PARTE PRIMA

IL GENERALE

1

IN CERCA DEI MAGHI

BEL RIOSE... Nella sua relativamente breve carriera, Riose si guadagnò il titolo di Ultimo degli Imperatori con pieno merito.

Uno studio delle sue campagne militari lo rivela pari per abilità strategica al famoso Peurifoy e forse superiore allo stesso per l’ascendente sui suoi uomini.

Poiché visse in un periodo di decadenza Imperiale, non gli fu possibile eguagliare il record di conquiste di Peurifoy.

Ebbe la sua occasione quando, primo fra i generali dell’impero, fronteggio la Fondazione in campo aperto...

ENCICLOPEDIA GALATTICA

1 Tutte le citazioni dall’ Enciclopedia Galattica che qui compaiono sono riprese dall’edizione pubblicata nel 1020 E.F., dalle Edizioni Enciclopedia Galattica, Terminus, con l’autorizzazione dell’editore. ( N.d.A. )

Bel Riose viaggiava senza scorta, il che non è prescritto dall’etichetta di corte per il capo di una flotta d’occupazione in uno del sistemi stellari più turbolenti delle Marche dell’Impero Galattico.

Ma Bel Riose era giovane ed energico - energico quanto basta da essere inviato, da una corte astuta e calcolatrice, il più possibile vicino alla fine dell’universo - ed in più era anche curioso.

Innumerevoli, e non sempre attendibili, sono gli aneddoti che si raccontano sull’altra sua capacita: la prontezza con la quale s’impegnava militarmente.

L’insieme di queste tre caratteristiche era irresistibile.

Scese dal comunissimo veicolo terrestre che aveva confiscato davanti alla porta di una casa nascosta nell’oscurità.

Attese.

L’occhio fotonico piazzato sullo stipite della porta era acceso, ma l’uscio venne aperto a mano.

Il generale sorrise al vecchio. – Sono Riose.

– Vi ho riconosciuto – disse l’uomo senza scomporsi. – Che volete?

Riose indietreggiò di un passo in segno di deferenza. – Vengo in pace. Se siete Ducem Barr, desidererei parlarvi.

Ducem Barr si spostò di lato e le pareti interne della casa s’illuminarono di colpo.

Il generale entrò nella stanza illuminata a giorno.

Toccò le pareti dello studio, poi si guardò i polpastrelli delle dita. – È il sistema di illuminazione di Siwenna?

Barr sorrise. – Non più, credo. Sono riuscito a conservarlo riparandolo da solo.

Dovete scusarmi per avervi fatto attendere sulla porta. Ma il dispositivo automatico registra la presenza delle persone senza far scattare il comando d’apertura.

– Non riuscite a riparare tutti i guasti? – disse il generale con una punta d’ironia.

– È difficile trovare i pezzi di ricambio. Ma accomodatevi, prego. Posso offrirvi un tè?

– Su Siwenna? Mio buon signore, su questo Pianeta è socialmente impossibile rifiutarlo.

Il vecchio patrizio uscì dalla stanza dopo essersi leggermente inchinato come prescritto dall’etichetta dell’aristocrazia del Pianeta.

Riose osservò la figura del vecchio che s’allontanava e provò un lieve senso d’imbarazzo per questo cerimoniale a cui non era abituato. La sua educazione era stata militare e così pure le sue esperienze. Aveva, come vuole la norma, visto molte volte in faccia la morte, ma si trattava sempre di una morte di natura familiare quanto tangibile.

Quindi, non bisognava stupirsi se l’idolatrato leone della Ventesima Flotta si sentiva agitato nell’atmosfera misteriosa di quella casa antica.

Il generale riconobbe le scatole nere allineate lungo le pareti: si trattava di libri.

I titoli non gli erano familiari. Immaginò che nella nicchia in fondo alla stanza fosse collocato il ricevitore che avrebbe tramutato i libri, a richiesta, in uno spettacolo visivo e sonoro. Non aveva mai visto apparecchi simili in funzione, ma ne aveva sentito parlare.

Gli avevano detto che, un tempo, nel periodo d’oro dell’Impero, quando questo dominava su tutti i pianeti della Galassia, nove case su dieci possedevano ricevitori del genere. Ma ora bisognava vigilare i confini ed i libri erano riservati ai vecchi.

Inoltre, la metà delle storie che si raccontavano sui tempi d’oro dell’Impero erano miti. Più della metà.

Arrivò il tè e Riose si sedette.

Ducem Barr alzò la tazza e disse: – Al vostro onore.

– Grazie. Al vostro.

– Mi dicono che siete giovane, generale. Trentacinque anni? – disse Barr.

– Quasi. Ho trentaquattro anni.

– In questo caso – disse Barr con una leggera enfasi, – è meglio che cominci con l’informarvi che non possiedo filtri amorosi, né pozioni, né formule magiche d’alcun genere. E non sono in condizione d’influenzare i favori di nessuna giovane fanciulla alla quale voi siate interessato.

– Non credo d’aver bisogno di aiuti artificiali in quel campo, signore – rispose il generale con aria divertita. – Ricevete molte richieste di questo genere?

– Troppe. Sfortunatamente, il pubblico ignorante tende a confondere la cultura con la magia, e la vita amorosa sembra essere il campo che più richiede l’intervento di un mago.

– Mi sembra abbastanza naturale. Ma io la penso diversamente. Per me la cultura non è altro che un mezzo per rispondere a delle domande difficili.

Il siwenniano considerò la risposta con attenzione. – Forse sbagliate allo stesso modo degli altri.

– È probabile. – Il giovane generale appoggiò la tazza sull’apposito ripiano e questa si riempì automaticamente. Fece cadere nella tazza un paio di pastiglie aromatiche. – Ditemi, patrizio, chi sono i maghi? Intendo dire i veri maghi.

Barr esitò a rispondere osservando il generale con la coda dell’occhio.

– Non esistono maghi – rispose.

– Eppure la gente ne parla. Siwenna è piena di gente disposta a raccontare le loro avventure. Esiste una specie di culto basato su di loro. Inoltre, c’è una strana connessione tra costoro e quel gruppo di vostri compatrioti che fantasticano intorno ai tempi antichi ed a ciò che loro chiamano libertà ed autonomia. Un giorno, la faccenda potrebbe mettere in pericolo la sicurezza dello Stato.

Il vecchio scrollò la testa. – Perché vi rivolgete a me? Sentite aria di rivoluzione attorno alla mia casa? Ho l’aspetto di un ribelle?

Riose si strinse nelle spalle. – No, per carità. Tuttavia, non pensate che le mie congetture siano così ridicole. Vostro padre è stato mandato in esilio, voi stesso siete un patriota ed un nazionalista. So che è indelicato da parte mia parlarne, ma è il mio lavoro che lo richiede. Nonostante questi precedenti non penso che, al momento, si stia preparando una rivolta. Siwenna ha ormai perduto il suo spirito battagliero da tre generazioni.

Il vecchio rispose controllandosi con sforzo. – Sarò un padrone di casa altrettanto indelicato come il mio ospite. Vi ricorderò che già un viceré credette come voi che l’orgoglio dei siwenniani fosse stato piegato. Per ordine di quel viceré mio padre fu costretto a fuggire, i miei fratelli furono uccisi, mia sorella costretta al suicidio. Eppure, quello stesso viceré fece una brutta fine, e proprio per mano di questi siwenniani schiavizzati.

– Avete toccato un tasto che m’interessa. Da tre anni la strana morte del viceré non è un mistero per me. C’era un giovane soldato tra le sue guardie personali con un interessante curriculum. Eravate voi quel soldato. Non credo ci sia bisogno di entrare nei particolari.

Barr era calmo. – Infatti. Che cosa mi proponete?

– Che rispondiate alle mie domande.

– No di certo, se continuate a minacciarmi. Sono vecchio, ma non tanto da considerare la vita troppo preziosa.

– Mio caro signore, viviamo in tempi difficili – disse Riose, – e voi avete figlie ed amici. Ed in più amate il vostro paese. Se decidessi di usare la forza, non sarei tanto stupido da attaccare proprio voi.

Barr rispose con freddezza. – Che cosa volete?

Riose appoggiò sul tavolo la tazza vuota. – Patrizio, ascoltatemi. Questa è un’epoca in cui i soldati che fanno carriera sono quelli che comandano le parate militari in costume nei giardini del palazzo imperiale nei giorni di festa o che scortano le astronavi di Suo Splendore Imperiale quando parte per i pianeti estivi.

Io... sotto questo punto di vista sono un fallito. Ho trentaquattro anni e sono un fallito, e tale rimarrò. Perché, vedete, a me piace combattere.

«Per questo mi hanno mandato qui. Combino troppi guai a corte e non sono in tono con l’etichetta. Offendo i dandy ed i Lord Ammiragli. Tuttavia sono un comandante capace, sia nella guida dei miei uomini sia delle mie astronavi, ed è difficile liberarsi di me. Così sono stato mandato su Siwenna. È un mondo di confine, ribelle e desolato. Inoltre, è abbastanza lontano da rendere tutti soddisfatti.

«E così io ammuffisco... Non ci sono rivolte da soffocare. In questi ultimi tempi i viceré non si ribellano più, dopo che il padre di Sua Maestà Imperiale, di gloriosa memoria, ha dato l’esempio di Mountel di Paramay.

– Era un imperatore forte – mormorò Barr.

– Sì, e avremmo bisogno di altri come lui. Lui è il mio padrone: ricordatevene.

E sono i suoi interessi quelli che io difendo.

Barr si strinse nelle spalle senza interesse. – E cosa c’entra tutto questo?

– Ve lo dimostrerò in due parole. I maghi di cui parlavo poco fa vengono da pianeti al di là dei confini, dove le stelle sono meno numerose.

– Dove le stelle sono meno numerose – ripeté Barr. – E dove il freddo degli spazi si insinua.

– State facendo della poesia? – disse Riose seccato. – Mi sembra che non sia il momento di declamare versi. In ogni modo vengono dalla Periferia, la sola zona dove posso combattere per la gloria del mio Imperatore.

– Così servirete la causa imperiale e nello stesso tempo soddisferete la vostra bramosia di combattere.

– Esattamente. Ma devo sapere contro chi combatto, e voi mi potete aiutare.

– Perché proprio io?

Riose guardò pensoso il pavimento. – Da tre anni ho ascoltato le voci, i miti, tutto ciò che riguardava i maghi. E tutte le migliaia di versioni che ho potuto raccogliere concordano solo su due fatti e di conseguenza questi sono certamente veri. Il primo è che i maghi provengono dai confini della Galassia, oltre Siwenna, il secondo che vostro padre un giorno ha incontrato un mago, in carne e ossa, e gli ha parlato.

Il vecchio guardò il generale senza battere ciglio, e Riose continuò: – Ed è meglio che mi diciate tutto quello che sapete...

Barr riflette un attimo. – Sarebbe interessante dirvi alcune cose. In un certo senso compirei un esperimento psicostorico personale.

– Che tipo di esperimento?

– Psicostorico. – Barr sorrideva in modo strano. – È meglio che vi serviate un’altra tazza di tè. Sto per farvi un lungo discorso.

Si appoggiò ai cuscini della poltrona e la luce delle pareti acquistò una colorazione più calda, ammorbidendo il profilo duro del generale.

Ducem Barr cominciò: – Tutto il mio sapere è la conseguenza di due fatti puramente fortuiti e cioè l’essere figlio di mio padre, e l’essere nato su questo pianeta. La storia inizia quarant’anni fa, poco dopo il grande Massacro, quando mio padre fu costretto a fuggire nelle foreste del sud, mentre io ero puntatore al servizio del viceré. Quello stesso viceré, tra l’altro, che ordinò il Massacro, e che morì di morte così crudele poco dopo.

Barr sorrise, poi continuò. – Mio padre era un patrizio dell’Impero e senatore di Siwenna. Si chiamava Onum Barr.

Riose lo interruppe impaziente. – Conosco alla perfezione le circostanze dell’esilio. Non è necessario che me le ripetiate.

Il siwenniano ignorò l’interruzione e continuò imperterrito: – Durante l’esilio, capitò a casa sua un viaggiatore. Era un mercante che veniva dai confini della Galassia: un giovane che parlava con uno strano accento. Non conosceva nulla della recente storia imperiale, ed era difeso da un campo di forza individuale.

– Un campo di forza individuale? – esclamò Riose allibito. – Non diciamo sciocchezze. Non esistono generatori tanto potenti da essere adatti a proteggere un singolo individuo. Per la Galassia, non si portava mica appresso su una carriola un generatore atomico da cinquemila tonnellate?

Barr rispose con calma: – Questo è il mago di cui si raccontano tanti aneddoti e leggende. Il titolo di “mago” non si ottiene facilmente. Costui portava con sé un generatore di dimensioni piccolissime, ma nemmeno l’arma più potente che voi potete impugnare sarebbe stata sufficiente a forare il campo che lo proteggeva.

– E questa sarebbe tutta la storia? Così i maghi sarebbero nati dalla fantasia di un vecchio pazzo in esilio?

– La leggenda dei maghi non finisce qui, signore. Esistono prove ben più concrete. Dopo aver lasciato mio padre, il mercante che il popolo chiama mago fece visita a un tecnico addetto agli impianti atomici nella città che mio padre gli aveva indicata, e a quell’uomo lasciò un generatore del tipo di quello che portava con sé. Questo generatore venne rintracciato da mio padre dopo il suo ritorno dall’esilio in seguito alla morte del viceré. Gli ci volle parecchio per ritrovarlo...

