Paesaggio e morte

Gli occhi dietro i grossi occhialoni neri bordati. di gomma erano freddi come pietra.

Nell'ululante BSA M20 scatenata a centoventi all'ora, erano gli unici elementi statici in quella massa di carne e acciaio lanciata in avanti. Protetti dal vetro degli occhiali guardavano fisso avanti poco sopra il centro del manubrio, e le pupille erano scure, prive di esitazioni come la bocca di un'arma da fuoco. Al di sotto degli occhialoni, il vento investiva il viso penetrando tra le labbra e tendendole in un largo sogghigno che mostrava dei grossi denti quadrati e orli di gengive biancastre. Agli angoli del sogghigno le guance erano gonfiate dal vento e vibravano leggermente. Alla destra e alla sinistra di quel viso che tagliava l'aria, sotto il casco di protezione, i guantoni neri, incisi al polso, stretti attorno alle manopole, parevano gli artigli sfoderati di una belva.

L'uomo indossava l'uniforme dei corrieri motociclisti del Corpo Reale Informazioni, e la sua motocicletta, verniciata in verde oliva, era, a parte alcune modifiche alle valvole e al carburatore oltre all'eliminazione di alcuni diaframmi silenziatori per darle una maggiore velocità, identica a quelle dell'Esercito Britannico. Nulla nell'uomo o nel suo equipaggiamento faceva sospettare che non fosse ciò che sembrava, eccettuata una Luger carica assicurata a un gancio sopra il serbatoio di benzina.

Erano le sette di una mattina di maggio e il rettilineo deserto che attraversava la foresta scintillava di una leggera luminosa bruma primaverile. Su entrambi i lati della strada il sottobosco tappezzato di. muschio e di fiori tra le grandi querce aveva l'incanto teatrale delle foreste reali di Versailles e di St.-Germain. La strada era la D98, una secondaria che serviva al traffico locale nell'area di St.-Germain, e il motociclista era appena passato sotto l'autostrada Parigi-Nantes già rumoreggiante del normale traffico verso Parigi. L'uomo si dirigeva a nord verso St.-Germain e non c'era nessun altro in vista nelle due direzioni, tranne, un chilometro circa più avanti, una figura quasi identica, un altro corriere motociclista del Corpo Reale. Si trattava di un uomo più giovane, più magro, che sedeva diritto e tranquillo sulla sua moto, e si godeva la mattinata, tenendo la velocità sui settanta. Era in perfetto orario e la giornata era splendida. Stava decidendo se prendere uova al burro o invece strapazzate quando fosse tornato al Quartier Generale verso le otto.

Cinquecento metri, quattrocento, tre, due, cento metri. L'uomo che si avvicinava alle sue spalle rallentò a ottantacinque. Sollevò il guantone destro per stringerlo tra i denti e se lo sfilò. Poi lo cacciò tra i bottoni della giacca e abbassò la mano per afferrare la rivoltella.

Ormai doveva essere ben visibile nello specchietto retrovisore del giovanotto più avanti, poiché d'improvviso il giovane volse il capo, sorpreso di incontrare un altro corriere di servizio a quell'ora del mattino. Aveva pensato che si trattasse di un elemento della polizia militare americana o magari francese. Poteva appartenere a una qualsiasi delle otto nazioni della NATO che fornivano personale a SHAPE, ma quando riconobbe l'uniforme del Corpo ne fu sorpreso e felice. Chi diavolo poteva essere?

Sollevò allegramente il pollice in cenno di saluto e rallentò a cinquanta, aspettando che l'altro gli si affiancasse. Tenendo contemporaneamente d'occhio la strada davanti a sé e la figura che si avvicinava nello specchietto retrovisore, passò in rassegna i nomi dei corrieri inglesi del Servizio Speciale di Trasporto al Comando del Quartier Generale.

Albert, Sid, Wally… poteva essere Wally, la stessa corporatura massiccia. Magnifico.

Avrebbe potuto prenderlo un po' in giro a proposito di quella francesina della mensa, Louise, Elise, Lise, come diavolo si chiamava.

L'uomo con la rivoltella aveva rallentato. Ora si trovava a cinquanta metri. Il suo volto, non distorto dal vento, aveva lineamenti grossolani, duri, forse slavi. Una scintilla rossa ardeva dietro quegli occhi neri da bocca da fuoco puntata. Quaranta metri, trenta.

Una gazza solitaria uscì a volo dalla foresta davanti al giovane motociclista, attraversò goffamente la strada infilandosi poi nei cespugli dietro un cartellone della Michelin che annunciava un chilometro a St.-Germain. Il giovanotto sorrise alzando ironicamente un dito in saluto e scongiuro: una gazza porta male.

Venti metri dietro di lui l'uomo con la rivoltella staccò entrambe le mani dai comandi, sollevò la Luger, l'appoggiò accuratamente sull'avambraccio sinistro e fece fuoco una volta.

Le mani del giovane abbandonarono di scatto le manopole portandosi al centro della spina dorsale inarcata all'indietro. La moto sterzò bruscamente attraversando la strada, volò oltre un breve fossato finendo in una chiazza d'erba e mughetti. Là si sollevò stridendo sulla ruota posteriore e lentamente ricadde rovesciandosi sul motociclista morto. La BSA scoppiettò sobbalzando, lacerando gli abiti del giovane e falciando i fiori, poi rimase immobile.

L'assassino fece una brusca curva a U e si fermò con la moto rivolta nella direzione da cui proveniva. Abbassò il supporto, sollevò il veicolo appoggiandovelo e discese tra i fiori selvatici sotto gli alberi. Si inginocchiò accanto al morto e bruscamente ne sollevò una palpebra. Altrettanto rudemente strappò al cadavere la borsa di cuoio nero dei messaggi, aprì i bottoni della giacca togliendone un logoro portafogli in pelle. Poi strappò via il comune orologio dal polso sinistro con tanta violenza che il cinturino a molla in acciaio si strappò. Si rialzò infilando a tracolla la borsa dei messaggi. Mentre cacciava all'interno del giaccone portafogli e orologio rimase in ascolto. Si sentivano solo i rumori della foresta e il lento pulsare del metallo ardente della BSA sfondata.

L'assassino tornò sui suoi passi verso la strada. Camminava lentamente, cercando di nascondere le tracce degli pneumatici sul muschio e sul terreno morbido. In particolar modo si occupò dei profondi squarci nell'argine e al bordo dell'erba, poi si fermò a fianco della sua moto e si volse a guardare la macchia di mughetti. Mica male!

Probabilmente solo i cani poliziotto l'avrebbero ritrovato, e, con diciassette chilometri da perlustrare, ci sarebbero volute ore e ore, forse giorni, un tempo abbastanza lungo.

La cosa più importante in quelle faccende era avere un margine di tempo sufficiente.

Avrebbe potuto sparare all'uomo a quaranta metri di distanza, ma aveva preferito arrivare a venti. E prendere portafogli e orologio era stato un bel tocco… un tocco a suo favore.

Soddisfatto di sé, l'uomo sollevò la moto rialzandola dal supporto, balzò elegantemente sul sellino e abbassò con il piede l'avviamento. Lentamente, per non lasciare tracce di gomme, accelerò tornando nella direzione da cui era venuto e dopo un minuto circa era di nuovo sui centoventi e il vento aveva steso ancora sul suo viso quel vacuo sogghigno inespressivo.

Sulla scena dell'uccisione, la foresta, che aveva trattenuto il suo respiro mentre veniva commessa, lentamente riprese a vivere.

 

James Bond bevve il primo bicchiere della serata al Fouquet. Non era un bicchiere sostenuto. Impossibile bere sul serio nei cafés francesi. All'aperto, su un marciapiede, al sole, non è il posto adatto per vodka, whisky o gin. Un fine à l'eau è abbastanza consistente, ma dà alla testa senza avere un gusto particolarmente piacevole. Un quart de champagne o uno champagne à l'orange è perfetto prima di pranzo, ma la sera un quart vuole essere seguito da un altro e una bottiglia di uno champagne qualsiasi non è una buona base per la serata. Un Pernod è possibile, ma deve essere bevuto in compagnia, e Comunque a Bond non era mai piaciuta quella roba perché quel sapore di liquirizia gli ricordava la sua infanzia. No, nei cafés bisogna bere la meno offensiva di quelle bevande da commedia musicale, tipiche di quei locali, e Bond prendeva sempre la stessa cosa, un Americano: Bitter Campari, Cinzano, una larga fetta di scorza di limone e soda. Quanto alla soda, ricorreva sempre alla Perrier, dato che a suo parere una soda costosa era il sistema più economico per migliorare una bibita scadente.

