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DIECI

Alexei, Ilya e Feo avevano appena avvistato il fumo che usciva dai camini del villaggio, quando un pensiero colpì Feo all’improvviso, facendola saltar giù dalla schiena di Nero.

«Perché ci siamo fermati?» domandò Alexei. «Dai! Ci siamo quasi.»

«Per due ragioni. Primo, ho pensato che è meglio non farsi vedere in groppa ai lupi. Non si sa mai.»

«Non si sa mai… che cosa?» disse Ilya.

«Be’, potrebbero avere una legge che lo vieta. O qualcosa del genere.»

«Leggi che vietano di cavalcare i lupi per le strade del villaggio? Dici che è possibile?» Ilya scese comunque dalla groppa di Grigia e si avvicinò a Feo.

«Non si sa mai» disse lei. Se qualcosa andava per il verso sbagliato ed erano costretti a fuggire, pensò, sarebbe stato meglio non far sapere a nessuno quanto potevano essere veloci. Era meglio essere circospetti. «Lasciamo qui i lupi, sempre che siano d’accordo. Non voglio che qualcuno faccia loro del male.» Poi, vedendo l’incredulità sul volto di Alexei, aggiunse: «E nemmeno il contrario».

«Hai detto che le ragioni erano due.»

«Ho fame. Tu no? Penso che sarei molto più coraggiosa a stomaco pieno. Alexei, hai portato quella taccola?»

Trovarono un posto dove lo strato di neve era più sottile, e Feo strappò alcuni rami come legna da ardere.

Ilya stava litigando con il fuoco, armeggiando con i fiammiferi che stringeva tra le mani fredde. Feo guardò Alexei, pronta a mordere nel caso avesse riso – l’unica che poteva ridere di Ilya era lei – ma lui si accovacciò a scrutare il mondo che li circondava. Feo seguì il suo sguardo. Il cielo era dello stesso blu dei palazzi d’inverno. La neve si estendeva per chilometri, intonsa, punteggiata di alberi a metà crescita, curvi come orsi polari in preghiera.

«Questo posto ha una bellezza speciale» disse Ilya levando lo sguardo dal fuoco che prendeva vita a singhiozzo. «Anche se ci catturano, sono contento di essere venuto.»

Feo divise la taccola in parti uguali e la pulì. Decisero di non perdere tempo a spennarla; invece le tolsero la pelle e la gettarono ai lupi.

«Quanto tempo ci vuole per cuocere una taccola?» domandò Feo. «Un minuto?»

«Un’ora?» disse Ilya.

«Cinque ore?» disse Alexei.

«Ci toccherà assaggiarla finché non è pronta» disse Ilya.

«Mi offro volontario per gli assaggi» disse Alexei.

Nessuno di loro aveva mai cucinato una taccola, ma Ilya aveva letto un racconto dove veniva cotta allo spiedo. «Il cibo dei romanzi non è attendibile» protestò Alexei, ma Feo era d’accordo con Ilya. Tagliarono metà dell’uccello a fette, infilzandole con dei bastoncini da tenere sopra il fuoco, dove guizzavano le fiamme, e sistemarono l’altra metà, tutta intera, nel cuore ardente del fuoco.

Feo gettò di nascosto qualche scarto ai lupi.

La carne al centro delle fiamme continuava a incendiarsi, e ogni volta bisognava spegnerla.

«Secondo me è pronta» disse Ilya. «Sembra cotta. Peccato che non abbia più l’aspetto di un pezzo di carne.»

Feo provò a leccarla. L’esterno era orribile, aveva preso il sapore della legna carbonizzata e di qualche sporadica piuma, mentre l’interno era semplicemente insipido. Lei e Ilya si accovacciarono fianco a fianco in cerca di calore. Alexei era sdraiato sulla schiena dall’altra parte del fuoco. Ogni boccone andava masticato almeno cinquanta volte. Dopo averne masticato uno per quaranta volte, le mascelle di Feo si ribellarono, e lei sputò la carne nella neve.