«Il generatore è appeso alla parete dietro di voi. Non funziona. Smise di funzionare dopo due giorni, ma se lo osservate vi accorgerete che non è stato certamente ideato da qualcuno dell’Impero.

Bel Riose allungò la mano per afferrare la cintura di metallo appesa al muro. Si staccò dalla parete con un leggero risucchio mentre il campo d’adesione resisteva alla pressione della mano. L’ellissoide al centro della cintura attirò la sua attenzione.

Non era più grande di una noce.

– E questo... – disse.

– Sarebbe il generatore – annuì Barr. – Almeno lo era. Il segreto del suo funzionamento non è stato mai scoperto. Un esame subelettronico ha mostrato che è stato fuso in un singolo involucro di metallo e nessuna delle analisi è riuscita a rivelare le parti saldate.

– E così la vostra famosa prova rimane una supposizione priva di concretezza.

Barr alzò le spalle. – Mi avete chiesto di dirvi quanto sapessi minacciandomi di estorcermelo con la forza. Se avete scelto di considerare le mie risposte con scetticismo, cosa volete da me? Che smetta di raccontare?

– Continuate! – disse il generale adirato.

– Ho proseguito le ricerche intraprese da mio padre dopo la sua morte, e allora il secondo caso fortuito, come vi avevo detto prima mi aiutò nelle ricerche, cioè che Hari Seldon era famoso qui su Siwenna.

– E chi sarebbe Hari Seldon?

– Hari Seldon era uno scienziato che aveva vissuto sotto il regno dell’Imperatore Daluben IV. Era uno psicostorico, l’ultimo ed il più grande. Un tempo visitò Siwenna, quando ancora era un grande centro commerciale, ricco d’arti e scienze.

– Uhm – mormorò Riose. – Qual è quel miserabile pianeta che non pretenda di essere stato un tempo un centro ricco e importante?

– Mi riferisco a due secoli fa, quando l’Impero si estendeva fino alla periferia della Galassia; quando Siwenna era un mondo interno e non una provincia semibarbara di confine. In quei tempi, Hari Seldon predisse il declino della potenza imperiale ed il probabile ritorno alla barbarie di tutta la Galassia.

Riose scoppiò in una gran risata. – Che cosa ha predetto? Ebbene io vi dico che s’è sbagliato di grosso, mio caro scienziato... perché immagino che vi consideriate tale. Infatti l’Impero è più potente ora di quanto non lo fosse mille anni fa. I vostri occhi di vecchio non vedono che la miseria che c’è qui, ai confini. Venite un giorno nei mondi all’interno, venite a rendervi conto della ricchezza di quei mondi.

Il vecchio scosse la testa. – La circolazione del sangue cessa prima nelle zone periferiche del corpo. Ci vorrà tempo prima che la decadenza raggiunga il cuore.

Questo è quanto si vede a prima vista oggi, la vera decadenza ebbe inizio qualcosa come millecinquecento anni fa.

– E così questo Seldon ha predetto che la Galassia sarebbe caduta nella barbarie – esclamò Riose di buon umore. – E poi?

– Creò due Fondazioni ai capi estremi della Galassia. In queste Fondazioni vennero radunati gli uomini migliori, i più forti ed i più giovani, in modo che lì la scienza potesse progredire. I due pianeti furono scelti accuratamente, sia come tempo sia come località. Tutto venne predisposto in modo tale che in futuro, come previsto con infallibilità matematica dalla psicostoria, venissero a trovarsi in un primo tempo isolati dal corpo centrale dell’Impero e che potessero in seguito creare le basi per un Secondo Impero Galattico, riducendo l’interregno di barbarie da trentamila anni a soli mille anni.

– E dove avete avuto queste informazioni? Mi pare che conosciate tutti i dettagli.

– Purtroppo non è così – rispose il patrizio. – Questo non è che il misero risultato delle ricerche di mio padre e mie. Le prove che ho raccolto non sono sicure e, purtroppo, la realtà è stata molto deformata dalla leggenda. Tuttavia sono convinto che nelle mie conclusioni vi sia una base di verità.

– Vi convincete molto facilmente.

– Credete? Sono quarant’anni che insisto nelle mie ricerche.

– Quarant’anni! Io sono capace di risolvere il problema in quaranta giorni. In effetti, penso proprio che mi ci impegnerò. Se non altro sarà eccitante.

– Ed in che modo?

– Nella maniera più ovvia. Diventerò un esploratore. Troverò queste Fondazioni di cui mi parlate e le osserverò con i miei occhi. Avete detto che ce ne sono due?

– I documenti parlano di due Fondazioni. Ma le prove che ho raccolto si riferiscono ad una sola, il che è anche comprensibile, visto che l’altra dovrebbe trovare all’altro capo della spirale Galattica.

– Bene bene, andremo a visitare la più vicina. – Il generale s’era alzato e si stava aggiustando la cintura.

– Sapete dove andare? – gli chiese Barr.

– Ne ho una vaga idea. Nei documenti lasciati dall’ultimo viceré, non quello che voi avete assassinato con tanto zelo ci sono racconti sospetti su alcuni barbari della periferia. In effetti, sua figlia venne data in matrimonio ad un principe barbaro. Comincerò da lì.

Tese la mano. – Grazie dell’ospitalità.

Ducem Barr gliela sfiorò con le dita e si inchinò rispettosamente.

– La vostra visita è stata un onore per me.

– Per quanto riguarda le informazioni che mi avete dato – continuò Riose, – saprò come ricompensarvi al mio ritorno.

Ducem Barr seguì l’ospite fino alla porta poi, mentre il mezzo dell’altro si allontanava, borbottò sottovoce: – Sempre che riusciate a tornare.

2

I MAGHI

FONDAZIONE... Dopo quarant’anni di continua espansione la Fondazione affrontò la minaccia di Riose.

I giorni epici di Hardin e Mallow erano trascorsi e con loro l’era dei personaggi avventurosi e risoluti...

ENCICLOPEDIA GALATTICA

Nella stanza che era stata isolata, in modo che nessuno si potesse avvicinare, c’erano quattro uomini. I quattro si guardarono l’un l’altro attraverso il tavolo che li separava.

Sul ripiano c’erano quattro bottiglie altrettanti bicchieri pieni ma nessuno li aveva ancora toccati.

Poi l’uomo seduto vicino alla porta allungò una mano e cominciò a tamburellare con le dita sul tavolo.

Disse: – Rimarremo qui a pensare per sempre? Che importa chi sarà il primo a parlare?

– Allora parla tu per primo – ribatté un uomo grosso, seduto di fronte a lui. – Tu dovresti essere quello più preoccupato.

Sennett Forell sospirò. – Perché pensi che io sia il più ricco... O forse vuoi che continui, visto che ho incominciato per primo. Immagino che non dimenticherete che sono stato io il primo a catturare con la mia flotta mercantile la loro astronave vedetta.

– Tu avevi la flotta più numerosa – intervenne un terzo, – e i piloti migliori; il che è un altro modo per dire che tu sei il più ricco. Si è trattato di un rischio notevole, ed immagino che sarebbe stato ancora più pericoloso per uno di noi.

Sennett sospirò di nuovo. – Ho una certa attitudine a correre rischi che ho ereditato da mio padre. Dopotutto, il punto essenziale quando si intraprende qualcosa di pericoloso è di sapere che cosa se ne può ricavare. Come mostra il fatto che l’astronave nemica è stata catturata senza perdite da parte nostra e senza che potesse avvertire le altre.

Forell era un parente lontano del grande Hober Mallow e questo era noto in tutta la Fondazione.

Il quarto personaggio era tormentato da un tic nervoso all’occhio.

Parlò a labbra strette. – Non vedo perché ci dovremmo vantare di aver catturato quella piccola astronave. Forniremo solo il pretesto per fare arrabbiare quel giovane ancora di più.

– Credi che abbia bisogno di pretesti? – disse seccato Forell.

– Penso di sì, e in questo forse gli risparmiamo la fatica di doversene creare uno – osservò il quarto personaggio, parlando lentamente.

– Hober Mallow si comportava in modo diverso. Ed anche Salvor Hardin.

Lasciavano che gli altri si barcamenassero nel buio mentre loro lavoravano su basi sicure.

Forell si strinse nelle spalle. – Questa astronave ha certamente un valore. I pretesti costano poco e nel cambio ci abbiamo guadagnato molto. – Aveva un’aria soddisfatta, proprio da buon mercante. Continuò: – Il giovanotto veniva dal vecchio Impero.

– Lo sapevamo – disse il secondo personaggio con aria seccata.

– Lo sospettavamo – corresse Forell. – Se un uomo si presenta scortato da astronavi e carico di ricchezza, pieno di intenzioni amichevoli, con offerte di scambi commerciali è giusto, mi pare, che lo si tratti bene, fin quando non si sia sicuri che le sue proposte amichevoli non siano che una finzione. Ma ora...

Il terzo personaggio parlò con aria preoccupata. – Potevamo essere più cauti.

Avremmo dovuto assicurarci prima. Avremmo dovuto scoprire qualcosa prima di lasciarlo andare. Non ci siamo comportati saggiamente.

– Ne abbiamo già discusso ed ormai non c’è più niente da fare – tagliò corto Forell, indicando con un gesto che l’argomento era chiuso.

– Il governo è debole – si lamentò il terzo, – ed il sindaco è un idiota.

Il quarto uomo guardò gli altri tre uno dopo l’altro e si tolse il sigaro di bocca, che fece cadere nell’inceneritore.

Poi disse con tono sarcastico: – Immagino che il signore che ha parlato per ultimo parli più che altro per dar aria ai denti. Mi pare inutile ricordarvi che il governo siamo noi.

Gli altri assentirono con un mormorio.

Il quarto uomo stava osservando il tavolo con i suoi occhietti piccoli.

– E allora lasciamo da parte la politica governativa. Questo giovanotto... questo straniero avrebbe potuto essere un futuro cliente. Non è il primo caso. Ognuno di voi ha tentato di accattivarsi la sua simpatia per concludere un contratto con lui. Vi è un accordo, un accordo fra gentiluomini, che proibisce una faccenda del genere, eppure voi tutti ci avete provato.

– Anche tu – borbottò il secondo.

– Non lo nego – rispose il quarto.

– Cerchiamo di dimenticare ciò che avremmo dovuto fare prima – li interruppe Forell impaziente, – e stabiliamo invece ciò che dovremo fare d’ora in poi. In ogni modo, che vantaggio ne avremmo avuto a metterlo in prigione o ad ucciderlo? Non siamo sicuri delle sue intenzioni nemmeno adesso e per di più non potevamo distruggere un Impero uccidendo un uomo. Forse c’erano flotte che non aspettavano altro che lui non tornasse.

– Esattamente – approvò il quarto personaggio. – Ora ditemi: che cosa avete ricavato dalla nave catturata? Sono troppo vecchio per questo genere di chiacchiere.

– Posso spiegarvelo in quattro parole – disse Forell sorridendo. – È un generale dell’Impero o perlomeno ha un grado militare corrispondente. È un giovane che ha dato prova della sua capacità in campo militare, perlomeno così mi è stato detto, ed è l’idolo dei suoi uomini. Ha avuto una carriera veramente romantica. Le storie che raccontano su di lui sono per metà inventate, tuttavia la sua personalità dev’essere notevole.

– E chi ti ha dato queste informazioni? – chiese il secondo personaggio.

– L’equipaggio della nave catturata. Possiedo tutti i documenti registrati su microfilm, e li ho messi al sicuro. Più tardi, se lo desiderate, ve li mostrerò. Potrete parlare agli uomini voi stessi. Io vi ho detto semplicemente l’essenziale.

– Come sai che ti hanno detto la verità? Come hai fatto a farli parlare?

Forell corrugò la fronte. – Caro signore, non sono stato gentile negli interrogatori. Li ho strapazzati e mi sono servito senza pietà del rilevatore psichico.

Hanno parlato e potete credere che hanno detto la verità.

– Ai vecchi tempi – disse il terzo personaggio, – ci saremmo serviti della psicologia. È indolore e sempre sicura. Non c’è modo di nascondere nulla.

– A quei tempi c’erano molte cose che ora non esistono più – ribatté Forell seccato. – Ora viviamo in un’epoca diversa.

– Ma – disse il quarto, – che voleva qui, questo generale, questo romantico condottiero?

Forell lo guardò fisso. – Credi che sia tipo da confidare al suo equipaggio i segreti di Stato? Non sapevano niente.

– Il che ci lascia...

– La responsabilità di trarre le nostre conclusioni – lo interruppe Forell, riprendendo a tamburellare sul tavolo. – Il giovane è un condottiero del vecchio Impero eppure vuole farci credere di essere un principino di un pianeta solitario in qualche angolo della Periferia. Questo ci dimostra che non desidera farci conoscere la sua vera identità. Si consideri inoltre la natura della sua professione e il fatto che l’Impero abbia già finanziato un attacco contro di noi ai tempi di mio padre, e le conclusioni sono ovvie. Il primo attacco è fallito. Non credo che l’Impero ci ami per questo.

– Non hai mai scoperto nessuna prova più concreta? – chiese il quarto uomo. – Sei sicuro di non nasconderci nulla?

– Assolutamente nulla – rispose Forell con calma. – Qui non si tratta di rivalità commerciali. Siamo costretti ad unirci.

– Sei diventato un patriota? – domandò il terzo con una punta d’ironia.

– Al diavolo il patriottismo – rispose Forell. – Credi che rischierei un credito per il futuro Secondo Impero? Pensi che rischierei una sola delle mie navi per facilitarne l’avvento? Se l’Impero vince arriverà un bel numero di sciacalli a spartirsi la preda.

