— Sono Marron — si presentò compiaciuto, come se quel nome dovesse significare qualcosa. — Sono qui per dirvi che non ci piacciono i forestieri nel nostro distretto. Volete entrare, bene... ma se volete uscire, bisogna pagare.

— D’accordo. Quanto?

— Tutto quello che avete. Voi forestieri ricchi avete le tessere di credito, giusto?

Datecele.

— No.

— Inutile dire di no: ce le prenderemo e basta.

— Dovreste uccidermi o ferirmi per prenderle, e le tessere non funzioneranno senza la mia impronta vocale. La mia impronta vocale normale.

— No, signore... visto, sono educato... possiamo prenderle senza farti molto male.

— E quanti uomini grandi e grossi ci vogliono? Nove? — Seldon contò rapidamente. — Dieci.

— Basta uno: io.

— Senza aiuto?

— Solo io.

— Se gli altri si fanno da parte e ci lasciano spazio, m piacerebbe vederti provare, Marron.

— Non hai il coltello, signore: ne vuoi uno?

— No, usa pure il tuo, così saremo in condizioni di parità: io mi batterò senza.

Marron guardò i compagni. — Ehi, questo mingherlino ha del fegato. Non sembra nemmeno spaventato, Divertente. Sarebbe un peccato fargli male... Senti, signore.

Prenderò la ragazza. Se vuoi che mi fermi, passami le vostre tessere di credito, e attivatele con la voce giusta. Se la risposta è no, dopo che avrò finito con la ragazza...

e ci vorrà un po’ di tempo... — Marron rise, — dovrò proprio farti male.

— No — disse Seldon. — Lascia stare la donna. Ho sfidato te, uno contro uno, tu con il coltello, io senza. Se vuoi un vantaggio maggiore, mi batterò contro due di voi, ma lasciate andare la donna.

— Basta, Hari! — gridò . — Se mi vuole, venga a prendermi. Tu resta dove sei, Hari. Non muoverti.

— Sentito? — Marron sogghignò. — Tu resta dove sei, Hari. Non muoverti.

Credo proprio che la signorina mi voglia... Voi due, tenetelo fermo.

Seldon si sentì bloccare le braccia da una morsa d’acciaio, mentre la punta acuminata di un coltello gli pungeva la schiena.

— Stai fermo — gli sussurrò all’orecchio una voce aspra. — Così puoi guardare.

Alla signora probabilmente piacerà. Marron è molto in gamba.

gridò ancora: — Non muoverti, Hari! — Poi si girò a fissare Marron, serrando parzialmente le mani ed accostandole alla cintura.

Marron avanzò baldanzoso. Lei attese che fosse abbastanza vicino, poi le sue braccia scattarono, ed il dahlita si ritrovò a fissare due grossi coltelli. Per un attimo, Marron si piegò all’indietro, poi rise.

— La signorina ha due coltelli... coltelloni da uomini, ed io ne ho uno solo. Ma va bene così. — Ed estrasse rapido la propria arma. — Mi spiace doverti tagliuzzare, signorina... sarebbe più divertente per tutti e due se non ti tagliuzzassi. Forse posso levarteli di mano, eh?

disse: — Non voglio ucciderti. Farò il possibile per evitarlo. Comunque, tutti sono testimoni che se ti ucciderò, sarà per proteggere il mio amico, perché mi sono impegnata sul mio onore a proteggerlo.

Marron si finse atterrito. — Ah, no, non uccidermi, signorina. — Poi scoppiò a ridere, imitato dagli altri dahliti presenti. Fece un affondo col coltello, senza mirare direttamente al bersaglio. Ripeté la mossa una seconda volta, ed una terza... ma non si spostò di un millimetro, né cercò affatto di parare dei colpi che non fossero indirizzati a lei.

Marron si incupì. Voleva suscitare in lei una reazione di panico, invece stava solo riuscendo a fare una figura da incapace. L’affondo successivo non era più dimostrativo, e con un guizzo della lama sinistra colpì quella di Marron, con tanta forza da spostargli il braccio, e con l’altro coltello gli tracciò una fenditura in diagonale sulla maglietta. Una sottile linea insanguinata macchiò la pelle villosa sotto il tessuto.

Marron si guardò, sbalordito, mentre i suoi compagni rimanevano a bocca aperta per lo stupore. Seldon sentì che la stretta che lo bloccava si allentava leggermente... i due che lo tenevano erano distratti da un duello che non stava andando secondo le aspettative.

Seldon tese i muscoli.

Marron tornò a scagliarsi in avanti, cercando di bloccare con la sinistra il polso destro dell’avversaria.

La lama sinistra di parò di nuovo il colpo ed immobilizzò il coltello del dahlita; nel medesimo istante piegò la destra e l’abbassò. Invece di stringere il polso di , Marron serrò la mano attorno al coltello, e quando la aprì c’era una striscia rossa che gli solcava il palmo.

balzò indietro e Marron, vedendo il sangue che gli imbrattava il petto e la mano, urlò rauco: — Datemi un altro coltello!

Ci fu un’esitazione, poi un compagno gli lanciò il proprio coltello. Marron fece per afferrarlo, ma fu più rapida. Con la lama destra lo centrò al volo e lo rispedì indietro, facendolo roteare a mezz’aria.

La stretta che bloccava Seldon si allentò ulteriormente. Hari alzò di scatto le braccia, spingendo in avanti, e si liberò. I due dahliti incaricati della sua custodia si girarono verso di lui urlando, ma lestissimo Seldon colpì il primo con una ginocchiata all’inguine, ed il secondo con una gomitata al plesso solare, atterrandoli entrambi.

Poi si chinò a recuperare i loro coltelli e si rialzò, impugnando due armi come . A differenza di lei, Hari non era affatto capace di maneggiare quelle lame, ma rifletté che i dahliti senza dubbio non lo sapessero.

disse: — Tienili solo a bada, Hari. Aspetta ad attaccare... Marron, il mio prossimo colpo non sarà un graffio.

Marron, furioso, lanciò un ruggito bestiale e caricò alla cieca, cercando di travolgere l’avversaria con la forza d’urto della propria massa corporea. , abbassandosi e scostandosi, passò sotto il braccio destro di Marron e gli sferrò un calcio alla caviglia destra.

Marron rovinò al suolo, perdendo il coltello.

si inginocchiò, gli piazzò una lama dietro il collo e l’altra contro la gola. —

Arrenditi!

Con un nuovo urlo, Marron la colpì con un braccio, la spinse da parte, ed annaspò per rialzarsi. Ma non fece in tempo a drizzarsi del tutto, perché gli piombò addosso e calò una lama, fulminea, tranciandogli un pezzo di baffo. Questa volta, Marron urlò come un animale ferito a morte, e si premette la mano sulla faccia.

Quando la staccò, grondava di sangue.

gridò: — Non crescerà più, Marron. È partito anche un pezzo di labbro.

Attacca ancora e sei morto stecchito.

Attese, ma Marron ne aveva avuto abbastanza. Si allontanò, barcollando e lamentandosi, lasciando una scia di sangue.

si girò verso gli altri dahliti. I due che Seldon aveva messo fuori combattimento erano ancora stesi a terra, disarmati e per nulla ansiosi di alzarsi. si mosse, tagliò loro le cinture ed aprì uno squarcio nei calzoni. — Bene, dovrete reggervi i calzoni per camminare.

Poi disse ai sette uomini ancora in piedi, che la stavano osservando sgomenti ed affascinati. — Chi di voi ha lanciato il coltello?

Silenzio.

— Non importa. Fatevi sotto uno alla volta o tutti assieme... ma ogni volta che colpirò, uno di voi ci rimarrà secco.

I sette dahliti, di comune accordo, si girarono e si affrettarono ad andarsene.

inarcò le sopracciglia e disse a Seldon: — Questa volta, almeno, Hummin non potrà lamentarsi della mia protezione.

— Stento ancora a credere a quel che abbia visto — fece Seldon. — Non ti pensavo capace di un’azione del genere... o di un linguaggio simile.

Lei si limitò a sorridere. — Anche tu hai le tue doti.

— Formiamo una bella coppia. Su, ritira le lame dei coltelli e mettili via. Credo che la notizia si spargerà in pochissimo tempo, e che potremo uscire da Billibotton senza intoppi.

Aveva ragione.

Clandestinità

DAVAN... Nella fase di instabilità che caratterizza i secoli finali del Primo Impero Galattico, fermenti e turbolenza derivavano soprattutto dal fatto che i capi politici e militari si battevano e tramavano per il potere “supremo” (un primato che di decade in decade divenne sempre più inutile). Solo raramente ci fu qualcosa di paragonabile ad un movimento popolare prima dell’avvento della Psicostoria. A questo proposito, un esempio interessante ebbe come protagonista Davan, un personaggio di cui in realtà si sa poco, ma che forse incontrò Hari Seldon quando...

ENCICLOPEDIA GALATTICA

72

Hari Seldon e Venabili si erano concessi un lungo bagno, usando i servizi piuttosto “primitivi” di cui disponesse l’abitazione dei Tisalver. Si erano cambiati, e trovavano nella stanza di Seldon quando Jirad Tisalver ritornò quella sera. Il suo segnale alla porta era (sembrò) un po’ esitante. Il ronzio fu di breve durata.

Seldon aprì la porta e disse affabile: — Buona sera, signor Tisalver... Signora...

Casilia era alle spalle del marito, la fronte corrugata in un’espressione perplessa.

Tisalver esordì incerto: — Voi e la signora Venabili... state bene tutti e due? — Ed annuì, quasi volesse provocare una risposta affermativa col proprio gesto.

— Benissimo. Siamo andati e venuti da Billibotton senza problemi, e ci siamo lavati e cambiati. Non c’è più alcun odore. — Seldon alzò il mento, sorridendo, rivolgendo la frase alla signora Tisalver.

Casilia aspirò forte col naso, come se volesse fare una verifica.

Sempre esitante, Tisalver disse: — Ho sentito che ci sia stato uno scontro armato.

Seldon aggrottò le sopracciglia. — È questo che raccontano?

— Voi e la signora Venabili contro cento delinquenti, ci hanno detto... e voi li avete uccisi tutti. È vero? — Nel tono di Tisalver si coglieva una sfumatura riluttante di profondo rispetto.

— No, assolutamente — intervenne , seccata. — Assurdo. Chi credete che siamo? Degli sterminatori di folle? Secondo voi, cento delinquenti sarebbero rimasti lì con le mani in mano, in attesa di farsi uccidere da me o da noi? Perché per ucciderne tanti ci vuole parecchio tempo... Insomma, riflettete.

— In giro dicono che sia andata così — gracchiò Casilia Tisalver, caparbia. —

Non possiamo permettere cose del genere in questa casa.

— Innanzitutto — precisò Seldon — non è successo in questa casa. In secondo luogo, non erano cento uomini, erano dieci. Terzo, non è stato ucciso nessuno. C’è stato qualche alterco, dopo di che se ne sono andati e ci hanno lasciati passare.

— Vi hanno lasciati passare? Pretendete che vi creda, stranieri? — sbottò aggressiva la Tisalver.

Seldon sospirò. Alla minima tensione, gli esseri umani sembravano dividersi in gruppi antagonisti. — Be’, in effetti ammetto che uno di quegli uomini sia rimasto leggermente ferito.

— E voi non siete stati feriti? — chiese Tisalver, ammirato.

— Nemmeno un graffio — rispose Seldon. — La signora Venabili è abilissima a maneggiare due coltelli.

— Già. — Casilia fissò la cintura di . — Ed è proprio quello che qui non deve succedere.

replicò arcigna: — Infatti qui non succederà, se nessuno ci aggredirà qui.

— Ma a causa vostra — insisté la Tisalver — adesso abbiamo della sudicia feccia davanti alla nostra porta.

Il marito cercò di calmarla. — Tesoro, non facciamo arrabbiare...

— Perché? — sibilò Casilia. — Hai paura dei suoi coltelli? Mi piacerebbe vederla usare i coltelli qui.

— Non ho alcuna intenzione di usarli qui — disse , con uno sbuffo rumoroso quanto quelli della dahlita. — Cos’è questa sudicia feccia di cui parlate?

Tisalver spiegò: — Mia moglie intende dire che un monello di Billibotton...

almeno, a giudicare dal suo aspetto... vuole vedervi... e, be’, non siamo abituati a certe cose in questa zona. È dannoso per la nostra reputazione. — Aveva un tono contrito.

Seldon disse: — Allora, signor Tisalver, andremo fuori e sentiremo cosa voglia, e lo spediremo via il più presto possibile...

— No, un momento — intervenne , irritata. — Queste sono le nostre stanze.

Paghiamo l’affitto. Decidiamo noi chi ricevere o meno. Se fuori c’è un ragazzo di Billibotton, be’, è sempre un dahlita. Anzi un trantoriano. Anzi, un cittadino dell’Impero, ed un essere umano. E soprattutto, chiedendo di noi, diventa nostro ospite. Quindi, noi lo facciamo entrare.

La Tisalver non si mosse. Anche suo marito sembrava incerto.

prosegui: — Dal momento che dite che io abbia ucciso cento teppisti a Billibotton, non penserete che abbia paura di un ragazzino... o di voi due, se è per questo... — portò distrattamente la destra alla cintura.

Tisalver disse con improvviso fervore: — Signora Venabili, non intendiamo offendervi. Certo, queste stanze sono vostre, e qui potete ricevere chi vogliate. —

Arretrò, trascinando con sé la moglie indignata, in un impeto improvviso di risolutezza che probabilmente in seguito gli sarebbe costato caro.

li seguì con lo sguardo, minacciosa.

Seldon sorrise ironico. — Non è da te, . Credevo di essere io l’idealista sempre pronto a cacciarsi nei guai... e pensavo che tu fossi la persona calma e pratica sempre pronta a scongiurarli, i guai.

Lei scosse la testa. — Non sopporto che si insulti e si disprezzi un essere umano solo per via del suo gruppo di appartenenza presunto... nemmeno se si tratta di altri esseri umani. Sono queste persone rispettabili a creare i delinquenti che ci sono là fuori.

— Ed altre persone rispettabili creano queste persone rispettabili — osservò Seldon. — Queste animosità reciproche fanno parte del genere umano...

— Dunque, dovrai occupartene nella tua Psicostoria, vero?

— Certo, se mai ci sarà una Psicostoria da applicare a qualcosa. Ah, sta arrivando il monello in questione. È Raych, il che non mi sorprende.

73

Raych entrò, guardandosi intorno, visibilmente intimidito. Con l’indice destro si toccò il labbro superiore, come se si chiedesse quando avrebbe cominciato a sentire la prima peluria.

Si rivolse ad una signora Tisalver offesa e risentita, ed eseguì un goffo inchino. —

Grazie, signora. Un posticino simpatico, avete.

Poi, mentre la porta sbatteva alle sue spalle, si girò verso Seldon e sfoggiando un’aria da intenditore.

— Bel posto, ragazzi.

— Sono contento che ti piaccia — annuì Seldon. — Come hai fatto a sapere che abitavamo qui?

— Vi ho seguiti, no?.. Ehi, signora, non combattete da donna.

— Hai visto combattere molte donne? — chiese divertita.

Raych si strofinò il naso. — No, nemmeno una: quelle non portano dei coltelli veri... solo degli aggeggini piccoli per spaventare i ragazzi. Io, però, non mi sono mai lasciato spaventare da loro.

— Non ne dubito. Cosa fate per costringere le signore ad estrarre il coltello?

— Niente. Si scherza un po’. Si grida: «Ehi, bella, lasciami...». — Raych rifletté un attimo. — Niente.

disse: — Be’, con me non provarci.

— Scherzate? Dopo quello che avete fatto a Marron? Ehi, signora, dove avete imparato a combattere così?

— Sul mio mondo.

— Potreste insegnarmi?

— Sei venuto per questo?

— Be’, no. Sono venuto a portarvi un messaggio.

— Da parte di qualcuno che vuole battersi con me?

— Nessuno vuole battersi con voi. No, signora, adesso siete diventata famosa.

Tutti vi conoscono. Andate dove volete a Billibotton, e tutti si faranno da parte e vi lasceranno passare e sorrideranno e staranno attenti a non darvi il minimo fastidio.

Oh, signora, è eccezionale quello che avete fatto: ecco perché lui vuole vedervi.

Seldon disse: — Raych, chi vuole vederci?

— Un tipo che si chiama Davan.

— E chi è?

— Un tipo. Vive a Billibotton e non porta il coltello.

— E rimane vivo?

— Legge un sacco ed aiuta quelli che hanno dei guai col Governo. Così lo lasciano in pace. Non ha bisogno di coltello.

— Perché non è venuto lui di persona? — chiese . — Perché ha mandato te?

— Non gli piace questo posto. Dice che gli dà il vomito. Dice che la gente che abita qui al Governo gli lecca... — Raych s’interruppe, guardando dubbioso i due stranieri. — Comunque, lui qui non ci viene. Ha detto che mi avrebbero fatto entrare, perché sono solo un ragazzo. — Sogghignò. — C’è mancato poco che invece non mi facessero entrare, vero? Voglio dire, la signora di là... sembrava che stesse fiutando qualcosa, quella. — Di colpo, si guardò, imbarazzato. — Non è tanto facile lavarsi nel posto dove sto io.

— Non preoccuparti — gli disse sorridendo. — Se quell’uomo non vuole venire qui, dove dovremmo incontrarlo? In fin dei conti, se non ti dispiace, non è che noi abbiamo tanta voglia di tornare a Billibotton.

— Vi ho detto che potete girare liberamente a Billibotton, lo giuro — sbottò Raych indignato. — E poi, dove vive quel tipo, nessuno vi darà fastidio.

— E dove vive? — chiese Seldon.

— Posso portarvi io, là. Non è lontano.

— E come mai vuole vederci? — fece .

— Non lo so. Ma lui mi ha detto così... — Il ragazzo socchiuse gli occhi e si sforzò di ricordare. — «Digli che voglio vedere l’uomo che ha parlato con un cistermista dahlita trattandolo come un essere umano, e la donna che ha battuto Marron coi coltelli e non l’ha ucciso anche se avrebbe potuto farlo». Sì, credo che sia giusto.

Seldon sorrise. — Certo, Raych. È pronto a riceverci, lui?

— Sta aspettando.

— Allora verremo con te. — Seldon guardò con un’ombra di dubbio negli occhi.

annuì. — D’accordo. Per me va bene. Forse non sarà una trappola. Si spera sempre....

74

Quando uscirono, la luce della sera aveva una tonalità gradevole, le nubi simulate del tramonto che si inseguivano erano sfumate di viola ed avevano contorni rossi. I dahliti potevano anche lamentarsi di come fossero trattati dai governanti imperiali di Trantor, ma sicuramente non c’era nulla che non andasse nella loro situazione meteorologica computerizzata.

Sottovoce, disse: — Pare che siamo delle celebrità. Questo è certo.

Seldon smise di osservare il “cielo” e notò subito una folla piuttosto numerosa attorno all’edificio in cui abitavano i Tisalver.

Tutti li stavano fissando. Quando capirono che i due stranieri si erano accorti di essere al centro dell’attenzione, la folla fu percorsa da un mormorio che sembrò sul punto di esplodere in un’acclamazione.

disse: — Ora mi rendo conto che dev’essere una situazione seccante per la signora Tisalver. Avrei dovuto essere più comprensiva.

Per la maggior parte, i componenti della folla erano vestiti malamente; non era difficile indovinare che molte di quelle persone fossero di Billibotton.

D’impulso, Seldon sorrise ed alzò la mano in un piccolo gesto di saluto che suscitò subito degli applausi. Protetta dall’anonimato della folla, una voce chiese: —

La signora non può mostrarci qualche numero col coltello?

Quando rispose: — No, lo uso solo quando mi fanno arrabbiare —

risuonarono immediatamente delle risate.

Un uomo si fece avanti. Chiaramente non era di Billibotton, e non sembrava nemmeno un dahlita. I suoi baffi erano appena accennati, ed erano castani, non neri.

Disse: — Marlo Tanto, del Notiziario olovisivo trantoriano. Potete dedicarci qualche minuto per la nostra edizione notturna?

— No — rispose . — Niente interviste.

Il giornalista non si scompose — Mi risulta che abbiate avuto uno scontro con parecchi uomini a Billibotton... e che abbiate vinto. — Sorrise. — È una notizia, questa.

— No — disse . — Abbiamo incontrato degli uomini a Billibotton, abbiamo parlato con loro, e poi abbiamo proseguito per la nostra strada. La storia è tutta qui, e dovrete accontentarvi di questo.

— Come vi chiamate? Dall’accento non sembrate trantoriana.

— Non ho alcun nome.

— Ed il nome del vostro amico?

— Nessun nome, nemmeno lui.

Il giornalista parve seccato. — Sentite, signora. Siete sulla bocca di tutti, ed io cerco solo di fare il mio lavoro.

Raych tirò la manica di , e quando lei si chinò le mormorò concitato all’orecchio.

annuì e si drizzò. — Secondo me, non siete un giornalista, signor Tanto.

Secondo me, siete un agente imperiale che cerca di creare dei guai a Dahl. Non c’è stato alcuno scontro, e voi state cercando di inventare delle notizie a proposito di uno scontro per giustificare un intervento imperiale a Billibotton. Non starei qui se fossi in voi: non credo che siate molto simpatico a questa gente.

Alle prime parole di , la folla aveva cominciato a borbottare. Ora il vocìo era più forte e la gente stava spostandosi lentamente con fare minaccioso in direzione di Tanto. L’uomo si guardò attorno nervoso, e cominciò ad allontanarsi.

alzò la voce. — Lasciatelo andare, nessuno lo tocchi: non dategli un pretesto per denunciare un’azione violenta. — E la folla si fece da parte.

Raych disse: — Oh, signora, dovevate lasciarlo pestare un po’.

— Ragazzino sanguinario — disse — portaci da questo tuo amico.

75

Incontrarono l’uomo chiamato Davan in una stanza dietro un ristorante in rovina.

Molto dietro.

Raych li guidò, dimostrandosi ancora una volta a proprio agio nei cunicoli di Billibotton, come una talpa nel sottosuolo di Helicon.

Ad un certo punto, cauta come sempre, si fermò e chiese: — Torna qui, Raych. Si può sapere di preciso dove stiamo andando?

— Da Davan — fece il ragazzo, esasperato. — Ve l’ho detto, no?

— Ma questa è un’area abbandonata. Non ci vive nessuno qui. — si guardò attorno, l’espressione disgustata. Era una zona morta, ed i pochi pannelli luminosi che c’erano erano spenti... od emanavano un lucore fioco.

— A Davan piace così — spiegò Raych. — Cambia sempre posto... un po’ qui, un po’ là. Cambia posto, insomma.

— Perché? — chiese .

— È più al sicuro, signora.

— Da chi?

— Dal Governo.

— E perché il Governo sarebbe interessato a Davan?

— Non lo so. Sentite... Vi dico dov’è e come arrivarci, e ci andate da soli... se non volete che vi porti.

Seldon intervenne.

— No, Raych, ci perderemmo subito senza di te. Anzi, è meglio che aspetti che abbiamo finito di parlare, così poi ci riporterai indietro.

Raych disse subito: — Ed io che ci guadagno? Volete che rimanga lì senza mangiare?

— Rimani lì senza mangiare, Raych, ed io ti pagherò un bel pasto abbondante.

Quello che vuoi.

— Lo dite adesso, signore. Chi me lo assicura che sia vero?

fece scattare la mano, ed un istante dopo impugnava un coltello con la lama sguainata. — Non starai insinuando che siamo dei bugiardi, vero, Raych?

Il ragazzo spalancò gli occhi. Non sembrava spaventato dalla minaccia. — Ehi, non ho visto: rifatelo.

— Dopo... se sarai ancora qui. Altrimenti... — lo squadrò con aria sinistra —

ti verremo a scovare.

— Oh, via, signora... Non mi verrete a scovare. Non siete il tipo... Comunque, sarò qui. — Raych assunse una posa solenne. — Vi do la mia parola.

E continuò a guidarli in silenzio, mentre i loro passi risuonavano nei corridoi deserti.

Davan alzò lo sguardo quando entrarono... uno sguardo feroce che si calmò alla vista di Raych. Poi indicò i due sconosciuti, l’aria interrogativa.

Raych disse: — Sono loro. — E sorridendo, uscì.

Seldon disse: — Sono Hari Seldon. La signora è Venabili.

Osservò Davan incuriosito. Davan aveva la carnagione scura e i folti baffi neri dei maschi dahliti, però aveva anche un accenno di barba. Finora, Seldon non aveva mai visto un dahlita che non fosse rasato con cura.

Persino i teppisti di Billibotton si radevano meticolosamente le guance e il mento.

— Come vi chiamate, signore? — chiese Seldon.

— Davan. Raych ve l’avrà detto, no?

— Il vostro cognome.

— Niente. Davan, e basta. Vi hanno seguiti, signor Seldon?

— No, ne sono certo. Se qualcuno ci avesse seguiti, con la vista o con l’udito Raych se ne sarebbe accorto. E se non se ne fosse accorto Raych, l’avrebbe fatto la signora Venabili.

sorrise. — Hai fiducia in me, Hari.

— Una fiducia sempre maggiore — disse Seldon pensoso.

Davan si agitò, nervoso. — Eppure vi hanno già trovati.

— Trovati?

— Sì, ho sentito del falso giornalista.

— Già? — Seldon parve un po’ sorpreso. — Ma secondo me era davvero un giornalista... innocuo. È stato Raych a suggerirci di dire che fosse un agente imperiale... un’ottima idea: la folla si è fatta minacciosa, e ci siamo liberati di lui.