Quando si trovava a Parigi, Bond si atteneva invariabilmente ai medesimi indirizzi.

Alloggiava al Terminus Nord, perché gli piacevano gli alberghi vicini alle stazioni e perché quello era il meno pretenzioso e il più anonimo. Faceva colazione al Café de la Paix, alla Rotonde o al Dóme, perché la cucina era discreta e si divertiva a osservare la gente. Se voleva bere qualcosa di sostenuto andava all'Harry's Bar sia perché là si poteva bere seriamente sia perché durante la sua prima ingenua visita a Parigi all'età di sedici anni, aveva fatto quanto la pubblicità dell'Harry's sul Continental Daily Mail gli aveva consigliato e aveva detto al tassista: «Senc Ru du No.» Così era cominciata una delle serate memorabili della sua vita, culminante nella perdita, quasi simultanea, della sua verginità e del portafogli. Per la cena Bond si recava in uno dei grandi ristoranti, Véfour, il Caneton, Lucas-Carton o il Cochon d'Or. Questi, a suo parere, qualsiasi cosa la guida Michelin potesse dire del Tour d'Argent, di Maxim e simili, evitavano disastri al conto spese e ai propri fondi. Ad ogni modo ne preferiva la cucina. Dopo cena generalmente andava in Place Pigalle per vedere cosa gli sarebbe successo. Quando, come al solito, non gli succedeva nulla, attraversava a piedi Parigi per tornare alla Gare du Nord e si ficcava a letto.

Quella sera Bond decise di fare a pezzi il suo polveroso taccuino di indirizzi e di divertirsi all'antica. Era di passaggio a Parigi dopo un incarico tristemente fallito sul confine austro-ungarico. Si era trattato di portar fuori un certo ungherese. Bond era stato appositamente inviato da Londra a dirigere l'operazione al di sopra della stazione V. La cosa aveva infastidito la Stazione Vienna. C'erano stati malintesi, volontari. L'uomo era rimasto ucciso nella zona minata lungo la frontiera. Ci sarebbe stata un'inchiesta giudiziaria. Bond doveva essere di ritorno al suo Quartier Generale londinese il giorno seguente per fare il suo rapporto, e questo pensiero lo deprimeva.

Quella giornata era stata splendida – una di quelle giornate in cui quasi ci si convince che Parigi sia meravigliosa e gaia – e Bond aveva deciso di accordare alla capitale un'ultima possibilità. In un modo o nell'altro si sarebbe trovato una ragazza che fosse una ragazza sul serio, e l'avrebbe invitata a cena in uno di quei locali fasulli del Bois come l'Armenonville. Per cancellare dai suoi occhi l'espressione cerca-quattrini – che sicuramente ci sarebbe stata – appena possibile le avrebbe dato cinquantamila franchi.

Le avrebbe detto: «Diciamo che ti chiami Donatienne, o possibilmente Solange, perché sono nomi che si adattano al mio umore e alla serata. Ci conosciamo da tempo e tu mi hai prestato questo denaro perché ero nei guai. Te lo restituisco e ora ci racconteremo quel che ci è capitato dall'ultima volta che ci siamo visti, a St.-Tropez, giusto un anno fa. Intanto qui c'è il menu e la lista dei vini e tu devi ordinare tutto quel che ti può rendere felice e ben pasciuta.» E lei sarebbe stata molto sollevata di non dover più affannarsi tanto, e sarebbe scoppiata a ridere dicendo: «Ma, James, non voglio essere ben pasciuta.» E così, tutto sistemato, avrebbero dato il via al mito di "Parigi in primavera" e Bond si sarebbe mantenuto sobrio, e si sarebbe interessato a lei e a tutto quello che lei avrebbe detto. E, perdiana, non sarebbe stata colpa sua se alla fine della serata si fosse verificato che non mancava il minimo particolare alla vecchia ritrita storiella dell'"avventura a Parigi".

Seduto al Fouquet, in attesa del suo Americano, Bond sorrise del proprio entusiasmo.

Sapeva che si trattava solo di un gioco di fantasia per la soddisfazione di tirare un ultimo calcio a una città che gli era stata cordialmente odiosa fin da quando era finita la guerra. Dal 1945 non aveva trascorso una sola giornata serena a Parigi. Non perché quella città avesse venduto il proprio corpo. Molte altre l'hanno fatto. Era il suo cuore che era scomparso: venduto ai turisti, venduto ai russi, ai rumeni e ai bulgari, venduto alla feccia di tutto il mondo che a poco a poco aveva invaso la città. E, naturalmente, venduto ai tedeschi. Lo si poteva leggere negli occhi dei suoi abitanti: imbronciati, invidiosi, umiliati. L'architettura? Bond lanciò un'occhiata alle nere file di auto lucenti oltre il marciapiede su cui il sole si rifletteva accecante. Dappertutto era come ai Champs-Elysées. Non c'erano che due ore in cui si poteva anche solo guardare quella città: tra le cinque e le sette del mattino. Dopo le sette diveniva preda di un flusso stridente di metallo nero contro il quale nessuna splendida costruzione, nessun boulevard spazioso fiancheggiato da alberi, poteva competere.

Il vassoio portato dal cameriere tintinnò sul piano di marmo del tavolino. Con l'abile gesto di una sola mano, che Bond non era mai riuscito a imitare, il cameriere tolse il tappo alla bottiglietta del Perrier. L'uomo fece scivolare lo scontrino sotto il secchiello del ghiaccio, mormorò un meccanico «Voilà, M'sieur» e saettò via. Bond mise del ghiaccio nel bicchiere, vi aggiunse della soda riempiendolo fino all'orlo e ne prese una lunga sorsata. Si appoggiò allo schienale e accese una Laurens jaune. Naturalmente la serata sarebbe stata un disastro. Anche ammesso di riuscire a trovare una ragazza entro la prossima ora, il contenuto di certo non sarebbe stato all'altezza dell'involucro. A un esame ravvicinato si sarebbe scoperto che la ragazza aveva la pelle spessa, malsana, con i pori dilatati delle donnine francesi. I capelli biondi sotto l'audace berrettino di velluto sarebbero stati castani alle radici e ispidi come corde di pianoforte. Il mentolo del suo fiato non avrebbe nascosto l'aglio del mezzogiorno. La figura seducente, chiusa in un'architettura complicata di stecche ed elastici. Probabilmente sarebbe stata di Lilla e gli avrebbe chiesto se era americano. E, Bond sorrise tra sé, lei o il suo maquereau probabilmente gli avrebbero soffiato il portafogli. La ronde! Si sarebbe ritrovato al punto di partenza. Più o meno, cioè. Be', all'inferno.

Una malconcia Peugeot 403 nera si staccò dal flusso centrale del traffico, attraversò la fila interna di auto fermandosi di lato in doppio parcheggio. Ci fu il solito stridio di freni, con colpi di clacson e urli. Impassibile, la ragazza scese dall'auto e, lasciando che il traffico se la sbrigasse per conto suo, si avviò lungo il marciapiede con aria decisa.

Bond si drizzò sulla sedia. Aveva tutto, ma proprio tutto quello che rientrava nelle sue fantasie. Era alta e, sebbene la figura fosse celata da un leggero impermeabile, il modo in cui si muoveva e il portamento promettevano un corpo splendido. Il viso aveva la gaiezza e l'arroganza che anche il suo modo di guidare rivelava, ma ora l'impazienza traspariva dalle labbra strette e dallo sguardo corrucciato mentre la ragazza si faceva strada diagonalmente tra la folla che camminava lungo il marciapiede.

Bond l'osservò attentamente mentre lei arrivava alla fila di tavolini e imboccava il passaggio. Naturalmente non c'era da sperare. Veniva lì per incontrare qualcuno, il suo uomo. Era il tipo di donna che regolarmente appartiene a qualcun altro. Doveva essere in ritardo. Ecco perché aveva tanta fretta. Che razza di fortuna… proprio tutto, perfino i capelli biondi sotto l'audace berrettino! E stava guardando proprio verso di lui. E sorrideva!

Prima che Bond potesse riaversi, la ragazza si era accostata al suo tavolino, aveva spostato una sedia e si era accomodata.

Sorrise, un po' rigida, al suo sguardo sbigottito. «Mi spiace di aver fatto tardi, e credo che dovremo andarcene subito. Vi vogliono in ufficio.» In un sussurro aggiunse: «Immersione rapida.»

