Ciò che sapeva l'eremita

Lucky aveva visto poche stanze così lussuose, anche sulla Terra. Lunga più di dieci metri, larga sette, era fiancheggiata da una specie di camminamento. In basso e in alto le pareti erano tappezzate di librofilm e un proiettore era montato su un piedestallo. Su un altro sostegno splendeva un modello ingioiellato della galassia. La luce era soffusa.

Appena messo piede nella stanza, Lucky sentì l'attrazione prodotta da un motore a pseudogravità: non era regolato sullo standard terrestre, ma a metà strada fra questo e quello marziano. C'era una deliziosa sensazione di leggerezza e un'attrazione sufficiente a permettere il coordinamento dei muscoli.

L'eremita si era tolto la tuta e l'aveva appesa in corrispondenza di un canaletto; lì, il ghiaccio che si era formato quando erano passati dal gelo esterno alla temperatura calda e umida della stanza avrebbe potuto sgocciolare.

Era un uomo alto e diritto, con la faccia rosa e non solcata da rughe, ma i capelli erano bianchi così come le folte sopracciglia. Sul dorso delle mani risaltavano le vene.

«Posso aiutarti con la tuta?» chiese educatamente il padrone di casa.

Lucky tornò in sé. «Va tutto bene, grazie.» Uscì rapidamente dal costume spaziale e disse: «Posto insolito, quello in cui abiti».

«Ti piace?» Hansen sorrise. «Ci sono voluti molti anni per farlo diventare così. E la mia piccola casa non si limita a questo.» Sembrava che provasse una pacata forma d'orgoglio.

«Lo immagino» disse Lucky. «Dev'esserci un impianto che fornisce luce e calore, per non parlare del motore a pseudogravità. Dev'esserci un purificatore-sostitutore dell'aria, un distillatore d'acqua, riserve di cibo e tutto il resto.»

«Hai ragione.»

«Mica brutta la vita dell'eremita.»

Il vecchio era orgoglioso e contento. «Non deve esserlo. Siediti, Williams, siediti. Vuoi bere qualcosa?»

«No, grazie.» Lucky si accomodò in poltrona. Il sedile e lo schienale, apparentemente normali, mascheravano un campo diamagnetico che cedeva al suo peso solo fino a un certo punto, poi raggiungeva un equilibrio che si modellava su ogni curva del suo corpo. «A meno che tu non abbia una tazza di caffè.»

«Ma certo!» Il vecchio entrò in una nicchia e pochi secondi dopo tornò con due tazze fragranti e fumanti, una delle quali per sé.

A un tocco dell'eremita il bracciolo della poltrona si allargò e l'ospite posò la tazza in un incavo. Nel compiere quel gesto, Hansen fissò il giovane.

Lucky alzò gli occhi.

«Cosa c'è?»

Hansen scosse la testa. «Niente, niente.»

Si guardarono. Le luci della zona più lontana si attenuarono, finché fu visibile solo il cerchio intorno ai due uomini.

«Se vuoi scusare la curiosità di un vecchio,» disse l'eremita «vorrei chiederti perché sei venuto qui.»

«Non sono venuto, mi ci hanno portato» precisò Lucky.

«Vuoi dire che non sei uno dei...» Hansen fece una pausa.

«No, non sono un pirata. Alméno, non ancora.»

Hansen posò la tazza e sembrò preoccupato. «Non capisco. Forse ho detto cose che non avrei dovuto.»

«Non preoccuparti, diventerò presto uno di loro.»

Lucky finì il caffè e, scegliendo le parole con cura, raccontò le sue peripezie dal momento in cui si era imbarcate sull'Atlas, sulla Luna, fino allo sbarco sull'asteroide.

Hansen ascoltava con interesse. «E sei sicuro di volerti unire ai pirati, adesso che hai visto com'è fatta la loro vita?»

«Sicuro.»

«Perché, per la Terra?»

«L'hai detto, è proprio per la Terra. Per quello che mi ha fatto. Non è posto dove uno possa vivere... e del resto, tu perché sei venuto qui?»