— No: era proprio un agente imperiale. La mia gente lo conosce... quello lavora davvero per l’Impero. Del resto, voi non fate quel che faccio io. Non usate un nome falso, non vivete cambiando continuamente posto. Voi girate col vostro nome, non cercate di rimanere nella clandestinità... Voi siete Hari Seldon, il matematico.

— Sì. Perché dovrei inventare un nome falso?

— L’Impero vi vuole, no?

Seldon scrollò le spalle. — Resto in posti dove l’Impero non possa raggiungermi e prendermi.

— Non apertamente, ma l’Impero non è obbligato ad agire apertamente. Io vi consiglierei di sparire dalla circolazione... sparire sul serio.

— Come voi? — Seldon si guardò attorno, provando un innegabile disgusto. La stanza era morta come i corridoi che aveva percorso poco prima. Era deprimente, e c’era un odore soffocante di chiuso.

— Sì — disse Davan. — Potreste esserci utile.

— Come?

— Avete parlato con un certo Yugo Amaryl, vero?

— Sì.

— Amaryl dice che potete predire il futuro.

Seldon sospirò. Era stanco di stare in piedi in quella stanza vuota. Davan era seduto su un cuscino, e c’erano altri cuscini lì in giro, ma non sembravano molto puliti. E Seldon non voleva nemmeno appoggiarsi alla parete striata di muffa.

Disse: — Od avete frainteso Amaryl, od Amaryl ha frainteso me. Io ho dimostrato che sia possibile scegliere una situazione di partenza da cui procedere alla previsione storica senza degenerare in una situazione caotica, ottenendo invece un quadro prevedibile entro certi limiti. Però, non so quale possa essere quella situazione di partenza, e non so nemmeno se possa essere individuata da una persona o da un numero qualsiasi di persone in un periodo di tempo che non sia infinito. Avete capito?

— No.

Seldon sospirò di nuovo. — Proviamo così... È possibile predire il futuro, ma può darsi che sia impossibile trovare il modo di sfruttare tale possibilità. Capito?

Davan fissò Seldon con aria cupa, poi fissò .

— Dunque non potete predire il futuro.

— Ecco, avete capito, signor Davan.

— Chiamatemi semplicemente Davan. Però, può darsi che un giorno riusciate a trovare il modo di predire il futuro.

— Non è escluso.

— Ecco perché l’Impero vi vuole, allora.

— No — disse Seldon alzando un dito. — Secondo me, è per questo che l’Impero non stia compiendo uno sforzo massiccio per catturarmi. Forse gli piacerebbe avermi, se fosse possibile prendermi senza problemi, ma sanno che adesso io non ho in mano nulla di concreto e che quindi non vale la pena di sconvolgere il delicato equilibrio di pace di Trantor interferendo nei diritti locali di questo o di quel Settore. Ecco perché posso andare in giro usando il mio nome con una discreta sicurezza.

Per un attimo, Davan si portò le mani al volto e mormorò: — È una pazzia. — Poi alzò lo guardò stancamente e si rivolse a . — Voi siete la moglie del signor Seldon?

rispose calma: — Sono la sua amica e la sua protettrice.

— Lo conoscete bene?

— Siamo insieme da qualche mese.

— Appena?

— Appena.

— Secondo voi, sta dicendo la verità?

— Certo. Ma come potete fidarvi di me se non vi fidate di lui? Se Hari, per qualche motivo, stesse mentendo, potrei mentire anch’io per appoggiarlo, no?

Davan guardò i due, impotente. Poi disse: — In ogni caso, ci aiutereste?

— Aiutare chi? Ed in che modo?

Davan disse: — Vedete la situazione che c’è a Dahl. Siamo oppressi. Non potete non saperlo, e da come avete trattato Yugo Amaryl non posso credere che non siate solidali con noi.

— Siamo pienamente solidali.

— E conoscerete senz’altro la fonte dell’oppressione.

— Se vi riferite al Governo imperiale, sì, immagino che c’entri in parte. D’altro canto, ho notato che a Dahl c’è una classe media che disprezza i cistermisti, ed una classe criminale che terrorizza il resto del settore.

Davan strinse le labbra, ma rimase impassibile. — Vero. Verissimo. Ma l’Impero incoraggia questa situazione. Dahl potenzialmente può creare guai seri: se i cistermisti dichiarassero uno sciopero, Trantor si troverebbe subito a corto di energia, con tutte le conseguenze immaginabili. Ma le classi alte di Dahl sono sempre pronte ad assoldare i delinquenti di Billibotton, e di altri posti, per attaccare i cistermisti ed interrompere lo sciopero. È già successo. L’Impero permette ad alcuni dahliti di prosperare, relativamente, per trasformarli in lacchè imperialisti, e nel medesimo tempo si rifiuta di applicare seriamente la legge sul controllo delle armi per non indebolire troppo la criminalità. Il Governo imperiale lo fa dappertutto, non solo a Dahl. Non può ricorrere alla forza per imporre la sua volontà, come faceva in passato, quando governava in modo diretto e brutale. Oggi, Trantor è diventato così complesso e così instabile che le forze imperiali devono tenere le mani alla larga da...

— Una forma di degenerazione — commentò Seldon, ricordando le lamentele di Hummin.

— Cosa? — disse Davan.

— Nulla. Continuate.

— Le forze imperiali devono restarsene con le mani tranquille e bene in vista... ma anche così riescono a fare parecchio. Ogni settore è incoraggiato a diffidare dei suoi vicini. In ogni settore, le classi sociali ed economiche vengono incoraggiate a combattere tra loro. Risultato, su Trantor il popolo non ha la possibilità di intraprendere un’azione unitaria. Dappertutto, le persone preferiscono lottare tra loro piuttosto che schierarsi unite contro la tirannia centrale, e l’Impero governa senza dover ricorrere alla forza.

— Ed a vostro giudizio cosa si può fare? — chiese .

— Sono anni che cerco di creare un sentimento di solidarietà tra le genti di Trantor.

— Un compito ingrato e difficilissimo, immagino — osservò Seldon, un po’

ironico.

— Supposizione corretta — annuì Davan. — Ma il nostro gruppo sta rafforzandosi. Molti nostri “duri” cominciano a rendersi conto che i coltelli sia meglio non usarli per farsi del male a vicenda. Quelli che vi hanno attaccati a Billibotton sono uomini che non si sono ancora convertiti. Comunque, le persone pronte a difendervi dall’agente che voi credevate un giornalista fanno parte del mio gruppo. Io vivo qui, tra loro. Non è una vita piacevole, però qui sono al sicuro.

Abbiamo sostenitori anche nei Settori vicini, e ci espandiamo sempre più.

— Ma noi come c’entriamo? — chiese .

— Innanzitutto, siete due stranieri, due studiosi. Abbiamo bisogno di persone come voi tra i nostri capi. Il grosso delle forze di cui disponiamo è costituito dai poveri e dagli incolti, perché sono le categorie che soffrono di più, però sono le persone meno capaci di guidare gli altri: uno di voi due vale cento di loro.

— Strana valutazione, da parte di uno che vuole liberare gli oppressi — osservò Seldon.

— Non mi riferisco al valore della persona — specificò subito Davan. — Mi riferisco alle capacità di organizzazione e di comando. Il partito deve avere tra i suoi capi uomini e donne di una certa levatura intellettuale.

— Cioè, delle persone come noi sono necessarie per dare al vostro partito una facciata di rispettabilità.

Davan disse: — Si può sempre esprimere qualcosa di nobile in modo beffardo, volendo. Comunque, signor Seldon, voi siete rispettabilissimo e di doti intellettuali notevolissime. Anche se non ammettete di essere in grado di penetrare le nebbie del futuro...

— Per favore, Davan, non siate poetico, e lasciate perdere le espressioni dubitative. Non è questione di ammettere o meno: io non posso prevedere il futuro.

Non sono nebbie quelle che ostacolano la mia visuale, sono barriere di acciaio.

— Lasciatemi finire. Anche se non siate in grado di fare previsioni rigorose con precisione... com’è il termine che usate?.. ah, precisione psicostorica, avete studiato la storia, quindi dovreste avere certe doti intuitive riguardo gli sviluppi possibili. Non è così?

Seldon scosse la testa. — Forse avrò una certa conoscenza intuitiva delle probabilità matematiche, ma non so fino a che punto possa tradurla in elementi di rilevanza storica. In realtà, non ho studiato la storia. Magari l’avessi fatto: è una lacuna di cui mi rammarico parecchio.

— Sono io l’esperta di storia — intervenne . — E se volete, posso dire alcune cose.

— Prego — fece Davan, il tono garbato ma in parte di sfida.

— Innanzitutto, nella storia galattica ci sono state molte rivoluzioni che hanno rovesciato una tirannia, a volte su singoli pianeti, a volte in gruppi di pianeti, di tanto in tanto nell’Impero stesso o nei governi regionali pre-imperiali. Spesso, si è avuto soltanto un cambio di tirannia. In altre parole, una classe dirigente viene sostituita da un’altra, a volte da una più efficiente e quindi più capace di conservare il potere, ed i poveri e gli oppressi rimangono poveri ed oppressi o precipitano in una situazione anche peggiore.

Davan, ascoltando con estrema attenzione, disse: — Lo so, lo sappiamo tutti.

Forse la lezione del passato potrà insegnarci cosa evitare. E poi, la tirannia che c’è adesso è reale, quella che potrebbe esistere in futuro è solamente potenziale. Non possiamo sottrarci sempre ai cambiamenti pensando che la situazione potrebbe cambiare in peggio, altrimenti addio speranza di riuscire un giorno a sconfiggere l’ingiustizia.

disse: — Secondo punto da tenere presente... anche se siete nel giusto, anche se la voce della giustizia grida vendetta, di solito l’equilibrio delle forze pende dalla parte della tirannia al potere. Con le dimostrazioni e le rivolte dei vostri “duri” armati di coltello si può ottenere ben poco, finché ci sia un esercito dotato di armi cinetiche, chimiche e neuroniche pronto ad usarle contro la vostra gente in una situazione di emergenza.

«D’accordo avere dalla vostra parte tutti gli oppressi e persino tutte le persone rispettabili, ma in qualche modo bisogna anche convertire alla causa le forze di sicurezza e l’esercito imperiale... od almeno minare seriamente la loro fedeltà verso i governanti.

Davan disse: — Trantor è un mondo decentrato, con molti apparati governativi.

Ogni settore ha un apparato proprio, ed alcuni governi locali sono anti-imperialisti.

Con un settore forte dalla nostra parte, la situazione cambierebbe, no? Non saremmo più straccioni che combattono armati di coltelli e sassi.

— Avete davvero l’appoggio di un settore potente, o è soltanto una vostra ambizione?

Davan tacque.

disse: — Immagino che stiate pensando al Sindaco di Wye... sì, supponiamo che sia così. Se il Sindaco volesse sfruttare il malcontento popolare per avere più probabilità di rovesciare l’Imperatore, stando alla logica il suo obiettivo dovrebbe essere quello di salire al trono imperiale, non vi pare? Perché il Sindaco dovrebbe rischiare di perdere la posizione che occupa attualmente per un obiettivo minore?

Solo per un ideale di giustizia, solo perché viene trattata indecentemente della gente che in fondo non può interessargli granché?

— In pratica state dicendo che un capo potente disposto ad aiutarci potrebbe tradirci — osservò Davan.

— È una situazione fin troppo comune nella storia galattica.

— Ma sapendo in anticipo una cosa del genere, potremmo essere noi a tradirlo, no?

— Cioè, vi servireste di lui fino ad un certo punto per poi intervenire e farlo assassinare, magari facendo pressioni su qualche membro importante del suo gruppo di potere?

— Non proprio così, forse... però in caso di necessità un modo per liberarci di lui ci sarebbe.

— In tal caso, avremmo un movimento rivoluzionario in cui i protagonisti principali dovrebbero essere pronti a tradirsi l’un l’altro, ognuno aspettando semplicemente l’occasione giusta. Mi sembra la ricetta migliore per una situazione caotica.

— Non ci aiuterete, allora? — fece Davan.

E Seldon, che aveva seguito perplesso la conversazione tra Davan e , disse:

— Non è così semplice. Ci piacerebbe aiutarvi. Siamo dalla vostra parte. Nessun uomo sano di mente può appoggiare un sistema imperiale che si regga stimolando l’odio ed il sospetto reciproco. Anche se sembra che funzioni, il sistema può essere descritto solo come metastabile, cioè, troppo soggetto a scivolare nell’instabilità in una direzione o nell’altra.

«Il problema è: come possiamo aiutarvi? Se avessi la Psicostoria, se potessi indicarvi gli sviluppi più probabili, o se potessi indicarvi quale azione, tra un numero di alternative possibili, avrebbe più probabilità di portare ad esiti favorevoli, ebbene, mi metterei volentieri a vostra disposizione... Purtroppo, non ho la Psicostoria.

L’aiuto maggiore che posso darvi è cercare di sviluppare la Psicostoria.

— E quanto ci vorrà?

Seldon si strinse nelle spalle. — Non sono in grado di dirlo.

— Non potete chiederci di aspettare indefinitamente!

— Che alternativa ho, dal momento che adesso non vi sarei di alcuna utilità? Ma vi dirò una cosa... Fino a non molto tempo fa ero convinto che sviluppare la Psicostoria fosse impossibile: ora non sono più tanto convinto.

— Cioè avete in mente una soluzione?

— No, ho solo una sensazione intuitiva che una soluzione sia forse possibile. Non sono riuscito ad individuare da cosa sia stata provocata questa sensazione. Può darsi che sia un’illusione, comunque ci sto provando. Lasciatemi continuare a provare...

Forse ci incontreremo ancora.

Davan disse: — O forse se ritornerete dove state adesso, alla fine vi ritroverete in trappola. Voi pensate che l’Impero vi lascerà in pace finché lavorerete alla Psicostoria, ma io sono sicuro che l’Imperatore ed il suo lecca-piedi Demerzel non abbiano voglia di aspettare in eterno, proprio come me.

— La fretta non gli servirà a nulla — replicò calmo Seldon — dal momento che non sono dalla loro parte, bensì dalla vostra... Andiamo, .

Si voltarono e si allontanarono da Davan, lasciandolo solo nella squallida stanza, e all’esterno trovarono Raych che li attendeva.

76

Raych stava mangiando, leccandosi le dita, appallottolando il sacchetto che aveva contenuto il cibo. Nell’aria ristagnava un forte odore di cipolle... diverso, in qualche modo... forse dipendeva da qualche sostanza fermentante.

Scostandosi leggermente per sottrarsi all’odore, chiese: — Dove hai preso la cena, Raych?

— I ragazzi di Davan. Me l’hanno portata loro: Davan è un tipo a posto.

— Allora non dobbiamo pagarti alcun pasto, vero? — disse Seldon, pensando al proprio stomaco vuoto.

— Mi dovete qualcosa! — esclamò Raych, lanciando un’occhiata avida in direzione di . — Uno dei coltelli della signora, per esempio.

— Niente coltello — fece . — Riportaci indietro e ti darò cinque crediti.

— Con cinque crediti non ci compro alcun coltello.

— Avrai solo cinque crediti.

— Siete una signora disgustosa — sbottò Raych.

— Sono una signora disgustosa svelta di coltello, Raych, quindi... cammina.

— D’accordo, non scaldatevi. — Raych agitò una mano. — Da questa parte.

Ripercorsero i corridoi deserti ma , guardandosi attorno, ad un certo punto si fermò. — Fermo, Raych. Ci stanno seguendo.

Raych sembrò esasperato. — Ma non dovreste sentirli!

Seldon piegò la testa di lato. — Io non sento nulla.

— Io, sì — disse . — Bene, Raych, niente sciocchezze. Dimmi subito cosa stia succedendo, altrimenti prenderai tante botte in testa che vedrai storto per una settimana. Non scherzo!

Raych alzò un braccio, assumendo una posa difensiva. — Provateci. Provateci, signora... Sono i ragazzi di Davan. Stanno solo proteggendoci, caso mai dovesse arrivare qualche duro.

— I ragazzi di Davan?

— Già. Sono nei corridoi di servizio.

, all’improvviso, afferrò Raych per la collottola e lo sollevò da terra.

— Ehi, signora. Ehi! — sbraitò il ragazzo, penzolando.

— ! Non essere dura con lui — intervenne Seldon.

— Sarò ancora più dura se penserò che menta: io devo badare a te, Hari, non a lui.

— Non sto mentendo — protestò Raych, dimenandosi.

— Sono certo che non menta — disse Seldon.

— Be’, lo vedremo. Raych, di’ a quei tipi di uscir fuori in modo che possiamo vederli. — lasciò andare il ragazzo e si spolverò le mani.

— Siete un po’ matta, signora — fece Raych offeso. Poi alzò la voce. — Yay, Davan! Venite fuori... qualcuno venga qui!

Una breve attesa, poi da un’apertura non illuminata lungo il corridoio sbucarono due uomini dai baffi scuri, uno con una cicatrice che gli attraversava tutta una guancia: entrambi brandivano un coltello.

— Quanti altri ce ne sono oltre a voi due? — chiese brusca .

— Un po’ — rispose uno. — Ordini. Vi stiamo scortando. Davan vuole che non vi succeda niente.

— Grazie. Cercate di essere ancor più silenziosi...

Raych disse imbronciato: — Mi avete maltrattato, ed io dicevo la verità.

— Hai ragione — ammise . — Almeno, penso che tu abbia ragione... e mi scuso.

— Non so se debba accettare le vostre scuse — fece impettito il ragazzo. — Be’, d’accordo... solo per questa volta. — E riprese a camminare.

Quando raggiunsero la strada, il drappello invisibile di guardie svanì. Almeno, neppure riuscì più a sentirle. Ormai, comunque, stavano entrando nella parte rispettabile del settore.

disse meditabonda: — Non credo che abbiamo dei vestiti che ti vadano bene, Raych.

Il ragazzo chiese: — Perché vi servono dei vestiti che mi vadano bene, signora?

(Raych sembrava più rispettoso una volta fuori dai corridoi.) — Io li ho, i vestiti.

— Pensavo che ti sarebbe piaciuto venire nel nostro alloggio e fare un bagno.

— E perché? Uno di questi giorni mi laverò. E metterò l’altra maglietta. — Raych guardò , l’espressione scaltra. — Siete dispiaciuta per avermi maltrattato, vero?

E state cercando di fare la pace, eh?

sorrise. — Sì. Più o meno.

Raych agitò una mano con fare altezzoso. — Non è successo nulla. Non mi avete fatto male. Ehi, siete forte per essere una signora. Mi avete sollevato come se fossi aria.

— Ero irritata, Raych. Devo preoccuparmi del signor Seldon.

— Siete la sua guardia del corpo? — Il ragazzo lanciò un’occhiata interrogativa a Seldon. — Avete una signora come guardia del corpo?

— Non posso farci nulla — si giustificò Seldon con un sorriso forzato. — Lei insiste. E quel che è certo è che sappia fare bene il suo lavoro.

disse: — Pensaci bene, Raych. Sicuro di non voler fare un bagno? Un bel bagno caldo?

Raych rispose: — Impossibile. Credete che quella donna mi lascerà entrare ancora in casa?

alzò lo sguardo e vide Casilia Tisalver di fronte alla porta d’ingresso del complesso di appartamenti, che fissava prima lei e poi il ragazzino dei bassifondi.

Era impossibile stabilire a chi dei due avesse rivolto l’occhiata più rabbiosa.

Raych li salutò. — Be’, ci vediamo, signore... signora. Magari quella non farà entrare nemmeno voi. — Mise le mani in tasca e si allontanò ostentando un’aria disinvolta ed indifferente.

Seldon disse: — Buonasera, signora Tisalver. Piuttosto tardi, vero?

— È molto tardi — replicò la donna. — Oggi di fronte a questo complesso per poco non c’è stata una sommossa, a causa di quel giornalista contro cui avete aizzato la feccia.

— Noi non abbiamo aizzato nessuno contro nessuno — disse .

— Ero presente — ribatté la Tisalver, intransigente. — Ho visto tutto. — Si scostò per lasciarli entrare, ma indugiò parecchi attimi per esprimere in modo inequivocabile la propria riluttanza.

— Da come si comporta, si direbbe che l’episodio di oggi sia stato la classica ultima goccia per lei — osservò mentre salivano nelle loro stanze.

— E allora? Cosa può fare? — chiese Seldon.

— Chissà....

Agenti

RAYCH... Secondo Hari Seldon, l’incontro iniziale con Raych fu del tutto casuale.

Raych era semplicemente un monello dì strada al quale Seldon avesse chiesto indicazioni. Ma la sua vita da quel momento, continuò ad essere intrecciata con quella del grande matematico fino...

ENCICLOPEDIA GALATTICA

77

La mattina dopo, vestito dalla cintola in giù, dopo essersi lavato e rasato, Seldon bussò alla porta della stanza adiacente di e disse sottovoce: — Apri, .

aprì. I suoi riccioli corti rosso-oro erano ancora bagnati, ed anche lei era vestita solo dalla cintola in giù.

Seldon arretrò imbarazzato. si guardò indifferente il seno ed avvolse un asciugamano attorno alla testa. — Che c’è? — chiese.

Guardando a destra, Seldon disse: — Volevo chiederti di Wye.

— Di che? E per l’amore del cielo, non farmi parlare al tuo orecchio. Sicuramente, non sei vergine.

Seldon replicò offeso: — Cercavo solo di essere educato. Se a te non dà fastidio, per me non c’è proprio alcun problema. E stavo chiedendoti di Wye. Il settore... Il Settore di Wye.

— Perché ti interessa?

— Perché ogni tanto sento parlare di Wye... del Sindaco di Wye, per la precisione.

Hummin ne ha parlato, tu anche, Davan pure. Ed io non so nulla, né del Settore né del Sindaco.

— Sono straniera come te, Hari. So pochissime cose, comunque te le dico volentieri. Wye è vicino al polo sud... è un settore piuttosto grande, molto popoloso...

— Molto popoloso al polo sud?

— Hari, non siamo su Helicon, o su Cinna. Siamo su Trantor. È tutto sotterraneo, e stare nel sottosuolo ai poli od all’equatore più o meno è la stessa cosa. Certo, immagino che a Wye seguano una fase diurna e notturna molto accentuata, giorni lunghi in estate, notti lunghe d’inverno... la situazione esistente in superficie, circa.

Una semplice affettazione; quelli sono orgogliosi della loro “polarità”.

— Sulla loro Faccia superiore, però, dev’esserci molto freddo.

— Oh, sì. La Faccia superiore di Wye è tutta neve e ghiaccio, ma non è uno strato spesso come potresti pensare. Se lo fosse, potrebbe spaccare le cupole, invece non è così... e questo fatto è alla base della potenza di Wye.

si girò verso lo specchio, tolse la salvietta dalla testa e posò la reticella asciugatrice sui capelli, che in pochi secondi brillarono. — Non immagini quanto sia contenta di non portare più una guaina cranica — disse, e finì di vestirsi.

— Cosa c’entra lo strato di ghiaccio con la potenza di Wye?

— Pensaci. Quaranta miliardi di persone usano parecchia energia, ed ogni caloria alla fine degenera in calore che deve essere scaricato. Viene convogliato ai poli, soprattutto al polo sud, che è il più sviluppato dei due, e viene scaricato nello spazio.

Scioglie gran parte del ghiaccio, e secondo me si spiegano così le nubi e le piogge di Trantor, anche se gli esperti di meteorologia sostengono che la situazione non sia così semplice.

— E Wye impiega l’energia prima di scaricarla?

— Può darsi. Tra parentesi, non ho la più pallida idea della tecnologia impiegata per scaricare il calore, comunque non sto parlando di potenza in senso energetico, sto parlando di potere politico. Se Dahl smettesse di produrre energia, si creerebbe certamente una situazione di disagio per Trantor, però ci sono altri settori che producano energia e che potrebbero aumentare la produzione, e naturalmente ci sono vari tipi di riserve energetiche. Alla fine, il problema rappresentato da Dahl andrebbe risolto, però ci vorrebbe tempo. Wye, d’altra parte...

— Sì?

— Be’, Wye scarica almeno il novanta per cento di tutto il calore prodotto su Trantor, e nel suo ruolo è insostituibile. Se Wye dovesse interrompere la sua emissione di calore, la temperatura comincerebbe a salire su tutto Trantor.

— Anche a Wye.

— Ah, ma dato che è al polo sud, Wye può disporre di un afflusso di aria fredda.

Non servirebbe a molto, ma Wye resisterebbe più a lungo del resto di Trantor.

Conclusione, Wye è un problema molto delicato per l’Imperatore, e il Sindaco di Wye è... o almeno, può essere... estremamente potente.

— E che tipo di persona è l’attuale Sindaco di Wye?

— Non lo so. Stando a quanto abbia sentito, dovrebbe essere un individuo molto vecchio che viva appartato, ma duro come lo scafo di un’ipernave e tuttora impegnato in abili manovre per la conquista del potere.

— Perché lo farebbe? Se è tanto vecchio, non potrebbe detenerlo a lungo, il potere.

— Chissà, Hari? Un’ossessione che dura da una vita, suppongo. Od il gioco stesso... manovrare per la conquista del potere, senza desiderarlo veramente.

Probabilmente se lo conquistasse e prendesse il posto di Demerzel o salisse addirittura al trono imperiale, si sentirebbe deluso, perché il gioco sarebbe finito.

Certo, se rimanesse in vita, potrebbe iniziare il gioco successivo... quello di conservare il potere è un gioco che potrebbe rivelarsi altrettanto difficile e gratificante.

Seldon scosse la testa. — Mi pare assurdo che si possa desiderare il ruolo di Imperatore.

