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bole e bisognosa di protezione. Sei minacciata e non puoi opporti. Ma in quanto vittima sarai salvata, nello specifico grazie alle politiche tutelanti del ministero.
Essere identificati come vittime è una condizione che dovrebbe essere transitoria per chiunque, legata a precise circostanze. Non si è vittime per il solo fatto di esistere come femmine invece che come maschi, ma lo si è sempre di qualcosa o di qualcuno. Il tentativo di trasformare le persone in vittime permanenti a prescindere dalle circostanze costringe la vittima al ruolo di vittimizzata, che è un'altra forma di violenza, più sottile e pervasiva, perché impone una condizione di passività che preclude la facoltà di riscattarsi. Il soggetto vittimizzato non può tentare di uscire dalla condizione di vittima, perché intorno ha un intero sistema che gli impedisce di essere qualcosa di diverso.
La parte più interessante è però nella frase finale - «la violenza sulle donne è ignoranza e follia» - che definisce chi fa del male a una donna un ignorante e un pazzo, non un uomo normale. Non suo marito, non suo padre, non il suo fidanzato, né suo fratello o il suo ex. Il carnefice è un folle, un mostro, un soggetto estraneo alla comunità civile, oppure una persona priva di titoli di studio e di consapevolezza del móndo. Il ministero era certo a conoscenza dei dati, i quali dimostrano che chi picchia le donne è un uomo più che comune, con lavori normali e normalissime abitudini, e che i laureati picchiano tanto quanto i non scolarizzati. Perché dunque affermare il contrario? Dire che chi picchia le donne è ignorante e folle significa in definitiva riconoscergli le attenuanti, le stesse che sui titoli dei giornali giustificano l'omicidio di una donna come «dramma della gelosia».
L'affermazione finale - quel «Rispetta le donne. Rispetta il mondo» - contiene un messaggio più sottile. Perché mai non rispettare l'archetipo-donna dovrebbe equivalere addi IO
CAPITOLO PRIMO
rittura a non rispettare il mondo? Il facile sottinteso è che la donna - che come madre dà la vita
- sia l'origine del mondo e che occorra portarle rispetto per questo motivo, sancendo il ragionamento secondo cui la donna, sebbene vittima per costituzione, resta comunque rispettabile per la sua funzione. Realizzare che sia questo il livello della comunicazione istituzionale sulle donne in Italia è sconfortante, ma illumina.
Perché sembra così importante omettere le donne dallo spazio pubblico di rappresentazione della morte e della sofferenza, se non in qualità di vittime? Da quale seme culturale nasce l'idea che l'estremo istante e i suoi dintorni debbano essere un luogo di soggettività soprattutto maschile, mentre alle donne spetti il ruolo passivo? E possibile che su questa idea
«sessuata» della morte e della sofferenza attive possa aver influito anche la rappresentazione che per secoli ne ha dato la fede cristiana?
In principio eravamo tutti vivi.
Who wants to live forever?
There's no chance for us
It's ali decided for us
This world has only one sweet moment set aside for us.
Who Wants To Live Forever, The Queen.
A dispetto della definizione di «evento naturale», il trauma della morte che si rinnova a ogni generazione ci interroga ancora tutti. Nessuno vuole credere al fatto che ci sia davvero qualcosa di naturale nel finire un'esistenza ricca e intensa, perdere i figli, i compagni e gli amici, seppellire i genitori o immaginare un mondo che vada comunque avanti anche in nostra assenza. Ci sentiamo chiamati a durare, magari non tutti per sempre, ma almeno abba LE VOCI SULLA MIA MORTE