«È una lunga storia, temo. No, non preoccuparti, non ho intenzione di raccontarla. Ho comprato quest'asteroide molto tempo fa come posto ideale per piccole vacanze annuali; poi mi ci sono affezionato. Ho continuato ad allargare lo spazio abitabile, l'ho caricato di mobili e librofilm venuti dalla Terra ed è andata a finire che tutto quello che m'interessava si trovava qui. A questo punto, perché non restarci per sempre? Me lo sono chiesto e questa è la risposta.»

«Già, perché no? Sei furbo, ormai sulla Terra regna il caos. Troppa gente, troppi lavori schifosi, quasi impossibile emigrare sui pianeti. E, ammesso che ci riesci, tutto quello che ti fanno fare è un lavoro da romperti la schiena. Non ci sono opportunità per un uomo, a meno che non si trasferisca sugli asteroidi. Io non ho l'età per cercarmi una sistemazione definitiva come te, ma ai giovani questi sassi vaganti offrono vita e avventure. Si può ancora diventare un capo.»

«I capi, come li chiami tu, non amano i ragazzi troppo ambiziosi. Anton, per esempio: lo conosco e so che anche lui è così.»

«Forse, ma fino a questo momento ha mantenuto la parola» disse Lucky. «Ha detto che se avessi sconfitto il suo scagnozzo, Dingo, avrei avuto l'opportunità di unirmi agli uomini degli asteroidi. Sembra che voglia darmela davvero.»

«Già, ecco perché ti ha portato qui. Ma che succederà se al suo ritorno avrà le prove - o quelle che lui chiama prove - della tua appartenenza alla polizia?»

«Non le avrà.»

«Mettiamo che lui dica di sì. Si libererà di te?»

La faccia di Lucky si rabbuiò e di nuovo il vecchio lo scrutò con interesse.

Il giovane insisté: «Non avrà nessuna prova. Un uomo valido può fargli comodo e lo sa. E poi, perché mi stai facendo la predica? Eri là fuori a riceverli e per poco non vi siete messi a giocare a palla insieme».

Hansen abbassò lo sguardo. «È vero, non dovrei interferire nei tuoi affari. Che vuoi, è la solitudine. Quando capita un visitatore parlo sempre troppo, non fosse altro per sentire il suono delle voci. Senti, è quasi ora di cena: sarò lieto di mangiare con te in silenzio, se lo preferisci. O di parlare di qualsiasi altro argomento, a tua scelta.»

«Va bene, Hansen, senza rancore.»

«Ottimo.»

Lucky seguì Hansen in una piccola dispensa fornita di cibo in scatola e concentrati d'ogni sorta. Non c'era nessuna delle marche note a Lucky, ma il contenuto delle scatole era descritto in incisioni a vivaci colori sul metallo.

Hansen disse: «Tenevo la carne in una cella frigorifera; su un asteroide si può abbassare la temperatura finché si vuole, ma da un paio d'anni ho rinunciato a quel genere di rifornimenti».

Scelse dagli scaffali mezza dozzina di scatole e un contenitore di latte concentrato. Dietro suo suggerimento, Lucky prese un barattolo d'acqua.

L'eremita apparecchiò la tavola in fretta. Le scatole erano del tipo che si riscalda da sé e che una volta aperte si trasformano in piatti con annesse stoviglie.

Indicandole con divertimento, Hansen disse: «Fuori c'è un'intera valle piena zeppa di questi affari. Scatolette vuote, usate... i rifiuti di vent'anni».

Il cibo era buono, ma insolito. Era a base di lievito, sostanza che si produceva solo nell'Impero terrestre perché in nessun'altra parte della galassia la pressione demografica era così forte e gli abitanti così affamati. Le colture di lievito si erano sviluppate in risposta a quei problemi. Su Venere, dove crescevano quasi tutte le varietà di lievito, si poteva produrre qualsiasi imitazione degli altri cibi: bistecche, noccioline, burro, dolci. E le proprietà nutritive erano le stesse. A Lucky, tuttavia, sembrò che il sapore non fosse affatto venusiano. C'era una punta più acre.