«Secondo me questo l’abbiamo cotto un po’ troppo» disse Ilya.

Per cuocere la carne sopra le fiamme ci volle molto più tempo, e quando finalmente la sua fetta parve pronta, a Feo doleva il braccio. La sfilò dal bastoncino usando i denti. Perdeva qualche goccia di sangue, però aveva un sapore fantastico, come carne di piccione, ma dal sapore più intenso. Riempì di energia il cuore di Feo. Era sostanziosa, morbida e il succo le colava sul mento. Scacciò Nero prima che riuscisse a leccarlo. Il lupo aveva una penna di taccola incollata sopra l’occhio.

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Alexei calciò della neve per spegnere il fuoco e Bianca ci fece sopra la pipì, poi ripartirono. Feo e Ilya camminavano insieme, non proprio mano nella mano, ma abbastanza vicini perché le loro braccia si urtassero; avevano ancora le orecchie piene del ringhio offeso dei lupi.

«Tieni il mantello ben chiuso, Ilya» disse Alexei. «Non devono vedere la tua uniforme.»

Ilya annuì, ridacchiando a disagio, e si strinse tanto forte nel mantello che il collo gli divenne blu.

Feo annusò l’aria. «L’odore va bene» disse. «Credo che mi piaccia.»

«È odore di cibo» disse Ilya. «A me piace senz’altro.»

Il villaggio era minuscolo: poche file di case, separate da strade strette, e al centro una piazza. Nella piazza c’era un fuoco che bruciava in un abbeveratoio di pietra, circondato da un gruppo di bambini che si scaldavano le mani. Le case erano piccole, ma tutte quante avevano uno spesso filo di fumo bianco che usciva dal camino. La piazza era stata quasi completamente ripulita dalla neve, ed era pavimentata con lastre di pietra. Qualcuno, molto tempo prima, le aveva pitturate di rosso e giallo-sole. Il rosso era sbiadito nel rosa. Risplendevano come un’alba. Era una vista che rallegrava.

«È stata Yana» disse Alexei indicando le lastre di pietra. «È mia cugina. Si è presa un bel ceffone dallo zio Grigory per questo.»

Un capannello di donne, con il capo avvolto nelle sciarpe, rideva di qualcosa in strada. Il sole brillava sui loro scialli, proiettando ombre colorate nella neve. Gli uomini discutevano appoggiati agli usci.

Le loro barbe erano davvero incredibili. Feo aveva incontrato pochi uomini, e nessuno di loro aveva barbe così. La più piccola avrebbe comodamente offerto riparo a un’intera famiglia di topi; nella più grande, che scendeva folta fino alle anche del suo proprietario, si sarebbero potuti nascondere due gatti di taglia media. Gli uomini avevano mani consunte e unghie scheggiate, e ad alcuni di loro mancava qualche dente. Per quanto Feo riusciva a vedere, avevano volti da persone intelligenti. Era difficile dirlo, però, con quelle barbe di mezzo.

Alexei salutò con la mano un uomo che indossava una giacca blu dal collo alto e un paio di pantaloni infangati. «Zio Grigory!»

L’uomo si avvicinò. «Alexei! È bello vederti vivo. Cominciavamo a dubitare.» Guardò i due ragazzi accanto al nipote, che cercavano di mostrarsi coraggiosi e discreti al tempo stesso. Ilya guardò in basso e si concentrò sulla punta di una scarpa.

«Questi chi sono?»

A Feo, in presenza di sconosciuti, s’impastava la lingua, così Alexei si occupò di parlare e lei soltanto di guardare.

«Zio Grigory, abbiamo bisogno di aiuto. Rakov ci insegue.»

«Che cosa hai fatto questa volta, stupido di un ragazzo?»

«Quasi niente! Ma abbiamo bisogno di un posto dove dormire. Solo per una notte. Puoi aiutarci, vero, Grigory?»

Forse perché l’uomo aveva un aspetto imponente – era due volte più alto di Feo e tre volte più largo – il suo silenzio parve enorme. Feo lo fissava. Il volto dell’uomo era imperscrutabile, in parte perché bisognava superare tutta quella barba, ma anche perché le sopracciglia, le narici, la bocca e la fronte – da dove solitamente trapelano le emozioni umane – erano perfettamente immobili.