Bond tornò bruscamente alla realtà. Chiunque fosse, quella ragazza era sicuramente della "Ditta". "Immersione rapida" era un'espressione di gergo che il Servizio Segreto aveva preso dal Corpo dei Sottomarini. Significava brutte notizie, le peggiori possibili.

Bond si frugò in tasca mise qualche moneta sul tavolo. Disse: «Va bene. Andiamo», e si alzò e seguì la ragazza attraverso i tavolini fino all'auto di lei che stava tuttora bloccando la corsia interna del traffico. Da un momento all'altro sarebbe arrivato un vigile. Facce adirate lanciarono loro occhiate di fuoco mentre salivano in macchina. La ragazza aveva lasciato il motore acceso. Inserì bruscamente la seconda e si infilò nel traffico.

Bond le lanciò un'occhiata. La pelle chiara era vellutata. I capelli biondi erano pura seta, fino alle radici. Chiese: «Da dove venite e cos'è tutta questa storia?»

Concentrandosi sul traffico, lei rispose: «Dalla Stazione. Assistente di secondo grado. Numero 765 in servizio. Mary Ann Russell fuori servizio. Non ho la minima idea di cosa sia successo. Ho solo visto il messaggio dal QG: personale da "M" al Capo della Stazione. Urgentissimo e così via. Bisognava trovarvi immediatamente e se necessario chiedere l'aiuto della Deuxième. Il Capo della "F" ha detto che quando siete a Parigi frequentate sempre gli stessi locali, e a me e a un'altra ragazza hanno dato l'elenco.»

Sorrise. «Avevo tentato solo all'Harry's Bar, e dopo il Fouquet avrei attaccato con i ristoranti. E stato magnifico trovarvi subito.» Gli lanciò una rapida occhiata. «Spero di non essere stata troppo aggressiva.»

Bond la rassicurò: «Siete stata magnifica. Ma come ve la sareste cavata se ci fosse stata una ragazza con me?»

Lei scoppiò a ridere. «Più o meno mi sarei comportata nello stesso modo, solo vi avrei chiamato "Signore ". Mi preoccupavo solo per il come vi sareste liberato di lei. Se la ragazza avesse fatto una scenata mi sarei offerta di accompagnarla a casa con la mia auto suggerendo a voi di prendere un tassì.»

«Ragazza piena di risorse, vedo. Da quanto tempo siete nel Servizio?»

«Cinque anni. È la prima volta che lavoro in una Stazione.»

«Che ve ne pare?»

«Il lavoro mi piace. I giorni e le serate liberi sono in po' monotoni. Non è facile farsi degli amici a Parigi senza…» le labbra accennarono una smorfia ironica, «senza accettare tutto il resto. Voglio dire,» aggiunse in fretta, «non che io sia una puritana o altro, ma, non so come, i francesi rendono tutto piuttosto difficile. Ho dovuto rinunciare a prendere il metrò o gli autobus. A qualsiasi ora, si finisce sempre con il didietro pieno di lividi.» Scoppiò a ridere. «A parte il fastidio e il non sapere proprio come reagire, certi pizzicotti fanno male sul serio. È il colmo. Così per potermi spostare ho comperato questa macchina di seconda mano, e a quanto pare le altre auto mi lasciano via libera.

Basta non incrociare lo sguardo degli altri automobilisti, e si può averla vinta anche con i più carogna. Hanno una gran paura di non essere stati visti. E quest'auto mezzo scassata li mette in allarme. E ti fanno ampio posto.»

Erano giunti al Rond Point. Come per dimostrare la validità della sua teoria, la ragazza ne fece il giro a rotta di collo puntando dritto contro la fila di auto provenienti da Place de la Concorde. Miracolosamente questa si aprì lasciandole imboccare l'Avenue Matignon.

«Bello,» commentò Bond. «Ma non ci prendete l'abitudine. Potrebbe esserci qualche Mary Ann francese nei paraggi.»

Lei scoppiò a ridere. Svoltò nell'Avenue Gabrielle fermandosi di fronte al quartier generale parigino del Servizio Segreto: «Rischio manovre del genere solo per un senso del dovere.»

Bond discese e fece il giro dell'auto accostandosi al finestrino di lei. «Be',» disse, «grazie di essere venuta a prendermi. Quando questa storia sarà finita, posso venire a prendervi io, per ricambiare? Non mi becco pizzicotti, ma a Parigi mi annoio almeno quanto voi.»

Gli occhi di lei erano azzurri e molto distanziati. Scrutarono nei suoi. Poi rispose seria: «Mi farebbe piacere. Il centralino di qui può sempre rintracciarmi.»

Bond allungò un braccio all'interno del finestrino per poggiare la mano su quella di lei sul volante. «Bene,» mormorò, quindi si volse e varcò il portone a passo rapido.

 

Il tenente colonnello della RAF Rattray, Capo della Stazione F, era un tipo grassoccio dalle guance rosee e capelli biondi pettinati all'indietro. Vestiva con una certa leziosità: polsini rivoltati, giacca con spacchetti laterali, farfallino e panciotto fantasia. Il suo aspetto faceva pensare alla vita ricca e mondana, locali notturni, ristoranti; solo gli occhi azzurri, lenti ed astuti, rappresentavano una nota stridente. Fumava Gauloises una dopo l'altra e il suo ufficio era pregno del loro odore. Accolse Bond con un certo sollievo. «Chi vi ha rintracciato?»

«Russell. Al Fouquet. È nuova?»

«Sei mesi. In gamba. Ma accomodatevi. C'è una maledetta faccenda in ballo, urgentissima, e devo spiegarvi la cosa e mettervi in moto.» Si chinò sul telefono interno abbassando la levetta. «Messaggio a "M", prego. Personale dal Capo della Stazione F: "Trovato 007, diamo istruzioni". Fatto?» Rialzò la levetta.

Bond portò una sedia vicino alla finestra aperta per difendersi dal fumo delle Gauloises. Il traffico degli Champs Elysées era come un rombo soffocato sullo sfondo.

Mezz'ora prima Bond era stufo di Parigi, felice di andarsene. Ora sperava di restare.

Il Capo della "F" cominciò: «Qualcuno ha fatto fuori il nostro corriere motociclista, diretto alla Stazione di St.-Germain da SHAPE, ieri mattina. Il corriere settimanale della Divisione Informazioni di SHAPE con i riassunti, i documenti del Servizio Segreto Riunito, Ordine di Battaglia della Cortina di Ferro: tutta roba importante. Una pallottola nella schiena. Hanno preso la borsa dei messaggi, il portafogli e l'orologio da polso.»

«Brutta faccenda,» osservò Bond. «È possibile che si tratti di una normale rapina? O pensano che il portafogli e l'orologio siano fumo negli occhi?»

«Al Servizio di Sicurezza di SHAPE sono perplessi. In linea di massima ritengono che si tratti di un paravento. Le sette di mattina sono un'ora un po' strana per una rapina.

Ma ne potrete discutere con loro quando arriverete là. "M" intende mandarvi come suo rappresentante personale. E maledettamente preoccupato. A parte la perdita del materiale del Servizio, a quelli dell'Informazioni non è mai andata l'idea che una delle nostre Stazioni fosse fuori della riserva, per così dire. Da anni cercano di incorporare nell'organizzazione di SHAPE la base di St.-Germain. Ma sapete com'è "M", indipendente e ostinato. Non è mai stato soddisfatto del Servizio di Sicurezza della NATO. Perdiana, proprio nel Reparto Messaggi di SHAPE non solo ci sono un paio di francesi e un italiano, ma il capo della loro sezione di Controspionaggio è un tedesco!»

Bond si lasciò sfuggire un fischio.

«Il guaio è che questa maledetta storia è proprio ciò di cui la SHAPE ha bisogno per mettere "M" alle strette. Comunque "M" ha detto che dovete recarvi là immediatamente. Ho già comunicato il vostro arrivo. I lasciapassare sono pronti. Dovete presentarvi al Colonnello Schreiber, Comando del Quartier Generale, Dipartimento Sicurezza.

Americano. Tipo in gamba. Si è occupato lui della cosa fin dal principio. Da quel che ho capito ha già fatto praticamente tutto quel che si poteva fare.»

«Cos'ha fatto? Cos'è accaduto in definitiva?»

Il Capo della "F" prese una cartina dalla scrivania e si avvicinò a Bond. Era la mappa Michelin in grande scala dei dintorni di Parigi. Indicò con una matita. «Qui c'è Versailles, e qui, a nord dei giardini, c'è il grande bivio della Parigi-Nantes e delle autostrade di Versailles. A duecento metri circa da qui, sulla N184 c'è SHAPE. Ogni mercoledì, alle sette del mattino, un corriere motociclista del Servizio Speciale parte da SHAPE con il materiale dell'Intelligence di tutta la settimana, come vi ho detto.