— Una persona sana di mente non può desiderarlo, sono d’accordo. Ma la smania imperiale, come spesso viene definita, è una specie di malattia, che una volta presa sconvolge l’equilibrio mentale. E più si è in alto sulla scala gerarchica, più aumentano le probabilità di contrarre la malattia. Ad ogni promozione....

— La malattia si aggrava. Sì, me ne rendo conto. Però mi sembra anche che l’incapacità dell’Imperatore di governare sia dovuta in gran parte al fatto che Trantor sia un mondo enorme, troppo interdipendente in quanto a bisogni e troppo conflittuale in quanto ad ambizioni. Perché l’Imperatore non lascia Trantor e si stabilisce su un mondo meno complicato?

rise. — Non faresti una domanda del genere se conoscessi la storia. Trantor è l’Impero attraverso migliaia di anni di tradizione. Un imperatore che non risieda nel Palazzo Imperiale non è l’Imperatore. L’Imperatore è un luogo, ancor prima di essere una persona.

Seldon rimase in silenzio, l’espressione assorta, e dopo un po’ domandò: —

Che c’è, Hari?

— Sto riflettendo... Da quando mi hai raccontato quella storia della mano sulla coscia, mi è capitato di pensare fugacemente che... Adesso, la tua osservazione sul fatto che l’Imperatore sarebbe un luogo più che una persona, be’, ho l’impressione che abbia messo in moto qualcosa nella mia mente....

— Cosa?

Seldon scosse la testa. — Sto ancora pensando. Forse mi sbaglio completamente.

— Mise a fuoco lo sguardo, fissando . — In ogni caso, dovremmo scendere a fare colazione. Siamo in ritardo, e non credo che la signora Tisalver sia di umore abbastanza buono da provvedere al servizio in camera.

— Ottimista. Secondo me, non è di umore abbastanza buono da volerci ancora qui... colazione o no. Per me, la Tisalver vuole che ce ne andiamo.

— Può darsi, ma noi la paghiamo.

— Già, ma ho il sospetto che ormai ci detesti abbastanza da infischiarsene dei nostri crediti.

— Forse suo marito vede ancora di buon occhio l’affitto.

— Dubito che abbia il coraggio di parlare, Hari, e se lo facesse sarei sorpresa quasi quanto sua moglie... Bene, sono pronta.

Quando scesero le scale per raggiungere la parte d’appartamento occupata dai Tisalver, Casilia Tisalver li stava aspettando... senza colazione, ma con qualcos’altro, e di notevole anche.

78

Casilia Tisalver se ne stava impalata con un sorriso arcigno sulla faccia paffuta ed uno scintillio negli occhi.

Suo marito era appoggiato alla parete, l’aria malinconica. Al centro della stanza c’erano due uomini, in piedi, rigidi e impettiti, come se avessero notato i cuscini sul pavimento ma disprezzassero certe cose.

Stando ai riccioli ed ai baffi neri, doveva trattarsi di due dahliti. Entrambi erano magri, ed indossavano indumenti scuri identici: uniformi, senza dubbio. C’era un sottile fregio bianco sulle spalle e lungo i lati delle gambe dei calzoni tubolari. Tutti e due avevano sul petto, a destra, l’Astronave ed il Sole, simbolo dell’Impero Galattico su tutti i mondi abitati della Galassia; in questo caso, al centro del sole spiccava una

“D” scura.

Seldon capì subito che erano due membri delle forze di sicurezza di Dahl.

— Che c’è? — chiese arcigno.

Uno degli uomini avanzò. — Sono l’agente di settore Lanel Russ. Questo è il mio collega, Gebore Astinwald.

Entrambi mostrarono delle luccicanti olopiastrine di riconoscimento. Seldon non si prese la briga di guardarle. — Cosa volete?

Russ chiese pacato: — Siete voi Hari Seldon, di Helicon?

— Sì.

— E voi siete Venabili, di Cinna, signora?

— Sì — rispose .

— Sono qui per indagare in seguito ad una denuncia in base alla quale un certo Hari Seldon ieri avrebbe provocato un tumulto di folla.

— Non ho fatto niente del genere — disse Seldon.

— Stando alle nostre informazioni — continuò Russ, controllando sullo schermo di un minicomputer — avete accusato un giornalista di essere un agente imperiale, istigando così la folla ad aggredirlo.

intervenne. — Sono stata io a dire che fosse un agente imperiale, agente.

Pensavo che lo fosse. Mi pare che non sia un reato esprimere la propria opinione.

Nell’Impero esiste la libertà di parola.

— Una libertà che non è più valida quando un’opinione viene espressa volutamente per provocare un tumulto.

— E chi vi dice che sia andata così, agente?

A questo punto, la signora Tisalver intervenne con voce stridula. — Io posso dirlo, agente! Lei ha visto quella folla presente, gente di infimo livello che era lì apposta in cerca di guai. Ha detto che quell’uomo fosse un agente imperiale, volutamente, anche se non potesse saperlo. Lo ha gridato alla folla, per incitarla ad un’aggressione. Era chiaro che sapeva quel che stesse facendo.

— Casilia — disse il marito, supplichevole, ma lei lo zittì con uno sguardo.

Russ si rivolse alla Tisalver. — Siete stata voi a sporgere denuncia, signora?

— Sì. Questi due vivono qui da alcuni giorni, e non hanno fatto che creare dei guai. Hanno invitato nel mio appartamento individui malfamati, rovinando la mia reputazione agli occhi dei vicini.

— Agente — chiese Seldon — è contro la legge invitare nella propria stanza dei tranquilli cittadini di Dahl? Le due stanze di sopra sono nostre: le abbiamo affittate e paghiamo l’affitto. È un reato parlare con dei dahliti a Dahl, agente?

— No — rispose Russ. — La denuncia non riguarda questo. Signora Venabili, come mai avete pensato che la persona da voi accusata fosse un agente imperiale?

spiegò: — Aveva baffi molto piccoli, castani per cui ho concluso che non fosse un dahlita. Ed ho presunto che fosse un agente imperiale.

— Avete “presunto”? Il vostro amico, il signor Seldon, non ha affatto i baffi.

Presumete che sia un agente imperiale?

— In ogni caso — si affrettò a precisare Seldon — non c’è stato alcun tumulto.

Abbiamo invitato la folla a lasciar stare il presunto giornalista, e sicuramente la folla non l’ha neppure sfiorato.

— Ne siete sicuro, signor Seldon? — chiese Russ. — Stando alle nostre informazioni, vi siete allontanati subito dopo la vostra accusa. Se non eravate presente, com’è possibile che abbiate assistito a quanto sia successo in seguito?

— Non ho assistito, infatti... Ma sentiamo un po’... Quell’uomo è morto? È stato ferito?

— È stato interrogato: nega di essere un agente imperiale, ed a noi non risulta che lo sia. Sostiene inoltre di essere stato maltrattato.

— Può darsi benissimo che menta su entrambe le cose — disse Seldon. — Io suggerirei una Sonda Psichica.

— Non si può utilizzare con la vittima di un reato. — replicò Russ. — Il Governo del Settore su questo non transige. Si potrebbe usare con voi due, in quanto autori del reato: volete che vi sottoponiamo ad una Sonda Psichica?

Seldon e si scambiarono un’occhiata. Poi Seldon rispose: — No, certo che no.

— Certo che no — ripeté Russ, con una punta di sarcasmo. — Però non esitate a suggerirne l’impiego con qualcun altro.

L’altro agente, Astinwald, che finora non aveva aperto bocca, sorrise.

Russ disse: — Inoltre, stando alle nostre informazioni, due giorni fa a Billibotton siete stati protagonisti di una rissa, coltello alla mano, ed avete ferito seriamente un cittadino dahlita di nome... — premette un tasto del minicomputer e studiò la nuova pagina sullo schermo — Elgin Marron.

— Le vostre informazioni dicono come sia iniziata la rissa? — chiese .

— Per il momento, questo particolare è irrilevante. Negate che quella rissa sia avvenuta?

— Certo che non lo neghiamo — fece Seldon, infervorandosi. — Ma neghiamo di averla provocata noi: siamo stati aggrediti. Quel Marron ha aggredito la signora Venabili, ed era chiaro che intendesse violentarla. Quel che è successo in seguito è stata un’azione di legittima difesa. O Dahl non punisce la violenza carnale?

In tono piuttosto piatto, Russ disse: — Sostenete di essere stati aggrediti? Da quante persone?

— Dieci uomini.

— E voi, da solo... con una donna... vi siete difeso lottando contro dieci uomini?

— La signora Venabili ed io ci siamo difesi. Sì.

— Come mai, allora, nessuno di voi sembra avere riportato qualche danno fisico?

Avete tagli o contusioni in qualche punto coperto dai vestiti?

— No, agente.

— Un uomo ed una donna contro dieci uomini, e voi non avete la minima ferita, mentre il querelante, Elgin Marron, è stato ricoverato all’ospedale con ferite multiple e dovrà essere sottoposto ad un trapianto di pelle al labbro superiore... come lo spiegate?

— Ci siamo battuti bene — rispose truce Seldon.

— Incredibilmente bene. Cosa direste se vi dicessi che tre uomini hanno testimoniato che voi due abbiate aggredito Marron senza alcuna provocazione?

— Direi che è un’assurdità bella e buona. Sicuramente, quel Marron avrà parecchi precedenti per risse ed accoltellamenti. Erano in dieci... È evidente che sei si siano rifiutati di giurare il falso. Gli altri tre non spiegano come mai non siano accorsi in aiuto del compagno quando lo abbiamo visto aggredire senza motivo e in pericolo di vita? Deve essere ovvio anche per voi che quelli mentano.

— Suggerite la Sonda Psichica per loro?

— Sì. E prima che me lo chiediate... no, noi continuiamo a rifiutarla.

Russ disse: — Inoltre, a quanto ci risulti, ieri, dopo avere lasciato la scena del tumulto, avete incontrato un certo Davan, un noto sovversivo ricercato dalle forze di sicurezza. È vero?

— Questo dovrete dimostrarlo senza il nostro aiuto — replicò Seldon. — Non intendiamo rispondere ad altre domande.

Russ mise via il minicomputer. — Mi spiace, ma devo chiedervi di seguirci al comando per essere interrogati ulteriormente.

— Non penso sia necessario, agente — disse Seldon. — Siamo stranieri che non hanno commesso alcun reato. Abbiamo cercato di sottrarci ad un giornalista che ci stava importunando, abbiamo cercato di difenderci da un tentativo di violenza carnale e forse di omicidio, da un’aggressione avvenuta in una zona del settore nota per la sua criminalità, ed abbiamo parlato con vari cittadini dahliti. Ci pare che in tutto questo non ci sia nulla che giustifichi un ulteriore interrogatorio. Sarebbe solo un atto classificabile come “molestie”.

— Questo lo decidiamo noi — fece Russ. — Volete seguirci?

— No — rispose .

— Attenzione! — strillò la Tisalver. — Ha due coltelli!

Russ sospirò. — Grazie, signora. Ma lo so che è armata. — Si rivolse a . —

Lo sapete che in questo settore è un reato grave portare un coltello senza un apposito permesso? Lo avete?

— No, agente, non ho alcun permesso.

— Dunque, è ovvio che abbiate aggredito Marron con un coltello illegale, vero?

Vi rendete conto che questo fa aumentare notevolmente la gravità del reato?

— Non c’è stato alcun reato, agente — protestò . — Anche Marron aveva un coltello, ed era senza permesso, ne sono certa.

— Non abbiano prove a questo proposito, e mentre Marron presenta delle ferite da coltello, voi due non avete un graffio.

— Ma certo che aveva un coltello, agente. Se non sapete che tutti gli uomini di Billibotton, e la maggior parte dei dahliti, portino il coltello, probabilmente senza permesso, be’, siete l’unico a non saperlo a Dahl. Dappertutto, qui, ci sono negozi che vendono tranquillamente coltelli di ogni genere. Non lo sapete?

Russ ribatté: — Quello che io sappia od ignori non ha importanza in questo caso.

Se ci sono altre persone che infrangano la legge, siano una o mille, non ha importanza. In questo momento l’unica cosa che ha importanza è che la signora Venabili stia violando la legge che proibisce di portare il coltello. Devo chiedervi di consegnarmi subito quei coltelli, signora, dopo di che tutti e due mi seguirete al comando.

— Se volete i coltelli, venite a prenderli — disse .

Russ sospirò. — Signora, non penserete che i coltelli siano le sole armi esistenti a Dahl, o che io debba necessariamente lottare con voi? Il mio compagno ed io abbiamo dei disintegratori che vi distruggeranno in un attimo, prima che riusciate ad abbassare le mani alla cintura... per quanto possiate essere rapida. Non useremo i disintegratori, naturalmente, dato che non siamo qui per uccidervi. Però, tutti e due abbiamo anche una frusta neuronica, che possiamo utilizzare senza problemi. Spero che non vogliate una dimostrazione. La frusta neuronica non vi ucciderà, non provocherà alcuna lesione permanente, né lascerà alcun segno... però è dolorosissima.

Il mio collega vi sta tenendo sotto tiro con una frusta neuronica in questo momento. E

qui c’è la mia... Bene, consegnatemi i vostri coltelli, signora Venabili.

Un attimo di silenzio, poi Seldon disse: — È inutile, . Daglieli.

In quel mentre risuonò un battito frenetico alla porta, e si udì una voce acuta che gridava concitata.

79

Raych non aveva abbandonato del tutto la zona dopo averli riaccompagnati.

Aveva mangiato bene, mentre aspettava che terminasse il colloquio con Davan, poi aveva dormito un po’, dopo avere trovato un bagno grosso modo funzionante.

Non aveva un posto vero e proprio dove andare, ora che la sua giornata era finita.

Aveva una specie di casa, ed una madre che difficilmente si sarebbe preoccupata se fosse rimasto via per qualche tempo. Non si preoccupava mai, quella.

Raych non sapeva chi fosse suo padre, ed a volte si chiedeva se ne avesse davvero uno. Gli avevano detto che un padre dovesse averlo per forza, e gli avevano spiegato il motivo in modo piuttosto brutale. Chissà se fosse il caso di credere ad una storia così strana? si domandava certe volte Raych, però i particolari in effetti li trovava stuzzicanti.

Pensò a quell’argomento, ed alla signora. Era una signora vecchia, certo, ma era carina e sapeva battersi come un uomo... meglio di un uomo. Raych si sentì tante idee vaghe per la testa...

E la signora gli aveva proposto di fare un bagno. A volte, quando aveva qualche credito che non gli serviva per nient’altro, o quando riusciva a sgattaiolare dentro, Raych nuotava nella piscina di Billibotton.

Erano le uniche volte che si bagnava tutto, ma poi aveva freddo e ci metteva un po’ ad asciugare.

Fare un bagno era diverso. Acqua calda, sapone, asciugamani, aria tiepida...

Chissà che sensazione si provava? Raych non lo sapeva al preciso. Però sapeva che sarebbe stato bello se ci fosse stata anche lei là.

Conoscendo bene la zona, sapeva in quali vicoli rintanarsi senza rischiare di essere scoperto ed allontanato... vicoli abbastanza vicini ad un bagno, ma anche a dove si trovasse la signora.

Trascorse la notte in compagnia di strani pensieri. E se avesse imparato a leggere ed a scrivere? Gli sarebbe servito a qualcosa? Mah... forse la signora avrebbe saputo dirglielo. Raych aveva qualche idea vaga... immaginava di ricevere dei soldi per fare cose che adesso non era capace di fare, ma non sapeva quali potessero essere quelle cose. Bisognava che glielo dicessero... ma come?

Se fosse rimasto con l’uomo e la signora, forse l’avrebbero aiutato. Già, ma perché avrebbero dovuto permettergli di rimanere con loro?

Si addormentò, e più tardi a svegliarlo non fu la luce del giorno... fu il suo udito acuto che colse, provenienti dalla strada, i rumori più intensi delle attività della nuova giornata che stava iniziando.

Raych aveva imparato a riconoscere quasi ogni suono, perché nel labirinto di Billibotton, se si voleva sopravvivere, bisognava capire le cose prima ancora di vederle. E nel rumore del motore della vettura che stava sentendo adesso, sì, c’era qualcosa che faceva scattare in lui un segnale di pericolo. Era un rumore ostile...

Si scosse per essere ben sveglio ed avanzò furtivo verso la strada. Non c’era bisogno di vedere il simbolo dell’Astronave con il Sole sulla vettura... era sufficiente guardare la sua linea per riconoscerla. Raych capì che erano venuti a prendere l’uomo e la signora perché avevano incontrato Davan. Non si soffermò ad analizzare i propri pensieri, a cercare una conferma: partì di corsa, lanciandosi nel traffico che stava cominciando ad animarsi.

Fu di ritorno in meno di un quarto d’ora. La vettura era ancora là, e c’erano delle persone curiose che la fissavano da ogni lato, tenendosi prudentemente a una certa distanza. Presto ne sarebbero arrivate altre.

Raych si precipitò lungo la scala, cercando di ricordare la porta giusta dove bussare: non c’era tempo per l’ascensore.

Trovò la porta... almeno, gli sembrava che fosse quella... e cominciò a picchiare, urlando stridulo: — Signora! Signora!

Era troppo agitato per ricordare il suo nome, però ricordava in parte quello dell’uomo. — Hari! — gridò. — Lasciatemi entrare!

La porta si aprì e Raych si lanciò all’interno... provò a lanciarsi. La mano rude di un agente lo afferrò per un braccio.

— Calma, ragazzino. Dove credi di andare?

— Mollami! Non ho fatto niente! — Raych si guardò attorno. — Ehi, signora, cosa stanno facendo?

— Ci arrestano — rispose , l’espressione torva.

— Perché? — chiese Raych, ansimando e dimenandosi. — Ehi, mollami, tu e quel tuo distintivo... mollami, solare! Signora, non andate con lui: non dovete andarci.

— Tu, fila via — disse Russ, scrollandolo forte.

— No, io non mi muovo. E neanche tu ti muovi di qui, solare. Sta arrivando tutta la mia banda. Voi non uscite, se non lasciate andare quei due.

— Quale banda? — Russ corrugò la fronte.

— Sono proprio qui fuori, adesso. Probabilmente stanno facendo a pezzi la vostra vettura. E faranno a pezzi anche voi!

Russ si rivolse al collega. — Chiama il comando. Digli che mandino un paio di mezzi pesanti.

— No! — strillò Raych, liberandosi e precipitandosi verso Astinwald. — Non chiamare!

Russ puntò la frusta neuronica e fece fuoco.

Raych urlò di dolore, si strinse la spalla destra e stramazzò sul pavimento, contorcendosi come un ossesso.

Russ non ebbe il tempo di tornare a girarsi verso Seldon, perché il matematico gli afferrò la mano che impugnava la frusta neuronica, spingendola verso l’alto, poi gli piegò il polso all’indietro, pestandogli un piede per impedirgli di muoversi. Seldon sentì che la spalla si slogava, mentre Russ emetteva un gemito strozzato.

Astinwald alzò rapido il disintegratore, ma lo bloccò circondandogli la spalla col braccio sinistro e puntandogli un coltello alla gola.

— Non muoverti! — gli disse. — Muovi di un solo millimetro qualsiasi parte del corpo, e ti taglio il collo finché non sento la spina ale... Lascia cadere il disintegratore. Lascialo! E la frusta neuronica.

Seldon sollevò Raych che si lamentava ancora, e lo strinse. Quindi si rivolse a Tisalver. — C’è della gente là fuori. Gente arrabbiata. Li farò entrare e loro spaccheranno tutto. Sfonderanno anche le pareti. Se non volete che succeda, raccogliete quelle armi e buttatele nella stanza vicina. Anche le armi dell’agente a terra. Presto! Fatevi aiutare da vostra moglie. La prossima volta ci penserà due volte prima di denunciare delle persone innocenti... , questo a terra sarà inoffensivo per un po’. Sistema l’altro, ma non ucciderlo.

— D’accordo. — girò il coltello, e col manico colpi forte l’agente sulla testa.

Astinwald stramazzò.

fece una smorfia. — Detesto queste cose....

— Hanno sparato a Raych — le rammentò Seldon, cercando di mascherare il proprio disgusto per quanto fosse accaduto.

Lasciarono in fretta l’appartamento e, una volta fuori, trovarono la strada affollata.

Erano quasi tutti uomini, e lanciarono un urlo quando li videro uscire. Si avvicinarono, e l’odore di corpi non troppo puliti era quasi insopportabile.

Qualcuno gridò: — Dove sono i solari?

— Dentro — sbraitò . — Lasciateli stare. Sono fuori combattimento per un po’, ma riceveranno rinforzi quindi sbrigatevi ad andarvene.

— E voi? — chiese una dozzina di voci.

— Ce ne andiamo anche noi: non torneremo.

— A loro ci penso io — strillò Raych. Si divincolò da Seldon e si drizzò in piedi, massaggiandosi senza sosta la spalla. — Ce la faccio a camminare. Lasciatemi passare.

Nella folla si aprì un varco, ed il ragazzo disse: — Signore, signora... venite con me... Svelti!

Parecchie decine di uomini li scortarono lungo la strada, poi all’improvviso Raych indicò un’apertura e mormorò: — Qui dentro. Vi porterò in un posto dove non vi troverà nessuno. Probabilmente non lo conosce neppure Davan. Solo che bisogna attraversare le fogne. Là non ci vedrà nessuno, ma c’è un po’ di puzza, ecco.

— Per un po’ di puzza, non moriremo — borbottò Seldon.

E scesero lungo una stretta rampa a spirale, mentre un odore mefitico saliva incontro a loro.

80

Raych trovò un nascondiglio. Dopo essersi arrampicati sui pioli di una scaletta metallica erano sbucati in una specie di ampia soffitta, una stanza il cui utilizzo rimaneva un enigma per Seldon. Era stipata di apparecchiature ingombranti e silenziose, e anche la funzione di tali attrezzature rappresentava un mistero. Era abbastanza pulita, non c’era molta polvere; una corrente d’aria costante impediva alla polvere di depositarsi e, soprattutto, sembrava attenuare l’odore.

Raych pareva soddisfatto. — Non è bello? — chiese. Si massaggiava ancora la spalla di tanto in tanto, e sussultava quando fregava troppo forte.

— C’è di peggio — disse Seldon. — A cosa serve questo posto, Raych?

Raych fece per stringersi nelle spalle, ed ebbe un sussulto. — Non lo so —

rispose. E con una punta di spavalderia soggiunse: — Che importa?

, che si era seduta sul pavimento dopo averlo spazzolato con la mano ed aver guardato sospettosa il palmo, disse: — Secondo me, fa parte di un impianto per la depurazione ed il riciclaggio dei rifiuti. Sicuramente li trasformano in fertilizzanti.

Seldon osservò cupo: — Allora, quelli che mandano avanti l’impianto verranno qui periodicamente... potrebbero arrivare da un momento all’altro.

— Io ci sono già stato qui — disse Raych. — Non ho mai visto alcuno.

— Immagino che Trantor sia automatizzato in modo massiccio dove possibile, e mi pare che uno dei processi che richiedano particolarmente l’automazione sia il trattamento dei rifiuti — fece notare . — Forse siamo al sicuro... per un po’.

— Non per molto: avremo fame e sete, .

— Al cibo ed all’acqua posso pensarci io — disse Raych. — Un ragazzo di strada deve sapersi arrangiare.

— Grazie, Raych — disse Seldon, distrattamente. — Ma adesso non ho fame. —

Annusò l’aria. — Forse non avrò mai più fame.

— Oh, sì, invece — ribatté . — Ed anche se perderai l’appetito per un po’, ti verrà sete. Almeno, l’eliminazione dei rifiuti non è un problema: praticamente siamo sopra una fogna scoperta.

Ci fu silenzio per un po’. La luce era fioca, e Seldon si chiese come mai i trantoriani non la spegnessero del tutto. Poi ricordò che non aveva mai visto un’area pubblica completamente buia. Probabilmente era un’abitudine, in una società ricca di energia. Strano che un mondo con quaranta miliardi di abitanti dovesse essere ricco di energia... eppure lo era, grazie al calore interno del pianeta da sfruttare, per non parlare poi dell’energia solare e delle centrali nucleari a fusione nello spazio. Già, ora che ci pensava, nell’Impero non c’era un solo pianeta che non fosse ricco a livello energetico.

Chissà se un tempo la tecnologia era stata talmente primitiva da causare problemi energetici?

E si appoggiò ad una serie di tubi in cui, per quel che ne sapeva, scorrevano acque di scolo... Si staccò subito, ed andò a sedersi accanto a .

Disse: — Non c’è modo di contattare Chetter Hummin?

— Per dire la verità, gli ho già inviato un messaggio, anche se mi è dispiaciuto moltissimo farlo.

— Dispiaciuto?

— Ho l’ordine di proteggerti. Ogni volta che devo contattare Hummin, significa che ho fallito.

Seldon guardò socchiudendo gli occhi. — Devi proprio essere così fissata?

Non puoi proteggermi dagli agenti di sicurezza di un intero Settore.

— No, immagino. Potremmo neutralizzarne alcuni...

— Lo so. L’abbiamo fatto. Ma manderanno dei rinforzi... vetture blindate...

cannoni neuronici... foschia soporifera. Non so di che mezzi dispongano, ma certamente daranno fondo al loro arsenale.

— Probabilmente hai ragione — annuì , serrando le labbra.

— Non vi troveranno, signora — disse d’un tratto Raych, che li aveva seguiti con la sua vista acuta mentre parlavano. — Davan non lo trovano mai.

sorrise mesta e gli scompigliò i capelli, guardandosi poi il palmo della mano un po’ perplessa.

— Forse non devi restare con noi, Raych. Non voglio che ti trovino.

— Non mi troveranno, e se me ne vado io, chi vi porterà da mangiare e da bere, e chi vi troverà nuovi nascondigli così che i solari non sapranno mai dove cercare?