– E noi saremo la preda – aggiunse il quarto sottovoce.

Il secondo personaggio prese improvvisamente la parola, agitandosi sulla sedia, così tanto da farla scricchiolare sotto il suo peso. – Ma perché parlate in questo modo? L’Impero non può vincere. Hari Seldon ci ha assicurato che saremo noi a fondare il Secondo Impero. Questa è semplicemente una delle solite crisi. Ne abbiamo già superate tre prima di questa.

– Soltanto un’altra crisi! – urlò Forell. – Ma durante le prime due c’era Salvor Hardin a guidarci; durante la terza, Hober Mallow. Chi ci guiderà adesso?

Guardò gli altri in faccia, poi riprese parlando con calma: – La psicostoria di Seldon alla quale è così comodo affidarsi richiede un contributo da parte del popolo della Fondazione. Il progetto Seldon aiuta coloro che si aiutano da sé.

– I tempi creano l’uomo – sentenziò il terzo interlocutore. – Eccoti un altro proverbio.

– Non ci si può contare con assoluta sicurezza – borbottò Forell. – La situazione per me è questa: se si tratta di una quarta crisi, allora Seldon l’ha prevista, e di conseguenza esiste un modo per risolverla. Ora, noi sappiamo che l’Impero è più forte di noi, lo è sempre stato. Ma questa è la prima volta che corriamo il pericolo di un attacco diretto. La forza dell’Impero è una terribile minaccia per noi. Per sconfiggerlo dovremmo trovare una via indiretta per risolvere questa crisi come è stato il caso delle precedenti. Dobbiamo trovare il punto debole dell’avversario ed attaccarlo lì.

– E quale sarebbe questo punto debole? – chiese il quarto interlocutore. – Hai qualche idea?

– No. È proprio questo quello di cui vorrei parlare. I nostri grandi capi del passato videro il lato debole del nemico e puntarono lì. Ma ora...

Si interruppe sconsolato, e per un momento nessuno parlò.

Poi il quarto interlocutore disse: – Ci occorrono spie.

Forell si girò verso di lui, eccitato. – Giusto! Non so con esattezza quando l’Impero ci attaccherà, e forse siamo ancora in tempo.

– Hober Mallow andò di persona nei territori dell’Impero – disse il secondo interlocutore.

Ma Forell scosse la testa. – Non possiamo farlo. Nessuno di noi è abbastanza giovane; siamo arrugginiti e troppo inariditi dal nostro mestiere di mercanti.

Abbiamo bisogno di giovani che siano da poco entrati nel commercio...

– I mercanti indipendenti? – disse il quarto interlocutore.

Forell annuì sussurrando: – Se siamo ancora in tempo.

3

VICOLO CIECO

Bel Riose smise di passeggiare nervosamente e alzò lo sguardo pieno di speranza verso l’aiutante appena entrato. – Sono arrivate notizie della “Starlet”?

– Nessuna. La pattuglia ha setacciato la zona palmo a palmo ma gli strumenti non hanno registrato niente. Il comandante Yume riferisce che la flotta è pronta per un attacco di rappresaglia.

Il generale scosse la testa.

– No, non per una nave pattuglia. Non ancora. Digli di raddoppiare... un momento! Gli scriverò un messaggio. Codificalo e spediscilo immediatamente.

Mentre parlava scriveva poi consegnò il messaggio all’ufficiale in attesa. – È arrivato il siwenniano?

– Non ancora.

– Bene, fa’ in modo che lo conducano qui non appena arriverà.

L’aiutante salutò rigidamente e uscì.

Riose riprese a passeggiare.

Quando la porta si aprì per la seconda volta fu Ducem Barr ad attraversare la soglia. Lentamente senza scomporsi malgrado l’aiutante lo sollecitasse, entrò nella stanza dal soffitto raffigurante un modello stereoscopico della Galassia.

Bel Riose lo aspettava in piedi in uniforme da combattimento.

– Buon giorno, patrizio! – Il generale spinse una sedia verso Barr e fece cenno all’aiutante di uscire. – Quella porta deve rimanere chiusa finché non l’aprirò io.

Rimase in piedi di fronte al siwenniano a gambe larghe con le mani dietro la schiena dondolandosi sulla punta dei piedi.

Poi improvvisamente si decise a parlare. – Patrizio, siete un fedele suddito dell’Imperatore?

Barr non rispose subito poi aggrottò la fronte e disse: – Non ho ragione di amare il governo imperiale.

– Il che non vuol dire che voi siate un traditore.

– Esattamente. Ma il fatto di non essere un traditore non significa che abbia intenzione di collaborare attivamente.

– Anche questo è vero. Ma il rifiutare un aiuto in un momento come questo – disse Riose parlando con lentezza – sarà considerato tradimento con tutte le conseguenze che ne derivano.

La faccia di Barr si scurì. – Riservate questi giochetti ai vostri subordinati. Mi basterà che diciate chiaramente e semplicemente quello che volete da me.

Riose si sedette e accavallò le gambe. – Barr sei mesi fa abbiamo parlato insieme a lungo.

– Sui maghi?

– Sì. Ricordate cosa avevo intenzione di fare?

Barr annuì. Aveva le braccia appoggiate alle ginocchia.

– Avevate deciso di andarli a trovare nella loro tana e siete sparito per quattro mesi. L’avete trovati?

– Trovati? Eccome – gridò Riose.

Parlava a denti stretti come se si sforzasse di mantenere la calma. – Patrizio, non sono maghi ma diavoli. Sono tanto lontani dalla fede quanto le nebulose da noi. Pensate! Abitano un pianeta non più grande di un fazzoletto, di un’unghia; le loro risorse sono minime, la loro potenza è insignificante e la popolazione è così microscopica da non potersi paragonare ad alcuna delle minuscole prefetture delle Stelle scure. Eppure si tratta di un popolo così orgoglioso ed ambizioso da sognare di diventare i dominatori della Galassia.

«Sono talmente sicuri di sé che non hanno fretta. Si muovono lentamente e con flemma; parlano dei secoli necessari. Annettono interi pianeti senza muovere un dito. Ed il bello è che hanno successo. Non c’è nessuno che li fermi. Hanno creato una comunità di commercianti che s’estende persino al di là della portata delle loro piccolissime navi. I loro mercanti, così si fanno chiamare quegli agenti, penetrano per parsec nella Galassia.

Ducem Barr interruppe quel fiume di parole. – Quanto di quello che mi state dicendo è vero e quanto è frutto d’immaginazione?

Il generale riprese fiato e sembrò calmarsi. – Non mi lascio guidare dai miei desideri. Sono stato di persona su alcuni pianeti ben più vicini a Siwenna che alla Fondazione, dove l’Impero non è più che un mito, mentre i mercanti sono una realtà vivente. Persino noi siamo stati scambiati per mercanti.

– La stessa Fondazione vi ha detto che essi mirano a dominare la Galassia?

– Me l’hanno detto? – Riose era esploso un’altra volta. – Non c’era bisogno che me lo dicessero. I loro funzionari non ne parlavano mai. Parlavano solo d’affari.

Ma io ho parlato con la gente comune. Ho ascoltato ciò che mi diceva il popolo; essi accettano con tranquillità il loro “destino manifesto”. Non c’è niente che lo possa nascondere; sono talmente ottimisti che non vedono la necessità di nasconderlo.

Il siwenniano mostrò una certa soddisfazione. – Avrete notato che le mie supposizioni non erano poi molto lontane dalla realtà.

– Senza dubbio – replicò Riose con sarcasmo – devo riconoscere la vostra capacità analitica. Ma sono anche costretto a rendermi conto della minaccia che un tale popolo rappresenta per Sua Maestà Imperiale.

Barr si strinse con indifferenza nelle spalle e Riose si chinò improvvisamente verso di lui afferrandolo per le braccia e guardandolo negli occhi con aria stranamente gentile.

– Suvvia, patrizio – disse – non fate così. Non ho affatto voglia di comportarmi da barbaro. Per conto mio l’ostilità di Siwenna nei confronti dell’Impero è acqua passata e farò di tutto perché ogni ostacolo alla nostra amicizia sia rimosso. Ma il mio mandato è puramente militare e non mi è possibile interferire negli affari civili. Verrei richiamato e non potrei esservi più di alcuna utilità. Voi mi capite, vero? So che mi capite. Noi due, allora, vediamo di considerare le atrocità di quarant’anni, chiusi con la vendetta contro il suo autore materiale e dimentichiamocene. Ho bisogno del vostro aiuto. Lo ammetto con tutta franchezza.

La voce del giovane sembrava piena di preoccupazione.

Ducem Barr scosse la testa gentilmente, ma con fermezza.

Riose continuò sullo stesso tono. – Non capite, patrizio, e non credo di riuscire a convincervi con le parole. Non posso lottare con voi in questo campo: voi siete uno studioso, io no. Ma posso dirvi questo: qualunque cosa pensiate dell’Impero, dovete ammettere la sua grande funzione. I suoi eserciti hanno commesso atrocità isolate, ma nel complesso sono stati apportatori di pace e civiltà. È stata la flotta imperiale a creare la Pax Imperium che ha dominato su tutta la Galassia per più di duemila anni. Raffrontate i duemila anni di pace sotto il Sole e L’Astronave con i due millenni di anarchia interstellare che li hanno preceduti. Considerate le guerre e le devastazioni di quei tempi e ditemi se non valga la pena di conservare questo Impero.

– Pensate – continuò sempre più eccitato, – a che cosa sono ridotte le province della Periferia, ora che si sono staccate dall’Impero e che hanno raggiunto l’indipendenza, e chiedetevi se per una misera vendetta personale valga la pena di ridurre Siwenna dalla sua posizione di provincia protetta dalla potente flotta imperiale ad un mondo barbaro in una Galassia di barbari, disuniti, indipendenti e con in comune solo la miseria e la degradazione.

– Siamo già a questo punto? – mormorò il siwenniano.

– No – dovette ammettere Riose. – Noi ci salveremo certamente, anche se dovessimo vivere il quadruplo dei nostri anni. Ma è per l’Impero che io combatto, e anche per una tradizione militare che è qualcosa che comprendo solo io e che purtroppo non posso trasmettervi. È una tradizione militare costruita sull’istituto imperiale che io servo.

– State diventando mistico, e mi riesce sempre più difficile comprendere il misticismo di un’altra persona.

– Non importa. Capite almeno il pericolo che rappresenta la Fondazione.

– Sono stato io a farvi notare ciò che chiamate pericolo proprio prima che partiste per la Fondazione.

– Allora vi rendete conto che bisogna fermarli all’inizio o sarà troppo tardi. Voi avete saputo della Fondazione prima di qualsiasi altro. Conoscete sulla Fondazione più cose di qualsiasi altro nell’Impero. Probabilmente conoscete il modo migliore per attaccarla, e forse mi potrete avvertire delle loro eventuali contromisure.

Cerchiamo di essere amici.

Ducem Barr si alzò. – Ciò che posso dirvi non vi sarà di alcuna utilità. È solo la vostra accorata richiesta che mi spinge a parlare.

– Sarò io a giudicare dell’utilità o meno delle vostre risposte.

– No, parlo sul serio. Nemmeno la potenza di tutto l’Impero sarà capace di distruggere questo mondo pigmeo.

– E perché no? – gridò Riose adirato. – No rimanete qui. Vi dirò io quando potrete uscire. Perché no? Se pensate che io abbia sottovalutato i miei nemici, vi sbagliate. Patrizio – disse riluttante, – ho perduto una nave nel mio viaggio di ritorno. Non ho prove che sia caduta nelle mani della Fondazione, ma non è ancora stata localizzata e se si fosse trattato di un puro incidente, la sua carcassa avrebbe dovuto essere ritrovata lungo la via che abbiamo percorsa. Non è una perdita, ma forse questo significa che la Fondazione ha aperto le ostilità. Una tale fretta ed una tale noncuranza per le conseguenze forse significano una forza segreta che io non conosco. Potete aiutarmi a risolvere questo problema: qual è la loro potenza militare?

– Non ne ho la minima idea.

– Ed allora spiegatemi su che cosa basate le vostre affermazioni. Perché dite che tutta la potenza dell’Impero non potrà sconfiggere questo piccolo nemico?

Il siwenniano tornò a sedersi e distolse lo sguardo dal generale.

Parlò lentamente. – Perché io ho fiducia nei princìpi della psicostoria. È una strana scienza. Ha raggiunto il suo culmine con Hari Seldon ed è morta con lui, poiché nessun uomo in seguito è stato capace di risolverne le complicate operazioni. Ma in quel breve periodo si dimostrò lo strumento più potente mai inventato per lo studio dell’umanità. Senza pretendere di prevedere le azioni di un singolo individuo, formulò leggi ben definite, capaci di essere analizzate matematicamente in modo da riuscire a prevedere e guidare le azioni di massa degli umani.

– E con ciò?...

– Hari Seldon ed il suo gruppo di studiosi si servirono della psicostoria per creare le due Fondazioni. Il luogo il tempo e le condizioni ambientali vennero studiati matematicamente in modo tale che essi portassero alla costituzione di un Impero Universale.

La voce di Riose tremò d’indignazione. – Sostenete che questa scienza sia in grado di predire che io attaccherò la Fondazione e che perderei la tale battaglia per la tale ragione? Intendete dire che io non sono altro che uno stupido robot che segue una via predestinata verso la propria distruzione?