Deve recarsi in questo piccolo villaggio chiamato Fourqueux, poco fuori St.-Germain, consegnare materiale all'ufficiale di servizio al Quartier Generale, e ritornare a SHAPE entro le sette e mezzo. Per ragioni di sicurezza ha ordine, invece di attraversare questo agglomerato, di prendere la N307 di St. Nom, girare a destra della D98, passare sotto il cavalcavia dell'autostrada e attraversare poi la foresta di St.-Germain. Sono circa dodici chilometri, e prendendosela calma si può compiere il tragitto in meno di un quarto d'ora. Be', ieri toccava a un caporale del Corpo Informazioni, un certo Bates, ragazzo fidato, e quando questi non si è ripresentato a SHAPE entro le sette e tre quarti hanno mandato un'altra staffetta a cercarlo. Nessuna traccia, e al Quartier Generale non l'avevano visto. Alle otto e un quarto il Dipartimento di Sicurezza era già al lavoro e alle nove erano stati istituiti dei blocchi stradali. Vennero informate la polizia e la Deuxième e si organizzarono dei gruppi di ricerca. Lo hanno trovato i cani, ma solo verso le sei di sera, e a quell'ora se anche c'erano state delle tracce sulla strada, il traffico doveva averle cancellate.»

Il Capo della "F" porse la mappa a Bond e tornò alla sua scrivania. «Questo è più o meno tutto, oltre al fatto che si sono prese le normali precauzioni: frontiere, porti, aerodromi e così via. Ma cose del genere non servono. Se è stato il lavoro di un professionista, chiunque sia stato può aver fatto uscire il materiale da questo paese entro mezzogiorno o averlo fatto giungere a un'ambasciata di Parigi nel giro di un'ora.»

«Esatto!» esclamò Bond impaziente. «E dunque cosa diavolo pretende "M" che io faccia? Dire al Servizio di Sicurezza di SHAPE di rifare tutto daccapo, ma meglio? Cose del genere non rientrano affatto nella mia attività. Una maledetta perdita di tempo.»

Il Capo della "F" gli rivolse un sorriso di comprensione. «A dire il vero ho fatto notare più o meno la stessa cosa a "M", parlandogli sulla linea diretta. Con un certo tatto. Il vecchio è stato molto ragionevole. Ha detto che voleva dimostrare a SHAPE che prendeva la cosa con la stessa loro serietà. Si dava il caso che voi foste disponibile e praticamente sul posto e ha detto che siete dotato della mentalità adatta a cogliere il fattore invisibile. Gli ho chiesto cosa intendeva dire e lui ha replicato che in tutti i quartieri generali strettamente sorvegliati c'è sempre un uomo invisibile, un individuo che tutti danno per scontato così che la sua presenza non viene notata: un giardiniere, un uomo della pulizia, un postino. Gli ho fatto notare che la SHAPE aveva già pensato anche a quello e che tutti i lavori di quel genere vengono eseguiti da personale arruolato nel Servizio. "M" ha ribattuto che non dovevo prendere tutto così alla lettera e ha riagganciato.»

Bond scoppiò a ridere. Gli pareva di vedere il cipiglio di "M" e di sentirne la voce aspra. Disse: «Benissimo, allora. Vedrò cosa posso fare. A chi devo fare rapporto?»

«Qui. "M" non desidera che si metta di mezzo l'unità di St.-Germain. Tutto ciò che voi potrete dire io lo comunicherò direttamente a Londra con la telescrivente. Ma potrei non essere disponibile quando vi metterete in contatto. Vi assegnerò un ufficiale di servizio e potrete mettervi in comunicazione con lui ventiquattr'ore su ventiquattro. Potremmo incaricare Russell. È stata lei a rintracciarvi. Può continuare a occuparsi di voi. Vi va bene?»

«Sì,» rispose Bond. «Perfettamente.»

 

La malandata Peugeot, ordinata da Rattray, conservava il profumo di lei. Nello scomparto del cruscotto c'erano piccole cose sue: una mezza tavoletta di cioccolato al latte Suchard, una bustina contenente forcine, un volume tascabile di John O'Hara, un guanto nero scamosciato. Bond pensò a lei fino all'Etoile poi la scacciò dalla mente e accelerò attraversando rapidamente il Bois. Rattray aveva detto che ci si impiegavano circa quindici minuti a ottantacinque all'ora. Bond aveva detto di dimezzare la velocità e di raddoppiare il tempo e di avvertire quindi il Colonnello Schreiber che si sarebbe presentato a lui per le nove e mezzo. Dopo la Porte de St.-Cloud il traffico era scarso e Bond lungo l'autostrada si tenne sui centoventi finché incontrò, sulla destra, la seconda uscita dove vide la freccia rossa che indicava la SHAPE. Bond svoltò risalendo il pendio portandosi sulla N184. Duecento metri oltre, al centro della strada, c'era un poliziotto che, secondo le istruzioni, Bond doveva incontrare. Questi gli fece segno di varcare i grandi cancelli a sinistra e Bond si fermò al primo punto di controllo. Un poliziotto americano in uniforme grigia uscì dal casello ed esaminò il lasciapassare.

Quindi gli disse di portarsi più avanti e fermarsi. Ora un poliziotto francese prese il lasciapassare, prese nota dei dati su un modulo stampato attaccato a una tabella, gli diede un grosso numero in plastica da attaccare al parabrezza e gli fece segno di proseguire. Mentre Bond piazzava l'auto nel posteggio, con drammatica subitaneità un centinaio di lampade ad arco si accesero illuminando come fosse giorno la grande distesa di basse costruzioni che si stendevano di fronte a lui. Bond, con la sensazione di essere nudo, attraversò lo spiazzo inghiaiato sotto le bandiere delle nazioni della NATO e salì i quattro bassi gradini verso le grandi porte di vetro che davano accesso al Supremo Quartier Generale delle Forze Alleate in Europa. Ora si trovava di fronte al banco del Servizio di Sicurezza. Poliziotti militari americani e francesi controllarono il suo lasciapassare trascrivendone i dati. Quindi Bond venne affidato a un MP britannico dal berretto rosso e accompagnato lungo il corridoio principale oltrepassando innumerevoli porte di uffici sulle quali non vi erano nomi ma il solito abracadabra alfabetico di tutti i quartieri generali. Uno annunciava:

 

COMSTRIKFLTLANT E SACLANT LIAISON A SACEUR

 

Bond chiese cosa significasse. Il poliziotto militare, forse per ignoranza o, più probabilmente, per prudenza, rispose ottusamente: «Non saprei esattamente, signore.»

Dietro una porta che annunciava Colonnello G. A. Schreiber, Capo del Servizio di Sicurezza, Comando del Quartier Generale, Bond vide un americano di mezz'età, dritto come un palo con capelli grigi e i modi cortesemente neutri del direttore di banca. Sulla sua scrivania si trovavano diverse foto di familiari in cornici d'argento e un vaso con una rosa bianca. Nella stanza non si sentiva odore di tabacco. Dopo alcuni convenevoli cautamente cordiali. Bond si congratulò con il Colonnello per il suo servizio di sicurezza. «Tutti questi controlli e ricontrolli,» commentò, «non rendono la vita facile agli avversari. Avete mai perduto qualcosa in precedenza, o avete mai scoperto tracce di un serio attentato?»

«No a entrambe le domande, Comandante. Sono perfettamente soddisfatto del QG.

Sono solo le unità distaccate che mi preoccupano. Oltre a questa sezione del vostro Servizio Segreto, abbiamo diverse unità autonome di segnalazione. Poi, naturalmente, ci sono i Ministeri dell'Intemo di quattordici nazioni. Non posso rispondere su quanto può trapelare da quei quartieri.»

«Non è facile,» ammise Bond. «Ora, per quanto riguarda questo pasticcio. C'è stato nulla di nuovo dall'ultima volta che avete parlato con il Colonnello Rattray?»

«Recuperato il proiettile. Luger. Colpito il midollo spinale. Esploso probabilmente a una trentina di metri, più o meno. Presumendo che il nostro corriere avanzasse in linea retta, la pallottola deve essere stata esplosa esattamente dietro di lui con una traiettoria parallela. Poichè non può essersi trattato di qualcuno in piedi sulla strada, l'assassino doveva trovarsi su un qualche veicolo.»

«Dunque la vostra staffetta deve averlo visto nello specchietto retrovisore.»