— No, Raych, ci troveranno. Non si impegnano troppo a cercare Davan. Davan li infastidisce, però secondo me non lo prendono molto sul serio. Capisci?

— Cioè Davan è solo una rottura di... scatole, e perciò non vale la pena di dargli la caccia dappertutto.

— Esatto. Mentre, vedi, noi abbiamo aggredito due agenti, e non ci permetteranno di passarla liscia. Anche a costo di usare tutte le loro forze, anche a costo di frugare in ogni corridoio nascosto o abbandonato del settore, ci troveranno.

Raych disse: — Mi sento un... una nullità. Se non fossi corso là dentro a farmi beccare, voi non avreste liquidato gli agenti, ed adesso non sareste in questo guaio.

— No, prima o poi, li avremmo... oh, liquidati... Chissà? Forse dovremo liquidarne qualcun altro.

— Be’, siete stati fantastici — disse Raych. — Se non avessi avuto addosso quel male, avrei potuto guardare meglio e mi sarei divertito.

Seldon intervenne.

— Inutile cercare di lottare contro l’intero sistema di sicurezza. A che servirebbe?

Il problema è: cosa ci faranno quando ci avranno presi? Ci condanneranno e finiremo in prigione, sicuramente.

— Oh, no. Se sarà necessario, dovremo appellarci all’Imperatore — ribatté .

— L’Imperatore? — Raych spalancò gli occhi. — Conoscete l’Imperatore?

Seldon lo zittì con un gesto irritato. — Qualsiasi cittadino della Galassia può rivolgersi all’Imperatore... Ma non mi sembra una buona idea, . Da quando Hummin ed io abbiamo lasciato il Settore Imperiale, abbiamo cercato di sottrarci all’Imperatore.

— D’accordo, ma c’è un limite... non possiamo finire in una prigione dahlita pur di sottrarci all’Imperatore.

— L’appello servirà a guadagnare tempo, in ogni caso come diversivo... e forse intanto riusciremo ad escogitare qualcos’altro.

— C’è Hummin!

— Si — fece , a disagio. — Però non possiamo contare su di lui in tutto e per tutto. Anche se avesse ricevuto il mio messaggio e fosse corso subito a Dahl, come farebbe a trovarci qui? E poi, anche se ci trovasse, cosa potrebbe fare contro l’intera forza di sicurezza dahlita?

— In tal caso, dobbiamo escogitare una soluzione prima che ci trovino — disse Seldon.

— Se verrete con me — insisté Raych — potremo tenerli a distanza. Conosco tutti i posti qui attorno.

— Un conto è tenere a distanza una persona... no, quelli saranno in parecchi, setacceranno tutti i corridoi. Sfuggiremo ad una squadra e finiremo in bocca ad un’altra.

Rimasero seduti in un silenzio teso per un po’, riflettendo su una situazione che appariva disperata. Poi si agitò e mormorò: — Sono qui: li sento.

Restarono in ascolto, tendendo l’udito, ma ad un certo punto Raych balzò in piedi e sibilò: — Arrivano da là.

— Dobbiamo andare da questa parte.

Seldon, confuso, non sentiva assolutamente nulla, comunque si fidava delle maggiori capacità auditive degli altri, ma mentre Raych cominciava a muoversi svelto e silenzioso nella direzione indicata, una voce echeggiò tra le pareti della fogna. — State fermi! State fermi!

E Raych disse: — È Davan: come ha fatto a sapere che eravamo qui?

— Davan? — chiese Seldon. — Sei sicuro?

— Certo che sono sicuro. Ci aiuterà.

81

Davan chiese: — Cos’è successo?

Seldon provò un senso di sollievo, per quanto minimo. Certo, la presenza di Davan non poteva avere un gran peso contro le forze di sicurezza di Dahl... però, Davan era a capo di un gruppo di persone che avrebbero potuto creare abbastanza confusione.

— Dovreste saperlo — rispose Seldon. — Molte delle persone che si trovavano vicino alla casa dei Tisalver questa mattina, secondo me erano vostri uomini.

— Sì, alcuni. Dicono che vi stessero arrestando e voi abbiate pestato una squadra di solari. Ma perché vi stavano arrestando?

— Due. — Seldon alzò due dita. — Due solari. Ed è già fin troppo grave. Uno dei motivi per cui ci stavano arrestando era il nostro incontro con voi.

— Non è sufficiente: i solari non si scomodano tanto per me. Mi sottovalutano —

soggiunse Davan, amaro.

— Forse. Ma la donna che ci ha affittato le stanze ci ha denunciati per avere provocato un tumulto... a proposito del giornalista che abbiamo incontrato venendo da voi. Lo sapete, coi vostri uomini presenti sulla scena ieri e di nuovo questa mattina, e con due agenti malmenati, forse decideranno di ripulire questi corridoi... il che significa che ci andrete di mezzo anche voi. Mi spiace davvero. Non avevo alcuna intenzione di causare un guaio simile, non me l’aspettavo assolutamente.

Davan scosse la testa. — No, non li conoscete i solari. Non è ancora sufficiente.

Non vogliono spazzarci via. Se lo facessero, il Settore dovrebbe fare qualcosa per noi. Invece sono felicissimi di lasciarci a marcire a Billibotton ed in altri bassifondi...

No, quelli danno la caccia a voi. Cos’avete fatto?

rispose spazientita: — Nulla, ed in ogni caso, che importa? Se non stanno dando la caccia a voi e vogliono noi, verranno qui a stanarci. Se vi metterete tra i piedi, finirete in guai seri.

— No, io no. Ho degli amici... amici potenti. Ve l’ho detto, ieri. E loro possono aiutare anche voi. Dopo il vostro rifiuto di aiutarci apertamente, mi sono messo in contatto con loro: sanno chi siete, dottor Seldon. Siete un uomo famoso. Possono parlare col Sindaco di Dahl e fare in modo che vi lascino in pace, qualunque cosa abbiate fatto. Ma dovranno portarvi via... dovrete abbandonare Dahl.

Seldon sorrise, percorso da un’ondata di sollievo.

— Conoscete un personaggio potente, vero, Davan? Uno che intervenga subito, uno in grado di convincere il governo dahlita a desistere da provvedimenti drastici, e in grado di portarci fuori? Bene. Non mi sorprende.

Sempre sorridendo si rivolse a . — Come a Micogeno. Ma come fa Hummin?

scosse la testa.

— Troppo rapido... Non capisco.

— Secondo me, può fare qualsiasi cosa — disse Seldon.

— Io lo conosco meglio di te, e da più tempo... e non credo che possa fare qualsiasi cosa.

Seldon sorrise. — Non sottovalutarlo. — Poi, come se fosse ansioso di non indugiare oltre sull’argomento, si rivolse a Davan. — Ma voi come avete fatto a trovarci? Stando a Raych, non sapevate nulla di questo posto.

— È vero — sbottò il ragazzo, indignato. — È mio questo posto, l’ho trovato io.

— Mai stato qui prima d’ora. — Davan si guardò attorno. — Posto interessante.

Raych è una creatura dei corridoi, perfettamente a suo agio in questo labirinto.

— D’accordo, Davan, l’avevamo capito anche noi. Ma voi come l’avete trovato?

— Con un termorivelatore. Ho un congegno che individua le radiazioni infrarosse, il particolare schema termico emesso alla temperatura di trentasette gradi centigradi.

Reagisce alla presenza di esseri umani ed a nessun’altra sorgente di calore. Ha individuato voi tre.

stava aggrottando le sopracciglia. — Ed a cosa può servire su Trantor, dove ci sono esseri umani ovunque? Su altri mondi li hanno, ma...

— Ma non su Trantor. Lo so — disse Davan. — Solo che questi strumenti sono utili nei bassifondi, nei vicoli e nei passaggi abbandonati e in rovina.

— E come ve lo siete procurato? — chiese Seldon.

— Ce l’ho, e basta... Ma adesso dobbiamo portarvi via di qui, signor Seldon.

Troppa gente vi vuole, ed io voglio che ad avervi sia il mio amico.

— Dov’è questo vostro potente amico?

— Si sta avvicinando. Almeno, l’apparecchio segnala una nuova sorgente con un’emissione di trentasette gradi, e non può essere alcun altro.

Dalla porta entrò una figura. Seldon stava per esultare, ma l’esclamazione di felicità gli morì sulle labbra... Non era Chetter Hummin.

Wye

WYE... Un Settore della città-mondo di Trantor... Negli ultimi secoli dell’Impero Galattico, Wye era la parte più forte e più stabile della città-mondo. I suoi governanti aspiravano da tempo al trono imperiale, giustificando questo fatto con la loro discendenza da imperatori del passato. Sotto Mannix IV, Wye fu militarizzato e (come sostennero in seguitò le autorità imperiali) si accingeva ad effettuare un colpo di stato a livello planetario...

ENCICLOPEDIA GALATTICA

82

L’uomo che entrò era alto e muscoloso. Aveva lunghi baffi biondi arricciati all’insù alle estremità, ed una frangia di peli che gli scendeva lungo i lati della faccia e sotto il mento, lasciando scoperti la punta del mento ed il labbro inferiore, che sembravano leggermente umidi. Aveva capelli talmente corti e chiari che per uno sgradevole momento a Seldon venne in mente Micogeno.

Quella che il nuovo venuto indossava era inequivocabilmente un’uniforme. Era rossa e bianca, ed attorno alla vita c’era un’ampia cintura decorata con borchie d’argento.

Quando parlò, lo fece con voce profonda e con un accento diverso da tutti quelli che Seldon avesse sentito in precedenza. La maggior parte degli accenti strani avevano un suono sgraziato, rozzo, per Seldon, questo invece sembrava quasi melodioso, forse per la ricchezza di toni bassi.

— Sono il sergente Emmer Thalus — tuonò l’uomo, scandendo bene le sillabe. —

Cerco il dottor Hari Seldon.

Seldon disse: — Sono io — Ed a mormorò: — Se Hummin non è potuto venire di persona, bisogna ammettere che si è fatto rappresentare da un magnifico ammasso di muscoli.

Il sergente lo squadrò imperturbabile, piuttosto a lungo, quindi disse: — Sì.

Corrispondete alla descrizione. Prego, venite con me, dottor Seldon.

Seldon rispose: — Fate strada.

Il sergente arretrò. Seldon e avanzarono.

Il sergente alzò una mano, rivolgendo il palmo verso . — Ho l’ordine di portare con me il dottor Seldon. Non mi è stato ordinato di portare altre persone.

Per un attimo, Seldon lo fissò perplesso. Poi la sua espressione sorpresa divenne di collera. — È impossibile che vi abbiano detto questo, sergente. La dottoressa Venabili è la mia collaboratrice e la mia compagna: deve venire con me.

— I miei ordini non lo prevedono, dottore.

— I vostri ordini non mi interessano per niente, sergente Thalus: senza di lei, non mi muovo.

Inoltre — intervenne irritata — io ho l’ordine di proteggere costantemente il dottor Seldon. Per farlo, devo stare con lui. Quindi, dove va lui, vado anch’io.

Il sergente parve perplesso. — Mi è stato ordinato nella maniera più assoluta di assicurarmi che non vi succeda nulla, dottor Seldon. Se non verrete spontaneamente, dovrò portarvi io alla mia vettura: cercherò di agire con delicatezza.

Tese le braccia, quasi intendesse afferrare Seldon per i fianchi e portarlo via di peso.

Seldon scattò indietro e, mentre si ritraeva, con la destra colpì di taglio la parte alta del braccio del sergente, nel punto dove i muscoli erano più sottili, così da centrare l’osso.

Il sergente inspirò bruscamente ed ebbe un fremito, ma si voltò, inespressivo, e avanzò di nuovo. Davan restò immobile ad osservare la scena, Raych invece si portò alle spalle del sergente.

Seldon ripeté il colpo di taglio una seconda volta, quindi una terza, ma adesso Thalus prevenendo la mossa abbassava la spalla assorbendo il colpo con la massa muscolare.

aveva estratto i coltelli.

— Sergente — disse decisa — giratevi da questa parte. Voglio che vi rendiate conto che forse sarò costretta a ferirvi seriamente, se tenterete ancora di portare via il dottor Seldon contro la sua volontà.

Thalus si fermò, osservò calmo e solenne i coltelli che ondeggiavano lentamente, poi disse: — I miei ordini non mi impediscono di fare del male a qualcuno che non sia il dottor Seldon.

Con velocità sorprendente, portò la mano alla frusta neuronica nella fondina che aveva sul fianco. Altrettanto rapida, scattò in avanti brandendo le lame.

Nessuno dei due completò il movimento.

Con un guizzo in avanti, Raych aveva spinto il sergente alle spalle, e con la destra gli aveva sfilato l’arma dal fodero. Il ragazzo arretrò subito, impugnando la frusta neuronica con entrambe le mani, e gridò: — Mani in alto, sergente, o assaggi questo affare!

Thalus si voltò, rosso in viso, l’espressione nervosa, perdendo per un attimo la sua imperturbabilità. — Mettila giù, figliolo — tuonò. — Non sai come funzioni.

— So della sicura — ringhiò Raych. — Non è inserita, e questo aggeggio può sparare. E sparerà se cerchi di attaccarmi.

Il sergente si bloccò. Chiaramente, sapeva quanto fosse pericoloso trovarsi di fronte ad un ragazzino eccitato che stringesse un’arma del genere.

Seldon non si sentiva molto meglio di lui. — Attento, Raych — disse. — Non sparare: giù il dito dal contatto.

— Non lascerò che quello mi salti addosso.

— Non lo farà... Sergente, per favore, non muovetevi. Chiariamo una cosa. Vi è stato detto di portarmi via di qui, giusto?

— Giusto — rispose Thalus, gli occhi leggermente sbarrati e fissi su Raych (che a sua volta aveva lo sguardo incollato sul sergente).

— Ma non vi hanno detto di portare qualcun altro, giusto?

— No, non me l’hanno detto, dottore — rispose deciso il sergente. Nemmeno la minaccia di una frusta neuronica l’avrebbe spinto ad un comportamento subdolo. Era facile capirlo.

— Benissimo, ma ascoltate, sergente. Vi hanno detto di non portare alcun altro?

— Io ho solo....

— No, no, ascoltate. È diverso: vi hanno ordinato semplicemente: «Prendi il dottor Seldon!». Era questo l’ordine, non c’erano accenni ad altre persone, o gli ordini erano più specifici? Vi hanno ordinato: «Porta il dottor Seldon e non portare nessun altro»?

Thalus rifletté. — Mi hanno detto di portare voi, dottore.

— Dunque, non hanno parlato di alcun’altra persona, vero?

Una pausa. — No.

— Non vi hanno detto di portare la dottoressa Venabili, però non vi hanno nemmeno detto di non portarla, giusto?

Una pausa. — Sì.

— Quindi potete portarla o non portarla, come preferite, vero?

Una lunga pausa. — Immagino di sì.

— Bene. Qui abbiamo Raych, il giovanotto che vi tiene sotto tiro con una frusta neuronica... la vostra, ricordate?.. ed è ansioso di usarla.

— Sì! — gridò Raych.

— Non ancora, Raych — disse Seldon. — E qui c’è la dottoressa Venabili, con due coltelli che sa maneggiare molto bene... Infine ci sono io che, se mi si presenta l’occasione, posso rompervi il pomo d’Adamo con una mano, dopo di che non riuscirete più a parlare se non in un mormorio... Allora, volete portare anche la dottoressa o no? I vostri ordini vi consentono entrambe le cose.

Ed alla fine il sergente, il tono sconfitto, rispose: — Porterò anche la donna.

— E Raych, il ragazzo.

— Ed il ragazzo.

— Bene. Ho la vostra parola d’onore... la vostra parola d’onore di soldato... che farete come avete appena detto... onestamente?

— Avete la mia parola d’onore di soldato.

— Bene. Raych, ridagli la frusta... Subito!.. Non farmi aspettare.

Raych, con una smorfia contrariata, guardò , che esitò e poi lentamente gli fece cenno di sì. La faccia di era infelice quanto quella del ragazzo.

Raych porse l’arma al sergente. — Solo perché mi hanno costretto, pezzo di... —

Le ultime parole furono incomprensibili.

Seldon disse: — Metti via i coltelli, .

scosse la testa, ma obbedì.

— Allora, sergente? — fece Seldon.

Il sergente guardò la frusta neuronica, poi Seldon.

— Siete un uomo d’onore, dottor Seldon, e la mia parola è sacra. — E con un gesto secco, militaresco, rinfoderò l’arma.

Seldon si rivolse a Davan. — Davan, per favore, dimenticate quello che avete visto qui. Noi tre andiamo spontaneamente col sergente Thalus. Quando incontrate Yugo Amaryl, ditegli che non mi dimenticherò di lui, e che non appena questa storia si sarà conclusa e sarò libero di agire penserò a farlo entrare in un’università. E se potrò fare qualcosa di ragionevole per la vostra causa, Davan, lo farò... Bene, sergente, andiamo.

83

— Non sei mai stato su un aviogetto prima d’ora, Raych? — chiese Seldon.

Raych scosse la testa, ammutolito. Stava contemplando con un misto di paura e di soggezione la Faccia superiore che scorreva velocissima sotto di loro.

Trantor era proprio un mondo di Espressovie e di tunnel, rifletté per l’ennesima volta Seldon. Persino i lunghi viaggi si svolgevano nel sottosuolo per la maggior parte della popolazione. I viaggi aerei, per quanto potessero essere comuni sugli altri mondi, erano un lusso su Trantor, ed un avio come quello «Come aveva fatto Hummin a procurarselo?» si domandò.

Guardò dal finestrino la linea ondulata delle cupole, il verde che predominava in quella zona del pianeta, le occasionali chiazze di vegetazione che sembravano quasi giungle, i bracci di mare che sorvolavano di tanto in tanto, con le loro acque plumbee che all’improvviso si accendevano di brevi riflessi luccicanti quando il sole sbucava per qualche attimo dalla massiccia coltre di nubi.

Dopo circa un’ora di volo , che stava visionando un nuovo romanzo storico che evidentemente non l’appassionava granché, spense il videolibro e disse: — Mi piacerebbe sapere dove stiamo andando.

— Se non riesci a capirlo tu — fece Seldon — figuriamoci se possa riuscirci io.

Sei su Trantor da molto più tempo di me.

— Si, ma sono stata all’interno. Qua fuori, con solo la Faccia superiore sotto di me, sono completamente persa.

— Oh, be’... Hummin sa quel che fa, credo.

— Ne sono sicura — replicò acida. — Però può darsi che questo non abbia niente a che vedere con la situazione attuale. Perché continui a dare per scontato che questa sia una sua iniziativa?

Seldon corrugò la fronte. — Adesso che me lo chiedi, non lo so. Mi è sembrato scontato, e basta. Ma perché non dovrebbe trattarsi di un suo intervento?

— Perché chi ha organizzato questa spedizione di soccorso non ha specificato di prelevare anche me. Impossibile che Hummin si sia dimenticato della mia esistenza.

E perché Hummin non è venuto di persona, come ha fatto a Streeling ed a Micogeno?

— Non puoi pretendere che venga sempre, . Può darsi che fosse impegnato.

Non dobbiamo sorprenderci se questa volta non sia venuto, se mai è sorprendente che l’abbia fatto le altre volte.

— D’accordo, ammettendo che non sia venuto di persona, perché mandare un palazzo volante lussuoso e vistoso come questo? — indicò con un gesto il grande avio.

— Forse era disponibile questo, e basta. E forse Hummin avrà pensato che a bordo di un mezzo così appariscente nessuno si aspetterebbe mai di trovare dei fuggiaschi che cerchino disperatamente di passare inosservati. È il famoso doppio trucco.

— Già, troppo famoso, a mio avviso. E poi, perché mandare al suo posto un idiota come il sergente Thalus?

— Il sergente non è un idiota, è solo stato addestrato alla completa obbedienza.

Basta usare gli ordini giusti, ed è totalmente affidabile.

— Appunto, Hari. Torniamo al discorso di prima. Perché non gli hanno dato gli ordini giusti? Per me è inconcepibile che Hummin gli abbia detto di portarti via da Dahl senza fare il minimo accenno a me: inconcepibile.

Al che, Seldon non seppe cosa ribattere, ed il suo morale imboccò una china discendente.

Passò un’altra ora, e disse: — Pare che stia diminuendo la temperatura, fuori.

Il verde della vegetazione della Faccia superiore sta diventando marrone, e credo che si sia acceso il riscaldamento.

— Questo cosa significa?

— Dahl è nella zona tropicale, quindi è evidente che stiamo andando a nord o a sud... e spostandoci di parecchio. Se sapessi in che direzione si trovi la linea giorno-notte potrei stabilire se andiamo a nord od a sud.

Alla fine, sorvolarono un tratto di costa dove le cupole erano orlate di ghiaccio in prossimità del mare.

Poi, all’improvviso, l’avio puntò verso il basso.

Raych urlò: — Cadiamo! Ci sbricioleremo!

Seldon strinse i braccioli del sedile, mentre i suoi muscoli addominali si tendevano.

rimase impassibile. — I piloti là davanti non sembrano allarmati. Ci infileremo in un tunnel — osservò.

E, mentre parlava, le ali dell’avio si piegarono e sparirono sotto la fusoliera, e come un proiettile il velivolo penetrò in un tunnel. Per un attimo furono inghiottiti dall’oscurità, ma un istante dopo l’impianto di illuminazione della galleria entrò in funzione. Le pareti del tunnel sfrecciavano lateralmente.

— Probabilmente non mi convincerò mai che i piloti sappiano già che il tunnel sia libero — borbottò Seldon.

— Sicuramente hanno ricevuto la conferma a qualche decina di chilometri dall’arrivo — disse . — In ogni caso, questa dovrebbe essere la parte conclusiva del viaggio, e presto sapremo dove siamo. — S’interruppe, quindi soggiunse: — Ed ho l’impressione che quando lo sapremo non sarà affatto una scoperta piacevole.

84

L’avio uscì dal tunnel posandosi su una lunga pista. Lì il tetto era talmente alto che, per la prima volta dopo avere lasciato il Settore Imperiale, Seldon ebbe la sensazione che la luce del giorno fosse quasi autentica, come all’esterno.

Si fermarono prima di quanto Seldon non si aspettasse, ma dovettero sopportare una sgradevole pressione in avanti. Raych, in particolare, si ritrovò schiacciato contro il sedile che aveva di fronte ed ebbe difficoltà respiratorie, finché non gli mise una mano sulla spalla tirandolo leggermente indietro.

Il sergente Thalus, maestoso ed eretto, lasciò il velivolo e si portò sul retro, dove aprì il portello dello scompartimento passeggeri ed aiutò i tre a scendere.

Seldon fu l’ultimo. Passando di fronte al sergente, si girò e disse: — Un viaggio piacevole, sergente.

Un lento sorriso sbocciò sulla faccia di Thalus, curvandogli il labbro superiore baffuto. Thalus toccò la visiera del berretto abbozzando un saluto militare. — Grazie di nuovo, dottore.

Furono fatti salire sul sedile posteriore di una vettura lussuosa, e il sergente stesso prese posto ai comandi e guidò il veicolo con mano sorprendentemente delicata.

Percorsero strade ampie, fiancheggiate da edifici alti dalle linee armoniose che scintillavano alla luce del giorno. Come nel resto di Trantor, in lontananza si sentiva il ronzio di una Espressovia. I passaggi riservati ai pedoni erano affollati di persone che per la maggior parte erano ben vestite. L’ambiente era notevolmente pulito (quasi in modo eccessivo).

Il senso di sicurezza di Seldon vacillò ancor di più. I timori di riguardo la loro destinazione adesso sembravano giustificati, dopo tutto. Seldon si sporse verso di lei. — Credi che siamo tornati nel Settore Imperiale?

rispose: — No, nel Settore Imperiale gli edifici sono più rococò, e qui non c’è tutta quella “parcomania” imperiale... se mi concedi il termine.

— Allora, dove siamo?

— Temo che dovremo chiedere, Hari.

Non fu un viaggio lungo. Ben presto si fermarono in un parcheggio fiancheggiato da un’imponente struttura a tre piani. Un fregio di animali immaginari percorreva la sommità, decorata da lastre di pietra rosa. Una facciata maestosa, dalle linee decisamente gradevoli.

Seldon osservò: — Questo è abbastanza rococò, mi pare.

si strinse nelle spalle, incerta.

Raych fischiò e, cercando di non mostrarsi colpito ma senza riuscirci, disse. —

Ehi, guardate che posto da ricchi.

Thalus rivolse un gesto a Seldon, indicandogli chiaramente che doveva seguirlo.

Seldon non si mosse e, sempre ricorrendo al linguaggio universale dei gesti, allargò le braccia verso e Raych.

Il sergente esitò, con un’aria leggermente abbattuta, di fronte all’imponente arcata rosa dell’ingresso. Sembrò quasi che i suoi baffi si afflosciassero.

Poi disse burbero: — Tutti e tre, allora. La mia parola d’onore è sempre valida...

Però, forse gli altri non si sentiranno vincolati dalle mie promesse.

Seldon annuì. — Per me, siete responsabile solo delle vostre azioni, sergente.

Thalus era chiaramente commosso e, per un attimo, la sua faccia si illuminò, come se stesse prendendo in considerazione la possibilità di stringere la mano a Seldon o di esprimere la propria approvazione in qualche altro modo. Respinse l’idea, comunque, e salì sul primo gradino della rampa che conduceva alla porta.

La scala cominciò immediatamente a muoversi verso l’alto.

Seldon e salirono insieme subito dopo di lui e mantennero l’equilibrio senza difficoltà. Raych, bloccato per un attimo dallo stupore, saltò sulla scala dopo una breve corsa, infilò le mani in tasca e fischiettò disinvolto.