Quando parlò, non fu molto incoraggiante. «Non saranno i ragazzini ricercati, vero? Quei mezzi stregoni che hanno accecato Rakov?»

«Io non c’entro» disse Ilya. «È stata lei.»

Feo sillabò con le labbra un “Grazie tante”. Raddoppiò gli sforzi per mostrarsi innocente, ma non era affatto sicura di quale fosse il modo migliore.

L’uomo grugnì. «Tu, ragazza? Non mi sorprende. Si capisce dal tuo sguardo che hai un coltello nascosto nella scarpa.»

«Volevamo solo sapere se potete darci del cibo» sussurrò Feo.

Grigory si rivolse ad Alexei. «È un altro dei tuoi stratagemmi?» disse.

Alexei sorrise, impassibile. «Può darsi.» Afferrò Grigory per il gomito. «Ascolta! È riuscita a mettere Rakov sulla difensiva, e lui adesso la teme. Credo che sia la persona giusta per convincere tutti a combattere.»

«Non farà nulla del genere» disse Grigory. Le scoccò un’occhiata, e Feo si fece piccola piccola per sfuggire al suo sguardo. «Vedete quella casa?» disse l’uomo indicando uno degli edifici. La porta oscillava ubriaca sui cardini. «Quella era la casa di Alexander: un uomo buono. Rakov l’ha portato via una settimana fa. E prima ancora è toccato al mio Paul. Ti sei dimenticato, Alexei? Non faremo nulla per peggiorare la situazione. Nulla

«Su, Grigory!» disse Alexei. Il sorriso vacillò, ma rimase al suo posto. «Non fare così. Feo non ha mai incontrato quasi nessuno. Le farai venire voglia di stare lontana dagli adulti per il resto della sua vita. E poi… se la gente vuole ascoltare, sono affari suoi.»

Gli occhi dell’uomo non erano gentili né pazienti. «Se saremo puniti per la tua idiozia, non saranno soltanto affari tuoi. Proprio per niente!»

Si era avvicinato un gruppetto di uomini, e uno di loro si fece avanti. Aveva capelli grigi, ma la voce era fervida e tonante. «È questa la ragazza? Quella che ha accecato il generale? Dico che vogliamo ascoltare quello che hanno da dire» dichiarò. «Ascoltare non nuoce. Alexei è un ragazzo, non uno stregone. Non perderemo il controllo delle nostre menti, se ci limitiamo ad ascoltare.»

Alexei sembrava del tutto indifferente alla folla che cresceva, alla corporatura degli uomini, ai loro occhi ostili, alle barbe. Feo e Ilya si nascosero piano piano dietro di lui. Gli occhi di tutti li seguirono.

«Grazie, Nikolai» disse Alexei. «Voglio solo che ascoltiate.»

«Non credo di riuscire a sopportare ancora i discorsi di Alexei» disse Grigory. «Le mie orecchie si stancano alla svelta in questi giorni.»

«Ma adesso è diverso! Rakov è ossessionato! Non sta pensando come un generale: ha perso il lume della ragione, o perlomeno lo sta perdendo. È il momento giusto!»

L’uomo dai capelli grigi si voltò e chiamò un gruppo di uomini in fondo alla strada. «Convoco un’assemblea» disse. «Yvgeny! Alix!»

Grigory sospirò. «Convoca un’assemblea, allora. Tu!» Grigory indicò Alexei. «Tu, vieni. Ma niente stranieri: è la legge. Lasciamoli nella piazza. Se provocano qualche danno al villaggio, ti riterrò responsabile.»

Gli adulti cominciarono a uscire dalle case di legno, asciugandosi le mani sui calzoni, infilandosi i berretti per proteggersi dal freddo. I bambini li seguirono, fissandoli con intensità.

