Se osserviamo più da vicino i casi estremi di allontanamento dalla società, possiamo vedere il comportamento anti-esplorativo nelle sue forme più estreme e caratteristiche. Gli individui gravemente introversi possono diventare socialmente inattivi, pur essendo ben lungi dall'esserlo fisicamente.
Essi si dedicano a movimenti stereotipati di tipo ripetitivo. Per ore ed ore dondolano o oscillano, annuiscono o si scuotono, si afferrano e si lasciano. Talvolta si succhiano i pollici o qualche altra parte del corpo, si punzecchiano o si pizzicano, fanno strane e ripetute smorfie con la faccia; battono o rotolano ritmicamente piccoli oggetti. Tutti noi presentiamo occasionalmente tic di questo tipo, ma in individui del genere questi diventano una prolungata e fondamentale espressione fisica. Essi trovano l'ambiente che li circonda tanto minaccioso, i contatti sociali così terrorizzanti e impossibili, che cercano conforto e sicurezza, rendendo il loro comportamento il più familiare possibile. La ritmica ripetizione di un atto lo rende sempre più familiare e "sicuro". Invece di svolgere una vasta gamma di attività eterogenee, l'individuo introverso resta attaccato a quelle poche che conosce meglio. Per lui, il vecchio proverbio: "Niente di arrischiato, niente di guadagnato" potrebbe diventare "Niente di arrischiato, niente di perso". Ho già parlato delle proprietà regressive e tranquillanti del battito cardiaco, che valgono anche in questo caso. Molte di queste manifestazioni sembra che vengano effettuate con la stessa frequenza del battito cardiaco ed anche quelle in cui ciò non si verifica funzionano da "tranquillizzanti", grazie alla super-familiarità che si ottiene con la ripetizione costante. E' stato notato che gli individui socialmente ritardati aumentano i loro movimenti stereotipati, quando vengono posti in una stanza estranea, il che si accorda con i concetti che abbiamo espresso. La maggiore novità dell'ambiente acuisce i timori neofobici e per controbilanciarli il soggetto sviluppa meccanismi tranquillizzanti.
Il movimento stereotipato, quanto più viene ripetuto, tanto più diventa simile al battito cardiaco materno, artificialmente provocato. La sua "familiarità" aumenta in modo sempre crescente, fino a diventare praticamente irreversibile. Anche quando si riesca a far scomparire la gravissima neofobia che lo ha provocato (il che è già abbastanza difficile), il movimento stereotipato può continuare la propria contrazione. Come ho già detto, anche gli individui socialmente bene adattati di tanto in tanto presentano questi "tic", che di solito si manifestano in situazioni di stress dove hanno la funzione analoga di tranquillizzanti. Conosciamo bene queste manifestazioni. Il dirigente che aspetta una telefonata di vitale importanza tamburella o picchietta sulla scrivania, la donna che attende nella sala d'aspetto del medico apre e stringe le dita intorno alla borsetta, il bambino imbarazzato fa ondeggiare il proprio corpo a destra e a sinistra, il padre in attesa cammina avanti e indietro, lo studente al momento dell'esame succhia la matita, l'ufficiale preoccupato si liscia i baffi. Limitatamente, questi piccoli meccanismi anti-esplorativi sono utili, perché ci aiutano a tollerare il previsto "superdosaggio di novità". Se però vengono usati in eccesso, vi è sempre il pericolo che diventino irreversibili o ossessivi e che persistano anche quando non sono invocati.
I movimenti stereotipati affiorano inoltre anche in condizioni di noia estrema. Questo si può riscontrare chiaramente sia negli animali dei giardini zoologici che nella nostra razza e talvolta assumono proporzioni spaventose. Gli animali in stato di cattività stringerebbero contatti sociali se ne avessero la possibilità, ma ne sono impediti fisicamente. La situazione è fondamentalmente la stessa nei casi di allontanamento sociale. L'ambiente ristretto dello zoo blocca i contatti sociali e mette gli animali in condizioni obbligate di allontanamento dalla società. Le sbarre della gabbia costituiscono un solido equivalente fisico delle barriere psicologiche che si parano davanti all'individuo socialmente introverso. Esse costituiscono un potente meccanismo anti-esplorativo, per cui l'animale dello zoo, non avendo niente da esplorare, comincia ad esprimere se stesso nel solo modo possibile e cioè sviluppando dei movimenti stereotipati. Noi tutti conosciamo bene il ripetuto andirivieni degli animali in gabbia, ma questa è solo una delle molte e strane manifestazioni che possono sorgere. Talvolta si ha una masturbazione stilizzata che non implica una manipolazione del pene.
L'animale, di solito una scimmia, effettua semplicemente i movimenti masturbatori di andirivieni col braccio e con la mano, senza però toccare realmente il pene. Alcune scimmie femmine si succhiano ripetutamente i capezzoli. Gli animali giovani si succhiano le zampe.
Gli scimpanzé talvolta si infilano dei fili di paglia nelle orecchie (fino ad allora sane). Gli elefanti scuotono la testa per ore ed ore.
Alcuni animali si mordono ripetutamente oppure si strappano il pelo e si può avere un'automutilazione. Alcune di queste reazioni si manifestano in situazioni di stress, ma molte sono semplicemente reazioni alla noia. Quando nell'ambiente non si verifica alcun cambiamento, l'impulso esplorativo si arresta. Osservando semplicemente un animale in stato di isolamento mentre effettua uno di questi movimenti stereotipati, è impossibile sapere con sicurezza quale sia la causa di un simile comportamento. Può trattarsi di noia oppure di stress. Se si tratta di stress, questo può essere dovuto ad una situazione ambientale immediata, oppure può essere un fenomeno a lunga scadenza derivante da un anormale modo di allevamento.
Qualche semplice esperimento ci può dare la risposta. Se ponendo degli oggetti estranei nella gabbia i movimenti stereotipati scompaiono e comincia l'esplorazione, è ovvio che questi erano provocati dalla noia. Se invece i movimenti stereotipati aumentano, vuol dire che erano determinati da uno stress. Se persistono dopo l'introduzione nella gabbia di altri membri della stessa specie, in modo da creare un normale ambiente sociale, ciò vuol dire che l'individuo dai movimenti stereotipati quasi certamente ha avuto un infanzia anormalmente solitaria.
Queste particolarità dello zoo si possono riscontrare nella nostra specie (forse perché noi abbiamo creato i nostri zoo tanto simili alle nostre città). Essi dovrebbero costituire per noi un insegnamento e ricordarci dell'enorme importanza di raggiungere un buon equilibrio tra le nostre tendenze neofobiche e quelle neofiliche. Se non riusciamo ad ottenere questo scopo non possiamo funzionare nel modo giusto. Il nostro sistema nervoso fa per noi quanto è possibile, ma i risultati saranno sempre un travisamento delle nostre reali capacità di comportamento.
V. Lotta
Per comprendere la natura dei nostri impulsi aggressivi, dobbiamo considerarli sullo sfondo delle nostre origini animali. Come razza, attualmente noi siamo così presi dalla violenza che produciamo e da cui veniamo distrutti, che, trattando questo argomento, probabilmente non riusciamo a conservare la nostra obiettività. Infatti la maggior parte degli intellettuali spesso diventano violentemente aggressivi quando parlano della necessità impellente di sopprimere l'aggressione. Ciò non fa meraviglia. Noi siamo, per dirla benevolmente, in un grosso pasticcio e vi sono forti probabilità che per la fine di questo secolo saremo arrivati a sterminarci. La nostra unica consolazione è che, come razza, il nostro periodo di carica è stato emozionante. Non un periodo lungo, secondo il ritmo delle specie, ma sorprendentemente pieno di avvenimenti. Prima di esaminare i nostri bizzarri e perfetti sistemi di attacco e di difesa, dobbiamo osservare la natura fondamentale della violenza nel mondo animale privo di lance, di armi e di bombe.
Gli animali combattono tra loro per una o due ragioni serie: per stabilire il proprio predominio in una gerarchia sociale o per affermare i propri diritti territoriali su di una zona particolare.
Alcune specie sono puramente gerarchiche, senza un territorio fisso; altre sono puramente territoriali senza problemi di gerarchia. Alcune hanno delle gerarchie nel proprio territorio e devono quindi affrontare entrambe queste forme di aggressione.
Noi apparteniamo a quest'ultimo gruppo, cioè dobbiamo affrontare l'aggressione da entrambi i lati. Già da primati subivamo il peso di un sistema gerarchico.
Questo è il sistema fondamentale di vita dei primati. Il gruppo gira continuamente e di rado si ferma abbastanza a lungo in un posto, per stabilire un territorio fisso. Talvolta si hanno dei conflitti occasionali tra i diversi gruppi, ma si tratta di manifestazioni scarsamente organizzate, sporadiche, e relativamente poco importanti nella vita della scimmia media. "L'ordine di beccata" (chiamato così perché venne trattato per la prima volta riguardo ai polli) ha invece un significato fondamentale nella vita di ogni giorno e persino di ogni minuto. Nella maggior parte delle razze di scimmie e di scimmioni esiste una rigida gerarchia sociale, con un maschio dominatore a capo del gruppo e gli altri disposti al di sotto di questo, secondo diversi gradi di subordinazione. Quando questi diventa troppo vecchio o troppo debole per mantenere il predominio, viene rovesciato da un maschio più giovane e vigoroso che assume il manto di capo della colonia. (In qualche caso, l'usurpatore, assume realmente il manto sotto forma di una specie di mantellina fatta di lunghi peli.) Poiché il branco si mantiene riunito per la maggior parte del tempo, egli esercita continuamente la sua funzione come tiranno del gruppo. Ciò nonostante, egli è invariabilmente la scimmia più lustra, ben lisciata e sexy di tutta la comunità.
Non tutte le specie di primati hanno un'organizzazione sociale marcatamente dittatoriale. Quasi sempre vi è un tiranno, ma talvolta di tipo benigno e tollerante, come nel caso del gorilla. Questi divide le femmine con i maschi inferiori, è generoso al momento dei pasti e si impone solo quando si presenta qualcosa che non si può dividere oppure vi sono segni di rivolta o lotte irregolari tra i membri più deboli.
Ovviamente questo sistema di base dovette essere cambiato quando lo scimmione nudo divenne un cacciatore collaborativo con un rifugio di base fisso. Analogamente al comportamento sessuale, il sistema tipico dei primati dovette subire delle modifiche per adattarsi alla nuova funzione di carnivoro. Il gruppo dovette diventare territoriale, e difendere la zona del rifugio di base fisso. A causa del tipo di caccia improntato alla collaborazione, ciò si dovette effettuare con un gruppo base, anziché individualmente. Il sistema di gerarchia tirannica, nell'ambito del gruppo di una normale colonia di primati, subì notevoli modifiche per poter garantire una completa collaborazione durante la caccia da parte dei membri più deboli, ma non poté essere abolito del tutto. Volendo prendere decisioni risolute, era necessaria una gerarchia moderata, formata da individui più forti e da un capo, obbligando però quest'ultimo a tenere maggiormente conto dei sentimenti dei suoi inferiori di quello che non facessero i suoi pelosi equivalenti abitatori delle foreste.
Oltre alla difesa di gruppo del territorio e alla gerarchia sociale, la prolungata dipendenza dei piccoli, obbligandoci ad adottare unità familiari fisse, richiese anche un'altra forma di auto-affermazione. Ogni maschio, come capo-famiglia, era interessato a difendere la propria casa di base individuale, entro il territorio generale di base della colonia. In tal modo per noi invece delle solite due forme di aggressività ve ne sono tre. Come ben sappiamo a nostre spese, queste sono molto evidenti ancora oggi, nonostante la complessità delle nostre società.
Come funziona l'aggressività? Quali sono le sue forme? In che modo ci intimidiamo reciprocamente? Anche qui dobbiamo osservare gli animali. Quando un mammifero si eccita e diventa aggressivo, nel suo corpo avvengono svariate modificazioni fisiologiche fondamentali.
L'intera macchina deve prepararsi per entrare in azione mediante il sistema nervoso autonomo. Questo sistema è formato da due sotto-sistemi opposti e controbilanciati: cioè il simpatico e il parasimpatico. Il primo si interessa di preparare il corpo ad una attività violenta, mentre il secondo ha la funzione di conservarne e di ripristinarne le riserve. Il primo dice: "Sei pronto ad agire, muoviti"; il secondo dice a sua volta: "Prendila con calma, rilassati e conserva le forze". In circostanze normali, il corpo ascolta entrambe le voci e riesce a mantenersi in felice equilibrio, ma, quando è stato eccitato un forte senso di aggressività, ascolta solo il sistema simpatico. Una volta che questo viene messo in funzione, una certa quantità di adrenalina passa nel sangue, interessando profondamente l'intero sistema circolatorio. Il cuore batte più in fretta e il sangue viene spostato, dalla cute e dai visceri, ai muscoli ed al cervello. La pressione sanguigna aumenta. La velocità di produzione dei globuli rossi sale rapidamente. Si ha una diminuzione del tempo di coagulazione del sangue, ed un arresto nei processi di digestione e di deposito del cibo. La salivazione diminuisce. Si ha una inibizione generale dei movimenti dello stomaco, della secrezione dei succhi gastrici e dei movimenti peristaltici intestinali. Inoltre il retto e la vescica non si svuotano facilmente, come avviene in condizioni normali. I depositi di carboidrati affluiscono dal fegato, inondando il sangue di zucchero. Si ha un forte aumento dell'attività respiratoria e il respiro diventa più rapido e profondo. I meccanismi di regolazione della temperatura sono attivati. Il pelo si rizza e vi è una sudorazione profusa.
Questi mutamenti aiutano l'animale a prepararsi per la lotta. Come per magia essi fanno scomparire immediatamente la stanchezza e mettono a disposizione forti quantità di energia in previsione della lotta per la sopravvivenza. Il sangue viene pompato con forza nelle zone che più ne hanno bisogno: nel cervello perché il pensiero sia veloce e nei muscoli perché l'azione sia violenta. L'aumento dello zucchero nel sangue aumenta la capacità muscolare. La maggiore velocità dei processi di coagulazione fa sì che il sangue versato dalle ferite si coaguli più rapidamente, riducendo la perdita. La maggiore liberazione di globuli rossi da parte della milza, associata con l'aumento di velocità della circolazione sanguigna, aiuta il sistema respiratorio ad attivare l'assunzione di ossigeno e l'eliminazione di anidride carbonica. La completa erezione dei peli fa sì che la cute sia esposta all'aria ed aiuta a raffreddare il corpo, analogamente all'eliminazione del sudore dalle ghiandole sudorifere. In tal modo vengono a diminuire i pericoli di un surriscaldamento dovuto ad eccesso di attività.
Una volta attivati tutti i sistemi vitali, l'animale è pronto a lanciarsi all'assalto, ma vi è un'altra difficoltà. Una lotta a fondo potrebbe portare ad una vittoria preziosa, ma potrebbe anche causare gravi danni al vincitore. Il nemico produce invariabilmente sia timore che aggressività. L'aggressività spinge l'animale, il timore lo trattiene. Nasce così uno stato di profondo conflitto interiore.
Di solito, l'animale eccitato al combattimento non si precipita direttamente in una lotta totale, ma comincia col minacciare un attacco. Il conflitto interiore lo tiene in sospeso, teso verso la lotta, ma non ancora pronto ad iniziarla. Se in questo stato egli presenta al suo nemico uno spettacolo sufficientemente intimidatorio da farlo sgattaiolare, ovviamente è preferibile questa soluzione. In tal modo si ottiene la vittoria senza spargimento di sangue. La specie è in grado di risolvere le proprie dispute senza eccessivo danno per gli individui, il che costituisce un beneficio straordinario. Nelle forme più elevate di vita animale, si è avuta una forte tendenza in questo senso, cioè verso il combattimento trasformato in rito. La minaccia e la controminaccia hanno in gran parte sostituito il combattimento fisico effettivo. Naturalmente, di tanto in tanto si riscontrano ancora dei combattimenti accaniti, ma solo come ultima risorsa, quando i segnali e i controsegnali di aggressività non sono stati in grado di risolvere la disputa.
L'intensità dei segni esteriori dei cambiamenti fisiologici di cui ho parlato, indicano al nemico quale sia la violenza con cui l'animale si sta preparando all'azione. Ciò funziona in modo eccellente dal punto di vista del comportamento, ma dal lato fisiologico crea un certo problema. I meccanismi corporei vengono messi in moto per una massiccia produzione di lavoro, ma gli sforzi previsti non si avverano. In che modo il sistema nervoso affronta questa situazione?
Esso ha radunato tutte le sue truppe in prima linea, pronte all'azione, ma la loro sola presenza è bastata a vincere la guerra.
Adesso cosa succede? Se alla massiccia attivazione del sistema nervoso simpatico seguisse naturalmente un combattimento fisico, tutti i preparativi effettuati dal corpo verrebbero pienamente utilizzati. L'energia andrebbe bruciata e infine si riaffermerebbe il sistema parasimpatico, ripristinando gradualmente uno stato di calma fisiologica. Invece, nello stato di tensione del conflitto tra aggressività e paura, ogni cosa è sospesa. Come risultato, il sistema parasimpatico si batte ferocemente e il pendolo autonomo oscilla disperatamente avanti e indietro. Man mano che i momenti di minaccia e di contro-minaccia passano, vediamo sprazzi di attività parasimpatica intercalati con sintomi simpatici. La secchezza della bocca può dar luogo ad un eccesso di salivazione. La contrazione intestinale può venir meno e talvolta si riscontra una defecazione improvvisa. L'urina, trattenuta fortemente in vescica, viene emessa con violenza. Lo spostamento del sangue dalla cute talvolta subisce una massiccia inversione e il pallore intenso viene sostituito da una forte vampata e da rossore. La respirazione rapida e profonda può venire bruscamente interrotta, dando luogo a respiri affannosi e a singulti. Questi sono tutti tentativi disperati del sistema parasimpatico, intesi a controbilanciare l'apparente stravaganza del simpatico. In circostanze normali non esisterebbe la possibilità di una concomitanza di reazioni intense da una parte e dall'altra ma, in condizioni estreme di minaccia e di aggressività, ogni cosa è momentaneamente sfasata. (Ciò spiega perché in casi gravissimi di shock, si possono osservare deliqui o svenimenti. In questi casi, il sangue, che prima era stato spinto verso il cervello, viene ritirato con tanta violenza, da portare ad una improvvisa mancanza di coscienza.) Per quel che riguarda il sistema di segnalazione della minaccia, questo stato di agitazione fisiologica è un vantaggio perché dà luogo ad un maggior numero di segnali. Durante il corso dell'evoluzione, questi segni indicanti stati d'animo sono stati costruiti ed elaborati in diversi modi. La defecazione e l'urinazione, per molte specie di mammiferi, sono diventate importanti meccanismi territoriali per l'individuazione dell'odore.
L'esempio che si riscontra più comunemente è il modo in cui i cani domestici alzano le zampe contro dei posti contrassegnati nei propri territori e come questa attività aumenti durante gli incontri ostili con cani rivali. (Le strade delle nostre città stimolano in maniera eccessiva questa attività, perché costituiscono una sovrapposizione di territori per innumerevoli rivali ed ogni cane è così obbligato ad insistere col proprio odore sulla zona in modo da poter competere.) In alcune razze si sono sviluppati dei sistemi di super defecazione.
L'ippopotamo ha sviluppato una coda appiattita in modo particolare che durante la defecazione scuote avanti e indietro, lanciando le feci come attraverso un ventilatore, col risultato di spargerle su di una vasta zona. In molte specie, si sono sviluppate particolari ghiandole anali che aggiungono un forte odore personale alle feci.
Le alterazioni circolatorie che provocano pallore estremo o intense vampate di rossore si sono differenziate come segnali mediante la manifestazione di chiazze di pelle nuda, che in molte razze sono localizzate sul muso ed in altre sulla parte posteriore. La bocca aperta e i sibili portati dalle alterazioni respiratorie si sono trasformati in grugniti, in ruggiti e in molte altre manifestazioni vocali di aggressività. E' stata avanzata l'ipotesi che ciò spiegherebbe l'origine di tutto il sistema di comunicazione basato sui segnali vocali. Un'altra tendenza fondamentale che si è sviluppata da questa alterazione respiratoria, è la manifestazione di esibizioni di gonfiamento. Molte razze, quando vogliono minacciare, si gonfiano, riempiendo talvolta delle sacche e delle tasche fatte appositamente per l'aria. (Ciò si riscontra in modo particolare tra gli uccelli, i quali possiedono numerose sacche d'aria come parte fondamentale del sistema respiratorio.)
L'erezione del pelo dovuta all'aggressività ha portato allo sviluppo di particolari zone sotto forma di creste, mantelline, criniere e frange, che insieme ad altre aree pelose localizzate hanno acquistato grande evidenza. Il pelo si è allungato o è divenuto più duro. Spesso la pigmentazione è stata radicalmente modificata in modo da produrre delle aree di forte contrasto con il pelo circostante.
Quando l'animale è in stato di aggressione, col pelo ritto, esso sembra improvvisamente più grande ed incute maggior spavento, mentre le chiazze di esibizione diventano più estese e brillanti. Anche la sudorazione dovuta all'aggressività è diventata un'altra fonte di segnali odoriferi. In questo campo, in molti casi si sono sviluppate delle tendenze evolutive intese a sfruttare questa possibilità.
Alcune ghiandole sudorifere si sono enormemente sviluppate sotto forma di complesse ghiandole odorifere che si possono riscontrare sul muso, sulle zampe, sulla coda e in diverse altre parti del corpo di molte razze.
Tutti questi miglioramenti hanno ampliato il sistema di comunicazione degli animali e reso il loro linguaggio più approfondito e informativo, facendo sì che il comportamento minaccioso dell'animale eccitato sia "leggibile" in termini più precisi.
Ma questo non è tutto. Finora noi abbiamo tenuto conto soltanto dei segnali autonomi. Oltre questi, vi è a disposizione una intera gamma di segnali che derivano dalla tensione dei movimenti dei muscoli e dagli atteggiamenti dell'animale che minaccia. Il sistema autonomo ha messo in moto il corpo, in modo che sia pronto all'azione muscolare.
Ma che cosa hanno fatto i muscoli? Si sono irrigiditi per l'attacco, ma questo non è avvenuto. Il risultato di questa situazione è una serie di movimenti di intento aggressivo, di azioni ambivalenti e di posizioni contrastanti. Gli impulsi ad attaccare da un lato e a fuggire dall'altro tirano in entrambe le direzioni il corpo che infatti si slancia in avanti, si ritira, si sposta di fianco, si accovaccia, balza in alto, si fa avanti, si piega all'indietro.
Quando l'impulso di attaccare ha il sopravvento, immediatamente l'impulso a fuggire annulla l'ordine. Ogni movimento inteso a ritirarsi viene arrestato da un altro inteso ad attaccare. Nel corso dell'evoluzione, questo tumulto generale si è modificato in atteggiamenti differenziati di minaccia e di intimidazione. I movimenti intenzionali sono diventati stilizzati e gli scatti ambivalenti hanno assunto una forma ritmica di contorcimenti e di scuotimenti. In tal modo si è venuto a creare un nuovo repertorio di segnali aggressivi.
Come conseguenza, in molte specie animali, possiamo osservare complicati riti di minaccia e "danze" di guerra. I contendenti si girano intorno in un modo caratteristicamente pomposo, con i corpi tesi e rigidi. Si inchinano, piegano il capo, si scuotono, tremano, oscillano ritmicamente da un lato all'altro oppure fanno delle brevi corse ripetute e stilizzate. Talora battono il terreno con le zampe, inarcano il dorso oppure abbassano la testa. Questi movimenti intenzionali funzionano come fondamentali segnali di comunicazione e si associano efficacemente in modo da dare un quadro esatto della forza dell'aggressività che è stata suscitata, nonché una precisa indicazione dell'equilibrio tra l'impulso ad attaccare e quello a fuggire.
Vi è però un'altra cosa. Esiste un'altra fonte importante di segnali particolari che nasce da un tipo di comportamento a cui è stato dato il nome di attività di spostamento. Uno degli effetti collaterali di un intenso conflitto interiore consiste nel fatto che l'animale talvolta presenta forme di comportamento strane e apparentemente non appropriate, come se la creatura, in stato di tensione, incapace di effettuare entrambe le cose che desidera disperatamente di fare, trovasse uno sfogo all'energia contenuta in un'altra attività completamente diversa. Il suo impulso a fuggire blocca quello ad attaccare e viceversa e così esso scarica le sue sensazioni in qualche altro modo. Talvolta si possono vedere dei rivali che, mentre si minacciano, improvvisamente eseguono dei movimenti alimentari elaborati e incompleti per ritornare quindi immediatamente ad atteggiamenti reali di minaccia, oppure si grattano o si puliscono, intercalando questi movimenti con tipiche manovre di minaccia. Alcune specie, come attività di spostamento, eseguono dei movimenti di costruzione del rifugio, raccogliendo pezzi di materiale adatto che si trovano nelle vicinanze e lasciandoli cadere in rifugi immaginari. Altri invece si abbandonano ad un "sonno istantaneo", ripiegando il capo in posizione di riposo, sbadigliando e stiracchiandosi. Queste attività di spostamento sono state molto discusse. E' stato obiettato che non esistono giustificazioni valide per considerare queste attività come non pertinenti. Se un animale mangia, vuol dire che ha fame, se si gratta vuol dire che ha prurito.
Alcuni hanno rilevato che è impossibile dimostrare che un animale non ha fame quando esegue le cosiddette azioni alimentari di spostamento o che non ha prurito quando si gratta. Questa è però una critica facile e chiaramente assurda per chiunque abbia realmente osservato e studiato gli scontri aggressivi in una vasta gamma di specie. La tensione e la drammaticità di questi momenti sono tali che è ridicolo pensare che i contendenti si interrompano, sia pure per un momento, per il gusto di mangiare, di grattarsi o di dormire.
