L'EMBOLO

— Notate — disse Duval — come l'azione nervosa cessi in prossimità dell'embolo. È la prova visibile di una lesione forse irreversibile. Non garantisco, ora come ora, anche rimuovendo l'embolo, di potere aiutare Benes. Forse, è troppo tardi.

— Buona idea, dottore — disse Michaels con sarcasmo. — Così lei è bell'e scusato, vero?

— Silenzio, Michaels — disse freddamente Grant.

— Indossiamo la muta, signorina Peterson — disse Duval. — Mettiamoci al lavoro. La infili al rovescio. Gli anticorpi sono sensibilizzati alla sua superficie normale e può darsi che ce ne sia ancora qualcuno in giro.

Michaels sorrise stancamente. — Non disturbatevi. È troppo tardi. — Indicò il marcatempo che proprio in quel momento passava da 7 a 6. — Non potreste comunque — disse — eseguire l'operazione in tempo per consentirci di tornare nel punto della vena giugulare da cui dovrebbero estrarci. Anche se riuscirete a eliminare l'embolo, finiremo per deminiaturizzarci proprio qui e per uccidere Benes.

Duval continuò a mettersi la muta, imitato da Cora. — Ebbene — disse il chirurgo — in questo caso morirà, il che avverrebbe comunque se noi non lo operassimo. E allora?

— C'è un'altra cosa — disse Michaels. — Il processo di deminiaturizzazione, nella prima fase, richiamerà sicuramente l'attenzione dei globuli bianchi. Io dubito che noi e il Proteus si sia in grado di resistere allo sforzo impostoci dalla compressione entro il vacuolo digestivo di un globulo bianco. Per forza di cose, continueremo a espanderci, ma quando torneremo alle nostre dimensioni originarie il Proteus sarà completamente stritolato e noi con lui. No, è meglio abbandonare l'impresa, Owens, e tornare al più presto al punto fissato per l'estrazione.

— Un momento — disse Grant, irritato. — Owens, quanto ci vorrà per raggiungere il punto fissato?

— Due minuti — disse Owens con voce fioca.

— Dunque ci restano quattro minuti. Forse più. Per quello che ne so il termine dei sessanta minuti è, almeno in parte, ipotetico. Questo vuol dire che, se il campo tiene un po' più a lungo del previsto, potremmo avere un margine forse sufficiente per uscire.

— Forse — disse Michaels — ma non si faccia illusioni. Un minuto. Due al massimo. Non possiamo sfuggire al Principio di Indeterminazione.

— D'accordo. Due minuti. E non potremmo impiegare più del tempo previsto per deminiaturizzarci?

— Un minuto o due — disse Duval — se siamo fortunati.

— Dipende— interloquì Owens — soprattutto dalla natura casuale della struttura fondamentale dell'universo. Se la fortuna ci assiste, se tutto va per il giusto verso, potremmo anche...

— Comunque, si tratta di un minuto. O due — disse Michaels — al massimo.

— D'accordo — disse Grant — abbiamo quattro minuti, più forse due minuti supplementari, più forse un minuto di deminiaturizzazione lenta prima... della catastrofe. Fanno sette minuti: sette minuti di questo nostro lungo tempo deformato. Forza! Si muova, Duval.

— Tutto quello che riuscirà a fare, maledetto stupido — gridò Michaels — sarà uccidere Benes e noi con lui. Owens, ci porti al punto dal quale dobbiamo essere estratti.

Owens esitava.

Grant raggiunse rapidamente la scaletta e si arrampicò fino alla calotta di Owens. — Spenga il motore, Owens — disse con voce piana. — Lo spenga.

Il dito di Owens si mosse verso un interruttore, sopra il quale indugiò. La mano di Grant lo raggiunse e lo fece scattare, spegnendo il motore del sommergibile.

— Ora scenda. Venga giù con noi.

Aiutò Owens a lasciare il seggiolino e scesero insieme. Tutta la scena era durata qualche secondo e Michaels era rimasto a guardare, a bocca aperta, troppo stupito e spaventato per intervenire.

