INDICE

 

PRIMA PARTE

 

Capitolo I

Capitolo II

Capitolo III

Capitolo IV

Capitolo V

Capitolo VI

Capitolo VII

Capitolo VIII

Capitolo IX

Capitolo X

Capitolo XI

Capitolo XII

Capitolo XIII

Capitolo XIV

Capitolo XV

Capitolo XVI

Capitolo XVII

Capitolo XVIII

 

SECONDA PARTE

 

Capitolo I

Capitolo II

Capitolo III

Capitolo IV

Capitolo V

Capitolo VI

Capitolo VII

Capitolo VIII

Capitolo IX

Capitolo X

Capitolo XI

Capitolo XII

Capitolo XIII

Capitolo XIV

Capitolo XV

Capitolo XVI

Capitolo XVII

Capitolo XVIII

 

 

 

PRIMA PARTE

 

 

I    (Torna all'indice)

 

 

            Eduardo - chiamiamo così un ricco barone, nel meglio dell'età virile - aveva trascorso fra gli alberi del suo vivaio l'ora più bella d'un pomeriggio d'aprile per innestare su tronchi giovani le marze appena arrivate. Aveva terminato, ormai: raccolti nel fodero gli arnesi, stava considerando con soddisfazione il suo lavoro, quando si avvicinò il giardiniere, lieto dell'intervento e dello zelo del padrone.

            “Non hai visto mia moglie?” chiese Eduardo, mentre s'accingeva ad andarsene.

            “È là, nell'area nuova,” rispose il giardiniere. “Oggi finiscono la capanna di muschio che ha fatto costruire di costa sulla roccia, dirimpetto al castello. È riuscito tutto molto bene, le piacerà. Una vista straordinaria: sotto, il villaggio; un po' a destra, la chiesa, con la guglia del campanile, che lo sguardo oltrepassa; di fronte, il castello e i giardini.”

            “Proprio così,” disse Eduardo. “Pochi passi da qui, e potevo vedere gli uomini all'opera.”

            “Poi,” continuò il giardiniere, “a destra s'apre la valle, e sopra le belle praterie e gli alberi, l'occhio spazia lontano. Il sentiero che sale lungo la roccia è stato tracciato ad arte. La signora se ne intende. Si lavora volentieri sotto la sua guida.”

            “Raggiungila,” fece Eduardo, “e pregala d'aspettarmi. Dille che voglio vedere le novità e rallegrarmene.”

            Il giardiniere s'allontanò svelto e Eduardo lo seguì senza indugio.

            Scendendo di terrazza in terrazza e dando, di passaggio, un'occhiata alle serre e alle aiuole, arrivò sino all'acqua, e sopra un ponticello, al luogo dove la via verso l'area nuova si biforcava. La più breve, che toccava il cimitero e andava su dritta verso la costa rocciosa, non la prese, e imboccò invece quell'altra a sinistra, un po' più lunga, che s'arrampicava pian piano, attraverso cespugli ameni; là dove si ricongiungevano, si buttò un istante su una panchina messa al posto giusto, poi affrontò la salita vera e propria, e per scale e piattaforme, lungo il sentiero stretto e ora più ora meno ripido, arrivò finalmente alla capanna.

            Sulla soglia Carlotta accolse lo sposo, e lo fece sedere in modo che, attraverso la porta e la finestra, potesse abbracciare in un solo colpo d'occhio le diverse viste offerte, come in cornice, dal paesaggio. Egli se ne compiacque, con la speranza che presto sarebhe venuta la primavera a rendere tutto ancora più vivo. “Ho soltanto un'osservazione da fare,” aggiunse, “la capanna mi sembra un po' stretta.”

            “Ma per noi due abbastanza spaziosa,” rispose Carlotta.

            “Sì, certo,” disse Eduardo, “per un terzo c'è ancora posto.”

            “Perché no?” ribatté Carlotta. “Anche per un quarto. Per compagnie più numerose, possiamo poi preparare altrove.”

            “Giacché siamo qui soli e indisturbati,” fece Eduardo, “di buon umore e sereni, bisogna che ti confessi che da un bel po' ho qualcosa in petto che dovrei e vorrei confidarti, ma non riesco.”

            “Me n'ero accorta,” replicò Carlotta.

            “E devo pur ammettere,” continuò Eduardo, “se domattina presto non m'aspettasse il portalettere, se oggi non dovessimo prendere la decisione, forse avrei taciuto ancora.”

            “Ma che cos'è?” lo incoraggiò Carlotta, gentile.

            “Il nostro amico, il capitano,” le rispose Eduardo. “Tu conosci l'infelice situazione in cui si trova, e non è il solo, non per colpa sua. Come dev'essere amaro per un uomo con la sua preparazione, le sue doti e capacità, vedersi escluso dalla vita attiva. Ma non voglio più nascondere ciò che desidero fare per lui: mi piacerebbe che lo prendessimo un po con noi.”

            “Bisogna pensarci su e considerare la faccenda sotto diversi aspetti,” ribatté Carlotta.

            “Io sono pronto a dirti come la vedo,” fece Eduardo. “La sua ultima lettera è pervasa, senza parere, dal più profondo sconforto: non che si trovi nel bisogno, giacché sa ben limitarsi, e al necessario ho provveduto io; non che lo ferisca essere aiutato da me, tutta la vita siamo stati a vicenda debitori l'uno dell'altro, di modo che sarebbe difficile fare il conto di come stiano le nostre partite: non poter lavorare, questo è il suo vero tormento. Le varie capacità che ha coltivato per impiegarle, ogni giorno, ogni ora, a vantaggio degli altri, solo esse sono la sua gioia, la sua passione. E adesso, starsene con le mani in mano o continuare a studiare per imparare ancora, mentre non può utilizzare ciò che possiede in abbondanza... Be', cara, è una situazione dolorosa, della quale, essendo solo, sente moltiplicata la pena.”

            “Pensavo,” disse Carlotta, “che avesse avuto diverse proposte. Anch'io avevo scritto per lui ad amici e amiche impegnate e attive, e a quanto so, non senza risultato.”

            “Benissimo,” rispose Eduardo, “ma proprio tutte queste occasioni, queste offerte, gli danno nuove angustie, nuova inquietudine. Le condizioni previste non gli si addicono. Dovrebbe non operare, dovrebbe sacrificarsi, il suo tempo, le sue idee, il suo carattere, e questo gli è impossibile. Più ci ripenso, più me ne convinco, e più vivo si fa il desiderio di vederlo qui da noi.”

            “È molto bello e gentile, da parte tua,” osservò Carlotta, “prendere tanta parte alle vicende del tuo amico. Ma permetti che ti chieda di pensare anche a te, anche a noi.”

            “L'ho fatto,” ribatté Eduardo. “Dalla sua presenza possiamo aspettarci solo vantaggi e soddisfazioni. La spesa non la considero, sarà comunque modesta, se abiterà da noi, specie a riflettere che non ne avremo il minimo disturbo. Può alloggiare nell'ala destra del castello, e per il resto ci sistemeremmo. Quanto bene gli faremo, e per noi come sarà piacevole frequentarlo, anzi utile! Da tempo avevo in programma di far misurare la nostra proprietà e la zona. Se ne occuperà lui, dirigerà. Tu pensi, per il futuro, di amministrare direttamente i terreni, appena scaduto il contratto e uscito il fittavolo. Un'operazione difficile! Quanti suggerimenti lui potrà darci in proposito! Mi accorgo anche troppo bene che è proprio un uomo del genere che mi manca. I contadini sanno, ma si spiegano in modo confuso e con poca onestà. Quelli che hanno studiato nelle scuole di città, sono chiari e sistematici, ma fa loro difetto la visione concreta dei problemi. Dal mio amico posso aspettarmi l'uno e l'altro. E poi emergono, quanto a lui, cento altre opportunità, che immagino con gioia e riguardano anche te, e dalle quali mi riprometto molto. Ti ringrazio di avermi ascoltato amabilmente. Ma adesso parla pure con franchezza, senza riserve, e dimmi tutto ciò che hai da dire. Non ti interromperò.”

            “Benissimo,” rispose Carlotta. “Comincerò con una considerazione generale. Gli uomini pensano più al caso specifico, al presente, e questo a ragione, giacché sono chiamati a fare, a operare; le donne, invece, guardano a tutti gli aspetti che s'integrano nella vita, e anche questo legittimamente, dal momento che la loro sorte, la sorte delle loro famiglie, è connessa a tale insieme, e che a loro viene richiesta proprio tale coerenza. Diamo dunque un'occhiata alla nostra vita d'oggi, al passato, e riconoscerai che far venire il capitano non corrisponde pienamente ai nostri progetti, ai nostri piani, a come siamo sistemati. Mi piace tanto ripensare ai nostri primi tempi! Da giovani ci volevamo un gran bene. Ci hanno separati: tu da me, perché tuo padre, per avidità mai sazia, ti legò ad una donna ricca, assai più vecchia; io da te, perché, non avendo particolari prospettive, dovetti dare la mia mano a un benestante, che non amavo, ma stimavo. Ci trovammo poi di nuovo liberi: tu per primo, in possesso di un buon patrimonio ereditato dalla tua vecchietta; io più tardi, proprio al momento in cui tornavi dai tuoi viaggi. Così ci siamo incontrati ancora. Ci siamo compiaciuti dei nostri ricordi, ci erano cari, potevamo vivere insieme senza noie. Tu facevi premura per il matrimonio, io non volli acconsentire subito, perché abbiamo quasi la stessa età, e come donna sono io più vecchia, non tu, che sei uomo. Infine non ti negai più ciò che sembravi considerare la tua sola felicità. Volevi ristorarti al mio fianco di tutte le molestie patite a corte, nel servizio militare, nei viaggi, volevi tornare in te, provare il piacere della vita. Ma vicino a me soltanto. La mia unica figlia l'ho messa in collegio, dove certo riceve un'educazione più completa di quella che avrebbe avuto qui in campagna; e non ho allontanato solo lei, ma anche Ottilia, la mia cara nipote, che forse, seguita da me, sarebbe divenuta un aiuto prezioso per la casa. Tutto questo l'ho fatto d'accordo con te, semplicemente perché vivessimo l'uno per l'altro, semplicemente perché potessimo godere indisturbati una felicità desiderata con tanto ardore precoce e ottenuta tardi. In tal modo abbiamo preso a vivere in campagna, io occupandomi dell'interno, tu dell'esterno e delle questioni generali. Il mio programma è di accontentarti in tutto, di vivere solo per te. Ma sperimentiamo almeno un po' quanto, a questa maniera, possiamo bastarci a vicenda.”

            “Se la coerenza, come dici,” fece Eduardo, “è il vostro proprio elemento, allora non bisogna starvi a sentire quando esponete in bell'ordine i vostri argomenti oppure bisogna decidersi a darvi ragione: e certo ti si deve dare ragione, sino ad oggi. Le basi che finora abbiamo posto al nostro destino, sono eccellenti: non dobbiamo più costruirvi sopra, forse, e non ne verrà più nulla? Ciò che io realizzo in giardino, e tu nel parco, dev'essere soltanto per fare gli eremiti?”

            “Bene,” rispose Carlotta, “benissimo! Purché non ci tiriamo in casa niente che impacci, niente di estraneo! Rifletti che i nostri disegni, anche per quanto concerne il divertimento, si fondavano solamente sulla nostra reciproca compagnia. Anzitutto tu volevi leggermi i tuoi diari di viaggio, in serie cronologica, e in tale occasione riordinare diverse altre carte ad essi pertinenti, poi, con la mia partecipazione e il mio aiuto, ricavare da quelle scartoffie, preziose ma in completo disordine, qualcosa che potesse risultare piacevole a noi e agli altri. Io ho promesso d'aiutarti a copiarle, e pensavamo che sarebbe stato così semplice, così caro, così familiare e intimo, percorrere con la memoria il mondo che era destino non dovessimo vedere insieme. Be', abbiamo già cominciato. Poi, tu alla sera, hai ripreso il tuo flauto, e mi accompagni al piano; e visite dei vicini, o nostre a loro, non mancano. Io, almeno, in questa maniera penso di riuscire a combinare la prima estate veramente lieta che abbia mai goduto in vita mia.”

            “Solo che,” disse Eduardo asciugandosi la fronte, “con tutto ciò che mi ripeti in tono tanto affettuoso e ragionevole, non smetto di credere che la presenza del capitano non disturberebbe per nulla, anzi stimolerebbe e rianimerebbe. Anche lui ha condiviso, in parte, i miei vagabondaggi; anche lui ha preso degli appunti, ma d'altro genere: quel materiale potremmo impiegarlo insieme al mio, nel modo più utile, e ne verrebbe qualcosa di sistematico davvero.”