Quando passavano accanto a Feo, gli uomini scoccavano un’occhiata prima al suo mantello rosso, poi al ghiaccio e alla terra che le imbrattavano gli orli della camicia. Feo cercò di comportarsi come se gli abiti sporchi, dalle sue parti, andassero di moda. Cercò di sembrare più alta.

«Vieni. Sediamoci.» Ilya la prese per mano e si ritirarono sotto la quercia al centro della piazza, dove si sedettero con la schiena appoggiata al tronco, soffiandosi sulle mani per scaldarle.

I bambini si radunarono, formando un semicerchio. Erano tutti perfettamente puliti, e indossavano abiti pesanti di lana cotta. Erano circa una ventina, e il più grande aveva almeno cinque anni più di Feo, mentre il più piccolo, con la sua zazzera di riccioli, superava di poco il livello della neve. Feo avrebbe voluto toccargli i capelli, ma tenne le mani dietro la schiena. I bimbi così piccoli, come i lupi, sono imprevedibili.

«Chi siete?» disse uno di loro.

Feo li guardò in volto, uno per uno. Non erano amichevoli, ma nemmeno sgarbati. Più che altro sembravano circospetti.

«Perché hanno indetto un’assemblea? Riguarda voi?»

Feo si strinse nelle spalle. «Penso di sì.»

«Che cosa avete fatto?» Un bambino di circa otto anni, che aveva un buco al posto dei denti davanti, li fissava. «Avete ucciso qualcuno?»

«No!»

«Rubato qualcosa?» disse guardando speranzoso la sacca di Feo.

«No.»

La ragazza più grande li squadrò con attenzione. «Infranto la legge?»

Feo stava per dire “No!” quando si ricordò il volto di Rakov, gonfio e livido di rabbia. Sollevò di nuovo le spalle.

Ilya disse: «Ci servono alcune informazioni su San Pietroburgo. Lei è solo di passaggio. Lo siamo tutti».

«Tutti?» disse il bambino. «Siete solo in due.»

Feo scoccò un’occhiata a Ilya. «Scusatelo, non se la cava molto bene con la grammatica.»

Un’altra ragazza sferrò un calcio a terra, spruzzando la neve verso di loro. «Allora, che cosa volete?»

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«Sto cercando mia madre. L’hanno arrestata.»

«Per omicidio?» disse il bambino senza denti davanti. Nella sua voce c’era un’intensa speranza.

«No!» esclamò Feo. «Voglio dire… scusa, ma proprio no. L’hanno arrestata senza alcun motivo. Non ha fatto nulla. Questo però…»

«Questo però non impedisce alle persone di essere arrestate» disse una ragazza bionda. «Lo sappiamo. Essere innocente non vuol dire nulla.»

Feo annuì. «Non sono… non sono proprio del tutto innocente. L’uomo che ha preso mia madre… ecco, l’ho ferito. Un po’.»

Gli occhi del bambino si illuminarono. «Hai…»

«No. Io… come ti chiami?»

«Sergei. E lei è la mia sorellina, Clara.» Indicò una bambina di cinque anni con un bel sorriso e la goccia al naso.

«Allora, Sergei, ti prometto che se mai ucciderò qualcuno te lo farò sapere. Quell’uomo, però, è arrabbiato. Forse pensa che sia imbarazzante essere ferito da una ragazzina, non lo so.»

La più grande del gruppo drizzò le spalle. Era grossa, con ginocchia paffute e braccia forti. «Non è una cosa molto intelligente» disse. «Nient’affatto.»

Feo le rivolse un ampio sorriso, cercando di impedire alla timidezza che sentiva dentro di rendere quel sorriso troppo strano. I ragazzi più grandi di lei risvegliavano sempre la sua timidezza. Sorrisi e timidezza non si combinavano molto bene: affaticavano le narici.

Un’altra ragazza del gruppo – più giovane di Feo, con gli occhi distanziati – cercò di saperne di più.

«Come si chiamava? L’uomo che ha preso tua madre?»

«Rakov. Generale Mikail Rakov.»