Nonostante le discussioni accademiche riguardo ai meccanismi causali interessati nella produzione delle attività di spostamento, una cosa appare chiara e cioè che, in termini funzionali, questi forniscono un'altra fonte di sviluppo di preziosi segnali di minaccia. In molti animali queste azioni sono state talmente esagerate da diventare sempre più manifeste e visibili. Queste attività, come i segnali autonomi, i movimenti intenzionali, gli atteggiamenti ambivalenti e le attività di spostamento sono divenute rituali ed insieme forniscono all'animale un vasto repertorio di segnali di minaccia. Nella maggior parte degli scontri, sono sufficienti a risolvere la controversia senza che i contendenti arrivino a colpirsi. Se però il sistema fallisce, come accade spesso in condizioni di eccessivo affollamento, allora segue un vero combattimento e i segnali cedono il posto a meccanismi brutali di attacco fisico. I denti vengono usati per mordere, tagliare e ferire, la testa e le corna per urtare e trafiggere, il corpo per picchiare, colpire e spingere, le gambe per dilaniare, scalciare e battere con violenza, le mani per afferrare e stringere, e la coda per percuotere e frustare. Anche in questo caso, è estremamente raro che un contendente uccida l'altro. Le specie in cui si sono sviluppati particolari sistemi per uccidere la preda raramente li impiegano quando combattono fra loro. (A questo riguardo, sono stati commessi gravi errori con false supposizioni circa il presunto rapporto tra il comportamento di attacco verso la preda e le manifestazioni di attacco verso i rivali. Si tratta di due forme molto diverse, sia per la motivazione che per l'effettuazione.) Il nemico, non appena è sufficientemente domato, cessa di costituire una minaccia e viene ignorato. Non vi è scopo a perdere ulteriori energie e così gli si consente di sgattaiolare via senza altri danni o persecuzioni. Prima di riportare queste attività combattive alla nostra razza, bisogna esaminare un altro aspetto della aggressività animale, cioè il comportamento del perdente. Quando la sua situazione è divenuta impossibile a difendere, la cosa ovvia che gli resta da fare è di togliersi di mezzo il più velocemente possibile, il che non è sempre possibile. La via di ritirata può essere fisicamente impedita oppure, se egli appartiene ad un gruppo sociale molto unito, può essere obbligato a restare nell'ambito del vincitore. In entrambi i casi, egli deve segnalare in qualche modo all'animale più forte che egli non rappresenta più una minaccia e che non intende continuare la lotta. Se va via gravemente ferito o fisicamente esausto, ciò appare piuttosto chiaro, e l'animale vincitore si allontana lasciandolo in pace. Se invece egli riesce a segnalare l'accettazione della sconfitta prima che la sua situazione sia arrivata a questi disgraziati estremi, sarà in grado di evitare ulteriori gravi punizioni. Questo scopo viene raggiunto mediante la manifestazione di alcune caratteristiche esibizioni di sottomissione che placano l'aggressore e fanno rapidamente diminuire la sua aggressività, affrettando la risoluzione della lite. Il loro modo di funzionare è molto vario. Fondamentalmente i soggetti smorzano i segnali che hanno stimolato l'aggressione e ne mettono in azione altri, chiaramente non aggressivi. I primi servono semplicemente a calmare l'animale più forte, mentre gli altri sono di aiuto cambiando attivamente il suo stato d'animo. La forma più semplice di sottomissione è la evidente immobilità. Poiché l'aggressività comporta movimenti violenti, un atteggiamento statico segnala automaticamente uno stato di non aggressività, che spesso si associa ad un rannicchiamento e a un acquattamento. L'aggressività porta una espansione del corpo fino alle sue massime dimensioni, mentre nell'atto di acquattarsi avviene il contrario per cui questo ha una funzione calmante. Anche il fatto di volgere le spalle al nemico riesce utile, in quanto è il contrario dell'atteggiamento frontale di attacco.
Vengono usate inoltre altre forme opposte alla minaccia. Se una particolare specie esprime la minaccia abbassando il capo, il fatto di alzarlo diventa un prezioso segno pacificatore. Se un assalitore drizza il pelo, abbassarlo serve come meccanismo di sottomissione. In qualche raro caso, il perdente ammette la sua sconfitta, offrendo all'assalitore una zona vulnerabile. Lo scimpanzé, per esempio, stende la mano in gesto di sottomissione, esponendola così al grave pericolo di un morso. Poiché uno scimpanzé in stato di aggressione non farebbe mai una cosa del genere, questo gesto implorante serve a placare l'animale più forte.
La seconda categoria di segnali pacificatori funziona come meccanismo remotivante. L'animale più debole emette dei segnali che stimolano una reazione non aggressiva che, una volta scattata nell'assalitore, sopprime e doma il suo impulso a lottare. Ciò avviene principalmente in tre modi. Un sistema remotivante particolarmente diffuso consiste nell'adottare un atteggiamento infantile di richiesta di cibo. L'individuo più debole si accovaccia e supplica il più forte assumendo un atteggiamento infantile caratteristico della sua specie: questo sistema viene usato soprattutto dalle femmine quando sono assalite da un maschio. Esso si dimostra talmente efficace, che il maschio reagisce rigurgitando del cibo alla femmina, la quale completa il rito della supplica, inghiottendolo. A questo punto, il maschio, in uno stato d'animo completamente paterno e protettivo, perde il senso di aggressività e quindi la coppia si calma insieme. Questa è la base del corteggiamento alimentare in molte razze, in modo speciale tra gli uccelli, in cui i primi stadi della formazione della coppia comportano una forte aggressività da parte del maschio. Un'altra attività remotivante consiste nell'adottare un atteggiamento sessuale femminile da parte dell'animale più debole. A parte il sesso e le condizioni sessuali, questi assume di colpo la posizione della femmina con presentazione posteriore. Esibendosi in questo modo all'assalitore, esso stimola una reazione sessuale che smorza la sua aggressività. In questi casi il maschio o la femmina più forti montano ed hanno una pseudo copula col maschio o la femmina sottomessi.
Una terza forma di remotivazione comporta la stimolazione di un desiderio di pulire o di essere pulito. Nel mondo animale è molto diffusa la pulizia intesa in senso sociale e scambievole che si associa con i momenti più calmi e tranquilli della vita della comunità.
L'animale più debole può invitare il vincitore a pulirlo oppure può fare dei segni chiedendogli il permesso di effettuare la pulizia da solo. Le scimmie fanno grande uso di questo sistema e al riguardo possiedono una smorfia particolare della faccia, che consiste in un rapido schiocco delle labbra, cioè una versione modificata e ritualizzata di una parte della normale cerimonia della pulizia.
Quando una scimmia ne pulisce un'altra, le ficca in bocca ripetutamente frammenti di pelle e altri detriti, schioccando le labbra nel compiere questa funzione. Accentuando questi movimenti di schiocco e rendendoli più rapidi, essa segnala di essere pronta a svolgere questo compito e spesso agisce in questo modo per sopprimere l'aggressività dell'assalitore e persuaderlo a rilassarsi e a lasciarsi pulire. Dopo un po', l'animale più forte è talmente blandito da questo procedimento che il più debole può sgattaiolare via sano e salvo. Questi sono quindi i sistemi e i riti con cui gli animali regolano la loro aggressività. La frase "nature red in tooth and claw" ("in natura le zanne e gli artigli sono sanguinanti") originalmente si riferiva alle attività brutali di uccisione della preda dei carnivori, mentre in seguito è stata erroneamente applicata genericamente a tutto ciò che riguarda la lotta tra gli animali.
Niente potrebbe essere più lontano dalla realtà. Se una razza vuole sopravvivere, non può permettersi di andare in giro massacrando i propri simili. L'aggressività specifica va quindi soppressa e controllata e quanto più potenti e feroci sono le armi di una specie particolare per uccidere la preda, tanto più forti devono essere le inibizioni a servirsene per risolvere le controversie tra rivali.
Questa è la "legge della giungla" per ciò che riguarda i dissensi territoriali e gerarchici. Le specie che hanno mancato di obbedire a questa legge sono estinte da molto tempo.
Come ci comportiamo noi in questa situazione, come specie? Qual'è il nostro repertorio particolare di segnali di minaccia e di pacificazione? Quali sono i nostri sistemi di lotta e come li controlliamo?
La stimolazione dell'aggressività produce in noi gli stessi sconvolgimenti fisiologici, accompagnati da tensione muscolare e agitazione, che abbiamo descritto genericamente nel campo animale.
Anche noi, come le altre specie, presentiamo una vasta gamma di attività di spostamento. Sotto certi aspetti, noi non siamo dotati come le altre specie per trasformare queste reazioni fondamentali in potenti segnali. Per esempio, non possiamo intimidire il nostro avversario drizzando i peli. Lo facciamo ancora in momenti di grande spavento ("i capelli mi si rizzarono"), ma come segnale non vale gran che. Sotto altri aspetti invece, siamo in grado di fare molto meglio.
La nostra nudità, che ci impedisce di rizzare efficacemente il pelo, ci dà la possibilità di emettere potenti segnali di pallore e di rossore. Noi possiamo diventare "bianchi di rabbia", "rossi di collera" o "pallidi di paura". Il pallore è la manifestazione a cui dobbiamo stare attenti, perché indica attività. Se si associa ad altre azioni che indicano l'assalto, costituisce un segnale fondamentale di pericolo; se unito ad altre azioni che indicano paura, costituisce un segnale di panico. Come ricorderete, esso viene provocato dal sistema nervoso simpatico, il "sistema dell'energia", e non va preso alla leggera. Invece il rossore è meno preoccupante; esso è provocato dai tentativi di controbilanciamento del sistema parasimpatico e segnala che il sistema "dell'energia" non ha più il sopravvento. E' meno probabile che vi attacchi l'antagonista che vi affronta col viso rosso d'ira, di quello dal viso pallido e le labbra tirate. Il conflitto di colui con la faccia rossa consiste nel fatto che egli si sente compresso e inibito, mentre quello con la faccia pallida è già pronto all'azione. Nessuno dei due va preso alla leggera, ma quello con la faccia pallida ha maggiori probabilità di balzare all'attacco a meno che non venga immediatamente placato o minacciato in maniera anche più violenta.
Analogamente, anche il respiro affrettato e profondo è un segnale di pericolo, ma quando si trasforma in sbuffi e gorgoglii irregolari non è più una minaccia. Lo stesso rapporto esiste tra la bocca asciutta che si ha all'inizio dell'assalto e la eccessiva salivazione che si manifesta quando l'assalto subisce una intensa inibizione. Di solito, l'urinazione, la defecazione e lo svenimento sopraggiungono un poco più tardi, nella scia della massiccia ondata di shock che si associa ai momenti di enorme tensione.
Quando l'impulso ad attaccare e quello a fuggire vengono simultaneamente stimolati con violenza, noi presentiamo svariati movimenti intenzionali caratteristici ed atteggiamenti ambivalenti.
Il più comune consiste nell'alzare il pugno chiuso in un gesto che è diventato rituale sotto due aspetti. Prima di tutto esso viene effettuato ad una certa distanza dall'antagonista, troppo lontano perché possa trasformarsi in un colpo. In tal modo la sua funzione non è più meccanica, ma costituisce invece un segnale visivo. Inoltre esso è divenuto ulteriormente ritualistico, mediante l'aggiunta di movimenti di andirivieni dell'avambraccio, come se si volessero menare dei colpi.
Anche in questo caso, l'agitare il pugno ha una forza più visiva che meccanica. Noi meniamo dei "colpi" ritmici e ripetuti col pugno, ma sempre ad una distanza di sicurezza.
Mentre compiamo questi movimenti, possiamo effettuare con tutto il corpo dei movimenti intenzionali di avvicinamento che ci impediscono continuamente di andare troppo oltre. Talvolta pestiamo i piedi con forza e rumorosamente e abbassiamo il pugno picchiandolo su qualunque cosa abbiamo sottomano. Quest'ultimo atto si riscontra in forma analoga in altri animali, nel qual caso viene chiamato attività di reindirizzamento. Poiché l'oggetto che stimola l'assalto (l'antagonista) fa troppa paura per essere attaccato direttamente, i movimenti aggressivi vengono a cessare, ma devono essere reindirizzati verso qualche altro oggetto meno intimorente, per esempio un astante inoffensivo (tutti noi abbiamo provato questa sensazione qualche volta) oppure verso un oggetto inanimato. In questo ultimo caso, l'oggetto viene demolito e distrutto con cattiveria. Quando una moglie rompe un vaso gettandolo per terra, in realtà quella che giace al suolo in piccoli pezzi è la testa del marito. E' interessante il fatto che gli scimpanzé ed i gorilla spesso si esibiscono in questo senso con delle particolari manifestazioni, strappando, rompendo e scaraventando in giro rami di albero. Anche queste azioni hanno una potente violenza visiva.
Un elemento importante e differenziato che si associa a queste manifestazioni aggressive, è costituito dalle espressioni facciali di minaccia. Queste espressioni, insieme ai nostri segnali vocali verbalizzati, costituiscono il metodo più esatto che abbiamo per comunicare con precisione il nostro stato d'animo aggressivo. Mentre l'espressione sorridente, di cui abbiamo parlato in un capitolo precedente, è un elemento unico della nostra specie, le espressioni aggressive, per quanto possano essere evidenti, sono più o meno le stesse di quelle degli altri primati superiori. (Noi siamo in grado di riconoscere al primo sguardo una scimmia inferocita o spaventata, ma ancora non conosciamo quale sia la sua espressione amichevole.) La regola è molto semplice. Quanto più l'impulso ad attaccare domina quello a fuggire, tanto più la faccia si proietta in avanti.
Nel caso contrario, quando la paura ha il sopravvento, tutti i particolari del viso vengono tirati indietro. Nell'espressione di attacco, le sopracciglia vengono spinte in avanti in un cipiglio, la fronte è liscia, gli angoli della bocca sporgono in fuori e le labbra formano una linea stretta e sottile. Quando lo stato d'animo è dominato dalla paura, compare una espressione minacciosa e impaurita.
Le sopracciglia si sollevano, la fronte si raggrinza, gli angoli della bocca vengono tirati indietro e le labbra si aprono mostrando i denti. Spesso a questa espressione si associano altri gesti che all'apparenza non sono molto aggressivi: per questo motivo manifestazioni come il corrugare la fronte o il mostrare i denti, vengono considerate come segnali di "furia". In realtà invece sono segni di paura e l'espressione costituisce un segnale precoce che la paura è realmente presente, nonostante la persistenza di gesti intimidatori provenienti dal resto del corpo. Naturalmente si tratta sempre di una espressione minacciosa e non la si può trattare con sufficienza. Se la paura venisse espressa completamente, le smorfie scomparirebbero e l'antagonista batterebbe in ritirata. Queste espressioni facciali le abbiamo in comune con le scimmie, cosa che vale la pena di tenere presente nel caso vi troviate ad affrontare un grosso babbuino, ma ne esistono altre portate dalla cultura, come tirare fuori la lingua, gonfiare le guance, fare marameo, nonché un esagerato contorcimento dei lineamenti, che arricchiscono notevolmente il nostro repertorio di minacce. Nella maggior parte delle civiltà si sono aggiunti svariati gesti di minaccia o di insulto che coinvolgono il resto del corpo. Movimenti intenzionalmente aggressivi ("saltare come un pazzo"), sono stati elaborati in violente danze di guerra, di tipi svariatissimi e altamente stilizzate. La loro funzione in questo caso consiste in una stimolazione comune e una sincronizzazione di forti sentimenti aggressivi, più che in una diretta esibizione visiva verso il nemico.
Dato che, con lo sviluppo culturale di armi artificiali letali, noi siamo diventati una razza potenzialmente pericolosissima, non fa meraviglia che disponiamo di una gamma straordinariamente vasta di segnali pacificatori. Con gli altri primati abbiamo in comune le fondamentali reazioni di sottomissione del rannicchiamento e delle grida; inoltre abbiamo formalizzato una intera serie di esibizioni di inferiorità. Lo stesso atto del rannicchiarsi si è esteso in quello di gettarsi a terra e di prostrarsi. Forme di minore intensità vengono espresse mediante gli atti di inginocchiarsi, inchinarsi e curvarsi. La manifestazione fondamentale consiste nel piegare il corpo verso l'individuo più forte. Quando vogliamo esprimere una minaccia, noi ci gonfiamo al massimo, rendendo il nostro corpo il più alto e il più grande possibile. Pertanto il comportamento di sottomissione deve seguire la via opposta, abbassando il corpo al massimo. Invece di farlo a caso, noi abbiamo stilizzato diversi e caratteristici stadi fissi, ciascuno dei quali ha un significato particolare come segnale. Per esempio l'azione del saluto è interessante nel suo insieme perché dimostra quanto lontano dal gesto originale la formalizzazione possa portare le nostre manifestazioni culturali. A prima vista, il saluto militare sembra un movimento aggressivo. Esso è analogo al segnale di alzare un braccio per menare un colpo. La differenza fondamentale sta nel fatto che la mano non è stretta a pugno ed è rivolta verso il berretto o cappello.
Naturalmente si tratta di una modificazione stilizzata del gesto di togliersi il cappello che a sua volta all'origine faceva parte del procedimento di diminuire l'altezza del corpo. Anche interessante è la derivazione del gesto dell'inchino da quello originale primitivo del rannicchiamento proprio dei primati. Qui l'aspetto fondamentale sta nell'abbassamento degli occhi. Lo sguardo fisso è invece tipico della maggior parte delle manifestazioni di aggressività dichiarata.
Esso fa parte delle espressioni facciali più feroci ed accompagna i gesti più combattivi. (Questo è il motivo per cui il gioco infantile di "fissarsi" è così difficile da fare e il semplice sguardo di curiosità del bambino viene tanto biasimato, "non è educato fissare la gente".) L'inchino, per quanto ridotto di intensità dalle abitudini sociali, conserva sempre l'elemento fondamentale dell'abbassamento del viso. Per esempio i membri maschili di una corte reale, che hanno modificato le loro reazioni all'inchino mediante una costante ripetizione, abbassano il viso, ma invece di piegare la vita, chinano rigidamente solo il collo, abbassando così soltanto la regione del capo.
In occasioni meno-formali, la reazione opposta allo sguardo fisso consiste semplicemente nel distogliere lo sguardo oppure in una espressione "con lo sguardo sfuggente". Di solito nelle normali conversazioni faccia a faccia noi distogliamo lo sguardo dai nostri compagni mentre parliamo per poi fissarli di nuovo alla fine di ogni frase o "paragrafo", in modo da controllare la loro reazione a quello che abbiamo detto. Ad un conferenziere di professione occorre un certo tempo per abituarsi a guardare direttamente i componenti del pubblico invece di fissare lo sguardo al di sopra delle loro teste, in basso sul palco oppure verso i lati o il fondo della sala. Anche se egli si trova in una posizione di vantaggio, tutte quelle persone che lo fissano (dai loro posti sicuri) gli danno un fondamentale e inizialmente incontrollabile senso di paura. Solo con una lunga pratica egli riesce a superare questa difficoltà. Il semplice fatto fisico di tipo aggressivo di essere fissato da un vasto gruppo di persone costituisce anche la causa delle cosiddette "farfalle" che palpitano nello stomaco dell'attore prima dell'entrata in scena. Alle normali preoccupazioni intellettuali riguardo alla qualità della sua esibizione e al modo in cui questa verrà accolta, si aggiunge l'altro pericolo più fondamentale della massa di sguardi minacciosi (anche in questo caso, lo sguardo di curiosità viene confuso nell'inconscio con lo sguardo di minaccia). Gli occhiali da vista o da sole rendono il viso maggiormente aggressivo e ingrandiscono lo sguardo in modo artificiale e casuale. Quando siamo fissati da qualcuno che porta gli occhiali noi veniamo sottoposti ad un supersguardo. Gli individui di temperamento mite tendono a scegliere occhiali dalla montatura sottile o senza montatura (forse senza rendersene conto), perché in tal modo sono in grado di vederci meglio con un minimo di esagerazione dello sguardo. In questa maniera evitano di suscitare aggressività di risposta. Una forma più accentuata di anti-sguardo consiste nel coprirsi gli occhi o nel nascondere la faccia nell'incavo del gomito. Anche la semplice azione di chiudere gli occhi elimina lo sguardo ed è interessante vedere che alcuni individui quando si trovano insieme e parlano con estranei si sentono forzati a chiudere gli occhi brevemente e ripetutamente, come se la normale reazione di battere le palpebre venisse estesa in un mascheramento degli occhi. Questa reazione scompare quando parlano con amici intimi, quando si sentono a proprio agio. Non sempre è chiaro se essi cercano di eliminare la presenza "minacciosa"
dell'estraneo, se tentano di diminuire la intensità del proprio sguardo o se si tratta di entrambi i motivi.
Dato il loro potente effetto intimidatorio, in molte specie si sono sviluppate delle macchie simili ad occhi che fissano, come meccanismi di difesa. Diverse falene presentano sulle ali due segni simili ad occhi che incutono spavento e che restano celati a meno che l'animale non venga assalito da predatori. In questo caso, esso apre le ali e fa balenare questi occhi luminosi in faccia al nemico. E' stato sperimentalmente dimostrato che ciò ha un prezioso influsso intimidatorio sugli uccisori potenziali che spesso fuggono senza molestare gli insetti. Molti pesci ed alcune specie di uccelli e persino di mammiferi hanno adottato questo sistema. Nella nostra specie, i prodotti commerciali talvolta si servono dello stesso espediente (forse consapevolmente e forse no). I progettisti di automobili adoperano a questo scopo i fari e spesso aumentano l'impressione generale di aggressività, dando alla parte anteriore del cofano l'aspetto di un cipiglio. Inoltre essi aggiungono dei "denti digrignanti", sotto forma di una griglia metallica posta tra gli "occhi". Poiché le strade sono sempre più affollate e guidare è diventato una attività sempre più combattiva, le espressioni minacciose delle automobili sono state migliorate e perfezionate, dando a chi le guida un aspetto più aggressivo. In un campo più ristretto, alcuni prodotti commerciali usano nomi di marca dall'aspetto minaccioso, come oxo, omo, ozo, ovo. Fortunatamente per i produttori, queste immagini non respingono gli acquirenti, ma al contrario attirano lo sguardo, dopo di che si rivelano per delle semplici e innocue scatole di cartone. A questo punto però la impressione ha già funzionato, facendo sì che l'attenzione venga rivolta verso quel prodotto piuttosto che verso i concorrenti. Ho già detto prima che gli scimpanzé, in segno di pace, stendono debolmente una mano verso l'individuo più forte. Noi abbiamo in comune con loro questo gesto, che assume l'aspetto della tipica preghiera o dell'atteggiamento di implorazione. Inoltre noi lo abbiamo adattato come normale gesto di saluto sotto la forma della stretta di mano amichevole.
Spesso i gesti di amicizia derivano da quelli di sottomissione.
Abbiamo visto prima che questo si è verificato per le reazioni del riso e del sorriso (che incidentalmente appaiono ancora quando vogliamo placare qualcuno sotto forma di sorriso timido e di risolino nervoso). La stretta di mano si manifesta come un rito scambievole tra individui più o meno dello stesso rango, mentre quando vi è una forte differenza di classe si trasforma in un inchino con baciamano.
(Poiché vi è una sempre crescente "uguaglianza" sia tra i sessi che tra le diverse classi, questa ultima ricercatezza si sta facendo più rara, pur persistendo in alcuni ambienti particolari dove il predominio formale delle gerarchie viene ancora rigidamente applicato come nel caso della Chiesa.) In alcuni casi, la stretta di mano si trasforma nel gesto di stringersi o di torcersi le mani. In alcune società questo costituisce il saluto standard di pacificazione, mentre in altre viene effettuato soltanto in situazioni estreme di implorazione.
Nel campo delle manifestazioni di sottomissione, esistono molte altre particolarità culturali, come il lancio della spugna o la presentazione della bandiera bianca, che però in questa sede non ci interessano. Vogliamo tuttavia accennare a qualcuno dei più semplici meccanismi di "remotivazione", se non altro perché hanno un rapporto interessante con forme analoghe presenti in altre specie. Come ricorderete, alcune forme di comportamento di tipo giovanile, sessuale o di pulizia, vengono effettuate verso gli individui aggressivi o potenzialmente aggressivi, come sistema per suscitare sentimenti non aggressivi che a loro volta entrano in lotta con quelli più violenti e li eliminano. Nella nostra specie, il comportamento di tipo giovanile da parte di adulti sottomessi è particolarmente diffuso durante il corteggiamento. Spesso la coppia in fase di corteggiamento adotta un linguaggio di tipo "infantile", non perché si stia avviando sulla strada giusta per avere figli, ma perché questo suscita nel compagno sentimenti teneri e protettivi di tipo materno o paterno, sopprimendo quindi quelli più aggressivi (o che più incutono timore). Ripensando alla manifestazione di questo comportamento nel corteggiamento alimentare degli uccelli, è divertente notare lo straordinario aumento del nutrimento scambievole durante il nostro corteggiamento. In nessun altro momento della nostra vita dedichiamo tanti sforzi a metterci scambievolmente in bocca bocconcini prelibati o ad offrirci scatole di cioccolatini.
La remotivazione in senso sessuale si manifesta quando un individuo inferiore, sia maschio che femmina, assume un atteggiamento genericamente "femminile" verso un individuo più forte (sia maschio che femmina), in una situazione più aggressiva che sessuale. Questa è una cosa molto diffusa, ma il caso particolare dell'adottare come gesto di pacificazione la posizione sessuale femminile posteriore è praticamente scomparsa insieme alla posizione sessuale originale.