— Che diavolo ha fatto? — chiese.

— Il sommergibile rimane qui — disse Grant — finché l'operazione non sarà stata eseguita. Ora, Duval, al lavoro.

— Prenda il laser, signorina Peterson — disse Duval. Avevano finito di indossare le mute. Quella di Cora, infilata a rovescio, mostrava le cuciture ed era piena di strane protuberanze.

— Devo essere proprio uno spettacolo — disse la ragazza.

— È matto? — disse Michaels. — Siete tutti pazzi? Non c'è tempo. Questo è un suicidio. Date retta a me. — L'ansia gli aveva quasi fatto venire la bava alla bocca. — Non combinerete niente.

— Owens — disse Grant — apra il portello della camera stagna.

Michaels si lanciò avanti, ma Grant lo prese per le spalle, lo fece girare su se stesso e disse: — Non mi costringa a usare le mani, dottor Michaels. Mi fanno male i muscoli e non ho voglia di adoperarli, ma se picchio picchio sodo e non garantisco per l'incolumità delle sue mascelle e dei suoi denti.

Michaels alzò i pugni quasi come se fosse pronto ad accettare la sfida. Ma Duval e Cora erano spariti nella camera stagna e Michaels vedendoli divenne quasi implorante.

— Senta, Grant, non capisce come andranno le cose? Duval ucciderà Benes. Sarà talmente facile. Un errore col laser e chi lo saprà mai? Se farà come dico io potremo salvare la vita a Benes, uscire dal suo corpo e riprovare domani.

— Può darsi che domani Benes non sia più vivo. E qualcuno ha detto che non potremo più miniaturizzarci per un bel po' di tempo.

— Domani potrebbe essere vivo; certo sarà morto se lei non ferma Duval. Domani potranno essere miniaturizzate altre persone, perfettamente in grado di operare l'intervento.

— A bordo di un altro sommergibile? Tolto il Proteus, non ci sono altri mezzi disponibili.

La voce di Michaels divenne stridula. — Grant, le dico che Duval è un agente nemico.

— Non ci credo — disse Grant.

— Perché? Perché è tanto religioso? Perché è così pieno di devoti luoghi comuni? Non è forse la maschera che ha scelto? O è stato influenzato dalla sua amante, la sua...

— Non finisca quella frase, Michaels! — disse Grant. — E ora mi stia a sentire. Non c'è nessuna prova che Duval sia un agente nemico, e non ho ragione per crederlo.

— Ma se le dico...

— Lo so, lo so. Il fatto è tuttavia, che, vedi caso, secondo me l'agente nemico è proprio lei, dottor Michaels.

— Io?

— Sì. Non ho in mano nessuna prova vera e propria, niente da potere produrre in un tribunale; ma quando il controspionaggio l'avrà torchiato a dovere ho idea che le prove salteranno fuori da sole. — Michaels si svincolò

e fissò Grant inorridito. — Ma certo, ora capisco. È lei l'agente, Grant. Non capisce, Owens? Una dozzina di volte avremmo potuto uscire sani e salvi dal corpo di Benes, quando era ormai evidente che la missione non poteva più riuscire. Ma ogni volta Grant ci ha costretti a restare qui. Ecco perché si è dato tanto da fare per rifornire d'aria il Proteus. Ecco perché... Mi aiuti, Owens. Mi aiuti.

Owens lo guardò, indeciso.

— Il marcatempo sta per passare al cinque — disse Grant. — Ora abbiamo altri tre minuti. Mi conceda tre minuti, Owens. Lei sa che Benes non vivrà se in questi tre minuti non avremo eliminato l'embolo. Io vado fuori ad aiutarli, ma lei impedisca a Michaels di fare qualsiasi movimento. Se non sono di ritorno fra tre minuti se ne vada, si metta in salvo col sommergibile. Benes morirà. e forse anche noi. Ma lei sarà salvo e potrà smascherare Michaels.

Owens continuò a tacere.