Il silenzio che scese sul gruppo di bambini fu improvviso e solenne. Scoccarono un’occhiata a Sergei e alla ragazza più grande. Le bocche si arricciarono e le mani si chiusero a pugno.

«Oh» disse Sergei. Sembrava orgoglioso, ma aveva gli occhi tristi. «Sappiamo chi è. Vero, Yana?»

«Sì. Ha preso nostro fratello, Paul, per arruolarlo nell’esercito» disse la ragazza più grande. «Ma Paul non ci voleva andare… è scappato.»

Il volto di Sergei si contorse in una smorfia. Con la scusa di grattarsi un sopracciglio, si strofinò gli occhi.

«E che cosa è successo?» domandò Ilya. La sua voce era piatta. Come se avesse già indovinato tutto.

«È morto, no?» disse Yana. «Rakov gli ha sparato.»

«Che cosa?» disse Feo. «Ma… può farlo davvero?»

«Non lo so. Comunque l’ha fatto. Hanno cercato di prendere anche Alexei, che è nostro cugino.»

«Sappiamo chi è» disse Feo.

«Hanno provato a catturarlo, ma lui ha combattuto. È veloce, sai? Li ha presi a calci nelle… ecco, non importa.»

«Nelle palle!» disse Sergei. «Davvero!»

Yana annuì. «È andato a nascondersi con sua sorella. Lei ha dieci anni di più, e staccherebbe a morsi la testa di un lupo per proteggerlo.»

«Perché Rakov ha sparato a tuo fratello, però? Che cosa ha fatto?»

«Niente!» disse Sergei. «Non aveva nemmeno ucciso qualcuno.»

Feo scoccò un’occhiata a Yana, che annuì da sopra la testa di Sergei. «È vero. Paul non aveva fatto nulla: era solo gentile, grosso, e a volte un po’ lento. Non lo so. Se uccidi a caso, nessuno si sente al sicuro, vero? Così tutti hanno paura. Forse è proprio quello che vuole Rakov.» Yana sembrò prendere una decisione. Si sistemò la gonna in vita. «Se sei nemica di Rakov, sei mia amica. Anche se sei piccola. Avete bisogno di cibo?»

«Sì, parecchio. Hai qualcosa che si può trasportare facilmente? Pane o magari formaggio?» Qualcuno nel gruppo annuì. Uno o due bambini sorrisero o, perlomeno, li fissarono senza battere ciglio, più amichevoli di prima.

«Ma di che cosa stanno parlando gli adulti, allora?»

Feo scosse la testa. «Alexei vuole che combattano.»

«Rakov?»

«Sì. Ma io non c’entro. C’è solo una cosa che voglio fare, e la farò.»

«Combatterai?» disse Yana. «Io al tuo posto non avrei dubbi.»

«Non lo so» disse Feo. «Non era questo il piano. Ma Alexei ha detto alcune cose… ci sto pensando.»

Fu allora che, con un pessimo tempismo, il cucciolo decise di fare la pipì. La pipì di lupo ha un odore forte, ed era un giorno limpido e senza vento. La sentirono tutti insieme, come in un coro.

Feo gemette. Allungò la mano ed estrasse dalla camicia una palla di pelo bagnato. Stava ancora facendo la pipì.

«Uh!» disse lei. «Oh, lapushka. Potevi avvisarmi.» La sua camicia era tutta chiazzata. «Argh.»

I bambini, come nella coreografia di un balletto, fecero due passi indietro.

«Va tutto bene, piccolino» disse Feo. Si accucciò e lo tenne sollevato davanti a sé, con le braccia tese, e quando lui ebbe finito si pulì le mani nella neve. Il cucciolo emise un breve ululato. Un ululato piccolo e stridulo, ma che era indubbiamente il verso di un lupo.

I bambini li stavano fissando a occhi spalancati. Ma all’improvviso i loro sguardi divennero freddi e penetranti.

«È un lupo?»

«Sì» ammise Feo. «Ma è solo la versione minuscola di un lupo.» Gli occhi dei bambini la squadrarono con durezza. Nascose il cucciolo dietro i capelli e se lo strinse forte al petto.