Adesso si limita soprattutto ad una forma di punizione scolastica ancora in uso in certe civiltà progredite, in cui le frustate ritmiche sostituiscono le spinte pelviche ritmiche del maschio dominatore. Non sappiamo se gli educatori continuerebbero in questa usanza se si rendessero pienamente conto del fatto che in realtà essi effettuano con i loro allievi una antica forma rituale di copula caratteristica dei primati. Si potrebbe infliggere la punizione alle vittime senza costringerle ad assumere la posizione femminile piegata di sottomissione. (E' significativo il fatto che raramente le studentesse vengono picchiate in questo modo perché le origini sessuali dell'atto diventerebbero troppo evidenti.) Un esperto in materia ha suggerito l'ipotesi fantasiosa che il motivo per cui gli allievi vengono talvolta obbligati ad abbassarsi i calzoni per la somministrazione del castigo non è in rapporto con l'aumento del dolore, ma piuttosto col fatto che in tal modo il maschio dominatore è in grado di osservare l'arrossamento delle natiche man mano che la battitura procede, il che gli ricorda in maniera vivida la vampata a cui è soggetta la parte posteriore della femmina del primate in pieno eccitamento sessuale. A parte se ciò sia vero o meno, una cosa è certa riguardo a questo straordinario rito e cioè che esso come meccanismo remotivante di pacificazione costituisce un completo insuccesso. Quanto più lo sfortunato allievo stimola il maschio dominatore da un punto di vista cripto-sessuale, tanto più questi è portato a continuare il rito e poiché le spinte pelviche ritmiche si sono simbolicamente trasformate in ritmici colpi della canna, la vittima si ritrova al punto di partenza. Essa è riuscita a far deviare un attacco diretto in uno di tipo sessuale, ma è stata giocata dalla simbolica trasformazione della manifestazione sessuale in una di tipo nuovamente aggressivo.
Il terzo meccanismo remotivante, cioè quello della pulizia, nella nostra razza ha una funzione meno importante, ma piuttosto utile.
Spesso, per calmare un individuo in stato di agitazione, noi lo lisciamo e lo accarezziamo e molti tra i più importanti membri della società passano lunghe ore facendosi curare e accudire da dipendenti.
Torneremo su questo argomento in un altro capitolo. Anche le attività di spostamento hanno una funzione nei nostri scontri aggressivi ed infatti sono presenti in quasi tutte le situazioni di stress o di tensione. Noi però differiamo dagli altri animali perché non ci limitiamo a poche manifestazioni di spostamento tipiche della specie, ma praticamente ci serviamo di qualunque azione insignificante come sfogo per i nostri sentimenti repressi. Quando ci troviamo in uno stato di agitazione e di conflitto, riordiniamo dei ninnoli, accendiamo una sigaretta, puliamo gli occhiali, guardiamo l'orologio, ci versiamo da bere, oppure sgranocchiamo qualcosa da mangiare.
Naturalmente ciascuna di queste azioni potrebbe essere compiuta per normali motivi funzionali, mentre sotto la forma di attività di spostamento esse non adempiono più a queste funzioni. I ninnoli che riordiniamo erano già ben disposti e anzi dopo il nostro agitato riordinamento talvolta si trovano in uno stato peggiore. La sigaretta che accendiamo in un momento di tensione talvolta viene iniziata quando ne abbiamo spenta una perfettamente buona e non ancora terminata. Anche il numero di sigarette fumate durante la tensione non ha alcun rapporto con ulteriori richieste fisiologiche di nicotina da parte del sistema nervoso. Gli occhiali che lustriamo con tanta cura, erano già puliti. L'orologio che carichiamo con tanto vigore, non aveva bisogno di essere caricato, e quando lo guardiamo, i nostri occhi non si accorgono neppure di che ora segni. Se beviamo una bevanda di spostamento non è perché abbiamo sete. Se sgranocchiamo un qualunque cibo di spostamento non è perché abbiamo fame. Tutte queste azioni non vengono compiute per la normale soddisfazione che comportano, ma per fare qualcosa, nel tentativo di alleviare la tensione. Questo accade con particolare frequenza nelle fasi iniziali degli incontri sociali, in cui sotto la superficie si celano timori nascosti ed aggressività. In un pranzo o in qualunque piccola riunione sociale, una volta terminate le scambievoli cerimonie di pacificazione della stretta di mano e del sorriso, immediatamente vengono offerte sigarette, bevande e spuntini di spostamento. Anche nei trattenimenti su scala più vasta, come teatro e cinematografo, il susseguirsi degli eventi viene deliberatamente interrotto da brevi intervalli in cui il pubblico può abbandonarsi a rapide manifestazioni delle sue attività preferite di spostamento.
Quando ci troviamo in momenti di intensa tensione aggressiva, tendiamo a ritornare alle attività di spostamento del tipo che abbiamo in comune con le altre razze di primati e i nostri modi di sfogarci diventano più primitivi. In una situazione del genere, uno scimpanzé compie agitati e ripetuti movimenti di grattamento, di un tipo particolare e diverso dalla normale reazione al prurito, limitati soprattutto alla zona del capo o talvolta delle braccia e piuttosto stilizzati. Noi ci comportiamo all'incirca nello stesso modo, compiendo azioni di pulizia e di spostamento, di tipo pomposo.
Ci grattiamo la testa, ci mordiamo le unghie, ci "laviamo" la faccia con le mani, ci tiriamo la barba e i baffi se li abbiamo, ci aggiustiamo la pettinatura, ci strofiniamo, ci pizzichiamo, ci soffiamo il naso, fiutiamo, ci carezziamo i lobi delle orecchie e ci puliamo il condotto auditivo, ci strofiniamo il mento, ci tocchiamo le labbra, o ci strofiniamo le mani come se volessimo sciacquarle.
Se osserviamo attentamente i movimenti di grave conflitto, vediamo che queste attività vengono tutte compiute in un modo rituale, senza l'accurato e localizzato adattamento delle vere azioni di pulizia. Il grattarsi la testa come attività di spostamento in un individuo può presentare delle marcate differenze dal suo equivalente in un altro, ma ognuno manifesta un suo modo di farlo fisso e caratteristico.
Queste azioni non comportano una vera pulizia e non ha importanza che una zona riceva tutta l'attenzione, mentre le altre vengono ignorate.
In qualunque azione sociale e reciproca che si svolge in un piccolo gruppo di individui, i membri subordinati del gruppo sono facilmente riconoscibili dalla grande frequenza con cui compiono azioni di spostamento di autopulizia. L'individuo che domina il gruppo lo si può riconoscere dall'assenza quasi completa di questo tipo di azioni.
Quando il capo evidente di un gruppo compie un numero maggiore di piccole attività di spostamento, ciò vuol dire che il suo predominio ufficiale è in qualche modo minacciato da qualcuno degli individui presenti. Nel parlare di tutte queste forme di comportamento di aggressività e di sottomissione, abbiamo presunto che gli individui interessati abbiano detto la verità e non abbiano coscientemente e volutamente modificato il loro modo di agire, per raggiungere degli scopi particolari. Noi "mentiamo" più con le parole che con gli altri segnali di comunicazione, ma anche in questo caso non si tratta di un fenomeno da ignorare completamente. Mediante le forme di comportamento di cui abbiamo parlato, è estremamente difficile ma non impossibile "esprimere" delle menzogne. Come ho già detto, quando i genitori adottano questo sistema con i bambini piccoli, di solito falliscono più clamorosamente di quanto si rendano conto. Con gli adulti che si interessano maggiormente al contenuto informativo verbalizzato delle azioni reciproche, si può ottenere un maggiore successo. Sfortunatamente per colui che ha un comportamento menzognero, questi di solito mente soltanto con alcuni particolari elementi del suo sistema di segnalazione, mentre altri di cui non si rende conto svelano il gioco. I mentitori che hanno maggior successo sono quelli che invece di concentrarsi coscientemente nel modificare i segnali specifici, pensano di trovarsi nello stato d'animo fondamentale che vogliono comunicare e lasciano perdere i piccoli dettagli. Questo metodo viene spesso usato con successo dai mentitori di professione come gli attori e le attrici che passano tutta la loro vita di lavoro a manifestare un comportamento menzognero, il che talvolta riesce estremamente dannoso nella loro vita privata. Anche gli uomini politici e i diplomatici devono manifestare un comportamento troppo spesso menzognero, ma al contrario degli attori non sono socialmente "autorizzati a mentire", per cui il senso di colpa che ne deriva tende ad ostacolare le loro manifestazioni.
Inoltre, sempre al contrario degli attori, essi non seguono dei prolungati corsi di addestramento.
Anche senza l'addestramento professionale, mediante un piccolo sforzo ed una attenta osservazione degli elementi presentati in questo libro, è possibile raggiungere l'effetto desiderato.
Personalmente l'ho provato volutamente con un certo successo in due occasioni, nei riguardi della polizia. Ho pensato che se esiste una forte tendenza biologica a venire placati da accessi di sottomissione, questa predisposizione deve essere suscettibile di modificazioni, usando i segnali adatti. La maggior parte dei guidatori, quando vengono fermati dalla polizia a causa di qualche trasgressione automobilistica di scarsa importanza, reagiscono immediatamente protestando la loro innocenza o adducendo una scusa di qualche genere per il loro modo di comportarsi. Nel fare questo, difendono il proprio territorio (mobile) e si mostrano come rivali territoriali. Questa è la peggiore maniera di comportarsi, perché spinge la polizia a contrattaccare. Se invece si adotta un atteggiamento di vile sottomissione, per il poliziotto sarà sempre più difficile evitare una sensazione di pacificazione. Una completa ammissione di colpa dovuta a semplice stupidità e inferiorità mette il poliziotto in una immediata posizione di predominio che gli rende difficile l'attacco. Bisogna esprimere gratitudine ed ammirazione per la tempestività della sua azione nel fermarvi. Le parole non sono però sufficienti, ma bisogna aggiungere gli atteggiamenti ed i gesti adatti. Dovete dimostrare chiaramente timore e sottomissione, sia nell'atteggiamento del corpo che nell'espressione del viso, ma soprattutto è essenziale scendere rapidamente dall'automobile ed allontanarsene dirigendosi verso il poliziotto. Non gli si deve consentire di venirvi vicino, perché questo vorrebbe dire averlo spinto fuori della sua strada e quindi minacciato. Inoltre, restando in macchina, voi rimanete nel vostro territorio, mentre se scendete, automaticamente indebolite il vostro stato territoriale. Ancora, la posizione seduta in macchina è di per sé un atteggiamento di superiorità. Il potere della posizione seduta costituisce un elemento insolito del nostro modo di comportarci. Nessuno può sedere se "il Re" sta in piedi. Se "il Re" si alza, tutti si alzano. Questa è una eccezione particolare alla regola generale dell'aggressività, insita nella posizione verticale che afferma che l'aumento della sottomissione si associa ad una diminuzione dell'atteggiamento.
Lasciando la macchina voi venite a perdere sia i vostri diritti territoriali che la posizione seduta di predominio, per mettervi in uno stato appropriato di debolezza adatto all'azione di sottomissione che deve seguire. Stando in piedi, è però importante non tenere il corpo eretto, ma rannicchiato, abbassando leggermente il capo ed in genere curvandosi. Il tono della voce ha molta importanza, come pure le parole che si dicono. Sono anche molto utili l'espressione ansiosa del viso e i movimenti intesi a distogliere lo sguardo a cui per buona misura si può aggiungere qualche attività di spostamento e di autopulizia. Sfortunatamente, l'individuo, come guidatore di una macchina, si trova fondamentalmente nello stato d'animo aggressivo di difesa del proprio territorio ed è estremamente difficile mentire a questo riguardo. Ciò richiede una notevole pratica o una buona ed attiva conoscenza dei segnali non verbali di comportamento. Se nella vostra vita ordinaria non riuscite a dominarvi perfettamente, questa esperienza, anche se voluta coscientemente e deliberatamente, può riuscire eccessivamente sgradevole, per cui è preferibile pagare la multa.
Sebbene questo capitolo riguardi il nostro modo di comportarci nella lotta, finora abbiamo trattato soltanto dei metodi per evitare un reale combattimento.
Quando la situazione degenera nel contatto fisico, lo scimmione nudo, quando non è armato, si comporta in un modo che contrasta in maniera interessante con quello che si riscontra negli altri primati.
Per questi ultimi, le armi più importanti sono i denti, mentre per noi sono le mani. Laddove essi afferrano e mordono, noi afferriamo e stringiamo oppure colpiamo con i pugni chiusi. Solo nei neonati o nei bambini molto piccoli, l'atto di mordere assume una funzione significativa nella lotta senza armi, perché in essi naturalmente i muscoli del braccio e della mano non si sono ancora sviluppati a sufficienza per intervenire in modo efficace.
Attualmente possiamo osservare svariate versioni altamente stilizzate di lotta senza armi tra adulti, come la lotta libera, lo judo e la boxe, mentre è raro vederla nella sua forma primitiva senza modificazioni. Una volta che è iniziata la lotta vera, entrano in gioco armi artificiali di qualche genere. Nelle manifestazioni più primitive, queste vengono lanciate o usate come prolungamento del pugno per menare colpi pesanti. In speciali condizioni, gli scimpanzé sono stati in grado di spingere l'attacco fino a questo punto. E' stato osservato che in condizioni di semicattività essi afferrano un ramo e lo sbattono con violenza sul corpo di un leopardo imbalsamato oppure staccano delle zolle di terra e le scagliano sui passanti attraverso un fossato pieno d'acqua. Abbiamo scarse prove che essi usino questi stessi metodi con la medesima intensità allo stato selvaggio e nessuna che se ne servano tra di loro nelle liti tra rivali. Tuttavia, essi ci danno un'idea del modo in cui hanno avuto inizio, e cioè che le armi artificiali si sono sviluppate originariamente come mezzo di difesa contro le altre specie e per uccidere la preda. Il loro uso nella lotta interna specifica quasi certamente fu una tendenza secondaria, quando le armi erano già pronte e disponibili in ogni caso di emergenza, a prescindere dall'ambito in cui questo si presentava. L'arma artificiale più semplice consiste in un oggetto naturale e non modificato, di legno e di pietra. Mediante semplici miglioramenti nella forma di questi oggetti, le azioni primitive di lanciare e di colpire divennero più efficaci con l'aggiunta dei movimenti di trafiggere, di tagliare e di ferire.
La successiva importante tendenza nei metodi di attacco consisté nell'aumentare la distanza tra l'assalitore e il proprio nemico, mossa questa che per poco non fu la nostra rovina. Le lance possono funzionare a distanza, ma hanno una portata troppo limitata. Le frecce sono migliori, ma mancano di precisione. Le armi allargano il campo di azione in modo drammatico, ma le bombe sganciate dal cielo possono colpire una zona più vasta ed i razzi a tappeto spingono ancora oltre "l'attacco" dell'assalitore. Come conseguenza, i nemici, invece di essere sconfitti, vengono distrutti indiscriminatamente.
Come ho già spiegato prima, il giusto scopo dell'aggressione intra-specifica a livello biologico consiste nel sottomettere il nemico, non nell'ucciderlo. Le fasi finali dell'uccisione vengono evitate in quanto il nemico fugge oppure si sottomette. In entrambi i casi lo scontro finisce e la controversia è risolta. Quando invece l'attacco viene effettuato da una distanza che non consente che i segnali di pacificazione del perdente vengano decifrati dal vincitore, l'aggressione continua ad infuriare violentemente. Può risolversi solo mediante un confronto diretto, accompagnato da una degradante sottomissione o da una fuga precipitosa del nemico. Nelle moderne aggressioni a distanza, non si può osservare nessuno dei due casi, per cui il risultato consiste in uno sterminio di entità sconosciuta in qualunque altra specie. La nostra capacità di collaborazione, che si è sviluppata in modo particolare, consiste nel favorire e nell'aiutare questo massacro. Quando migliorammo questa importante caratteristica in rapporto alla preda da cacciare, essa ci fu molto utile, ma adesso ci si è ritorta contro. Il potente impulso ad aiutarci scambievolmente a cui essa ha dato luogo, adesso può provocare delle violente stimolazioni nell'ambito delle aggressioni intra-specifiche. La lealtà nella caccia è diventata lealtà nel combattere e così è nata la guerra. E' una ironia che la causa fondamentale di tutti i più grandi orrori della guerra sia stata l'evoluzione di un impulso profondamente radicato ad aiutare i nostri simili. Essa ci ha spinto avanti, dandoci le micidiali bande, le combriccole, le orde e gli eserciti. Senza di esse noi mancheremmo di coesione e l'aggressività diventerebbe di nuovo "personalizzata".
Alcuni hanno pensato che dato che noi ci siamo evoluti come uccisori specializzati della preda, automaticamente siamo diventati uccisori-rivali e che quindi dentro di noi vi sia un impulso innato ad uccidere il nostro antagonista. Come ho già spiegato, l'evidenza è contraria a questa teoria. Quello che l'animale vuole è la sconfitta, non l'uccisione; lo scopo dell'aggressività è il predominio, non la distruzione e a questo riguardo non sembra che noi differiamo, fondamentalmente, dalle altre specie, né vi è nessuna buona ragione per cui dovremmo farlo. A causa della sfavorevole associazione dell'attacco a distanza e della collaborazione di gruppo, il fine originale nella lotta è diventato confuso per gli individui interessati. Adesso essi si attaccano più per sostenere i loro compagni che per dominare i propri nemici e la tendenza innata ad una pacificazione diretta non ha quasi nessuna possibilità di manifestarsi. Questa disgraziata evoluzione potrebbe dimostrarsi la nostra rovina e portare ad una rapida estinzione della specie Questo dilemma ha provocato giustamente molti grattacapi di spostamento. La soluzione favorita consiste in un massiccio e reciproco disarmo che per essere efficace dovrebbe essere spinto a degli estremi quasi impossibili mediante i quali si garantirebbe che tutti i futuri combattimenti si svolgerebbero come lotte ravvicinate e in cui potrebbero di nuovo entrare in azione i segnali diretti ed automatici di pacificazione.
Un'altra soluzione consiste nell'eliminare il patriottismo dei diversi gruppi sociali, il che però andrebbe contro un fondamentale aspetto biologico della nostra razza. Le alleanze che si potrebbero formare da un lato si romperebbero dall'altro. La tendenza a formare dei gruppi sociali interni non si può sradicare senza un fondamentale cambiamento genetico della nostra struttura, il che automaticamente porterebbe ad una disintegrazione del nostro complesso sistema sociale.
Una terza soluzione consiste nel fornire e nel favorire dei sostituti innocui e simbolici della guerra, ma se questi sono realmente innocui, inevitabilmente fanno molto poco per la soluzione reale del problema. Vale la pena di ricordare che questo problema nel campo biologico fa parte della difesa territoriale del gruppo e, in vista dell'evidente sovraffollamento della nostra specie, anche dell'espansione territoriale del gruppo. Nessun rumoroso foot-ball internazionale è in grado di risolverlo.
Una quarta soluzione consiste nel migliorare il controllo intellettivo dell'aggressività.
E' stato obiettato che dato che è stata la nostra intelligenza a metterci in questo pasticcio, spetta a lei tirarcene fuori.
Sfortunatamente, i nostri centri cerebrali superiori, per quel che riguarda le fondamentali difese territoriali, sono troppo influenzabili dagli impulsi dei centri inferiori. Il controllo esercitato dall'intelligenza ci può aiutare fino a questo punto ma non oltre. In ultima analisi non ci si può contare, per cui una sola azione irrazionale ed emotiva può rovinare tutto quello che si era già ottenuto.
L'unico modo di risolvere il problema in maniera biologicamente sana consiste in un massiccio spopolamento o in una rapida diffusione della nostra razza su altri pianeti, se possibile associata all'effettuazione delle altre azioni già dette.
Noi ben sappiamo che se il numero della popolazione continuerà ad aumentare con la stessa spaventosa rapidità odierna, l'aggressività si svilupperà in maniera incontrollabile e drammatica. Questo fatto è stato dimostrato in modo conclusivo con esperimenti di laboratorio.
Il sovraffollamento eccessivo determinerà uno stress e una tensione sociale che distruggeranno l'organizzazione della nostra comunità, molto prima di farci morire di fame, operando direttamente contro il miglioramento del controllo intellettivo e aumentando paurosamente le probabilità di un'esplosione emotiva. Questa tendenza si può prevenire soltanto con una notevole diminuzione del numero delle nascite. Purtroppo al riguardo esistono due gravi difficoltà. Come già ho spiegato, l'unità familiare, che costituisce tuttora la base fondamentale di tutte le nostre società, è un mezzo per l'allevamento della prole ed attualmente si è evoluta in una forma complessa e progredita, come un sistema per generare, proteggere e far crescere i figli. Se questa funzione venisse ad essere gravemente o temporaneamente eliminata, lo schema della coppia fissa ne soffrirebbe, il che porterebbe ad un caos sociale. Se invece si cercasse di fare un tentativo basato sulla selezione per arginare l'ondata delle nascite, consentendo ad alcune coppie di procreare liberamente ed impedendo ad altre di farlo, questo andrebbe contro il fondamentale spirito di collaborazione della società. Per dirla in breve, in semplici termini numerici, se si vuole mantenere la comunità ad un livello fisso, bisogna che a tutti i membri adulti della popolazione che si accoppiano ed hanno figli non sia consentito di averne più di due per coppia. In questo modo, praticamente, ogni individuo sostituirebbe se stesso o se stessa.
Tenendo conto del fatto che, già adesso, una piccola percentuale della popolazione non si sposa e non ha figli e che vi sarà sempre un certo numero di morti premature dovute a lesioni accidentali o ad altre cause, in realtà la famiglia media potrebbe essere leggermente più numerosa. Anche in queste caso, il meccanismo di formazione della coppia ne verrebbe gravemente a soffrire. Il minor peso della prole farebbe sì che per mantenere la coppia strettamente legata, si dovrebbero effettuare sforzi maggiori in altre direzioni. A lunga scadenza, questo costituisce comunque un rischio molto minore dell'altra alternativa per reprimere il sovraffollamento.
Per riassumere, la soluzione migliore per garantire la pace nel mondo consiste nel promuovere la diffusione dei mezzi antifecondativi o dell'aborto. L'aborto è una misura drastica che può comportare gravi disturbi emotivi. Inoltre, una volta che, mediante l'atto della fecondazione, si è formato lo zigote, questo costituisce un nuovo membro della società e la sua eliminazione rappresenta in realtà un atto di aggressione, cioè proprio quel lato del comportamento che cerchiamo di controllare. Ovviamente sono preferibili i mezzi antifecondativi e qualunque setta religiosa o "moralizzatrice" che vi si oppone, deve affrontare il fatto che in tal modo essa si impegna in pericolose trattative con la guerra.
Riguardo al problema religioso, forse è bene osservare più attentamente questo strano aspetto del comportamento animale, prima di continuare a trattare gli altri lati delle attività aggressive della nostra specie. Non è un soggetto facile da affrontare, ma come zoologi dobbiamo fare del nostro meglio per osservare quello che accade in realtà piuttosto che ascoltare quello che si presume stia accadendo. Pertanto, siamo obbligati a concludere che, dal punto di vista del comportamento, le manifestazioni religiose consistono nella riunione di gruppi numerosi di individui che compiono ripetute e prolungate esibizioni di sottomissione intese a placare un individuo dominatore il quale nelle diverse civiltà assume forme svariate che hanno sempre in comune tra loro l'elemento di una immensa potenza.
Talvolta esso assume la forma di un animale appartenente ad un'altra specie oppure di una sua versione idealizzata. Talvolta viene raffigurato come un membro saggio ed anziano della nostra razza.
Talaltra invece diventa più astratto e viene indicato semplicemente come lo "stato" o con termini del genere. Le reazioni di sottomissione nei suoi riguardi possono consistere nel chiudere gli occhi, piegare il capo, stringere le mani insieme in un gesto di preghiera, inginocchiarsi, baciare il terreno, fino a una prosternazione completa frequentemente accompagnata da lamenti o da vocalizzazioni cantate. Se queste manifestazioni di sottomissione hanno successo, l'individuo dominatore si placa. Poiché i suoi poteri sono enormi, le cerimonie di pacificazione devono essere compiute a frequenti e regolari intervalli, in modo da impedire che la sua collera sorga di nuovo. Spesso, ma non sempre, l'individuo dominatore viene indicato come un dio. Dato che nessuna divinità ha una forma tangibile, perché gli dei sono stati inventati? Per trovare questa risposta dobbiamo ritornare alle nostre origini ancestrali. Prima di trasformarci in cacciatori animati da spirito di collaborazione, probabilmente noi vivevamo in gruppi sociali del genere che oggi si riscontra in altre razze di scimmie o di scimmioni. In queste razze, di solito, ogni gruppo è dominato da un solo maschio. Egli è signore e padrone e ogni membro del gruppo è tenuto a placarlo per non soffrirne le conseguenze. Egli è anche il più attivo nel proteggere il gruppo dai pericoli esterni e nel sedare le controversie tra i membri inferiori. Tutta la vita dei membri di questi gruppi si impernia intorno all'animale dominatore, la cui assoluta potenza gli conferisce uno stato di divinità. Ritornando ai nostri immediati predecessori, è chiaro che con lo sviluppo dello spirito di collaborazione tanto importante per il successo della caccia di gruppo, l'autorità dell'individuo dominatore dovette essere fortemente limitata, se questi voleva conservare la lealtà attiva, invece che passiva, degli altri membri del gruppo. Essi dovevano desiderare di aiutarlo, non temerlo semplicemente. Egli doveva diventare sempre più "uno di loro". La scimmia tiranno vecchio stile dovette scomparire e al suo posto sorse un capo scimmione nudo più tollerante e collaborativo. Questo passo fondamentale per il nuovo tipo di organizzazione basata "sull'aiuto reciproco" che si stava sviluppando, fece però sorgere un problema. Poiché l'assoluto dominio del Numero Uno del gruppo era stato sostituito da un dominio di tipo qualificato, questi non poteva più pretendere una fedeltà cieca.