«Probabilmente.»

«Se i vostri corrieri si accorgono di essere seguiti, hanno istruzioni circa manovre evasive?»

Il Colonnello sorrise a labbra strette. «Certo. Hanno l'ordine di filare come il vento.»

«E a quale velocità è volato fuori strada?»

«Non molta, si ritiene. Tra i trentacinque e i sessantacinque. A cosa volete arrivare, Comandante?»

«Mi chiedevo se aveste stabilito se si tratta di un lavoro da professionista o da dilettante. Se il vostro uomo non stava cercando di filar via e presumendo che abbia visto l'assassino nello specchietto retrovisore, il che lo riconosco è solo una probabilità, questo fa pensare che abbia ritenuto un amico piuttosto che un nemico l'uomo che gli stava dietro. E ciò potrebbe indicare un travestimento che si accordi con quest'organizzazione: qualcosa che il vostro uomo potesse accettare anche a quell'ora di mattina.»

Una leggera ruga si era formata sulla liscia fronte del Colonnello Schreiber. «Comandante,» c'era una leggera tensione nella sua voce, «naturalmente abbiamo considerato ogni possibilità, compresa quella cui avete accennato. Ieri a mezzogiorno il Comandante Generale ha dato l'allarme per questa faccenda, sono stati messi in moto il servizio permanente di sicurezza e comitati di agenti, e da quel momento ogni possibilità, ogni ombra di indizio è stato sviscerato a fondo. E posso assicurarvi, Comandante,» il Colonnello alzò una mano ben curata lasciandola ricadere con misurata enfasi sul portacarte, «che chiunque riesca ora a fornire un'idea nuova deve essere parente stretto di Einstein. Non c'è nulla, ripeto, assolutamente nulla su cui basarsi per affrontare questo caso.»

Bond gli rivolse un sorriso comprensivo. Si alzò in piedi.

«In tal caso, Colonnello, non desidero prenderle altro tempo, questa sera. Se solo potessi avere i verbali dei vari raduni per mettermi al corrente, e se uno dei vostri uomini potesse mostrarmi la mensa e il mio alloggio…»

«Certo, certo.» Il Colonnello premette un pulsante. Un giovane aiutante dai capelli tagliati a spazzola si presentò.

«Proctor, per favore mostrate al Comandante la sua stanza nell'ala Ufficiali Superiori, e poi accompagnatelo al bar,alla mensa.» Si rivolse a Bond. «Darò ordine che vi preparino quei documenti, dopo che avrete cenato e bevuto qualcosa. Saranno nel mio ufficio. Non è permesso portarli fuori, naturalmente, ma avrete a disposizione tutto ciò che potrà occorrervi, e Proctor potrà fornirvi ogni particolare che possa mancare.» Tese la mano. «Va bene? Allora ci rivediamo in mattinata.»

Bond augurò la buonanotte e seguì l'aiutante. Mentre percorreva i corridoi dai colori e dall'odore neutri, si disse che quello probabilmente era l'incarico più disperato che gli fosse mai stato assegnato. Se i più grossi cervelli dei Servizi di Sicurezza di quattordici nazioni si erano trovati bloccati, che speranza poteva avere lui? Quando quella sera si ritrovò a letto, nel lusso spartano dei quartieri degli ospiti, Bond aveva deciso di dedicare alla faccenda un paio di giorni, soprattutto per tenersi in contatto con Mary Ann Russell il più a lungo possibile, e poi mollare la cosa. Con questa decisione cadde immediatamente in un sonno profondo e privo di sogni.

 

Non due, ma quattro giorni dopo, mentre l'alba sorgeva sulla foresta di St.-Germain, James Bond si trovava disteso lungo un robusto ramo di quercia a tener d'occhio una piccola radura deserta profondamente nascosta tra gli alberi che costeggiavano la D98, la strada dell'assassinio.

Da capo a piedi era rivestito di una tuta mimetica da paracadutista: verde, marrone e nera. Perfino le sue mani erano nascoste da quel tessuto, e in capo aveva un cappuccio con fessure per gli occhi e la bocca. Era un buon mascheramento che sarebbe stato ancor migliore quando il sole fosse stato più alto e le ombre più cupe, e da qualsiasi punto, perfino da sotto quell'alto ramo, lui sarebbe rimasto invisibile.

Era andata così. I primi due giorni a SHAPE non si era fatto che perder tempo, come previsto. Bond non aveva concluso nulla, a parte l'essersi reso vagamente impopolare con le sue insistenti domande e controdomande. La mattina del terzo giorno era sul punto di andarsene e di porgere i suoi saluti quando aveva ricevuto una telefonata dal Colonnello. «Oh, Comandante, volevo farvi sapere che l'ultima squadra di cani poliziotti è rientrata stanotte tardi… la vostra idea che potesse servire a qualcosa perlustrare tutta la foresta. Mi spiace,» la voce non pareva affatto spiacente, «ma risultato negativo, assolutamente negativo.»

«Oh! Colpa mia questo spreco di tempo.» Più per irritare il Colonnello che per altro, Bond aggiunse: «Vi spiace se faccio due chiacchiere con la guida?»

«Prego, fate pure. Come desiderate. A proposito, Comandante, per quanto tempo contate di trattenervi? Felicissimo di avervi con noi, ma c'è il fatto della vostra camera. Sembra che tra pochi giorni debba arrivare dall'Olanda un gruppo alquanto numeroso. Dirigenti importanti o qualcosa di simile, e l'Amministrazione dice che sono un po' in difficoltà per gli alloggi.»

Bond non si era aspettato che tutto filasse liscio con il Colonnello Schreiber, e difatti aveva avuto ragione. Replicò cordialmente: «Sentirò cosa mi dice il mio Capo e vi richiamerò, Colonnello.»

«Grazie, ve ne sarò grato.» La voce del Colonnello era altrettanto cortese ma la cordialità dei due stava esaurendosi e i ricevitori interruppero la comunicazione simultaneamente.

 

Il capo delle guide dei cani era un francese delle Lande, con lo sguardo acuto e furtivo del bracconiere. Bond lo trovò ai canili, ma la vicinanza dell'addestratore innervosiva gli alsaziani e, per allontanarsi da quel baccano, l'uomo accompagnò Bond nel suo ufficio, un piccolo locale con cannocchiali appesi a ganci e impermeabili, stivaloni di gomma, guinzagli, collari e altri ammennicoli ammonticchiati attorno alle pareti. C'erano un paio di sedie di legno un tavolo coperto da una mappa in grande scala della foresta di St.-Germain, divisa in riquadri tracciati a matita. La guida accennò alla cartina. «I nostri cani l'hanno perlustrata tutta, Monsieur. Non c'è nulla.»

«Volete dire che non l'hanno perlustrata una volta?»

La guida si grattò il capo. «Abbiamo avuto qualche difficoltà con la selvaggina, Monsieur. C'erano un paio di lepri. Qualche tana di volpe. Abbiamo avuto il nostro daffare a tirarli via da una radura vicino al Carrefour Royal. Probabilmente sentivano ancora l'odore degli zingari.»

«Oh!» Bond era solo blandamente interessato. «Fatemi vedere. Chi erano questi zingari?»

La guida additò sulla carta con un mignolo sudicio.

«Questi luoghi hanno nomi antichi. Qui c'è l'Etoile Parfaite, e qui, dove è avvenuta l'uccisione, è il Carrefour des Curieux. E qui, a chiudere il triangolo, c'è il Carrefour Royal. Con la strada della morte,» aggiunse drammaticamente, «si ottiene una croce.» Trasse di tasca una matita e tracciò un cerchietto vicino al crocicchio. «E qui c'è la radura, Monsieur. Per la maggior parte dell'inverno qui c'è stato un carrozzone di zingari. Se ne sono andati il mese scorso. Hanno ripulito per bene tutto quanto, ma, per i cani, il loro odore rimarrà per mesi.»

Bond lo ringraziò e dopo aver esaminato e ammirato i cani e fatto quattro chiacchiere sul lavoro dell'addestratore, salì sulla Peugeot e si recò alla gendarmerie di St.-Germain.

Sì, certo, avevano visto gli zingari. Avevano un aspetto quanto mai zingaresco. Quasi non sapevano una parola di francese, ma si erano comportati bene. Non c'erano state lagnanze. Sei uomini e due donne. No. Nessuno li aveva visti andarsene. Una mattina, semplicemente, non c'erano più. Potevano essersene andati già da una settimana, per quel che ne sapeva. Avevano scelto un punto isolato.

