qualcosa.
Anck-Su-Namun si sollevò di colpo, spalancando gli occhi, come se si fosse appena svegliata
da un incubo.
Fu Rick il primo a vedere con la coda dell’occhio quell’inaspettato movimento e all’inizio non
ci fece molto caso, poi si voltò stupito.
“Anne…?” disse titubante, al che la donna lo guardò con aria incuriosita.
“Che cosa è successo?”
Evelyn, sentendo la voce della sua amica, sgranò gli occhi e lentamente volse lo sguardo verso
di lei, imitata dagli altri presenti.
Nel vedere sua cugina viva e vegeta, il volto di Jenn s’illuminò improvvisamente e subito le
corse incontro.
“Oh Dio, ti ringrazio!” esclamò abbracciandola. “Stai bene?”
Anck-Su-Namun sembrava sempre più stranita e guardò la donna incuriosita. “Jenn… mi vuoi
dire che succede?” Poi notò i fratelli Carnahan e accennò un sorriso, nel riconoscerli.
Tutt’un tratto il suo corpo ebbe l’ennesimo sussulto, come se venisse investito da qualcosa
d’invisibile. Come se una parte di lei, momentaneamente sopita, si fosse risvegliata.
E di colpo il suo volto assunse un’espressione perfettamente consapevole di ciò che era
accaduto. Il suo sguardo scese rapidamente alla sua mano, che stringeva ancora quella di Imhotep, e
poi subito dopo al sacerdote, che giaceva sul pavimento accanto a lei.
“Imhotep… amore mio…” sussurrò allarmata, sporgendosi repentinamente verso di lui e
accarezzandogli il volto.
Riusciva a sentire la voce di Anck-Su-Namun, ma, per quanto desiderasse con tutto sé stesso
rispondere, non riusciva a parlare.
Provava delle strane sensazioni. Un misto di nausea e di dolore, che gli attraversava tutto il
corpo.
Poi, pian piano, il suono della voce di lei si fece più chiaro ed egli distinse fra quelle parole il
suo nome.
Lo stava chiamando.
All’inizio notò un movimento nella sua mano e poi nei suoi occhi. Finché li aprì e la guardo.
Anck-Su-Namun gli sorrise e lui fece altrettanto.
Nel vedere ciò che era appena accaduto, gli altri emisero un sospiro di sollievo e si lasciarono
andare a esclamazioni più o meno composte.
Imhotep si sollevò e guardò negli occhi la sua amata. Lei lo fissò per qualche istante, come
incantata, poi il suo sguardo venne attirato da qualcosa. Allungò una mano ad accarezzare il suo
viso, proprio laddove vi era una piccola escoriazione.
Appena lei la toccò, Imhotep sussultò per l’inaspettato dolore e lei gli sorrise, mostrandogli la
piccola goccia di sangue, che bagnava il suo dito.
“È la vita, amore mio” sussurrò Anck-Su-Namun. L’uomo allora raccolse la mano di lei nella
sua e iniziò a baciare le sue dita, lentamente, muovendosi verso il palmo. E quando vi giunse,
chiuse gli occhi per assaporare ancora una volta l’inebriante profumo della sua pelle. Quindi la
staccò dalla sua bocca e poi si protese verso di lei per baciarla teneramente sulle labbra.
“Ti amo, mia principessa” le disse, prima di stringerla forte fra le sue braccia, consapevole che
niente più avrebbe potuto separarli.
“Be’, amico mio” disse intanto Jonathan, rivolto a Rick, dopo aver raccolto da terra il Libro di
Amun-Ra. “A quanto pare abbiamo di nuovo salvato il mondo! E, cosa non meno importante, la
pelle!”
“Forse è ancora presto per dirlo” commentò ironicamente l’uomo. “Dobbiamo ancora uscire da
Hamunaptra.”
“Basta che nessuno di voi ragazzi si metta a giocare con leve o cose simili” esclamò Evelyn in
tono imperativo.