— Tre minuti — disse Grant. E cominciò a infilarsi la muta. Sul marcatempo era apparso il numero cinque.

Owens disse, finalmente: — Tre minuti, allora. D'accordo. Ma solo tre minuti.

Michaels si mise pesantemente a sedere. — Lei sta lasciando che uccidano Benes, Owens, ma io ho fatto il possibile. La mia coscienza è tranquilla.

Grant girò il volantino e sparì nella camera stagna.

Duval e Cora nuotavano rapidamente in direzione dell'embolo, lui con il laser, lei con il generatore.

— Non vedo globuli bianchi — disse Cora, — e lei?

— Io non li cerco nemmeno — disse bruscamente Duval.

Il chirurgo guardò avanti, pensieroso. I raggi del faro del sommergibile e delle lampadine che portavano sul casco erano attenuati dal groviglio di fibre che sembravano rivestire l'embolo di là dal punto in cui gli impulsi nervosi parevano interrompersi. La parete del capillare era stata lesionata dall'incidente, ma non era bloccata del tutto dall'embolo che abbracciava strettamente la sezione di fibre nervose e di cellule.

— Se riusciamo a ridurre l'embolo in frammenti e a diminuirne la pressione senza intaccare il nervo — mormorò Duval, — avremo fatto un buon lavoro.

Si mise in posizione e alzò il laser. — Se quest'affare funziona...

— Dottor Duval, — disse Cora — si ricorda di quello che ha detto: la scarica più efficace e meno dispendiosa di energie deve venire dall'alto.

— Ricordo perfettamente — disse Duval con aria cupa, — e intendo fare proprio così.

Tirò il grilletto del laser. Per un tempo infinitesimale un esile raggio di luce brillò davanti a lui.

— Funziona! — gridò Cora, contenta.

— Per ora sì — disse Duval. — Ma dovrà funzionare ancora parecchie volte.

Per un attimo l'embolo si era evidenziato in tutta la sua mole contro l'abbacinante splendore del raggio. Poi tornò il buio, più fitto di prima.

— Non guardi, signorina Peterson — disse Duval. — Potrebbe rovinarsi la retina. Chiuda almeno un occhio per limitare l'intensità della luce.

Di nuovo il raggio del laser. Una scarica. Un'altra. Un'altra ancora. Silenzio. Cora aprì l'occhio destro, poi il sinistro, poi tutti e due. — Funziona, dottor Duval. Ormai lo scintillio si sta estendendo. Tutta una zona buia comincia a rischiararsi.

Grant li raggiunse a nuoto. — Come andiamo, Duval?

— Non c'è male — disse Duval. — Se adesso riesco a tagliarlo trasversalmente e a ridurre la pressione su un punto chiave, credo che l'intero tratto del nervo sarà liberato.

Nuotando, si spostò da un lato.

Grant gli gridò dietro: — Abbiamo meno di tre minuti.

— Non mi scocci — disse Duval.

— Va bene, Grant — disse Cora. — Ce la farà. Michaels ha fatto storie?

— Qualcuna — disse cupamente Grant. — Owens gli sta montando la guardia.

— La guardia?

— Non si sa mai...

A bordo del Proteus, Owens lanciava rapide occhiate fuori dal finestrino. — Mi venga un accidenti se ci capisco qualcosa — borbottò.

— Stia pure fermo lì e lasci lavorare gli assassini — disse Michaels con sarcasmo. — La responsabilità di tutto questo ricadrà sulle sue spalle, Owens.

Owens tacque.

— Non può credermi un agente del nemico — disse Michaels.

— Io non credo niente — disse Owens. — Aspettiamo fino a meno due e se per quel momento non sono tornati ce ne andremo. Va bene?

— Va bene — disse Michaels.

— Il laser funziona — disse Owens. — Ho visto il lampo. E sa...

— Cosa?

— L'embolo. Vedo la scintilla dell'impulso nervoso dove prima era tutto buio.

— Io no — disse Michaels, guardando fuori.