«Scusami la curiosità» disse. «Mantenere tutto questo dev'essere costoso, vero?»

«Sì, ma da questo punto di vista non ho problemi. Ho fatto degli investimenti redditizi sulla Terra e i miei assegni sono sempre stati onorati... almeno fino a due anni fa.»

«Poi che cosa è successo?»

«Le navi dei rifornimenti hanno smesso di arrivare. Troppo rischioso per via dei pirati. È stato un brutto colpo. Per fortuna avevo molte provviste, ma immagino come dev'essere stato per gli altri.»

«Gli altri?»

«Gli altri eremiti. Ce ne sono centinaia, e non tutti fortunati come me. Pochi possono permettersi di rendere confortevoli i propri mondi, ma l'essenziale riescono a procurarselo. Si tratta di vecchi come me, con le mogli morte, i figli cresciuti, spaesati in un mondo strano e diverso. Preferiscono cavarsela da soli. Ammesso che riescano a costruirsi un rifugio, possono vivere per molti anni su un asteroide. Il governo non chiede alcun affitto: qualunque pianetino su cui tu voglia sistemarti è tuo, a patto che abbia un diametro inferiore a otto chilometri. Poi, se uno vuole, può comprare una ricevente subeterica e tenersi in contatto con l'universo. Altrimenti ci sono i librofilm o le trascrizioni dalla stampa distribuite una volta all'anno dalle astronavi che portano i rifornimenti. La vita degli eremiti è tutta qui: mangiare, dormire, riposare e aspettare la morte. A volte mi piacerebbe incontrarne qualcuno.»

«Perché non lo fai?»

«Mi piacerebbe, ma non è gente facile da trattare. Dopo tutto sono venuti quassù per stare da soli, e in fondo anch'io.»

«Che cosa hai fatto quando i rifornimenti hanno smesso di arrivare?»

«Dapprima niente: pensavo che il governo avrebbe risolto il problema dei pirati e le mie dispense erano piene per mesi. Avrei potuto cavarmela per un anno, più o meno. Poi arrivarono le navi pirata.»

«E ti sei schierato dalla loro parte?»

L'eremita si strinse nelle spalle e mantenne la fronte aggrottata fino alla fine del pranzo.

Quando ebbero finito di mangiare, il vecchio raccolse i piatti e le stoviglie e li sistemò in un contenitore a muro situato in una nicchia vicino alla dispensa. Lucky sentì un debole rumore metallico che diminuì rapidamente.

Hansen disse: «Il tubo dei rifiuti non è soggetto al campo di pseudogravità: uno sbuffo d'aria li spinge fuori e la spazzatura galleggia fino alla valle di cui ti ho parlato, che in realtà è a più di un chilometro da qui».

«Mi sembra» disse Lucky «che se aumentassi un poco lo sbuffo d'aria, potresti liberarti di tutto quell'ammasso di scatolette.»

«Infatti, e credo che molti eremiti facciano così. Forse tutti. Però a me l'idea non piace: è uno spreco d'aria e di metallo. Un giorno o l'altro le scatole e le lattine che si accumulano da vent'anni nella mia valletta potrebbero tornarmi utili, chi lo sa? E poi, anche se la maggior parte dei rifiuti si perderebbero nello spazio, sono certo che alcuni entrerebbero in orbita intorno all'asteroide come piccole lune, ed è indegno pensare di essere accompagnati per l'eternità dai propri rifiuti. Vuoi fumare? No? Ti dispiace se lo faccio io?»

Si accese un sigaro e con un sospiro di soddisfazione continuò: «Gli uomini degli asteroidi non sono in grado di rifornirmi regolarmente di tabacco, così è diventato un lusso».

Lucky chiese: «Per il resto, ti danno tutto?».

«Proprio così. Acqua, pezzi di ricambio dei macchinari ed energia. Abbiamo fatto un patto.»

«In cambio tu che cosa fai?»