Questo cambiamento nell'ordine delle cose, pur così vitale per il nuovo sistema sociale, creò un vuoto. A causa delle nostre antiche abitudini, esisteva la necessità di una figura dalla potenza assoluta, in grado di mantenere unito il gruppo; questo vuoto venne riempito dall'invenzione di un dio. In tal modo, l'influenza di questa figura divina, inventata, si aggiunse come una ulteriore forza all'influsso, ora limitato, del capo del gruppo. A prima vista, è sorprendente che la religione abbia avuto tanto successo, ma la sua estrema potenza è semplicemente dovuta alla forza della nostra fondamentale tendenza biologica, ereditata direttamente dai nostri antenati scimmie e scimmioni, a sottometterci ad un membro del gruppo onnipotente e dominatore. Per questo motivo la religione si è dimostrata un meccanismo di valore immenso nel favorire l'unione sociale e non sappiamo se, senza di essa, la nostra specie avrebbe potuto spingersi così lontano, data la combinazione unica di circostanze delle nostre origini evolutive. Essa ci ha portato a diverse e bizzarre conseguenze collaterali, come il credere in "un'altra vita" in cui infine ci incontreremo con le figure degli dei. Questi, per le ragioni già spiegate, non hanno potuto raggiungerci nella vita presente, ma questa omissione potrà essere corretta nella vita ultraterrena. Per facilitare tutto ciò, si sono sviluppati tipi svariatissimi di pratiche strane in rapporto al modo di disporre del nostro corpo dopo la morte.
La religione ha dato luogo anche a molte inutili sofferenze e miserie quando è stata applicata troppo formalisticamente e quando gli "assistenti" professionali degli dei non sono stati capaci di resistere alla tentazione di prendere in prestito un poco della sua potenza e di servirsene. Nonostante la sua storia presenti molteplici aspetti, essa costituisce un lato della nostra vita sociale, di cui non possiamo fare a meno. Quando diventa inaccettabile, viene respinta semplicemente e talvolta con violenza, ma in meno che non si dica ritorna in una nuova forma, magari accuratamente mascherata, ma sempre con gli stessi vecchi elementi fondamentali. Noi dobbiamo semplicemente "credere" in qualche cosa. Soltanto un credo comune ci unisce e ci tiene sotto controllo. Con questi presupposti, si potrebbe obiettare che qualunque credenza dovrebbe andare bene, purché abbastanza potente, ma questo non è completamente vero.
Bisogna che essa eserciti una certa impressione e che questa sia evidente. La nostra natura comunitaria esige un'effettuazione ed una partecipazione in complicati riti di gruppo. Eliminando la "pompa" e l'"ambiente", si verrebbe a creare un terribile vuoto culturale e l'indottrinazione non riuscirebbe ad operare adeguatamente al profondo livello emotivo ad essa tanto vitale. Inoltre, alcuni tipi di credo sono più inutili e pomposi di altri e possono far deviare una società in rigidi schemi di comportamento che ne ostacola lo sviluppo qualitativo. Come razza, noi siamo degli animali intelligenti ed amanti dell'esplorazione e le credenze legate a questo fatto ci riescono molto vantaggiose. La credenza nella validità dell'acquisizione della conoscenza e della comprensione scientifica del mondo in cui viviamo, la creazione e l'apprezzamento dei fenomeni estetici nelle loro molteplici forme e l'ampliamento e l'approfondimento della nostra gamma di esperienze nella vita quotidiana, sta rapidamente diventando la "religione" della nostra epoca. L'esperienza e la comprensione sono le nostre figure divine astratte che l'ignoranza e la stupidità fanno adirare. Le scuole e le università sono i nostri centri di addestramento religioso; le librerie, i musei, le gallerie d'arte, i teatri, le sale da concerto e le palestre sportive, i nostri luoghi di adorazione comune. A casa noi pratichiamo questa adorazione mediante i libri, i giornali, le riviste, la radio e la televisione. In un certo senso, noi crediamo ancora in una vita ultraterrena, perché una parte del compenso che riceviamo dal nostro lavoro creativo sta nella sensazione che per suo mezzo noi "continueremo a vivere", anche dopo morti. Come tutte le religioni, anche questa ha i suoi pericoli, ma se dobbiamo averne una (e pare proprio che sia così), questa sembra senz'altro la più adatta alle caratteristiche uniche della nostra specie. Il fatto che essa venga adottata da una maggioranza sempre crescente della popolazione mondiale, può servire come compenso e come fonte di ottimismo e di rassicurazione contro il pessimismo espresso prima riguardo al nostro immediato futuro come specie sopravvivente. Prima di intraprendere questa discussione sulla religione, noi avevamo esaminato la natura di un solo aspetto dell'organizzazione dell'aggressività nella nostra specie, cioè la difesa territoriale di gruppo. Come ho spiegato all'inizio di questo capitolo, l'uomo è un animale con tre distinte forme sociali di aggressione, per cui adesso dobbiamo esaminare le altre due.
Esse sono la difesa territoriale dell'unità familiare nell'ambito più vasto del gruppo e il mantenimento della posizione gerarchica individuale e personale.
La difesa speciale del rifugio del gruppo familiare continua ad accompagnarci nonostante i nostri imponenti progressi architettonici.
Anche gli edifici più ampi, costruiti a scopo di abitazione, sono accuratamente divisi in unità uguali, ognuna delle quali contiene una famiglia. Dal punto di vista dell'architettura, "la divisione del lavoro" è stata scarsa o nulla. Anche l'invenzione di edifici comuni per mangiare e per bere, come i restaurant e i bar, non ha eliminato la presenza della stanza da pranzo negli appartamenti per famiglie.
Nonostante altri progressi, lo schema dei nostri paesi e delle nostre città risente ancora della nostra antica necessità di scimmioni nudi di dividere i gruppi in piccoli e separati territori familiari. Nei casi in cui le abitazioni non sono divise in gruppi di appartamenti, la zona da difendere viene accuratamente circondata da steccati e da mura oppure separata dai vicini e le linee di demarcazione sono rigidamente rispettate e considerate come nelle altre specie territoriali.
Uno degli aspetti più importanti del territorio familiare consiste nel fatto che questo deve essere facilmente distinguibile dagli altri. Naturalmente, la sua localizzazione separata gli conferisce una caratteristica unica che però non è sufficiente. La sua forma e il suo aspetto generico devono farlo risaltare come una entità facilmente identificabile, così che possa diventare una proprietà "personalizzata" della famiglia che vi abita. Ciò sembra abbastanza ovvio, ma spesso questo aspetto è stato trascurato o ignorato, sia come conseguenza di necessità economiche, sia per mancanza di consapevolezza biologica da parte degli architetti. In tutto il mondo, nei paesi e nelle città, sono state costruite file interminabili di case identiche e uniformemente ripetute. La situazione è anche più grave nel caso dei blocchi di appartamenti. Il danno psicologico arrecato al territorialismo delle famiglie costrette a vivere in queste condizioni da architetti, progettisti e costruttori, è incalcolabile. Fortunatamente le famiglie interessate possono conferire caratteristiche di unicità territoriale alle loro abitazioni, in altri modi. Gli edifici possono essere dipinti in colori diversi; i giardini, quando vi sono, possono essere ornati di piante e disegnati secondo uno stile individuale. L'interno delle case o degli appartamenti può venire decorato e riempito con una grande quantità di ornamenti, bric-à-brac e proprietà personali. Di solito ciò si spiega dicendo che lo si fa perché il posto "sembri carino". In realtà si tratta dell'equivalente esatto di quello che fa un'altra specie territoriale quando deposita il suo odore personale in un punto di riferimento vicino alla tana. Quando mettete il vostro nome sulla porta o appendete un quadro al muro, voi state, in termine di cane o di lupo, alzando semplicemente la gamba per lasciarvi il vostro segno personale. In alcuni individui che per qualche motivo avvertono un bisogno eccezionalmente violento di delimitare il proprio territorio, si riscontra una "raccolta" ossessiva di particolari categorie di oggetti. Tenendo presente tutto ciò, è divertente notare il gran numero di automobili che contengono piccoli portafortuna ed altri simboli di identificazione personale, oppure osservare l'uomo di affari quando si trasferisce in un nuovo ufficio e immediatamente schiera sulla scrivania il proprio fermacarte, il portapenne e magari una fotografia della moglie. L'automobile e l'ufficio sono sub-territori, prolungamento della sua casa base ed è un gran sollievo essere in grado di alzare la gamba anche su questi, trasformandoli in ambienti più familiari e più personali.
Rimane il problema dell'aggressività in rapporto al predominio nella gerarchia sociale. Anche l'individuo deve essere difeso in contrapposizione ai posti che frequenta. Egli deve mantenere, e se possibile migliorare, il suo stato sociale, ma ciò va fatto con precauzione per non compromettere i contatti collaborativi. E' qui che entrano in gioco tutte le sottili segnalazioni di aggressione e di sottomissione. La collaborazione di gruppo esige ed ottiene un alto grado di conformità sia nel modo di vestire sia di comportarsi, ma anche nelle limitazioni di questa conformità esiste un vasto campo di azione per la competizione gerarchica che a motivo di queste esigenze contrastanti raggiunge un grado di sottigliezza quasi incredibile. La forma esatta del nodo della cravatta, la maniera precisa di fare sporgere il fazzoletto dal taschino, la distinzione sottile dell'accento ed altre caratteristiche apparentemente insignificanti assumono un significato sociale di importanza vitale nel determinare la posizione sociale dell'individuo. Un membro esperto della società è in grado di decifrarle a prima vista, ma si sentirebbe completamente sperduto se dovesse farlo dopo essere stato improvvisamente scaraventato nella gerarchia sociale di una tribù della nuova Guinea; nella propria civiltà, invece, egli è obbligato a diventare rapidamente un esperto. Queste sottili differenze nel modo di vestirsi e di comportarsi in se stesse sono completamente prive di significato, ma diventano estremamente importanti in rapporto al gioco di raggiungere una posizione nel predominio gerarchico e di mantenerla. Naturalmente noi non ci siamo evoluti per vivere in vasti conglomerati di migliaia di individui. Il nostro comportamento è stato inteso per manifestarsi in piccoli gruppi tribali probabilmente inferiori ai cento individui. In questa situazione ciascun membro della tribù è conosciuto personalmente dagli altri, come avviene oggi nelle altre razze di scimmie e di scimmioni. In questo tipo di organizzazione sociale, il predominio gerarchico facilmente si afferma e si stabilizza con lenti cambiamenti man mano che gli individui invecchiano e muoiono.
Nella comunità di una grande città, la situazione è molto più carica di tensione. Ogni giorno l'abitante della città è esposto ad improvvisi contatti con innumerevoli estranei, una condizione questa che non si verifica mai in nessuna altra specie di primati. Malgrado la tendenza naturale, è impossibile stringere con tutti costoro un rapporto gerarchico personale. Invece noi consentiamo a questi individui di passarci accanto senza dominarli e senza esserne dominati. Per favorire questa mancanza di contatti sociali, si sono sviluppate delle forme di comportamento contrarie al contatto. Di questo abbiamo già parlato trattando il comportamento sessuale, quando un individuo incidentalmente ne tocca un altro appartenente al sesso opposto, ma ciò implica qualcosa di più dell'evitare semplicemente il comportamento sessuale. Esso comprende l'intera gamma dell'iniziazione ai rapporti sociali. Evitando accuratamente di fissarci l'un l'altro, facendo dei gesti scambievoli, emettendo qualunque tipo di segnalazione o effettuando dei contatti fisici corporei, noi cerchiamo di sopravvivere in una situazione sociale che altrimenti sarebbe impossibile ed eccessivamente stimolante. Quando veniamo meno alla regola del non toccare, immediatamente ci scusiamo per spiegare che si è trattato di un fatto puramente accidentale. Il comportamento anti-contatto ci consente di mantenere il numero delle nostre conoscenze ad un livello giusto per la nostra specie. Noi ci comportiamo in questo senso con una notevole intensità ed uniformità.
Se volete una conferma, prendete il libro degli indirizzi o l'agenda telefonica di un centinaio di abitanti di una città, completamente diversi tra loro, e contate il numero delle loro personali conoscenze. Troverete che quasi tutti conoscono circa lo stesso numero di individui e che questo numero si avvicina approssimativamente a quello presumibile di una piccola tribù. In altre parole, anche nei nostri rapporti sociali noi obbediamo alle fondamentali regole biologiche dei nostri antichi predecessori.
Naturalmente questa regola presenta delle eccezioni: individui che per professione devono avere un gran numero di contatti personali, persone con difetti di comportamento che le rendono anormalmente timide o solitarie, individui i cui particolari problemi psicologici li rendono incapaci di ottenere dai propri amici le previste soddisfazioni sociali e che cercano un compenso "socializzando" disperatamente in tutte le direzioni. Questi casi particolari comprendono soltanto una piccola percentuale della popolazione delle città e dei paesi. Tutti gli altri si occupano felici e contenti dei propri affari in ciò che sembra una grande massa di corpi in fermento, ma che in realtà non è che una serie incredibilmente complicata di gruppi tribali che si sovrappongono e si stringono tra loro.
In realtà lo scimmione nudo è cambiato pochissimo dai giorni della sua apparizione.
Vi. Alimentazione
Il comportamento alimentare dello scimmione nudo sembra a prima vista una delle sue manifestazioni più variabili, opportunistiche e sensibili alla civiltà, ma anche in questo caso esistono diversi e fondamentali principi biologici. Abbiamo già esaminato attentamente il modo in cui le sue manifestazioni ancestrali come raccoglitore di frutta si sono trasformate nella uccisione della preda basata sulla collaborazione ed abbiamo visto che ciò ha portato svariati cambiamenti fondamentali nel suo sistema alimentare. La ricerca del cibo diventò più elaborata e meglio organizzata. L'impulso di uccidere divenne parzialmente indipendente da quello di mangiare. Il cibo, per essere consumato, veniva portato in un rifugio di base fisso, e si dovette aumentare la preparazione del cibo. I pasti divennero più abbondanti e distanziati nel tempo. La carne aumentò straordinariamente come componente della dieta e venne effettuata una conservazione e una divisione del cibo. I maschi dovettero fornire il cibo al proprio gruppo familiare. Le attività della defecazione dovettero essere controllate e modificate.
Questi cambiamenti vennero effettuati in un lungo periodo di tempo ed è significativo il fatto che, nonostante i grandi progressi tecnici degli ultimi anni, noi vi siamo rimasti fedeli. Sembra che questi siano qualcosa di più di semplici meccanismi culturali che vengono spinti in un senso o in un altro secondo i capricci della moda e, a giudicare dal nostro attuale comportamento, comunque sono diventati caratteristiche biologiche profondamente radicate nella nostra specie.
Come abbiamo già detto, il miglioramento delle tecniche per la raccolta del cibo dovuto all'agricoltura moderna ha fatto sì che la maggior parte dei maschi adulti delle nostre società non svolga più una funzione di cacciatori. Il compenso è rappresentato dall'andare "fuori" a lavorare. Il lavoro ha sostituito la caccia, conservando molte delle sue caratteristiche fondamentali. Esso implica un regolare viaggio dalla casa base al terreno "di caccia". Si tratta di un'attività prevalentemente maschile e fornisce la possibilità di un'azione scambievole tra uomini e un'attività del gruppo. Inoltre comprende rischi e piani strategici. Lo pseudo-cacciatore dice di voler fare "una strage nella City". Il suo comportamento diventa spietato. Di lui si dice che "porta a casa il pane".
Quando lo pseudo cacciatore si riposa, si reca nei "club" maschili da cui le donne sono rigorosamente escluse. I maschi più giovani hanno la tendenza a formare bande di soli uomini, spesso di tipo "predatorio". Nell'intera gamma di queste organizzazioni, dalle società culturali, ai club sociali, alle congregazioni, alle unioni di commercio, ai club sportivi, ai gruppi massonici, alle società segrete, fino alle bande di adolescenti, vi è un forte sentimento emotivo di "solidarietà" maschile, che implica una potente lealtà di gruppo. Vengono usati distintivi, uniformi ed altri segni di identificazione. Invariabilmente i nuovi membri sono sottoposti a cerimonie di iniziazione. L'unisessualità di questi gruppi non va confusa con l'omosessualità ed infatti fondamentalmente essi non hanno nulla a che vedere col sesso, ma riguardano soprattutto il legame reciproco tra i maschi dell'antico gruppo di caccia basato sulla collaborazione.
L'importante funzione che hanno nella vita dei maschi adulti rivela la persistenza di questi fondamentali impulsi ancestrali. Se così non fosse, le attività che in essi si svolgono si potrebbero effettuare senza la complicazione dell'isolamento e dei rituali e in gran parte potrebbero svolgersi nell'ambito familiare. Spesso le donne si risentono quando i loro uomini le lasciano per "raggiungere i ragazzi", reagendo come se si trattasse di slealtà verso la famiglia.
Esse però hanno torto nel fare così perché stanno semplicemente osservando la moderna espressione dell'antica tendenza della specie a formare dei gruppi di caccia, esclusivamente maschili. Si tratta di un elemento fondamentale come il legame tra l'uomo e la donna proprio dello scimmione nudo ed in realtà queste manifestazioni si sono evolute in stretta associazione tra loro. Si tratta di qualcosa che ci accompagnerà sempre, almeno fino a che nella nostra struttura non vi sarà qualche nuovo fondamentale cambiamento genetico.
Sebbene oggi la caccia sia stata in gran parte sostituita dal lavoro, ciò non ha completamente eliminato le manifestazioni più primitive di questa necessità fondamentale. Anche quando non esistono motivi economici per cui partecipare all'inseguimento della preda, questa attività continua a persistere in svariate forme. La caccia grossa, la caccia al cervo, la caccia alla volpe, la caccia con i levrieri, la falconeria, la caccia agli uccelli selvatici, la pesca con la lenza e il gioco infantile dell'inseguimento sono tutte manifestazioni attuali dell'antico impulso a cacciare. E' stato obiettato che il vero motivo che si nasconde dietro queste attività attuali ha più a che fare con la sconfitta di un rivale che con l'abbattimento della preda e che la creatura disperata che viene inseguita rappresenta quell'individuo della nostra specie che più odiamo e che vorremmo vedere nella stessa situazione. Senza dubbio in tutto ciò vi è qualcosa di vero almeno per alcune persone, ma considerando queste forme di attività nel loro insieme, è chiaro che questa è solo una spiegazione parziale. La base della "caccia sportiva" consiste nel dare alla preda una leale possibilità di sfuggire. (Se la preda fosse semplicemente il sostituto di un rivale odiato, perché dargli sia pure una possibilità?) Tutto il procedimento della caccia implica un'incapacità deliberatamente voluta, un impedimento auto-imposto da parte dei cacciatori. Essi potrebbero facilmente usare mitragliatrici o armi anche più micidiali, ma ciò vorrebbe dire non "stare al gioco", cioé il gioco della caccia. Quello che conta è la sfida, e la soddisfazione proviene dalle complicazioni della caccia e dell'astuzia delle manovre.
Uno degli aspetti essenziali della caccia dipende dal fatto che essa è un terribile gioco d'azzardo, per cui non fa meraviglia che il gioco, nelle diverse attuali forme stilizzate, rappresenti per noi un'attrazione tanto forte. Come per la caccia primitiva e per quella sportiva, si tratta di una occupazione prevalentemente maschile e, come in queste ultime, implica regole sociali e riti, rigidamente osservati.
Esaminando la nostra struttura in classi, vediamo che sia la caccia sportiva che il gioco d'azzardo sono una caratteristica soprattutto delle classi superiori e di quelle inferiori più che delle classi medie; se accettiamo queste manifestazioni come espressioni di un impulso fondamentale a cacciare ne notiamo subito il giusto motivo.
Ho già fatto rilevare che il lavoro è diventato il sostituto più importante della caccia primitiva, avvantaggiando in tal modo soprattutto le classi medie. Il tipo di lavoro che si richiede al maschio medio delle classi inferiori si adatta male alle esigenze dell'impulso della caccia perché è di tipo troppo ripetitivo e prevedibile. Esso manca degli elementi di sfida, di fortuna e di rischio tanto importanti per il maschio cacciatore. Per questo motivo, i maschi delle classi inferiori hanno in comune con quelli delle classi superiori (i quali non lavorano) un maggior bisogno a manifestare i loro impulsi alla caccia della classe media, il cui tipo di lavoro si adatta molto meglio come sostituzione.
Lasciando la caccia e rivolgendoci adesso all'atto successivo nella manifestazione generale del modo di nutrirsi, arriviamo al momento dell'uccisione. Questo elemento può trovare una certa maniera di esprimersi nelle attività sostitutive del lavoro, della caccia sportiva e del gioco d'azzardo. Nella caccia sportiva, l'atto di uccidere si manifesta ancora nella sua forma originale, mentre nell'ambito del lavoro e del gioco d'azzardo si è trasformato in momenti di trionfo simbolico in cui manca la violenza dell'atto fisico. Pertanto, nel nostro modo di vivere quotidiano, l'impulso ad uccidere la preda si è notevolmente modificato. Esso continua però a riapparire con regolarità impressionante nelle manifestazioni scherzose (e non tanto scherzose) dei ragazzi, mentre nel mondo degli adulti viene sottoposto ad una potente repressione culturale.
Sono consentite (in un certo grado) due eccezioni a questa repressione. Una è la caccia sportiva di cui abbiamo già parlato e l'altra è lo spettacolo del combattimento dei tori. Sebbene ogni giorno vengano massacrati innumerevoli animali domestici, di solito la loro uccisione si svolge lontano dagli occhi del pubblico. Nelle corride invece avviene il contrario e folle enormi si radunano per osservare e provare da vicino la violenta manifestazione dell'uccisione della preda.
A queste attività viene consentito di continuare, non senza proteste, entro i limiti formali degli sport cruenti. Al di fuori di queste categorie, qualunque forma di crudeltà verso gli animali viene proibita e punita.
Ma non è stato sempre così. Appena qualche secolo fa, in Inghilterra e in molti altri paesi, la tortura e l'uccisione della "preda" veniva organizzata come un pubblico divertimento. In seguito è stato riconosciuto che la partecipazione ad atti di violenza di questo tipo può portare ad un ottundimento della sensibilità individuale per le forme di manifestazioni cruente, per cui essa costituisce una potenziale fonte di pericolo nelle nostre società tanto complesse ed affollate, dove le limitazioni territoriali e di predominio possono arrivare ad un livello quasi insopportabile, trovando sfogo talvolta in una esplosione di aggressività repressa di ferocia anormale.
Fin qui abbiamo trattato le prime fasi della sequenza alimentare e delle sue ramificazioni. Dopo la caccia e l'uccisione arriviamo al vero e proprio pasto. Come primati tipici, dovremmo consumare piccoli e continui spuntini, ma noi non siamo primati tipici. La nostra evoluzione come carnivori ha modificato tutto il sistema. Il carnivoro tipico si rimpinza con pasti abbondanti e ben distanziati ed è chiaro che noi seguiamo questo schema. Questa tendenza persiste anche oggi, dopo tanto tempo dalla scomparsa delle originarie esigenze della caccia che la rendevano necessaria. Oggi per noi sarebbe facilissimo ritornare al nostro vecchio sistema di primati, se ne avessimo la disposizione. Invece, ci atteniamo a pasti dagli orari ben definiti, come se fossimo ancora impegnati in un'attiva caccia alla preda. Quasi nessuno dei milioni di scimmioni nudi oggi viventi usa il tipico sistema alimentare frazionato degli altri primati. Anche in condizioni di abbondanza, raramente mangiamo più di tre o al massimo quattro volte al giorno. Per molta gente, questo sistema implica uno o due abbondanti pasti quotidiani. Si potrebbe obiettare che ciò è dovuto semplicemente a motivi di convenienza, ma questa tesi non ha molte prove che la sostengano.
Data la complessa organizzazione delle riserve di cibo di cui oggi godiamo, sarebbe possibilissimo escogitare un sistema efficace per nutrirci con piccoli spuntini, divisi nella giornata. Un simile frazionamento alimentare si potrebbe ottenere senza un'eccessiva perdita del rendimento, una volta raggiunto un adattamento delle forme culturali, ed inoltre esso eliminerebbe la necessità di una sospensione nelle altre attività, determinata dal sistema attuale del "pasto principale". Ma, a causa del nostro antico passato di predatori, questo metodo non riuscirebbe a soddisfare le nostre fondamentali necessità biologiche.
Un altro punto importante da considerare è il motivo per cui noi scaldiamo il cibo e lo mangiamo mentre è ancora caldo. Al riguardo esistono tre spiegazioni diverse. Una sostiene che ciò aiuta a simulare la "temperatura della preda". Sebbene noi non consumiamo più carne appena uccisa, tuttavia la divoriamo più o meno alla stessa temperatura delle altre specie di carnivori. Il cibo di questi ultimi è caldo perché non è ancora raffreddato, mentre il nostro lo è in quanto è riscaldato. Un'altra interpretazione sostiene che noi abbiamo denti talmente deboli da venire obbligati a "rendere tenera" la carne mediante la cottura. Questo non spiega perché dovremmo desiderare di mangiarla mentre è ancora calda o perché dovremmo riscaldare molti tipi di cibo che non hanno bisogno di "essere resi teneri". La terza spiegazione sostiene che, aumentando la temperatura del cibo, ne miglioriamo il gusto. Noi possiamo spingere questo procedimento ancora più lontano, mediante l'aggiunta di una complicata gamma di sapori sussidiari ai cibi principali. Ciò si ricollega non al nostro passato di carnivori di adozione, ma a quello più antico di primati. I cibi dei primati tipici presentano una varietà di sapori molto più ampia di quella dei carnivori. Quando un carnivoro ha effettuato la complessa sequenza della caccia, dell'uccisione e della preparazione del cibo, arrivato al momento in cui lo mastica, si comporta in modo molto più semplice e rozzo: lo afferra e lo manda giù. Le scimmie e gli scimmioni, invece, sono estremamente sensibili alle sottigliezze della varietà di sapori dei loro bocconi che gustano continuando a passare da un sapore all'altro. Quando noi scaldiamo e condiamo i nostri cibi, forse ritorniamo ad una precedente pignoleria da primati. Probabilmente questo è il modo in cui ci opponemmo ad una trasformazione troppo completa in veri carnivori. Poiché abbiamo sollevato il problema del gusto, vogliamo chiarire un equivoco riguardante il modo in cui riceviamo questo tipo di segnalazione. In che modo gustiamo ciò che assaggiamo? La superficie della lingua non è liscia, ma è ricoperta da piccole sporgenze, chiamate papille, che contengono le cellule del gusto. Ognuno di noi possiede circa 10'000 cellule gustative che con l'età si deteriorano e diminuiscono di numero, il che rende meno capace il palato del vecchio gastronomo. E' strano che noi siamo in grado di reagire soltanto a quattro sapori fondamentali e cioè: aspro, salato, amaro e dolce. Quando mettiamo un pezzetto di cibo sulla lingua, registriamo le proporzioni di queste quattro caratteristiche che vi sono contenute, la cui mescolanza dà al cibo il suo sapore fondamentale. Le diverse zone della lingua reagiscono in maniera più o meno accentuata verso questi quattro sapori. La punta della lingua reagisce in modo particolare verso ii salato e il dolce, i lati verso l'aspro e la parte posteriore verso l'amaro.