– No – replicò il vecchio patrizio. – Ho già detto che la scienza non ha niente a che vedere con le azioni degli individui. È l’insieme delle condizioni storiche che sono state previste.

– Allora noi ci troviamo semplicemente nelle mani della Divinità della Necessità Storica?

– La Necessità Psicostorica – lo corresse Barr sottovoce.

– E se io esercitassi il mio libero arbitrio? Se decidessi di attaccare il prossimo anno o di non attaccare affatto? Quanto efficace sarebbe questa Divinità? Che risorse avrebbe?

Barr si strinse nelle spalle. – Attaccare ora o mai più: con una astronave, o con tutte le forze dell’Impero; con azioni militari o con pressioni economiche, dichiarando guerra od organizzando un’imboscata. Fate ciò che vi pare. Esercitate il vostro libero arbitrio. Verreste comunque sconfitto.

– A causa del vicolo cieco creato da Hari Seldon?

– A causa del vicolo cieco della matematica del comportamento umano che non può essere fermato annullato o deviato.

I due si fronteggiarono senza parlare fino a quando il generale non fece un passo indietro.

– Accetto la sfida – disse con semplicità. – Un vicolo cieco contro una libera volontà.

4

L’IMPERATORE

CLEON II... comunemente detto “Il Grande”. Ultimo dei forti Imperatori del Primo Impero, è importante per il rinascimento artistico e politico che ebbe luogo durante il suo regno.

Il suo nome è passato alla leggenda, soprattutto in connessione con Bel Riose, tanto da essere ricordato dalla gente come “L’Imperatore” Riose.

È giusto tuttavia non permettere che gli eventi del suo ultimo anno di regno adombrino quarant’anni di...

ENCICLOPEDIA GALATTICA

Cleon II era signore dell’universo.

Cleon II soffriva tuttavia di una malattia grave e sconosciuta.

Non era certo il primo caso di simili infermità in un uomo tanto potente.

Ma a Cleon II non interessavano i precedenti.

Meditare sulla lunga lista di casi analoghi non lo faceva soffrire di meno.

Non lo rallegrava nemmeno il pensiero che mentre suo nonno non era altro che un piccolo pirata di un mondo microscopico, lui ora dormiva nel palazzo del Piacere di Ammenetik il Grande, come erede di una serie di dominatori che si perdevano nella notte dei tempi.

Né al momento, lo confortava il pensiero degli sforzi compiuti da suo padre per ripulire il reame di ogni focolaio di ribellione instaurando una pace ed un’unità che non avevano avuto l’uguale fin dal regno di Stanel VI e che, come conseguenza di tutto ciò, i venticinque anni del suo regno non erano mai stati offuscati da una nuvola di rivolta.

L’Imperatore della Galassia e Signore di Tutto si lamentò debolmente mentre si appoggiava al piano di forza rinvigoritore che gli faceva da cuscino.

La sua testa era sostenuta senza che niente lo toccasse e, a quel piacevole formicolio, Cleon riuscì a rilassarsi per un momento.

Poi si sollevò con difficoltà e guardò corrucciato le mura della grande sala.

Era una stanza dove non era piacevole restare soli.

Era troppo grande.

Tutte le stanze erano troppo grandi.

Ma era meglio essere soli durante queste crisi strazianti piuttosto che dover sopportare l’adulazione dei cortigiani, la loro cortesia interessata, la loro stupida e condiscendente vanità.

Meglio rimanere soli piuttosto che osservare quelle stupide maschere dietro le quali si potevano scorgere le speculazioni tortuose sulle possibilità di una sua eventuale morte e le fortune della successione.

I pensieri lo tormentavano.

C’erano i suoi tre figli: tre giovani forti, promettenti e virtuosi.

Dov’erano scomparsi in quei giorni? Aspettavano, senza dubbio.

Controllando l’uno le mosse dell’altro e tutt’e tre intenti a controllare lui.

Si voltò gemendo.

Ed ora Brodrig chiedeva un’udienza.

Brodrig era fedele e di umili origini, fedele perché odiato da tutti.

Quest’odio verso Brodrig era l’unica cosa su cui concordassero la decina di fazioni che dividevano la corte.

Brodrig, il fedele favorito, almeno finché non avesse avuto l’astronave più veloce della Galassia per farne uso il giorno della morte dell’Imperatore, altrimenti in meno di ventiquattr’ore si sarebbe trovato nella camera atomizzatrice.

Cleon II toccò un pulsante sul bracciolo del suo grande divano e la porta colossale in fondo alla stanza si dissolse nel nulla.

Brodrig avanzò sul tappeto cremisi, poi si chinò per baciare la mano scarna dell’Imperatore.

– La vostra salute, sire? – domandò il Segretario Privato con accento ansioso.

– Sono ancora vivo – rispose l’Imperatore seccato. – Sempre che si chiami vita la mia quando un qualsiasi disgraziato che sappia leggere un libro di medicina mi può usare come cavia per i suoi esperimenti. Se esiste un qualche rimedio chimico, fisico, atomico che non sia stato ancora provato, non dubitare che qualche ciarlatano proveniente da qualche paese oscuro del mio regno si precipiterà a sperimentarlo su di me. Ed ancora una volta un nuovo libro, o la copia di uno vecchio, verrà usato come testo per la diagnosi.

«Per la memoria di mio padre – sbottò adirato, – sembra che non esista un essere umano capace di visitarmi guardandomi con i suoi occhi. Non ce n’è uno che non mi conti le pulsazioni senza prima consultare un libro di qualche antico.

Sono stufo che mi dicano che il mio male è sconosciuto. Idioti! Se ci ammaliamo di una malattia non diagnosticata dai libri antichi diventiamo tutti incurabili. Gli antichi dovrebbero vivere adesso ed io al tempo degli antichi.

L’Imperatore chiuse il discorso lanciando un’imprecazione mentre Brodrig lo guardava dubbioso.

Cleon II riprese a parlare più calmo.

– Quanti sono quelli che aspettano fuori? – E fece un gesto con la testa indicando la porta.

Brodrig rispose pazientemente. – Sempre il solito numero.

– Bene falli aspettare. Sono occupato in affari di Stato. Fallo annunciare dal Capitano della Guardia. No, un momento, lascia stare gli affari di Stato. Fai semplicemente annunciare che non terrò udienze, e fai in modo che il Capitano della Guardia abbia la faccia contrita. Gli stupidi si tradiranno da soli. – E l’Imperatore sorrise malignamente.

– Corre voce, sire – disse Brodrig – che si tratti del vostro cuore.

L’Imperatore sorrise nuovamente. – Farà più male a loro che a me il cuore se si muoveranno prematuramente. Ma tu cosa vuoi? Sbrighiamoci.

Brodrig si alzò ad un gesto dell’Imperatore e disse: – Si tratta del generale Bel Riose, il governatore militare di Siwenna.

– Riose? – Cleon corrugò la fronte. – Non lo ricordo. Un momento, sarebbe quel tale che ha mandato quello strano messaggio alcuni mesi fa? Sì, ora ricordo.

Ha chiesto il permesso di intraprendere una campagna militare di conquista per la gloria dell’Imperatore.

– Esattamente, sire.

L’Imperatore sorrise. – Pensavi che mi fossero rimasti ancora generali come questo, Brodrig? Non sembra affatto un uomo dei nostri tempi. E che cosa abbiamo risposto? Immagino che tu abbia provveduto.

– Certamente, sire. Gli è stato chiesto di spedire informazioni più precise e di non organizzare alcuna spedizione senza esplicito ordine dell’Impero.

– Sì, mi pare abbastanza ragionevole. Ma chi è questo Riose? È mai stato a corte?

Brodrig annuì e storse leggermente la bocca. – Cominciò la sua carriera come cadetto delle guardie dieci anni fa. Prese parte alla spedizione sulla costellazione di Lemul.

– Costellazione di Lemul? Scusami, ma la mia memoria non è più quella di una volta. Mi pare che in quell’occasione un soldato abbia salvato due astronavi che stavano per entrare in collisione riuscendo... ma... non ricordo – agitò la mano con impazienza. – Non ricordo i dettagli ma mi pare che fosse un qualcosa di eroico.

– Riose era quel soldato. Per quell’azione ricevette una promozione – disse Brodrig. – Divenne capitano e gli fu affidato il comando di un’astronave.

– Ed ora è governatore militare di una provincia ai confini ed è ancora giovane.

Si tratta dunque di un uomo capace, Brodrig!

– Pericoloso, sire. Vive nel passato, è un sognatore. Crede nei bei tempi antichi, o meglio nel mito. Uomini del genere sono di per sé innocui, ma la loro mancanza di senso pratico li espone al pericolo di essere manovrati da gente priva di scrupoli.

I suoi uomini, comunque, sono completamente sotto la sua influenza. Egli è uno dei generali più popolari dell’Impero.

– Davvero? – disse Cleon divertito. – Suvvia, Brodrig, non voglio essere servito soltanto da incapaci. E per di più anche questi non sono certo un esempio di fedeltà.

– Un traditore incapace non può nuocere. Invece bisogna stare attenti agli uomini capaci.

– Ed a te per primo, Brodrig? – disse Cleon II ridendo ma subito ebbe un’altra fitta e storse la bocca per il dolore. – Bene per ora dimentichiamo la discussione.

Dimmi piuttosto, che notizie hai di questo giovane conquistatore? Spero che tu non mi abbia disturbato solo per ricordarmelo.

– Abbiamo ricevuto un altro messaggio del generale Riose, sire.

– E che cosa dice?

– A quanto pare ha spiato i territori di quei barbari ed auspica una spedizione in massa. Le sue argomentazioni sono lunghe e piuttosto tediose. Non vale la pena di annoiare Vostra Maestà Imperiale specialmente ora che non vi sentite bene. Tanto più che l’argomento sarà discusso a lungo al Consiglio dei Lord – aggiunse e dette un’occhiata di traverso all’Imperatore.

Cleon II corrugò la fronte. – I Lord? È una questione che interessa il Consiglio?

Questo darà luogo alla richiesta di una maggiore applicazione della Carta. Va sempre a finire così.

– Non lo si può evitare, sire. Sarebbe stato meglio che il vostro augusto padre avesse piegato le ultime rivolte senza dover concedere la Carta. Ma poiché esiste, dobbiamo sopportarla.

– Hai ragione. Vorrà dire che convocheremo il Consiglio dei Lord. Ma che bisogno c’è di tanta solennità in fin dei conti? Dopotutto non è un avvenimento di grande importanza. Una spedizione militare ai confini, con l’impiego di un numero limitato di truppe, non è poi un grande affare di Stato.

Brodrig sorrise. – Effettivamente si tratta di un’avventura da idiota romantico; ma anche un idiota romantico può diventare un’arma pericolosa nelle mani di un ribelle nient’affatto romantico. Sire, quell’uomo era popolare qui ed è popolare ora laggiù. È giovane, se annetterà all’Impero un pianeta o due, di una qualche provincia barbara, sarà considerato un conquistatore. E un conquistatore giovane, che abbia dato prova della sua abilità nel sollevare l’entusiasmo dei suoi soldati, dei minatori, dei mercanti e del popolino in genere è sempre pericoloso. E se gli manca la volontà di fare quello che il vostro augusto padre fece all’usurpatore Ricker, ci penserà uno dei vostri leali Lord a servirsi di lui come arma contro di voi.

Cleon II agitò un braccio infastidito e gemette per il dolore.

Lentamente si rilassò, ma il sorriso era stentato e la voce molto debole. – Tu sei un suddito capace, Brodrig. Sospetti sempre più del necessario, a me basta seguire soltanto la metà dei tuoi consigli di prudenza per non correre pericoli. Esporrai il problema ai Lord. Vedremo quello che risponderanno e ci comporteremo di conseguenza. Immagino che il giovanotto, per ora, non abbia compiuto alcun atto ostile.

– Nessuno per ora. Ma ha già chiesto rinforzi.

– Rinforzi! – L’Imperatore sembrò preoccupato. – Che forze possiede?

– Dieci astronavi da battaglia, sire, con tutto il necessario seguito di navi ausiliarie. Due astronavi sono equipaggiate ancora con i motori della vecchia Grande Flotta ed un’altra è armata con una batteria completa, sempre di allora. Le altre astronavi sono relativamente nuove, fabbricate negli ultimi cinquant’anni, ma ancora abbastanza efficienti.

– Dieci navi mi sembrano sufficienti per una spedizione. Con meno di dieci navi mio padre vinse le sue prime battaglie contro l’usurpatore. Chi sono questi barbari contro i quali sta combattendo?

Il Segretario Privato alzò le spalle. – Il generale Riose li chiama “La Fondazione”.

– La Fondazione? E che cosa sarebbe?

– Non esistono documenti in proposito, sire. Ho controllato accuratamente gli archivi. L’area della Galassia indicata è compresa nella vecchia provincia di Anacreon, che due secoli fa si è data al brigantaggio, alla barbarie e all’anarchia. In quella zona, non esiste un pianeta conosciuto come Fondazione. C’è un vago riferimento ad un gruppo di scienziati mandati in quella provincia poco prima che il pianeta si staccasse dall’Impero. A quanto pare, dovevano preparare un’enciclopedia. – Sorrise. – Se non sbaglio si doveva chiamare Fondazione Enciclopedica.

– Bene – disse l’Imperatore, – sembra che ci sia una vaga connessione.

– Molto vaga, sire. Dopo il definitivo distacco di quella regione, non abbiamo più sentito parlare di quel gruppo di scienziati. Se esistono ancora i loro discendenti ed hanno conservato la denominazione, sicuramente saranno piombati nella barbarie.