«Tu sei la ragazza dei lupi!» disse qualcuno da dietro. «Abbiamo sentito parlare di te. C’è una taglia sulla tua testa.»

«Che cosa?» Feo cercò di mostrarsi tranquilla, ma i suoi occhi scattavano a destra e sinistra, in cerca di una via di fuga. «Davvero?»

«Un sacco di soldi. Dicono che non bisogna fidarsi di te. Sei una strega.»

«Chi l’ha detto?»

«Un soldato che è venuto ieri al villaggio per dirci di cercare la strega. Di cercare te. Potremmo consegnarti!»

Feo sentì la nausea che le risaliva in gola, ma si alzò lentamente. «Vuoi venire più vicino a dirmelo?»

Ilya si precipitò davanti a lei. Feo si stupì quando vide la rabbia sul suo volto. «Sì, la stanno cercando. Ma quei soldati non si accontenteranno di catturare lei. Vogliono anche i suoi lupi. Per ucciderli. Se ci consegnate, diventate degli assassini.» Prese il cucciolo dalle mani di Feo e sollevandolo lo mostrò loro.

Il cucciolo cresceva di giorno in giorno: quando si accomodò nelle mani a coppa di Ilya, gli sporgevano gli arti e la coda. Agitava le zampe come se stesse nuotando. Clara sospirò, e un grumo di muco schizzò dritto sul muso del cucciolo. Lui se lo pappò. Sergei batté le mani.

Ilya guardò tutti negli occhi, uno a uno. «Volete stare dalla parte di chi pensa che questo cucciolo non valga nulla?»

Ci fu un silenzio davvero interminabile.

Infine: «Sembra affamato» disse Yana. «Vuole del latte? Posso portargliene una tazza piena.»

Ilya scambiò un’occhiata con Feo, che annuì. «Un po’ di latte sarebbe molto gradito» disse lui in tono solenne.

Mentre parlava, però, il cucciolo saltò – più come un gatto che come un lupo – e atterrò nella neve con una capriola e un sibilo. Mentre si precipitava a raccoglierlo, Feo udì delle grida, e vide i mantelli guizzare davanti ai suoi occhi, mentre i bambini scappavano a gambe levate per la lunga strada che portava alle loro case.

«Che succede?»

«Qualcosa laggiù» disse Ilya, e poi, quando ciò da cui erano fuggiti i bambini divenne chiaro, aggiunse: «Oh, chyort».

In fondo alla strada c’erano tre cavalli, e sopra i cavalli tre uomini. Erano fermi, alti come i personaggi di una fiaba, e annusavano l’aria.

Feo afferrò il cucciolo, se lo infilò di nuovo nella camicia, e cercando di soffocarne le proteste si accucciò dietro l’albero. Si sentiva le dita sudate e deboli per la paura: sguainò il coltello, ma lo lasciò cadere. Ilya non si era ancora nascosto: era in mezzo alla piazza, con gli occhi sbarrati.

«Nasconditi!» Allungò la mano e gli afferrò la gamba, trascinandolo dietro il tronco dell’albero.

Gli uomini erano sempre più vicini. Quando uscirono dal bagliore accecante del sole, Feo riuscì a vederli. Le loro giacche non erano grigie. Erano vestiti di stracci, avvolti in mantelli di stoffa marrone. Dalle scarpe bucate spuntavano le dita dei piedi.

Ilya si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo che gli scompigliò la frangia. «Sono i requisitori! Feo, non sono soldati!»

«Che cos’è un requisitore?» Feo non si mosse da dietro l’albero.

«La servitù dei soldati. Rakov li manda nei villaggi per requisire cibo e animali.»

«Per chi?»

«Per l’esercito.»

«Ma è un furto!» disse Feo.

«Be’, loro non lo chiamano così.»

«Dovrebbero. In caso contrario, è un furto e anche una bugia. Ma quindi… non cercano noi?»

«Non credo proprio. Si spostano di villaggio in villaggio, sai? Non contano granché. Però ce ne sono centinaia. Li chiamano le locuste di Rakov. Non sono mai capitati a casa tua?»