Bond imboccò la D98 attraverso la foresta. Quando il grande ponte dell'autostrada si era profilato a mezzo chilometro, Bond accelerò quindi spense il motore e proseguì costeggiando silenziosamente la strada fino a raggiungere il Carrefour Royal. Fermò l'auto e ne uscì senza il minimo rumore e, sentendosi vagamente ridicolo, si addentrò nella foresta dirigendosi con grande circospezione verso il punto in cui doveva trovarsi la radura. Si fermò sul bordo di cespugli e alberi esaminando attentamente lo spiazzo.

Poi vi entrò esaminandolo da un'estremità all'altra.

La radura era grande più o meno quanto due campi da tennis con un fondo di fitta erba e muschio. C'era una vasta chiazza di mughetti e, sotto gli alberi tutt'attorno, delle campanule. Su un lato si trovava una piccola montagnola, forse un tumulo, tutta coperta di pruni e di rose selvatiche ora tutte fiorite. Bond vi girò attorno scrutando tra le radici ma non c'era nulla da vedere eccetto un tumulo di terra.

Bond lanciò un'ultima occhiata tutt'in giro quindi tornò all'angolo della radura più vicino alla strada. Lì c'era un facile accesso tra gli alberi. C'erano forse tracce di un passaggio, le foglie erano forse un po' pestate? Tracce che potevano aver lasciato gli zingari o gitanti dell'anno prima. Sul bordo della strada c'era uno stretto passaggio tra due alberi. Tanto per fare, Bond si chinò a esaminare i tronchi. Si irrigidì accosciandosi bruscamente. Con l'unghia staccò delicatamente un sottile frammento di fango secco.

Questo nascondeva un profondo sfregio nel tronco. Raccolse nell'altra mano il pezzetto di fango: lo inumidì con la saliva e richiuse nuovamente, con cura, quel solco. Vi erano tre graffi mimetizzati su quell'albero e quattro sull'altro. Bond si allontanò rapidamente dagli alberi tornando sulla strada. La sua auto era ferma presso un leggero pendio che portava al ponte dell'autostrada. Sebbene protetto dal rombo del traffico sulla principale, Bond spinse a braccia l'auto,vi saltò su e avviò il motore solo quando si trovò sotto il ponte.

 

E ora Bond si trovava di nuovo nella radura, al di sopra di essa, e ancora non sapeva se il suo sospetto fosse fondato. Erano state le parole di "M" a metterlo sulla pista, se una pista c'era, e l'accenno agli zingari. «I cani sentivano l'odore degli zingari… la maggior parte dell'inverno… se ne sono andati il mese scorso. Nessuna lagnanza… Una mattina, semplicemente, non c'erano più.»

Il fattore invisibile. L'uomo invisibile. Persone che fanno così parte dell'ambiente che la loro presenza non viene notata. Sei uomini e due donne e quasi non sapevano una parola di francese. Un bello schermo, gli zingari. Si poteva essere degli stranieri eppure non esserlo, perché si era solo degli zingari. Alcuni se n'erano andati col carrozzone. E se due o tre fossero rimasti, se si fossero costruiti un nascondiglio durante l'inverno, un luogo segreto dal quale avessero fatto la prima sortita per la rapina dei dispacci segretissimi? Bond aveva pensato che fossero tutte fantasie sue fino al momento in cui aveva scoperto quelle scalfitture, accuratamente mimetizzate, sui due alberi. Si trovavano giusto all'altezza in cui, se ci si trovava su una motocicletta, i pedali potevano strisciare contro la corteccia. Poteva essere tutto un castello in aria, ma per Bond era sufficiente. L'unico interrogativo nella sua mente era se quelli avevano fatto un colpo isolato o se si sentivano tanto al sicuro da riprovarcisi una seconda volta.

Riferì la cosa solo alla Stazione F. Mary Ann Russell gli disse di essere prudente. Il Capo della "F", più praticamente, ordinò alla sua unità di St.-Germain di collaborare.

Bond salutò il Colonnello Schreiber e si trasferì a un lettino da campo al QG dell'unità: una casa anonima in un'anonima stradina secondaria di un villaggio. L'unità gli aveva procurato la tuta mimetica e i quattro agenti del Servizio Segreto che dirigevano quell'unità si erano entusiasticamente messi agli ordini di Bond. Si rendevano conto quanto Bond che se egli fosse riuscito a bagnare il naso a tutto il Servizio di Sicurezza di SHAPE, il Servizio Segreto avrebbe segnato un preziosissimo punto di vantaggio nei confronti dell'Alto Comando di SHAPE, e le preoccupazioni di "M" circa l'indipendenza della sua unità si sarebbero dileguate per sempre.

Bond, disteso sul ramo di quercia, sorrise tra sé. Eserciti privati, guerre private.

Quanta energia si prelevava alla causa comune, quanto fuoco distoglievano dal comune nemico!

 

Le sei e trenta. Ora di colazione. Cautamente la destra di Bond frugò nella tuta risalendo poi fino alla fessura della bocca. Bond fece durare il più possibile la tavoletta di glucosio, poi ne succhiò un'altra. l suoi occhi non abbandonarono mai la radura. Lo scoiattolo fulvo apparso alle prime luci e che da allora aveva continuato ininterrottamente a rosicchiare i germogli di faggio, si accostò di qualche spanna ai cespugli di rose selvatiche sulla montagnola, raccolse qualcosa e cominciò a rigirarselo tra le zampette, mordicchiandolo. Due piccioni selvatici che si erano rumorosamente corteggiati tra l'erba fitta cominciarono un amoreggiamento goffo e movimentato. Una coppia di passerotti prese a raccogliere, indaffaratissima, frammenti di materiale per il nido che stavano tardivamente costruendosi in un roveto. Il grasso tordo trovò infine il suo verme e cominciò a tirarlo, le zampe ben piantate a terra. Le api sciamarono fitte attorno alle rose selvatiche e dal suo riparo, a una ventina di metri, al di sopra della montagnola, Bond riusciva appena a sentire il loro ronzio estivo. Era uno spettacolo di fiaba: le rose, i mughetti, gli uccelli e i raggi dcl sole che penetravano attraverso gli alti alberi in quella macchia di verde lucente. Bond si era arrampicato sul suo nascondiglio alle quattro e non aveva mai osservato così da vicino e tanto a lungo il passaggio dalla notte allo splendore del giorno. D'improvviso si sentì molto ridicolo. Da un momento all'altro un qualche maledetto uccello sarebbe venuto a posarsi sulla sua testa!

Furono i piccioni a dare il primo allarme. Con uno strepito acuto presero il volo sfrecciando tra gli alberi. Tutti gli altri uccelli li imitarono, anche lo scoiattolo scattò via. Ora la radura era silenziosa a parte il dolce ronzio delle api. Cosa aveva dato l'allarme? Il cuore di Bond cominciò a pulsare violentemente. I suoi occhi si fecero vigili, scrutando l'intera radura alla ricerca di una traccia. Qualcosa stava muovendosi tra le rose. Un movimento leggero, ma inconsueto. Lentamente, centimetro per centimetro, un ramo spinoso, stranamente diritto e piuttosto grosso, si alzava tra i rami più alti del cespuglio. Continuò a sollevarsi fino a essere trenta centimetri buoni al di sopra del cespuglio. Allora si arrestò. In cima al ramo si trovava un'unica rosa. Staccato com'era dal cespuglio aveva un'aria innaturale, ma solo se si era osservato l'intero processo. A un'occhiata casuale sarebbe apparso un ramo isolato e null'altro. Ora, silenziosamente i petali della rosa parvero ruotare ed aprirsi, i pistilli gialli si piegarono in fuori e il sole scintillò su una lente delle dimensioni di una monetina. La lente pareva guardare diritto verso Bond, ma poi molto, molto lentamente, quell'occhio di rosa cominciò a rigirarsi sul suo stelo e continuò nel suo moto circolare tornando a Bond dopo aver minuziosamente osservato l'intero spiazzo. Come soddisfatti i petali si dischiusero lentamente coprendo l'occhio e lentamente quel fiore isolato discese a mescolarsi con gli altri.

Bond riprese fiato con un profondo respiro. Chiuse un attimo gli occhi per riposarli.

Zingari! Se quell'aggeggio significava qualcosa, all'interno di quella montagnola, già sotto terra, si trovava di certo l'unità spionistica più professionale che mai fosse stata creata: molto più ingegnosa di qualsiasi cosa escogitata dall'Inghilterra perché operasse dopo una riuscita invasione tedesca, molto più efficiente di quanto gli stessi tedeschi si erano lasciati alle spalle nelle Ardenne. Un brivido di ansia e di emozione, quasi di paura, percorse la spina dorsale di Bond. Dunque aveva visto giusto! Ma quale sarebbe stata la prossima mossa?