“Tranquilla, Evelyn” intervenne Jenn, prendendo a braccetto la sua conquista. “Ci penso io a
tenere d’occhio tuo fratello!”
L’evidente imbarazzo di Jonathan, mentre veniva trascinato via dalla donna, fece ridere di gusto
gli altri.
“Alla fine ha ottenuto quello che voleva” disse O’Connell, accompagnando le sue parole con
uno sguardo malizioso.
“Non è certo la tipa da accettare un semplice ‘no’ come risposta!” rispose allora Evelyn,
avvicinandosi al suo fidanzato e cingendogli il collo con le braccia. Così facendo non si rese conto
di ciò che Rick aveva appena estratto dalla tasca.
“Neppure io” aggiunse quindi l’uomo, mettendole sotto il naso una scatoletta aperta, al cui
interno c’era un anello.
La donna osservò a bocca aperta il prezioso gioiello. Le sembrava il più bello che avesse mai
visto. Aveva atteso per così tanto tempo quel momento, cercando di immaginare cosa avrebbe
provato, ma poi con tutto quel trambusto se n’era quasi dimenticata. Così Rick era riuscito di nuovo
a sorprenderla e adesso la guardava così intensamente, da toglierle il fiato.
Poi lui tolse l’anello dalla scatola, quindi prese la sua mano sinistra e glielo infilò delicatamente
nell’anulare.
“Mi faresti il grande onore di passare il resto della vita insieme a me?” le sussurrò dolcemente
l’uomo.
La sua voce era così carica di emozione e amore che Evelyn quasi si commosse nell’ascoltarla.
“Oh… sì” rispose lei, sollevando lo sguardo fino a incontrare quello del suo fidanzato e
accompagnando queste semplici parole con un ampio sorriso. Il più bello che Rick avesse mai visto.
Ancora una volta il sole sorgeva sul deserto, dando inizio a un’altra lunga e calda giornata. I
primi timidi raggi del mattino attraversavano l’atmosfera densa, andando a riflettersi sulla sabbia e
generando così straordinari giochi di luce.
Un spettacolo meraviglioso agli occhi di un bambino, che per la prima volta vedeva apparire di
fronte a sé ciò che rimaneva della splendida e allo stesso tempo terribile Città dei Morti.
“Guarda, papà!” esclamò il piccolo Abdullah, in groppa al cammello guidato dal padre,
indicando col il dito. “È un prodigio… andiamo a vedere.”
Ma l’uomo frenò subito l’entusiasmo del figlio. “No, non guardare. Quel luogo è maledetto.
Che Allah ci protegga!” esclamò, accompagnando le sue parole con i dovuti scongiuri, poi affrettò
il passo dell’animale, che si trovava a capo di una piccola carovana.
Nonostante gli ammonimenti nel padre, il bambino continuò a fissare Hamunaptra, come
incantato, finché non fu tanto lontano da non riuscire più a distinguerla.
“Oddio, è già mattina!” esclamò Jonathan nell’uscire all’esterno. Abituato com’era alla
penombra dei cunicoli, quell’improvvisa luce lo costrinse a coprirsi parzialmente il volto con la
mano. Poi estrasse dalla tasca il suo orologio e lo guardò con disappunto.
“Ah, lo sapevo: si è guastato. Segna le quattro e mezza!” Quindi iniziò a dargli dei colpetti.
“Non è guasto” disse Jenn con fare da saputella. “È il fuso orario.” Poi, volgendo lo sguardo
davanti a sé, aggiunse: “Oh… ma sono bellissimi!”
Dopodiché gli passò affianco e si diresse di corsa verso Ardeth Bay e Assad, che stavano
sistemando i cavalli, lasciati dagli altri Med-Jai.
Jonathan non poté fare a meno di restare incantato di fronte a tanta grazia e nel contempo
chiedendosi come avesse fatto quella ragazza a incastrarlo.
“Devo essere impazzito” commentò fra sé divertito. “Non c’è altra spiegazione!”
“Questa volta sei in trappola, mio caro Jonathan” esclamò Rick, dandogli una pacca sulla
spalla, e subito dopo rise, insieme alla sua fidanzata.