            “Permetti, allora, che ti dica chiaramente,” replicò Carlotta, un po' spazientita, “che questa proposta urta la mia sensibilità, che ho come un cattivo presentimento.”

            “Per questa via voi donne non vi si batterebbe mai,” fece Eduardo, “prima, tutta ragionevolezza, così che non vi si può contraddire, poi amorose, e si cede volentieri, sensibili, e non si ha coraggio di farvi male, infine anche i presentimenti, e noi abbiamo paura.”

            “Io non sono superstiziosa,” contestò Carlotta, “e non mi abbandono a certi impulsi oscuri, finché rimangono tali. Solo che, il più delle volte, si tratta del ricordo inconscio di conseguenze fortunate o infelici venuteci da azioni nostre o altrui. Nulla è più importante, in qualsiasi circostanza, del fatto che venga fuori un terzo. Ho visto amici, fratelli, innamorati, sposi, che hanno avuto i loro rapporti mutati completamente, la loro situazione capovolta, dal sopravvenire, fortuito o deliberato, di un'altra persona.”

            “Può capitare, certo,” ammise Eduardo, “a gente che vive senza pensare, non a coloro che, già illuminati dall'esperienza, abbiano maggiore coscienza di sé.”

            “La coscienza,” osservò Carlotta, “non è un'arma efficace, mio caro, anzi, talora è pericolosa per chi l'impiega. E comunque, da tutto ciò risulta almeno questo, che non dobbiamo avere fretta. Lasciami qualche giorno, rinvia la decisione!”

            “Al punto in cui siamo,” replicò Eduardo, “anche dopo parecchi giorni dovremmo sempre essere precipitosi. Le reciproche ragioni pro e contro ce le siamo dette. Adesso bisogna decidersi, e veramente sarebbe meglio lasciar fare alla sorte.”

            “Lo so,” disse Carlotta, “che tu, nei casi incerti, volentieri scommetti o tiri i dadi: però, in una faccenda così importante, a me sembrerebbe un delitto.”

            “Ma che devo scrivere al capitano?” esclamò Eduardo. “Bisogna pur che mi ci metta subito.”

            “Una lettera calma, ragionevole, confortatrice,” disse Carlotta.

            “Lo stesso che niente,” ribatté Eduardo.

            “E tuttavia, in certi casi,” fece Carlotta, “è necessario e nasce dall'amicizia, piuttosto scrivere senza dir niente, che non scrivere affatto.”

 

II    (Torna all'indice)

 

 

            Eduardo si trovava in camera sua, solo. Sentire ripetere il corso della sua vita dalla bocca di Carlotta, sentire descrivere al vero il loro reciproco rapporto, i loro progetti, aveva piacevolmente toccato la sua tempra d'emotivo. Vicino a lei, in compagnia di lei, aveva provato tanta felicità, che ora al capitano pensava di mandare una lettera cordiale, comprensiva, ma controllata e vuota di sostanza. Quando, però, si mise allo scrittoio e tirò fuori la lettera di lui per rileggerla, gli venne di nuovo subito alla mente la pietosa situazione di quel galantuomo. Si risvegliarono tutti i pensieri che in quei giorni lo avevano amareggiato, e gli sembrò impossibile abbandonare l'amico in tanta angoscia.

            Imporsi un divieto non era abituale per Eduardo. Sin da ragazzo, figlio unico e coccolato di genitori ricchi, che lo avevano indotto al matrimonio, singolare ma vantaggiosissimo, con una donna più vecchia; e ancora viziato, in tutti i modi, da costei, che aveva cercato di ricambiare con la più grande generosità la correttezza del suo contegno; del tutto indipendente quasi subito, morta la moglie, con piena facoltà di viaggiare, di cambiar vita, di tentare il nuovo; senza brame esagerate, ma desiderando molto, e molte esperienze diverse; schietto, altruista, coraggioso, anzi valoroso, all'occorrenza: cosa mai al mondo poteva opporsi alla sua volontà?

            Sinora gli era sempre riuscito tutto, anche avere Carlotta, conquistata per la via d'una fedeltà tenace, da romanzo. Ora, per la prima volta, si sentiva contraddetto, per la prima volta ostacolato, proprio mentre pensava di chiamare presso di sé l'amico di gioventù, di coronare così il suo stesso destino. Contrariato, impaziente, afferrò a più riprese la penna e la mise giù, giacché non sapeva decidersi cosa scrivere. Non voleva opporsi al desiderio della moglie, non poteva seguire il suo. Inquieto com'era, doveva vergare una lettera calma: impossibile. Più che naturale che cercasse di procrastinare. Pregò l'amico, con poche parole, di perdonare che non aveva risposto subito, e che scriveva così in breve, e gli promise prestissimo una lettera più circostanziata e confortante.

            Il giorno dopo, mentre passeggiavano nei medesimi luoghi, Carlotta colse l'occasione per riprendere il discorso, forse convinta che non c'è nulla di meglio per fiaccare un proposito che discuterne spesso.

            Eduardo fu lieto di tornare sull'argomento. Si espresse, al solito, con cordialità e garbo. Seppure, sensibile com'era, scattasse facilmente, seppure le sue vivaci pretese potessero diventare indiscrete e la sua ostinazione irritare, i suoi modi erano sempre addolciti dal pieno rispetto dell'interlocutore, così che bisognava comunque considerarlo cortese, anche quando lo si trovava molesto.

            In tal maniera, quella mattina, prima mise Carlotta di buon umore, poi, con certi discorsetti aggraziati, la sconcertò del tutto, sinché lei esclamò: “Insomma, tu vuoi che io conceda all'amante ciò che ho negato al marito.”

            “Almeno, mio caro,” continuò, “devi comprendere che i tuoi desideri, l'affetto e la vivacità con la quale li esprimi, non mancano di commuovermi, di toccarmi. E mi costringono a una confessione. Finora anch'io ti ho nascosto qualcosa. Mi trovo in una situazione analoga alla tua e ho già imposto a me stessa quello sforzo che adesso pretendo da te.”

            “Mi fa piacere sentirlo,” replicò Eduardo. “Capisco bene, nel matrimonio qualche volta ci devono essere contrasti, perché così si impara a vicenda.”

            “Devi sapere,” disse Carlotta, “che a me, con Ottilia, avviene lo stesso che a te col capitano. Mi duole moltissimo che quella cara ragazza stia in collegio, dove si trova in una situazione opprimente. Mentre Luciana, mia figlia, nata per la vita mondana, appunto per il mondo vi si forma, e impara le lingue, la storia, e quanto altro insegnano, con la stessa destrezza con la quale esegue, a prima vista, note e variazioni dello spartito; mentre, per il temperamento vivace e l'ottima memoria, dimentica tutto - si può dire - e istantaneamente tutto ricorda; mentre, col contegno spontaneo, la grazia nel ballare, la scioltezza nel conversare, si distingue sopra tutte, e per nativa signorilità diventa come la reginetta dell'ambiente; mentre la direttrice dell'istituto la considera una piccola dea, che sboccia tra le sue mani, che le farà onore, le attirerà credito e le procurerà tante altre giovani allieve; mentre le prime pagine delle lettere e dei rendiconti che costei mi manda ogni mese, sono sempre un inno a questa mia figlia straordinaria, e io devo poi tradurle opportunamente nella mia prosa: all'opposto, ciò che mi scrive di Ottilia, da ultimo, non è che rammarico e rammarico, che una ragazza peraltro tanto bella non voglia maturare, non mostri né capacità né disposizioni. Quel poco che la direttrice aggiunge, per me non è un enigma, giacché nella ragazza riconosco tale e quale il carattere di sua madre, la mia migliore amica, che è cresciuta con me; e di questa figlia, se potessi essere educatrice o istitutrice, vorrei fare una creatura perfetta.

            “Siccome, però, non rientra nel nostro programma, e non si possono sforzare le nostre condizioni di vita per aggiungervi a tutti i costi qualcosa di nuovo, preferisco tollerare la situazione, e anzi passo sopra ad ogni impressione spiacevole, quando mia figlia, ben sapendo che la povera Ottilia dipende completamente da noi, si avvale con orgoglio della sua superiorità su di lei, e in tal modo, in un certo senso, annulla la nostra opera benefica.

            “Ma chi è così ben educato, da non far sentire talvolta agli altri, crudelmente, il peso delle proprie doti! Chi sta tanto su, da non dover soffrire talvolta di simile oppressione! Attraverso queste prove, Ottilia cresce di pregio. Da quando però intendo chiara la sua situazione, mi sono data da fare per sistemarla diversamente. Da un momento all'altro aspetto una risposta, e quando arriva, non esiterò. Questo è il mio problema, caro. Vedi che abbiamo entrambi gli stessi crucci, in un cuore fedele e incline all'amicizia. Sopportiamoli insieme, dato che non sono incompatibili!”

            “Siamo persone strane,” fece Eduardo, con un sorriso. “Se appena possiamo allontanare dalla nostra presenza qualcosa che ci dà molestia, crediamo subito di averla eliminata. Generalmente parlando, siamo capaci di grandi sacrifici, ma nel caso specifico, l'abnegazione non è la nostra virtù. Mia madre era così. Sin che vissi con lei, da ragazzo e da giovanotto, non era mai libera da ogni sorta di preoccupazioni momentanee. Facevo tardi cavalcando, e doveva essermi capitata qualche disgrazia; un acquazzone mi inzuppava, dovevo subito beccarmi la febbre. Ma poi sono partito per i miei viaggi, mi sono allontanato da lei, e allora è stato come non le interessassi più.”

            “A veder meglio le cose,” proseguì, “ci comportiamo entrambi da folli e da irresponsabili, lasciando in angosce e difficoltà due persone nobilissime e vicine al nostro cuore: e tutto ciò, solo per non correre rischi. Se questo non è egoismo, non so cosa lo sia! Prendi Ottilia, lasciami il capitano, e per amor di Dio, facciamo questo esperimento!”

            “Si potrebbe anche tentare,” disse Carotta, pensierosa, “se il pericolo sovrastasse noi soltanto. Ma credi che sarebbe sensato, mettere insieme in casa nostra il capitano e Ottilia, un uomo pressappoco della tua età, quando - tanto per farti un complimento - si è veramente capaci di amare e degni d'essere amati, e una ragazza con i pregi di Ottilia?”

            “Non riesco bene a capire,” ribatté Eduardo, “come tu possa tanto celebrare Ottilia! Me lo spiego solo col fatto che abbia ereditato la simpatia che portavi a sua madre. Graziosa lo è, è vero, e mi ricordo che fu il capitano a mostrarmela, un anno fa, quando tornammo e incontrammo te e lei da tua zia. Graziosa lo è, e ha specialmente dei begli occhi: ma non direi che mi abbia fatto la minima impressione.”

            “Questo è lodevole, da parte tua,” fece Carlotta, “giacché c'ero anch'io; e sebbene lei sia ben più giovane di me, la presenza dell'amica più matura aveva per te tanto fascino, che trascurasti una bellezza fiorente e piena di promesse. Anche questo si confà al tuo carattere, ed è la ragione per cui vivo così volentieri con te.”

            Carlotta, per franco che sembrasse il suo discorso, nascondeva tuttavia qualcosa. Cioè, che era stata lei stessa a presentare Ottilia ad Eduardo appena tornato, per offrire alla diletta figlia adottiva l'occasione di un buon partito; alla possibilità di riprendere con Eduardo, non pensava infatti più. Anche il capitano era stato istruito a richiamare sulla ragazza l'attenzione di Eduardo; ma, tenace nel ricordo del suo vecchio amore per Carlotta, egli non guardava né a destra né a sinistra, e si beava soltanto di sentire ormai raggiungibile un bene tanto agognato e all'apparenza per sempre interdetto da una serie di avvenimenti.

            I due sposi stavano per scendere dall'area nuova verso il castello, quando sopraggiunse un servitore affannato, e già dal basso, col volto ridente, gridò su: “Vengano presto, signori! In corte è arrivato di galoppo il signor Mittler. Ci ha gridato a tutti, di cercare di loro, di chiedere se c'è bisogno di lui. "Se c'è bisogno," ci gridava dietro, "avete capito? Ma svelti, svelti!"”