– E così il generale chiede rinforzi. – L’Imperatore fissò il segretario. – La faccenda mi pare strana: non solo propone di attaccare quei selvaggi con dieci astronavi da guerra ma chiede rinforzi ancora prima di aver dato inizio all’attacco.

Eppure ora mi pare di ricordare questo Riose, era un giovane capace e di famiglia leale. Brodrig, esistono complicazioni che non riesco ad afferrare. Forse la faccenda è più importante di quanto non si creda.

Tamburellò con le dita sulla coperta luminescente che copriva le sue gambe irrigidite. – Devo mandare un uomo laggiù, fidato, intelligente e con gli occhi aperti. Brodrig...

Il segretario chinò la testa in atto di sottomissione. – E le astronavi, sire?

– Non ancora! – L’Imperatore cambiò posizione lentamente, gemendo ad ogni fitta. – Niente da fare finché non ne sapremo di più. Raduna il Consiglio dei Lord per questa settimana. Sarà una buona occasione per ottenere nuove appropriazioni.

E dovrò ottenerle, altrimenti ci sarà molta gente che non vivrà a lungo.

Appoggiò la testa dolorante sul cuscino formato da un campo di forza.

– Vai, e fai passare il dottore: quello è un ciarlatano peggiore degli altri.

5

LA GUERRA COMINCIA

Partendo da Siwenna ed allargandosi a raggiera, le armate dell’Impero si inoltravano cautamente negli spazi sconosciuti della Periferia.

Gigantesche navi superavano le grandi distanze che le dividevano dalle stelle solitarie ai margini della Galassia, spingendosi fino ai confini dell’area d’influenza della Fondazione.

Mondi isolati e barbari da ormai due secoli provarono ancora un volta la potenza imperiale.

Vennero strette alleanze all’ombra delle armi puntate sulle capitali.

Vennero lasciate guarnigioni di soldati in uniformi imperiali con le insegne del Sole e dell’Astronave sulle spalline.

I vecchi ricordarono i racconti ormai dimenticati dei loro nonni quando l’universo era grande, ricco e pacifico e governato all’insegna del Sole e dell’Astronave.

Le astronavi s’addentravano sempre più, avvicinandosi alla Fondazione.

Ogni mondo occupato costituiva un nodo della rete colossale.

I rapporti annuivano regolari al quartier generale che Bel Riose aveva creato su un pianeta roccioso, brullo e senza sole.

Ora Riose era rilassato e sorrideva compiaciuto a Ducem Barr.

– Ebbene, che cosa ne pensate, patrizio?

– Io? Che cosa possono valere le mie opinioni? Non sono un uomo d’armi. – E guardò con disgusto il disordine della stanza scavata nella roccia di una caverna illuminata, riscaldata ed aerata artificialmente, che rappresentava l’unica scintilla viva in quel pianeta morto.

– Per l’aiuto che vi posso dare – mormorò, – o che ho intenzione di darvi, tanto vale che mi rimandiate su Siwenna.

– No. Non ancora. – Il generale si accomodò sulla sedia d’angolo, accanto ad un’enorme sfera illuminata che rappresentava la vecchia prefettura di Anacreon ed i settori limitrofi. – Più tardi, quando tutto questo sarà finito, tornerete ai vostri libri, e avrete una ricompensa. Provvederò che tutti i possedimenti della vostra famiglia vengano restituiti a voi, ai vostri figli ed ai figli dei vostri figli.

– Vi ringrazio – rispose Barr con una punta d’ironia, – ma non ho molta fiducia che tutto ciò accadrà.

Riose sorrise. – Non cominciate con le vostre profezie di malaugurio. Questa mappa parla più chiaro delle vostre teorie. – Ne accarezzò la superficie invisibile. – Siete capace di leggere una mappa a proiezione radiale? Sì? Bene, osservate voi stesso. Le stelle colorate in oro rappresentano i territori imperiali. Le stelle rosse sono quelle dominate dalla Fondazione e quelle rosa sono probabilmente sotto la sua influenza economica. Ora guardate...

Riose girò un interruttore, e lentamente un’area coperta di puntini bianchi assunse una colorazione azzurra. Ricoprivano l’area rosa e rossa come una tazza rovesciata.

– Le stelle blu sono quelle occupate dalle nostre forze – disse Riose soddisfatto,

– e stiamo ancora avanzando. Non abbiamo incontrato opposizione, i barbari sono rimasti inerti. E c’è di più, non abbiamo incontrato resistenza neppure da parte della Fondazione: dormono in pace e tranquilli.

– Sta disperdendo le vostre forze, mi pare – osservò Barr.

– Vedete – disse Riose, – malgrado le apparenze, non è così. I punti chiave che ho fortificato e dove ho posto le guarnigioni sono relativamente pochi, ma sono stati scelti accuratamente. Ne risulta una relativa dispersione di forze, mentre ottengo nello stesso tempo un grande risultato strategico. Esistono molti vantaggi nel mio piano, molti di più di quanti appaiano a prima vista ad un esperto di tattiche militari. Per esempio, posso attaccare da tutti i punti entro una sfera chiusa, e quando avrò terminato il mio accerchiamento sarà impossibile che la Fondazione ci colpisca ai fianchi o alle spalle. Rispetto a loro, io non avrò né ali né retro.

Questa tattica d’accerchiamento preventivo è stata già sperimentata in passato, durante le campagne di Loris VI, per esempio, qualcosa come duemila anni fa, ma sempre in modo imperfetto, gli avversari infatti hanno sempre opposto resistenza cercando di ostacolare la manovra. Ma ora la situazione è differente..

– Una manovra da manuale? – La voce di Ducem Barr suonava indifferente.

Riose era impaziente. – Voi siete ancora convinto che le mie forze saranno sconfitte?

– È inevitabile.

– Vi rendete conto che non esiste un solo caso in tutta la storia militare dove le forze che avessero completato un accerchiamento siano state sconfitte, a meno che non esistesse una flotta sufficientemente forte all’esterno capace di rompere l’assedio?

– Se lo dite voi...

– Continuate a credere nelle vostre teorie?

– Sì.

Riose scrollò le spalle. – Credete quello che vi pare.

Per alcuni minuti rimasero in silenzio, poi Barr chiese con calma: – Avete ricevuto una risposta dall’Imperatore?

Riose prese una sigaretta dal contenitore appeso al muro dietro le sue spalle, strinse il filtro tra le labbra e diede una boccata. – State parlando della mia richiesta di rinforzi? La risposta è arrivata.

– Niente navi?

– Neanche una. Me l’aspettavo. Francamente, patrizio, non avrei mai dovuto lasciarmi spaventare dalle vostre teorie e richiedere rinforzi. Mi sono messo sotto cattiva luce.

– Davvero?

– Certamente. Le astronavi sono un premio. Le guerre civili degli ultimi due secoli hanno dimezzato la Grande Flotta e le astronavi rimaste sono in cattive condizioni. Sapete bene che le astronavi costruite ai nostri giorni non valgono un gran che. Non credo che esista un uomo in tutta la Galassia capace di costruire un motore iperatomico che funzioni.

– Questo lo sapevo – rispose il siwenniano. – Non immaginavo però che ve ne rendeste conto anche voi. Sua Maestà non ha astronavi da guidarvi. La psicostoria probabilmente l’aveva predetto. Io direi che Hari Seldon sia in vantaggio dopo il primo round.

Riose ribatté seccato: – Possiedo navi a sufficienza. Il vostro Seldon non è affatto in vantaggio. Se la situazione dovesse diventare seria, allora mi arriverebbero le navi. Finora, l’Imperatore non è al corrente di tutta la storia.

– Davvero? Non gliel’avete riferita?

– Ovviamente no. – Riose lo guardò ironico. – La vostra teoria, con tutto il rispetto che vi devo, non è del tutto attendibile. Se nel corso degli eventi riesco a raccogliere prove più concrete, allora, e solo in quel caso, farò notare il pericolo mortale.

«Ed inoltre – continuò Riose – una storia del genere, non convalidata da fatti, avrebbe l’aspetto di lesa maestà, e sono convinto che la cosa piacerebbe poco al nostro Imperatore.

Il vecchio patrizio sorrise: – Intendete dire che, mettendolo in guardia dai pericoli che il suo augusto trono corre a causa di elementi sovversivi di un mondo barbaro ai confini dell’universo, il vostro avvertimento non sarebbe creduto né apprezzato? Allora non vi aspettate niente dall’Imperatore.

– A meno che non consideriate già qualcosa un inviato speciale.

– E perché un inviato speciale?

– È una vecchia usanza. Un diretto rappresentante della corona è presente ad ogni azione militare condotta sotto gli auspici del governo.

– D’avvero? Perché?

– È un modo per conservare il simbolo del personale intervento imperiale in tutti i conflitti. In seguito ha avuto anche la funzione secondaria di assicurarsi sulla fedeltà dei generali. In quel senso, la presenza dell’inviato non è sempre stata efficace.

– Non sarà certo piacevole per voi, generale. Intendo dire, dover avere a che fare con un’autorità esterna.

– Senza dubbio – disse Riose arrossendo leggermente. – Ma non la si può evitare...

Il ricevitore del generale cominciò a emettere segnali intermittenti poi, con uno scatto improvviso sulla scrivania apparve il cilindro delle comunicazioni. – Bene!

Ci siamo!

Ducem Barr lo guardò perplesso.

Riose disse: – Sapete che abbiamo catturato uno di questi mercanti, vivo e con la nave intatta.

– Sì, ne ho sentito parlare.

– Bene, l’hanno appena portato qui e fra un minuto lo farò entrare. Rimanete seduto al vostro posto. Voglio che rimaniate qui durante l’interrogatorio. Per questa ragione vi ho mandato a chiamare quest’oggi. Probabilmente riuscirete a capire meglio mentre io potrei lasciarmi sfuggire alcune informazioni importanti.

Il segnale della porta suonò e con un tocco del piede il generale fece spalancare la porta.

L’uomo in piedi sulla soglia era alto e barbuto, indossava una giacca corta di plastica soffice, con un cappuccio sulle spalle.

Aveva le mani libere, e non sembrava affatto impressionato dagli uomini armati che lo circondavano.

Entrò nella stanza e si guardò intorno con curiosità.

Salutò il generale con un lieve inchino ed un gesto della mano.

– Come vi chiamate? – domandò Riose secco.

– Lathan Devers! – Il mercante infilò i pollici nella larga cintura. – Siete voi il capo qui?

– Siete un mercante della Fondazione?

– Esattamente. Ascoltate, se voi siete il capo, è meglio che diciate ai vostri uomini di non toccare la mia merce.

Il generale alzò la testa e guardò il prigioniero con occhi freddi.

– Rispondete alle mie domande. E non date ordini.

– D’accordo. Io non ho niente in contrario. Ma uno dei vostri uomini s’è già fatto un buco di trenta centimetri nel petto, perché metteva le mani dove non doveva.

Riose si girò verso il tenente Vrank. – Sta dicendo la verità quest’uomo? Nel vostro rapporto mi avete comunicato che non c’erano state perdite.

– È vero signore – rispose l’ufficiale rigido sull’attenti e imbarazzato – allora non era successo nulla. È stato più tardi quando abbiamo avuto ordine di perquisire la nave ci avevano detto che c’era una donna a bordo. Invece, signore, abbiamo trovato una quantità di strumenti di natura sconosciuta. Il mercante dice che sono la sua mercanzia. Uno di questi strumenti ha fatto partire una scarica ed il soldato che lo teneva in mano è morto.

Il generale si rivolse nuovamente al mercante. – La vostra astronave trasporta esplosivi atomici?

– No, per la Galassia. E per quale ragione? Quel matto ha preso un punteruolo atomico dal lato sbagliato e l’ha regolato al massimo. Non si può fare una cosa del genere: è come puntarsi una pistola neutronica al cervello. L’avrei fermato se non avessi avuto cinque uomini che mi trattenevano.

Riose fece un gesto alla guardia che stava aspettando. – Tu puoi andare.

L’astronave catturata deve rimanere chiusa: che nessuno ci entri. Sedetevi, Devers.

Il mercante si accomodò.

Con indifferenza sostenne l’esame accurato del generale e lo sguardo curioso del siwenniano.

Riose disse: – Siete un uomo pieno di buon senso, Devers.

– Grazie. Siete impressionato dalla mia faccia o volete qualcosa da me? Ditemi pure quello che volete. Vedete, io sono un uomo d’affari.

– È pressappoco la medesima cosa. Vi siete arreso quando avreste potuto decidere di farci sprecare munizioni e di saltare in aria con la vostra nave. Se continuate a comportarvi così, riceverete da parte mia un buon trattamento.

– Tutto ciò che chiedo alla vita è che questa sia benevola con me.

– Bene ed io non chiedo altro che un po’, di collaborazione. – Riose sorrise, poi rivolgendosi a Ducem Barr disse a bassa voce: – Spero che la parola “chiedere” vada intesa come la intendo io. Avete mai sentito un gergo tanto barbaro?

– D’accordo. Per conto mio ci sto – disse Devers in tono amichevole. – Ma di che tipo di collaborazione intendete parlare, capo? Se devo dire la verità non so in che posizione io mi trovi. – Si guardò intorno. – Dove ci troviamo ora, che cosa sta succedendo?

– Scusatemi, ho dimenticato di presentarmi. – Riose sembrava di buon umore. – Il signore accanto a me è Ducem Barr, patrizio dell’Impero. Io mi chiamo Bel Riose, suddito dell’Impero e generale di Terza classe nelle forze armate di sua Maestà Imperiale.

