4

FUORI DA CENTRAL PARK

Jeff si stiracchiò. Non aveva dormito abbastanza ma ormai era quasi l’alba, ed era il solstizio.

«Forza, Norby. Raggiungiamo in modo civilizzato il posto speciale dei fratelli Wells.»

«Posto speciale? È vostro? Lo avete comprato?»

«Non proprio. Non legalmente. Ma è come se lo fosse. Nel profondo, è nostro.»

«Se non è legale non voglio andarci, rischiamo di avere guai con la polizia.»

«Non avremo nessun guaio con la polizia» affermò Jeff un po’ irritato. «Dove pensi che siamo? Sugli asteroidi? Seguimi e basta.»

Iniziò a camminare lungo un sentiero dall’altro lato dello stagno, ma si fermò e guardò indietro verso Norby che non si era mosso.

«Be’, allora? Se vuoi puoi usare l’antigrav. So che fai fatica a camminare…»

«Se voglio posso camminare perfettamente» rispose il robot. «Mi piace camminare. Ho vinto anche delle gare di camminata. Posso camminare con passi più alti e lunghi di chiunque altro. Solo non più veloci. Gli umani credono che la velocità sia tutto, quando si parla di camminare, e comunque non sono nemmeno così rapidi. Gli struzzi e i canguri hanno due gambe e sono molto più veloci degli umani. Ho letto di loro nell’…»

«Nell’enciclopedia di Mac, lo so. Ma i canguri non camminano. Saltellano.»

«Anche gli umani saltano, ma sono molto più lenti dei canguri. E poi lo fanno senza dignità. Se avessero dei corpi fatti a barile come me, non sarebbe così. Guardami mentre salto.»

«Okay, salta pure se ti pare, solo fai attenzione a…»

Troppo tardi. Norby inciampò su una radice e fece una capriola. Ma non fu la testa a muoversi verso il basso, furono invece le gambe a finire in alto. Il corpo si sollevò in aria rovesciato, con le gambe che spuntavano dalla cima del barile e gli occhi che sbucavano dall’altra parte.

Jeff cercò di restare serio… e ci riuscì per circa quindici secondi. Poi esplose in una grassa risata.

«Non c’è niente da ridere. Ho solo deciso di accendere l’antigrav» disse Norby, offeso.

«Sottosopra?»

«Ti sto solo dimostrando che posso farlo in qualsiasi direzione. Solo gli antigrav da quattro soldi ti costringono a stare dritto. Sarebbe banale. Io ho vinto delle gare di sottosopra. Posso essere più sottosopra di chiunque altro.»

«E puoi anche rimetterti dritto?»

«Certo, ma è meno dignitoso e io volevo dimostrarti il modo dignitoso. Comunque, dato che insisti, farò a modo tuo, anche se è sciocco.»

Norby si raddrizzò con quello che sembrava un certo sforzo, poi scese lentamente finché i suoi piedi toccarono di nuovo il terreno. Traballava un po’, ma disse: «Ta tan!» e si mise su un piede solo come un ballerino di danza classica.

«Allora» disse. «Da che parte vuoi che vada? In avanti? All’indietro? Posso muovermi in qualsiasi direzione. Diagonale?»

«Quello che stai cercando di dirmi» osservò Jeff, «è che non hai idea di dove andrai finché non ci provi. Giusto?»

«Sbagliato. E lascia che ti dica una cosa, dato che sei così intelligente.» E, a tono un po’ più basso, Norby continuò: «Penso proprio che dovremmo raggiungere questo tuo posto del solstizio, Jeff, prima che il sole sorga e sia troppo tardi».

Allungò la mano, Jeff la prese e, insieme, il robot e il ragazzo, camminarono lungo il sentiero nel bosco fino alla parte della Ramble dove c’erano più alberi. Il cielo ora era abbastanza chiaro e si potevano distinguere facilmente le forme degli alberi e delle rocce.

Camminarono allegramente fino a una radura nel folto degli alberi, tagliata a metà da un ruscello che nasceva da una fessura in una grande roccia. Sulla cima di quella specie di scogliera c’era una ringhiera e un sentiero che la attraversava. Quel sentiero poi raggiungeva un ponticello, faceva il giro e si congiungeva con la loro strada.

Un salice piccolo ma aggraziato si piegava sopra il torrente, e attorno alle sue radici crescevano ninfee, i fiori bianchi che sembravano risplendere nella luce soffusa. Il vento li faceva muovere e spargeva nell’aria il loro profumo delicato.

«Mi piace questo posto» sussurrò Norby. «È bello.»

«Non sapevo che i robot sapessero riconoscere la bellezza» disse Jeff.

«Certo. Un flusso interno di elettricità quando il tuo potenziale è quasi scarico è bellissimo. Pensavo lo sapessero tutti. E comunque io non sono un robot come gli altri» sentenziò Norby.

«Questo l’ho capito. I pezzi alieni dentro di te devono venire da un tipo di robot completamente diverso… o magari da un computer alieno o qualcosa del genere.»

«Non c’entra niente, Jeff. Il problema con voi creature a base di proteine è che credete di aver inventato la bellezza. Anch’io posso apprezzarla. Posso apprezzare tutto quello che apprezzi tu, e posso fare tutto. Sono forte e supercoraggioso e sono un buon amico in un’avventura. Viviamo qualche avventura insieme e te lo dimostrerò. Poi sarai felice di avermi vicino.»

«Ne sono sicuro, Norby. Davvero.»

«Mac voleva sempre delle avventure, ma continuava ad aspettare e il risultato è che alla fine non ne ha avuta nessuna, tranne aver trovato quella nave aliena. Poi non è successo nient’altro.»

«A parte te!»

«Esatto! Mi ha riparato e combinato per bene.»

«Ti ha scombinato, vorrai dire. Tu sei davvero un robot scombinato.»

«Perché mi prendi in giro? Solo per dimostrarmi che gli esseri umani sono crudeli?»

«Non sono crudele. Sono felice che tu sia scombinato e che ci siano parti aliene dentro di te. È questo che ti rende forte e coraggioso e…»

In quel momento Norby, che stava in equilibrio sulle sue gambe estese al massimo della lunghezza, spalancò gli occhi.

«Oh!» gridò.

«Che succede?» domandò Jeff.

Cercò di lasciar andare la mano del robot, ma quello la teneva strettissima, e intanto indicava all’indietro con l’altra. Jeff si ricordò che Norby aveva gli occhi anche dietro la testa.

«Pericolo!» disse Norby. «Nemici! Alieni! Morte! Distruzione!»

«Dove? Dove? Cosa? Chi?»

Jeff si guardò intorno da una parte, dall’altra, perfino in alto, e solo allora vide un movimento sul ponticello. Due figure avanzavano rapidamente verso di loro, troppo rapide per essere solo un miraggio dovuto alla penombra.

Erano tre uomini: due tizi che ne inseguivano un terzo.

«Norby!» chiamò Jeff. «Quello è Fargo. Lo stanno attaccando!»