            “Che uomo strano!” esclamò Eduardo. “Non viene al momento giusto, Carlotta?” “Torna indietro subito!” fece al servo. “Digli che c'è bisogno, molto bisogno! Ma che scenda di sella. Pensate al cavallo. E lui introducetelo in salone, offritegli la colazione! Noi veniamo subito.”

            “Prendiamo la via più breve,” disse alla moglie, e imboccò la stradina lungo il cimitero, che di solito evitava. Ma come dovette meravigliarsi, trovando che anche qui Carlotta aveva ben rispettato i diritti del sentimento. Risparmiati il più possibile i vecchi sepolcri, livellato e riordinato tutto, ne era venuto un luogo ameno, dove lo sguardo e la fantasia indugiavano volentieri.

            Le lapidi più antiche non erano state trascurate: ordinate secondo gli anni, erano state addossate al muro di cinta, incastrate o semplicemente fissate. Anche l'alto basamento della chiesa era stato decorato e abbellito in questo modo. Eduardo sentì uno strano stupore, mentre entrava per la porticina; strinse la mano a Carlotta e gli venne agli occhi una lacrima.

            Ma il bizzarro ospite gliela fece sparire subito. Costui non si era fermato al castello, era venuto di gran galoppo per il villaggio sino all'ingresso del cimitero, e arrestatosi, gridava agli amici: “Mi avete mica preso in giro? Se avete bisogno davvero, a pranzo resto qui. Ma non fatemi perder tempo! Oggi ho ancora molto da fare.”

            “Giacché vi siete dato tanta pena,” gli fece Eduardo, “venite avanti un altro po'. Ci incontriamo in un luogo triste: ma vedete come Carlotta ha reso adorna questa tristezza!”

            “Dentro qui,” esclamò il cavaliere, “non vengo né in sella, né in carrozza, né a piedi. Questi riposano in pace, con loro non c'è da combinar niente. Adattarmici, bisognerà che mi adatti, ma quando mi ci porteranno lungo disteso. Allora, la vostra è una faccenda seria?”

            “Altroché!” fece Carlotta. “È la prima volta dalle nozze, che ci troviamo in un guaio, in un imbarazzo, dal quale non sappiamo come uscire.”

            “Non si direbbe,” rispose lui, “tuttavia voglio crederlo. Ma se mi imbrogliate, per l'avvenire vi lascerò senza aiuto. Venitemi dietro, presto! Al mio cavallo un po' di riposo non farà male.”

            Poco dopo erano tutti e tre in salone. Fu servito il pranzo e Mittler raccontò le opere e i progetti della giornata. Quest'uomo singolare era stato un ecclesiastico e si era segnalato, nel suo ufficio, per un'attività instancabile: tutte le vertenze, in famiglia e col vicinato, dapprima solo di singoli, poi di comunità intere e di numerosi possidenti, sapeva attenuarle e risolverle. Sin che era rimasto in servizio, divorzi non se ne erano avuti, e i magistrati della capitale non avevano ereditato da laggiù né liti né processi. Per tempo si era avveduto di quanto gli fosse utile una preparazione giuridica. E così si era dato a questi studi, e presto era maturato in lui un avvocato provetto. La sua clientela si era straordinariamente allargata e stavano per chiamarlo in città, per fargli completare dall'alto ciò che aveva cominciato dal basso, quando ebbe una grossa vincita ad una lotteria, si comprò una buona proprietà, la diede in affitto e ne fece il centro della sua attività, col fermo proposito, o piuttosto seguendo le vecchie tendenze e pratiche, di non fermarsi neanche un momento in una casa dove non ci fosse da metter pace e da rendersi utile. Coloro che in materia di nomi sono superstiziosi sul significato, trovano che il fatto di chiamarsi Mittler lo abbia indotto ad abbracciare la più strana delle vocazioni.

            Quando fu messo in tavola il dessert, l'ospite ammonì i due sposi di non tacere più a lungo ciò che avevano da dire, perché lui doveva andarsene subito dopo il caffè. E allora, in modo circostanziato, si confidarono. Ma appena ebbe afferrato il senso del discorso, egli balzò su con aria contrariata, corse alla finestra, e ordinò che gli sellassero il cavallo.

            “O non mi conoscete, non mi capite,” esclamò, “oppure siete ben maligni. Questa qui una lite? E c'è bisogno d'aiuto? Credete che io stia al mondo per dar consigli? È il mestiere più stupido che si possa fare. Ognuno si dia consigli da solo, e faccia quel che può. Se la va bene, si congratuli con la sua saggezza e la sua fortuna; se finisce male, be', allora ci sono io. Chi vuol liberarsi da un guaio, sa sempre cosa vuole; chi vuole qualcosa meglio di ciò che ha, quello ha gli occhi bendati, - sì, sì, ridete pure - gioca a moscacieca, forse arraffa qualcosa, ma cosa? Fate quel che volete, tanto è lo stesso! Invitate i vostri amici, non invitateli, tanto è lo stesso! Ho visto fallire le cose più sensate, e le stupidaggini riuscire. Non state a rompervi la testa, e se in un modo o nell'altro la faccenda non funziona, bene, ugualmente non state a rompervela! Mandatemi a chiamare, e troverete aiuto. Fino ad allora, servo vostro!”

            E balzò a cavallo, senza aspettare il caffè.

            “Vedi,” disse Carlotta, “quanto serve una terza persona a due legati intimamente, che non siano in perfetto equilibrio? Adesso siamo ancora più confusi e incerti di prima, se possibile.”

            I due sposi avrebbero esitato ancora a lungo, se non fosse arrivata, incrociandosi con l'ultima di Eduardo, una lettera del capitano. Aveva preso la decisione di accettare una delle sistemazioni offertegli, anche se non gli si confaceva affatto. Doveva stare con dei nobili, dei ricchi, a condividere la loro noia, e quelli confidavano che lui sarebbe riuscito a scacciarla.

            Eduardo intese molto bene la situazione e la espose con altrettanta chiarezza. “Vogliamo che il nostro amico resti così?” esclamò. “Tu non puoi essere tanto crudele, Carlotta!”

            “Uomo strano, il nostro Mittler,” ribatté lei, “ma in sostanza ha ragione. Trovate del genere sono sempre azzardi. Cosa ne possa venire, nessuno è in grado di prevederlo. Simili nuovi rapporti possono portare felicità o sventura, senza che noi si debba necessariamente ascriverlo a nostro merito o a nostra colpa. Non mi sento più forte abbastanza per contrastarti. Facciamo il tentativo! Una sola cosa ti chiedo: che sia soltanto per breve tempo. Permetti che io mi impegni per lui con maggior zelo di prima, che utilizzi ben bene la mia influenza, le mie relazioni, per procurargli un posto dove possa essere soddisfatto secondo i suoi gusti.”

            Eduardo espresse alla moglie, con molto garbo, la più viva gratitudine. Si affrettò, con animo sollevato e lieto, a fare per lettera all'amico le nuove proposte. Carlotta dovette aggiungere, in un poscritto di suo pugno, che era d'accordo, e unire a quello di lui, il suo più amichevole invito. Scrisse con penna sciolta, in modo piacevole e cortese, però con una certa furia, che non aveva di solito; e - ciò che non le capitava spesso - finì per fare sul foglio una macchia d'inchiostro, che la rese rabbiosa, e che, mentre cercava di cancellarla, divenne invece più grande.

            Eduardo ci scherzò sopra, e siccome c'era ancora spazio, aggiunse un secondo poscritto: dalla macchia l'amico poteva intendere l'impazienza con la quale era atteso, e dalla fretta della lettera, l'urgenza del suo arrivo.

            Partito il messo, Eduardo pensò che in nessun modo poteva meglio esprimere la sua gratitudine, che continuando ad insistere perché Carlotta facesse intanto venire Ottilia dal collegio.

            Lei chiese un rinvio, e per quella stessa serata stimolò nel marito la voglia di un trattenimento musicale. Carlotta suonava il piano assai bene, non altrettanto Eduardo il flauto, giacché, seppure, di tanto in tanto, ci si fosse applicato con impegno, gli mancavano la pazienza e la tenacia indispensabili per tale esercizio. Di conseguenza, eseguiva la sua parte in modo assai discontinuo: alcuni passi eccellenti, ma forse troppo veloci, in altri s'interrompeva, perché non gli erano familiari; e così sarebbe stato difficile per chiunque portare a termine un duetto insieme a lui. Ma Carlotta sapeva cavarsela; si fermava, e poi riprendeva con lui, assolvendo in questa forma la duplice funzione di un valente direttore d'orchestra e di una buona padrona di casa, anche quando certi passaggi vadano fuori tempo.

 

III    (Torna all'indice)

 

 

            Il capitano arrivò. Si fece precedere da una lettera piena di buon senso, che tranquillizzò del tutto Carlotta. Che comprendesse tanto bene se stesso, tanto chiaramente la situazione sua propria e quella degli amici, consentiva prospettive serene e liete.

            Le prime ore - come suole avvenire tra amici che da molto non si sono più rivisti - furono intense, quasi faticose. Verso sera Carlotta propose una passeggiata sino all'area nuova. Il paesaggio piacque moltissimo al capitano, che rilevò i punti più ameni, solo ora visibili e godibili, dopo l'apertura dei nuovi sentieri. Era un osservatore esperto, ma anche ben controllato: e, sebbene avesse un'idea precisa del meglio, non metteva. di malumore - come capita piuttosto spesso - le persone che gli mostravano la loro proprietà, pretendendo più di quanto l'ambiente consentisse o menzionando bellezze ben più raffinate viste altrove.

            Raggiunta la capanna di muschio, la trovarono adorna piacevolmente, seppure solo con fiori artificiali e rami di sempreverde, ma mischiati a graziosi mannelli di spighe e a vari frutti di campo, di modo che rendevano onore al senso artistico di chi li aveva disposti. “Sebbene mio marito non ami che si festeggino le sue ricorrenze, oggi non me ne vorrà, se dedico queste povere ghirlande a una triplice festa.”

            “Triplice?” esclamò Eduardo. “Certo!” replicò Carlotta. “L'arrivo del nostro amico lo consideriamo naturalmente una festa; e voi due, non avete pensato che oggi è il vostro onomastico? Non vi chiamate Ottone entrambi?”

            Gli amici si porsero la mano sopra il tavolino. “Mi fai venire in mente,” disse Eduardo, “un episodio della nosta prima amicizia. Da ragazzi ci chiamavamo tutti e due così; ma poi, vivendo insieme in collegio, siccome nasceva confusione, fui io a cedergli questo bel nome asciutto.”

            “Non è, però, che tu sia stato tanto generoso,” fece il capitano. “Mi ricordo benissimo che Eduardo ti piaceva di più, e in effetti, pronunciato da due labbra graziose, suona armoniosamente.”

            Sedevano intorno al tavolino, proprio dove Carlotta si era opposta tanto fermamente a che l'ospite venisse. Eduardo, tutto contento, non voleva rammentare alla moglie quella discussione, ma non si trattenne dall'osservare: “Ci sarebbe posto anche per una quarta persona.”

            In quel momento si udirono dal castello suoni di corno, che parvero confermare, invigorire i sentimenti e le benevole disposizioni degli amici raccolti insieme. Stettero a sentire in silenzio, mentre ognuno rifletteva e sentiva raddoppiata la propria felicità dal trovarsi in così bella comunione.

            Eduardo interruppe per primo l'indugio, levandosi e uscendo dalla capanna. “Accompagnamo subito l'amico sino alla cima,” propose a Carlotta, “affinché non creda che questa valletta soltanto sia la nostra proprietà, e che noi si stia sempre qui; di lassù si ha una gran vista, e il respiro si allarga.”

            “Per questa volta ancora,” rispose Carlotta, “dovremo arrampicarci per il vecchio sentiero ripido. Ma presto spero che le mie scalette e i miei gradini ci porteranno su senza fatica.”

            Così arrivarono in cima, superando rocce, boschetti e macchie. Non c'era una spianata, ma una serie di dossi fertili: il villaggio e il castello non si vedevano più, giù in fondo si stendevano degli stagni che lambivano colline verdi, e poi rupi a picco, che facevano da confine di quegli specchi d'acqua, e vi riflettevano il loro profilo caratteristico. Nel vallone, lungo il quale un impetuoso rio affluiva verso gli stagni, stava un mulino, mezzo nascosto, che doveva essere, coi suoi dintorni, un posto delizioso, a indugiarvi. Nel semicerchio toccato dallo sguardo si alternavano variamente bassure e punte, cespugli e boschi che promettevano, col loro primo verde, lo spettacolo più ameno nella stagione veniente. E anche gruppi di alberi isolati, qua e là, trattenevano l'occhio. Specialmente, proprio ai piedi degli osservatori, un folto di pioppi e di platani, cresciuti sulle rive dello stagno di mezzo. Erano freschi, sani, rigogliosi, spingevano con forza tutt'attorno i loro rami.