«Penso che avessero paura di noi. I lupi spaventano molte persone.»

I cavalli entrarono al passo nella piazza.

«Dove sono gli uomini?» gridò uno di loro.

Le porte delle case rimasero sbarrate. I chiavistelli scattarono.

Poi, mentre Feo sospirava di sollievo, Yana uscì dalla casa più grande, stringendo tra le mani una tazza di latte piena fino all’orlo. Quando vide gli uomini, si bloccò.

«Dov’è tuo padre, carina?» disse uno degli uomini a cavallo. Aveva le spalle larghe, con un grosso neo tra le sopracciglia.

«Al… all’assemblea.»

«Allora, dolcezza, devi andare a prenderlo. D’accordo?» Le rivolse uno sguardo malizioso, mostrando una chiostra di denti con tutte le sfumature del marrone. «Riferisci agli uomini che lavoriamo agli ordini di Rakov. Abbiamo una lista con i possedimenti di ogni villaggio. Nel vostro caso ci sono cento chili di grano. Venti chili di carne. E non mi dispiacerebbe un bacio, se te ne avanza uno.»

Yana indietreggiò. «Ma non possiamo» disse lei. Si guardò attorno: la strada principale però sembrava deserta. «Moriremo di fame. Ci sono dei bimbi piccoli, qui!»

«È la scusa che usano tutti.» La voce dell’altro uomo era dura e tagliente. Stava masticando del tabacco, e lo sputò nella neve, dove giacque in un mucchietto fumante. «L’abbiamo già sentita. Nessuno morirà di fame. Trovate sempre una soluzione.»

Il primo uomo annusò l’aria. «Che cos’è questo odore?»

Feo trattenne il fiato. Stringeva il cucciolo contro il petto, dove l’aveva bagnata.

Yana era diventata bianca come il ghiaccio. «Quale… odore?»

«Boršč!» disse l’uomo, battendo la mano sul fianco del cavallo, che nitrì spaventato.

«Ah» disse l’altro. Allargò le narici. «Ottimo.» Smontarono tutti e due da cavallo e passarono oltre Yana, entrando in casa sua. «Servici la zuppa. Tutta quanta. Ce ne accorgiamo, sai, se cerchi di nasconderne una parte. E porta anche la vodka.»

La voce di Yana tremava. «Oppure?»

«Conosci la legge. Oppure ci prendiamo i primogeniti del villaggio, mia cara. Portaci la zuppa e poi va’ a chiamare gli uomini. In questo preciso ordine.»

Il cuore di Feo batteva contro il petto, furibondo. «Ho un’idea» sussurrò la ragazza a Ilya. «Mi serve il tuo aiuto.»

«Qualsiasi cosa» rispose lui.

Lei gli spiegò che cosa aveva in mente.

«Troppo rischioso» disse lui.

«Non saprei cos’altro fare. Tu?»

«Nemmeno. Ma non sono sicuro…»

«Aspetta qui.» Feo affidò il cucciolo a Ilya e raggiunse di corsa le case più vicine. Fece un cenno alla finestra. Due teste sbucarono da dietro una porta.

«Chi di voi ha una buona mira?» sussurrò.

«Io» si offrì Sergei. «E Bogdan.» Indicò un ragazzo di circa dieci anni che respirava con il naso mezzo tappato. Dall’aspetto, non prometteva granché. «E Yana.» Sergei si guardò attorno, come se si aspettasse di vederla sbucare dalla neve da un momento all’altro. «Non è qui. Non l’hanno presa, vero?»

«No, Sergei, niente del genere. Ma mi serve aiuto. Sei con me?»

Sergei guardò Feo, poi Ilya e infine il cucciolo di lupo. «Assolutamente sì! Dobbiamo uccidere qualcuno?»

«Qualcosa di simile. Vieni con me.» Fece loro strada dietro l’albero, procedendo a testa bassa. «Ci servono delle palle di neve. E dobbiamo fare in fretta» disse Feo. «Stanno bevendo la vodka. Non so quanto ci vuole.» Cominciò a compattare la neve tra le mani, formando palle grosse come meloni.