La porta si aprì ed uscirono due donne, una su ogni lato. Erano giovani e attraenti.

I loro abiti, stretti in vita da una cintura, arrivavano quasi alla caviglia, ricadevano in tante pieghe e frusciavano quando le donne camminavano. Entrambe avevano capelli marroni raccolti in grosse trecce ai lati della testa. (Un’acconciatura che gli piaceva, rifletté Seldon. Però, chissà quanto impiegavano ogni mattina per sistemarsi i capelli così? Non aveva notato un’acconciatura tanto elaborata nelle donne viste per le strade durante il tragitto.) Le due donne fissarono i nuovi arrivati con evidente disprezzo.

Seldon non si stupì. Dopo gli avvenimenti della giornata, lui e erano male in arnese quasi quanto Raych.

Tuttavia, le donne si inchinarono, poi si girarono e indicarono l’interno con sincronismo e simmetria perfetti. (Si esercitavano a compiere quei gesti?) Era chiaro che i tre dovessero entrare.

Entrarono in una stanza piena di mobili e di oggetti decorativi di cui Seldon non riuscì ad afferrare subito lo scopo. Il pavimento era chiaro, elastico, luminescente.

Imbarazzato, Seldon si accorse che le loro scarpe lasciavano delle impronte polverose.

Poi, una porta interna si spalancò ed apparve un’altra donna. Era nettamente più vecchia delle prime due (che al suo ingresso si piegarono lentamente incrociando le gambe in modo simmetrico... Seldon si meravigliò che riuscissero a mantenere l’equilibrio; senza dubbio dovevano esercitarsi parecchio).

Seldon si chiese se fosse tenuto a compiere anche lui qualche strano gesto rituale di saluto ma, dal momento che non aveva la più pallida idea di quale potesse essere, si limitò a piegare leggermente la testa. rimase perfettamente eretta, l’aria forse un po’ sdegnosa, notò Seldon. Raych stava guardandosi attorno a bocca aperta, e sembrava che non avesse nemmeno visto la donna appena entrata.

Era rotondetta... non grassa, ma abbastanza formosa. Aveva la stessa acconciatura delle due giovani ed un vestito di linea identica, ma molto più adorno... troppo, per i gusti estetici di Seldon.

Era di mezz’età, e c’era un accenno di grigio nei suoi capelli, ma le fossette che spiccavano sulle sue guance le conferivano un’aria ancora piuttosto giovanile. Aveva occhi castano chiari, allegri, e complessivamente un aspetto materno più che di vecchiaia.

Disse: — Come state? Tutti quanti. (Non parve sorpresa dalla presenza di e Raych, ma disinvolta estese il saluto anche a loro.) — Vi aspettavo da un po’ di tempo, ed ero quasi riuscita a raggiungervi a Streeling, sulla Faccia superiore. Voi siete il dottor Hari Seldon, che non vedevo l’ora di incontrare. Voi dovete essere la dottoressa Venabili, perché mi è stato riferito che eravate in sua compagnia. Il giovanotto, invece, temo di non conoscerlo, ma mi fa piacere vederlo. Ma ora basta con le parole... certamente, prima vorrete riposare.

— E lavarci, signora — aggiunse . — Abbiamo tutti bisogno di un lunga doccia.

— Sì, certo. E di cambiarvi. Soprattutto il giovanotto. — La donna guardò Raych, senza mostrare il disprezzo e la disapprovazione delle due donne alla porta.

— Come ti chiami, giovanotto?

— Raych — rispose il ragazzo, la voce un po’ strozzata e impacciata. E soggiunse a titolo di prova: — Signora.

— Che strana coincidenza — fece la donna, gli occhi raggianti. — Un presagio, forse. Io mi chiamo Rashelle. Non è strano?.. Ma, venite. Ora provvediamo a voi.

Avremo tutto il tempo necessario poi per pranzare e per parlare.

— Aspettate, signora — disse . — Posso chiedervi dove siamo?

— A Wye, mia cara. E vi prego, chiamatemi Rashelle, quando vi sarete ambientata maggiormente. Mi sento sempre a mio agio quando si accantonano le cerimonie.

si irrigidì. — Come? Il nome di questo posto... Ma avete risposto alla mia domanda?

Rashelle rise; una risata simpatica e argentina. — È vero, dottoressa Venabili, bisogna fare qualcosa per il nome di questo posto. No, non vi ho detto: “Hawai”, mia cara... Ho detto: “Wye”: siete nel Settore di Wye.

— A Wye? — sbottò Seldon.

— Certo, dottor Seldon. Desideriamo avervi con noi da quando avete parlato al Convegno Decennale, ed adesso siamo felicissimi di avervi qui.

85

Fu necessario un giorno intero per riposare, lavarsi, attendere i vestiti nuovi (lucenti e piuttosto ampi, secondo lo stile di Wye) e dormire parecchio.

Solo la seconda sera ci fu il pranzo promesso da Rashelle.

Il tavolo era grande... troppo grande, considerato che erano solo in quattro a occuparlo: Hari, , Raych e Rashelle. Le pareti ed il soffitto avevano una luminosità tenue, ed i colori cambiavano a un ritmo che si notava ma che non era tanto rapido da disturbare la mente. La tovaglia stessa, che non era di tessuto (Seldon non aveva individuato con sicurezza di che materiale si trattasse), sembrava luccicare.

I servitori erano numerosi e silenziosi, e quando la porta si apriva Seldon aveva l’impressione di scorgere dei soldati all’esterno, armati e pronti ad intervenire. La stanza era un guanto di velluto, ma il pugno di ferro non era molto lontano.

Rashelle era garbata e cordiale e, chiaramente, aveva una particolare simpatia per Raych, infatti aveva insistito perché sedesse accanto a lei.

Raych... lavato, strofinato e tirato a lucido, quasi irriconoscibile nei suoi abiti nuovi, coi capelli puliti, tagliati e spazzolati... non osava in pratica pronunciare una parola. Sembrava quasi che pensasse di non possedere più una grammatica adatta al proprio aspetto.

Era imbarazzatissimo ed osservava attentamente , mentre lei passava da una posata all’altra, cercando di imitarla alla perfezione.

Il cibo era gustoso ma piccante, al punto che Seldon non riusciva a riconoscere bene la natura delle portate.

Rashelle, il volto paffuto illuminato dal suo dolce sorriso e dai denti candidi, disse: — Forse penserete che questi cibi contengano additivi micogeniani, ma non è così. Produciamo tutto noi qui a Wye. Wye è il settore più autosufficiente del pianeta.

Lavoriamo alacremente per mantenere questa situazione.

Seldon annuì serio. — Tutto quello che ci avete offerto è di prima qualità, Rashelle: vi siamo molto obbligati. — disse. Eppure, nel proprio intimo, non riteneva che quei piatti fossero all’altezza del cibo micogeniano; inoltre, come aveva mormorato prima a , aveva la sensazione di festeggiare la propria sconfitta. O la sconfitta di Hummin, in ogni caso... il che gli sembrava la medesima cosa.

Dopo tutto, era stato catturato da Wye... un’eventualità che aveva preoccupato moltissimo Hummin all’epoca dell’incidente sulla Faccia superiore.

Rashelle disse: — Forse, nel mio ruolo di padrona di casa, mi perdonerete se vi farò qualche domanda personale. Sbaglio, o voi non rappresentate una famiglia? Voi, Hari, e voi, , non siete sposati, e Raych non è vostro figlio, vero?

— Tra noi tre non esiste alcun rapporto di parentela — spiegò Seldon. — Raych è nato su Trantor, io su Helicon, su Cinna.

— E come vi siete conosciuti?

Seldon lo spiegò brevemente, limitando al massimo i particolari. — Non c’è nulla di romantico o di significativo in questi incontri — aggiunse.

— Eppure, se non erro, avete fatto delle difficoltà al mio aiutante personale, il sergente Thalus, quando lui voleva prelevare da Dahl soltanto voi.

Seldon rispose con un’espressione solenne: — Mi sono affezionato a ed a Raych, e non volevo separarmi da loro.

Rashelle sorrise. — Vedo che siete un sentimentale.

— Sì, sono sentimentale. Ed anche perplesso.

— Perplesso?

— Sì. E dal momento che siete stata così gentile da rivolgerci domande personali, posso farne una anch’io?

— Certo, mio caro Hari. Chiedete quello che desiderate.

— Al nostro arrivo, avete detto che Wye mi volesse dal giorno in cui sono intervenuto al Convegno Decennale. Perché?

— Non credo che siate così ingenuo da non saperlo. Vi vogliamo per la vostra Psicostoria.

— D’accordo, questo l’avevo capito. Ma cosa vi fa pensare che avere me significhi avere la Psicostoria?

— Be’, non sarete stato tanto sbadato da perderla, non è vero?

— Peggio, Rashelle: non l’ho mai avuta.

Le fossette di Rashelle si accentuarono. — Eppure nel vostro discorso avete detto il contrario. Non che io abbia capito quel discorso. Non sono un matematico: odio i numeri. Ma ho dei matematici che lavorano per me, e che mi hanno spiegato quello che avete detto.

— In tal caso, mia cara Rashelle, dovete ascoltare con maggiore attenzione. Senza dubbio vi hanno detto che io abbia dimostrato che le predizioni psicostoriche siano concepibili, però vi avranno anche detto che non siano fattibili in pratica.

— Non posso crederci, Hari. Il giorno dopo, siete stato convocato per un’udienza da quello pseudo-imperatore, Cleon.

— Pseudo-imperatore? — mormorò ironica .

— Oh, sì — disse Rashelle, come se stesse rispondendo ad una domanda seria. —

Pseudo-imperatore: non ha alcun diritto al trono, in realtà.

Rashelle — disse Seldon, accantonando quel commento leggermente spazientito. — A Cleon ho detto esattamente le stesse cose che ho appena detto a voi, e lui mi ha lasciato andare.

Questa volta Rashelle non sorrise. La sua voce si incrinò un poco. — Sì, vi ha lasciato andare come il gatto della favola lascia andare il topo. Vi ha dato la caccia fin da allora... a Streeling, a Micogeno, a Dahl. Vi darebbe la caccia anche qui, se avesse il coraggio di farlo. Ma, via... il nostro discorso serio è troppo serio. Divertiamoci: ascoltiamo un po’ di musica.

E non appena pronunciò quelle parole, si diffuse all’improvviso una melodia strumentale, sommessa ma gioiosa. Rachelle si chinò verso Raych. — Ragazzo mio, se sei a disagio con la forchetta, usa il cucchiaio o le dita: non ho nulla in contrario.

Raych disse: — Sì, signora — e deglutì impacciato. Ma incrociò il suo sguardo e con le labbra formò in silenzio la parola: — Forchetta.

Raych continuò con la forchetta.

disse: — La musica è deliziosa, signora — (si rifiutava di rivolgersi a lei con familiarità) — ma non deve distrarci. Forse i nostri inseguitori in realtà agivano per conto di Wye, nei settori che avete nominato prima. Secondo me, non sareste così bene informata sugli avvenimenti se l’iniziativa non fosse partita da Wye.

Rashelle rise. — Wye ha occhi ed orecchie dappertutto, naturalmente, però non eravamo noi gli inseguitori. Se fossimo stati noi gli inseguitori, vi avremmo presi, senza fallo... come è successo infine a Dahl quando, in effetti, eravamo noi gli inseguitori. Di fronte ad una caccia che fallisca, ad una mano che cerchi di afferrare ma manchi l’obiettivo, invece, si può star certi che si tratti di Demerzel.

— Avete una così scarsa considerazione di Demerzel? — mormorò .

— Sì. Vi sorprende? Lo abbiamo battuto.

— Voi? Od il Settore di Wye?

— Il Settore, certo, ma se Wye è vittorioso, anch’io sono vittoriosa.

— Strano — disse . — Secondo un’opinione molto diffusa in tutto Trantor, gli abitanti di Wye non hanno nulla a che fare con la vittoria, la sconfitta, o qualsiasi altra cosa. Pare che a Wye esista un’unica volontà e cioè quella del Sindaco.

Sicuramente, voi, o qualsiasi altro cittadino di Wye, non contate nulla al confronto.

Rashelle sorrise. Guardò Raych benevola e gli pizzicò una guancia, poi disse: —

Se credete che il nostro Sindaco sia un autocrate e che a Wye conti un’unica volontà, forse avete ragione. Ma anche in questo caso posso continuare ad usare il pronome personale, perché la mia volontà conta.

— Perché? — chiese Seldon.

— Perché no? — fece Rashelle, mentre i servitori cominciavano a sparecchiare la tavola. — Io sono il Sindaco di Wye.

86

Fu Raych il primo a reagire a quell’affermazione. Liberandosi del manto di educazione così scomodo da indossare, scoppiò a ridere e disse: — Ehi, signora, non potete essere sindaco: i sindaci sono maschi!

Rashelle lo guardò con affetto ed imitando alla perfezione il suo tono ribatté: —

Ehi, piccolo, certi sindaci sono maschi e certi sono femmine. Ficcatelo nella zucca e fai frullare il cervello.

Raych strabuzzò gli occhi e parve sbalordito. Infine riuscì a dire: — Ehi, parlate normale, signora.

— Garantito. Normale finché vuoi — fece Rashelle, sempre sorridendo.

Seldon si schiarì la voce. — Un accento notevole il vostro, Rashelle.

Rashelle agitò leggermente la testa. — Non lo usavo da molti anni, ma è impossibile dimenticarlo. Una volta avevo un amico, un caro amico, che era dahlita...

quando ero molto giovane. — Sospirò. — Non parlava così, naturalmente... era intelligentissimo... però volendo ne era capace e mi ha insegnato. Era eccitante parlare in questo modo con lui. Si creava un mondo che escludeva l’ambiente circostante: era meraviglioso. Era anche impossibile: mio padre lo ha messo bene in chiaro. Ed adesso ecco che arriva questo furfantello, Raych, a ricordarmi quei giorni tanto lontani. Ha l’accento giusto, gli occhi, quell’atteggiamento impudente... e tra qualche anno sarà la delizia ed il terrore delle ragazze. Vero, Raych?

Raych rispose: — Non so... ehm, signora...

— Oh, sì che lo sarai, ed assomiglierai moltissimo al mio... vecchio amico, ed allora sarà molto meglio che io non ti veda. Be’, la cena è finita, ed è ora che tu vada in camera tua, Raych. Puoi guardare l’olovisione per un po’, se vuoi. Immagino che tu non legga.

Raych arrossì. — Leggerò, un giorno: il signor Seldon dice che leggerò.

— Allora non ne dubito.

Una giovane donna si avvicinò a Raych, rivolgendo un inchino rispettoso a Rashelle. Seldon non aveva visto il segnale che l’aveva fatta accorrere.

Raych disse: — Non posso stare con il signor Seldon e la signora Venabili?

— Li vedrai più tardi — rispose con dolcezza Rashelle. — Adesso il signore, la signora ed io dobbiamo parlare... quindi tu devi andare.

In silenzio, la bocca di scandì decisa: — Vai! — E con una smorfia il ragazzo si alzò e seguì l’inserviente.

Quando Raych fu uscito, Rashelle disse: — Il ragazzo sarà al sicuro, naturalmente, e verrà trattato con ogni riguardo, non temete. Ed anch’io sarò al sicuro. Come è arrivata quella ragazza, può arrivare anche una decina di uomini armati, e molto più rapidamente, ad un segnale. Voglio che lo sappiate.

Seldon disse pacato: — Non abbiamo alcuna intenzione di aggredirvi, Rashelle...

o devo chiamarvi “Signor Sindaco”, adesso?

— Sempre Rashelle. A quanto pare, siete un lottatore da non sottovalutare, Hari...

e voi, siete molto abile coi coltelli che abbiamo tolto dalla vostra stanza. Non voglio che contiate inutilmente sulle vostre doti dal momento che a me Hari interessa vivo, integro e ben disposto.

— Signor Sindaco — disse , non mascherando minimamente la propria ostilità — tutti sanno che da quarant’anni il sovrano di Wye sia Mannix, Quarto del Nome, e che Mannix sia ancora vivo ed in pieno possesso delle sue facoltà. Dunque, chi siete voi, in realtà?

— Esattamente quello che affermo di essere, : Mannix IV è mio padre. Certo, è ancora vivo ed in possesso delle sue facoltà. Agli occhi dell’Imperatore e di tutto l’Impero, è il Sindaco di Wye, però è stanco del logorio del potere e finalmente è pronto a passarlo a me, che sono altrettanto pronta ad accettarlo. Sono la sua unica figlia, e sono stata allevata per governare. Mio padre, dunque è Sindaco di nome, ma io sono Sindaco di fatto: è a me che le forze armate di Wye hanno giurato fedeltà, ed a Wye è questo che conta.

Seldon annuì. — D’accordo, sia pure. Ma in ogni caso, indipendentemente da Mannix IV o da Rashelle I... Rashelle prima, immagino... indipendentemente da chi sia il Sindaco, non vedo lo scopo di essere trattenuto qui. Vi ho detto che non dispongo di una Psicostoria applicabile in pratica, e secondo me nessuno arriverà mai ad averla. L’ho detto all’Imperatore: non servo né a voi né a lui.

Rashelle fece: — Come siete ingenuo. Conoscete la storia dell’Impero?

Seldon scosse la testa. — Ultimamente rimpiango di non conoscerla molto meglio.

intervenne, caustica. — Io conosco la storia imperiale piuttosto bene, anche se la mia specializzazione è la storia pre-imperiale, signor Sindaco. Ma che importanza ha se la conosciamo o meno?

— Se conoscete la storia, saprete che la Casa di Wye sia antica ed onorabile, e discenda dalla dinastia daciana.

disse: — I daciani governavano cinquemila anni fa. Nelle centocinquanta generazioni venute in seguito, il numero dei loro discendenti può essere aumentato fino a comprendere la metà della popolazione della Galassia... se vogliamo accettare tutte le rivendicazioni di carattere genealogico, anche le più sfrontate.

— Le nostre rivendicazioni genealogiche, dottoressa Venabili — per la prima volta il tono di Rashelle era gelido ed ostile, ed i suoi occhi sprizzavano lampi duri come l’acciaio — non sono sfrontate: sono documentate. La Casa di Wye in tutte queste generazioni ha sempre conservato la sua considerevole posizione di potere, ed in certe occasioni abbiamo occupato anche il trono imperiale e governato con il titolo di Imperatore.

— Di solito i videolibri di storia considerano i sovrani di Wye degli “anti-imperatori”, mai riconosciuti dal grosso dell’Impero — osservò .

— Dipende da chi scrive i videolibri di storia. In futuro lo faremo noi, perché il trono che è stato nostro tornerà ad esserlo di nuovo.

— Per riuscirci, dovrete provocare una guerra civile.

— Difficilmente ci sarà una guerra civile. — Rashelle tornò a sorridere. — È

questo che devo spiegarvi, perché voglio l’aiuto del dottor Seldon per evitare una catastrofe del genere. Mio padre, Mannix IV, per tutta la vita è stato un uomo pacifico. È sempre stato fedele ai sovrani che governavano dal Palazzo Imperiale, ed ha fatto sì che Wye rimanesse un pilastro saldo e prospero dell’economia trantoriana per il bene di tutto l’Impero.

— Nonostante questo, ho l’impressione che la diffidenza dell’Imperatore nei suoi confronti sia rimasta immutata — disse .

— Certo — disse calma Rashelle. — Perché gli imperatori che hanno occupato il Palazzo all’epoca di mio padre sapevano di essere usurpatori appartenenti a una stirpe usurpatrice: gli usurpatori non possono permettersi di fidarsi dei veri sovrani. Eppure mio padre ha mantenuto la pace. Naturalmente, ha creato ed addestrato un magnifico apparato di sicurezza per tutelare la pace, la prosperità e la stabilità del settore, e le autorità imperiali glielo hanno consentito perché volevano che Wye fosse un settore pacifico, prospero, stabile... e fedele.

— Ma è fedele? — chiese .

— Al vero Imperatore, certo — disse Rashelle. — Ed adesso abbiamo raggiunto una fase in cui la nostra forza è tale da permetterci di impadronirci del potere rapidamente, in un lampo... e prima che qualcuno possa dire “guerra civile”, ci sarà un vero Imperatore... o Imperatrice, se preferite... ed a Trantor regnerà la stessa pace di prima.

scosse la testa. — Posso illuminarvi? Come storica?

— Sono sempre pronta ad ascoltare. — E Rashelle piegò leggermente il capo verso .

— Quali che siano le dimensioni delle vostre forze di sicurezza, per quanto bene addestrate e bene equipaggiate, non possono competere con la forze imperiali, che hanno il sostegno di venticinque milioni di mondi.

— Ah, ma avete proprio messo il dito sul punto debole dell’usurpatore, dottoressa Venabili. Ci sono venticinque milioni di mondi, con le forze imperiali sparse sulla loro superficie. Quelle forze sono disseminate su un’estensione di spazio incalcolabile, sono comandate da un’infinità di ufficiali, che non sono particolarmente pronti ad azioni all’esterno delle loro province, che sono pronti per lo più ad agire pensando ai propri interessi e non a quelli dell’Impero. Le nostre forze, d’altra parte, sono tutte qui, tutte su Trantor: noi possiamo agire e concludere prima che i generali e gli ammiragli, così lontani, riescano a capire che ci sia bisogno di loro.

— Però, poi una reazione ci sarà... e di intensità incredibile.

— Ne siete sicura? — chiese Rashelle. — Saremo nel Palazzo. Trantor sarà nostro, in pace. Perché le forze imperiali dovrebbero intervenire, dal momento che, badando ai fatti propri, ogni piccolo capo militare potrà avere un mondo tutto per sé da governare, un suo territorio?

— Ma è questo che volete? — domandò pensosa. — Volete governare un Impero che si spaccherà in tanti frammenti?

— Esatto. A me interessa governare Trantor, i suoi insediamenti spaziali, i pochi sistemi planetari vicini che fanno parte del territorio trantoriano. Preferisco essere l’Imperatore di Trantor piuttosto che l’Imperatore della Galassia.

— Vi accontentereste solo di Trantor? — fece incredula.

— Perché no? — ribatté Rashelle, infervorandosi di colpo e chinandosi in avanti premendo il palmo delle mani sul tavolo. — È questo che mio padre sta preparando da quarant’anni. Ormai resta aggrappato alla vita solo per vedere realizzato il suo progetto. A che ci servono milioni di mondi, mondi remoti che per noi non significano nulla, che ci indeboliscono, che ci sottraggono le nostre forze per spargerle in parsec cubi di spazio, che ci soffocano col caos amministrativo, che ci rovinano con i loro problemi ed i loro conflitti interminabili? A che ci servono, dal momento che per noi sono nullità lontanissime? Il nostro mondo popoloso, la nostra città planetaria, è già una Galassia sufficiente per noi. Abbiamo tutto quello che ci occorra per continuare da soli. Il resto della Galassia si spezzi pure in tanti frammenti. Ogni piccolo ed insignificante militarista può prendersi il suo frammento: non c’è bisogno che lottino tra loro. Ce ne saranno abbastanza per tutti.

— Ma loro combatteranno ugualmente — disse . — Ognuno di loro non si accontenterà del proprio territorio. Ognuno di loro avrà paura che il vicino non si accontenti del proprio territorio. Si sentiranno insicuri e sogneranno un governo galattico, vedranno in un governo galattico l’unica garanzia di sicurezza. Questo è certo, signora Imperatrice di Nulla. Ci saranno guerre a non finire, in cui voi e Trantor sarete inevitabilmente coinvolti... e sarà la rovina per tutti.

Rashelle disse sprezzante: — Si può avere questa impressione, se non si vede più in là di quel che vediate voi, se ci si basa sulla normale lezione della storia.

— Cosa c’è da vedere più in là? — ribatté . — Su cosa ci si può basare se non sulla lezione della storia?

— Cosa c’è oltre quello? — disse Rashelle. — Insomma, lui! — Ed il suo braccio scattò in fuori, il suo indice fu puntato verso Seldon.

— Io? — fece Seldon. — Vi ho già detto che la Psicostoria...

Rashelle lo interruppe. — Non ripetete quanto avete già detto, mio caro dottor Seldon. Inutile... Secondo voi, dottoressa Venabili, mio padre non si è mai reso conto del pericolo di una guerra civile interminabile? Pensate che non si sia spremuto il cervello per trovare il modo di evitarla? In questi ultimi dieci anni, in qualsiasi momento avrebbe potuto impossessarsi dell’Impero in un sol giorno. Gli mancava soltanto la garanzia della sicurezza dopo la vittoria.

— Che voi non potete avere — disse .

— Che abbiamo avuto non appena abbiamo sentito la relazione del dottor Seldon al Convegno Decennale. Ho capito subito che era quella la cosa di cui avevamo bisogno. Mio padre era troppo vecchio per afferrarne subito l’importanza. Quando gli ho spiegato la cosa, però, anche lui ha capito ed è stato allora che ufficialmente ha passato i suoi poteri a me. Quindi, Hari, devo a voi la mia posizione, e a voi dovrò anche la carica più alta che occuperò in futuro.

— Continuo a dire che non sia possibile... — iniziò Seldon, seccato.

— Non ha importanza quel che sia possibile fare o meno: l’importante è quel che creda la gente. E la gente vi crederà, Hari, quando direte che secondo la predizione psicostorica Trantor può governarsi autonomamente e le Province possono diventare regni che vivranno assieme in pace.

— Non farò predizioni del genere in assenza di una Psicostoria autentica — disse Seldon. — Non farò il ciarlatano: se volete predizioni simili, fatele voi.

— Hari, non mi crederanno. Mentre crederanno a voi... Il grande matematico.

Perché non accontentarli?