            Eduardo mostrò proprio questi all'amico. “Li ho piantati io stesso,” esclamò, “da giovane. Erano alberelli, che potei salvare da mio padre: li voleva abbattere, di piena estate, quando sistemarono la parte nuova del giardino del castello. Certamente, anche quest'anno, dimostreranno con nuovi germogli la loro gratitudine.”

            Tornarono soddisfatti, sereni. All'ospite era stato riservato, nell'ala destra del castello, un alloggio piacevole e spazioso, dove collocò e mise in ordine i libri, le carte, e gli strumenti utili al suo consueto lavoro. Ma i primi giorni Eduardo non lo lasciò un momento in pace: lo portava dappertutto, a cavallo, a piedi, e gli fece girare per bene la proprietà e i dintorni; intanto gli esponeva i progetti che da tempo aveva in serbo, per conoscere meglio le sue terre e sfruttarle con più profitto.

            “La cosa da farsi per prima,” osservò il capitano, “è il rilevamento della zona con l'ago magnetico. Un lavoro semplice, divertente, che è sempre utile, anche se non esatto al millimetro, e come inizio, bastevole; lo si può eseguire senza tanti aiuti, e si è sicuri di portarlo a termine. Se tu pensi poi a misurazioni più precise, anche per questo troveremo la maniera.”

            Il capitano era esperto di rilevamenti. Aveva portato con sé gli attrezzi necessari, e cominciò subito. Diede istruzioni a Eduardo e ai cacciatori e contadini che dovevano aiutarlo. Il tempo era propizio. Di sera e di prima mattina, lavorava agli schizzi e al tratteggio. In breve furono pronte le copie colorate, ed Eduardo vide la sua proprietà emergere nitida dal foglio come appena creata. Gli pareva di conoscerla soltanto ora, che cominciasse soltanto ora ad appartenergli.

            Ci fu l'occasione di discutere della zona, dei lavori, che, dopo un'indagine siffatta, potevano riuscire molto meglio che se si fossero fatti tentativi a casaccio sulla base di impressioni fallaci.

            “Bisogna spiegarlo a mia moglie,” disse Eduardo.

            “Non farlo!” replicò il capitano, che non mescolava volentieri le convinzioni altrui con le sue, e sapeva per esperienza che le vedute umane sono troppo molteplici per potere essere unificate in un sol punto, sia pure mediante il più rigoroso raziocinare. “Non farlo!” ripeté. “Perderebbe forse ogni orientamento. A lei avviene come a tutti coloro che si occupano di cose del genere da dilettanti: le importa far qualcosa, piuttosto che qualcosa sia fatto. Si tenta con la natura, ci si sente attratti da un posticino o da un altro; non si osa rimuovere questo o quell'ostacolo, non si è abbastanza audaci per sacrificarlo; non si ha un'idea anticipata di ciò che si deve fare, si prova, riesce, non riesce, si cambia, si cambia magari quello che si doveva risparmiare, si lascia quello che andava cambiato, e così, in definitiva, si ottiene un risultato, che piace e suggestiona, ma non soddisfa.”

            “Dimmi la verità,” fece Eduardo, “tu non sei contento dei lavori di Carlotta.”

            “Se l'esecuzione avesse dato fondo alla concezione, che è eccellente, non ci sarebbe nulla da criticare. Si è affaticata ad aprire una strada, per la roccia, e ora affatica, se permetti, quelli che fa venir su. Non ci si cammina a proprio agio, né affiancati né in fila indiana, ad ogni istante il ritmo del passo è interrotto, e quante altre osservazioni ci sarebbero!”

            “Ma sarebbe stato facile, diversamente?” chiese Eduardo.

            “Facilissimo!” rispose il capitano. “Bastava spaccare uno spigolo roccioso, che per di più non si nota nemmeno, giacché è tutto segmentato, e la strada avrebbe avuto spazio per una curva armoniosa, e inoltre sassi in abbondanza, per murarli a rafforzo dei tratti più stretti e sconnessi. Ma questo resti assolutamente fra noi: altrimenti, si confonde e si irrita. E poi, ciò che è fatto, bisogna lasciarlo stare. Se si vuol spendere ancora soldi e fatica, dalla capanna in su, e sulla cima, ci sarebbero diversi lavori, e molte belle idee da realizzare.”

            Se in questa maniera i due amici occupavano il presente, non mancavano occasioni per ricordare, con commozione e con gioia, i giorni lontani, e a ciò partecipava di solito Carlotta. Si proposero anche, appena terminate le cose più urgenti, di occuparsi dei diari di viaggio, anche così rievocando il passato.

            Con Carlotta, Eduardo, quando restavano soli, aveva meno da dire, specialmente da quando gli pesava dentro la critica dei suoi lavori nel parco, che gli sembrava giustissima. A lungo tacque ciò che gli aveva detto in confidenza il capitano. Ma quando vide la moglie affaccendata a tirare innanzi dalla capanna verso la cima, con tutta una serie di gradini e sentierucoli, non si trattenne più, e dopo qualche giro di parole, la informò delle sue nuove opinioni.

            Carlotta rimase colpita. Era abbastanza svelta per non accorgersi subito che avevano ragione; ma la parte già eseguita significava il contrario, e ormai era fatta; lei l'aveva trovata buona, l'aveva trovata piacevole, persino ciò che ora si criticava, le era caro in ogni particolare. Reagì alla sua stessa convinzione, difese la sua piccola creazione, se la prese con gli uomini, che subito andavano nel grandioso, e da una bazzeccola, un trastullo, volevano cavare una grossa impresa, senza pensare alle spese che un progetto più vasto avrebbe implicato. Era eccitata, ferita, contrariata: la vecchia idea non poteva portarla avanti, la nuova non si sentiva di respingerla del tutto. Ma, pratica com'era, sospese subito il lavoro e si prese tempo per riflettere e lasciar maturare la faccenda.

            Cessata anche quest'occupazione quotidiana, mentre gli uomini, sempre più affiatati, seguitavano la loro opera e soprattutto si impegnavano intorno ai vivai e alle serre - senza trascurare i consueti esercizi della vita in villa, la caccia, i cavalli, comprarli, scambiarli, addestrarli, abituarli al tiro - Carlotta prese a sentirsi ogni giorno più sola. Scriveva molte lettere, anche per via del capitano, ma c'erano ore solitarie. Tanto più gradite, e come uno svago, le erano perciò le notizie che riceveva dal collegio.

            Una lunga lettera della direttrice, che, al solito, si dilungava deliziata sui progressi di sua figlia, era seguita da un breve poscritto, e accompagnata da un altro foglio di mano di un collaboratore maschile dell'istituto. Li riportiamo qui entrambi.

 

            Poscritto della direttrice

            Quanto a Ottilia, gentile signora, posso soltanto ripetere ciò che le scrissi nelle mie relazioni precedenti. Rimproverarla non saprei, però non posso esserne soddisfatta. È modesta e gentile con gli altri, ora come prima. Ma questo tirarsi indietro, questo essere servizievole, non mi piacciono. Lei, signora, le mandò, poco tempo fa, del denaro e diversi oggetti. I soldi non li ha nemmeno toccati, il resto è ancora là, inutilizzato. Certo, tiene molto in ordine e pulite le sue cose, ma si direbbe che cambi d'abito solo a tal fine. Neanche posso compiacermi della gran sobrietà nel mangiare e nel bere. La nostra tavola non è sovrabbondante, ma nessun spettacolo mi è più gradito di quando vedo le figliole saziarsi di cibi gustosi e sani. Ciò che viene presentato e servito con impegno e buona volontà, bisogna mangiarlo nello stesso spirito. A questo non sono mai riuscita a convincere Ottilia. Anzi, si dà un gran da fare per ovviare a una dimenticanza, quando le cameriere hanno trascurato qualcosa, soltanto per poter evitare una portata o il dessert. Bisogna però considerare, e io l'ho appreso solo tardi, che talora soffre di mal di capo al lato sinistro, cosa che passa, ma che può essere dolorosa, e avere il suo peso. Questo per quanto concerne la ragazza, d'altronde tanto bella e cara.

 

            Allegato dell'assistente

            La nostra ottima direttrice mi fa leggere solitamente le lettere che invia ai genitori e ai superiori, con osservazioni circa le alunne. Quelle indirizzate a lei, le leggo sempre con doppia attenzione, con doppio piacere: giacché, mentre dobbiamo rallegrarci con lei per una figlia che raccoglie in sé le doti più brillanti con le quali ci si afferma nella vita, non meno fortunata dobbiamo - o almeno io devo - tenerla per esserle toccata in figlia adottiva una fanciulla, che è nata per il bene e la gioia degli altri, e certo anche per la sua propria felicità. Ottilia è forse l'unica alunna qui, circa la quale io non sono d'accordo con la nostra egregia direttrice. Non rimprovero a questa signora tanto attiva, di desiderare che i frutti del suo zelo abbiano a vedersi ben chiari e in evidenza;

            ma ci sono anche dei frutti chiusi, che sono poi quelli buoni e sostanziosi, e si aprono presto o tardi ad una splendida vita. Di tal genere è la sua figliola adottiva. Da quando sono il suo insegnante, la vedo andare sempre con lo stesso passo, piano piano, sempre avanti, mai indietro. Se con un allievo si deve cominciare dal principio, questo è certamente il caso. Ciò che non deriva da un precedente, non lo afferra. Se ne sta inerte, impalata addirittura, davanti a una questione semplicissima, se non riesce a collegarla con nient'altro. Ma se si ricostruisce la successione logica e gliela si mostra, capisce le cose più ardue.

            Procedendo così lentamente, resta indietro rispetto alle compagne, che con ben diverse doti divorano la via, e comprendono tutto senza sforzo, anche ciò che non regge, e subito lo impiegano disinvolte. Lei, con la sua maniera d'apprendere, non ricava nulla da un insegnamento frettoloso, come avviene per certe lezioni impartite da maestri eccellenti, ma svelti e sbrigativi. Ci si è lagnati della sua calligrafia, e del fatto che non capisce le regole della grammatica. Io ho voluto esaminare per bene questi punti: è vero, scrive con lentezza e rigido, se si vuole, ma non con mano incerta e scarabocchiando. Ciò che, a poco a poco, le ho fatto conoscere del francese, che pure non è la mia materia, lo ha inteso senza difficoltà. Certo, è strano: molte cose le sa, e bene; ma quando la si interroga, sembra che non sappia nulla.

            Per chiudere con un osservazione generale, vorrei dire: non apprende come una che deve ricevere un'istruzione, ma come una che voglia darla, non da allieva, ma da futura insegnante. Forse lei troverà singolare che io, che sono educatore e maestro, non sappia meglio lodare qualcuno che chiamandolo collega. La sua prospettiva più elevata, la sua più profonda conoscenza degli uomini e del mondo, sapranno vagliare le mie parole scarne ma oneste. Si convincerà che anche da questa figliola sono da attendersi molte soddisfazioni. Le porgo i miei ossequi, e la prego di permettermi di scrivere ancora, quando io creda che la mia lettera possa contenere qualcosa d'importante e di gradito.

 

            Carlotta si rallegrò di questo scritto. Corrispondeva da vicino all'idea che lei aveva di Ottilia. Ma non poté reprimere un sorriso, sembrandole l'interessamento del docente, più appassionato di quanto richiedesse l'esame delle doti di un'allieva. Anche un caso del genere, come tanti altri, con la sua mentalità obiettiva e scevra di pregiudizi, lo ammetteva; l'interesse di quell'uomo di buon senso per Ottilia, lo apprezzava: giacché la vita le aveva abbastanza insegnato quanto sia da tenere da conto ogni sentimento sincero in un mondo in cui indifferenza e inimicizia sono a casa loro.

 

IV    (Torna all'indice)

 

 

            La carta topografica, sulla quale la proprietà e i dintorni erano rappresentati con buona evidenza, in scala abbastanza grande e mediante inchiostro e colori, e che il capitano aveva basato su valide misurazioni trigonometriche, era ormai pronta. Nessuno dormiva meno di quell'uomo laborioso, e la sua giornata era tutta dedita all'obiettivo del momento. Ogni sera c'era qualcosa di compiuto.