Presa nel suo insieme, la lingua è anche in grado di giudicare la consistenza e la temperatura del cibo, ma non altro. Gli altri "sapori" sottili e svariati a cui reagiamo con tanta sensibilità, in realtà non li gustiamo ma li odoriamo.
L'odore del cibo si diffonde nelle cavità nasali dove è situata la membrana olfattiva. Quando notiamo che un particolare piatto "ha un sapore" delizioso, in realtà noi vogliamo dire che esso ha un sapore e un odore deliziosi. Per ironia, quando abbiamo un forte raffreddore e il nostro senso dell' odorato è fortemente ridotto, diciamo che il cibo non sa di nulla. In realtà noi lo gustiamo in modo chiaro come non mai, ma è la sua mancanza di odore che ci preoccupa. Chiarito questo punto, vi è un altro aspetto della nostra reale capacità gustatoria che richiede un commento particolare e cioè la nostra innegabile tendenza verso i sapori dolci. Si tratta di qualcosa completamente estraneo al vero carnivoro, ma tipica dei primati. Il normale cibo dei primati, man mano che matura e diventa più adatto ad essere consumato, di solito si fa più dolce, per cui le scimmie e gli scimmioni presentano una forte reazione verso qualunque cosa che abbia un forte sapore di questo tipo. Come per gli altri primati, anche per noi è difficile resistere ai "dolci". La nostra ancestralità di scimmioni, nonostante la forte tendenza a mangiare carne, si manifesta nella ricerca di sostanze particolarmente dolci.
Noi preferiamo questo sapore fondamentale agli altri. Abbiamo infatti negozi di "dolciumi", non di "cose aspre". Di solito, quando mangiamo un pasto completo, terminiamo la complessa sequenza di sapori con una sostanza dolce, in modo da fare durare questo sapore. Ancora più significativo è il fatto che quando talvolta facciamo dei piccoli spuntini tra un pasto e l'altro (ritornando così, anche se in minima parte, all'alimentazione frazionata propria dei primati), quasi sempre scegliamo sostanze alimentari dolci che piacciono anche ai primati, come cioccolata, canditi, gelati o bibite zuccherate.
Questa tendenza è talmente forte che talvolta ci crea delle difficoltà. In una sostanza alimentare vi sono due elementi che ci attraggono, e cioè il valore nutritivo e la gradevolezza del gusto.
In natura questi due fattori si trovano associati, ma nei cibi prodotti artificialmente talora sono separati; il che può essere pericoloso. Cibi di scarsissimo valore nutritivo possono essere resi piacevolissimi mediante la semplice aggiunta di una forte quantità di sostanze dolcificanti. Quando questi fanno appello alla nostra vecchia debolezza di primati con un sapore "super-dolce", noi li trangugiamo avidamente e ci riempiamo a tal punto che rimane poco posto per qualunque altra cosa, sconvolgendo in tal modo il nostro equilibrio dietetico. Questo vale soprattutto nel caso dei bambini.
In uno dei capitoli precedenti, ho parlato delle ricerche recenti che hanno dimostrato che la preferenza verso gli odori dolci e di frutta diminuisce in maniera impressionante con la pubertà, mentre si manifesta un aumento in favore degli odori dei fiori, del muschio e di tipo oleoso. E' facile sfruttare la debolezza giovanile per i dolci, come infatti accade spesso.
Gli adulti invece si trovano ad affrontare un altro pericolo.
Poiché il loro cibo è molto saporito, molto più di quello che lo sarebbe in natura, la sua gustosità aumenta notevolmente stimolando in modo eccessivo le reazioni alimentari. In molti casi come conseguenza si ha un malsano eccesso di peso. Per controbilanciare questo fenomeno, sono stati inventati i più strani regimi dietetici.
Ai "pazienti" viene consigliato di mangiare questa o quella cosa, di eliminare questo o quel cibo, oppure di svolgere diversi esercizi.
Purtroppo questo problema può essere risolto in un solo modo e cioè mangiando di meno. Sembra facile, ma dato che il soggetto in questione continua ad essere circondato da segnalazioni di super-gustosità, gli riesce difficile mantenere a lungo questo comportamento. Inoltre, l'individuo afflitto da un eccesso di peso soffre di un'altra complicazione. Ho già parlato del fenomeno delle "attività di spostamento", cioè di manifestazioni insignificanti e non appropriate che vengono compiute per alleviare la tensione nei momenti di stress. Come abbiamo visto, una forma molto frequente e diffusa di attività di spostamento è "l'alimentazione da spostamento". Nei momenti di tensione, noi rosicchiamo piccoli bocconi di cibo o sorseggiamo bevande, di cui non sentiamo il bisogno. Ciò ci aiuta a scaricare la tensione, ma anche a mettere su peso, soprattutto perché la natura insignificante dell'azione alimentare di spostamento di solito ci porta a scegliere a questo scopo qualcosa di dolce. Se questa abitudine viene effettuata ripetutamente e per lunghi periodi, essa ci porta alla ben nota condizione di "obesità da ansia" e così osserviamo il graduale affiorare di quei contorni rotondi, tipici di un senso di insicurezza e di colpevolezza. In questi individui, le diete dimagranti funzionano solo se vengono associate ad altre modificazioni di comportamento che diminuiscano lo stato di tensione iniziale. A questo riguardo merita un cenno la funzione della gomma da masticare.
Questa sostanza sembra che si sia sviluppata esclusivamente come un meccanismo alimentare di spostamento, che fornisce il necessario elemento "occupazionale", scaricatore di tensione, senza però danneggiare l'assunzione totale di cibo. Passando ai diversi tipi di cibo, consumati da un gruppo attuale di scimmioni nudi, notiamo che la gamma è molto estesa. Di solito i primati tendono ad avere nella dieta una varietà di sostanze alimentari molto più ampia dei carnivori. Questi ultimi sono diventati specialisti del cibo, mentre i primi sono degli opportunisti. Accurate ricerche svolte su macachi giapponesi allo stato selvaggio hanno dimostrato che questi animali mangiano almeno 119 specie di piante sotto forma di germogli, virgulti, foglie, frutti, radici e cortecce, per non parlare di una grande varietà di ragni, scarabei, farfalle, formiche e uova. La dieta tipica del carnivoro è più nutriente, ma più monotona.
Diventando degli uccisori, abbiamo preso il meglio di entrambi questi mondi. Abbiamo aggiunto alla nostra dieta la carne ad alto valore nutritivo, senza perdere la nostra vecchia caratteristica di primati onnivori. In epoche più recenti, vale a dire nell'ultimo millennio, i nostri sistemi per procurarci il cibo sono notevolmente migliorati, ma la situazione fondamentale è rimasta la stessa. Per quello che possiamo sapere, i sistemi primitivi di agricoltura erano di un tipo che si potrebbe liberamente chiamare "coltivazione mista".
L'addomesticamento degli animali e delle piante si è svolto in modo parallelo. Anche oggi, pur avendo un predominio immenso sull'ambiente zoologico e botanico, continuiamo a tenere due corde al nostro arco.
Che cosa ci ha impedito di spingerci più lontano in una direzione più che in un'altra? Pare che la risposta stia nel fatto che con il continuo aumento della densità della popolazione, il basarsi esclusivamente sulla carne darebbe luogo a delle difficoltà in termini di quantità, mentre una dipendenza esclusiva dai raccolti sarebbe pericolosa per la qualità.
Si potrebbe obiettare che visto che i nostri antenati primati dovevano fare a meno della carne come componente fondamentale della dieta, noi dovremmo essere in grado di fare altrettanto. Solo le circostanze ambientali ci spinsero a diventare mangiatori di carne ed ora che questo ambiente è sotto il nostro controllo e che abbiamo a nostra disposizione raccolti elaboratamente coltivati, dovremmo prevedibilmente ritornare alle nostre antiche abitudini alimentari da primati.
In sintesi, questo è il credo vegetariano (o fruttariano come si fa chiamare uno di questi culti), che però ha avuto scarso successo.
Sembra che la necessità di mangiare carne sia diventata ormai troppo radicata. Una volta avuta la possibilità di divorare carne, noi detestiamo lasciare questa abitudine. A questo riguardo è significativo il fatto che raramente i vegetariani spiegano la scelta di questo tipo di dieta dichiarando semplicemente di preferirla a qualunque altra, ma al contrario costruiscono una complicata giustificazione che implica ogni sorta di inesattezze mediche e di assurdità fisiologiche. Gli individui che sono vegetariani per scelta si garantiscono una dieta equilibrata, servendosi di una vasta gamma di sostanze vegetali, come i primati tipici. In alcune società, una dieta prevalentemente priva di carne è diventata una triste necessità pratica più che una preferenza etica di una minoranza. Col progresso dei sistemi di coltivazione dei raccolti e la concentrazione su pochi cereali principali, in alcune società si è avuta la manifestazione di uno scarso rendimento. Le operazioni agricole compiute su vasta scala hanno consentito lo sviluppo di popolazioni numerose, ma la loro dipendenza da pochi cereali fondamentali ha portato a gravi fenomeni di malnutrizione. Questi individui riescono a riprodursi in gran numero, ma generano esemplari scadenti dal punto di vista fisico, che riescono a stento a sopravvivere. Come l'abuso delle armi portate dalla civiltà può determinare un disastro dovuto alla aggressività, l'abuso dei sistemi alimentari, culturalmente sviluppati, può portare ad un disastro dal punto di vista nutritivo. Le società che hanno perduto in questo modo il fondamentale equilibrio dietetico possono sopravvivere, ma se vogliono progredire e svilupparsi qualitativamente devono superare i cattivi effetti tanto diffusi dovuti alla mancanza di proteine, di minerali e di vitamine. Nelle società attuali più sane e progredite, l'equilibrio dietetico tra carne e vegetali viene ben mantenuto e, nonostante i sensazionali mutamenti verificatisi nei metodi per ottenere le riserve alimentari, il progredito scimmione nudo di oggi si nutre all'incirca con la stessa dieta fondamentale dei suoi antichi antenati cacciatori.
Ancora una volta, la trasformazione è più apparente che reale.
Vii. Benessere
Il punto in cui l'ambiente esterno viene a contatto diretto con l'animale, cioè la superficie corporea, durante il corso della vita è sottoposto a molti trattamenti duri. E' sorprendente che questo superi il logoramento ed abbia una buona durata ma vi riesce grazie al meraviglioso sistema di sostituzione dei tessuti e perché negli animali si sono sviluppati diversi movimenti particolari di benessere che ne favoriscono la pulizia. Di solito noi consideriamo le manifestazioni di pulizia piuttosto insignificanti se paragonate alle azioni del nutrimento, della lotta, della fuga e dell'accoppiamento, mentre senza di queste il corpo non potrebbe mantenere una perfetta funzionalità. Per alcuni animali, come gli uccelli di piccole dimensioni, il mantenimento delle piume è questione di vita o di morte. Se lascia che le penne diventino inzaccherate, l'uccello non sarà in grado di fuggire abbastanza in fretta per evitare i predatori e non riuscirà a mantenere una elevata temperatura corporea se l'ambiente diventa freddo. Gli uccelli trascorrono molte ore facendo il bagno, lisciandosi, ungendosi e grattandosi, compiendo questi atti in una sequenza lunga e prolungata. I mammiferi sono un po' meno complicati nelle loro manifestazioni di pulizia, ma anche essi si concedono molto tempo per pulirsi, leccarsi, mordicchiarsi, grattarsi e strofinarsi. Anche il pelo, come le penne, per mantenere il calore, va mantenuto in buono stato. Inoltre, se diventa sporco e appiccicoso, aumenta il rischio di malattie. I parassiti della pelle vanno attaccati ed eliminati per quanto è possibile. I primati non costituiscono una eccezione a questa regola.
Allo stato selvaggio, spesso si vedono le scimmie e gli scimmioni mentre si puliscono, lavorando sistematicamente tutto il pelo e tirandone fuori frammenti di pelle morta o corpi estranei che mettono in bocca e mangiano o almeno saggiano. Talvolta queste manifestazioni di pulizia durano parecchi minuti mentre l'animale dà l'impressione di una grande concentrazione. Esse possono venire intercalate con improvvisi grattamenti o mordicchiamenti, rivolti verso qualche irritazione specifica. La maggior parte dei mammiferi si gratta solo con la zampa posteriore, mentre le scimmie e gli scimmioni possono usare sia quelle anteriori che quelle posteriori. Gli arti anteriori di questi animali si adattano perfettamente alle mansioni di pulizia.
Le loro agili dita scorrono nel pelo e ne individuano con grande esattezza i punti specifici di disturbo. A paragone degli artigli e degli zoccoli, le mani dei primati sono dei "pulitori" di precisione.
Due mani sono meglio di una, ma ciò dà luogo ad una certa difficoltà.
La scimmia o lo scimmione riescono a fare funzionare entrambe le mani quando si tratta delle gambe, dei fianchi o della parte anteriore, ma non hanno una presa efficace per quel che riguarda la schiena o le braccia. Inoltre, in mancanza di uno specchio, essi non sono in grado di vedere ciò che fanno quando si concentrano sulla zona del capo, dove, pur potendo servirsi di entrambe le mani, lavorano alla cieca.
Naturalmente, la testa, la schiena e le braccia vengono pulite meno perfettamente della parte anteriore, dei fianchi e delle gambe, a meno che non si ricorra a qualche cosa di speciale.
La soluzione consiste nella pulizia sociale, cioè nello sviluppo di un sistema amichevole di aiuto reciproco. Questo fenomeno si riscontra in molte specie di uccelli e di mammiferi, ma nei primati superiori raggiunge il massimo della sua espressione. Tra questi animali si sono sviluppati speciali segnali di invito alla pulizia e le attività sociali di "cosmetica" sono intense e prolungate. Quando una scimmia pulitrice avvicina una scimmia da pulire, la prima segnala le sue intenzioni mediante caratteristiche espressioni facciali, cioè effettua dei rapidi movimenti di schiocco con le labbra, spesso tirando fuori la lingua tra uno schiocco e l'altro. La scimmia che deve sottoporsi alla pulizia indica di avere accettato l'approccio del pulitore, assumendo una posizione di rilassamento e magari offrendo una particolare zona del corpo da pulire.
Come ho già spiegato in un precedente capitolo, l'atto di schioccare le labbra si è sviluppato come un particolare rituale dai ripetuti movimenti di assaggio dei frammenti, che avviene durante le manifestazioni di pulizia del pelo. Affrettando e rendendo più marcati e più ritmici questi movimenti, è stato possibile trasformarli in un segnale visivo evidente ed inequivocabile.
Poiché la pulizia sociale è una attività basata sulla collaborazione e non sull'aggressività, lo schiocco delle labbra è diventato un segnale amichevole. Quando due animali desiderano stringere un legame di amicizia, possono farlo pulendosi ripetutamente a vicenda, anche se lo stato del pelo non lo richiede quasi. In realtà, sembra che vi sia uno scarso rapporto tra il grado di sporcizia del mantello e la pulizia scambievole che si manifesta.
Pare che le manifestazioni sociali di pulizia siano diventate quasi indipendenti dagli stimoli da cui sono nate. Sebbene esse conservino la fondamentale funzione di mantenere pulito il pelo, i loro motivi appaiono oggi più sociali che cosmetici. Facendo in modo che due animali stiano insieme in uno stato di non aggressività, essi aiutano a rendere più stretti i legami scambievoli tra gli individui del branco o della colonia. Oltre a questo sistema di segnalazione di amicizia, si sono sviluppati due meccanismi remotivanti, uno che riguarda l'ammansimento e l'altro il senso di rassicurazione. Quando un animale debole viene spaventato da uno più forte, può ammansirlo schioccando le labbra nel segnale di invito e quindi cominciando a pulirgli il pelo. Ciò diminuisce l'aggressività dell'animale più forte e permette a quello inferiore di essere accettato, consentendogli di restare "alla presenza" in cambio dei servizi resi.
Viceversa, quando un animale più forte vuole placare i timori di uno più debole, agisce nello stesso modo. Facendo schioccare le labbra, egli fa rilevare la sua non-aggressività e, malgrado il suo aspetto più potente, può dimostrare che non intende fare alcun male. Questa particolare manifestazione, cioè la dimostrazione del desiderio di rassicurare, si riscontra molto meno spesso della manifestazione di ammansimento, semplicemente perché la vita sociale dei primati ne ha meno bisogno. E' raro che un animale debole possieda una cosa che uno più forte di lui desideri e non possa ottenere mediante l'aggressione diretta. Una eccezione talora si riscontra quando una femmina dominatrice, ma senza figli, vuole avvicinare e abbracciare un piccolo appartenente ad un altro membro del branco. Naturalmente la piccola scimmia, piuttosto spaventata dall'avvicinarsi di un estraneo, si ritrae. In questi casi talvolta si osserva la femmina adulta che cerca di rassicurare il piccolo facendo schioccare le labbra. Se ciò calma i suoi timori, la femmina può accarezzarlo e quindi continuare a tranquillizzarlo pulendolo delicatamente.
E' chiaro che passando adesso alla nostra specie, prevedibilmente dovremmo riscontrare qualche manifestazione di questa fondamentale tendenza dei primati, non solo come una semplice tendenza alla pulizia, ma anche come attività sociale. La differenza maggiore naturalmente sta nel fatto che noi non abbiamo più un mantello di pelliccia da mantenere pulito. Quindi, quando due scimmioni nudi che s'incontrano vogliono stringere ulteriormente il loro rapporto, devono trovare qualcosa che sostituisca la pulizia sociale.
E' interessante vedere ciò che accade nelle situazioni in cui in altre specie di primati si avrebbe una scambievole pulizia. Per cominciare, è ovvio che il sorriso ha rimpiazzato lo schiocco delle labbra. Abbiamo già parlato della sua origine come particolare segnale infantile ed abbiamo visto che, in mancanza di una reazione di avvinghiamento, esso è necessario al bambino come maniera per attrarre e tranquillizzare la madre. Esteso nella vita adulta, chiaramente il sorriso è un eccellente sostituto "dell'invito alla pulizia". Ma, una volta iniziato il contatto amichevole, che succede?
Nei primati lo schiocco delle labbra è reso più efficace dall'azione di pulire, ma cosa rende più efficace il sorriso? E' vero che la reazione del sorriso può venire ripetuta e prolungata nel tempo molto dopo il contatto iniziale, ma ci vuole qualcosa di diverso, di tipo più "occupazionale". Bisogna quindi prendere in prestito qualche genere di attività, come la pulizia, e trasformarla. La semplice osservazione ci rivela che la fonte a cui si attinge è la vocalizzazione verbalizzata.
La manifestazione del discorso si è sviluppata originariamente dalla crescente necessità di uno scambio collaborativo di informazioni. Essa ha avuto origine dal diffuso e frequente fenomeno animale della vocalizzazione non verbale. Dal tipico repertorio innato dei mammiferi, costituito da grugniti e squittii, si è sviluppata una gamma più complessa di segnali sonori acquisiti.
Queste entità vocali con le loro combinazioni e ricombinazioni, sono diventate la base di quello che chiamiamo discorso informativo. Al contrario dei segnali più primitivi non verbali, questo nuovo sistema di comunicazione mise in grado i nostri antenati di indicare gli oggetti presenti nell'ambiente circostante ed inoltre di riferirsi al passato ed al futuro, nonché al presente. Fino ad oggi, il discorso informativo è rimasto la più importante forma di comunicazione vocale della nostra specie. Esso però, una volta sviluppatosi, non si è fermato a questo punto, ma ha acquistato altre funzioni. Una di queste è il modo di parlare. A rigor di termini questa funzione sarebbe stata inutile, poiché non si erano persi i segnali non verbali. Ancora oggi noi esprimiamo il nostro stato emotivo mediante gli antichi urli e grugniti dei primati, ma rendiamo più efficaci queste segnalazioni con una conferma verbale delle nostre sensazioni.
Un lamento di dolore viene subito seguito dalla segnalazione verbale "Mi sono fatto male". Un urlo di rabbia è accompagnato dal messaggio "Sono furioso". Talvolta il segnale non verbale non viene effettuato allo stato puro, ma si manifesta invece nel tono della voce. Le parole "Mi sono fatto male" vengono dette con un lamento o un grido, mentre quelle "Sono furioso" sono emesse con un ruggito o un urlo di rabbia. In questi casi il tono della voce è talmente estraneo alla modificazione della cultura, e così simile al vecchio sistema di segnalazione non verbale dei mammiferi, che anche un cane è in grado di comprendere il messaggio, per non parlare di uno straniero di un'altra razza della nostra specie. Le parole effettivamente usate in questi casi sono quasi superflue. (Provate a ringhiare "Bravo cane" o a tubare "Cattivo cane" al vostro animale e capirete quello che voglio dire.) Al suo livello più primitivo ed intenso, l'espressione del discorso è qualcosa di più di un "rovesciamento" di segnalazioni sonore verbalizzate in una sfera di comunicazione già esaminata. Il suo valore sta nelle maggiori possibilità di fornire una segnalazione più approfondita e sensibile.
Una terza forma di verbalizzazione è il discorso esplorativo.
Questo è il discorso per amore del discorso, il discorso estetico o, se preferite, il discorso ludico. Anche il discorso, analogamente a un'altra forma di trasmissione informativa, il disegno, è stato usato come mezzo di esplorazione estetica.
Il poeta si è evoluto in modo parallelo al pittore. Quello che ci riguarda in questo capitolo è invece il quarto tipo di verbalizzazione, quello che di recente è stato giustamente chiamato discorso di pulizia (o di contatto). Si tratta delle chiacchiere gentili e prive di significato degli incontri sociali, del tipo "che bel tempo che stiamo avendo" o "avete letto ultimamente qualche buon libro?". Questa forma di discorso non riguarda uno scambio importante di idee e di informazioni, non rivela il vero stato d'animo di chi parla e non è esteticamente gradevole. La sua funzione consiste nell'avvalorare il sorriso di saluto e nel mantenere la solidarietà sociale. E' il sostituto della pulizia sociale. Dandoci una preoccupazione di genere sociale non aggressiva, ci consente di esibirci scambievolmente per periodi relativamente lunghi, facendo sviluppare e rafforzare preziosi rapporti di gruppo e legami di amicizia.
Da questo punto di vista, è divertente osservare il decorso del discorso di pulizia durante un incontro sociale. Esso svolge la sua funzione più importante subito dopo l'iniziale rito del saluto, quindi diminuisce lentamente, con un'altra punta di espressione al momento in cui il gruppo si scioglie. Se questo si è riunito per motivi puramente sociali, il discorso di pulizia naturalmente può durare tutto il tempo, con una esclusione completa di qualunque discorso informativo, esplorativo o relativo allo stato d'animo. Il cocktail party ne è un valido esempio e in queste occasioni i discorsi "seri" possono venire attivamente soppressi dal padrone o dalla padrona di casa che intervengono ripetutamente per interrompere le lunghe conversazioni e fare ruotare i pulitori reciproci, in modo da garantire un massimo di contatti sociali. In questo modo, ogni membro del gruppo viene ripetutamente riportato in uno stato di "contatto iniziale" in cui lo stimolo del discorso di pulizia è più intenso.
Perché queste sedute sociali ininterrotte di pulizia riescano bene, bisogna invitare un numero di ospiti sufficienti, in modo da impedire che i nuovi contatti abbiano termine prima che il party sia finito.
Ciò spiega il mistero del numero minimo che viene sempre automaticamente riconosciuto come fondamentale nelle riunioni di questo tipo. Nei piccoli pranzi informali la situazione è leggermente diversa. In questo caso, man mano che la serata procede, si può osservare un affievolimento del discorso di pulizia, mentre col passare del tempo predomina lo scambio verbale di informazioni ed idee importanti. Quando la compagnia si scioglie, vi è però una breve ripresa del discorso di pulizia, prima del rito finale del saluto. A questo punto, fa la sua ricomparsa anche il sorriso, in modo da dare al rapporto sociale un'ultima spinta di addio che lo aiuti ad arrivare alla riunione successiva.
Se ora spostiamo la nostra osservazione sugli incontri di affari dove vi è un maggiore formalismo e la funzione principale del contatto è il discorso informativo, vediamo un ulteriore declino del discorso di pulizia, ma non necessariamente una sua scomparsa totale.
La sua manifestazione in questi casi si limita quasi completamente ai momenti dell'inizio e della fine. Invece di svanire lentamente, come avviene nei pranzi, esso viene rapidamente soppresso, dopo qualche educato scambio iniziale. Come nell'altro caso, riappare di nuovo al momento di chiusura della riunione, una volta che in qualche modo è stato segnalato il momento previsto della separazione. Poiché l'impulso ad effettuare il discorso di pulizia è molto forte, i gruppi di affari, per eliminarlo, di solito sono obbligati ad accentuare il formalismo delle riunioni. Ciò spiega il sistema delle commissioni, in cui il formalismo raggiunge livelli che si riscontrano di rado in altre occasioni sociali. Sebbene il discorso di pulizia rappresenti il sostituto più importante della pulizia sociale, esso non è il nostro solo modo di sfogo di questa attività.