Seldon disse: — Guarda caso, anche l’Imperatore pensava di usarmi in questo modo. Ho rifiutato... perché dovrei accettare di fare la stessa cosa per voi?

Rashelle restò in silenzio alcuni istanti e quando riprese a parlare la sua voce non era più eccitata, era diventata quasi carezzevole.

— Hari, pensate un attimo alla differenza tra Cleon e me. Indubbiamente, da voi Cleon voleva solo della propaganda per conservare il trono. Inutile, dal momento che è impossibile conservare quel trono. Non sapete che l’Impero Galattico è in uno stato di decadenza, che non può durare ancora a lungo? Trantor stesso lentamente sta andando in rovina perché gravato dal peso sempre più grande dell’amministrazione di venticinque milioni di mondi. Di fronte a noi ci sono il crollo e la guerra civile, qualunque cosa facciate per Cleon.

Seldon disse: — Ho sentito qualcosa del genere. Può darsi addirittura che sia vero... ed allora?

— Be’, allora aiutate l’Impero a frantumarsi senza guerra. Aiutatemi a conquistare Trantor. Aiutatemi ad instaurare un governo energico in un regno abbastanza piccolo da essere amministrato con efficienza. Lasciatemi concedere la libertà al resto di essa, in modo che ogni parte della Galassia scelga la strada da seguire secondo le proprie culture e le proprie tradizioni. La Galassia tornerà ad essere un insieme funzionante grazie al commercio, al turismo, alle comunicazioni, che si svolgeranno in un regime di libertà, e sarà scongiurato il pericolo di un crollo disastroso causato dal governo autoritario attuale che malgrado tutto non ha una forza di aggregazione sufficiente. Le mie ambizioni sono davvero moderate: un mondo, non milioni di mondi; la pace, non la guerra; la libertà, non la schiavitù. Pensateci, ed aiutatemi.

Seldon disse: — Se a voi non crederà, perché dovrebbe credere a me, la Galassia?

La gente non mi conosce, e quali comandanti della flotta si lasceranno impressionare dalla semplice parola “Psicostoria”?

— Non vi crederanno adesso, ma io non pretendo un’azione immediata. La Casa di Wye ha aspettato migliaia di anni, e può aspettare ancora qualche migliaio di giorni. Collaborate con me e renderò famoso il vostro nome. Farò splendere la promessa della Psicostoria su tutti i mondi ed al momento giusto, quando lo riterrò opportuno, voi farete la vostra predizione e noi colpiremo. In un batter d’occhio, nella Galassia ci sarà un ordine nuovo che le garantirà stabilità e felicità eterne. Via, Hari, come potete rifiutare?

Rovesciamento

THALUS, EMMER... Un sergente delle forze di sicurezza del Settore di Wye dell’antico Trantor.

... A parte questi dati statistici comunissimi riguardo la sua persona, non si sa nulla di questo personaggio, tranne che in una occasione ebbe nelle mani il destino della Galassia.

ENCICLOPEDIA GALATTICA

87

La mattina dopo, la colazione fu servita in un’alcova vicino alle stanze dei tre

“ospiti forzati”, e fu a dir poco sontuosa. C’era una notevole varietà di vivande, ed anche la quantità non lasciava certo a desiderare.

Seldon sedeva di fronte ad una montagna di salsicce piccanti, ignorando completamente le predizioni sinistre di a proposito di mal di stomaco e coliche.

Raych disse: — La donna... la Sindachessa, quando è venuta da me ieri sera, ha detto...

— È venuta da te? — fece Seldon.

— Già. Voleva assicurarsi che fossi sistemata bene. Ha detto che quando potrà mi porterà a vedere uno zoo.

— Uno zoo? — Seldon guardò . — Che razza di zoo possono avere su Trantor? Cani e gatti?

— Ci sono alcuni animali indigeni, ed immagino che importino animali indigeni di altri mondi, e poi ci sono anche gli animali comuni che si trovano su tutti i mondi...

certo, Trantor ne ha meno rispetto a certi pianeti. In realtà, Wye ha uno zoo famoso, probabilmente il migliore del pianeta dopo lo Zoo Imperiale.

Raych disse: — È una vecchia simpatica.

— Non è poi così vecchia — osservò . — Comunque, sicuramente ci sta nutrendo bene.

— Vero — ammise Seldon.

Al termine del pasto, Raych partì in esplorazione.

Quando furono nella stanza di , Seldon disse visibilmente contrariato: — Non so quanto verremo lasciati per conto nostro. È ovvio che Rashelle abbia pensato a come occupare il nostro tempo.

— A dire il vero, non ci possiamo lamentare per ora. Stiamo molto meglio qui che a Micogeno ed a Dahl.

— , non ti sarai lasciata conquistare da quella donna, vero?

— Io? Da Rashelle? Certo che no. Come puoi pensare una cosa simile?

— Be’, ci sono tutte le comodità. Si mangia bene. Sarebbe naturale rilassarsi ed accettare quel che porta il destino.

— Già, molto naturale. Perché non farlo, allora?

— Senti, ieri sera mi hai detto cosa succederà se Rashelle riuscirà nel suo intento.

Non sarò un grande esperto di storia, però sono pronto a fidarmi delle tue parole... è un discorso che quadra, anche per un profano come me. L’Impero si sgretolerà ed i suoi frammenti lotteranno tra loro per... per... chissà quanto: bisogna fermare Rashelle.

— Sono d’accordo. Bisogna fermarla — disse . — Solo che non vedo cosa possiamo fare per fermarla in questo momento. — Fissò attentamente Seldon. —

Hari, ieri notte non hai dormito, vero?

— E tu? — Era chiaro che lui non avesse dormito.

lo osservò preoccupata. — Sei rimasto sveglio a pensare alla distruzione della Galassia per via di quel che ti ho detto?

— Per quello e per qualche altra cosa. È possibile mettersi in contatto con Hummin? — chiese Seldon sottovoce.

— Ho provato a contattarlo a Dahl quando dovevamo sottrarci all’arresto: non è venuto. Il messaggio l’ha ricevuto, ne sono certa, però non è venuto. Forse, per qualche motivo, non è proprio potuto venire, però quando potrà, verrà.

— Pensi che gli sia successo qualcosa?

— No — rispose , paziente. — Non credo.

— Come fai a saperlo?

— Verrei informata, in qualche modo, se gli succedesse qualcosa. Invece non ho sentito nulla.

Seldon corrugò la fronte. — Non mi sento fiducioso come te riguardo la situazione: anzi, non mi sento affatto fiducioso. Anche se venisse, cosa potrebbe fare Hummin in questo caso? Non può affrontare tutto il Settore. Se, come sostiene Rashelle, Wye ha l’esercito meglio organizzato di Trantor, cosa potrà fare Hummin contro un apparato del genere?

— Inutile discuterne. Credi di riuscire a convincere Rashelle, a ficcarglielo in testa in un modo o nell’altro, che tu non abbia la Psicostoria?

— Per me, lei sa benissimo che non abbia una Psicostoria applicabile e che non l’avrò per molti anni ancora... forse mai. Però Rashelle dirà che io abbia la Psicostoria e, se sarà abbastanza abile, la gente le crederà, ed alla fine agirà in base a quelle che Rashelle spaccerà per predizioni di Hari Seldon... anche se io non dirò una parola.

— Ci vorrà certamente del tempo. Rashelle non può creare il tuo personaggio e renderti famoso da un giorno all’altro. E nemmeno in una settimana. Per farlo bene, potrebbe impiegare anche un anno.

Seldon stava passeggiando per la stanza, girando bruscamente sui tacchi ed andando avanti ed indietro.

— Può darsi... non so. Rashelle sarà smaniosa di agire in fretta. Non mi sembra una donna particolarmente paziente. E suo padre, Mannix IV, sarà ancor più impaziente. Senz’altro sente che non gli resti molto da vivere, e se ha dedicato tutta la vita a questo progetto, preferirà che si realizzi una settimana prima della sua morte piuttosto che una settimana dopo... E poi... — Seldon si fermò e si guardò intorno.

— E poi, cosa?

— Be’, dobbiamo riavere la nostra libertà. Vedi, ho risolto il problema della Psicostoria.

spalancò gli occhi. — Ce l’hai fatta! L’hai risolto!

— Non del tutto. Per risolverlo completamente forse ci vorranno decenni... secoli, magari. Però adesso so che la Psicostoria non è solo una scienza teorica, è anche applicabile in pratica. So che è possibile svilupparla, quindi mi occorrono il tempo, la pace, i mezzi necessari per dedicarmi a quest’impresa. Bisogna impedire che l’Impero si disgreghi finché io od i miei successori non avremo scoperto il modo migliore di mantenerlo stabile, od in che modo minimizzare i danni nel caso l’Impero dovesse crollare malgrado i nostri sforzi. Ieri notte non ho dormito perché sapevo di avere finalmente un compito ma non potevo mettermi al lavoro.

88

Era il loro quinto giorno a Wye, e quella mattina stava aiutando Raych ad indossare un vestito da cerimonia con cui né lei né il ragazzo avevano molta dimestichezza.

Raych si guardò dubbioso nell’olospecchio e vide un’immagine riflessa rivolta verso di lui con la massima precisione, che imitava tutti i suoi movimenti ma senza alcuna inversione destra-sinistra. Raych non aveva mai usato un olospecchio in precedenza e non aveva potuto fare a meno di provare a toccarlo, poi aveva riso, quasi imbarazzato, quando la sua mano lo aveva attraversato mentre la mano dell’immagine aveva urtato inutilmente il suo corpo reale.

Raych disse infine: — Sono buffo.

Studiò la sua tunica, fatta di un materiale molto pieghevole, con una sottile cintura di filigrana, poi passò le mani sul colletto rigido che gli arrivava oltre le orecchie.

— Ho la testa che sembra una palla dentro una scodella.

disse: — Ma è così che si vestono i bambini ricchi a Wye. Tutti quelli che ti vedranno ti ammireranno e ti invidieranno.

— Coi capelli tutti schiacciati?

— Certo. E porterai questo cappellino rotondo.

— Così la mia testa sembrerà ancora di più una palla.

— Allora non lasciare che nessuno la prenda a calci. Ed adesso ricorda quel che ti ho detto: tieni gli occhi aperti e non comportarti da bambino.

— Ma io sono un bambino — replicò Raych, guardando con un’espressione innocente.

— Mi sorprende sentirtelo dire. Sono sicura che invece ti consideri un adulto di dodici anni.

Raych sogghignò. — D’accordo: sarò una brava spia.

— Non ti sto chiedendo di esserlo. Non correre rischi. Non sgattaiolare dietro le porte ad ascoltare. Se ti sorprendono, ci rimetteremo tutti... tu, soprattutto.

— Oh, via, signora... per chi mi prendete? Per un bambino?

— Non hai appena detto di essere un bambino, Raych? Devi solo ascoltare tutto quello che dicono senza dare nell’occhio, ricordare ogni cosa, e riferirla a noi. Mi sembra abbastanza semplice.

— È semplice dirlo, per voi — fece Raych sorridendo, — ed è semplice farlo, per me.

— E sii prudente.

Raych le strizzò un occhio. — Potete scommetterci.

Un lacchè (freddo e scortese come poteva esserlo solo un lacchè arrogante) venne a prendere Raych per condurlo dove Rashelle lo stesse aspettando.

Seldon li seguì con lo sguardo ed osservò pensoso: — Probabilmente Raych non vedrà lo zoo, ascolterà e basta. Non so se sia giusto spingere un ragazzino in una situazione così pericolosa.

— Pericolosa? Ne dubito. Raych è cresciuto nei bassifondi di Billibotton, ricordalo: ho la sensazione che sia più sveglio di noi due messi insieme. E poi, Rashelle ha un debole per lui, ed interpreterà ogni sua azione favorevolmente...

Povera donna.

— Ti dispiace davvero per lei, ?

— Intendi dire che non meriti alcuna comprensione perché sia la figlia di un Sindaco e si consideri lei stessa un Sindaco... e stia anche cercando di distruggere l’Impero? Forse hai ragione, ma in ogni caso ci sono certi aspetti di lei che un po’ di compassione possono suscitarla. Per esempio, ha avuto una relazione amorosa infelice, questo mi pare evidente. Senza dubbio, ha sofferto parecchio... per un po’, almeno.

Seldon chiese: — Tu hai mai avuto una relazione amorosa infelice, ?

rifletté un attimo. — Non proprio. Sono troppo presa dal mio lavoro per ritrovarmi con il cuore infranto.

— Lo immaginavo.

— Allora perché me l’hai chiesto?

— Avrei potuto sbagliarmi.

— E tu?

Seldon parve a disagio. — Per dire la verità, sì, mi è capitato. Ho trovato il tempo anche per farmi spezzare il cuore. Una storia molto dolorosa.

— Lo immaginavo.

— Allora perché me l’hai chiesto?

— Non per avere la certezza di non sbagliarmi, giuro. Volevo solo vedere se avresti mentito. Non l’hai fatto e sono contenta.

Ci fu una pausa, poi Seldon disse: — Sono trascorsi cinque giorni e non è successo nulla.

— A parte il fatto che ci stiano trattando bene, Hari.

— Se sapessero pensare, gli animali penserebbero di essere trattati bene durante l’ingrasso prima di essere mandati al macello.

— Lo ammetto... Rashelle sta ingrassando l’Impero per il macello.

— Ma quando?

— Quando sarà pronta, presumo.

— Si è vantata di poter conquistare il potere in un giorno, ed io ho l’impressione che potrebbe farlo da un giorno all’altro.

— Anche se potesse farlo, prima vorrà assicurarsi di essere in grado di neutralizzare la reazione imperiale, e forse ci vorrà del tempo per questo.

— Quanto tempo? Rashelle intende neutralizzare la reazione usando me, ma non sta facendo nulla in tal senso. Non mi pare proprio che stia cercando di gonfiare la mia importanza. Qui a Wye, ovunque vada, nessuno mi riconosce. Non ci sono folle di wyani che si radunino per acclamarmi: gli olonotiziari tacciono.

sorrise. — Si direbbe quasi che tu sia offeso per questa mancata ascesa alla fama. Sei ingenuo, Hari... o meglio, non sei uno storico, il che è la stessa cosa. Lo studio della Psicostoria farà di te uno storico, e questo dovrebbe darti una soddisfazione maggiore di qualsiasi altra cosa, anche della prospettiva di salvare l’Impero con la tua opera. Se tutti gli esseri umani capissero la storia, forse la smetterebbero di fare continuamente gli stessi stupidi errori.

— In che senso sono ingenuo? — Seldon alzò il mento e squadrò dall’alto in basso.

— Non offenderti, Hari: se devo essere sincera, penso che sia uno dei tuoi lati più affascinanti.

— Lo so. Stimola il tuo istinto materno, e tu hai ricevuto l’incarico di badare a me.

Ma in che senso sono ingenuo?

— Se pensi che Rashelle cercherà di presentarti come un profeta alla popolazione dell’Impero in genere: così non otterrebbe nulla. È difficile influenzare in breve tempo trilioni di persone. C’è l’inerzia sociale e psicologica, oltre a quella fisica. E

poi, uscendo allo scoperto, non farebbe altro che mettere in guardia Demerzel.

— Allora cosa sta facendo?

— A mio avviso, le informazioni sul tuo conto, opportunamente esagerate e magnificate, stanno raggiungendo una cerchia ristretta di figure chiave... stanno raggiungendo quei viceré di settore, quegli ammiragli, quei personaggi influenti che, secondo Rashelle, sono ben disposti nei suoi confronti... od ostili nei confronti dell’Imperatore. Un centinaio delle persone che potrebbero schierarsi con lei riusciranno a confondere i lealisti abbastanza a lungo da permettere a Rashelle I di instaurare il suo ordine nuovo, di consolidarlo, e di battere un’eventuale resistenza.

Almeno, per me lei ragiona così.

— Ed Hummin non dà ancora sue notizie.

— Ma senza dubbio sta facendo qualcosa: è una questione troppo importante, che non si può ignorare.

— Non hai pensato che potrebbe essere morto?

— È una possibilità... Ma non credo sia morto. Se lo fosse, sarei stata informata.

— Qui?

— Persino qui.

Seldon aggrottò le sopracciglia ma non disse nulla.

Raych tornò nel tardo pomeriggio, felice ed eccitato, descrivendo scimmie e lemuridi bakariani, e monopolizzò la conversazione a tavola. Solo dopo cena, quando furono nelle loro stanze, chiese: — Allora, parlami della Sindachessa, Raych.

Raccontami le cose che abbia fatto o detto, e che pensi possano interessarci.

— C’è una cosa — annunciò Raych, raggiante. — Ecco perché non si è vista a cena, scommetto.

— Cosa?

— Lo zoo era chiuso, tranne che per noi. Eravamo parecchi... Rashelle, io, ed un mucchio di tipi in uniforme e di signore vestite eleganti e via dicendo. Poi un tipo in uniforme... uno diverso che all’inizio non c’era... è arrivato verso la fine ed ha detto qualcosa sottovoce e Rashelle si è girata e con la mano ha fatto segno a tutti... come di non muoversi, ed infatti nessuno s’è mosso. Rashelle si è allontanata un po’ con questo tipo, per parlargli senza che nessuno sentisse. Solo che io sembravo per i fatti miei ed ho continuato a guardare le gabbie, così mi sono avvicinato a Rashelle tanto da sentirla. Ha detto: «Come osano?». E sembrava molto arrabbiata. E il tipo in uniforme mi pareva nervoso... davo solo qualche occhiata al volo perché dovevo far finta di guardare gli animali... così più che altro ho sentito le parole. Il tipo ha detto che qualcuno... il nome non lo ricordo, ma era un generale o qualcosa del genere. Ha detto che questo generale aveva detto che gli ufficiali avevano giurato al vecchio di Rashelle....

— Giurato lealtà — corresse .

— Qualcosa del genere, ed insomma erano nervosi all’idea di fare quel che dice una donna... volevano il vecchio. Altrimenti, se era malato, il vecchio doveva scegliere un uomo come Sindaco, non una donna.

— Non una donna? Sei sicuro?

— Ha detto così, quello... molto sottovoce. Era nervosissimo, e Rashelle era così arrabbiata che non riusciva quasi a parlare. Ha detto: «Avrò la sua testa. Domani giureranno tutti lealtà a me, e chi rifiuterà se ne pentirà prima che sia trascorsa un’ora». Queste sono le sue esatte parole. Poi ha sciolto il gruppo di gente e siamo tornati qui, e con me non ha aperto bocca per tutto il tempo. E Se ne stava seduta con una faccia rabbiosa e cattiva.

— Bene — fece . — Non raccontare a nessuno queste cose, Raych.

— Certo che no: è quello che volevate?

— Direi proprio di sì. Sei stato in gamba, Raych. Ora, vai nella tua stanza e dimentica tutto: non pensarci più.

Quando il ragazzo fu uscito, si rivolse a Seldon.

— Molto interessante. Varie volte una figlia è succeduta al padre, od alla madre, diventando Sindaco od occupando altre cariche importanti. Ci sono state addirittura delle imperatrici sul trono, come indubbiamente sai, e se ben ricordo nella storia imperiale non ci sono mai state forti opposizioni per non servire una imperatrice.

Chissà perché un fatto del genere sia successo proprio adesso a Wye?

Seldon disse: — E perché no? Poco tempo fa siamo stati a Micogeno... là le donne non godono della minima considerazione, e non potrebbero mai occupare una carica, per quanto minore.

— Sì, però quella è un’eccezione. In altri posti, sono le donne a dominare.

Comunque, il governo ed il potere per lo più sono sempre stati abbastanza equisessuali. Se gli uomini tendono maggiormente ad occupare le posizioni importanti, di solito è perché le donne tendono ad essere maggiormente legate, biologicamente, ai bambini.

— Ma qual è la situazione a Wye?

— A me risulta che sia equisessuale. Rashelle non ha esitato ad accettare la carica di Sindaco, ed immagino che il vecchio Mannix non abbia esitato a conferirgliela. E

Rashelle è rimasta sorpresa e si è infuriata quando ha saputo di questo dissenso maschile: non se l’aspettava.

Seldon disse: — È chiaro che sei contenta di questa situazione. Perché?

— Perché è talmente innaturale che deve trattarsi di una cosa provocata, e ho l’impressione che l’artefice di tutto sia Hummin.

Seldon disse meditabondo: — Lo pensi?

— Sì — rispose .

— Sai, lo penso anch’io.

89

Era il loro decimo giorno a Wye, e quella mattina il segnale della porta di Seldon suonò, accompagnato dalla voce acuta di Raych che stava gridando: — Signore!

Signor Seldon! C’è la guerra!

Seldon impiegò alcuni attimi a svegliarsi del tutto ed a scendere dal letto. Tremava leggermente (i wyani prediligevano abitazioni abbastanza fredde, aveva scoperto all’inizio del suo soggiorno lì) quando aprì la porta.

Raych corse dentro, eccitato, gli occhi spalancati.

— Signor Seldon, hanno Mannix, il vecchio Sindaco!

Hanno... chi, Raych?

— Gli Imperiali. I loro avio sono arrivati questa notte, dappertutto. Lo stanno dicendo al notiziario dell’olovisione. Nella stanza della signora è accesa. La signora ha detto di lasciarvi dormire, ma io ho pensato che vi avrebbe interessato.

— Ed hai fatto bene. — Seldon indossò in fretta una vestaglia da bagno e si precipitò nella stanza di .

era già vestita e stava guardando l’olovisore nella nicchia.

Dietro l’immagine chiara e piccola di una scrivania sedeva un uomo, con lo stemma dell’Astronave e del Sole bene in vista sul lato anteriore sinistro della casacca. In piedi ai suoi lati, due soldati armati, anch’essi con il simbolo dell’Astronave e del Sole. L’ufficiale alla scrivania stava dicendo: — ... sotto il pacifico controllo di sua Maestà Imperiale. Il Sindaco Mannix è incolume ed è in pieno possesso dei poteri della sua carica sotto la guida amichevole di milizie imperiali. Presto apparirà pubblicamente per calmare tutti i wyani e per chiedere ai soldati wyani ancora armati di deporre le armi.

Ci furono altri servizi da parte di vari giornalisti dal tono pacato, tutti con una fascia imperiale al braccio.

Le notizie erano sempre le stesse: la resa di questo o di quel reparto delle forze di sicurezza wyane dopo un breve scambio di colpi simbolico e a volte senza la minima resistenza... l’occupazione di questa o di quella zona... ripetute immagini di folle wyane che osservavano cupe le forze imperiali che marciavano nelle strade.

disse: — Una esecuzione perfetta, Hari: la sorpresa è stata totale. Non c’era possibilità di resistenza, anzi, non c’è stata nessuna resistenza significativa.

Poi, come avevano promesso, apparve il Sindaco Mannix IV. Era in piedi, ben eretto, e, forse per salvare le apparenze, non c’erano Imperiali in vista, anche se secondo Seldon dovevano essercene parecchi non inquadrati dall’olocamera.

Mannix era vecchio, ma trasmetteva ancora una sensazione di forza, per quanto logora. Non guardò l’olocamera, e quando parlò sembrò che quelle parole gli fossero state imposte... comunque, come era stato promesso in precedenza, consigliò ai wyani di rimanere calmi, di non opporre resistenza, di pensare al bene di Wye, e di collaborare con l’Imperatore, a cui tutti auguravano di restare a lungo sul trono.

— Nemmeno un accenno a Rashelle — disse Seldon. — Come se sua figlia non esistesse.

— Nessuno ha parlato di lei — spiegò — e questo posto, che in fin dei conti è la sua residenza o una delle sue residenze, non è stato attaccato. Anche se riuscirà a fuggire e a rifugiarsi in un settore vicino, dubito che su Trantor possa essere al sicuro per molto tempo.

— Forse no — disse una voce. — Ma qui sarò al sicuro per un po’, Rashelle entrò. Era vestita con cura, e calma. Stava addirittura sorridendo, ma non era un’espressione di gioia: era se mai una fredda esposizione di denti.

I tre la fissarono sorpresi per un attimo, e Seldon si chiese se avesse qualche servitore con lei o se tutti l’avessero abbandonata ai primi segni di avversità.

, piuttosto gelida, disse: — Vedo, Sindachessa, che dovete rinunciare alle vostre speranze di impadronirvi del potere. A quanto pare, la vostra mossa è stata prevenuta.

— Non sono stata prevenuta, sono stata tradita. I miei ufficiali sono stati manovrati e, andando contro la storia e la razionalità, si sono rifiutati di combattere per una donna, invocando il loro vecchio signore. E poi, confermando di essere quei traditori che sono, hanno lasciato che il loro vecchio sovrano venisse catturato perché non li spingesse a resistere. — Rashelle cercò una sedia con lo sguardo e si sedette.

— Ed adesso l’Impero continuerà a decadere ed a morire, mentre io ero pronta a infondergli una nuova vita.

disse: — Secondo me, l’Impero ha evitato un periodo lunghissimo di lotte e di distruzioni inutili. Consolatevi con questo pensiero, Sindachessa.

Rashelle parve non sentirla. — Tanti anni di preparativi andati in fumo in una notte. — Aveva un’aria avvilita, distrutta, e dimostrava vent’anni di più.

disse: — Mi pare impossibile che sia successo in una notte. Per sobillare i vostri ufficiali, ammesso che siano stati sobillati, ci sarà voluto senza dubbio del tempo.

— In queste cose Demerzel è un maestro. Evidentemente l’ho sottovalutato. Non so come abbia fatto: minacce, corruzione, argomentazioni ipocrite e capziose. È un maestro nell’arte del sotterfugio e del tradimento... avrei dovuto saperlo. — Una pausa, quindi Rashelle proseguì. — Se avesse agito alla luce del sole, avrei distrutto senza problemi qualunque forza inviata contro di noi. Chi avrebbe immaginato che Wye sarebbe stato tradito, che un giuramento di fedeltà sarebbe stato accantonato con tanta disinvoltura?