            “Passiamo ora al resto,” disse all'amico, “cioè all'inventario della proprietà. Occorrerà un certo lavoro preliminare, e dopo potremo preventivare i fitti e gli altri redditi. Ma anzitutto, fissiamo un punto: tieni distinti dalla vita, gli affari veri e propri! Gli affari richiedono serietà e fermezza, la vita, una spontanea libertà; agli affari giova la più stretta coerenza, alla vita talora l'incongruenza, anzi è piacevole, e ti dà serenità. Se nel primo campo sei sicuro, puoi prenderti maggiore libertà nell'altro, invece che mescolarli e fare che la sicurezza sia compromessa dall'arbitrio.”

            Eduardo avvertì in queste osservazioni un leggero rimprovero. Non disordinato di temperamento, egli tuttavia non riusciva a tenere le sue carte suddivise secondo la materia. Quello che andava trattato con altri, quello che dipendeva da lui medesimo, era tutto insieme, così come non sapeva separare gli affari dalla conversazione, gli impegni dal divertimento. La cosa diventava facile, ora che un amico se ne prendeva l'incarico, e un secondo io operava quella distinzione alla quale l'io unico non riusciva ad acconciarsi.

            Sistemarono, nell'ala dove alloggiava il capitano, degli scaffali per le cose correnti, un archivio per le più vecchie, raccolsero documenti, carte, appunti, dappertutto, da ripostigli, da stanzini, armadi e casse, e con gran rapidità quella roba fu disposta in ottimo ordine e catalogata in sezioni distinte. Ciò che cercavano, lo trovarono anche più abbondantemente di quanto sperassero. In questa operazione fu loro molto utile un vecchio scrivano, che per tutta la giornata, e anche parte della notte, non si muoveva dal tavolo, e del quale Eduardo fino allora era sempre stato malcontento.

            “Non lo riconosco più,” fece Eduardo all'amico, “tanto è diventato attivo e utile.”

            “Dipende dal fatto,” rispose il capitano, “che non gli portiamo nuovo lavoro, sinché non ha sbrigato, con ogni comodo, il primo; in questa maniera, come vedi, rende moltissimo; appena lo si disturba, non combina più nulla.”

            Se gli amici, così, passavano insieme la giornata, la sera non trascuravano di andare a trovare Carlotta. A meno che non ci fossero visite dai paesi e dalle proprietà vicine - ciò che capitava spesso - la conversazione e la lettura riguardavano per lo più quelle cose che accrescono il benessere, i privilegi, e gli agi della società evoluta.

            Carlotta, avvezza comunque a far fruttare il presente, vedendo soddisfatto il marito, si sentiva avvantaggiata anche personalmente. Diverse disposizioni domestiche, alle quali pensava da tempo ma che non era mai riuscita a introdurre, furono realizzate grazie all'attività del capitano. La farmacia di casa, fornita solo di pochi medicamenti, fu arricchita, e Carlotta, mediante semplici letture e spiegazioni, messa in grado di manifestare più spesso e con più efficacia che nel passato, il suo temperamento alacre e premuroso. Considerandosi poi gli incidenti più comuni e tuttavia meno prevedibili, si provvedette a ciò che può servire per il salvataggio di chi affoghi, tanto più che, data la prossimità di tanti stagni, acque e canali, simili episodi erano frequenti. Questo punto il capitano lo seguì con grande impegno, ed Eduardo ne ricavò l'impressione che un avvenimento del genere avesse rappresentato una data, chissà come, nella vita dell'amico. Ma siccome costui taceva, e sembrava sottrarsi a un triste ricordo, Eduardo non fece motto, e anche Carlotta, informata un po' alla lontana, lasciò cadere l'argomento.

            “Prendiamo pure tutte queste previdenti disposizioni,” disse, una sera, il capitano, “ma ci manca ancora il più importante, un uomo capace, che sappia metterle in pratica. Proporrei allo scopo un chirurgo militare che conosco, si potrebbe averlo a buone condizioni; un uomo eccellente nel suo ramo, che anche nel curarmi violenti mali interni, spesso mi diede più soddisfazione di un medico famoso. In campagna, e proprio il soccorso immediato che di solito manca di più.”

            Anche con costui ci si impegnò subito, e i due coniugi si rallegrarono di aver trovato modo di impiegare per spese utilissime certe somme altrimenti destinate a capricci.

            Carlotta utilizzava poi ai suoi fini la preparazione e l'alacrità del capitano, e cominciò a sentirsi contenta quando lui era presente, e a non temere più nessuna complicazione. Si preparava, di solito, diversi quesiti da proporre, e siccome amava la vita, si dava premura di rimuovere ogni ragione di danno e di morte. Le vernici a base di piombo impiegate per le stoviglie, il verderame delle pentole, parecchie volte l'avevano preoccupata. Così sollecitò informazioni al proposito, e naturalmente si dovette risalire ai concetti basilari della fisica e della chimica,

            L'occasione, fortuita ma sempre gradita, a simili conversazioni venne dalla passione di Eduardo per la lettura in comune. Aveva una voce armoniosa e profonda, e già si era fatto conoscere e apprezzare, in altri tempi, per la dizione animata e sensibile di testi poetici e di discorsi. Erano ora altre materie ad interessarlo, altri i testi che leggeva alla compagnia, e da qualche tempo, specialmente opere fisiche, chimiche e tecniche.

            Una sua particolarità - d'altronde, anche di tanti altri - era di non sopportare che, quando leggeva, gli guardassero nel libro. Prima, quando leggeva poesie, commedie, racconti, ciò era in rapporto col desiderio, intenso e peculiare ad ogni dicitore - come al poeta stesso, al commediografo, al narratore - di sorprendere, di aprire intervalli, di creare un senso di attesa: simili effetti, voluti ad arte, restano infatti gravemente impediti, se qualcuno precede con lo sguardo chi legge. E così era solito mettersi sempre in maniera da non avere nessuno alle spalle. Adesso che erano in tre, questa preoccupazione non era più necessaria; e dal momento che non mirava più a commuovere, a distrarre, a far lavorare la fantasia, Eduardo non pensava di dover premunirsi in qualche modo.

            Una sera, però, che si era seduto così senza badare, s'accorse che Carlotta gli leggeva il libro. E preso dalla sua vecchia intolleranza, glielo rinfacciò con una certa asprezza: “Se la si smettesse una buona volta con simili sgarberie, e con tante altre, che sono moleste in società! Quando si legge a qualcuno, non è come esporgli qualcosa a viva voce? Lo scritto, lo stampato, tiene luogo delle mie proprie intenzioni del mio stesso cuore. E forse che tribolerei a parlare, se una finestrina sulla mia fronte o sul petto consentisse a colui cui volessi esprimere i miei pensieri e comunicare i miei sentimenti, di sapere già da prima come concluderò? Quando mi leggono nel libro, mi sento come mi facessero in due pezzi.”

            Carlotta, particolarmente abile, in compagnie ristrette o numerose, a lasciar cadere inosservata una battuta sgradevole o violenta o anche solo un po' troppo vivace, a interrompere una conversazione alquanto prolissa o a rianimarne una languente, anche stavolta non fu tradita dalla sua maestria: “Perdonerai certamente il mio errore, se ti racconto ciò che mi sta avvenendo. Ti sentivo menzionare certe affinità, e mi sono venuti alla mente le mie parentele, certi cugini, che proprio ora mi danno preoccupazioni. L'attenzione, poi, s'è rivolta alla tua lettura: sento che si tratta di cose inanimate, e allungo un'occhiata al libro per riordinarmi le idee.”

            “È stata una similitudine a ingannarti e confonderti,” fece Eduardo. “Qui si parla solamente di terre e di minerali, ma l'uomo è un autentico Narciso, si specchia volentieri dappertutto, ama porsi come sfondo all'universo.”

            “Davvero!” continuò il capitano. “Tratta così tutto ciò che trova fuori di sé; attribuisce agli animali, alle piante, agli elementi, agli dei, la sua saggezza e la sua stoltizia, la sua volontà e i suoi capricci.”

            “Non vorrei distrarvi dai vostri interessi,” replicò Carlotta, “ma potreste spiegarmi, in breve, che cosa s'intendeva qui per affinità?”

            “Molto volentieri,” rispose il capitano, al quale si era rivolta, “ma soltanto come posso, secondo ciò che ho appreso una diecina d'anni fa, secondo le mie letture. Se gli scienziati la pensino ancora così, se questo corrisponda alle dottrine più recenti, non saprei dirlo.”

            “È ben dura,” esclamò Eduardo, “che ormai non si possa più apprendere qualcosa che basti la vita intera. I nostri vecchi potevano attenersi a ciò che avevano imparato da giovani; adesso, ogni cinque anni dobbiamo rinnovare tutto il nostro corredo scientifico, se non vogliamo restare completamente fuori moda.”

            “Noi donne,” disse Carlotta, “non abbiamo bisogno di tanto, e se posso essere schietta, a me importa solo di intendere correttamente il vocabolo, giacché nulla riesce più comico in società, di quando si impiega in modo sbagliato una parola forestiera o un termine tecnico. Quindi, vorrei semplicemente sapere che significato prende quest'espressione affinità a proposito di cose inanimate. Tutto il resto, cioé la relativa dottrina scientifica, possiamo lasciarla agli studiosi, i quali, d'altronde, per quanto ho potuto notare, di rado si mettono d'accordo.”

            “Da dove cominciamo, per arrivare rapidamente al nostro punto?” fece Eduardo, dopo un indugio, al capitano. E costui, con l'aria di riflettere, ribatté: “Se mi è consentito di prenderla, apparentemente, un po' alla lontana, ci arriviamo subito.”

            “Stia sicuro che avrà tutta la mia attenzione,” disse Carlotta, e depose il suo lavoro.

            “In tutti gli esseri naturali dei quali abbiamo percezione,” cominciò il capitano, “la prima cosa che osserviamo è che hanno un rapporto con se medesimi. Certo, suona strano, quando si enuncia qualcosa che è ovvio; ma solo quando ci si sia ben bene intesi sul già noto, si può procedere insieme verso l'ignoto.”

            “Proporrei,” lo interruppe Eduardo, “che si rendesse la materia più semplice, per noi due e per Carlotta, mediante esempi. Immaginiamo l'acqua, l'olio, il mercurio: troviamo un'unità, una perfetta coerenza delle parti, e questa unità non la perdono, se non per forza esterna o altra causa specifica, cessata la quale, riprendono immediatamente il loro stato.”

            “Senza dubbio,” consentì Carlotta. “Le gocce di pioggia si uniscono agevolmente a formare ruscelletti. E da bambini si giocava col mercurio, pieni di curiosità, perché lo dividevamo in tante sferette, e queste subito riconfluivano insieme.”

            “A me, poi, vorrei fosse consentito,” aggiunse il capitano, “menzionare di passata un fatto importante, che cioè questo rapporto evidentissimo, possibile nello stato liquido, si caratterizza sempre e senza eccezioni per la forma sferica assunta dalle singole parti. La goccia d'acqua che cade, è rotonda; delle sferette del mercurio, ha già parlato lei; anche il piombo fuso che cada e abbia tempo bastante per solidificarsi completamente, arriva giù in forma sferica.”

            “Mi lasci andare innanzi,” fece Carlotta, “per vedere se ho inteso dove vuole arrivare. Posto che ogni cosa ha un rapporto con se medesima, deve avere relazione anche con le altre.”

            “E questa sarà diversa, a seconda della diversità degli esseri,” continuò prontamente Eduardo. “A volte si incontreranno a mo' di amici e vecchie conoscenze, che si mescolano senza difficoltà, si uniscono senza modificarsi vicendevolmente, così come il vino con l'acqua. Ma invece altri si affiancheranno restando sempre estranei, e neanche se li mescoli e strofini con mezzi meccanici, vorranno associarsi: come l'olio con l'acqua, appena smetti di sbatterli, subito sono già separati.”

            “Non è tanto difficile,” disse Carlotta, “ravvisare in queste forme semplici, le persone che abbiamo conosciuto. Ma soprattutto, pensando a tali fenomeni, vengono in mente diversi ambienti in cui si è vissuto. La somiglianza più vistosa con le materie inanimate ce l'hanno però le masse che si contrappongono in seno alla società, le classi, le professioni, la nobiltà e il terzo stato, i militari e i civili.”