Ora dalla montagnola, proveniva un sibilo acuto: il rumore di un motore elettrico a un altissimo numero di giri. Il cespuglio di rose fremette. Le api si allontanarono, si librarono sopra i fiori per poi posarsi di nuovo. Lentamente una fenditura frastagliata si aprì senza scosse al centro del grosso cespuglio. Ora le due metà del grosso cespuglio si spalancavano come i battenti di una porta. La buia apertura si allargò finché Bond poté scorgere le radici che si affondavano nel terreno ai due lati del varco. Il gemito del macchinario si fece più forte e ci fu un bagliore metallico ai bordi delle due porte ricurve. Era come un uovo di Pasqua che si aprisse su dei cardini. Dopo qualche istante le due sezioni furono completamente spalancate e le due metà del cespuglio di rose, ancora affollate di api, completamente divise. Ora l'interno del cassone metallico che sosteneva il terriccio e le radici del cespuglio erano esposti al sole. Dall'oscuro passaggio tra le porte ricurve provenne il debole bagliore di una luce elettrica. Il ronzio del motore era cessato. Apparve una testa, quindi le spalle, poi il corpo di un uomo.

Uscì silenziosamente e rimase accovacciato, guardandosi attentamente attorno nella radura. Nella sua mano era una rivoltella: una Luger. Tranquillizzato si volse facendo cenno verso l'apertura. Apparvero la testa e le spalle di un secondo uomo. Questi tese al primo tre paia di quelle che sembravano tre paia di racchette da neve quindi si piegò sparendo. Il primo uomo ne scelse un paio e si inginocchiò per assicurarsele ai piedi.

Ora si muoveva più liberamente, senza lasciare impronte, poiché l'erba si piegava solo qualche istante sotto la maglia larga, poi si rialzava lentamente. Bond sorrise tra sé. Che astuti bastardi!

Emerse il secondo uomo. Seguito da un terzo. Insieme estrassero dall'apertura una motocicletta e si fermarono reggendo il veicolo mentre il primo uomo, che chiaramente era il capo, si inginocchiava per assicurare alle loro scarpe le racchette da neve. Poi, in fila indiana, i tre si mossero attraverso gli alberi in direzione della strada. C'era qualcosa di incredibilmente sinistro in quel loro cauto avanzare tra le ombre, alzando e posando cautamente i piedi protetti dall'ampia reticella.

Bond emise un profondo sospiro, sollevato, e appoggiò silenziosamente il capo al ramo per alleviare la tensione dei muscoli del suo collo. Ecco come stavano le cose dunque! Anche l'ultimo piccolo particolare ora poteva essere aggiunto all'incartamento.

Mentre i due subalterni indossavano una tuta grigia, il capo indossava l'uniforme del Reale Corpo Informazioni e la sua motocicletta era una BSA M20 verde oliva con una targa dell'Esercito Britannico sul serbatoio del carburante. Nessuna meraviglia che il corriere di SHAPE gli avesse permesso di avvicinarsi. E cosa se ne faceva quel gruppetto delle comunicazioni «segretissimo»? Probabilmente le trasmetteva di notte per radio. Invece del periscopio, un'antenna camuffata da ramo si sarebbe innalzata dal cespuglio, il generatore a pedale si sarebbe messo in moto, giù, sotto terra, e i messaggi in codice sarebbero stati trasmessi. Codici? Ci sarebbero stati parecchi segreti dei nemici giù nel nascondiglio se Bond fosse riuscito a bloccare quelle spie fuori dal loro ricovero. E che meravigliosa possibilità per trasmettere informazioni fasulle alla GRU, il Servizio Segreto Militare sovietico, che era presumibilmente la base principale! I pensieri di Bond si accavallavano.

I due subalterni stavano tornando. Varcarono il passaggio e il cespuglio di rose si richiuse sopra di loro. Il capo, con la sua moto, doveva essere tra i cespugli sul bordo della strada. Bond lanciò un'occhiata al suo orologio. Le sei e cinquantacinque.

Naturale! Stava attendendo l'arrivo di un eventuale corriere motociclista. O non sapeva che l'uomo da lui ucciso compiva una corsa settimanale, il che era improbabile, oppure immaginava che la SHAPE apportasse dei cambiamenti alla routine per motivi precauzionali. Quella era gente precisa. Probabilmente avevano ordine di mietere più raccolto possibile prima che sopraggiungesse l'estate e ci fossero troppi gitanti nella foresta. Allora l'unità sarebbe stata prelevata e rimessa al lavoro nell'inverno seguente.

Chi poteva sapere quali fossero i piani? Era già sufficiente che il capo si preparasse a una seconda uccisione.

I minuti trascorrevano. Alle sette e dieci il capo riapparve. Si tenne all'ombra di un grosso albero al margine della radura ed emise un breve fischio acuto simile a quello di un uccello. Immediatamente il cespuglio di rose cominciò a dischiudersi e i due subalterni uscirono raggiungendo il capo tra gli alberi. Dopo due minuti erano di ritorno reggendo la motocicletta. Il capo, dopo essersi guardato attentamente attorno per assicurarsi che non fossero rimaste tracce, li seguì al di là del passaggio e le due metà del cespuglio di rose si richiusero in fretta alle loro spalle.

Mezz'ora dopo, nella radura la vita aveva ripreso il suo corso. Un'ora più tardi, quando il sole alto aveva incupito le ombre, James Bond si ritrasse silenziosamente lungo il ramo, atterrò dolcemente su una macchia di muschio dietro alcuni rovi e scomparve cautamente all'interno della foresta.

 

Quella sera la quotidiana telefonata di Bond a Mary Ann Russell fu tempestosa. «Siete pazzo,» esclamò lei. «Non ve lo lascerò fare. Farò in modo che il Capo della "F" telefoni al Colonnello Schreiber raccontandogli tutto. È un lavoro che tocca a SHAPE. Non a voi.»

Bond ribatté seccamente: «Voi non farete niente di simile. Il Colonnello Schreiber ha detto che è dispostissimo a lasciarmi fare una corsa fasulla domattina al posto del corriere motociclista di servizio. Ora come ora non occorre che sappia altro. Una specie di ricostruzione del delitto. Non gliene importa assolutamente nulla. Praticamente ha chiuso la faccenda. Ora, da brava ragazza, fate quel che vi ho detto. Inviate semplicemente il mio rapporto per telescrivente a "M". Lui capirà perché è meglio che definisca questa storia. Non farà obiezioni.»

«Accidenti a M! Accidenti a voi! Accidenti a tutto quest'idiota Servizio Segreto!»

C'erano lacrime di collera nella voce di lei. «Siete come un branco di ragazzini che giocano ai pellerossa. Affrontare da solo quella gente! È… mettersi in mostra. Ecco cos'è. Mettersi in mostra!»

Bond cominciava a irritarsi. «Ora basta, Mary Ann,» replicò. «Trasmettete quel rapporto per telescrivente. Mi spiace, ma è un ordine.»

«Oh, d'accordo.» La voce ora era rassegnata. «Non c'è bisogno che facciate pesare la vostra superiorità di grado. Ma siate prudente. Almeno ci saranno i ragazzi della Stazione locale a raccogliere i vostri pezzetti. Buona fortuna.»

«Grazie, Mary Ann. E volete cenare con me domani sera? Un locale tipo Armenonvilie. Champagne rosa e violini tzigani. Parigi in primavera e così»

«Sì,» rispose lei seria. «Mi farebbe piacere. Ma allora siate doppiamente prudente, per piacere. Promesso?»

«Certo che lo sarò. Non preoccupatevi. Buonanotte.»

«Notte.»

Bond trascorse il resto della serata dando un'ultima ripassata al suo piano e impartendo le istruzioni finali ai quattro agenti della Stazione locale.

 

Era un'altra splendida giornata. Bond, comodamente seduto a cavalcioni della pulsante BSA in attesa del via, riusciva a stento a credere all'imboscata che l'attendeva poco dopo il Carrefour Royal. Il caporale del Corpo Informazioni che gli aveva teso la borsa da dispacci vuota e che tra poco gli avrebbe dato il segnale di partenza, disse: «Sembra che abbiate passato la vita nel Corpo Informazioni, signore. Forse avreste bisogno di un'accorciatina ai capelli, ma l'uniforme vi va a pennello. Che ve ne pare della moto, signore?»