Il mercante spalancò la bocca. – L’Impero? Intendete dire il vecchio Impero, quello che si studia a scuola? È strano. Ho sempre creduto che non esistesse più ormai da secoli.

– Guardatevi intorno e ve ne accorgerete – disse Riose sorridendo.

– Avrei dovuto immaginarlo – disse Lathan Devers osservando il soffitto. – Era una bella squadra quella che ha catturato la mia carcassa. Nessuno dei regni della Periferia avrebbe potuto mettere insieme navi come quelle. – Poi si fece improvvisamente serio. – Ma a che gioco giochiamo, capo? O devo chiamarvi generale?

– Stiamo giocando alla guerra.

– L’Impero contro la Fondazione, è cosi?

– Esattamente.

– E perché?

– Penso che voi sappiate il perché.

Il mercante lo guardò fisso, poi scrollò la testa.

Riose lasciò che l’altro ci pensasse un poco, poi disse: – Sono sicuro che lo sapete.

Lathan Devers mormorò: – Fa caldo qui – e si alzò per togliersi la giacca.

Poi si sedette di nuovo ed allungò le gambe.

– Sapete che vi dico? – replicò tranquillo. – Immagino che voi stiate pensando che io dovrei saltarvi addosso e stendervi. Ci riuscirei comodamente, sempre che scegliessi il momento giusto, e questo signore che siede qui accanto a me non credo che farebbe in tempo a fermarmi.

– Ma voi non lo farete – disse Riose fiducioso.

– Infatti non lo farò – ammise Devers. – Prima di tutto uccidendo voi la guerra non finirà. Immagino che ci siano altri generali.

– Avete fatto bene i vostri conti.

– A parte il fatto che una volta che vi abbia ucciso mi prenderebbero e finirei stecchito in meno di due secondi, a meno che non decidano di uccidermi lentamente. In ogni caso verrei ucciso, e non mi piace mettere a repentaglio la mia vita quando faccio dei piani. Non ne vale la pena.

– Ho già osservato che siete un uomo pieno di buon senso.

– Ma c’è una cosa che vorrei sapere. Perché dite che dovrei sapere perché voi ci state facendo la guerra? Io non lo so, e non mi piacciono gli indovinelli.

– Davvero? Avete mai sentito parlare di Hari Seldon?

– No. Vi ho già detto che non mi piacciono gli indovinelli.

Riose si girò a guardare Ducem Barr.

Questi sorrise per un attimo poi riprese la sua espressione sognante.

Riose disse in tono serio: – Non cercate di fare il furbo, Devers. Esiste una leggenda, od una diceria o forse si tratta di storia, non mi interessa che cosa sia, circa la Fondazione. Secondo quel che si dice, un giorno voi fonderete un Secondo Impero. Conosco tutte le teorie di Hari Seldon. Le sue fandonie psicostoriche affermano che un giorno voi attaccherete l’Impero.

– Capisco – annuì Devers pensoso. – E chi vi ha raccontato queste storie?

– Che importanza può avere – replicò Riose seccamente. – Voi non siete qui per fare domande. Voglio sapere che cosa ne sapete della favola di Seldon.

– Ma se si tratta di una favola...

– Non giochiamo sulle parole, Devers.

– Non sto giocando. Sarò sincero. Voi conoscete bene tutta la faccenda. Sono sciocchezze, parti di fantasia. Ogni pianeta ha la sua leggenda, non lo si può evitare. Sì, e vero, ho sentito parlare di Hari Seldon e del Secondo Impero, ma è roba che si racconta ai bambini per mandarli a letto. I ragazzi si chiudono in camera e con il loro proiettore tascabile rimangono ore ad osservare le avventure di Hari Seldon. Non è una cosa da adulti. Non per persone intelligenti, perlomeno. – Il mercante scosse la testa.

Il generale aveva l’aria severa. – Le cose starebbero così, allora? Giovanotto, state perdendo tempo raccontandomi balle. Sono stato sul pianeta Terminus, conosco bene la Fondazione: ho osservato tutto con i miei occhi.

– E chiedete informazioni a me? A me, che andrò sul pianeta per due mesi ogni dieci anni. Non potrò certo darvi informazioni precise, io. Ma se vi fa piacere, continuate pure con la vostra guerra, se desiderate dar retta alle favole.

Barr intervenne per la prima volta. – Siete così sicuro che la Fondazione vincerà?

Il mercante si girò.

Arrossì leggermente e la vecchia cicatrice che gli attraversava una tempia sembrò diventar più bianca. – Ah, l’amico silenzioso! Che cosa vi ha fatto credere che io pensi una cosa del genere?

Riose annuì leggermente a Barr, e il siwenniano continuò a bassa voce: – Perché il pensiero che il vostro mondo dovesse perdere la guerra vi farebbe soffrire. Io so che cosa significa la sconfitta, il mio mondo un tempo dovette soccombere ed ancora adesso ne paga le conseguenze.

Lathan Devers si tormentò la barba, guardò prima il generale poi il vecchio, quindi sorrise. – Parlate sempre in questo modo, capo? Ascoltate – disse facendosi serio. – Che cos’è una sconfitta? Io ho visto guerre ed ho visto sconfitte. Che succede se il vincitore invade il mondo? Chi è che ci rimette? Io? La gente come me? – Scosse la testa. – Ricordatevi bene di questo. – Il mercante era eccitato e parlava ad alta voce. – In media, su ogni pianeta ci sono cinque o sei pezzi grossi che mandano avanti la baracca. Quando questi vengono eliminati, io non perdo certamente il sonno per loro. Avete capito? Ed il popolo? E la gente comune?

Certo, qualcuno ci rimette la pelle e gli altri pagheranno per alcuni mesi un po’ più tasse. Ma in breve tempo la situazione si normalizzerà. E poi tutto ritornerà come prima solo con cinque o sei pezzi grossi diversi.

Ducem Barr strinse i denti ed i muscoli della mano destra si contrassero, ma non disse nulla.

Lathan Devers lo stava osservando. I suoi occhi erano attenti.

– Ascoltate. Io passo la vita nello spazio a vendere cianfrusaglie di poco conto ed a portare i miei guadagni alla Compagnia. Laggiù c’è un grassone – e puntò un dito dietro le sue spalle, – che se ne sta seduto a casa e raccoglie i guadagni di un anno di lavoro di un mucchio di gente come me. Immaginiamo che a un certo punto siate voi a comandare sulla Fondazione. Avrete sempre bisogno di noi più che non la stessa compagnia, perché noi conosciamo il nostro mestiere e sappiamo dove vender la merce e come portarvi i soldi. Può darsi che sotto l’Impero guadagneremo di più. Io sono un uomo d’affari: se la cosa rende, io non ho nulla in contrario.

E li guardò con un sorriso di sfida sulle labbra.

Per alcuni minuti nessuno parlò, poi un messaggio arrivò con uno scatto secco sulla scrivania del generale.

Riose lo aprì, lo lesse rapidamente, poi girò l’interruttore di un citofono.

– Preparate un piano indicando la posizione di ogni nave in azione. Attendete ulteriori ordini in assetto di guerra.

Si infilò il mantello e a bassa voce rivolto a Barr disse: – Vi lascio quest’uomo.

Mi aspetto dei risultati. Siamo in guerra e ricordatevi che, se fallite so essere crudele.

Lathan Devers osservò il generale che si allontanava poi disse: – Qualcuno lo deve aver morso in un punto delicato. Che cosa sta succedendo?

– Si tratterà di una battaglia, immagino – disse Barr. – Le forze della Fondazione entrano in campo per la prima volta. È meglio che mi seguiate.

Nella stanza erano entrati alcuni soldati armati. L’espressione delle loro facce era dura e decisa. Devers seguì il vecchio siwenniano fuori della porta.

Furono condotti in una stanza piccola e spoglia.

V’erano due letti, uno schermo, una doccia ed i servizi igienici.

I soldati uscirono e la spessa porta metallica si chiuse dietro le loro spalle.

– Ehm – borbottò Devers guardandosi intorno poco soddisfatto. – Sembra una sistemazione permanente.

– Lo è – rispose Barr secco.

Il vecchio siwenniano gli voltò le spalle.

– E voi, capo, da che parte state? – domandò il mercante irritato.

– Da nessuna. Ho l’incarico di sorvegliarvi.

Il mercante si alzò e s’avvicinò.

Si piazzò a gambe larghe di fronte al patrizio. – Sì? Ma siete chiuso in cella con me e quando i soldati ci accompagnavano le armi erano puntate anche su di voi.

Perché vi siete scaldato tanto quando parlavamo della guerra?

Aspettò invano una risposta. – D’accordo. Ma rispondete a questa domanda.

Avete detto che un tempo il vostro paese è stato invaso. E da chi? Da gente di un’altra nebulosa?

Barr alzò gli occhi. – Dall’Impero.

– E che cosa ci fate qui?

Barr non rispose e fece un gesto eloquente.

Il mercante sporse le labbra ed annuì lentamente.

Si tolse un braccialetto che portava al polso destro e glielo porse. – Che ne dite di questo? – Sul braccio sinistro il mercante ne portava uno uguale.

Il siwenniano prese il bracciale. Annuì al gesto del mercante e se lo infilò.

Provò un leggero formicolio al braccio, ma dopo un po’, non sentì più nulla.

Devers cambiò tonalità di voce. – Bravo, dottore vedo che avete capito. Ora parlate pure. Se questa stanza è sotto controllo non riusciranno ad afferrare niente.

È un Deviatore di Campo brevetto Mallow: costa venticinque crediti, ma a voi lo regalo. Parlate senza muovere le labbra. Parlate lentamente.

Ducem Barr era preoccupato.

Il mercante lo fissava negli occhi.

– Che cosa volete? – disse Barr.

Le parole si formarono senza che le labbra si muovessero.

– Ve l’ho già detto. Voi prima avete parlato come uno che noi definiamo patriota. Il vostro pianeta è stato messo sottosopra dall’Impero eppure voi siete dalla parte del nostro caro generale dai capelli biondi. La cosa non quadra, non vi pare?

– Io ho fatto la mia parte – disse Barr. – Un viceré dell’Impero è morto per mano mia.

– E quando è successo?

– Quarant’anni fa.

– Quarant’anni? – Il mercante guardò il siwenniano spalancando gli occhi. – È un bel po’, di anni per vivere di memorie. Ed il nostro generale lo sa?

Barr annuì.

Devers si fece cupo. – Voi vorreste che l’Impero vincesse?

Il vecchio siwenniano parlò trattenendo a stento l’ira. – Possa l’Impero esser ridotto in polvere. Tutti i siwenniani vivono di questa speranza. Io avevo dei fratelli un tempo, una sorella ed un padre. Ma ora ho dei figli, dei nipoti e il generale sa dove trovarli.

Devers ascoltava attentamente.

Barr continuò con un bisbiglio: – Ma questo non mi fermerebbe se ne valesse la pena. Saprebbero come morire.

Il mercante parlò gentilmente. – Avete ucciso un viceré. Bene... comincio a capire alcune cose. Un tempo avevamo un sindaco che si chiamava Mallow. Visitò Siwenna. Si chiama così il vostro pianeta, vero? Incontrò un uomo che si chiamava Barr.

Ducem Barr lo guardò con sospetto. – Come fate a sapere queste cose?

– Tutti i mercanti della Fondazione lo sanno. Ma è meglio esser cauti, voi potreste essere un furbo che mi è stato messo accanto per farmi parlare. Vi puntano le armi addosso, mi dite d’odiare l’Impero e di desiderare di vederlo distrutto. Io ci casco e vi racconto tutto. Il generale sarebbe proprio contento. Ma non sono così ingenuo. Però mi piacerebbe che voi mi provaste di essere il figlio di Onum Barr di Siwenna, l’ultimo ed il più giovane, l’unico sopravvissuto al Massacro.

La mano di Ducem Barr tremò mentre afferrava una scatola metallica posata su una mensoletta accanto al letto.

Prese un oggetto da dentro la scatola e lo consegnò al mercante.

– Osservate questo – disse.

Devers spalancò la bocca.

Afferrò la fibbia centrale della catena, chiuse gli occhi e lanciò un’esclamazione soffocata. – Questo è il monogramma di Mallow, ed è un disegno di cinquant’anni fa.

Alzò la testa e sorrise.

– Qua la mano, dottore. Uno scudo atomico individuale, mi basta come prova. – E tese verso il vecchio la mano robusta.

6

IL FAVORITO

Le minuscole astronavi apparvero nello spazio e si lanciarono contro il grosso dell’Armate.

Passarono tra le enormi navi senza sparare un colpo, senza lanciare un raggio, e scomparvero, mentre i vascelli imperiali si disponevano all’attacco.

Si videro vampate squarciare il buio dello spazio mentre due minuscole astronavi saltavano in aria, disintegrate, ma le altre sparirono.

Le gigantesche navi si lanciarono all’inseguimento senza risultato, quindi tornarono alla base.

Mondo dopo mondo la flotta Imperiale continuò a costruire la rete che avrebbe circondato del tutto le forze della Fondazione.

Brodrig indossava un’uniforme impeccabile dal taglio perfetto; passeggiava lentamente e pensieroso nei giardini dell’oscuro pianeta Wanda, trasformato ora nel quartier generale della flotta.

Accanto a lui camminava Bel Riose, col colletto dell’uniforme slacciato.

Riose indicò una panchina liscia e nera ombreggiata dalle larghe foglie d’un albero. – Vedete quella panchina, signore? È un relitto dell’Impero. Le panche ornamentali, costruite per gli innamorati, sono rimaste intatte, mentre le fabbriche ed i palazzi cadono in rovina abbandonati.