            “E tuttavia,” replicò Eduardo, “come queste ultime si possono associare mediante gli usi e le leggi, così anche nel mondo chimico che stiamo considerando, esistono membri intermedi, atti a collegare parti che reciprocamente si respingano.”

            “A mezzo della soda,” intervenne il capitano, “si combinano olio e acqua.”

            “Non corra troppo, però, con la sua lezione!” fece Carlotta. “Vorrei mostrare che so tenere il passo. Ma non siamo già arrivati alle nostre affinità?”

            “Precisamente,” rispose il capitano, “e adesso le conosceremo in tutta la loro forza e determinazione. Quelle sostanze che, incontrandosi, subito si compenetrano e si influenzano reciprocamente, le chiamiamo affini. Nel caso degli alcali e dei sali, che, seppure opposti, e forse proprio perché opposti, si cercano e si associano col massimo vigore, modificandosi e formando insieme un nuovo corpo, questa affinità è palese. Basti pensare alla calce, che ha un'invincibile inclinazione per ogni sorta di acidi, una decisa tendenza ad accoppiarsi con essi! Appena sarà arrivato il nostro gabinetto chimico, le faremo vedere parecchi esperimenti: sono divertenti, e chiariscono i fenomeni meglio che le parole, i nomi, e i termini tecnici.”

            “Mi permetta di confessare,” fece Carlotta, “che quando lei chiama affini queste singolari sostanze, a me esse non tanto paiono legate da un'affinità di sangue, ma da un'affinità che riguarda lo spirito, l'anima. Proprio a questa maniera, possono nascere tra le persone, amicizie veramente importanti: qualità opposte rendono possibile un'associazione più stretta. Dunque, aspetterò che lei mi mostri qui sotto i miei occhi questi misteriosi effetti. E adesso,” concluse, volgendosi ad Eduardo, “non disturberò più la tua lettura e ti seguirò con attenzione, dopo avere appreso tante cose al proposito.”

            “Siccome sei stata tu a stuzzicarci,” ribatté Eduardo, “ora non te la cavi tanto facilmente. I casi più complicati sono proprio i più interessanti. Solo studiando questi, si conoscono i gradi di affinità, le relazioni più prossime e vigorose, e le più lontane e deboli. Le affinità cominciano ad essere interessanti quando producono separazioni.”

            “Ma questa parola triste, che purtroppo ormai si ode così di frequente in società,” esclamò Carlotta, “vien fuori anche nelle scienze naturali?”

            “Certamente!” rispose Eduardo. “Era addirittura un titolo onorifico dei chimici, chiamarli separatori.”

            “Questo non si fa più, però, per fortuna!” replicò Carlotta. “Riunire è arte più grande, merito maggiore.

            In ogni disciplina un artista unificatore sarebbe dappertutto il benvenuto. Ma fatemi conoscere qualche caso del genere, visto che volete continuare!”

            “Allora,” disse il capitano, “torniamo a quello che già prima abbiamo menzionato e discusso. Per esempio, ciò che chiamiamo calcare, è una terra calcarea, più o meno pura, intimamente combinata con un acido leggero, che conosciamo solo allo stato gassoso. Se immergiamo un pezzo di calcare in acido solforico diluito, questo attacca la calce e si trasformano in gesso, mentre quell'acido leggero e aeriforme si libera. In tal modo è avvenuta una separazione e una nuova combinazione, e ci si sente davvero autorizzati ad impiegare la parola affinità, perché sembra proprio che una relazione venga anteposta ad un'altra, che si faccia una scelta.”

            “Voglia perdonarmi,” disse Carlotta, “come io perdono al naturalista. Ma io qui non vedrei una scelta, piuttosto una necessità naturale, e neppur questa: giacché forse, in sostanza, non si tratta che dell'occasione. L'occasione genera le relazioni, così come fa ladro l'uomo. E quando parliamo di questi corpi naturali, mi pare che la scelta stia tutta nelle mani del chimico, che li combina. Ma una volta che sono insieme, be', Dio li benedica! Nel caso in questione mi dispiace soltanto che quel povero acido aeriforme debba tornare ad arrabattarsi per l'infinito.”

            “Non dipende che da lui,” rispose il capitano, “di combinarsi con l'acqua, di servire, come fonte minerale, al ristoro di ammalati e di sani.”

            “Ha un bel dire, il gesso,” fece Carlotta, “lui ora è completo, è un corpo, è a posto, mentre quell'esiliato, chissà quante peripezie dovrà ancora attraversare, prima di calare a basso un'altra volta.”

            “Mi sbaglierò,” replicò Eduardo, con un sorriso, “ma c'è un po' di malizia dietro le tue parole. Confessalo pure! In sostanza, ai tuoi occhi io sono la calce, attaccata dal capitano, che sarebbe l'acido solforico, sottratta alla tua piacevole compagnia e trasformata in gesso inerte.”

            “Se la coscienza,” disse Carlotta, “ti spinge a simili considerazioni, non c'è bisogno che io mi preoccupi. Queste metafore sono aggraziate e divertenti, e chi non scherza volentieri con le analogie! Ma l'uomo è più alto parecchi gradini di quegli elementi, e se ora ha un po' largheggiato con queste belle parole scelta e alfinità elettiva, farà anche bene a tornare in se stesso e a meditare sul valore di simili espressioni. Conosco purtroppo tanti casi, in cui l'unione intima, e all'apparenza indissolubile, di due esseri è stata sopraffatta dal fortuito associarsi di un terzo, e così uno dei membri della prima, felicissima coppia è stato ributtato al largo.”

            “In questo caso i chimici sono più garbati,” fece Eduardo. “Aggiungono un quarto, affinché nessuno resti scompagnato.”

            “Verissimo,” ribatté il capitano. “I casi più interessanti e singolari sono certo questi, in cui l'attrazione, l'affinità, l'abbandono e il congiungimento, si possono effettivamente rappresentare con uno schema a croce, quando quattro esseri appaiati a due a due, indotti al movimento, lasciano la primitiva unione e si riaccoppiano in modo diverso. In questo lasciare e prendere, fuggire e ricercarsi, sembra davvero di vedere una determinazione superiore: si dà atto a tali esseri di una sorta di volontà e capacità di scelta, e si trova del tutto legittimo un termine tecnico come affinità elettive.”

            “Descrivetemi un caso del genere!” disse Carlotta.

            “Le parole non basterebbero,” rispose il capitano. “L'abbiamo già detto: appena potrò mostrarle gli esperimenti, tutto sarà più evidente e più piacevole. Adesso dovrei trattenerla con terribili vocaboli tecnici, che poi non darebbero alcuna idea del fenomeno. Bisogna vedere in azione davanti ai propri occhi queste sostanze all'apparenza inerti, e tuttavia intimamente sempre disposte, ed osservare con partecipazione il loro cercarsi, attirarsi, assorbirsi, distruggersi, divorarsi, consumarsi, e poi il loro riemergere dalla più intima congiunzione in forma mutata, nuova, inattesa: allora sì che si deve attribuire loro un vivere eterno, anzi, addirittura intelletto e ragione, dal momento che i nostri sensi appaiono appena sufficienti ad osservarli e la nostra ragione a stento capace di intenderli.”

            “Non nego,” disse Eduardo, “che gli strani vocaboli tecnici risultino molesti, e persino grotteschi, a chi non se li renda familiari mediante l'osservazione diretta e la teoria. Però, potremmo intanto schematizzare facilmente, a mezzo di lettere dell'alfabeto, il rapporto di cui stiamo parlando.”

            “Se credete che non risulti pedantesco,” rispose il capitano, “vedrò di ricapitolare servendomi del linguaggio dei simboli. Immaginate A intimamente legato a B, da non potersi separare con ogni sorta di mezzi, e neanche a forza; immaginate C analogamente unito a D; mettete ora in contatto le due coppie; A si getterà su D, C su B, senza che si possa dire chi per primo ha lasciato l'altro, chi per primo si è congiunto al nuovo compagno.”

            “E dunque!” esclamò Eduardo. “Sin tanto che non avremo visto tutto ciò coi nostri occhi, prendiamo questo schema in senso metaforico, e ricaviamone una teoria d'uso immediato. Tu, Carlotta, sei A, e io il tuo B, giacché veramente dipendo solo da te, e ti seguo come B segue A. e sarà evidentemente il capitano, che per il momento in qualche maniera mi distoglie da te. Ora è giusto, se non vuoi dileguarti per l'infinito, che si provveda per te un D, e questo sarà senza dubbio quella cara signorinetta Ottilia, al cui invito non puoi più opporti, ormai.”

            “Va bene,” rispose Carlotta. “Sebbene l'esempio non mi paia corrispondere del tutto al nostro caso, ritengo una fortuna che oggi ci si trovi una buona volta pienamente d'accordo, e che queste affinità naturali ed elettive stimolino tra noi un fiducioso scambio d'opinioni. Voglio dunque dirvi che sono decisa, sin da oggi, ad invitare Ottilia, giacché la mia fedele governante e amministratrice si sposa e se ne andrà. Ciò per quanto riguarda me e le mie necessità; per quanto riguarda Ottilia, i motivi ce li puoi leggere tu. Non ti guarderò nel foglio, certo il contenuto lo conosco già. Ma leggi, leggi!” E con queste parole tirò fuori una lettera e la porse a Eduardo.

 

V    (Torna all'indice)

 

 

            Lettera della direttrice

            Sua Grazia perdonerà se oggi sarò brevissima: terminato l'esame pubblico su ciò che abbiamo insegnato l'anno scorso alle nostre alunne, devo comunicarne i risultati a tutti i genitori e superiori. Ma mi si può consentire tale brevità, perché con poche parole sono in condizione di dire molto. La sua signorina figlia è risultata la prima sotto ogni aspetto. Gli attestati qui acclusi e la lettera di lei, che contiene la descrizione dei premi assegnatile e insieme esprime la soddisfazione provata per un successo tanto rimarchevole, serviranno a rassicurarla, anzi la colmeranno di gioia. Per ciò che mi riguarda, questa gioia è alquanto ridotta dalla prospettiva che tra poco non ci sarà più motivo che resti da noi una fanciulla così ben preparata. Le porgo i miei ossequi, e mi prenderò la libertà di esporle in un prossimo scritto le mie vedute su ciò che ritengo più vantaggioso per la signorina. A proposito di Ottilia, le scrive il mio ottimo assistente.

 

            Lettera dell'assistente

            Circa Ottilia, è la nostra egregia direttrice a pregarmi di scriverle, sia perché le riuscirebbe penoso, con la sua mentalità, dire ciò che c'è da dire, sia perché lei stessa ha la necessità di una giustificazione e preferisce esprimerla per il mio tramite .

            So anche troppo bene che la buona Ottilia non è capace di esternare ciò che ha dentro e ciò che vale: prima dell'esame avevo dunque un certo timore, oltre a tutto perché in tale occasione non è consentita una preparazione particolare, e per il fatto che Ottilia, si fosse pur seguita la procedura consueta, non è tipo da addestrare a mettersi in vista. L'esito ha purtroppo dato ragione alla mia apprensione: non ha vinto nessun premio, e anzi è tra quelle che non hanno ottenuto l'attestato di promozione. Che posso dire? In calligrafia, altre non avevano lettere così ben tracciate, però tratti molto più agili; in aritmetica, erano tutte più svelte al calcolo e di esercizi difficili non ce ne furono, quelli che lei sa risolvere meglio. In francese, la superavano parecchie, quanto al conversare e all'esporre, in storia, non aveva alla mano nomi e date; in geografia, le mancò precisione circa le ripartizioni politiche; per l'esecuzione musicale delle melodie che aveva pronte, poche e modeste, non ci fu né il tempo né la calma necessaria. In disegno avrebbe certamente riportato il premio: i contorni erano nitidi e la realizzazione, seppur meticolosa, assai geniale. Disgraziatamente aveva intrapreso qualcosa di troppo impegnativo e non riuscì a portarlo a termine.

            Uscite le alunne, quando gli esaminatori si raccolsero in consiglio e consentirono a noi insegnanti qualche intervento, mi avvidi subito che di Ottilia non si faceva parola, o semmai si buttava là qualcosa, con indifferenza piuttosto che con biasimo. Speravo descrivendo il suo comportamento di acquistarle favore, e mi ci impegnai con duplice zelo, anzitutto perché potevo esprimere le mie convinzioni, e poi perché mi ero trovato da ragazzo nella stessa spiacevole situazione. Mi ascoltarono attentamente. Ma quand'ebbi finito, il presidente della commissione mi disse, laconico seppur cordiale: “Le doti vengono presupposte, esse debbono trasformarsi in capacità. È questo lo scopo di ogni educazione, questa è l'intenzione, chiara ed evidente, dei genitori e dei superiori, e quella, inespressa e quasi inconsapevole, degli allievi. Questo è anche lo scopo dell'esame, nel quale vengono insieme giudicati alunni e insegnanti. Da ciò che lei mi dice deriviamo ragione di ben sperare per la figliola, e lei è d'altronde degno di lode per avere rilevato con precisione le doti delle alunne. Se nel corso dell'anno riuscirà a convertirle in capacità, non mancherà l'approvazione né a lei né alla sua scolara favorita.”

