Vanità
Interludio per voce femminile
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Nel mio ricordo, la scena ha la perfetta immobilità di una fotografia.
Io, seduta sul divano, guardo da sotto in su l’imponente signora che, in piedi di fronte a me, mi fissa a sua volta, mentre poco più in là, in posizione equidistante, il nostro comune amico ci osserva entrambe.
Io sono una ragazzina ignorante, anche se non priva di sensibilità, faccio indegnamente parte del corpo di ballo di una compagnia di Danza Contemporanea.
La signora è una famosa e talentuosissima Cantante lirica, e l’amico è un giovane promettente Direttore d’orchestra.
Ci troviamo a Milano, in un bell’appartamento, residenza della Cantante.
Il salotto (siamo nella zona conviviale della casa) è arredato in modo sobrio, con una sfumatura di noncurante originalità che rende il luogo cordialmente accogliente, e suscita un sentimento di gratitudine nel quale si stempera l’atteggiamento di rispettosa compostezza cui il visitatore può essere stato inizialmente indotto.
La Cantante indossa un lungo caftano in tessuto fantasia, di tonalità calde e chiare.
I nostri sguardi raccontano: che io non ho idea di chi sia la signora in piedi di fronte a me, so vagamente che di mestiere fa la cantante, e nient’altro. La mia espressione veicola dunque, tutt’al più, un educato sorridente ringraziamento per l’ospitalità che mi è stata offerta nella sua casa, dove passerò la notte; che la Cantante incassa il mio sorriso come un affronto, tanto più insultante in quanto inconsapevole e involontario; che il Direttore d’orchestra non intende intervenire per smorzare la tensione che si va creando, troppo curioso di vedere dove andrà a parare.
La mia memoria non riporta scambi di battute, ma posso ipotizzare un dialogo dal tono casuale e anodino, cui nessuno degli interlocutori presta attenzione.
Siamo infatti tutti e tre spasmodicamente tesi a captare il senso della scena, che le parole tentano di mascherare.
Sotto la statica apparenza della situazione che ho definito immobile, si agitano, in realtà, molte sensazioni e non pochi pensieri, che innescano impercettibili mutamenti.
Io comincio a capire che c’è qualcosa di molto significativo che dovrei sapere a proposito della Cantante, e che la mia colpevole ignoranza non potrà essere riscattata, neanche con il più umile atto di sottomissione.
La Cantante si addentra in un labirinto di sarcastiche supposizioni e di rabbiosi verdetti che mi riguardano, il cui scopo è di minimizzare gli effetti del brutale impatto provocato dall’imprevista collisione fra la tangibilità del suo riconosciuto valore e la mia vacua e intollerabile (più intollerabile perché cortese) indifferenza.
Immagina, per esempio, che io conosca perfettamente la sua fama e ammiri il suo talento, ma che non voglia darglielo a vedere, per puerile malignità o per tracotanza. Oppure, che la costernante assenza di cultura della mia abulica giovinezza sia autentica, e si spieghi con la mia assoluta mancanza di curiosità, che mi schiude un destino del tutto irrilevante.
Il Direttore d’orchestra sospende il giudizio, cauto come un predatore.
La singolare circostanza produce sulla scena un interessante effetto prismatico, rivelando gli elementi che ne compongono la struttura.
Imparo così che il valore approda alla coscienza dei propri meriti, la quale ne reclama il riconoscimento.
Che, in assenza di tale riconoscimento, la coscienza dei propri meriti vacilla, e il valore scruta con spavento il buio dello specchio che non riflette la sua immagine.
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