“Be’” rispose prontamente l’uomo. “Mai quanto te!”
Proprio in quel momento Jenn si avvicinò al trio, portando con sé un cavallo e guardandosi
intorno.
“Ehi, ragazzi, ma che fine hanno fatto Anne e Imhotep?”
Il tempio era ora deserto, ma le torce continuavano ad ardere incessantemente, nonostante forti
correnti d’aria facessero vacillare non poco le loro fiamme.
Sul pavimento giaceva ancora ciò che restava dell’esercito di mummie, che solo poco tempo
prima Seti aveva scagliato contro i suoi nemici, nel tentativo di fermarli. Tra le tante ossa, tutte
uguali, ne spiccavano alcuni frammenti, che si distinguevano per il fatto di essere particolarmente
anneriti, a causa dell’esplosione, che li aveva generati.
Questa non era l’unica cosa, che le rendeva diverse dalle altre, ma all’inizio solo uno sguardo
attento avrebbe potuto accorgersene. Finché quell’impalpabile ombra oscura, che le avvolgeva, si
staccò da esse e incominciò a scivolare lentamente sul pavimento. Erano come tante piccole masse
fluttuanti, che si facevano strada tra i resti umani, fino a raggiungere i piedi dell’altare. In un attimo
ne raggiunsero il piano, confluendo tutte insieme laddove giacevano le ceneri del Libro dei Morti,
fino a confondersi con esse.
Improvvisamente queste si sparsero in tutte le direzioni, come sospinte da un soffio, e da esse si
proiettò un’unica massa, che subito si modellò assumendo l’aspetto di una figura quasi umana.
Lo spirito sorvolò rapidamente la stanza e andò a imboccare uno dei passaggi, continuando la
sua corsa. Dopo qualche istante giunse in un corridoio e si fermò di colpo al di sopra dei corpi senza
vita degli uomini di Ardeth Bay.
L’anima maledetta dapprima esitò, quindi s’infilò tra i cadaveri.
Per qualche istante non accadde nulla, poi tutto d’un tratto alcuni dei Med-Jai vennero
scaraventati via, rivelando al di sotto di essi il corpo di un uomo, indossante antichi abiti egizi, ma
dalla pelle molto chiara, benché segnata da profonde ferite, e i capelli chiari.
Di colpo gli occhi azzurri si Robert si spalancarono e un terribile grido venne emesso dalla sua
bocca, strozzato subito dopo dal dolore.
Seti si alzò a fatica, tenendosi alla parete e iniziò a camminare lentamente, arrancando a ogni
passo.
Percorse un lungo corridoio, finché raggiunse un ampio ingresso. A pochi metri da lui c’era una
delle scalinate che immettevano nel tempio.
Il faraone sorrise, anche se a stento, e fece per dirigersi verso di essa.
Ma improvvisamente Anck-Su-Namun sbucò da dietro l’angolo.
“Mio amore!” esclamò sarcasticamente la donna. “Dove stai andando?”
Seti sgranò gli occhi dallo stupore e la fissò incapace di reagire in alcun modo a
quell’inaspettato incontro, poi si lasciò scappare una risata soffocata.
“Tu se non hai più alcun potere… donna!”
“E tu sei troppo debole, Maestà” esclamò Imhotep alle sue spalle, sfilandogli nel contempo il
pugnale sacrificale, che Seti teneva in un fodero legato intorno alla vita.
Un’espressione di terrore si dipinse nel viso del faraone, che si voltò lentamente verso il suo
sacerdote.
Imhotep gli lanciò uno sguardo di sfida, accompagnato da un sorriso beffardo.
“Addio per sempre, Mio Signore” disse solennemente l’uomo, poi, di scatto, sollevò la mano e
gli piantò la lama dritta nel cuore.