Con razionalità automatica, Seldon osservò: — Il giuramento era stato fatto a vostro padre, non a voi, suppongo.

— Sciocchezze — ribatté energica Rashelle. — Quando mi ha passato la carica di Sindaco, un suo diritto legale, automaticamente mio padre ha ceduto a me qualsiasi giuramento di fedeltà fatto alla sua persona. I precedenti non mancano certo. Per tradizione, il giuramento viene ripetuto al nuovo sovrano, ma è solo una cerimonia, non una prescrizione legale. I miei ufficiali lo sapevano, anche se hanno preferito dimenticarlo. Il fatto che io sia una donna era soltanto un pretesto, perché loro tremano di paura pensando alla vendetta imperiale, vendetta che non sarebbe mai arrivata se fossero stati fedeli... o perché fremono avidi pensando alle ricompense promesse, ricompense che non riceveranno mai... se conosco Demerzel. — Si girò di scatto verso Seldon. — Vuole voi: Demerzel ci ha colpiti perché vuole voi.

Seldon sussultò. — Perché?

— Non siate sciocco: per lo stesso motivo per cui vi volevo io... per usarvi come uno strumento, è logico. — Rashelle sospirò. — Almeno, il tradimento non è stato completo. Ci sono ancora dei soldati fedeli su cui contare... Sergente!

Il sergente Emmer Thalus entrò con un’andatura felpata e circospetta che sembrava fuori luogo, considerata la sua mole. La sua uniforme era impeccabile, i lunghi baffi biondi erano arricciati in una piega aggressiva.

— Signor Sindaco — disse Thalus scattando sull’attenti.

Era ancora, stando alle apparenze, l’ammasso di muscoli che Hari Seldon aveva conosciuto giorni addietro... un uomo che continuava ad eseguire ciecamente gli ordini, completamente ignaro della nuova situazione creatasi.

Rashelle rivolse un sorriso mesto a Raych. — Come stai, piccolo Raych? Avevo dei progetti per te, ma adesso sembra proprio che non potrò realizzarli.

— Salve... signora — fece Raych imbarazzato.

— E avevo dei progetti anche per voi, dottor Seldon, e non posso realizzarli, devo chiedere perdono anche a voi...

— Non dovete rammaricarvi per me, signora.

— Certo che mi rammarico. Non posso permettere a Demerzel di avervi in mano sua: sarebbe una vittoria troppo grande per lui, ed almeno questo posso impedirlo.

— Vi assicuro, signora, che non lavorerò per lui, come non avrei lavorato per voi.

— Non si tratta di lavorare per qualcuno, si tratta di essere usati da qualcuno.

Addio, dottor Seldon... Sergente, disintegratelo.

Il sergente estrasse subito il disintegratore e , con un grido, si scagliò in avanti... ma Seldon la bloccò stringendole un gomito, trattenendola con uno sforzo disperato.

— Stai indietro, — urlò — o ti ucciderà... A me non sparerà... Anche tu, Raych. Stai indietro. Non muoverti. — Seldon si rivolse al sergente. — Sergente, esitate perché sapete che non potete sparare. Dieci giorni fa avrei potuto uccidervi, ma non l’ho fatto, e voi mi avete dato la vostra parola d’onore che mi avreste protetto.

— Cosa state aspettando? — disse aspra Rashelle. — Vi ho detto di sparargli, sergente!

Seldon non aggiunse altro. Rimase immobile, mentre il sergente, gli occhi strabuzzati, gli puntava il disintegratore alla testa.

— Vi ho dato un ordine! — strillò Rashelle.

— Ho la vostra parola d’onore — fece Seldon sottovoce.

E Thalus, con voce strozzata, disse: — Disonorato in entrambi i casi. — Abbassò la mano e l’arma cadde sul pavimento.

Rashelle urlò: — Dunque, anche tu mi tradisci!

Prima che Seldon potesse muoversi o che riuscisse a liberarsi dalla sua stretta, Rashelle afferrò l’arma, la puntò sul sergente e premette il contatto.

Seldon non aveva mai visto disintegrare qualcuno in precedenza. Dato il nome dell’arma, forse, si aspettava un rumore forte, un’esplosione di carne e di sangue.

Invece, quel disintegratore wyeano non fece nulla del genere. Seldon non aveva idea delle lesioni provocate agli organi interni del torace di Thalus... ma senza mutare espressione, senza un sussulto di dolore, il sergente si accasciò e stramazzò...

purtroppo, inequivocabilmente morto.

Dopo di che, Rashelle puntò il disintegratore su Seldon, talmente decisa che il matematico pensò di avere al massimo ancora un secondo di vita.

Fu Raych ad entrare in azione nell’attimo stesso in cui il sergente crollò sul pavimento: corse tra Seldon e Rashelle, agitando freneticamente le mani.

— Signora, signora! Non sparate!

Per un istante, Rashelle parve confusa. — Spostati, Raych: non voglio farti del male.

Quella brevissima esitazione fu provvidenziale per . Liberandosi con un violento strattone, si abbassò e si scagliò addosso a Rashelle, che ruzzolò sul pavimento gridando. Il disintegratore cadde una seconda volta.

Raych lo raccolse.

Dopo un respiro profondo ed un lieve brivido, Seldon disse: — Raych, dallo a me.

Ma Raych indietreggiò. — Non la ucciderete, vero, signor Seldon? Lei è stata buona con me.

— Non ucciderò nessuno, Raych... Lei ha ucciso il sergente ed avrebbe ucciso anche me, però ha preferito non sparare piuttosto che fare del male a te, e per questo la lasceremo vivere.

Poi Seldon si sedette, stringendo il disintegratore in modo fiacco, mentre toglieva la frusta neuronica dall’altra fondina del sergente morto.

Una nuova voce risuonò nella stanza. — Adesso mi occuperò io di lei, Seldon.

Seldon alzò lo sguardo e, preso da una gioia improvvisa, esclamò: — Hummin!

Finalmente!

— Mi spiace di avere impiegato tanto. Avevo parecchie cose da fare. Come state, dottoressa Venabili? E questa è la figlia di Mannix, Rashelle, immagino... Ma il ragazzo, chi è?

— Raych è un nostro giovane amico dahlita — rispose Seldon.

Entrarono dei soldati che, a un cenno di Hummin, sollevarono rispettosi Rashelle.

, smettendo di sorvegliare l’altra donna, si strofinò i vestiti e lisciò la camicetta. Seldon tutt’a un tratto si rese conto di essere ancora in vestaglia.

Rashelle si divincolò sprezzante dai soldati e, indicando Hummin, disse a Seldon:

— Chi è costui?

Seldon rispose: — Chetter Hummin, un amico, il mio protettore su questo pianeta.

— Il vostro protettore? — Rashelle eruppe in una risata isterica. — Sciocco!

Idiota! Quest’uomo è Demerzel, e se guardate la vostra cara Venabili capirete dalla sua espressione che lei lo sappia perfettamente: siete stato intrappolato fin dall’inizio... una trappola molto peggiore della mia!

90

Hummin e Seldon pranzarono assieme quel giorno, in perfetta solitudine, divisi per lo più da una cortina di silenzio.

Fu verso la fine del pasto che Seldon si scosse e disse in tono vivace: — Be’, come devo chiamarvi? Per me siete ancora “Chetter Hummin”, ma anche se vi accetto nel vostro altro ruolo, certamente non posso chiamarvi “Eto Demerzel”: in quella veste, avete un titolo che io non conosco. Illuminatemi.

L’altro rispose serio: — Chiamatemi “Hummin”... se non vi dispiace. O “Chetter”.

Sì, sono Eto Demerzel, ma per quanto riguarda voi sono Hummin. In realtà, non sono due figure distinte. Vi ho detto che l’Impero stia decadendo e si stia sfaldando: lo credo in entrambe le mie vesti. Vi ho detto che volessi la Psicostoria, come strumento per impedire la decadenza ed il crollo, o per favorire un rinnovamento e una rinascita nel caso la disgregazione sia inevitabile: anche questo è valido in entrambe le mie vesti.

— Ma mi avevate in pugno... Non eravate molto lontano quando ho incontrato Sua Maestà Imperiale, immagino.

— Quando avete incontrato Cleon? No, ero lì.

— Ed avreste potuto parlarmi allora, esattamente come avete fatto dopo nei panni di Hummin.

— E cosa avrei ottenuto? Nel ruolo di Demerzel, ho un compito enorme. Devo occuparmi di Cleon, un sovrano bene intenzionato ma non molto capace, ed impedirgli, se possibile, di commettere errori. Devo fare la mia parte per quanto riguarda il Governo di Trantor e dell’Impero. E, come vedete, mi sono dovuto impegnare a fondo per evitare che Wye combinasse un guaio.

— Lo so — mormorò Seldon.

— Non è stato facile, ho rischiato di perdere. Per anni ho sostenuto una disputa continua e discreta con Mannix, imparando a conoscere il suo pensiero e rispondendo ad ogni sua mossa con una contromossa. Non immaginavo che potesse cedere la sua carica alla figlia finché fosse rimasto in vita. Non avevo studiato Rashelle, e la sua completa mancanza di cautela mi ha colto impreparato. A differenza del padre, è stata abituata fin da piccola a considerarsi depositaria del potere assoluto, quindi non aveva una visione chiara dei limiti del suo potere. Vi ha catturato, e mi ha costretto ad agire prima che fossi veramente pronto.

— E per poco non mi avete perso: mi sono trovato faccia a faccia con un disintegratore puntato, due volte.

— Lo so — annuì Hummin. — Ed avremmo potuto perdervi anche sulla Faccia superiore... altro incidente che non potevo prevedere.

— Ma non avete risposto alla mia domanda. Perché mi avete fatto correre in lungo ed in largo su Trantor per sfuggire a Demerzel, dal momento che eravate voi Demerzel?

— Avete detto a Cleon che la Psicostoria fosse solo un concetto teorico, una specie di gioco matematico privo di qualsiasi utilità pratica. Forse era la verità... ma se vi avessi contattato nella mia veste ufficiale, voi sicuramente non avreste mutato opinione. Eppure, l’idea della Psicostoria mi affascinava. Forse non era solo un gioco, in fondo, ho riflettuto. Dovete capire che non volevo semplicemente servirmi di voi... no, a me interessava una Psicostoria concreta ed applicabile.

«Così, vi ho fatto correre in lungo ed in largo su Trantor, sempre col temuto Demerzel alle calcagna. Questo espediente, ho pensato, avrebbe favorito al massimo la vostra concentrazione, avrebbe trasformato la Psicostoria in qualcosa di eccitante, di più avvincente di un banale gioco matematico. Per un idealista sincero come Hummin avreste tentato di elaborarla, mentre non l’avreste fatto per quel lacchè di Demerzel. Inoltre, avreste intravisto vari aspetti di Trantor, ed anche questo sarebbe stato utile... sicuramente, molto più utile che vivere in una torre d’avorio su qualche pianeta sperduto, circondato da altri matematici. È stata una buona idea, la mia?

Avete fatto progressi?

— In Psicostoria? Sì, Hummin. Credevo lo sapeste.

— Saperlo, come?

— L’ho detto a .

— Ma non a me. Comunque, me l’avete detto ora. Ed è un’ottima notizia.

— Non completamente — precisò Seldon. — Ho fatto appena un piccolissimo passo. Ma è pur sempre un primo passo.

— Un passo accessibile per un profano in matematica?

— Penso di sì. Vedete, Hummin, fin dall’inizio ho considerato la Psicostoria una scienza legata all’interazione di venticinque milioni di mondi, ognuno con una popolazione media di quattro miliardi di individui: è troppo. Impossibile affrontare qualcosa di tanto complesso. Per riuscire nell’impresa, per avere qualche probabilità di riuscire, dovevo trovare innanzitutto un sistema più semplice. Così ho pensato di risalire nel tempo e di concentrarmi su un unico mondo, un mondo che fosse l’unico pianeta occupato dal genere umano agli albori del tempo, prima della colonizzazione della Galassia. A Micogeno parlavano di un mondo d’origine, Aurora; ed a Dahl ho sentito parlare di un altro mondo d’origine, la Terra. Forse erano lo stesso mondo, con nomi diversi, ho pensato... però erano sufficientemente diversi, in almeno un punto chiave, da far cadere questa ipotesi. E comunque, non aveva importanza. Si sapeva pochissimo di quei due mondi, e quel poco era offuscato da miti e leggende, quindi era assurdo sperare di servirsene per sviluppare da lì la Psicostoria.

Seldon si interruppe per bere un sorso di succo di frutta, continuando a fissare in faccia Hummin.

Hummin disse: — Be’? E allora?

— Intanto, mi aveva raccontato una cosa, che io chiamo “la storia della mano sulla coscia”... niente di trascendentale, solo un aneddoto banale e divertente.

Però in questo modo ha accennato alle diverse usanze sessuali dei mondi e dei settori di Trantor: sembrava che per lei i settori di Trantor fossero mondi a sé. Così ho pensato che ai venticinque milioni di mondi avrei dovuto aggiungerne altri ottocento... una differenza irrisoria. Poi ho dimenticato la cosa e non ci ho pensato più.

«Ma spostandomi dal Settore Imperiale a Streeling, e andando poi a Micogeno, a Dahl, a Wye, ho potuto constatare di persona quanto fossero diversi i Settori. L’idea di Trantor, visto come un complesso di mondi e non come un mondo, si è fatta più intensa, ma non afferravo ancora il punto fondamentale.

«Solo quando ho incontrato Rashelle... vedete, è stato un bene che Wye mi abbia catturato e che l’avventatezza di Rashelle l’abbia spinta ai progetti grandiosi di cui lei mi ha messo al corrente... Quando mi ha parlato, dicevo, Rashelle mi ha spiegato che lei voleva solo Trantor e qualche mondo vicino, perché quello era già un impero di per sé secondo lei, mentre gli altri mondi erano nullità lontanissime.

«È stato allora, in un lampo, che ho afferrato qualcosa che, senza dubbio, si annidava da tempo nei miei pensieri a livello inconscio. Trantor possedeva un sistema sociale straordinariamente complesso, essendo un mondo popoloso formato da ottocento mondi più piccoli. Era di per sé un sistema abbastanza complesso da un punto di vista psicostorico, e nel medesimo tempo, rispetto a tutto l’Impero, era abbastanza semplice da consentire uno sviluppo pratico della Psicostoria.

«E gli altri venticinque milioni di mondi? Erano nullità lontanissime. Certo, influivano su Trantor ed erano influenzati da Trantor, ma si trattava di effetti secondari. L’importante era partire basandosi solo su Trantor ed ottenere un sufficiente grado di approssimazione psicostorica, ed in un secondo tempo si sarebbero potuti inserire gli effetti minori degli altri mondi. Capite?

«Stavo cercando un unico mondo che mi consentisse uno sviluppo pratico della Psicostoria, e lo cercavo nel passato, mentre il mondo che volevo lo avevo proprio qui, sotto i piedi!

Visibilmente sollevato e soddisfatto, Hummin disse: — Meraviglioso!

— Ma c’è ancora da fare tutto, Hummin. Devo studiare Trantor, in modo abbastanza approfondito. Devo mettere a punto gli strumenti matematici necessari. Se sarò fortunato e vivrò a lungo, forse avrò le risposte prima di morire. In caso contrario, toccherà ai miei successori. Chissà, forse l’Impero si sgretolerà prima che si arrivi ad una tecnica psicostorica efficace.

— Farò il possibile per aiutarvi.

— Lo so — disse Seldon.

— Dunque, vi fidate di me, anche se sono Demerzel?

— Certo, nella maniera più assoluta. Mi fido perché voi non siete Demerzel.

— Ma lo sono — insisté Hummin.

— No. In realtà, non siete né Hummin né Demerzel: quelli sono solo due ruoli.

— Cosa intendete dire? — Hummin spalancò gli occhi ed arretrò leggermente.

— Intendo dire che, probabilmente, avete scelto il nome “Hummin” alterando il termine appropriato. “Hummin” è una storpiatura di “umano”.

Hummin non ebbe alcuna reazione. Continuò a fissare Seldon.

E infine Seldon disse: — Perché voi non siete umano, vero, “Hummin-Demerzel”? Voi siete un robot.

SELDON, HARI... Di solito, Hari Seldon viene associato unicamente alla Psicostoria, viene visto solo come la personificazione della matematica e del cambiamento sociale. Senza dubbio, Seldon stesso incoraggiò questa visione, infatti nelle sue opere ufficiali non fornisce mai alcun accenno circa il modo in cui arrivò a risolvere i vari problemi della Psicostoria. Per quel che ne sappiamo, le sue grandi intuizioni potrebbe averle carpite dall’aria. E non parla neppure dei vicoli ciechi in cui finì, o delle strade sbagliate che può avere imboccato.

... Della sua vita privata, possiamo solo dire che è una pagina bianca. Riguardo i suoi genitori ed i fratelli, disponiamo di pochissimi dati, nient’altro. Sappiamo che il suo unico figlio Raych Seldon, era adottivo, però ignoriamo come sia avvenuta tale adozione. Riguardo sua moglie, sappiamo solo che esisteva. Chiaramente, Seldon voleva essere una persona di importanza zero, tranne che nel campo psicostorico.

Sembra quasi che considerasse (o volesse che si considerasse) la sua esistenza non una vita vissuta, bensì una pura psicostoricizzazione.

ENCICLOPEDIA GALATTICA

91

Hummin restò impassibile, non mosse un muscolo, continuò a guardare Seldon. E

Seldon attese: adesso toccava a Hummin parlare, pensò.

Hummin lo fece, ma disse soltanto: — Un robot? Io? Dicendo “robot”, presumo vi riferiate ad un essere artificiale come l’oggetto che avete visto nel Sacratorium di Micogeno.

— Non proprio.

— Non un essere di metallo? Non brunito? Non un simulacro senza vita? — Nel tono di Hummin non c’era traccia di divertimento.

— No. Un organismo artificiale non deve essere fatto per forza di metallo. Io parlo di un robot indistinguibile da un essere umano nell’aspetto esteriore.

— Se è indistinguibile, Hari, come fate a distinguerlo?

— Non basandomi sull’aspetto.

— Spiegatevi.

— Hummin, durante la mia fuga per sottrarmi a Demerzel, cioè a voi, ho sentito parlare di due antichi mondi, come vi ho detto... Aurora e la Terra. Entrambi venivano presentati come il primo mondo o l’unico mondo. E in ambedue i casi si parlava di robot, ma con una differenza.

Seldon stava fissando pensoso l’uomo seduto di fronte a lui. Chissà se avrebbe manifestato in qualche modo che gli mancasse qualcosa per essere un uomo, o che aveva qualcosa in più per esserlo?

Poi continuò: — Nel caso di Aurora si parlava di un robot come di un rinnegato, un traditore, qualcuno che avesse tradito la causa. Nel caso della Terra, un robot veniva dipinto come un eroe, un salvatore. Era troppo azzardato supporre che si trattasse dello stesso robot?

— Ditemelo voi — mormorò Hummin.

— Ecco cos’ho pensato, Hummin... Aurora e la Terra erano due mondi diversi, coesistenti nel tempo. Non so quale dei due abbia preceduto l’altro. Dall’arroganza e dal senso di superiorità dei micogeniani, si potrebbe dedurre che Aurora fosse il mondo d’origine, e che i micogeniani disprezzassero per questo i terrestri loro discendenti... o loro stirpe degenere.

«D’altra parte, Mamma Rittah, che mi ha parlato della Terra, era convinta che la Terra fosse il mondo d’origine dell’umanità. E considerando la posizione isolata e trascurabile dei micogeniani in una galassia di trilioni di individui che non hanno le strane usanze micogeniane, può darsi benissimo che la Terra fosse il mondo d’origine e che Aurora fosse invece il ramo aberrante. Non sono in grado di stabilirlo, comunque vi dico tutto, perché capiate le mie conclusioni.

Hummin annuì. — Certo. Continuate pure.

— I mondi erano nemici. Mamma Rittah è stata chiara a questo proposito.

Confrontando i micogeniani, che rappresentano Aurora, ed i dahliti, che rappresentano la Terra, immagino che Aurora, primo o secondo non ha importanza, fosse comunque il mondo più avanzato, quello in grado di produrre i robot più perfezionati, anche robot indistinguibili esteriormente dagli esseri umani. Quel robot, quindi, è stato progettato e costruito su Aurora. Ma era un rinnegato, così ha abbandonato Aurora. Per i terrestri era un eroe, quindi deve essersi unito alla Terra.

Perché lui l’abbia fatto, quali fossero i suoi motivi, non sono in grado di dirlo.

Hummin intervenne. — Lui? Non dovreste usare “esso”?

— Forse, ma con voi qui di fronte a me, mi riesce difficile usare il pronome neutro. Secondo Mamma Rittah, quel robot eroe esisteva ancora, e sarebbe tornato quando fosse stato necessario il suo aiuto. L’idea di un robot immortale non mi è sembrata impossibile, od almeno l’idea di un robot che sia immortale finché si provveda alla sostituzione delle parti usurate...

— Anche il cervello?

— Anche il cervello. Non so nulla di robot, ma immagino che il cervello vecchio si possa riversare su uno nuovo... E Mamma Rittah ha accennato a strani poteri mentali... Ho pensato: «Deve essere così. Sarò anche un ingenuo romantico, ma non sono tanto romantico da credere che un solo robot, cambiando fazione, possa alterare il corso della storia. Un robot non può essere stato l’elemento decisivo della vittoria della Terra e della sconfitta di Aurora... a meno che non possedesse qualche strana particolarità».

Hummin disse: — Hari, vi rendete conto che siano leggende, leggende che forse sono state distorte nei secoli e nei millenni, e che magari sono cambiate a tal punto da stendere un velo soprannaturale su avvenimenti del tutto normali? Un robot che, oltre ad avere un aspetto umano, vive in eterno ed ha dei poteri mentali... ci credete davvero? Non state cominciando a credere all’esistenza di una sfera sovrumana?

— So benissimo cosa siano le leggende, e non mi lascio ingannare dalle leggende, non credo alle favole. Tuttavia, quando sono avvalorate da certi strani avvenimenti a cui ho assistito e di cui sono stato addirittura protagonista di persona...

— Per esempio?

— Hummin, vi ho incontrato e mi sono subito fidato di voi. Sì, mi avete aiutato contro quei due teppisti anche se non era proprio necessario, e in questo modo vi siete accattivato la mia simpatia, dato che allora non sapevo che quei teppisti erano pagati da voi ed eseguivano i vostri ordini... Ma lasciamo perdere questo.

— D’accordo. — Nella voce di Hummin, adesso, si coglieva una sfumatura divertita.

— Mi sono fidato di voi. Mi sono lasciato convincere facilmente a non tornare su Helicon e a cominciare a vagare senza meta su Trantor. Ho creduto a tutto quello che mi abbiate detto senza discutere: mi sono messo completamente nelle vostre mani.

Ripensandoci ora, mi rendo conto che quello non ero io. Non sono un tipo che si lascia influenzare tanto facilmente, eppure è successo. E non ho nemmeno trovato strano un comportamento così insolito per me.

— Be’, voi vi conoscete meglio di chiunque altro, Hari.

— Non si è trattato solo di me. Come mai Venabili, una bella donna con una carriera a cui pensare, ha abbandonato il lavoro per unirsi a me nella mia fuga? Come mai ha messo a repentaglio la sua vita per salvare la mia, dedicandosi alla mia protezione come se fosse un dovere supremo, con una devozione incredibile?

Semplicemente perché voi glielo avete chiesto?

— In effetti gliel’ho chiesto.

— Però non mi sembra il tipo di persona disposta a cambiare in modo così radicale la propria esistenza solo perché qualcuno le chiede di farlo. E non potevo nemmeno credere che l’avesse fatto perché si fosse innamorata follemente di me a prima vista... Mi piacerebbe che fosse così, ma mi sembra molto padrona dei propri sentimenti... mentre io, parlando con franchezza, non sono tanto padrone dei miei sentimenti nei suoi confronti.

— È una donna meravigliosa: vi capisco — osservò Hummin.

Seldon proseguì. — Inoltre, come mai Caposole Quattordici, un mostro di arroganza, capo di un popolo altezzoso ed intransigente, ha accettato di accogliere dei tribali come me e e di trattarci bene, nei limiti consentiti dal modo di vivere micogeniano? E quando abbiamo violato ogni norma, commesso tutti i sacrilegi possibili, com’è che voi siete riuscito ugualmente a convincerlo a lasciarci andare?

«Come avete fatto a convincere i Tisalver, coi loro e pregiudizi meschini, ad ospitarci? Come fate a trovarvi a vostro agio dappertutto, ad essere amico di tutti, ad influenzare tutte le persone indipendentemente dalle loro particolarità individuali? E

già che ci siamo, come fate a manipolare anche Cleon? E se Cleon è considerato un tipo malleabile e cedevole, come avete fatto a manipolare suo padre, che a detta di tutti era un tiranno duro e lunatico?

«E soprattutto, come mai Mannix IV di Wye ha impiegato anni e anni per allestire un esercito senza pari, un esercito addestrato alla perfezione ed efficientissimo, per poi vederlo disgregarsi in un attimo quando sua figlia ha cercato di utilizzarlo? Come avete fatto a convincere anche quegli uomini a diventare dei “rinnegati”, tutti quanti?

Hummin disse: — Forse, questo significa semplicemente che io sia una persona accorta abituata ad avere a che fare con individui di ogni tipo, che la mia posizione mi abbia permesso di fare dei favori a figure importanti e mi permetterà di farne altri in futuro. Non può darsi che sia così? Nessuna delle cose che abbia fatto richiede doti soprannaturali, mi pare.