— Io sì — disse Owens. — Le dico che funziona. E loro torneranno. A quanto pare il torto è tutto suo, Michaels.

Michaels si strinse nelle spalle. — Va bene, tanto meglio. Se io ho torto e Benes sopravvive, non potrei chiedere di più. Solo... — A un tratto una nota di allarme vibrò nella sua voce. — Owens!

— Cosa c'è?

— Il portello della camera stagna. C'è qualcosa che non va. Quello stupido di Grant doveva essere troppo emozionato per chiuderlo a dovere... ammesso che sia stato per l'emozione!

— Ma cos'ha che non va? Io non vedo niente.

— È cieco? C'è un'infiltrazione di fluido. Guardi la chiusura.

— Qui è sempre stato tutto bagnato da quando Cora e Grant sono sfuggiti agli anticorpi. Non ricorda...

Owens stava guardando il portello quando la mano di Michaels, chiusa intorno al manico del cacciavite che Grant aveva usato per togliere il pannello della radio, calò violentemente sulla sua testa.

Con un'esclamazione soffocata Owens cadde in ginocchio, stordito.

Michaels colpì ancora, preso da una specie di furore parossistico. Poi, costrinse Owens esanime nella muta da sommozzatore. Grosse gocce di sudore spiccavano sulla sua testa calva. Aprì il portello della camera stagna e vi sospinse Owens. Rapidamente lasciò che lo scompartimento si riempisse d'acqua, quindi aprì il portello esterno azionando l'apposito comando, ma perdendo qualche attimo prezioso nella sua ricerca.

Avrebbe voluto far girare il sommergibile su se stesso per accertarsi che Owens fosse stato espulso, ma mancava il tempo.

Non c'è tempo pensò, non c'è tempo.

Freneticamente, salì nella calotta e studiò i comandi. Doveva esserci una manetta per avviare il motore. Ah, eccola!

Quando sentì il lontano tambureggiare dei motori lo invase un senso di trionfo.

Guardò avanti, verso l'embolo. Owens aveva ragione. Una luce intermittente correva lungo un nervo che fino a quel momento era sempre rimasto al buio.

Duval puntava il raggio del laser a brevi raffiche e a intervalli ridotti.

— Ci siamo, dottore — disse Grant. — Il tempo è scaduto.

— Ho quasi finito. L'embolo è andato in briciole. Ancora un pezzo... Ecco! Signor Grant, l'operazione è riuscita.

— E noi abbiamo tre minuti per uscire, forse due. Al sommergibile, ora...

— C'è qualcun altro, qui — disse Cora.

Grant si girò su se stesso e si lanciò verso la figura che nuotava senza meta. — Michaels! — gridò. Poi: — No, è Owens. Cosa...

— Non so — disse Owens. — Mi ha colpito, immagino. Non so proprio come sono finito qui.

— Dov'è Michaels?

— A bordo, immagino.

Il sommergibile ha avviato i motori! — gridò Duval.

— Cosa? — disse Owens allibito. — Chi...

— Michaels — disse Grant. — Evidentemente, ha preso il comando.

— Perché ha lasciato il sommergibile, Grant? — chiese Duval, furibondo.

— È quello che mi sto chiedendo. Avevo sperato che Owens...

— Mi spiace — disse Owens. — Non credevo proprio che fosse un agente nemico. Non sapevo...

— Il guaio è che non ne ero del tutto certo nemmeno io — disse Grant. — Ora lo so.

— Un agente nemico! — disse Cora con orrore.

La voce di Michaels risuonò nei ricevitori incorporati nei caschi. — Ascoltate. Fra due minuti arriveranno i globuli bianchi e allora io sarò già fuori. Mi rincresce, ma vi avevo offerto l'opportunità di venire con me. Voi l'avete rifiutata.

Ora il sommergibile puntava verso l'alto, descrivendo una curva a largo raggio.

— Gli ha impresso la massima accelerazione — disse Owens.

— E credo — disse Grant, — che stia mirando al nervo.