L'eremita studiò l'estremità accesa del sigaro. «Non molto. Permetto loro di usare questo mondo, non li denuncio. In casa mia non entrano e quello che fanno all'esterno non mi riguarda. Non voglio nemmeno saperlo, oltre tutto è più sicuro. A volte mi lasciano degli ospiti, come te, ma in seguito vengono a riprenderseli. Penso che il più delle volte si fermino per fare qualche riparazione. In cambio mi portano delle provviste.»

«Fanno così con tutti gli eremiti?»

«Non lo so, forse.»

«Devono avere una quantità enorme di rifornimenti. Dove credi che se li procurino?»

«Sulle navi catturate.»

«Non basterebbero a sfamare centinaia di eremiti più tutta la popolazione pirata. Voglio dire, ci vorrebbe un numero enorme di astronavi.»

«Non lo so.»

«E non ti interessa? È vero, qui vivi comodo, ma forse il cibo che abbiamo appena mangiato proviene da una nave il cui equipaggio gira intorno a un asteroide come un mucchio di rifiuti umani congelati. Non ci pensi mai?»

L'eremita arrossì penosamente. «Ti stai vendicando per la predica che ti ho fatto prima. Hai ragione, ma che altro posso fare? Non ho abbandonato o tradito il governo terrestre, sono stati loro ad abbandonare me. I miei beni, sulla Terra, rendono tasse allo stato; perché allora non vengo protetto? Questo asteroide è regolarmente registrato all'Ufficio mondi extraterrestri, fa parte dei domini della Terra. Ho tutto il diritto di aspettarmi protezione contro i pirati e, se questo non avviene, se la mia dispensa si vuota e mi comunica freddamente che dalla madrepatria non posso aspettarmi più niente, che cosa devo fare?

«Mi risponderai che avrei potuto tornare sulla Terra, ma come abbandonare tutto questo? Qui ho il mio mondo: i miei librofilm, i classici che amo. Ho persino una copia di Shakespeare: un filmato ricavato direttamente dalle pagine di un antico libro a stampa. Ho cibo, bevande, tranquillità: in tutto l'universo non troverei un posto più confortevole di questo.

«Non credere, tuttavia, che sia una scelta facile. Posseggo una trasmittente subeterica e potrei comunicare con la Terra. Ho una navicella in grado di portarmi su Cerere e gli uomini degli asteroidi lo sanno, ma si fidano di me. Sanno che non ho scelta. Come ti ho detto quando ci siamo conosciuti, sono soltanto un accessorio che viene usato all'occorrenza.

«Li ho aiutati e questo mi rende legalmente un complice: se tornassi mi arresterebbero, Forse mi giustizierebbero. Ma anche se me la cavassi, se riuscissi a dimostrare di non aver avuto scelta, i pirati se la legherebbero al dito. Mi rintraccerebbero ovunque, a meno che non ottenessi protezione a vita dal governo.»

«Sembra che tu sia in una brutta posizione» disse Lucky.

«Ma è proprio così?» replicò l'eremita. «Con le dovute raccomandazioni potrei ottenere quella protezione...»

Era il turno di Lucky. «Non so.»

«Credo di sì.»

«Non ti seguo.»

«Stai a sentire, ti darò un consiglio in cambio di un favore.»

«Non c'è niente che io possa fare. Comunque dimmi.»

«Abbandona l'asteroide prima che tornino Anton e i suoi uomini.»

«Nemmeno per sogno. Sono venuto per unirmi a loro, non per scappare a casa.»

«Se non te ne vai sarai costretto a restare per sempre. Già, perché ti ammazzeranno. Non ti prenderanno mai con loro. Non hai i numeri adatti, mister.»

Lucky fece una smorfia di rabbia. «Per lo spazio, vecchio, di che vai parlando?»

«Ecco, quando ti arrabbi è lampante. Tu non ti chiami Bill Williams, figliolo. Somigli incredibilmente a Lawrence Starr, il Consigliere della Scienza. Sei suo figlio?»