— Nessuna? Nemmeno la neutralizzazione dell’esercito di Wye?

— Quei soldati non volevano servire una donna.

— Senza dubbio sapevano da anni che quando Mannix avesse lasciato la carica, o fosse morto, Rashelle sarebbe diventata il loro Sindaco, eppure non hanno mai dato alcun segno di malcontento... finché voi non avete ritenuto opportuno che si opponessero. Una volta vi ha descritto come un uomo estremamente persuasivo.

E lo siete... Più persuasivo di qualsiasi uomo... Persuasivo come un robot immortale dagli strani poteri mentali... Ebbene, Hummin?

Hummin disse: — Cosa vi aspettate da me? Volete che ammetta che sia un robot?

Che abbia soltanto un aspetto umano? Che sia immortale? Che abbia dei poteri mentali portentosi?

Seldon si sporse in avanti sul tavolo, verso Hummin.

— Sì, Hummin. Voglio che mi diciate la verità, e secondo me quello che avete appena accennato per sommi capi è la verità. Voi, Hummin, siete il robot di cui Mamma Rittah mi ha parlato... Da-Nee, amico di Ba-Lee. Ammettetelo, non avete scelta.

92

Era come se fossero seduti in un piccolo universo tutto loro. Là, in mezzo a Wye, mentre l’esercito wyano veniva disarmato dalle forze imperiali, loro erano seduti in silenzio. Mentre si svolgevano degli avvenimenti che tutto Trantor, e forse tutta la Galassia, stava seguendo, là c’era quella piccola bolla di isolamento completo in cui Seldon ed Hummin erano impegnati nel loro gioco di attacco e di difesa... Seldon cercava di imporre una nuova realtà, Hummin non stava facendo nulla per accettare quella nuova realtà.

Seldon non temeva alcuna interruzione. Era certo che la bolla in cui si trovavano rappresentasse una barriera impenetrabile, che i poteri di Hummin... no, del robot...

avrebbero tenuto a distanza qualsiasi cosa finché la partita non si fosse conclusa.

Hummin infine disse: — Siete un tipo ingegnoso, Hari, ma non capisco per quale motivo dovrei ammettere di essere un robot, per quale motivo non avrei scelta. Può darsi che tutto quello che abbiate detto sia vero... il vostro comportamento, quello di , quello di Caposole, quello dei Tisalver, quello dei generali wyani...

«Può darsi che sia andata come diciate voi, però questo non significa necessariamente che sia vera la vostra interpretazione dei fatti. Certamente, tutto quello che è accaduto può avere una spiegazione naturale. Voi vi siete fidato di me perché avete accettato quel che ho detto; si è resa conto che la vostra sicurezza fosse importante perché ha capito l’importanza della Psicostoria, dal momento che lei stessa è una storica; Caposole e Tisalver mi dovevano dei favori di cui voi non sapete nulla; i generali wyani erano contrari all’idea di essere comandati da una donna.

Tutto qui. Perché dobbiamo tirare in ballo il soprannaturale?

Seldon disse: — Sentite, Hummin, credete davvero che l’Impero stia crollando?

Per voi è davvero importante cercare di intervenire in qualche modo per salvarlo o per attenuare almeno la caduta?

— Certo. — Seldon capì, chissà come, che fosse un’affermazione sincera.

— E volete davvero che io sviluppi la Psicostoria, e siete convinto di non poterlo fare voi?

— Non ne ho la capacità.

— E pensate che io solo sia in grado di elaborare la Psicostoria... anche se a volte io stesso ne dubiti?

— Sì.

— Quindi, se potete aiutarmi in qualunque modo, dovete farlo. Lo pensate, vero?

— Sì.

— I sentimenti personali, le considerazioni egoistiche, non potrebbero influire?

Un breve, debole sorriso comparve attraverso il volto serio di Hummin, e per un attimo Seldon percepì un vasto ed arido deserto di stanchezza dietro l’atteggiamento tranquillo di Hummin. — Se ho all’attivo una lunga carriera è perché ho ignorato i sentimenti personali e le considerazioni egoistiche.

— Allora vi chiedo di aiutarmi. Posso sviluppare la Psicostoria basandomi solo su Trantor, ma incontrerò delle difficoltà. Difficoltà superabili, forse... ma sarebbe tutto molto più semplice se conoscessi certi fatti chiave. Per esempio, era la Terra od era Aurora il primo mondo dell’umanità, o era invece qualche altro mondo? Che rapporto c’era tra la Terra ed Aurora? La Galassia è stata colonizzata da uno di quei due mondi o da entrambi? Se è stata colonizzata da un mondo, perché non dall’altro? Se da entrambi, come si è risolta la questione? Esistono mondi che discendono da entrambi i pianeti o da uno solo? Come mai i robot sono stati abbandonati? Come mai Trantor è diventato il Mondo Imperiale, e non un pianeta come tanti? Cos’è successo nel frattempo alla Terra e ad Aurora? Potrei fare mille domande adesso, e potrebbero saltarne fuori centomila procedendo col lavoro. Se aveste le informazioni necessarie e poteste contribuire alla riuscita dell’impresa, mi lascereste ugualmente nell’ignoranza compromettendo magari il successo finale?

Hummin disse: — Se fossi il robot, nel mio cervello ci sarebbe spazio sufficiente per ventimila anni di storia di milioni di mondi diversi?

— Non conosco la capienza dei cervelli robotici. Non conosco la capienza del vostro. Ma se non è sufficiente, senza dubbio i dati che non potete contenere saranno registrati da qualche parte in maniera tale da essere accessibili all’occorrenza... E se avete questi dati e io ne abbia bisogno, come potete negarmeli e tenermeli nascosti? E

se non potete negarmeli, come potete negare di essere un robot... quel robot... il Rinnegato? — Seldon si appoggiò allo schienale della sedia, respirando a fondo. —

Quindi vi chiedo ancora... Siete quel robot? Se volete la Psicostoria, dovete ammetterlo. Se continuerete a negare di essere un robot e se mi convincerete che non lo siate, le mie probabilità di sviluppare con successo la Psicostoria si ridurranno moltissimo. Dipende da voi, dunque. Siete un robot? Siete Da-Nee?

Ed Hummin, imperturbabile come sempre, disse: — Le vostre argomentazioni sono irrefutabili. Sono R. Daneel Olivaw. La “R.” sta per “robot”.

93

R. Daneel Olivaw continuò a parlare sommesso, ma a Seldon parve di cogliere un lieve cambiamento nella sua voce, come se parlasse più liberamente ora che non stava più recitando una parte.

— In ventimila anni — disse Daneel — nessuno ha capito che fossi un robot, se non quando sia stato io a volere che si sapesse. In parte, perché gli esseri umani hanno abbandonato i robot da tanto tempo che pochissime persone si ricordino che esistessero. In parte, perché in effetti ho la capacità di individuare ed influenzare emozioni e sentimenti umani. L’individuazione non rappresenta un problema, mentre per me non è facile influenzare i sentimenti, per motivi legati alla mia natura robotica... anche se posso farlo quando voglio. Possiedo questa capacità, però devo fare i conti con la mia volontà di usarla. Cerco di non interferire mai, se non quando non abbia alternativa. E quando intervengo, quasi sempre mi limito a rafforzare, il meno possibile, qualcosa che sia già presente. Se posso raggiungere lo scopo evitando anche questo intervento minimo, bene preferisco non intervenire.

«Non è stato necessario manomettere Caposole Quattordici per convincerlo ad accogliervi... la chiamo manomissione perché non è una cosa piacevole. Non ho dovuto manomettere la sua mente, perché Caposole mi doveva dei favori ed è un uomo onorevole nonostante le stranezze che avete trovato in lui. Invece ho dovuto influenzarlo la seconda volta, dopo che avevate commesso quella che per lui era un’azione sacrilega, ma si è trattato di un intervento di lievissima entità. Non era ansioso di consegnarvi alle autorità imperiali, per le quali non nutre una grande simpatia. Mi sono limitato a rafforzare un po’ quell’antipatia, e lui vi ha affidati a me, accettando le mie argomentazioni che altrimenti forse gli sarebbero sembrate speciose.

«E non ho influenzato molto nemmeno voi. Anche voi diffidavate degli Imperiali, come la maggior parte degli esseri umani, oggigiorno... e questo è un fattore importante del decadimento e del deterioramento dell’Impero. Inoltre, eravate fiero del concetto di Psicostoria, eravate orgoglioso di avere partorito quell’idea. Quindi non vi sarebbe dispiaciuto dimostrare la sua applicabilità pratica. La cosa vi avrebbe inorgoglito ancor di più.

Seldon corrugò la fronte. — Scusate, signor robot, ma non mi sembra di essere un mostro d’orgoglio.

Daneel disse pacato: — Non siete un mostro d’orgoglio. Sapete benissimo che non è né ammirevole né utile lasciarsi guidare dall’orgoglio, così cercate di frenarne la spinta... ma è come se non vi andasse di avere il battito cardiaco come elemento base del vostro funzionamento. Sono due cose inevitabili. Anche se nascondete il vostro orgoglio per stare in pace con voi stesso, a me non potete nasconderlo. C’è, per quanto lo mascheriate con cura. Mi è bastato rafforzarlo solo un po’, e subito voi siete stato disposto a prendere provvedimenti per sottrarvi a Demerzel, provvedimenti ai quali un attimo prima vi sareste opposto. Ed eravate ansioso di sviluppare la Psicostoria, mentre un attimo prima un desiderio tanto intenso vi sarebbe sembrato assurdo.

«Non ho ritenuto necessario intervenire su altre cose, e così avete dedotto la mia natura robotica. Se avessi previsto questa possibilità, forse avrei impedito che accadesse, ma la mia previdenza e le mia capacità non sono illimitate. E non mi dispiace di avere trascurato questa possibilità, perché le vostre argomentazioni sono valide, ed è importante che sappiate chi io sia e che sfrutti tutte le mie doti per aiutarvi.

«Le emozioni, mio caro Seldon, influenzano moltissimo il comportamento umano, ben più di quanto gli stessi esseri umani non immaginino. Non avete idea di quanto si possa ottenere con un piccolissimo tocco, e di quanto io sia riluttante a intervenire.

Seldon respirava con affanno... stava cercando di vedersi come un uomo spinto dall’orgoglio, e la cosa non gli piaceva. — Perché riluttante?

— Perché è facilissimo eccedere. Dovevo impedire a Rashelle di trasformare l’Impero in un’anarchia feudale. Avrei potuto alterare le menti rapidamente, e come conseguenza avremmo potuto avere benissimo una ribellione sanguinosa... Gli uomini sono uomini... ed i generali wyani sono quasi tutti uomini. In realtà è abbastanza facile risvegliare in ogni uomo il risentimento e la paura latente delle donne. Può darsi che sia un fatto biologico che io, in quanto robot, non sia in grado di capire appieno.

«Ho dovuto solo rafforzare questo sentimento per far crollare i piani di Rashelle.

Se avessi esagerato di un solo millimetro, non avrei ottenuto quel che volevo... un rovesciamento incruento. A me bastava fare in modo che i wyani non opponessero resistenza all’arrivo dei miei soldati.

Daneel fece una pausa, quasi cercasse di scegliere bene le parole, quindi proseguì.

— Non intendo approfondire gli aspetti matematici del mio cervello positronico.

Sono cose che non sono in grado di capire, anche se forse voi sareste in grado di capirle se vi soffermaste a esaminarle. Comunque, io sono governato dalle Tre Leggi della Robotica che di solito vengono espresse... o meglio, venivano espresse tanto tempo fa... nel modo seguente: «Prima: un robot non può fare del male ad un essere umano o, tramite l’inazione, permettere che un essere umano riceva danno. Seconda: un robot deve obbedire agli ordini ricevuti dagli esseri umani, a meno che tali ordini non contrastino con la Prima Legge. Terza: un robot deve proteggere la propria esistenza, a meno che tale protezione non contrasti con la Prima e la Seconda Legge.

«Ma avevo un... un amico, ventimila anni fa. Un altro robot. Non come me. Era impossibile scambiarlo per un essere umano, ma era lui ad avere i poteri mentali ed è stato grazie a lui che io ho acquisito i miei 4.

«Secondo questo amico, doveva esserci una norma ancor più generale delle Tre Leggi... L’ha chiamata la Legge Zero, dal momento che zero precede uno. È questa:

«Legge Zero: un robot non può fare del male all’umanità o, tramite l’inazione, permettere che l’umanità riceva danno». Dunque la Prima Legge deve essere 4 Si riferisce al personaggio del robot Giskaard, di I robot e l’Impero (1985). ( N.d.R. ) completata in questo modo: «Un robot non può fare del male a un essere umano o, tramite l’inazione, permettere che un essere umano riceva danno, a meno che questo non contrasti con la Legge Zero». E le altre leggi devono essere modificate di conseguenza. Capite?

Daneel si interruppe, aspettando, e Seldon annuì. — Capisco.

Daneel riprese. — Il problema è, Hari, che è facile identificare un essere umano.

Lo si può indicare col dito. E facile vedere cosa danneggerà o no un essere umano...

relativamente facile, almeno. Ma cos’è l’umanità? Cosa possiamo indicare quando parliamo di umanità? In che modo si può definire un danno all’umanità? Quand’è che un’azione farà più bene che male all’umanità presa globalmente, e in che modo si può stabilirlo? Il robot artefice della Legge Zero è morto... è rimasto disattivato permanentemente... perché è stato costretto a compiere un’azione che a suo giudizio avrebbe salvato l’umanità... però non era sicuro che quell’azione avrebbe salvato l’umanità, non poteva averne la certezza. E disattivandosi ha affidato la responsabilità della Galassia a me.

«Da allora, io ho provato. Ho interferito il meno possibile, fidando che fossero gli stessi esseri umani a giudicare cosa fosse bene. Loro potevano rischiare; io no. Loro potevano mancare i loro obiettivi; io non osavo farlo. Loro potevano fare del male involontariamente; io mi sarei disattivato se l’avessi fatto. La Legge Zero non tiene conto del male involontario.

«Ma a volte sono costretto ad intervenire. Il fatto che sia ancora in funzione dimostra che le mie azioni sono state moderate e discrete. Comunque, quando l’Impero ha cominciato ad indebolirsi ed a decadere, ho dovuto interferire più spesso, e da decenni ormai devo recitare la parte di Demerzel, cercando di dirigere il governo in maniera tale da tenere lontana la rovina... eppure, come vedete, funziono ancora.

«Quando avete fatto il vostro discorso al Convegno Decennale, ho capito subito che la Psicostoria rappresentasse uno strumento grazie al quale forse sarebbe stato possibile identificare cosa fosse bene o meno per l’umanità. Con la Psicostoria, si sarebbero prese decisioni meno alla cieca. Le avrei lasciate addirittura agli esseri umani, quelle decisioni, riservandomi di intervenire solo in casi di grave emergenza.

Così, ho fatto in modo che Cleon venisse a sapere del vostro discorso e vi convocasse. Poi, quando vi ho sentito negare il valore della Psicostoria, sono stato costretto ad escogitare il modo di spingervi ugualmente a tentare. Capite, Hari?

Piuttosto scosso, Seldon disse: — Capisco, Hummin.

— Per voi, devo rimanere Hummin le rare volte che potrò vedervi. Vi darò le informazioni che ho se ne avrete bisogno, e nella mia veste di Demerzel vi proteggerò il più possibile. Come Daneel, non dovete mai parlare di me.

— Non lo farei mai — si affrettò a rassicurarlo Seldon.

— Dal momento che mi occorre il vostro aiuto, ostacolare i vostri piani significherebbe guastare le cose.

— Sì. So che non lo fareste mai. — Daneel sorrise stancamente. — In fin dei conti, siete abbastanza vanitoso da volere tutto il merito della Psicostoria: guai se si sapesse che abbiate avuto bisogno dell’aiuto di un robot.

Seldon arrossì. — Non sono....

— Lo siete, anche se lo nascondete attentamente a voi stesso. Ed è importante, perché sto rafforzando in modo leggerissimo questo vostro sentimento, così non riuscirete mai a parlare di me ad altri. Non vi verrà neppure in mente di poterlo fare.

Seldon disse: — Ho il sospetto che sappia...

— Sì, sa di me. E anche lei non può parlare di me ad altri. Ora che conoscete tutti e due la mia vera natura, potrete parlare liberamente di me tra voi, ma con nessun altro.

Daneel si alzò. — Hari, ora devo pensare al mio lavoro. Tra non molto, voi e sarete riportati al Settore Imperiale...

— Raych, il ragazzo... deve venire con me. Non posso abbandonarlo. E c’è un giovane dahlita che si chiama Yugo Amaryl...

— Capisco. Verrà anche Raych, e riguardo i vostri amici comportatevi come meglio crediate. Ci prenderemo cura di voi tutti, e voi lavorerete alla Psicostoria.

Avrete uno staff. Avrete il materiale di consultazione ed i computer necessari. Io interferirò il meno possibile, e se le vostre idee incontreranno delle resistenze che non arriveranno al punto di compromettere la missione, dovrete occuparvene voi.

— Aspettate, Hummin... E se, nonostante tutto il vostro aiuto e tutti i miei sforzi, salterà fuori che la Psicostoria non possa essere trasformata in uno strumento pratico?

Se fallirò?

— In questo caso, ho un secondo piano. Un piano a cui sto lavorando da tempo su un mondo diverso ed in modo diverso. Anche quello è molto difficile, e per certi aspetti è ancor più radicale della Psicostoria. Anche quello può fallire, ma con due strade aperte aumentano pure le probabilità di successo. Vi do un consiglio, Hari. Se un giorno riuscirete a mettere a punto uno strumento che forse impedirà che accada il peggio, cercate di ideare invece due strumenti, così se uno fallirà, ci sarà sempre l’altro. L’Impero deve essere stabilizzato o ricostruito su nuove fondamenta.

Cerchiamo di averne due, se possibile... Ora devo riprendere il mio normale lavoro, e voi dovete dedicarvi al vostro.— Con un cenno di saluto, Daneel uscì.

Seldon lo seguì con lo sguardo e disse sottovoce: — Prima devo parlare con .

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disse: — Il palazzo è sgombro. A Rashelle non verrà fatto alcun male, e tu ritornerai al Settore Imperiale, Hari.

— E tu, ? — chiese Seldon, la voce bassa e tesa.

— Immagino che tornerò all’Università: sto trascurando il mio lavoro, i miei corsi.

— No, , hai un compito più importante.

— Cioè?

— La Psicostoria. Non posso affrontare il progetto senza di te.

— Certo che puoi: non so nulla di matematica, io.

— Ed io non so nulla di storia... mentre sono indispensabili entrambe.

rise. — Ho l’impressione che, come matematico, tu sia una cima. Io, come storica, sono appena discreta, non sono certo eccezionale. Troverai un’infinità di storici più adatti di me alle esigenze della Psicostoria.

— In tal caso, , lascia che ti spieghi che per la Psicostoria non bastino un matematico ed uno storico. Ci vuole anche la volontà di affrontare un problema che probabilmente richiederà una vita di lavoro. Senza di te, , mi mancherà la volontà necessaria.

— No, non ti mancherà.

— , senza te, non intendo averla.

guardò Seldon pensosa. — È una discussione inutile, Hari: senza dubbio, sarà Hummin a decidere. Se mi rimanderà all’Università...

— Non lo farà.

— Come puoi esserne certo?

— Perché glielo dirò chiaro e tondo: se ti rimanda all’Università, io torno su Helicon, e l’Impero può continuare a sgretolarsi.

— Non parli sul serio.

— Sì, invece.

— Non ti rendi conto che Hummin può alterare i tuoi sentimenti in maniera tale da farti lavorare alla Psicostoria... anche senza di me?

Seldon scosse la testa. — Hummin non prenderà una decisione così arbitraria. Ho parlato con lui. Non osa influenzare troppo la mente umana perché è vincolato da quelle che chiama le Leggi della Robotica. Per influenzare la mia mente in modo tale da farmi rinunciare alla tua compagnia, , dovrebbe intervenire con un tipo di alterazione troppo rischiosa per lui. D’altra parte, se mi lascerà stare e se tu ti unirai a me nel progetto, Hummin otterrà quel che vuole... una possibilità concreta di una Psicostoria pratica. Perché non dovrebbe accettare?

scosse la testa. — Può darsi che non sia d’accordo per motivi suoi.

— Perché non dovrebbe essere d’accordo? Hai ricevuto l’incarico di proteggermi, . Hummin ha revocato l’incarico?

— No.

— Allora vuole che tu continui la tua protezione. Ed io voglio la tua protezione.

— Da cosa? Adesso hai la protezione di Hummin, sia nella veste di Demerzel che in quella di Daneel, e mi pare che non ti occorra altro.

— Anche se avessi la protezione di tutte le persone e di tutte le forze della Galassia, continuerei a desiderare la tua.

— Allora non mi vuoi per la Psicostoria, mi vuoi per la protezione.

Seldon assunse un’espressione accigliata. — No! Perché travisi le mie parole?

Perché mi costringi a dire quello che senza dubbio sai già? Non ti voglio né per la Psicostoria né per la protezione. Quelli sono pretesti, ed userò qualsiasi altro pretesto necessario, se sarà il caso. Io voglio te... solo te. E se ti interessa conoscere il motivo vero... be’, perché tu sei tu.

— Non mi conosci nemmeno.

— Non importa. Non mi interessa... Però ti conosco, in un certo senso. Meglio di quel che pensi.

— Davvero?

— Certo. Esegui gli ordini e rischi la vita per me senza esitare, incurante delle conseguenze. Hai imparato a giocare a tennis in un attimo. Hai imparato a maneggiare i coltelli ancor più in fretta e nello scontro con Marron ti sei comportata in modo perfetto... in modo disumano, se mi consenti il termine. Hai una forza muscolare sorprendente, e reazioni di una rapidità sorprendente. Riesci a capire quando c’è qualcuno che origli quel che si dica in una stanza, e riesci a metterti in contatto con Hummin senza usare apparentemente nessuno strumento.

disse: — E da tutto ciò che conclusioni trai?

— Be’, ho pensato che Hummin, nel suo ruolo di R. Daneel Olivaw, si trovi di fronte ad un’impresa impossibile. Come può un solo robot cercare di guidare l’Impero? Deve avere degli aiutanti.

— Questo è ovvio. Milioni di aiutanti, immagino. Io sono un’aiutante, tu sei un aiutante. Il piccolo Raych, pure.

— Tu sei un aiutante di tipo diverso.

— In che senso? Hari, dillo. Se sarai tu a dirlo e lo sentirai con le tue stesse orecchie, ti renderai conto di quanto sia assurdo.

Seldon fissò a lungo, poi fece sottovoce: — Non lo dirò... perché non m’importa.

— Davvero? Vuoi prendermi come sono?

— Ti prenderò come devo. Tu sei e, qualunque altra cosa tu sia, io non voglio nient’altro.

mormorò: — Hari, io voglio il tuo bene proprio perché sono quel che sono, ma sento che anche se fossi diversa vorrei ugualmente il tuo bene. E non penso di essere adatta a te.

— Adatta o no, non m’importa. — Seldon abbassò lo sguardo e fece qualche passo, soppesando le sue prossime parole. — , sei mai stata baciata?

— Certo, Hari. Fa parte della vita sociale, ed io ho una vita sociale.

No, no! Voglio dire, hai mai baciato veramente un uomo? Sai,

appassionatamente?

— Be’, sì, Hari.

— Ti è piaciuto?

esitò. — Quando ho baciato in quel modo, è stato più bello che deludere un uomo che mi piacesse, un uomo la cui amicizia significasse qualcosa per me. — A questo punto, arrossì e distolse lo sguardo. — Per favore, Hari, per me è difficile spiegare.

Ma Seldon, più che mai deciso, insisté. — Dunque hai baciato per la ragione sbagliata... per evitare di ferire i sentimenti di qualcuno.

— Forse lo fanno tutti, in un certo senso.

Seldon rifletté su quelle parole, poi disse all’improvviso: — Tu hai mai chiesto di essere baciata?

rimase in silenzio alcuni istanti, come se stesse riesaminando la propria vita.

— No.

— O dopo essere stata baciata, non hai mai desiderato che ti baciassero di nuovo?

— No.

— Hai mai dormito con un uomo? — chiese Seldon sottovoce, disperato.

— Certo, te l’ho detto. Queste cose fanno parte della vita. — Seldon strinse le spalle di lei, come se volesse scuoterla. — Ma non hai mai provato il desiderio... il bisogno di quel tipo di intimità con una persona in particolare, una persona speciale?

, non hai mai sentito in te l’amore?

alzò la testa lentamente, in modo quasi mesto, e fissò Seldon negli occhi. —

No, Hari, mi dispiace.

Seldon la lasciò andare, abbandonando le braccia lungo i fianchi, abbattuto.

, delicatamente, gli posò la mano sul braccio e disse: — Lo vedi, Hari. In fondo non sono quello che vuoi.

Seldon piegò il capo e fissò il pavimento. Esaminò il problema e cercò di pensare con razionalità. Poi rinunciò. Era qualcosa che voleva... la voleva, al di là di qualsiasi considerazione razionale. Alzò la testa.

— , cara... anche così, non m’importa.

La cinse con le braccia ed accostò la testa alla sua, lentamente, quasi si aspettasse che lei potesse ritrarsi, ma continuando ad attirarla a sé.

non si mosse e lui la baciò... un bacio lungo ed appassionato... E di colpo le braccia di lo strinsero.

Quando infine Seldon si staccò, lei lo guardò col sorriso negli occhi e disse: —

Baciami ancora, Hari... Ti prego.