— È proprio quello che sto facendo, Grant — disse la voce cupa di Michaels. — Piuttosto drammatico, non vi pare? Anzitutto rovinerò il lavoro di quello smorfioso di Duval, e farò un danno tale che provocherà l'immediato arrivo sulla scena di uno stuolo di globuli bianchi. Di voi si occuperanno loro.

— Senta! — urlò Duval. — Rifletta! Perché lo fa? Pensi al suo paese!

— Io penso all'umanità — rispose Michaels, furente. — L'unica cosa che conta è impedire ai militari di mettere le mani sul segreto di Benes. Con quel segreto in mano distruggeranno la Terra. Se siete così stupidi da non capirlo...

Ormai il Proteus si stava dirigendo a tutta velocità verso il nervo appena riattivato.

— Il laser! — disse Grant, disperato. — Datemi il laser!

Strappò lo strumento dalle mani di Duval.

— Dov'è il grilletto? Non importa, l'ho trovato.

Si alzò a nuoto nel tentativo di intercettare il sommergibile lanciato a tutta velocità. — Mi dia tutta la potenza — disse a Cora. — Tutta la potenza!

Prese accuratamente la mira. Un raggio di luce grosso come una matita scaturì dal laser e si spense.

— Il laser ha ceduto, Grant — disse Cora.

— Lo tenga lei. Credo comunque di averlo colpito.

Era difficile a dirsi. Nella generale oscurità era impossibile distinguere qualcosa con chiarezza.

— Ha colpito il timone, mi sembra — disse Owens. — Ha ucciso il mio sommergibile. — Dietro la maschera, le sue gote si bagnarono improvvisamente di lacrime.

— Qualunque cosa abbia colpito — disse Duval, — mi pare che il sommergibile non funzioni più tanto bene.

Il Proteus stava effettivamente sussultando, mentre la luce del faro saliva e scendeva in un ampio arco. Poi il sommergibile puntò il muso verso il basso, sfondò la parete di un piccolo capillare arterioso, mancò il nervo per un pelo, e precipitò in una foresta di dendriti, impigliandosi, librandosi e impigliandosi ancora, finché rimase immobile: bolla di metallo imprigionata tra le fibre spesse e levigate.

— Ha mancato il nervo — disse Cora con un sospiro di sollievo.

— Ma ha fatto lo stesso un bel danno — brontolò Duval. — Potrebbe anche formarsi un altro embolo. Speriamo di no. In ogni caso, ora i globuli bianchi affluiranno in questa zona. È meglio che ce ne andiamo, finché siamo in tempo.

— Dove? — chiese Owens disperato.

— Se seguiamo il nervo ottico possiamo arrivare all'occhio in un minuto. O forse anche meno. Seguitemi.

— Non possiamo abbandonare il sommergibile — disse Grant. — Si deminiaturizzerà.

— Be', mica possiamo tirarcelo dietro — disse Duval.

— Non abbiamo altra scelta che cercare di salvarci la vita.

— Possiamo ancora fare qualcosa, forse — disse Grant. — Quanto tempo ci resta?

— Zero! — disse enfaticamente Duval. — Credo che stiamo cominciando a deminiaturizzarci proprio adesso. Tra un minuto saremo tanto grandi da richiamare l'attenzione di un globulo bianco.

— Stiamo cominciando a deminiaturizzarci? Io non sento niente, — disse Grant.

— Cosa vuole sentire? Però i dintorni sono già un po' più piccoli di prima. Andiamo.

Duval si guardò rapidamente intorno per orizzontarsi. — Seguitemi — ripeté, e riprese a nuotare.

Cora e Owens lo seguirono e, dopo un ultimo momento di esitazione, lo seguì anche Grant.

Aveva fatto fiasco. In ultima analisi, aveva fatto fiasco perché non essendosi del tutto convinto, sulla base di alcuni ragionamenti piuttosto incerti, che Michaels fosse un agente nemico, aveva esitato.

Sono uno stupido pensò amaramente, e un incapace.

 

— Ma non si muovono — disse Carter, furioso. — Sono sempre fermi vicino all'embolo. Perché? Perché? Perché?