Anche se la nostra pelle nuda non ci manda segnalazioni di pulizia molto eccitanti, spesso noi disponiamo ed usiamo come sostituti altre superfici più stimolanti. Le stoffe pelose o soffici, i tappeti o i mobili, spesso danno luogo ad una intensa reazione di pulizia. Gli animali domestici sono ancora più invitanti e sono pochi gli scimmioni nudi che sanno resistere alla tentazione di lisciare il pelo di un gatto o di grattare un cane dietro l'orecchio. Il fatto che l'animale apprezzi questa manifestazione sociale di pulizia spiega solo in parte la soddisfazione di chi pulisce. La cosa più importante è lo sfogo del nostro antico impulso di primati alla pulizia, fornitoci dalla superficie del corpo dell'animale domestico.
Per quel che riguarda il nostro corpo, pur avendo una superficie quasi del tutto nuda, nella regione della testa presentiamo una crescita di capelli lunghi e rigogliosi, adatti alla pulizia. Infatti noi vi dedichiamo molta cura, molto più di quello che richiederebbe l'igiene, per mezzo di pulitori specializzati, cioè barbieri e parrucchieri. Non è chiaro perché il fatto di pettinarsi reciprocamente non sia diventato parte delle nostre normali riunioni sociali domestiche. Per esempio, perché abbiamo sviluppato il discorso di pulizia come sostituto particolare della tipica pulizia amichevole dei primati, mentre avremmo potuto tanto facilmente concentrare nella zona del capo i nostri tentativi originari di pulizia? Sembra che la soluzione stia nel significato sessuale dei capelli. L'acconciatura del capo, nella sua forma attuale, presenta differenze notevolissime tra i due sessi per cui rappresenta un carattere sessuale secondario.
La sua associazione con i caratteri sessuali l'ha portata a far parte delle manifestazioni del comportamento sessuale, cosicché oggi il gesto di carezzare o di palpare i capelli è troppo carico di significato erotico perché sia consentito come semplice gesto sociale di amicizia. Poiché in conseguenza esso è stato eliminato dalle riunioni comuni fra conoscenti, bisogna trovare un altro sfogo per questo impulso. Il bisogno di pulire può trovare uno sfogo nel pulire un sofà o un gatto, mentre la necessità di essere puliti richiede un ambiente particolare. Il salone da parrucchiere costituisce la risposta perfetta. Qui il cliente può soddisfare fino in fondo il suo bisogno di essere pulito, senza pericolo che qualche motivo sessuale affiori durante il procedimento. Ponendo i pulitori professionisti in una categoria a parte, completamente staccata dal gruppo tribale dei conoscenti, si elimina qualunque pericolo. L'usanza di servirsi di pulitori maschi per gli uomini e di pulitrici femmine per le donne riduce ulteriormente il rischio. Quando non è così, i caratteri sessuali del pulitore vengono in qualche modo diminuiti. Quando una donna viene accudita da un parrucchiere maschio, di solito questi si comporta in maniera effeminata, senza tener conto della sua vera personalità sessuale. Gli uomini sono quasi sempre serviti da barbieri maschi e, se si servono da una masseuse, questa abitualmente è piuttosto mascolina. Come forma di comportamento, l'acconciatura dei capelli ha tre funzioni. Non solo serve a tener puliti i capelli ed a fornire uno sfogo per la pulizia sociale, ma inoltre serve ad abbellire l'individuo che la subisce. L'abbellimento del corpo a scopi sessuali, aggressivi o di altro genere sociale è un fenomeno diffuso nel caso dello scimmione nudo, che abbiamo già trattato sotto altre voci in altri capitoli. Non appartiene realmente al capitolo sul benessere tranne per il fatto che spesso dà luogo a qualche tipo di manifestazione di pulizia. I tatuaggi, la rasatura, e lo strappamento dei capelli, il manicure, la foratura delle orecchie e le forme più primitive di sacrificazione, sembra che siano nate tutte da semplici manifestazioni di pulizia. Mentre il discorso di pulizia è stato preso in prestito altrove per servire come sostituto di questa attività, qui è accaduto il processo inverso, per cui le manifestazioni di pulizia sono state prese in prestito ed elaborate per altri usi. Acquistando una funzione di esibizione, i gesti originali di benessere, riguardanti le cure della pelle, si sono trasformati in qualcosa che si riduce a delle mutilazioni di quest'ultima.
Questa tendenza si può osservare inoltre in alcuni animali in stato di cattività nei giardini zoologici. Questi si puliscono e si leccano con intensità anormale fino a produrre delle chiazze spelate o a infliggere delle piccole ferite sul proprio corpo o su quello del compagno. Manifestazioni eccessive di pulizia di questo genere sono determinate da condizioni di stress o di noia. Probabilmente condizioni analoghe hanno portato alcuni membri della nostra specie a mutilare la superficie del proprio corpo, favoriti ed agevolati in questo processo dalla nostra pelle già nuda e priva di peli. Nel nostro caso, però, l'opportunismo che è insito in noi ci ha consentito di sfogare questa tendenza altrimenti dannosa e pericolosa e di sfruttarla come meccanismo di abbellimento inteso per l'esibizione.
Dalla semplice cura della pelle è nata un'altra tendenza più importante, cioè le cure mediche. Mentre altre razze hanno fatto in questo campo scarsi progressi, per lo scimmione nudo lo sviluppo della pratica della medicina dalle manifestazioni di pulizia sociale ha avuto un'influenza enorme sulla buona riuscita della specie, soprattutto negli ultimi tempi. Possiamo già osservare l'inizio di questa tendenza nei nostri parenti più prossimi, gli scimpanzé. Oltre alle cure generiche della pelle ed alla pulizia scambievole, talvolta si vede uno scimpanzé che cura qualche piccola menomazione fisica in un compagno. Esso esamina attentamente le piccole piaghe o ferite, le lecca fino a pulirle e leva con cura le schegge, stringendo tra due dita la pelle del compagno. Una volta è stato notato uno scimpanzé femmina con un frammento nell'occhio sinistro che si avvicinava ad un maschio, lamentandosi e in preda a palesi sofferenze. Il maschio si sedette e la esaminò con attenzione, quindi procedette a togliere il frammento con molta cura e precisione, servendosi delicatamente con la punta delle dita di entrambe le mani. Questo è qualcosa di più di una pulizia, è la prima manifestazione di una vera cura medica collaborativa.
Nello scimpanzé, l'incidente che abbiamo descritto costituisce già il massimo della sua espressione. Nella nostra specie, con il grande sviluppo dell'intelligenza e dello spirito di collaborazione, la pulizia specialistica di questo tipo è stata il punto di partenza di una vasta tecnica di aiuti fisici reciproci. Oggi il mondo della medicina ha raggiunto una tale complessità che, da un punto di vista sociale, è diventato l'espressione massima del nostro modo animale di comportarci per quel che riguarda il benessere. Dal trattamento di piccoli disturbi, esso si è esteso al trattamento delle malattie più importanti e delle gravi lesioni fisiche. Come fenomeno biologico, i suoi risultati sono unici, ma nel processo di razionalizzazione sono stati in un certo senso trascurati alcuni elementi irrazionali. Per comprendere tutto ciò è fondamentale fare una distinzione tra casi gravi e casi lievi di "indisposizione". Come l'individuo di qualunque altra razza, lo scimmione nudo può rompersi una gamba o infettarsi con un grave parassita per motivi puramente accidentali. Nel caso dei disturbi di lieve entità, le cose sono diverse da quelle che sembrano. Le infezioni e le malattie di minore importanza di solito vengono curate come se fossero semplicemente delle versioni più lievi di malattie gravi, mentre prove evidenti ci fanno pensare che esse siano in realtà associate ad "esigenze di pulizia" primitive. I sintomi clinici riflettono, più che un reale problema fisico, un problema di comportamento che ha assunto una forma fisica.
Esempi diffusi delle "malattie da invito alla pulizia", come le potremmo chiamare, sono la tosse, i raffreddori, l'influenza, il dolore alla schiena, il mal di capo, i disturbi di stomaco, le eruzioni cutanee, il mal di gola, i disturbi biliari, le tonsilliti e la laringite. Lo stato del paziente non è grave, ma abbastanza compromesso per giustificare un aumento di attenzione da parte dei compagni sociali. I sintomi assumono la stessa forma dei segnali di invito alla pulizia, provocando un comportamento consolatore da parte dei medici, delle infermiere, dei farmacisti, dei parenti e degli amici. L'individuo da accudire suscita cure e simpatia amichevole e di solito ciò basta a guarire la malattia. La somministrazione di pillole e di medicine sostituisce le antiche manifestazioni di pulizia fornendo un rituale occupazionale che, in questa fase particolare di azione sociale scambievole, mantiene il rapporto tra individuo da accudire e individuo che accudisce. La natura esatta dei farmaci prescritti è quasi trascurabile e a questo riguardo vi è una scarsa differenza tra la pratica della medicina moderna e quella degli antichi medici stregoni. L'obiezione a questo modo di interpretare i disturbi di lieve entità si potrebbe basare sulla dimostrazione della presenza effettiva di virus e di germi. Se questi sono presenti e si può dimostrare che costituiscono la causa medica del raffreddore o del mal di stomaco, perché ricercare una spiegazione basata sul comportamento? La risposta sta nel fatto che per esempio in una grande città noi siamo esposti continuamente a questi virus e germi comuni, ma che di rado ne cadiamo preda.
Inoltre, alcuni individui presentano al riguardo una maggiore sensibilità di altri. E' raro che membri della società che hanno raggiunto il successo o che sono socialmente bene adattati soffrano di "malattie da invito alla pulizia". Coloro invece che hanno problemi sociali temporanei o duraturi sono molto sensibili.
L'aspetto più interessante di questi disturbi sta nel modo in cui essi si adattano alle esigenze particolari dell'individuo. Supponiamo che una attrice soffra di tensione sociale e di affaticamento; in questo caso che cosa succede? Ella perde la voce e le si sviluppa una laringite, in modo che è costretta a sospendere il lavoro ed a riposarsi. Tutti la consolano e la accudiscono, e lo stato di tensione si risolve (almeno per il momento). Se invece le si fosse sviluppata una eruzione cutanea sul corpo, il costume la avrebbe nascosta ed ella avrebbe potuto continuare a lavorare. In tal modo la tensione sarebbe continuata. Paragoniamo una situazione di questo genere con quella di un lottatore. Per costui la perdita della voce sarebbe inutile come "malattia da invito alla pulizia", mentre una eruzione cutanea sarebbe ideale ed infatti è proprio questo disturbo che i medici dei lottatori riscontrano più di frequente tra i sintomi lamentati da questi uomini-muscolo. A questo riguardo è divertente il fatto che una nota attrice, la cui fama si basa sulla nudità nei film, in condizioni di stress non soffre di laringite, ma di eruzioni cutanee. Poiché nel suo caso, come per i lottatori, la cosa fondamentale è l'esposizione della pelle, ella rientra in questa categoria di malati più che in quella delle altre attrici.
Quando il bisogno di consolazione è forte, anche il disturbo diventa più intenso. L'epoca della vita in cui riceviamo il massimo della protezione e le cure più elaborate, è quando da bambini stiamo nella culla. Un disturbo tanto grave da costringerci a letto indifesi presenta il grande vantaggio di creare ancora una volta l'attenzione consolatrice della nostra infanzia sicura. Noi pensiamo di prendere una forte dose di medicinali, ma in realtà quello di cui abbiamo bisogno per guarire è una buona dose di sicurezza. (Tutto ciò non implica nessuna simulazione. Non ve n'è alcun bisogno, perché i sintomi sono sufficientemente reali. E' la causa che determina il comportamento, non gli effetti.)
Noi tutti siamo in un certo senso dei pulitori e degli individui da pulire in cui questa tendenza viene frustrata, e la soddisfazione che si ottiene curando un malato è fondamentale come la causa stessa della malattia. Alcuni individui provano un tale bisogno di curare gli altri che favoriscono e prolungano in modo attivo la malattia del compagno, in modo da potere esprimere più pienamente i propri impulsi ad accudire. Ciò può determinare un circolo vizioso, con una situazione esageratamente sproporzionata tra chi accudisce e chi viene accudito, fino al punto in cui si crea un invalido cronico che richiede (e ottiene) cure costanti. Se una "coppia di pulitori reciproci" di questo genere venisse messa di fronte alla realtà del proprio modo di comportarsi scambievolmente, negherebbe recisamente.
Tuttavia è sorprendente quali guarigioni miracolose si possano ottenere, talvolta, quando nell'ambiente che si è creato tra accuditore e accudito (infermiera-paziente), ha luogo uno sconvolgimento importante. I guaritori per suggestione hanno occasionalmente sfruttato questa situazione con risultati sorprendenti ma, sfortunatamente per loro, molti tra i casi con cui essi hanno a che fare presentano oltre agli effetti, anche cause fisiche. Inoltre contro di loro vi è il fatto che gli effetti fisici delle "malattie provocate da un comportamento di invito alla pulizia", quando sono sufficientemente prolungati o intensi, facilmente determinano danni fisici irreversibili. Una volta che ciò è avvenuto, è necessario un trattamento medico approfondito e razionale.
Fin qui mi sono occupato degli aspetti sociali del benessere nella nostra specie. Come abbiamo visto, in questo campo vi sono stati dei grandi progressi che però non hanno eliminato o sostituito le forme più semplici di auto-pulizia o di auto-benessere. Analogamente agli altri primati, noi ancora oggi ci grattiamo, ci strofiniamo gli occhi, puliamo le nostre piaghe e lecchiamo le nostre ferite. In comune con loro, abbiamo anche una marcata tendenza a prendere bagni di sole. In più, noi abbiamo aggiunto svariate forme culturali specializzate, tra cui la più comune e la più diffusa è quella di lavarsi con l'acqua. Questo accade raramente negli altri primati, anche se alcune specie talvolta si fanno il bagno, mentre per noi ciò ha una funzione fondamentale nella maggior parte delle società, per quel che riguarda l'igiene del corpo.
Nonostante i vantaggi ovvii, la pulizia frequente con l'acqua incide gravemente sulla produzione di oli e di sali antisettici e protettivi da parte delle ghiandole cutanee, e in un certo senso fa sì che la superficie del corpo sia più suscettibile alle malattie.
Questi vantaggi vengono superati solo dal fatto che, contemporaneamente agli oli e ai sali naturali, viene eliminato anche lo sporco che è la fonte delle malattie.
Oltre ai problemi del mantenimento della pulizia, la categoria generica del comportamento nel benessere comprende quelle forme di attività che riguardano il mantenimento di una elevata temperatura corporea. Come tutti i mammiferi e gli uccelli, noi abbiamo sviluppato una temperatura corporea elevata e costante che ci ha dato una maggiore efficienza fisica. Quando siamo in buona salute, la nostra temperatura interna varia entro limiti che in genere si aggirano sui 2°, qualunque sia la temperatura esterna. Questa temperatura interna varia secondo un ritmo giornaliero; il livello massimo si ha nel tardo pomeriggio e il più basso verso le quattro antimeridiane. Quando l'ambiente esterno diventa troppo caldo o troppo freddo, noi avvertiamo subito un senso acuto di disagio.
Queste sensazioni spiacevoli che riceviamo, agiscono come un precoce sistema di segnalazione che ci mette in guardia circa la necessità urgente di fare qualcosa per impedire che gli organi interni subiscano un raffreddamento o un surriscaldamento disastrosi. Oltre a favorire le reazioni intelligenti e volontarie, il corpo automaticamente prende delle misure per mantenere un proprio grado di calore fisso. Se l'ambiente diventa troppo caldo si ha una vaso-dilatazione, che fa in modo che la superficie corporea diventi più calda, favorendo la perdita di calore dalla pelle. Inoltre si ha una sudorazione profusa. Noi possediamo circa due milioni di ghiandole sudorifere. In condizioni di calore intenso queste sono in grado di secernere fino ad un massimo di un litro di sudore l'ora.
L'evaporazione di questo liquido dalla superficie corporea fornisce inoltre un'altra preziosa forma di perdita di calore. Nel processo di acclimatamento ad un ambiente genericamente più caldo si ha come risposta un notevole aumento dell'attività delle ghiandole sudorifere. Questo fenomeno ha una importanza vitale perché anche nei climi più caldi, a parte le caratteristiche razziali, la nostra temperatura corporea interna può sopportare solo aumenti limitati.
Se l'ambiente diventa troppo freddo, noi reagiamo con la vaso-costrizione e col brivido. La vaso-costrizione ci aiuta a mantenere il calore corporeo e il brivido può fornire fino al triplo della rimanente produzione di calore. Quando la pelle viene esposta per un certo tempo al freddo intenso, vi è il pericolo che la vaso-costrizione dia luogo ad un congelamento. Nella regione della mano è contenuto un importante sistema anti-congelamento.
Dapprincipio le mani reagiscono al freddo intenso mediante una violenta vaso-costrizione, quindi, dopo circa 5 minuti, avviene il contrario mediante una forte vaso-dilatazione e le mani diventano calde e rosse. (Chiunque abbia fatto a palle di neve d'inverno, lo avrà provato.) La costrizione e la dilatazione della regione della mano continuano alternativamente con fasi di costrizione che limitano la perdita di calore e fasi di dilatazione che impediscono il congelamento. Gli individui che vivono permanentemente in un clima freddo, subiscono svariate forme di acclimatamento corporeo, compreso un leggero aumento del metabolismo basale.
Poiché la nostra razza si è diffusa in tutto il globo, a questi meccanismi di controllo biologico della temperatura sono state fatte delle importanti aggiunte culturali. Lo sviluppo del fuoco, degli indumenti e delle case di abitazione isolate è servito contro la perdita di calore, mentre contro l'eccesso di calore abbiamo usato la ventilazione e il raffreddamento. Per quanto questi progressi siano stati impressionanti e straordinari, essi non hanno cambiato in alcun modo la nostra temperatura interna, ma sono serviti semplicemente a controllare la temperatura esterna, in modo che noi possiamo continuare a godere della nostra primitiva temperatura da primati, in una gamma più vasta di condizioni esterne. Nonostante le recenti affermazioni, gli esperimenti di sospensione dell'animazione, basati su particolari sistemi di congelamento, sono ancora limitati al regno della fantascienza. Prima di lasciare l'argomento delle reazioni del corpo alla temperatura, vorrei parlare di un altro aspetto particolare della sudorazione. Ricerche approfondite sulle reazioni della sudorazione nella nostra specie, hanno rivelato che queste non sono così semplici come potrebbero sembrare a prima vista. La maggior parte delle zone superficiali del nostro corpo cominciano a traspirare liberamente quando vi è un aumento di calore e senza dubbio questa è la reazione originale fondamentale del sistema ghiandolare sudorifero. Alcune regioni però sono diventate reattive verso altri stimoli, per cui la sudorazione qui può manifestarsi a prescindere dalla temperatura esterna. Per esempio, l'ingestione di cibi molto drogati determina una particolare forma di sudorazione del viso. Lo stress emotivo provoca rapidamente una produzione di sudore sul palmo delle mani, nella pianta dei piedi, sotto le ascelle e talvolta sulla fronte, ma mai in altre regioni del corpo.
Nelle zone soggette alla sudorazione emotiva vi è una ulteriore distinzione ed infatti la reazione del palmo delle mani e della pianta dei piedi differisce da quella delle ascelle e della fronte.
Le prime due zone reagiscono bene solo alle situazioni emotive, mentre le ultime reagiscono sia agli stimoli emotivi che alla temperatura. Da ciò risulta chiaro che le mani e i piedi hanno "preso in prestito" la sudorazione dal sistema di controllo della temperatura e adesso se ne servono in un nuovo ambito funzionale.
Sembra che l'inumidimento del palmo delle mani e della pianta dei piedi, in condizioni di stress, sia diventato un aspetto particolare della reazione di "pronto a tutto" che l'organismo fornisce quando è minacciato da un pericolo. Lo sputare sulle mani prima di maneggiare una accetta in un certo senso è l'equivalente non fisiologico di questo processo. La reazione della sudorazione del palmo delle mani è talmente pronta, che intere società o nazioni presentano un aumento di questa reazione se in qualche modo la sicurezza del gruppo viene minacciata.
Durante una recente crisi politica, mentre aumentavano temporaneamente le probabilità di una guerra nucleare, si dovettero sospendere tutti gli esperimenti sulla sudorazione del palmo delle mani negli istituti di ricerca, perché il livello basale di questa reazione presentava tali caratteri di anormalità che le prove non avrebbero avuto alcun significato.
Quando ci facciamo leggere la mano da un chiromante, può darsi che questi non ci dica molto riguardo al nostro futuro ma, se ce la legge un fisiologo, senza dubbio questi è in grado di dirci qualcosa circa i nostri timori per il futuro.
Viii. Gli animali
Fin qui abbiamo esaminato il comportamento dello scimmione nudo verso se stesso e gli altri membri della sua stessa specie, cioè il suo comportamento intra-specifico. Adesso ci restano da studiare le sue manifestazioni verso gli altri animali, cioè il suo comportamento inter-specifico. Qualunque forma vivente di animale superiore è cosciente della presenza di almeno qualcuna delle altre specie con cui condivide l'ambiente. Esso li considera in cinque diverse maniere: come preda, come simbionti, come antagonisti, come parassiti e come predatori. Nel caso della nostra specie, queste cinque categorie possono venire considerate insieme come "rapporto economico" con gli animali, a cui si possono aggiungere i rapporti scientifici, estetici e simbolici. Questa vasta gamma di interessi ci ha dato una partecipazione intra-specifica unica nel mondo animale.
Per comprenderla in modo chiaro e obiettivo, dobbiamo affrontarla passo per passo, atteggiamento per atteggiamento.
Per la sua natura esplorativa ed opportunista, la lista delle razze da preda dello scimmione nudo è vastissima. In qualche posto e in qualche momento egli ha ucciso e mangiato quasi tutti gli animali che vi possono venire in mente. Da una ricerca effettuata sui resti preistorici, noi sappiamo che circa mezzo milione di anni fa, in un solo luogo, egli cacciava e mangiava bisonti, rinoceronti, cervi, orsi, pecore, mammuth, cammelli, struzzi, antilopi, bufali, cinghiali e iene. Non avrebbe scopo compilare un "menù delle specie" per le epoche più recenti, ma vale la pena di parlare di un lato del nostro comportamento predatorio cioè la nostra tendenza ad addomesticare alcune razze da preda selezionate. Infatti, sebbene noi abbiamo la tendenza a mangiare, quando se ne presenta l'occasione, qualunque cosa commestibile, limitiamo la maggior parte del nostro nutrimento a poche importanti forme animali.
E' noto che l'addomesticamento del bestiame, con relativo controllo organizzativo e allevamento selezionato della preda, viene praticato da almeno diecimila anni e in qualche caso probabilmente anche da più tempo.
Sembra che le capre, le pecore e le renne siano state le prime razze da preda trattate in questo modo. In seguito, con lo sviluppo della comunità agricola fissa, a questa lista si sono aggiunti i maiali e i bovini, compreso il bufalo asiatico e lo yak. E' stato dimostrato che quattromila anni fa, per quello che riguarda i bovini, si erano già sviluppate diverse razze ben distinte. Mentre le capre, le pecore e le renne vennero trasformate direttamente da preda da cacciare a preda da allevare, si pensa che i maiali e i bovini cominciarono a stringere rapporti con la nostra specie come ladri di raccolti. Una volta che furono disponibili i raccolti coltivati, gli animali vennero per sfruttare questa nuova ricca riserva di cibo e così furono catturati dai primi agricoltori e posti sotto controllo domestico.
L'unico piccolo mammifero da preda sottoposto ad un prolungato addomesticamento fu il coniglio, ma ciò apparentemente avvenne molto più tardi. Tra gli uccelli, le razze da preda più importanti addomesticate migliaia di anni fa sono i polli, le oche e le anitre con un'ulteriore aggiunta meno importante di fagiani, galline faraone, quaglie e tacchini. Gli unici pesci da preda con una lunga storia di addomesticamento sono le anguille dei Romani, la carpa e il pesce rosso. Quest'ultimo però ben presto assunse una funzione più ornamentale che gastronomica. L'addomesticamento di questi pesci è limitato agli ultimi duemila anni ed ha avuto solo una piccola parte nella storia della nostra razza organizzata.
Nella nostra lista dei rapporti intra-specifici, la seconda categoria è quella del simbionte. Per simbiosi si intende l'associazione di due specie diverse con vantaggio reciproco. Ne conosciamo molti esempi nel mondo animale, ma il più famoso è costituito dall'associazione tra gli uccelli da zecca e alcuni grandi ungulati come il rinoceronte, la giraffa e il bufalo. Questi uccelli mangiano i parassiti cutanei degli ungulati aiutando in tale modo i suddetti animali a mantenersi sani e puliti, mentre questi ultimi forniscono agli uccelli una preziosa fonte di cibo. Quando noi facciamo parte di una coppia simbiotica, il vantaggio scambievole tende a pendere marcatamente in nostro favore, ma si tratta di un tipo diverso di rapporto, ben distinto da quello più spietato che esiste tra la preda e il predatore, poiché non implica la morte dell'altra specie interessata. Noi sfruttiamo questi animali, ma in cambio dello sfruttamento diamo loro cure e nutrimento. Si tratta di una simbiosi viziata in partenza, perché noi abbiamo il controllo della situazione, mentre i nostri partners animali di solito non hanno quasi voce in capitolo. Senza dubbio il simbionte più antico della nostra storia è il cane. Non sappiamo con esattezza quando i nostri antenati cominciarono ad addomesticare questo prezioso animale, ma sembra che ciò sia avvenuto almeno diecimila anni fa. Gli antenati selvaggi, simili a lupi, del cane addomesticato dovettero rappresentare dei forti antagonisti dei nostri avi cacciatori.