Si sedette, mentre il segretario privato di Cleon II rimaneva in piedi di fronte a lui e con la canna d’avorio dava colpi secchi alle foglie dell’albero.

Riose accavallò le gambe ed offrì una sigaretta all’altro.

Se ne accese una e cominciò a parlare: – Bisogna ammirare l’acume e la saggezza di Sua Maestà per aver mandato una persona tanto competente come osservatore. La vostra presenza qui mi conforta. Prima che voi arrivaste temevo che l’urgenza dei problemi più importanti ed immediati avesse posto in ombra questa piccola campagna militare alla Periferia.

– Gli occhi dell’Imperatore sono onnipresenti – rispose Brodrig meccanicamente. – Noi non sottovalutiamo l’importanza di questa campagna; tuttavia mi sembra che si sia voluto dare troppa enfasi alle vostre difficoltà. Di certo quelle minuscole navi non costituiscono un ostacolo tanto insormontabile da dover ricorrere a complicate manovre di accerchiamento.

Riose arrossì, ma riuscì a mantenere la calma. – Non posso rischiare la vita dei miei uomini, che sono pochi, né la distruzione delle mie navi, che sono insostituibili, con un attacco frontale. Se riesco a completare l’accerchiamento ridurrò di un quarto le perdite nell’attacco finale, per quanto tenace possa essere la resistenza nemica. Ieri mi son preso la libertà di spiegarvi le ragioni militari.

– Bene, bene, non sono un militare io. In questo caso, voi mi assicurate che ciò che a prima vista sembra assolutamente giusto è in realtà sbagliato. Ammettiamolo pure. Tuttavia le vostre precauzioni vanno al di là di questo. In un vostro secondo messaggio, avete chiesto rinforzi. Rinforzi contro un nemico povero di mezzi, piccolo e barbaro, con il quale non avete ancora combattuto una battaglia. Chiedere un altro contingente di navi in circostanze del genere avrebbe potuto far dubitare delle vostre capacità o peggio, se non aveste già dato, fin dall’inizio della vostra carriera, prove a sufficienza di coraggio ed d’intelligenza.

– Grazie – rispose freddamente il generale. – Ma vi ricordo che c’è una bella differenza tra coraggio ed incoscienza. Si può compiere un’azione rischiosa, quando si conosca il nemico e sia possibile calcolare il rischio perlomeno approssimativamente, e questo è coraggio. Ma lanciarlo contro un nemico sconosciuto, è incoscienza.

Brodrig lo interruppe con un gesto della mano. – La vostra spiegazione è drammatica ma insoddisfacente. Voi stesso siete stato su questo pianeta barbaro.

Per giunta avete catturato un prigioniero: questo mercante che curate con tanto amore. Tra le informazioni raccolte da voi e quelle che dovreste aver strappato al prigioniero non siete certo in un banco di nebbia.

– No? Vi prego di tener presente che non si può conoscere a fondo tanto da attaccarlo in modo intelligente, un mondo che si è sviluppato isolatamente da un paio di secoli, dopo esserci stato solo un mese. Io sono un soldato, non un eroe da fumetti. Ed un unico prigioniero, che tra l’altro appartiene a un gruppo economico separatista di mercanti, non può certo rivelarmi tutti i segreti della strategia nemica.

– L’avete interrogato?

– Sì.

– Ebbene?

– Mi è stato utile, ma non in modo determinante. La sua astronave è minuscola.

Il nostro mercante vende giocattoli, se non altro divertenti. Ho intenzione di spedirne qualcuno dei più interessanti a Sua Maestà come curiosità. Naturalmente l’astronave ha caratteristiche tecniche veramente interessanti, che purtroppo io non riesco a comprendere.

– Ma avrete certamente tra i vostri uomini qualcuno in grado di esaminare la nave – gli fece notare Brodrig.

– Lo credevo anch’io – rispose il generale con accento leggermente ironico. – Ma quegli sciocchi hanno molto da imparare prima di essere in grado di soddisfare le mie esigenze. Ho già fatto richiesta di un tecnico qualificato, capace di comprendere i complicati circuiti del motore atomico di questa nave. Purtroppo, non ho ricevuto alcuna risposta.

– Uomini del genere non sono sempre disponibili, generale. Ma di certo vi sarà una persona in questa vasta provincia che sia capace di capire un motore atomico.

– Se esistesse, farei riparare prima di tutto i motori di due astronavi della mia già piccola flotta. Due astronavi, delle dieci che ho in dotazione, che non potranno partecipare all’attacco per insufficienza di energia. Un quinto delle mie forze è condannato al compito di consolidare le retrovie.

Il segretario fece dondolare la canna seccato. – Il vostro caso, generale, non è certo unico. Anche l’Imperatore si dibatte in mezzo a simili difficoltà.

Il generale gettò via la sigaretta e se ne accese un’altra, nervosamente.

– Ebbene, questa mancanza di tecnici qualificati è un problema da non trascurare. Sarei riuscito a fare progressi con il mio prigioniero se fossi stato in possesso di un Rivelatore Psichico efficiente.

Il segretario inarcò le sopracciglia. – Possedete un Rivelatore?

– Sì, un modello vecchio. Tanto vecchio che la volta che ne ho avuto bisogno non mi è servito affatto. L’ho messo in funzione mentre il prigioniero dormiva e non ha registrato nulla. Eppure prima l’avevo provato sui miei uomini e aveva funzionato. Ma anche in questo caso, non possiedo un tecnico che mi sappia spiegare il perché sia stato inefficace con il prigioniero. Ducem Barr che è un teorico, anche se non un meccanico, dice che la struttura psichica del prigioniero probabilmente non può venir registrata dal Rivelatore poiché, fin dalla fanciullezza, il soggetto è stato sottoposto a un ambiente differente ed a stimoli neutri. Io non so. Ma forse un giorno mi potrà essere utile e lo tengo in vita proprio con questa speranza.

Brodrig si appoggiò alla canna. – Vedrò se sarà possibile trovare un tecnico nella capitale. Ma ditemi, chi sarebbe quest’altro uomo di cui avete parlato poco fa, questo siwenniano? Tenete sotto la vostra protezione troppi nemici.

– Anche lui conosce il nemico. Forse in seguito potrà essermi sicuramente utile.

– Ma è un siwenniano, e per giunta figlio di un ribelle.

– È vecchio ed inerme, ed io tengo come ostaggio la sua famiglia.

– Capisco. Eppure mi piacerebbe parlare al mercante di persona.

– Certamente.

– Da solo – specificò il segretario, sottolineando la parola.

– Certamente – ripeté Riose. – Come fedele suddito dell’Imperatore, accetto il suo rappresentante come mio superiore. Tuttavia, poiché il prigioniero si trova alla base permanente, dovrete abbandonare il fronte proprio in un momento cruciale.

– Sì? Ed in che senso?

– L’accerchiamento è stato completato oggi. Tra una settimana, la Ventesima Flotta avanzerà verso il cuore della resistenza nemica. – Riose sorrise e si allontanò.

Brodrig provò un vago senso d’irritazione.

7

CORRUZIONE

Il sergente Mori Luk era il soldato ideale.

Proveniva dai grandi pianeti agricoli delle Pleiadi dove solo la vita militare permetteva di evadere dal duro lavoro dei campi e da una esistenza monotona.

Era un esemplare tipico di quelle regioni.

Sufficientemente privo di fantasia da affrontare il pericolo senza paura, forte ed agile quanto bastava da riuscire a cavarsela con successo.

Accettava gli ordini senza discussioni, guidava i suoi uomini con disciplina inflessibile ed adorava il suo generale in modo addirittura patetico.

Eppure, malgrado questo, era di natura allegra e gioviale.

Se doveva uccidere un uomo, lo faceva senza un attimo di esitazione, ma anche senza gioirne in modo particolare.

I due prigionieri alzarono gli occhi dal pasto serale e uno dei due allungò un piede per spegnere la radiolina tascabile che gracchiava a pieno volume.

– Altri libri? – chiese Lathan Devers.

Il sergente gli porse un cilindro pieno di pellicole e si grattò il collo.

– È dell’ingegnere Orre, ma lo vuole indietro. Ha intenzione di spedirlo ai suoi bambini, come ricordo.

Ducem Barr esaminò il cilindro in questione. – E dove l’ha trovato l’ingegnere?

Lui non possiede mica un trasmettitore, vero?

Il sergente scosse la testa con enfasi.

Puntò il dito sul proiettore quasi a pezzi appoggiato ai piedi del letto. – Quello è l’unico in funzione da queste parti. Questo Orre ha rimediato il libro in uno di questi mondi pigmei che abbiamo conquistato. Lo tenevano conservato in un palazzo ed ha dovuto uccidere un gruppetto di nativi che volevano impedirgli di portarlo via.

Guardò il libro dubbioso. – È proprio un bel regalo da fare ai bambini.

Fece una pausa, poi riprese: – Oggi in giro correvano voci. Sono solo sciocchezze, ma fa piacere sentirle. Il generale ce l’ha fatta un’altra volta.

– Ah sì? – disse Devers. – A far cosa?

– Ha completato l’accerchiamento. – Il sergente sorrise con orgoglio. – In gamba vero? Ha fatto proprio un bel lavoro. Un tale che sa dire belle frasi ha detto che è andato tutto liscio come la musica delle sfere; lui saprà di certo che cosa significhi.

– Ed ora comincerà la grande offensiva? – chiese Barr.

– Lo spero – rispose il sergente. – Voglio tornarmene alla mia nave ora che il braccio è di nuovo a posto. Sono stanco di starmene qui seduto a far niente.

– Anch’io – mormorò Devers.

Poi si morse le labbra e si calmò.

Il sergente lo guardò dubbioso. – Meglio che me ne vada adesso. Fra poco dovrebbe passare il capitano ed è meglio che non mi trovi qui.

Si fermò alla porta. – Un’altra cosa, signore – disse il sergente, fattosi improvvisamente timido. – Ho ricevuto notizie da mia moglie. Dice che il piccolo freezer che mi avete dato funziona alla perfezione. Non le costa niente e riesce a contenere le provviste per un intero mese. Grazie.

– Non è il caso. Lasciate perdere – rispose il mercante.

La grande porta si chiuse dietro il sergente.

Ducem Barr si alzò. – Ebbene, ci ha dato qualcosa in cambio del freezer.

Diamo un’occhiata al nuovo libro. Peccato, il titolo è sparito.

Srotolò un metro o due di pellicola e la esaminò contro luce.

Poi mormorò: – Per tutti i tuoni, come dice il sergente. Questo è Il Giardino di Summa, Devers.

– Mi fa piacere – rispose il mercante, senza interesse.

Con una mano spinse da parte quello che rimaneva del cibo. – Siediti, Barr. In questo momento non mi interessa ascoltare brani di letteratura antica. Hai sentito cos’ha detto il sergente?

– Sì, e con questo?

– L’offensiva sta per cominciare e noi ce ne rimaniamo qui seduti.

– Perché, dove vorresti essere seduto?

– Sai bene cosa intendo dire. È inutile rimanere in attesa.

– Sei sicuro? – Barr stava infilando la pellicola lentamente nel trasmettitore. – In questo ultimo mese mi hai raccontato una quantità di cose sulla storia della Fondazione ed a quanto pare, i grandi capi del passato non hanno fatto proprio un bel niente: soltanto stare seduti ed aspettare.

– Eh già, ma loro sapevano cosa stava succedendo.

– Davvero? Immagino che dicessero così quando ormai tutto era finito. Ma ammettiamo pure che sapessero in che modo si sarebbero svolti gli avvenimenti.

Non esistono prove che dimostrino che in caso contrario i risultati sarebbero stati differenti. Le profonde forze economiche e sociologiche non sono dirette da singoli individui.

Devers scosse la testa: – Non abbiamo prove anche del caso contrario: non sappiamo se i leader, non conoscendo la direzione che avrebbero preso gli avvenimenti, avrebbero scelto una soluzione disastrosa. Non facciamo che rivoltare la medaglia. – Poi Devers improvvisamente sembrò eccitarsi. – Ascolta un po’. E se lo uccidessimo?

– Chi? Riose?

– Sì.

Barr sospirò.

Il suo sguardo era diventato triste per il ricordo di un lontano passato. – L’assassinio non risolve mai nulla, Devers. Un tempo, spinto dalla provocazione, ho cercato una soluzione simile, quando avevo vent’anni, eppure non ho risolto niente. Ho ucciso un tiranno, ma non ho eliminato il gioco imperiale di Siwenna. In questo caso è il gioco imperiale che dobbiamo allontanare, l’individuo conta poco.

– Ma Riose non è solamente un individuo, dottore: lui è tutta l’armata. Senza di lui, cadrebbe in rovina. Si aggrappano a lui come bambini. Il sergente, per esempio, ogni volta che parla di lui sembra cadere in adorazione.

– Ma anche se così fosse ci sono altri generali ed altre armate. Devi ragionare con più profondità. E questo Brodrig, per esempio: nessuno più di lui è in contatto diretto con l’Imperatore. Lui potrebbe chiedere all’Imperatore cento astronavi, mentre Riose è costretto a cavarsela con dieci. Lo conosco per fama.

– E chi sarebbe? – Il mercante guardò il vecchio con interesse.