            A ciò che sarebbe seguito mi ero già rassegnato, ma non avevo previsto un male ancora peggiore, che presto si manifestò. La nostra buona direttrice, che, come un buon pastore, non vuol perdere nessuna delle sue pecorelle, e neanche, come sarebbe qui il caso, vederla trascurata, dopo che gli esaminatori se ne furono andati, non seppe nascondere il suo malumore e disse ad Ottilia, che se ne stava tutta quieta alla finestra, mentre le altre gioivano per i premi: “Ma mi dica un po', santo Iddio! Come si può fare una simile figura da sciocca, quando non lo si è?” E Ottilia rispose, tranquilla: “Mi perdoni, madre, proprio oggi ho di nuovo il mio mal di capo, e piuttosto forte.” “Ma chi può saperlo!” ribatté la direttrice, di solito tanto comprensiva, e si voltò indispettita.

            È vero, nessuno poteva immaginarselo. Ottilia non cambia d'aspetto, e io non ho neanche mai visto che abbia portato la mano alla tempia.

            Ma non era ancora finita. Sua figlia, signora, già sempre tanto vivace e schietta, assaporando il trionfo, era scatenata e petulante. Saltava per le stanze coi suoi premi e attestati, e andò a sciorinarli in faccia anche a Ottilia. “A te oggi è andata male!” esclamò. E Ottilia rispose, calma: “Non è mica ancora l'ultimo esame.” “Ma tu sarai sempre l'ultima!” le fece la sua signorina, e corse via.

            Ottilia sembrava tranquilla a tutti, ma non a me. Un moto interno molesto, vivo, al quale lei contrasta, si rivela nel colorito ineguale del volto. La guancia sinistra si fa rossa all'improvviso, mentre la destra impallidisce. Mi avvidi di questo sintomo e non potei restare indifferente. Presi da parte la nostra direttrice e discussi seriamente la cosa. Quella donna eccellente riconobbe il suo errore. Ci consultammo a lungo, e vorrei esporre a lei, senza altrimenti dilungarmi, la nostra conclusione e la nostra preghiera: voglia riprendere Ottilia per qualche tempo. Le ragioni potrà meglio spiegargliele lei stessa. Se decidera in questo senso, le farò sapere di più su come trattare la buona figliola. Se poi ci lascerà, com'è prevedibile, la signorina sua figlia, vedremo con gioia ritornare Ottilia.

            Ancora una cosa, che forse in seguito potrei dimenticare: non ho mai visto che Ottilia pretendesse qualcosa o la richiedesse con insistenza. Viceversa, in taluni casi, seppur di rado, cerca di evitare ciò che si vuole da lei. E questo lo fa con un gesto, che è irresistibile per chi ne ha inteso il senso. Leva le mani congiunte e se le riporta al petto, e intanto si china un po' in avanti e rivolge a chi le ha fatto con premura la richiesta, uno sguardo tale che costui lascia cadere ogni pretesa o desiderio. Se mai dovesse vedere questo gesto, signora, cosa d'altronde improbabile dato il modo in cui la tratterà, si ricordi di me e risparmi Ottilia.

 

            Eduardo aveva letto non senza sorridere e scuotere il capo. E non mancarono osservazioni sulle persone e sulla faccenda in generale.

            “Basta!” esclamò alla fine. “È deciso, viene! Per te ci sarà compagnia, cara, e noi due potremo tirar fuori il nostro progetto. È indispensabile, adesso, che io mi trasferisca con il capitano, nell'ala destra. Di sera e di mattina presto, è il tempo migliore per lavorare insieme. Tu tieni invece per te e per la tua Ottilia, l'alloggio più bello.”

            Carlotta si disse d'accordo e Eduardo descrisse come sarebbero vissuti d'ora in poi. Tra l'altro osservò: “È davvero gentile da parte della nipote, avere un po' di mal di capo dal lato sinistro. Qualche volta io ce l'ho dal destro. Se ci si incontra e sediamo l'uno di fronte all'altra, io appoggiato sul gomito destro e lei sul sinistro, e le teste reclinate sulla mano dalle parti opposte, formeremo una coppia di strane figure simmetriche.”

            Al capitano la cosa appariva pericolosa, ma Eduardo esclamò: “Badi soltanto, caro amico, a quardarsi da D. Che dovrebbe fare B, se C gli venisse sottratto?”

            “Mi pare,” fece Carlotta, “che sia intuitivo.”

            “Certo,” concluse Eduardo. “Tornerebbe al suo A, al suo alfa e omega!” E levandosi, abbracciò forte Carlotta.

 

VI    (Torna all'indice)

 

 

            Era arrivata la carrozza che portava Ottilia. Carlotta le andò incontro. La cara figliola si fece avanti di premura, le si gettò ai piedi, e le strinse le ginocchia.

            “Perché tanta umiltà?” disse Carlotta, un po' imbarazzata, e voleva sollevarla. “Non è umiltà,” rispose Ottilia, rimanendo in quella posizione. “Ho un ricordo così dolce di quando le arrivavo appena alle ginocchia, e già ero sicura del suo amore.”

            Si alzò, e Carlotta l'abbracciò affettuosamente. Fu presentata agli uomini e la trattarono subito con particolare riguardo, da ospite. La bellezza è dappertutto l'ospite più gradita. Alla conversazione apparve attenta, ma senza prendervi parte alcuna.

            Il giorno dopo, Eduardo osservò a Carlotta: “È una ragazza piacevole, interessante.”

            “Interessante?” ribatté Carlotta, con un sorriso. “Ma se non ha ancora aperto bocca.”

            “Davvero?” fece Eduardo, e pareva sforzarsi di ricordare. “Strano!”

            Carlotta diede alla nuova venuta solo poche indicazioni circa l'andamento della casa. Ottilia aveva subito visto, anzi, cosa più importante, intuito, com'era l'organizzazione. Facilmente comprese ciò che doveva provvedere per la comunità e per ciascuno in particolare. Tutto andava a puntino. Sapeva dare le necessarie disposizioni senza aver l'aria di comandare, e se qualcuno si prendeva tempo, sbrigava subito la faccenda lei stessa.

            Appena poté calcolare quanto tempo le restava libero, pregò Carlotta che le lasciasse distribuire le proprie ore secondo un orario, che poi seguì scrupolosamente. Assolveva i suoi compiti in quella maniera che l'assistente aveva spiegato a Carlotta. La lasciarono fare. Solo di quando in quando, Carlotta cercava di stimolarla. Per esempio, a volte, le sostituiva le penne con altre smussate dall'uso per abituarla ad una calligrafia più agile; ma presto, anche queste erano ritemperate.

            Le donne avevano stabilito di parlare in francese, quando erano sole, e Carlotta tanto più vi insisteva, in quanto Ottilia era più loquace nella lingua straniera, considerandone l'esercizio come un dovere. In queste occasioni, spesso diceva più di ciò che sembrava voler dire. Carlotta si divertì specialmente a sentir descrivere, così per caso, con precisione ma senza malizia, tutto quanto il collegio. Ottilia divenne per lei una cara compagnia e sperava di trovare un giorno in lei un'amica fidata.

            Intanto riprese le carte di qualche tempo prima, che si riferivano a Ottilia, per farsi tornare alla mente i giudizi che la direttrice e l'assistente avevano dato della figliola, e confrontarli con la sua autentica personalità. Carlotta era infatti convinta che non si conosce mai troppo presto il carattere di coloro coi quali dobbiamo vivere, per sapere ciò che possiamo aspettarci, ciò che possono dare venendo educati, oppure ciò che si deve loro senz'altro concedere e perdonare.

            Ripassando quelle carte, non è che trovasse qualcosa di nuovo, ma certi particolari già noti le apparvero più significativi e singolari. La sobrietà di Ottilia in fatto di mangiare e bere, per esempio, era tale da preoccuparla proprio.

            L'altra faccenda che successivamente le impegnò, fu il vestire. Carlotta desiderava che l'abbigliamento di Ottilia si facesse più ricco e ricercato. Subito la ragazza, brava e laboriosa, si tagliò da sé le stoffe che già prima le avevano regalato, e con poco aiuto altrui, seppe acconciarsi con estrema grazia. I nuovi abiti alla moda valorizzavano la sua figura: giacché, se il fascino di una persona si estende anche a ciò che la riveste, sembra di vederla un'altra volta, e ancora più piacevole, quando comunica a un nuovo involucro le proprie qualità.

            In tal modo divenne per gli uomini, sin da principio e poi sempre più, una vera gioia degli occhi, a dirlo con la parola giusta. Infatti, se lo smeraldo col suo splendido colore fa bene alla vista, e addirittura esercita un certo influsso risanatore su questo nobile senso, la bellezza umana agisce con assai più vigoria sul senso esterno e su quello interiore. Chi la contempla, non può essere toccato da alcun male: si sente in armonia con se stesso e col mondo.

            Sotto diversi aspetti, dunque, alla compagnia l'arrivo di Ottilia aveva giovato. I due amici erano più puntuali all'ora, anzi al minuto, degli appuntamenti. Non si facevano aspettare più del lecito al pranzo, al tè, alla passeggiata. E non si affrettavano, specialmente la sera, ad alzarsi da tavola. Carlotta se ne avvide agevolmente e non trascurò di tenerli sotto osservazione entrambi. Voleva sapere chi dei due inducesse l'altro a tale comportamento, ma non poté scoprire alcuna differenza. Ambedue si mostravano assai più socievoli. Durante la conversazione sembravano cercare ciò che fosse più adatto a stimolare l'interesse di Ottilia, ciò che corrispondesse alle sue idee e alle sue conoscenze. Quando si leggeva o si ascoltava qualche racconto, si interrompevano sinché lei non rientrava. Erano divenuti più affabili e, nell'insieme, più espansivi.

            Per contraccambio, invece, cresceva di giorno in giorno lo zelo di Ottilia. Più conosceva la casa, le persone, l'ambiente, tanto più interveniva con prontezza, comprendendo subito uno sguardo, un gesto, una mezza parola, un suono. La sua attenzione calma era sempre uguale, come il suo agire tranquillo. E così, quando sedeva, si levava, andava o veniva, prendeva o portava, sedeva di nuovo, non c'era in lei traccia d'inquietudine, ma un mutare perenne, un continuo movimento armonioso. E anche non la si sentiva, tanto lieve camminava.

            Questa premura discreta faceva molto piacere a Carlotta. L'unica cosa che non le pareva del tutto conveniente, non la nascose a Ottilia. “Tra le attenzioni più lodevoli,” le disse un giorno, “c'è chinarsi subito quando a uno sfugge di mano qualcosa, e cercare di tirarla su alla svelta. In questo modo dimostriamo a quella persona la nostra deferenza. Ma in società bisogna badare a chi si rende tale omaggio. Nei confronti delle signore, non saprei darti alcun consiglio. Sei giovane. Alle più autorevoli e anziane, lo devi per diritto, alle tue pari, per cortesia; se sono più giovani e di rango modesto, serve a far vedere che sei buona e umana. Ma a una ragazza non s'addice, apparire tanto sollecita e servizievole verso gli uomini.”

            “Cercherò di perdere quest'uso,” replicò Ottilia. “E intanto lei vorrà perdonarmi tale scorrettezza, se le dirò come mi viene. Ci hanno insegnato la storia, e io non ne ho ritenuto quanto avrei dovuto, giacché non sapevo a che mi sarebbe servita. Soltanto certi episodi mi sono rimasti impressi. Per esempio, quando Carlo I d'Inghilterra si trovava di fronte ai suoi cosiddetti giudici, gli cadde il pomo d'oro del bastone che portava. Abituato a vedere tutti, in simili circostanze, adoperarsi per lui, sembrò guardarsi attorno e aspettare che anche stavolta qualcuno gli rendesse il piccolo servigio. Ma nessuno si mosse; si chinò lui stesso a raccogliere il pomo. La vicenda mi colpì tanto dolorosamente, non so se a ragione, che da quell'istante non posso vedere a qualcuno cadere una cosa di mano, senza chinarmi a raccattarla. Ma siccome non sempre, certo, può essere decoroso, e io non posso,” continuò sorridendo, “tutte le volte raccontare la mia storiella, in futuro cercherò di controllarmi.”