Il marcatempo segnava meno l.

— Ormai è troppo tardi perché possano uscire — disse Reid.

In quel momento arrivò un messaggio dall'unità elettroencefalografica: — Signore, i dati dell'encefalogramma indicano che l'attività cerebrale di Benes è tornata alla normalità.

— Allora l'operazione è riuscita! — urlò Carter. — Che cosa aspettano?

— Non c'è modo di saperlo.

Sul marcatempo apparve lo zero e una sirena lanciò il suo ululato. La sua voce stridula echeggiò nella sala operatoria come una delle trombe del giudizio.

Reid alzò la voce per farsi sentire. — Dobbiamo tirarli fuori.

— Benes morirà.

— Se non li tiriamo fuori, morirà ugualmente.

— Se qualcuno è uscito dal sommergibile — disse Carter — non potremo tirarlo fuori.

Reid si strinse nelle spalle. — Non possiamo farci niente. Può darsi che i globuli bianchi li attacchino, ma può anche darsi che si deminiaturizzino senza inconvenienti.

— Tuttavia Benes morirà.

Reid si sporse verso Carter e gridò: — Non c'è niente da fare! Niente! Benes è morto! Vuole correre il rischio di ucciderne altri cinque inutilmente?

Carter parve afflosciarsi sulla poltrona. — Dia l'ordine! — disse.

Reid si avvicinò alla trasmittente. — Estrarre il Proteus — disse con voce calma, poi si affacciò alla finestra che dominava la sala operatoria.

Michaels era cosciente solo in parte quando il Proteus andò ad arenarsi tra i dendriti. L'improvvisa deviazione verificatasi dopo la scarica del laser, doveva essere stato il laser, lo aveva scagliato con estrema violenza contro il cruscotto. Ora sentiva solo un dolore spaventoso al braccio destro. Doveva esserselo rotto. Un pezzo di paratia si era fuso e lo squarcio era chiuso solo dalla tensione superficiale del plasma.

L'aria che restava gli sarebbe durata per il minuto o due che mancavano alla deminiaturizzazione. Aveva già l'impressione, guardando, che i filamenti dei dendriti fossero un po' più sottili. Dal momento che non potevano essere loro a ridursi, doveva essere lui a espandersi anche se molto lentamente.

Una volta tornato alle sue reali dimensioni, il braccio avrebbe potuto essere curato. Gli altri, invece, sarebbero stati uccisi dai globuli bianchi. Lui avrebbe detto... avrebbe inventato... qualcosa per spiegare l'incidente. In ogni caso Benes sarebbe morto e il segreto della miniaturizzazione illimitata sarebbe morto con lui. Ci sarebbe stata la pace... la pace...

Guardò i dendriti mentre il suo corpo rimaneva afflosciato sul cruscotto. Poteva muoversi? Era forse paralizzato? Che si fosse rotto la schiena oltre al braccio?

Torpidamente prese in considerazione la possibilità. Sentì scemare la propria soddisfazione quando vide che i dendriti cominciavano a essere avvolti da una strana foschia lattiginosa.

Una foschia lattiginosa?

Un globulo bianco!

Ma certo, era proprio un globulo bianco. Il sommergibile era più grande degli individui abbandonati là fuori, nel plasma, ed era il suo scafo fracassato a trovarsi nel punto della lesione. Il sommergibile sarebbe stato il primo a richiamare l'attenzione del globulo bianco.

Il finestrino del Proteus era coperto da un latte scintillante. Quella stessa materia lattiginosa stava permeando il plasma che premeva contro la falla apertasi nello scafo e lottava per superare la barriera costituita dalla tensione superficiale.

Il penultimo suono che Michaels udì fu quello mandato dallo scafo del Proteus, fragile nella sua costituzione di atomi miniaturizzati, portato al punto di rottura da tutto quello che aveva già passato, mentre si schiacciava nella stretta inesorabile del globulo bianco.

L'ultimo suono che udì fu quello della propria risata.