«Più veloci» disse Ilya, mentre le sue mani si muovevano frenetiche nella neve. «Dobbiamo essere più veloci.»

I piccoli erano rapidi, ma non abbastanza. Feo raddoppiò il ritmo. «Devono fare male» disse. «Compattatele bene. Perfetto! Così basta.» Raccolse le palle di neve nel mantello. «Andiamo.» Li portò verso la casa più vicina ai cavalli – una piccola costruzione dai mattoni ingrigiti – e si accucciò al riparo dell’edificio. Ilya continuò a preparare palle di neve anche mentre correva. Mormorava tra sé e sé, ripetendosi che cosa doveva fare, ma quando si accorse che Feo lo stava guardando tentò un sorriso. Gli uscì tutto storto, e con molti più denti del solito, ma trasmise a Feo una fiammata di coraggio.

«Al mio grido, mirate agli occhi» disse lei. «È importante: occhi e bocca, ma soprattutto occhi.»

«Che cosa…» cominciò a dire Sergei, ma Ilya lo zittì posandogli un dito sulle labbra.

Feo si voltò verso il bosco, portandosi le mani a coppa attorno alla bocca, e ululò.

Ci fu un attimo di silenzio. I volti dei bambini si affacciarono alle finestre lungo la strada.

Feo ululò di nuovo, e dalla foresta giunse una risposta: il verso gutturale di Grigia, e poi quello di Nero. Feo diede una gomitata a Ilya perché si unisse a loro. Il suo ululato era inaspettatamente perfetto.

I requisitori si precipitarono fuori dalla casa; il più alto reggeva un bricco di vodka così pieno che strabordava. Barcollarono alla cieca correndo verso i cavalli, mentre cercavano di alzare il cane dei loro fucili. «Lupi!» ruggì uno di loro, prima di inciampare nei suoi stessi passi, scivolando sul ghiaccio con una spaccata che parve molto dolorosa.

Feo prese una palla di neve in ciascuna mano. Ululò di nuovo. Gli uomini salirono a cavallo, con i piedi che scivolavano ubriachi dentro e fuori dalle staffe.

Dal bosco arrivò il branco: correva a testa bassa, le pellicce che ondeggiavano nel vento. I suoi lupi, pensò Feo, sapevano che cos’era un’entrata a effetto.

«Adesso!» gridò Feo. Mentre gli uomini alzavano i fucili, i bambini passarono all’attacco. Sergei e Bogdan sbucarono da dietro la casa, scagliando palle di neve contro gli uomini a cavallo, ai loro occhi, alle mani, alle orecchie, alle canne dei fucili. La mira di Sergei non era sempre perfetta, ma Bogdan era svelto e preciso.

«Il diavolo ti…» ruggì un requisitore. «Lup…!» Portò il fucile all’altezza dell’occhio, proprio mentre la palla di neve di Feo gli centrava in pieno la bocca aperta.

Con la coda dell’occhio, Feo vide aprirsi alle sue spalle la porta della casa delle assemblee. Uno dei due requisitori sparò, e il proiettile s’infilò nella neve, a pochi metri dai lupi in arrivo.

«No!» A Feo balzò il cuore in petto. «Mirate agli occhi! Non devono riuscire a sparare!» Continuò a lanciare palle di neve, una pioggia di ghiaccio che li ferì al viso, facendoli barcollare. Feo ululò un’ultima volta, e Grigia balzò in avanti, zanne snudate, puntando dritta al fianco del cavallo. Feo non voleva che andasse tanto vicina. Gridò: «Grigia, no! Indietro!», ma anche se lei obbedì, i cavalli s’impennarono. Gridando di terrore, fuggirono lungo la strada principale. Le borse appese alle selle, vuote e flosce, rimbalzavano sul fianco dei cavalli. Gli uomini, appesi alla cieca al collo degli animali, scomparvero all’orizzonte.