«Va che è un sogno. Mi ero dimenticato quanto sono divertenti questi affari.»

«Fatemi pure avere, quando volete, una bella Austin A40, signore.» Il caporale guardò il proprio orologio. «Sono le sette ormai.» Alzò il pollice. «Okay.»

Bond si abbassò gli occhialoni sugli occhi, fece un cenno della mano al caporale, avviò il motore e si allontanò lungo lo spiazzo inghiaiato e oltre il cancello principale.

Lasciata la 184 per imboccare la 307, attraverso Bailly e Noisy-le-Roi, quindi le case di St. Nom. Là avrebbe dovuto svoltare subito a destra infilando la D98, la «strada della morte», come l'aveva definita la guida dei cani. Bond si fermò lungo il ciglio erboso e una volta di più esaminò la Colt .45 a canna lunga. Infilò nuovamente l'arma tiepida sotto la giacca, contro lo stomaco, lasciando il bottone slacciato. In marcia! Via…!

Bond infilò la brusca curva e accelerò a ottantacinque. Il viadotto dell'autostrada di Parigi si profilava in lontananza. La scura bocca della galleria di sotto si aprì per inghiottirlo. I1 rumore del tubo di scappamento era assordante, e per un attimo si sentì l'odore freddo e umido della galleria. Poi tornò fuori alla luce del sole e di colpo si trovò al Carrefour Royal. Davanti a lui l'asfalto oleoso scintillava in un rettilineo continuo per quasi quattro chilometri attraverso la foresta incantata e si sentiva il profumo dolce delle foglie e della rugiada. Bond rallentò a settanta. Lo specchietto retrovisore alla sua sinistra vibrava leggermente per la velocità. Non vi si scorgeva altro che il nastro deserto della strada tra le file di alberi che si allontanavano incurvandosi dietro di lui come una scia verde. Nessuna traccia dell'assassino. Si era spaventato? Era sopraggiunto qualche imprevisto? Ma c'era un puntolino nero al centro del vetro convesso: un moscerino che divenne una mosca, poi un'ape e poi un calabrone. Ora era un casco chino su un manubrio tra due guantoni neri. Dio, come si avvicinava in fretta!

Lo sguardo di Bond passava veloce dallo specchietto alla strada davanti a lui, poi ancora allo specchietto. Quando la mano dell'assassino si fosse avvicinata all'arma…!

Bond rallentò: sessanta, cinquanta, trentacinque. Davanti a lui l'asfalto era liscio come metallo. Un'ultima rapida occhiata nello specchietto. La mano destra aveva lasciato il manubrio. Il sole riverberando sugli occhialoni dell'uomo li trasformava in grandi occhi di belva sotto il casco di protezione. Ora! Bond frenò bruscamente facendo slittare la BSA con un angolo di quarantacinque gradi, spegnendo il motore. La sua manovra non fu abbastanza rapida. La rivoltella dell'assassino fece fuoco due volte e una pallottola penetrò nelle molle del sellino vicino alla coscia di Bond. Ma in quel momento la Colt disse la sua, e l'uccisore con la sua BSA tagliò la strada come impazzito, balzò al di là del fosso andando a sbattere in pieno contro il tronco di un faggio. Per un istante uomo e motore aderirono al tronco, poi con un mortale stridio metallico ricaddero sull'erba.

Bond scese dalla sua moto e si accostò al macabro intrico di kaki e acciaio fumante.

Non c'era bisogno di cercare il polso. In qualsiasi punto il proiettile avesse colpito, il casco era frantumato come un guscio d'uovo. Bond tornò sui suoi passi infilando la rivoltella nel giaccone. Era stato fortunato. Non avrebbe messo a prova un'altra volta la sua buona stella. Salì sulla BSA e accelerò tornando indietro.

Appoggiò la BSA a uno dei tronchi graffiati appena all'interno della foresta e si diresse silenziosamente al bordo della radura. Si fermò all'ombra del grande faggio. Si passò la lingua sulle labbra e imitò, il più fedelmente possibile, il fischio dell'assassino. Attese. Aveva sbagliato il fischio? Ma in quel momento il cespuglio fremette e si alzò quell'alto ronzio acuto. Bond infilò il pollice destro nella cintura a pochi centimetri dal calcio della rivoltella. Sperava di non dover uccidere ancora. Gli era parso che i due subalterni non fossero armati. Con un briciolo di fortuna sarebbero usciti senza sospetti.

Ora le due porte ricurve erano aperte. Da dove si trovava Bond non poteva vedere all'interno del varco, ma dopo pochi istanti il primo uomo era fuori e si infilava le racchette da neve seguito dal secondo. Le racchette da neve! Il cuore di Bond mancò un colpo. Le aveva dimenticate! Dovevano essere nascoste più indietro tra i cespugli.

Maledetto stupido! Se ne sarebbero accorti?

I due uomini avanzarono lentamente verso di lui, posando cautamente i piedi. Quando giunsero a circa sette metri da lui, il primo mormorò qualcosa in una lingua che pareva russo. Quando Bond non rispose, i due si arrestarono di botto. Lo fissarono attoniti, aspettando forse una risposta o la parola d'ordine. Bond avvertì il pericolo: Estrasse l'arma di scatto e si diresse verso i due, chinandosi. «Mani in alto.» Fece segno con la canna della Colt. Il primo uomo gridò un ordine e si lanciò in avanti.

Contemporaneamente l'altro scattò indietro verso il nascondiglio. Tra gli alberi risuonò un colpo d'arma da fuoco e la gamba destra dell'uomo cedette. Gli agenti della Stazione abbandonarono l'appostamento e corsero fuori. Bond cadde su un ginocchio alzando un braccio per colpire con la canna della rivoltella quel corpo lanciato verso di lui. Lo prese in pieno, ma ormai l'uomo gli era sopra. Bond ne vide le unghie scattare verso i suoi occhi, si piegò andando a incontrare un uppercut. Ora una mano gli aveva afferrato il polso destro e la sua rivoltella veniva lentamente girata contro di lui. Non volendo uccidere, aveva lasciato la sicura. Ora cercò di arrivare a spostarla con il pollice. Uno stivale lo colpì alla tempia e Bond cadde all'indietro abbandonando l'arma. Attraverso una nebbia rossastra vide la bocca della rivoltella puntata contro il suo viso. Per un attimo il pensiero di stare per morire gli attraversò la mente… morire per aver voluto essere generoso!…

D'improvviso la canna della rivoltella sparì e Bond non sentì più sopra di sé il peso dell'uomo. Si drizzò sulle ginocchia, poi in piedi. Il corpo, abbandonato sull'erba, accanto a lui, ebbe un'ultima contrazione. La tuta blu, sul dorso, mostrava degli squarci insanguinati. Bond si guardò attorno. I quattro uomini della Stazione erano in gruppo.

Bond slacciò la cinghietta del casco e si sfregò la tempia. «Bene,» disse. «Grazie. Chi è stato?»

Nessuno rispose. Gli uomini parevano imbarazzati.

Bond si diresse verso di loro, perplesso. «Che c'è?»

D'un tratto intravvide un movimento dietro gli uomini. Un'altra gamba apparve una gamba femminile. Bond scoppiò a ridere. Gli agenti sogghignarono un po' confusi volgendosi a guardare. Mary Ann Russell, con una camicetta marrone e pantaloni neri uscì da dietro le loro spalle con le mani alzate. In una mano stringeva quella che sembrava una .22 da tiro a segno. Abbassò le braccia infilando l'arma nella cintura dei pantaloni. Si accostò a Bond. Ansiosa domandò: «Non incolperai nessuno, vero? È solo che proprio non potevo lasciarti venire qui stamattina senza di me.» I suoi occhi erano supplichevoli. «Una fortuna, direi, che sia venuta. Voglio dire, è stata una fortuna che non abbia preso te. Nessuno voleva sparare per paura di colpirti.»

Bond sorrise fissandola negli occhi. «Se non fossi venuta,» osservò, «avrei mancato all'appuntamento per la cena.» Si rivolse agli uomini in tono formale: «Benissimo. Uno di voi prenda la motocicletta e informi il Colonnello Schreiber dell'accaduto. Dica che aspettiamo i suoi uomini prima di dare un'occhiata al nascondiglio. E se potesse mandare anche un paio di artificieri. Là dentro potrebbe esserci qualche ordigno esplosivo. D'accordo?»

Bond afferrò il braccio della ragazza. «Vieni con me,» disse. «Voglio mostrarti il nido di un uccello.»

«È un ordine?»

«Sì.»