Entrambi cacciavano in branco aiutandosi scambievolmente, prede di grandi dimensioni, e all'inizio probabilmente tra loro non vi fu molta simpatia.
I cani selvaggi possedevano delle doti particolari che mancavano ai nostri cacciatori. Essi erano particolarmente abili nell'ammassare e nello spingere la preda durante le manovre di caccia ed erano in grado di farlo a grande velocità. Inoltre possedevano un senso più acuto dell'odorato e dell'udito. Potendo sfruttare questi attributi in cambio di una partecipazione nell'uccisione, si trattava di un buon affare. Ciò infatti avvenne in qualche modo, non sappiamo esattamente come, e così nacque un legame inter-specifico. E' probabile che questo ebbe inizio quando qualche cucciolo venne portato nel rifugio base della tribù per essere ingrassato e servire da cibo. In un primo tempo, il valore di questi animali come cani da guardia notturni dovette segnare un punto in loro favore. Quelli a cui venne consentito di vivere in uno stato di domesticità e ad accompagnare i maschi nei loro giri di caccia ben presto dimostrarono le loro capacità nell'aiutare a catturare la preda. Una volta allevati singolarmente, i cani si considerarono membri della tribù dello scimmione nudo e istintivamente collaborarono con i loro padroni di adozione. La riproduzione selettiva, svoltasi per molte generazioni, eliminò ben presto gli insubordinati e in tal modo sorse una nuova razza migliore e sempre più ristretta di cani da caccia domestici e facili da dominare.
E' stato detto che questa evoluzione del rapporto col cane rese possibile le prime forme di addomesticamento degli animali ungulati.
Le capre, le pecore e le renne erano già in un certo senso sotto il dominio dell'uomo, prima dell'avvento del vero periodo agricolo e il cane, così trasformato, viene considerato come un fattore fondamentale che rese possibile questo fenomeno, aiutando l'allevamento su vasta scala e a lunga scadenza di questi animali. Le ricerche compiute sul modo di comportarsi dei cani da pecora del giorno d'oggi e dei lupi selvaggi, hanno rivelato molte analogie di tecnica e forniscono valide prove in sostegno di questa teoria.
In tempi più recenti, l'intensificarsi della riproduzione selettiva ha prodotto una intera gamma di specializzazioni del cane simbiotico.
Il primitivo cane da caccia, adatto a tutti gli usi, è stato presente in ogni fase di questo processo, ma i suoi successivi discendenti sono stati perfezionati a causa di questo o di quel componente della sequenza di comportamento presa nel suo insieme. Cani particolari, dotati di insolite ed evidenti capacità in un determinato campo, sono stati incrociati fra loro in modo da accentuare le proprie speciali caratteristiche. Come abbiamo già visto, quelli dotati di buone qualità nelle manovre diventarono cani da gregge e il loro aiuto riguardava soprattutto il radunamento delle prede addomesticate (cani da pecora). Altri, dotati di un migliore senso dell'odorato, vennero incrociati come fiutatori (segugi). Altri ancora, dotati di velocità atletica, divennero cani da corsa e furono usati per inseguire la preda a vista (levrieri). Un altro gruppo venne allevato come stanatori di preda e la loro tendenza a bloccarsi nel localizzare quest'ultima, venne sfruttata e resa più marcata (setters e pointers). Un altro ramo ancora venne perfezionato come scopritori e portatori di preda (cani da presa). Le razze piccole vennero riprodotte come uccisori di animali nocivi (terriers). I primitivi cani da guardia, vennero perfezionati da un punto di vista genetico come cani da difesa (mastini). Oltre a queste forme comuni di sfruttamento, vi sono altre razze di cani che sono state allevate selettivamente a scopi più insoliti. L'esempio più straordinario è il cane senza pelo degli antichi Indiani d'America, una razza geneticamente nuda con una temperatura cutanea anormalmente elevata che veniva usato come primitiva boule per l'acqua calda negli alloggiamenti.
In epoche più recenti, il cane simbiotico si è guadagnato il suo mantenimento come bestia da soma, tirando carri o slitte, come messaggero o scopritore di mine in tempo di guerra, come soccorritore, individuando gli scalatori sepolti sotto la neve, come cane-poliziotto, inseguendo o assalendo i criminali, come guida, conducendo i ciechi e persino come sostituto del viaggiatore spaziale. Nessun'altra specie simbiotica ci ha servito in modo tanto complesso e vario. Anche oggi, nonostante tutti i nostri progressi tecnologici, il cane viene usato attivamente nell'espletamento delle sue principali funzioni. Molte, tra le centinaia di razze che oggi si possono differenziare, sono puramente ornamentali, ma è ben lontano il giorno in cui il cane non avrà più una funzione importante da compiere.
Il cane ha avuto una riuscita così buona, come compagno di caccia, che i tentativi per addomesticare altre razze per questa particolare forma di simbiosi sono stati molto scarsi. L'unica eccezione è costituita dai leopardi e da alcuni uccelli da preda, in modo particolare il falcone, ma in nessuno dei due casi vi è stato qualche progresso nel campo della riproduzione controllata, per non parlare di un allevamento selettivo; è stato sempre necessario un addestramento individuale. In Asia, come compagno di pesca, è stato usato il cormorano, un uccello tuffatore. Si prendono le uova di cormorano e si fanno covare dalle galline domestiche. Quindi i giovani uccelli marini vengono allevati e addestrati ad acchiappare i pesci, sempre legati ad un filo. Il pesce viene poi riportato sulle barche e vomitato, dato che ai cormorani viene applicato un anello che impedisce di inghiottire la preda. Anche in questo caso, non è stato fatto nessun tentativo per migliorare la razza mediante una riproduzione selettiva.
Un'altra antica forma di sfruttamento è l'uso di piccoli carnivori come distruttori di animali nocivi. Questa tendenza si è manifestata in modo evidente con l'avvento della nostra storia del periodo agricolo. In seguito all'evento della conservazione dei cereali su vasta scala, i roditori diventarono un grave problema e così venne favorito il diffondersi delle razze degli uccisori di questi animali.
Le razze che ci vennero in aiuto sono il gatto, il furetto e la mangusta; nei primi due casi seguì un addomesticamento completo con allevamento selettivo.
Forse la più importante forma di simbiosi è stata lo sfruttamento di alcune razze di maggiori dimensioni, come bestie da soma. I cavalli, gli onagri (asini selvatici asiatici), i somari (asini selvatici africani), i bovini, compreso il bufalo d'acqua e lo yak, le renne, i cammelli, i lama e gli elefanti in questo campo hanno subito un massiccio sfruttamento. Nella maggior parte dei casi, i tipi selvatici originali sono stati "migliorati" mediante una attenta riproduzione selettiva; l'onagro e l'elefante costituiscono un'eccezione alla regola. L'onagro veniva usato come bestia da soma dagli antichi Sumeri più di quattromila anni fa, ma cadde in disuso con l'avvento del cavallo, razza più facilmente controllabile.
L'elefante, sebbene venga usato ancora oggi come animale da lavoro, ha sempre costituito una difficoltà troppo grossa per l'allevatore e non ha mai subito le esigenze di una riproduzione selettiva.
Un'altra categoria riguarda l'addomesticamento di specie svariate come fonte di prodotti. In questo caso gli animali non vengono uccisi, per cui non si può considerarli come preda, ma se ne preleva solo una parte: il latte dai bovini e dalle capre, la lana dalle pecore e dall'alpaca, le uova dalle galline e dalle anitre, il miele dalle api e la seta dai bachi da seta.
Oltre a queste categorie principali di compagni di caccia, distruttori di animali nocivi, bestie da soma e fonti di prodotti, vi sono alcuni animali che hanno stretto con la nostra razza un rapporto simbiotico su basi più particolari e specialistiche. Il piccione, per esempio, è stato addomesticato come portatore di messaggi. Per migliaia di anni si sono sfruttate le sorprendenti capacità di questo uccello a ritrovare la propria casa. Questo rapporto divenne talmente prezioso in tempo di guerra, che in epoche recenti si sviluppò una simbiosi contraria, sotto forma di falconi addestrati ad intercettare i portatori di messaggi. I pesci siamesi e i galli da combattimento, per molto tempo, sono stati allevati selettivamente come mezzi di scommessa. Nel campo della medicina, le cavie e i topi bianchi sono comunemente usati come "materiale vivente di prova" per gli esperimenti di laboratorio.
Questi sono i principali tipi di simbionti, animali cioè che sono stati costretti a qualche forma di rapporto con la nostra ingegnosa razza. Essi hanno il vantaggio di non essere più nostri nemici. Il loro numero è cresciuto in maniera straordinaria e, come popolazione mondiale, hanno avuto un successo meraviglioso. Si tratta però di un successo limitato. Il prezzo che hanno pagato è la libertà evolutiva.
Essi hanno perso la loro indipendenza genetica e, sebbene siano ben nutriti e curati, per quel che riguarda la riproduzione sono soggetti ai nostri capricci e alle nostre fantasie.
Dopo le prede e i simbionti, la terza categoria principale di animali con cui abbiamo rapporti è quella degli antagonisti.
Qualunque specie sia in competizione con noi per il cibo e lo spazio, o impedisca l'attivo decorso della nostra vita viene spietatamente eliminata. Fare un elenco di queste razze non avrebbe scopo.
Praticamente, qualunque animale non commestibile o inutile da un punto di vista simbiotico viene attaccato e sterminato. Questo processo continua tuttora in tutte le parti del mondo. Nel caso degli antagonisti di minore importanza, la persecuzione avviene in modo casuale, ma i rivali pericolosi non hanno quasi scampo. Nel passato i nostri rivali più pericolosi sono stati i nostri più stretti parenti primati e non è un caso che oggi noi siamo l'unica specie sopravvissuta di tutta la famiglia. Anche i carnivori, una volta nostri pericolosi antagonisti, sono stati eliminati dovunque la nostra razza ha superato un certo livello di densità. Per esempio, oggi l'Europa è praticamente priva di animali di grandi dimensioni, a parte una vasta massa di scimmioni nudi in fermento.
Il futuro appare ancora più squallido per la terza importante categoria successiva, quella dei parassiti. Qui la lotta è ancora più intensa e se possiamo addolorarci per la perdita di un cibo eccellente, nessuno spargerà una lacrima sul fatto che le cimici diventano sempre più rare. Col progredire della medicina diminuisce il dominio del parassiti. Come conseguenza si ha un pericolo maggiore per tutte le altre razze, perché con la scomparsa dei parassiti ed il miglioramento della nostra salute, la popolazione è in grado di espandersi con una rapidità anche più allarmante, accentuando la necessità di eliminare qualunque antagonista più debole.
Anche la quinta categoria importante, quella dei predatori, è sul punto di scomparire. Noi non abbiamo mai realmente costituito un componente principale nella dieta di nessuna specie e per ciò che ne sappiamo, in nessun periodo della nostra storia, abbiamo subìto gravi diminuzioni di numero ad opera dei predatori. Invece i grandi carnivori, come i grossi felini e i cani selvatici, i membri più grandi della famiglia dei coccodrilli, i pescecani e i grandi uccelli da preda, di tanto in tanto ci hanno assaggiato e i loro giorni sono ormai contati.
Per una ironia della sorte, l'animale che ha ucciso più scimmioni nudi di qualunque altro (tranne i parassiti) non è in grado di divorare i nutrienti cadaveri che si procura. Questo nemico mortale è il serpente velenoso, divenuto la più odiata forma di vita animale superiore.
Queste cinque categorie di rapporti interspecifici, preda, simbionte, antagonista, parassita e predatore, sono le stesse che si possono ritrovare in altre razze. Fondamentalmente, a questo riguardo non siamo un esempio unico. Noi spingiamo il rapporto più lontano delle altre specie, ma si tratta dello stesso tipo di rapporto. Come ho detto prima, questi diversi rapporti si possono riunire sotto la voce di rapporto economico con gli animali. Inoltre noi abbiamo dei rapporti particolari, cioè lo scientifico, l'estetico e il simbolico.
Gli atteggiamenti scientifici ed estetici sono manifestazioni del nostro forte impulso all'esplorazione. La nostra curiosità e il nostro bisogno di indagare ci spingono ad esaminare tutti i fenomeni naturali e, a questo riguardo, il mondo animale è stato il centro di una grande attenzione. Per lo zoologo, tutti gli animali sono o dovrebbero essere ugualmente interessanti. Per lui non esistono razze buone e razze cattive, egli le studia tutte, esaminandole per il gusto di farlo. Il rapporto estetico implica fondamentalmente la stessa tendenza alla esplorazione, ma in un senso diverso. In questo caso, l'enorme varietà di forme, colori, manifestazioni e movimenti degli animali è esaminata come oggetto di bellezza più che come mezzo di analisi. Il rapporto simbolico è completamente diverso. In questo caso non c'entra né l'economia né l'esplorazione. Gli animali vengono invece usati come personificazioni di idee. Se una specie ha un aspetto feroce diventa un simbolo di guerra; se ha un aspetto goffo e tenero diventa il simbolo dell'infanzia. Poco importa se poi sia realmente feroce o tenera. A questo riguardo, non si studia la sua vera natura, perché non si tratta di un rapporto scientifico. Magari l'animale dall'aspetto tenero possiede zanne taglienti come un rasoio ed è dotato di una aggressività malvagia, ma poiché questi attributi non sono evidenti, mentre lo è il suo aspetto tenero, egli è perfettamente accettabile come simbolo dell'infanzia. Per l'animale simbolico non serve che venga fatta giustizia, basta solo che ciò sembri evidente. All'inizio l'atteggiamento simbolico verso gli animali venne battezzato rapporto "antropoidomorfo". Per fortuna, questo termine sgradevole è stato in seguito contratto in "antropomorfo" che, per quanto ancora piuttosto goffo, è l'espressione oggi comunemente usata. Gli scienziati la usano sempre in un senso derogatorio e dal loro punto di vista sono pienamente giustificati nel disprezzare questo atteggiamento. Volendo compiere delle esplorazioni valide nel regno animale essi devono conservare a tutti i costi la loro obiettività, il che non è così facile come sembra.
Indipendentemente dalle decisioni deliberate di servirsi delle forme animali come idoli, emblemi ed immagini, in noi operano continuamente impulsi nascosti e profondi che ci spingono a vedere le altre specie come caricature di noi stessi. Anche lo scienziato più sofisticato può dire "Ciao vecchio mio" salutando il suo cane.
Sebbene sappia perfettamente che l'animale non è in grado di capire le sue parole, egli non sa resistere alla tentazione. Qual è la natura di questi impulsi antropomorfi, e perché sono così difficili da superare? Perché alcune creature ci fanno dire: "Ah" ed altre "Uh"? Non si tratta di una riflessione senza importanza. In questo caso è interessata una buona parte delle nostre energie inter-specifiche della nostra civiltà attuale. Noi amiamo o odiamo gli animali con trasporto e questa partecipazione non si può spiegare soltanto sulla base di considerazioni economiche ed esplorative. E' chiaro che i segnali specifici che riceviamo fanno scattare dentro di noi qualche reazione inaspettata e fondamentale.
Noi ci inganniamo pensando di reagire ad un animale in quanto tale.
Affermiamo che esso è affascinante, irresistibile oppure orribile, ma che cosa è che lo rende tale?
Per rispondere a questa domanda, per prima cosa dobbiamo radunare alcuni elementi. Quali sono esattamente gli animali che la nostra civiltà ama e odia e in che modo questi variano con l'età e il sesso?
Volendo fare delle affermazioni valide su questo argomento, sono necessarie dimostrazioni quantitative su larga scala. Per ottenere queste prove, è stata svolta un'indagine tra 80'000 bambini inglesi, di età compresa tra i quattro e i quattordici anni. Durante un programma televisivo di zoologia sono state loro rivolte delle semplici domande di questo tipo: "qual è l'animale che ti piace di più?" e "qual è l'animale che detesti di più?". Dall'insieme delle reazioni è stato scelto a caso ed analizzato un campionario di 12.000 risposte.
Parlando per prima cosa delle "passioni" inter-specifiche, come si comportano i diversi gruppi di animali? Ecco i dati: il 97,15% dei bambini ha citato come favorito un mammifero di tipo svariato. Gli uccelli riguardavano soltanto l'1,6%, i rettili l'1,0%, i pesci lo 0,1%, gli invertebrati lo 0,1% e gli anfibi lo 0,05%. E' chiaro che a questo riguardo, i mammiferi rappresentano qualcosa di particolare.
(Sarebbe giusto fare notare che le risposte alle domande sono state scritte e non dette e che talvolta è stato difficile identificare gli animali dai nomi forniti, specialmente nel caso di bambini molto piccoli. E' stato abbastanza facile decifrare le lonze, gli hores, i bores, i penny kings, i panders, i tapers e i leapolds, mentre si è dimostrato quasi impossibile essere sicuri delle specie indicate come i bettle twigs, il verme scivolante, l'otamus e la bestia del coca-cola. Le dichiarazioni intese a convalidare queste attraenti creature vennero respinte a malincuore.)
Restringendo il nostro campo ai "primi dieci animali preferiti" i dati sono i seguenti: I) Scimpanzé (13,5%). Ii) Scimmia (13%). Iii) Cavallo (9%). Iv) Bushbaby (8%). V) Panda (7,5%). Vi) Orso (7%). Vii) Elefante (6%). Viii) Leone (5%). Ix) Cane (4%). X) Giraffa (2,5%).
Risulta subito chiaro che queste preferenze non riflettono potenti impulsi economici o estetici. L'elenco delle dieci razze economicamente più importanti risulterebbe molto diverso, né questi animali preferiti appartengono alle razze più eleganti e più colorate. Essi comprendono invece un'alta proporzione di forme goffe, pesanti e di colori sbiaditi dotati però di aspetti antropomorfi ai quali i bambini reagiscono nel fare la loro scelta. Non si tratta di un processo cosciente. Ciascuna delle specie che abbiamo elencate fornisce degli stimoli chiave che ci ricordano molto le caratteristiche particolari della nostra razza a cui noi reagiamo in modo automatico, senza renderci affatto conto di quello che in esse ci attrae. Ecco gli aspetti antropomorfi più significativi dei primi dieci animali: I) Hanno tutti un mantello di pelo invece che piume o squame. Ii) Hanno contorni rotondi. Iii) Hanno il muso piatto (scimpanzé, bushbaby, panda, leone). Iv) Possiedono espressioni facciali (scimpanzé, scimmia, cavallo, leone, cane). V) Sono in grado di "maneggiare" piccoli oggetti (scimpanzè, scimmia, bushbaby, panda, elefante). Vi) La loro posizione talvolta tende in qualche modo alla verticalità (scimpanzé, scimmia, bushbaby, panda, orso, giraffa).
Quanto più una di queste razze soddisfa le suddette caratteristiche, tanto più sale verso la cima della lista dei primi dieci posti. Le razze diverse dai mammiferi non hanno buon gioco perché a questo riguardo sono manchevoli. Tra gli uccelli, i favoriti sono i pinguini (0,8%) e i pappagalli (0,2%). Il pinguino è il primo tra gli uccelli perché fra tutti è quello che ha la posizione più verticale. Anche il pappagallo sta più eretto della maggior parte degli uccelli ed inoltre presenta altri vantaggi particolari. La forma del becco dà alla sua faccia un aspetto insolitamente piatto per un uccello. Inoltre esso mangia in modo strano, portando la zampa alla bocca invece di abbassare il capo ed è in grado di imitare le nostre manifestazioni vocali. Purtroppo per la sua popolarità, quando cammina si piega, assumendo una posizione più orizzontale ed in tal modo perde molti punti rispetto al pinguino.
Tra i mammiferi preferiti, vi sono diversi aspetti particolari che vale la pena di notare. Per es.: perché il leone è l'unico dei grossi felini ad essere compreso nella lista? La risposta sembra che risieda nel fatto che solo il leone maschio possiede una folta criniera pelosa che circonda la zona del capo, che ha l'effetto di appiattire il muso (come risulta chiaro dal modo in cui i leoni vengono ritratti nei disegni infantili), il che segna altri punti in favore di questa razza.
Come abbiamo già visto negli scorsi capitoli, le espressioni facciali sono particolarmente importanti nella nostra specie come forme fondamentali di comunicazione visiva. Queste si sono evolute in modo complesso solo in pochi gruppi di mammiferi, come i primati superiori, i cavalli, i cani e i gatti. Non è infatti per caso che cinque dei dieci favoriti appartengano a queste categorie. I cambiamenti dell'espressione facciale indicano un mutamento dello stato d'animo e stabiliscono un prezioso legame tra noi e gli animali, anche se non sempre il significato esatto dell'espressione viene perfettamente compresa. Per quel che riguarda la capacità manipolativa, il panda e l'elefante sono casi unici. Il primo ha sviluppato un osso della zampa di forma allungata che gli consente di afferrare i sottili bastoncini di bambù di cui si nutre. Una conformazione del genere è unica nel regno animale. Essa consente al panda dalle zampe piatte di prendere piccoli oggetti e di portarli alla bocca mentre sta in posizione verticale. Dal punto di vista antropomorfo, ciò segna numerosi punti in suo favore. Anche l'elefante è in grado di "maneggiare" piccoli oggetti mediante la proboscide, altra struttura singolare, e di portarli alla bocca. La posizione verticale tanto caratteristica della nostra specie, dà, a qualunque animale che la assume, un immediato vantaggio antropomorfo.
Nella lista dei dieci favoriti, sia i primati che gli orsi e i panda assumono spesso una posizione verticale. Talvolta arrivano a stare in piedi verticalmente ed a muovere qualche passo malfermo in questa posizione, il che li aiuta a guadagnare dei punti preziosi. La giraffa, grazie alle proporzioni uniche del corpo, in un certo senso mantiene sempre la posizione verticale. Il cane, che dal punto di vista antropomorfo raggiunge un punteggio elevato per il suo comportamento sociale, è stato sempre una delusione per quel che riguarda la posizione, inequivocabilmente orizzontale. Rifiutando di farci sconfiggere su questo punto, la nostra ingegnosità si è messa all'opera e ha risolto il problema insegnando al cane a stare ritto in atteggiamento di preghiera. Spinti dall'impulso di antropomorfizzare la povera creatura ci siamo spinti ancora più avanti. Poiché noi non abbiamo coda, abbiamo cominciato a mozzare la sua. Dato che abbiamo il viso schiacciato, abbiamo usato la riproduzione selettiva per ridurre la struttura ossea del suo muso.
Come conseguenza, oggi, molte razze canine hanno un muso anormalmente piatto. Le nostre necessità antropomorfe sono così pressanti che vanno soddisfatte anche a prezzo della efficienza dei denti dell'animale. Dobbiamo quindi riconoscere che questo tipo di rapporto con l'animale è puramente egoistico. Noi non vediamo gli animali come tali, ma come riflessi di noi stessi e quando lo specchio presenta delle deformazioni troppo evidenti, ne modifichiamo l'aspetto oppure lo lasciamo perdere. Fin qui abbiamo esaminato gli animali prediletti dai bambini di età compresa tra i 4 e i 14 anni. Se ora separiamo le reazioni verso questi preferiti, dividendole per gruppi di età, vengono fuori delle tendenze notevolmente pronunziate. Per alcuni animali, col crescere dell'età dei bambini, vi è una diminuzione costante, mentre per altri si riscontra un continuo aumento.
Una scoperta inaspettata è che queste tendenze presentano uno stretto rapporto con un particolare aspetto degli animali preferiti, cioè le dimensioni corporee. I bambini più piccoli preferiscono gli animali più grandi, mentre nei bambini più grandi avviene il contrario. Come dimostrazione, possiamo prendere i dati dei due animali più grandi tra i primi dieci, l'elefante e la giraffa e dei due più piccoli, il bushbaby e il cane. L'elefante, con una media totale del 6% inizia col 15% fra i bambini di 4 anni per calare quindi lentamente fino al 3% fra i ragazzi di 14. La giraffa presenta una analoga diminuzione di popolarità dal 10 all'1%. Il bushbaby invece inizia solo con il 4,5% fra i bambini di 4 anni, per salire gradatamente fino all'11% fra i quattordicenni. Il cane sale dallo 0,5 al 6,5%. Tra i primi dieci favoriti gli animali di taglia media non presentano tendenze così marcate.
Possiamo esprimere queste osservazioni, formulando due principi. La prima legge sull'attrazione degli animali dice: "La popolarità di un animale è direttamente proporzionale al numero di caratteristiche antropomorfe che questo possiede." La seconda legge sull'attrazione degli animali dice: "L'età del bambino è inversamente proporzionale alle dimensioni dell'animale preferito."
Come possiamo spiegare la seconda legge? Ricordando che la preferenza si basa su di una equazione simbolica, la spiegazione più semplice è che i bambini più piccoli considerano gli animali come sostituti dei bambini. Non basta che l'animale ci ricordi la nostra razza, esso ci deve anche rammentare una categoria particolare.
Quando il bambino è molto piccolo, i genitori rappresentano le figure protettrici più importanti che dominano il suo senso di consapevolezza. Essi sono come degli animali grandi e amichevoli, per cui gli animali che rispondono a queste caratteristiche vengono facilmente identificati con le figure dei genitori. Man mano che il bambino cresce, comincia a farsi valere e a competere con i genitori.
Egli si sente di controllare la situazione, ma è difficile controllare un elefante o una giraffa. Le preferenze devono quindi ripiegare su animali di dimensioni più maneggevoli. In modo strano e precoce, il bambino diventa il genitore e l'animale il simbolo del bambino. Il bambino reale è troppo piccolo per essere un genitore vero, e quindi diventa invece un genitore simbolico. Il possesso di un animale diventa importante e il tenere un proprio beniamino si manifesta come una forma di "paternalismo infantile". Non è casuale il fatto che l'animale prima conosciuto come galago, da quando è diventato disponibile come animale domestico esotico, ha preso il nome di bushbaby. (I genitori dovrebbero sapere che il bisogno di avere un animale arriva solo nella tarda infanzia. E' un grave errore dare un animale ai bambini molto piccoli, perché questi li considerano come oggetti da sottoporre ad una esplorazione distruttiva o come animali nocivi.)