Il corpo di Seti ebbe un sussulto, mentre dalla sua bocca uscì appena un breve lamento. Allora
Imhotep con un rapido movimento del polso ruotò il pugnale, distruggendo l’organo più importante,
quello in cui l’anima aveva trovato rifugio, donando la vita a tutto il corpo, poi estrasse l’arma,
allontanandosi subito dopo.
Gli occhi del faraone, che fissavano intensamente quelli del sacerdote, divennero vitrei e le sue
ginocchia si piegarono. E in un attimo il suo corpo cadde a terra.
Improvvisamente lo spirito malvagio saltò fuori dal cadavere urlando, si voltò verso Anck-Su-
Namun, quindi si lanciò, scansandola, verso l’ingresso del tempio.
Immediatamente Imhotep prese per mano la donna e insieme accorsero fino alla sommità della
scalinata.
Lo spirito maledetto volteggiò disperato nella stanza, andandosi a fermare proprio sopra la
pozza posta di fronte all’altare.
I due amanti lo osservarono per l’ultima volta, con un’espressione serena e soddisfatta sul volto,
poi Imhotep sollevò dolcemente la mano della sua amata e le diede un lieve bacio. Fu allora che il
Ka di Seti emise l’estremo terribile grido e subito dopo si tuffò nella pozza delle anime.
Scomparendo al suo interno.
Per tutta l’eternità.
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Nata a Carbonia nel 1974, Rita Carla Francesca Monticelli vive a Cagliari dal 1993, dove
lavora come scrittrice, traduttrice scientifica e web copywriter freelance. Laureata in Scienze
Biologiche nel 1998, ha ricoperto da allora il ruolo di ricercatrice, tutor e assistente di ecologia
presso il Dipartimento di Biologia Animale ed Ecologia dell’Università degli Studi di Cagliari fino
al 2004, anno in cui ha fondato la sua ditta Anakina Web. Nell’ambito di questa azienda gestisce le
sue attuali attività di scrittura creativa e traduzione, oltre a occuparsi di tanto in tanto di web design
e management musicale.
Amante del cinema, ha mosso i primi passi nella scrittura cimentandosi nella realizzazione di
soggetti cinematografici e sceneggiature originali, oltre che di fan-fiction. È autrice inoltre di poesie
in inglese pubblicate negli Stati Uniti in antologie e audiolibri e ha inoltre scritto vari testi di
canzoni.
Dal 2009 si occupa di narrativa. Ha appena completato il suo primo romanzo originale di
fantascienza e sta lavorando a un’altra opera di questo genere letterario, intitolata “Deserto rosso”,
che prevede una suddivisione in puntate. La prima di queste, “Punto di non ritorno”, sarà pubblicata
nella primavera 2012.
Sta inoltre lavorando alla stesura di un saggio di argomento ecologico.
Appassionata di fantascienza e soprattutto dell’universo di Star Wars, è conosciuta nel web
italiano con il suo nickname Anakina.
Potete trovare Anakina (o semplicemente Carla, come si fa chiamare dagli amici) su:
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Questo libro è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a personaggi reali viventi o vissuti è
puramente casuale. Per quanto alcuni personaggi storici siano in essa citati, non si tratta di un
romanzo storico in senso stretto. Ci sono notevoli incongruenze con le caratteristiche di tali
personaggi, delle pratiche e dei luoghi descritti rispetto alla realtà storica del tempo.
Alcuni personaggi sono tratti dal film “La Mummia” (1999) della Universal Pictures, a cui il
romanzo (fan fiction) è ispirato e di cui rappresenta un sequel alternativo rispetto a quello che uscì
nel 2001. Essi vengono qui utilizzati per puro intrattenimento e senza alcun scopo di lucro.
Gli altri personaggi, la trama e la sua stesura scritta sono frutto della fantasia dell’autrice. Tutti i
diritti di copyright su di essi sono riservati.
Chiunque è libero di diffondere la presente opera a patto che lo faccia gratuitamente e che citi il
nome dell’autrice e per intero le informazioni riportate in questo disclaimer. L’opera non può, però,
essere modificata né ripubblicata, anche parzialmente, senza l’autorizzazione dell’autrice.