            Nel frattempo, le buone iniziative alle quali i due amici si sentivano chiamati, andavano avanti senza interruzione. Ogni giorno, anzi, essi trovavano occasione di progettare e d'intraprendere qualcosa.

            Una volta che passavano insieme per il villaggio, notarono con rincrescimento quanto fosse inferiore, in fatto d'ordine e di pulizia, a quegli abitati dove l'uno e l'altra sono suggeriti alla popolazione dalla scarsità di aree utilizzabili.

            “Ti ricordi,” disse il capitano, “che, durante il nostro viaggio in Svizzera, ci era venuto il desiderio di abbellire opportunamente uno di quelli che si chiamano parchi rustici, costruendovi un villaggio situato come questo, non secondo l'architettura svizzera, ma sulla base dell'ordine e della nettezza degli svizzeri, tanto utili al buon governo dell'ambiente.”

            “Qui, per esempio,” rispose Eduardo, “andrebbe benissimo. Il monte del castello forma in basso una balza sporgente, il villaggio si estende dirimpetto, con una certa regolarità, lungo un semicerchio; in mezzo scorre il torrente, e dalle sue piene, uno si protegge con macigni, un altro con palizzate, un altro ancora con travi, e il vicino poi con assi, ma nessuno aiuta gli altri, semmai reca agli altri e a se medesimo svantaggio e danno. E la strada, similmente, segue un percorso irregolare, ora su, ora giù, ora attraversando l'acqua, ora sopra i sassi. Se la gente volesse impegnarsi, non sarebbe necessario spendere molto, per costruire un muro a semicerchio, alzare il livello della strada retrostante all'altezza delle case, e così ottenere il più piacevole spazio, consentire pulizia, e con una sistemazione generale eliminare per sempre i provvedimenti limitati e insufficienti.”

            “Facciamo il tentativo!” disse il capitano, percorrendo con lo sguardo i luoghi e valutando prontamente le possibilità.

            “Non voglio avere a che fare con borghesi e contadini, a meno di non poterli davvero comandare,” fece Eduardo.

            “Non hai tutti i torti,” convenne il capitano. “Anch'io mi sono spesso arrabbiato in faccende del genere. Com'è difficile commisurare esattamente ciò che si deve sacrificare e ciò che si può ottenere, com'è difficile tendere al fine e non trascurare i mezzi! Molti confondono addirittura fine e mezzi, si deliziano di questi senza badare più a questo. Si cura il male dove si manifesta, ma non ci si preoccupa di vedere da dove in realtà abbia avuto origine, da dove si sia sviluppato. Per questa ragione è tanto arduo deliberare insieme, specie con la massa, che dimostra un buon senso per gli affari di giornata, ma non sa spingere lo sguardo sino al domani. Se si aggiunge che nelle iniziative comuni uno ci guadagna, l'altro ci rimette, si vede che per via d'accordi non si combina niente. Ogni interesse collettivo dev'essere curato dalla sovranità illimitata.”

            Mentre stavano a parlare, chiese loro l'elemosina un uomo dall'apparenza più sfacciata che di bisognoso. Eduardo, irritato per l'interruzione molesta, lo sgridò, dopo che già una volta o due con più garbo gli aveva fatto cenno d'allontanarsi. Ma quando costui, spostatosi pochi passi e sempre brontolando, e anzi imprecando, tirò fuori il buon diritto del povero, al quale puoi rifiutare la carità ma che non devi offendere perché anche lui sta sotto la mano di Dio e dell'autorità, allora Eduardo perse completamente la pazienza.

            Il capitano, per calmarlo, gli disse: “Prendiamo l'incidente come uno stimolo ad estendere anche a questo altro campo il nostro progettato riordinamento! L'elemosina bisogna ben farla, ma meglio se non di persona, specialmente in casa propria. Si dovrebbe essere moderati ed equi in tutto, anche nella beneficenza. Se si dà troppo, si attirano i mendicanti, anziché allontanarli, mentre quando si viaggia, passando, uno può apparire al mendicante, per strada, in veste della fortuna cieca, e buttargli un obolo stupefacente. Quanto a noi, la posizione del villaggio e del castello facilita singolarmente ciò che vogliamo istituire. Ci ho già riflettuto anche prima. Ad un capo del villaggio si trova la locanda, al capo opposto la casa di due buoni vecchietti. In entrambi i luoghi, tu devi depositare una piccola somma. Non chi entra nel villaggio ne riceve una parte, ma chi esce: e siccome tutte e due le case si trovano sulla strada che porta al castello, così chi volesse salirvi, sarebbe invece indirizzato ad esse.”

            “Vieni,” lo esortò Eduardo, “sistemiamo subito la faccenda. Ai particolari potremo provvedere in seguito.”

            Andarono dall'oste e dai due vecchi, e furono presi gli accordi.

            “So bene,” disse Eduardo, intanto che si avviavano nuovamente al castello, “che tutto dipende da un'idea intelligente e da decisioni sicure. Tu hai dato un giudizio esatto circa i lavori eseguiti nel parco da mia moglie, e a me hai già anche abbozzato certe indicazioni per migliorarli, ciò che, a mia volta, devo dirtelo, le ho riferito.”

            “Potevo immaginarmelo,” fece il capitano, “ma non sono d'accordo. Così l'hai messa in confusione. Ha piantato tutto, e su questo punto preciso ce l'ha con noi: infatti, evita di parlarne e non ci ha più invitati alla capanna di muschio, sebbene vi salga con Ottilia nelle ore di libertà.”

            “Non per questo dobbiamo desistere,” rispose Eduardo. “Quando sono convinto di qualcosa di buono, che si può e si deve fare, non mi sento tranquillo sinché non lo vedo realizzato. Siamo pur capaci di presentare un argomento! Una sera, alla riunione consueta, tiriamo fuori i libri con le descrizioni dei parchi inglesi e le figure, poi la carta della tenuta che hai disegnato tu. Inizialmente dobbiamo parlare in via molto astratta, e come celiando; in seguito, la cosa volgerà spontaneamente al serio.”

            Presi tali accordi, i volumi furono esibiti: vi si vedeva la mappa di un determinato territorio, coi dettagli del paesaggio, schizzati nel loro stato naturale, greggio; su altri fogli, invece, erano rappresentate le modifiche introdotte dall'intervento umano per sfruttarlo appieno e valorizzarlo. Da qui non fu difficile passare a parlare della proprietà di Eduardo e dei dintorni, e di ciò che vi poteva realizzare.

            Divenne così una gradita occupazione discutere tenendo per base la carta abbozzata dal capitano: solo che non si poteva del tutto prescindere dalla prima impostazione che Carlotta aveva dato ai lavori. Si trovò comunque un percorso più agevole sino alla sommità della collina; in alto, sul pendio, davanti a un bel boschetto, pensarono di costruire un padiglione in corrispondenza col castello: si doveva vederlo dalle finestre, mentre da lassù si sarebbero dominati, all'opposto, castello e giardini.

            Il capitano, considerati tutti i problemi e prese le misure, volle tornare anche al progetto della strada da sistemarsi nel villaggio, col muro e il terrapieno. “Portando questo comodo sentiero su verso la cima,” spiegò, “posso procurarmi proprio le pietre che mi servono per il muro. Appena questo lavoro si affiancherà al primo, entrambi procederanno più rapidamente e con spesa minore.”

            “Questo è il punto che mi preoccupa,” disse Carlotta. “È indispensabile stanziare una cifra determinata: quando si conosca la somma necessaria per i lavori, la si può distribuire in quote settimanali, o almeno mensili. Sono io che ho la cassa, saldo le fatture, e tengo l'amministrazione.”

            “Pare che tu non abbia una grande fiducia in noi,” fece Eduardo.

            “Non troppo, nelle cose che si fanno a capriccio,” ribatté Carlotta. “I capricci, noi sappiamo governarli meglio di voi.”

            Fatto il piano, ci si mise subito all'opera. Il capitano era sempre presente, e Carlotta, testimone ormai quasi quotidiana del suo impegno serio e deciso. Anche lui la conobbe più da vicino, e per entrambi divenne naturale lavorare e realizzare insieme.

            Nelle occupazioni, è come nel ballo: le persone che tengono lo stesso ritmo, diventano necessariamente indispensabili l'una all'altra, ne deve nascere un affetto reciproco. E che Carlotta, dopo che ebbe conosciuto meglio il capitano, realmente gli portasse affetto, fu provato con certezza, quando permise, senza contrasti e senza essere per nulla contrariata, che eliminasse un bel posticino che lei aveva previsto e sistemato per le soste lungo la passeggiata, ma che ormai non si conciliava col nuovo progetto.

 

VII    (Torna all'indice)

 

 

            Avendo trovato Carlotta da occuparsi insieme al capitano, ne venne che Eduardo s'avvicinò maggiormente a Ottilia. Del resto, il suo cuore nutriva già da un po' una silenziosa e cara simpatia per la fanciulla. Era servizievole e garbata con tutti: che lo fosse di più verso Eduardo, l'amor proprio di costui voleva crederlo. Ormai non c'era bisogno di chiedere: in fatto di cibi s'era imparati i suoi gusti, sapeva quanto zucchero metteva nel tè, e tanti altri particolari del genere. Era sempre attenta a risparmiargli le correnti d'aria, che lui temeva in modo esagerato, così da contrastare talvolta con la moglie, alla quale invece la ventilazione sembrava non bastasse mai. E anche in giardino, e tra gli alberi del vivaio, si mostrava esperta. Cercava sempre di mandare avanti ciò che lui desiderava, di evitare ciò che gli riusciva spiacevole, di maniera che in breve gli divenne indispensabile, come una sorta di genietto tutelare, ed egli cominciò a trovarne penosa l'assenza. Sembrava anche più loquace e più aperta, quando capitava che fossero soli.

            Eduardo aveva conservato, pur avanzando negli anni, qualcosa di fanciullesco, che s'incontrava molto bene con la giovinezza d'Ottilia. Lei amava riandare, nel ricordo, a quando, molto prima, s'erano visti, e risaliva ai primi tempi dell'amore tra Eduardo e Carlotta. Pretendeva di rammentare entrambi come la coppia più bella a corte; e quando Eduardo negava che fossero possibili simili memorie della più remota infanzia, sosteneva di avere chiaro alla mente soprattutto un episodio, di quando s'era rifugiata in grembo a Carlotta, all'entrare di lui nella stanza, non per timore, ma per stupore infantile. Avrebbe potuto aggiungere: perché le aveva fatto un'impressione così forte, perché le era piaciuto tanto.

            In tali circostanze, alcuni lavori che i due amici avevano intrapreso insieme, s'erano come bloccati, ed essi ritennero necessario riesaminare la situazione, formulare qualche progetto, scrivere delle lettere. Si videro nell'ufficio, e trovarono ozioso il vecchio scrivano. Messisi all'opera, furono presto in grado di dar da fare anche a lui, senza avvedersi, però, che lo caricavano anche di mansioni che prima erano soliti sbrigare loro. Subito al primo progetto, ecco che il capitano si bloccò; la prima lettera, Eduardo non riusciva a scriverla. Si tormentarono lungamente a fantasticare e a scarabocchiare, sinché Eduardo, che non combinava nulla, chiese che ora fosse.

            Allora si constatò che il capitano s'era dimenticato, per la prima volta in molti anni, di caricare il suo cronometro. E parvero intuire, se non intendere, che il tempo cominciava a diventar loro indifferente.

            Mentre gli uomini rallentavano un po', tanto più si faceva intensa l'attività delle donne. Il ritmo consueto della vita di una famiglia, quale risulta sempre dalle stesse persone e dalle medesime circostanze, può accogliere, infatti, come un recipiente, anche una simpatia nuova, una passione che nasca, e può passare un certo tempo, prima che il nuovo ingrediente provochi una fermentazione rilevabile e trabocchi schiumeggiante oltre l'orlo.

            Nei nostri amici, le sorgenti simpatie reciproche venivano operando gli effetti più gradevoli. Gli animi s'aprivano, e dalla tenerezza dei singoli ne derivava una comune. Ciascun membro della comunità si sentiva felice, e godeva della felicità altrui.