Una eccezione rimarchevole alla seconda legge sull'attrazione degli animali è costituita dal cavallo. La reazione verso questo animale presenta due aspetti insoliti. Quando lo si analizza in rapporto al crescere della età dei bambini, esso presenta un leggero aumento di popolarità, seguito da una diminuzione altrettanto lieve. Il massimo coincide con l'inizio della pubertà. Analizzato in rapporto ai due sessi, risulta che esso è tre volte più popolare tra le ragazze che non tra i maschi.
Nessun altro animale preferito presenta qualcosa che si avvicina sia pure lontanamente a questa differenza di reazione dei due sessi. E' chiaro che nella reazione verso il cavallo vi è qualcosa di insolito che richiede un esame a parte.
La caratteristica unica del cavallo, in questo ambito, è che esso rappresenta qualcosa da montare e da cavalcare, il che non si può applicare a nessun altro dei dieci animali preferiti. Se associamo questa osservazione col fatto che il massimo della popolarità coincide con la pubertà e che nel suo fascino vi è una forte differenza tra i due sessi, siamo obbligati a concludere che la reazione al cavallo implica un potente elemento sessuale. Facendo un paragone simbolico tra il montare un cavallo e la monta del rapporto sessuale, è strano che questo animale eserciti un'attrazione maggiore sulle ragazze. Il cavallo è però un animale forte, muscoloso e potente per cui si adatta meglio alla parte del maschio. Considerata da un punto di vista obiettivo, l'azione del cavalcare consiste in una lunga serie di movimenti ritmici con le gambe aperte e a stretto contatto con il corpo dell'animale. L'attrazione che esso esercita sulle ragazze sembra che derivi dall'associazione della sua mascolinità con la posizione e gli atti che vengono effettuati sulla sua schiena. (Vogliamo far rilevare che noi qui parliamo della popolazione infantile presa nel suo insieme. Un bambino su undici preferisce il cavallo a tutti gli altri animali. Su questa percentuale solo una piccola parte avrà mai la possibilità di possedere un poney o un cavallo. Quelli che lo possono, ben presto imparano le molte e svariate soddisfazioni che accompagnano questa forma di attività. Se in conseguenza diventano appassionati di equitazione, ciò naturalmente non ha un particolare significato nel campo che stiamo trattando.)
Resta da spiegare la diminuzione della popolarità del cavallo dopo la pubertà. Con lo sviluppo sessuale, sarebbe prevedibile un aumento ulteriore di popolarità anziché una diminuzione. La risposta si può trovare paragonando il grafico dell'amore per il cavallo con la curva del "gioco sessuale" nei bambini. Queste manifestazioni, infatti, presentano una notevole analogia. Sembra che, con lo sviluppo di una maggiore consapevolezza e del caratteristico senso di segretezza che avvolge le sensazioni sessuali degli adolescenti, la reazione verso il cavallo diminuisca insieme allo scoperto "gioco sessuale". Anche significativo è il fatto che, a questo punto, l'attrazione verso le scimmie subisce un analogo declino. Molte scimmie possiedono organi sessuali particolarmente evidenti, con protuberanze sessuali di colore rosa e di grandi dimensioni. Per i bambini più piccoli, queste non hanno alcun significato e quindi gli altri potenti aspetti antropomorfi delle scimmie possono esercitare la propria azione senza difficoltà, mentre, per quelli più grandi, gli evidenti organi genitali diventano una fonte di imbarazzo che di conseguenza porta ad una diminuzione di popolarità di questi animali.
Questa è quindi la situazione per quel che riguarda gli animali preferiti dai bambini. Negli adulti, le reazioni diventano più varie e sofisticate, ma persiste il fondamentale antropomorfismo.
Naturalisti e zoologi di un certo nome deplorano questo fatto, ma, poiché si sa perfettamente che le reazioni simboliche di questo genere non ci dicono nulla riguardo alla vera natura dei diversi animali interessati, esse non portano gran danno e forniscono uno sfogo sussidiario alle sensazioni emotive.
Prima di esaminare l'altro lato della questione, "gli animali più odiati", vi è una critica alla quale rispondere. Si potrebbe obiettare che i risultati di cui abbiamo parlato prima abbiano un significato puramente culturale e non siano di alcuna importanza per la nostra specie presa nel suo insieme.
Ciò è vero per quel che riguarda l'identità esatta degli animali interessati. E' ovvio che per reagire ad un panda, bisogna conoscerne l'esistenza. Non esiste una reazione innata verso il panda. Ma non è questo il nocciolo della questione. La scelta del panda può essere determinata dalla cultura, ma le ragioni di questa scelta indicano l'esistenza di un profondo processo biologico. Ripetendo l'indagine in una altra civiltà, le razze preferite possono cambiare, ma sono sempre scelte secondo i nostri fondamentali bisogni simbolici. La prima e la seconda legge sull'attrazione degli animali continuano a funzionare anche in questo caso.
Passando ora agli animali odiati, possiamo sottoporre i dati ad una analisi analoga. I dieci animali più odiati sono i seguenti: I) Serpente (27%). Ii) Ragno (9,5%). Iii) Coccodrillo (4,5%). Iv) Leone (4,5%). V) Topo (4%). Vi) Moffetta (3%). Vii) Gorilla (3%). Viii) Rinoceronte (3%). Ix) Ippopotamo (2,5%). X) Tigre (2,5%). Il topo è un animale nocivo che diffonde le malattie. Il ragno e il serpente hanno degli esemplari velenosi.
Questi animali hanno in comune una caratteristica importante: sono pericolosi. Il coccodrillo, il leone e la tigre sono carnivori uccisori. Il gorilla, il rinoceronte e l'ippopotamo, se provocati, possono uccidere con facilità. La moffetta pratica una forma violenta di guerra chimica.
La maggior parte di queste creature manca notevolmente degli aspetti antropomorfi che caratterizzano i primi dieci favoriti. Il leone e il gorilla sono delle eccezioni. Il leone è l'unico animale che compare in entrambe le liste. La reazione ambivalente verso questa specie è dovuta al fatto che questo animale presenta un'associazione unica di caratteri antropomorfi e di comportamento violentemente predatorio. Il gorilla è fortemente dotato di caratteri antropomorfi, ma sfortunatamente possiede una struttura facciale tale da sembrare sempre in uno stato d'animo aggressivo o che incute timore.
Ciò è semplicemente una conseguenza della sua struttura ossea e non ha alcun rapporto con la sua vera personalità (per la verità piuttosto mansueta), ma in associazione con la grande forza fisica, lo trasforma immediatamente in un perfetto simbolo di forza bruta e selvaggia.
La caratteristica più sorprendente che si riscontra nell'elenco dei dieci animali più odiati, è la reazione massiva verso il ragno e il serpente, che non si può spiegare unicamente con l'esistenza di esemplari pericolosi. Altri elementi vi contribuiscono. Analizzando i motivi addotti per spiegare l'odio verso questi animali, si è scoperto che i serpenti vengono odiati perché sono "scivolosi e sporchi" e che i ragni ispirano repulsione perché sono "pelosi e striscianti". Questo significa che i suddetti animali hanno un potente significato simbolico di qualche genere oppure che noi possediamo una forte reazione innata che ce li fa evitare.
Il serpente per molto tempo è stato considerato un simbolo fallico.
Poiché si tratta di un fallo velenoso, esso ha rappresentato il sesso sgradito, il che può spiegare parzialmente la sua impopolarità, ma ciò non è tutto. Se esaminiamo il diverso grado di odio verso il serpente tra i bambini di età compresa fra i quattro e i quattordici anni, vediamo che il livello massimo di impopolarità sopraggiunge presto, molto prima dell'arrivo della pubertà. A quattro anni vi è un alto livello di odio, circa il 30%, che sale lentamente fino a raggiungere il culmine a sei anni. Da questo momento in poi si ha un leggero declino che arriva molto al di sotto del 20% all'età di quattordici anni. La differenza tra i due sessi è lieve, sebbene a tutte le età la reazione delle ragazze è leggermente più marcata di quella dei maschi. L'arrivo della pubertà sembra che non porti conseguenze sulla reazione, in nessuno dei due sessi.
In base a queste prove è difficile accettare il serpente semplicemente come un potente simbolo sessuale. E' più probabile che ci troviamo di fronte ad una reazione innata di avversione della nostra razza verso tutti i tipi di serpenti. Ciò spiegherebbe non solo il precoce apparire di questa reazione, ma anche il suo altissimo livello a paragone di qualunque altro animale sia amato che odiato. Inoltre questo concetto si accorderebbe con ciò che sappiamo sui nostri più prossimi parenti viventi, gli scimpanzé, i gorilla e gli orangutang. Questi animali hanno una gran paura dei serpenti e anche in questo caso essa si presenta precocemente. Non si riscontra negli scimmioni molto giovani, ma è pienamente sviluppata quando questi hanno qualche anno e raggiungono la fase in cui cominciano a fare brevi sortite lontano dal corpo sicuro della madre. Per questi animali, chiaramente la reazione di avversione ha un importante valore di sopravvivenza e deve aver costituito un grande vantaggio per i nostri primi antenati. Ciò nonostante è stato obiettato che la reazione verso il serpente non è innata ma è semplicemente un fenomeno culturale dovuto all'apprendimento individuale. Scimpanzé giovani, allevati in insolite condizioni di isolamento, messi per la prima volta a contatto di un serpente, secondo l'opinione generale non hanno mostrato la reazione di timore. Questi esperimenti non sono molto convincenti. In alcuni casi gli scimpanzé, al momento del primo esame, erano troppo giovani. Se fossero stati riesaminati qualche anno dopo, la reazione avrebbe potuto essere presente. Oppure, gli effetti dell'isolamento erano stati talmente gravi, che i giovani animali in questione erano praticamente dei deficienti mentali.
Questi esperimenti si basano su di un errore fondamentale riguardo alla natura delle reazioni innate, le quali non si maturano in una forma isolata, completamente staccata dall'ambiente esterno, ma andrebbero considerate come qualcosa di più di sensibilità innate.
Nel caso della reazione verso il serpente, per il giovane scimpanzé e per il bambino può essere necessario imbattersi nei primi periodi di vita in un certo numero di oggetti diversi che incutono paura e imparare a reagirvi in modo negativo. L'elemento innato, nel caso del serpente, si manifesterebbe come una reazione più compatta delle altre verso questo stimolo. La paura del serpente sarebbe sproporzionata rispetto agli altri timori e questa sproporzione costituirebbe l'elemento innato. E' difficile spiegare in qualunque altro modo il terrore provocato nei giovani scimpanzé dal contatto con un serpente e l'intenso odio verso questi animali che si riscontra nella nostra razza.
La reazione dei bambini verso i ragni segue un cammino piuttosto diverso. In questo caso la differenza tra i due sessi è notevole. Nei maschi, si nota un leggero aumento dell'odio per i ragni dai quattro ai quattordici anni. Il livello di questa reazione è analogo per le ragazze fino alla pubertà, quindi presenta un impressionante aumento e a quattordici anni è il doppio che nei ragazzi. In questo caso pare che ci troviamo di fronte ad un importante elemento simbolico. Dal punto di vista dell'evoluzione i ragni velenosi sono ugualmente pericolosi sia per i maschi che per le femmine. Che vi sia o meno una reazione innata verso queste creature in entrambi i sessi, ciò non può spiegare lo spettacolare balzo dell'odio verso i ragni che si associa alla pubertà femminile. L'unico indizio che abbiamo è il ripetuto riferimento ai ragni fatto dalle ragazze, come a delle cose orribili e pelose. La pubertà è il periodo in cui sul corpo maschile e femminile cominciano a spuntare ciuffi di peli. Per i bambini, i peli del corpo sono fondamentalmente una caratteristica maschile.
Pertanto la crescita di peli sul corpo di una ragazza ha per lei un significato (inconscio) più sgradevole di quello che sarebbe per un ragazzo. Le lunghe zampe del ragno sono più simili a peli e più evidenti di quelle di altre piccole creature come le mosche, per cui ne rappresentano il simbolo ideale.
Questi sono dunque gli odi e le passioni che proviamo quando ci troviamo di fronte o contempliamo le altre specie e che associati ai nostri interessi economici, estetici e scientifici, si sommano ad un interessamento inter-specifico di una complessità unica che cambia con l'avanzare dell'età. Possiamo riassumere dicendo che vi sono "sette età" di reattività inter-specifica. La prima è la fase infantile in cui dipendiamo completamente dai genitori e reagiamo violentemente agli animali di grandi dimensioni, considerandoli come simboli dei genitori. La seconda è la fase infantile-paternalistica in cui cominciamo a competere con i genitori e reagiamo violentemente agli animali di piccole dimensioni che usiamo come sostituti del bambino. Questa è l'età in cui ci piace tenere un animale favorito.
La terza età è la fase oggettiva pre-adulta, fase in cui gli interessi scientifici ed estetici dominano quelli simbolici. Questo è il periodo della caccia agli insetti, dei microscopi, della raccolta di farfalle e degli acquari. La quarta è la fase adulta giovanile. In questo periodo, gli animali più importanti sono membri del sesso opposto della nostra specie. Le altre razze perdono di importanza tranne che nell'ambito puramente commerciale o economico. La quinta è la fase adulta paternalistica in cui gli animali simbolici riappaiono nella nostra vita come beniamini per i nostri figli. La sesta età è quella post-paternalistica in cui perdiamo i figli e talvolta ci rivolgiamo di nuovo verso gli animali come loro sostituti. (Nel caso di adulti senza figli, l'uso degli animali come sostituti dei figli naturalmente può avere inizio prima.) Ed infine arriviamo alla settima età, la fase senile, caratterizzata da un intensificarsi dell'interesse per la difesa e la conservazione degli animali. A questo punto, l'interesse si concentra su quelle razze che corrono il pericolo di essere sterminate. Non fa molta differenza se da altri punti di vista questi animali siano attraenti o repulsivi, utili o inutili, purché il loro numero sia scarso e minacci di diventarlo ancora di più. Per esempio, il rinoceronte e il gorilla, animali sempre più rari, tanto detestati dai bambini, in questa fase diventano il centro dell'attenzione, perché devono essere "salvati".
In questo caso la equazione simbolica è abbastanza evidente: l'individuo anziano è sul punto di estinguersi egli stesso e così si serve di animali rari come simboli della sorte che lo sovrasta. La sua preoccupazione emotiva di salvarli dall'estinzione riflette il suo desiderio di prolungare la propria sopravvivenza.
Negli ultimi anni, l'interesse per la conservazione degli animali si è diffuso in un certo grado nei gruppi di individui di età più giovanile, apparentemente come conseguenza dello sviluppo delle potentissime armi nucleari, il cui enorme potenziale di distribuzione ci minaccia tutti, a prescindere dall'età, con la possibilità di uno sterminio immediato, di modo che noi proviamo un impulso emotivo verso gli animali che possono venire usati come simboli di rarità.
Questa osservazione non va interpretata come un'implicazione che questo è il solo motivo della conservazione della vita allo stato selvaggio. Vi sono inoltre motivi perfettamente validi sia scientifici che estetici che ci fanno desiderare di aiutare le razze meno fortunate. Se vogliamo continuare a godere della ricca complessità del mondo animale e a servirci degli animali selvaggi come oggetti di esplorazioni scientifiche ed estetiche, dobbiamo dare loro un aiuto. Se consentiamo che essi spariscano, il nostro ambiente si verrà a semplificare nel modo più sfavorevole. Poiché noi siamo una razza dotata di forte spirito investigativo, non possiamo consentirci di perdere una fonte così preziosa di materiale.
Nel trattare i problemi della conservazione, talvolta vengono menzionati anche motivi economici. E' stato fatto rilevare che la protezione intelligente e la produzione controllata delle razze allo stato selvaggio possono essere di aiuto in alcune parti del mondo alle popolazioni affamate di proteine. Se ciò è perfettamente vero parlando di un breve periodo di tempo, il quadro delle previsioni a lunga scadenza è più pessimistico. Se continueremo ad aumentare di numero con la spaventosa velocità del giorno d'oggi, alla fine si tratterà di scegliere tra loro e noi. Per quanto le specie selvagge possano esserci preziose da un punto di vista simbolico, scientifico ed estetico, i fattori economici della situazione saranno contro di loro. La realtà è che quando la densità della nostra razza raggiunge un determinato livello, non resta spazio per altri animali.
L'obiezione che essi costituiscano una fonte basilare di cibo, sfortunatamente, non regge ad un attento esame. E' più efficace mangiare direttamente cibo vegetale, anziché trasformare questo in carne e quindi mangiare gli animali. Con l'ulteriore esigenza dello spazio per vivere, si dovranno prendere misure anche più drastiche, per cui saremo costretti a sintetizzare i nostri cibi e, a meno che non riusciamo a colonizzare gli altri pianeti su vasta scala in modo da dividere il carico, oppure a controllare seriamente in qualche modo l'aumento della popolazione, saremo obbligati, in un futuro non troppo lontano, ad eliminare dalla terra tutte le altre forme di vita.
Se ciò vi sembra piuttosto melodrammatico, diamo un'occhiata ai dati. Alla fine del diciassettesimo secolo la popolazione mondiale degli scimmioni nudi era soltanto di mezzo miliardo, mentre adesso è arrivata a tre miliardi. Ogni ventiquattro ore essa aumenta di 150'000 unità (le autorità competenti per la emigrazione interplanetaria considererebbero questo dato una sfida scoraggiante.) Tra 260 anni, se l'aumento si mantiene costante, il che è improbabile, sulla terra si affollerà una massa in fermento di 400 miliardi di scimmioni nudi. Ciò significa che per ogni miglio quadrato della superficie terrestre, vi saranno undicimila individui.
Per dirla in altro modo, la densità di popolazione che oggi abbiamo nelle città più grandi esisterebbe in ogni angolo del globo. E' ovvio quali conseguenze ciò porterebbe alle forme di vita allo stato selvaggio. Ugualmente triste sarebbe l'effetto sulla nostra razza.
Non è necessario fermarci su questo incubo poiché la possibilità che esso si realizzi è molto remota. Come già ho fatto rilevare in questo libro, nonostante i grandi progressi tecnologici, noi siamo ancora fondamentalmente un semplice fenomeno biologico e, malgrado le nostre idee grandiose e l'alto concetto che abbiamo di noi stessi, siamo ancora degli umili animali, soggetti a tutte le leggi fondamentali del comportamento animale. Molto prima che la nostra popolazione raggiunga i livelli considerati precedentemente, avremo infranto così tante delle regole che governano la nostra natura biologica, da perdere il nostro predominio come razza. Noi abbiamo la tendenza a compiacerci del fatto che ciò non potrà mai accadere, che in noi vi è qualcosa di speciale e che in un certo senso siamo al di sopra del controllo biologico. Però molte specie sensazionali si sono estinte in passato e noi non costituiamo un'eccezione alla regola.
Prima o poi scompariremo per fare posto a qualcosa d'altro. Se vogliamo che ciò avvenga il più tardi possibile, dobbiamo considerarci in modo attento e spietato come esemplari biologici e renderci conto dei nostri limiti. Questo è il motivo per cui ho scritto questo libro e ho deliberatamente insultato la nostra specie, usando una espressione come "scimmione nudo" invece del nome corrente. Ciò è servito a mantenere il senso delle proporzioni e ci obbliga ad osservare quello che accade appena al disotto della nostra superficie di esseri superiori. Forse ho esagerato un poco. Avrei potuto tessere molte lodi, descrivendo i nostri straordinari successi, mentre, omettendoli, ho dato inevitabilmente una immagine unilaterale. Noi siamo una razza straordinaria ed io non desidero negarlo o minimizzarlo. Ma sono cose che sappiamo benissimo. Mi è sembrato invece più importante mostrare l'altra faccia della medaglia. Queste cose sono state dette fin troppo spesso.
Sfortunatamente, dato che siamo così potenti ed abbiamo avuto tanti successi rispetto agli altri animali, talvolta troviamo piuttosto sgradevole pensare alle nostre origini, cosicché non mi aspetto di essere ringraziato per ciò che ho fatto. La nostra ascesa verso la cima è stata una storia di arricchimento rapido, e, come tutti i nouveaux riches, noi siamo molto suscettibili riguardo alla nostra provenienza.
Alcuni ottimisti pensano che, poiché abbiamo sviluppato un alto livello di intelligenza ed un potente impulso all'invenzione, saremo in grado di rivolgere qualunque situazione a nostro vantaggio; che siamo tanto plasmabili da poter rimodellare il nostro modo di vivere in maniera che si adatti a tutte le nuove esigenze portate dal continuo aumento della nostra specie; che quando verrà il momento sapremo affrontare il sovraffollamento, lo stress, la perdita dell'intimità e l'indipendenza di azione; che rimodelleremo il nostro modo di comportarci e vivremo come formiche giganti; che controlleremo i nostri sentimenti di aggressività e di territorialità, i nostri impulsi sessuali e le nostre tendenze paternalistiche; che se dovremo diventare scimmioni-polli di batteria, sapremo farlo; che la nostra intelligenza è in grado di dominare tutte le nostre fondamentali necessità biologiche.
Io penso che ciò non abbia alcun senso. La nostra primitiva natura animale non vi consentirà mai. E' vero che siamo plasmabili e che abbiamo un comportamento opportunistico, ma le forme assunte da questo opportunismo sono contenute entro limiti rigidi. Mettendo in rilievo in questo libro i nostri aspetti biologici, ho cercato di presentare la natura di queste restrizioni. Riconoscendole apertamente e sottomettendoci ad esse, avremo maggiori probabilità di sopravvivere. Ciò non implica un ingenuo "ritorno alla natura", ma vuol dire semplicemente che dovremo adattare i nostri progressi opportunistici intelligenti alle fondamentali esigenze del nostro comportamento. Dobbiamo in qualche modo migliorare come qualità, invece che come semplice quantità. Potremo così continuare a progredire tecnologicamente in modo sensazionale e sbalorditivo senza negare la nostra eredità evolutiva. In caso contrario, i nostri compressi impulsi biologici si accumuleranno fino a far crollare la diga e tutta la nostra complessa esistenza sarà spazzata via dalla piena.
Appendice: letteratura
Si citano qui le opere principali utilizzate per i vari argomenti di ogni capitolo. La referenza bibliografica esatta va cercata nella Bibliografia che segue.
Cap' I
Classificazione dei primati: Morris, 1965. Napier e Napier, 1967.
Evoluzione dei primati: Dart e Craig, 1959. Eimerl e Devore, 1965.
Hooton, 1947. Le Gros Clark, 1959. Morris e Morris, 1966. Napier e Napier, 1967. Oak-ley, 1961. Read, 1925. Washburn, 1962 e 1964. Tax, 1960.
Comportamento dei carnivori: Guggisberg, 1961. Kleiman, 1966.
Kruuk, 1966. Leyhausen, 1956. Lorenz, 1954. Moulton, Ashton e Eayrs, 1960. Neuhaus, 1953. Young e Goldman, 1944.
Comportamento dei primati: Morris, 1967. Morris e Morris, 1966.
Schaller, 1963. Southwick, 1963. Yerkes e Yerkes, 1929. Zuckerman, 1932.
Cap' Ii
Corteggiamento tra animali: Morris, 1956.
Comportamento sessuale: Masters e Johnson, 1966.
Frequenza: Kinsey et al', 1950 e 1955.
Espressioni: Wickler, 1963 e 1967.
Posizioni: Ford e Beach, 1952.
Preferenze olfattive: Monicreff, 1965.
Castità: Gould e Pyle, 1896.
Omosessualità: Morris, 1955.
Cap' Iii
Il lattante: Gunther, 1955. Lipsitt, 1966.
Ritmo cardiaco: Salk, 1966.
Crescita: Harrison, Weiner, Tanner e Barnicott, 1964.
Sonno: Kleitman, 1963.
Fasi di sviluppo: Shirley, 1933.
Sviluppo del vocabolario: Smith, 1926.
Imitazione vocale negli scimpanzé: Hayes, 1952.
Pianto, sorriso, risata: Ambrose, 1960.
Espressioni facciali tra i primati: van Hooff, 1962.
Densità di gruppo tra i bambini: Hutt e Vaizey, 1966.
Cap' Iv
Neofilìa e neofobìa: Morris, 1964.
Pittura delle scimmie: Morris, 1962.
Pittura dei bambini: Kellogg, 1955.
Comportamento esplorativo negli scimpanzé: Morris e Morris, 1966.
Isolamento nell'infanzia: Harlow, 1958.
Comportamento stereotipato: Morris, 1964 e 1966.
Cap' V
Aggressività tra primati: Morris e Morris, 1966.
Mutazioni: Cannon, 1929.
Origine dei segnali: Morris, 1956 e 1957.
Attività di spostamento: Tinbergen, 1951.
Espressioni facciali: van Hooff, 1962.
Segnali con lo sguardo: Coss, 1965.
Arrossamento delle natiche: Comfort, 1966.
Remotivazione dell'aggressione: Bastock, Morris e Moynihan, 1953.
Sovraffollamento negli animali: Calhoun, 1962.
Cap' Vi
Modelli di associazione maschile: Tiger (manoscritto inedito).
Organi del gusto e dell'odorato: Wyburn, Pickford e Hirst, 1964.
Diete di cereali: Harrison, Weiner, Tanner e Barnicott, 1964.
Cap' Vii
Pulizia sociale: van Hooff, 1962. Sparks, 1963.
Ghiandole della pelle: Montagna, 1956.
Temperatura: Harrison, Weiner, Tanner e Barnicott, 1964.
Assistenza medica tra scimpanzé: Miles, 1963.
Cap' Viii
Addomesticamento: Zeuner, 1963.
Amore per gli animali: Morris e Morris, 1966.
Repulsione verso animali: Morris e Morris, 1965.
Fobia degli animali: Marks, 1966.
Esplosione demografica: Fremlin, 1965.
Bibliografia
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Fine.