– Te lo descriverò in poche parole. È un arrivista che, partito da zero, è riuscito con l’adulazione ad entrare nelle grazie dell’Imperatore. È odiato da tutta l’aristocrazia di corte, che si rode il fegato perché lui non possiede né blasone, né umiltà. È il consigliere privato dell’Imperatore, è lo strumento di Sua Maestà quando si tratta di occuparsi di qualche faccenda poco pulita. Non esiste altro uomo in tutto l’Impero più subdolo e crudele. Dicono che non ci sia altro modo di arrivare all’Imperatore se non attraverso lui, e che non c’è altro modo d’arrivare a lui che non attraverso l’infamia.

– Per la Galassia! – esclamò Devers tormentandosi la barba accuratamente sfoltita. – E costui sarebbe l’inviato speciale dell’Imperatore venuto a tener d’occhio Riose. M’è venuta un’idea.

– Bene.

– E se questo Brodrig prendesse in antipatia il giovane generale?

– Probabilmente lo odia già. Non è rinomato per aver simpatia per la gente.

– Ma immaginiamo che cominci ad odiarlo sul serio. L’Imperatore forse ne verrà informato e Riose si troverà nei guai.

– Probabile. Ma come pensi di provocare una cosa del genere?

– Non lo so. Forse corrompendolo.

Il patrizio sorrise. – Sì, sarebbe un sistema, ma non riuscirai mica a comperarlo come il sergente, con un freezer tascabile. Ed anche se ci riuscissi, non ne varrebbe la pena. Probabilmente è la persona più facilmente corrompibile, ma non ha neanche quel minimo di onestà per farsi corrompere lealmente. Sarebbe capacissimo di tradirti non appena tu avessi finito di comperarlo. Pensa a qualche altra soluzione.

Devers accavallò le gambe e cominciò a battere nervosamente il piede.

– È una soluzione che potremmo tentare, anche...

S’interruppe.

La spia luminosa sulla porta era nuovamente accesa e poco dopo entrò nella stanza il sergente.

Appariva eccitato e rosso in faccia.

– Signori – cominciò facendo un tentativo di mostrare deferenza, – vi sono molto riconoscente per il freezer, e poi siete sempre stati gentili con me, anche se io sono solamente il figlio di un agricoltore mentre voi siete grandi lord.

Parlava con un forte accento delle Pleiadi, ed era quasi difficile capire le sue parole.

Sopraffatto dall’eccitazione aveva perso ogni vernice cittadina coltivata con lunghi anni di attenzioni per mostrare di nuovo palesemente le sue origini contadine.

Barr gli chiese sottovoce: – Che cosa succede sergente?

– Lord Brodrig sta per venire a farvi visita. Domani! Lo so perché il capitano mi ha detto di preparare i miei uomini per la rivista militare che ci sarà domani in suo onore. Ho pensato che forse era meglio che vi avvertissi...

– Grazie, sergente – disse Barr, – ve ne siamo grati. Ma non vedo Perché...

Ma la faccia del sergente era contratta dalla paura.

Parlò sottovoce, quasi temesse d’essere ascoltato: – Voi non conoscete le storie che raccontano i soldati su di lui. Pare che abbia venduto l’anima agli spiriti del male. No, non ridete. Si raccontano storie terribili sul suo conto. Dicono che vada in giro sempre seguito da una guardia del corpo armata, e che quando vuole divertirsi, gli ordini di uccidere la prima persona che incontra. E quando il poveretto muore, lui scoppia in una gran risata. Dicono che persino l’Imperatore lo tema, e che sia Brodrig a costringerlo ad aumentare le tasse e a non ascoltare le lamentele del popolo.

«E dicono anche – continuò il sergente, – che odi il generale e che lo vorrebbe uccidere perché lui è così grande e saggio. Ma il nostro generale sa tener testa a chiunque ed è per questo che non ci riesce.

Il sergente batté le palpebre; sorrise improvvisamente, imbarazzato per questo sfogo incontrollato e indietreggiò verso la porta.

Annuì con la testa arrossì e disse: – Ascoltate le mie parole. Guardatevi da lui.

Devers guardò fisso il siwenniano. – Questo conferma le mie teorie, non ti pare dottore?

– Dipende da Brodrig, non trovi? – rispose Barr.

Ma Devers stava pensando e non l’ascoltava.

Stava pensando intensamente.

Lord Brodrig chinò la testa entrando nella minuscola cabina della nave mercantile, ed i due uomini armati lo seguirono con le armi puntate e le facce dure e inespressive.

Il segretario privato non aveva affatto l’aria dell’anima perduta.

Se gli spiriti del male avevano comperato la sua anima, non avevano certo lasciato il marchio di possesso.

Brodrig sembrava più che altro un damerino di corte fuori posto nella rude semplicità di una base militare.

La sua uniforme stretta, dal taglio perfetto ed immacolata, lo faceva sembrare più alto di quanto non fosse in realtà.

I suoi occhi erano freddi e non tradivano emozione alcuna.

I polsini di madreperla luccicarono mentre dondolava il suo corpo appoggiandosi alla canna d’avorio.

– No, no – disse con un lieve gesto della mano. – Lasciate stare i vostri giocattoli. Non mi interessano.

Prese una sedia, la spazzolò accuratamente con il pezzo di stoffa attaccato all’estremità della canna e s’accomodò.

Devers diede un’occhiata all’altra sedia che rimaneva libera, ma Brodrig lo fermò con un lieve gesto.

– Voi dovete rimanere in piedi di fronte ad uno Scudiero Imperiale – e sorrise.

Devers alzò le spalle. – Se non vi interessa la mia mercanzia perché mi avete condotto qui?

Il segretario privato aspettò guardandolo con occhi gelidi, e Devers aggiunse: – Signore.

– Per poter parlare più tranquillamente – rispose il segretario. – Non penserete che abbia viaggiato per duecento parsec nello spazio soltanto per venire a vedere le vostre cianfrusaglie? Volevo parlarvi. – Tolse delicatamente una pastiglia rosa da una scatoletta intarsiata e se la mise fra i denti.

La succhiò lentamente con gusto.

– Tanto per cominciare – disse. – chi siete? Siete veramente un cittadino di questo mondo di barbari per i quali sembrano tutti presi da frenesia militare?

Devers annuì.

– E siete stato effettivamente catturato durante una di quelle scaramucce che lui chiama guerra? Mi riferisco al nostro generale.

Devers annuì di nuovo.

– Molto bene, mio prezioso straniero. Vedo che la vostra capacità oratoria è ridotta al minimo. A quanto pare il nostro generale sta combattendo una guerra senza scopo e con grande dispendio di energie, e tutto questo per impadronirsi di un mondo ai confini del nulla. A rigor di logica, non varrebbe la pena sparare un solo colpo per un mondo del genere. Eppure il generale non è uno sciocco. Al contrario io direi piuttosto che sia un uomo estremamente intelligente. Mi seguite?

– Non troppo bene, signore.

Il segretario si esaminò le unghie, poi disse: – Allora continuate ad ascoltarmi.

Il generale non sprecherebbe i suoi uomini e le sue navi per la vana ricerca della gloria. So che lui parla molto spesso di onore militare ma è ovvio che non gli basta essere considerato un semidio dell’ormai tramontata Era Eroica. In questo caso dev’esserci qualcosa di più della gloria... e poi ho notato che si prende troppa cura di voi. Ora, se voi foste stato mio prigioniero e mi aveste dato così poche informazioni come avete fatto con il generale, io vi avrei già da tempo aperto la pancia e strangolato con le vostre stesse budella.

Devers non batté ciglio.

Osservò con la coda dell’occhio prima l’una, poi l’altra guardia del corpo.

Erano pronti; erano già pronti ad eseguire l’ordine.

Il segretario sorrise. – Bene, vedo che non vi si è sciolta la lingua. Secondo il generale, nemmeno il Rivelatore Psichico è riuscito a cavarvi niente; ed è stato un errore, da parte del generale, raccontarmi una cosa del genere, poiché mi ha definitivamente convinto che stesse mentendo. – Sembrava essere di buon umore.

– Mio onesto mercante – disse. – Io possiedo un Rivelatore Psichico di mia invenzione, e penso che vi si adatti in modo perfetto. Vedete questi?

Stretti con noncuranza tra il pollice e l’indice, c’erano alcuni rettangoli di carta gialli e rosa dai disegni intricati, facilmente identificabili.

– Sembra denaro – disse Devers.

– Lo è infatti: il denaro migliore dell’Impero garantito dai miei possedimenti, che sono più estesi di quelli dell’Imperatore stesso. Centomila crediti. Tutto qui!

Tra queste due dita. E sono vostri.

– In cambio di che cosa, signore? Io sono un buon commerciante e nessuno mi ha mai dato nulla per nulla.

– Non avete capito? Voglio la verità. Che mire ha il generale? Perché combatte questa guerra?

Lathan Devers sospirò e si lisciò la barba con aria pensierosa, guardandolo.

– Che cosa vuole? – I suoi occhi seguivano le dita del segretario che continuava a contare il denaro, foglio su foglio. – In una parola sola, l’Impero.

– Come è monotono il mondo! Si arriva sempre alle solite conclusioni. Ma come? Qual è la strada che partendo dai confini della Galassia conduce in modo così invitante all’Impero?

– La Fondazione – disse Devers amaramente, – possiede alcuni segreti. Hanno molti libri, libri tanto antichi che la loro scrittura è compresa solo da poche persone. Questi segreti vengono protetti da un rituale religioso e nessuno può servirsene. Io ci ho tentato ed ora mi trovo qui. Sulla Fondazione c’è una sentenza di morte che mi aspetta.

– Capisco. E che cosa sono questi segreti? Suvvia, per centomila crediti ho diritto ad informazioni più precise.

– La trasformazione degli elementi – disse Devers.

Il segretario socchiuse gli occhi e parve interessato. – Mi hanno detto che una tale trasformazione è impossibile per le leggi della scienza atomica.

– È vero, sempre che si usi energia atomica. Ma i nostri padri erano gente in gamba: possedevano fonti d’energia più potenti dell’atomo. Se la Fondazione si fosse servita di quest’energia come avevo suggerito io...

– Continuate – lo esortò il segretario improvvisamente. – Sono convinto che il generale sappia già tutto questo. Ma che cosa ha intenzione di fare quando avrà terminato questa sua missione da operetta?

Devers proseguì con voce sicura: – Con la trasformazione degli elementi lui potrà controllare l’intera economia dell’Impero. Le riserve minerali non varranno un centesimo quando Riose sarà in grado di ricavare il tungsteno dall’alluminio e l’iridio dal ferro. Un intero sistema economico basato sulla scarsità di certi elementi e sull’abbondanza di altri può essere letteralmente rivoluzionato. Vi sarà la più grande crisi economica dell’Impero e solo Riose sarà capace di fermarla. Ed inoltre, esiste questa nuova energia che Riose non sfrutterà certo per questioni religiose. Non c’è nulla che lo potrà più fermare adesso. Ormai ha circondato la Fondazione ed una volta che l’avrà conquistata sarà Imperatore in meno di due anni.

– Capisco. – Brodrig scoppiò in una gran risata. – Iridio dal ferro, è questo che avete detto, vero? Ebbene vi confiderò un segreto di Stato. Sapevate che la Fondazione s’è già messa in comunicazione con il generale?

Devers sentì un brivido corrergli lungo la schiena.

– Sembrate sorpreso. E perché no? Ora mi pare tutto più logico. Hanno offerto al generale una tonnellata d’iridio all’anno in cambio della pace. Una tonnellata di ferro mutata in iridio violando i loro princìpi religiosi pur di salvare la pelle. Non per nulla il nostro incorruttibile generale ha rifiutato poiché assieme all’iridio può avere anche l’Impero. Povero Cleon, che chiamava Riose il suo onesto generale.

Mio caro mercante, vi siete guadagnato il vostro denaro.

Lanciò i biglietti in aria e Devers si precipitò a raccoglierli.

Lord Brodrig guardò il mercante. – Vorrei ricordarvi una cosa. Questi miei due amici con la pistola non hanno orecchie, né lingua, né educazione, né intelligenza.

Non ascoltano, non parlano, non sanno scrivere ed un Rivelatore Psichico, da loro, non ricaverebbe nulla. Però sono degli esperti in ogni genere di esecuzioni: io vi ho comprato per centomila crediti. Siete tenuto a valerli. Se doveste dimenticare di essere stato comprato da me e tentaste di ripetere la nostra conversazione a Riose, verreste ucciso, secondo un mio sistema particolare.

Senza rispondere Devers precedette le guardie del corpo armate e si diresse verso la sua cella.

Due mesi di guerra difficile avevano lasciato la loro impronta su Bel Riose.

Era costantemente scuro in faccia e perdeva facilmente la calma.

Si rivolse al sergente Luk in tono secco e impaziente. – Aspetta fuori, soldato.

Condurrai questi uomini ai loro quartieri quando avrò finito. Nessuno deve entrare finché non chiamerò io. Nessuno, capito?

Il sergente salutò, rigido sull’attenti, ed uscì.

Riose, con aria disgustata, raccolse i fogli che ingombravano la scrivania e li buttò nel primo cassetto chiudendolo con una manata.

– Sedetevi pure – disse ai due che aspettavano. – Non ho molto tempo da perdere. Per la verità non dovrei affatto trovarmi qui, ma avevo bisogno di vedervi.

Si rivolse a Ducem Barr, che stava accarezzando soprappensiero un cubo di cristallo nel quale era raffigurato il volto austero di Sua Maestà Cleon II.

– Come prima cosa, patrizio – disse il generale, – devo comunicarvi che il vostro amato Seldon sta perdendo. Bisogna ammettere che si batte bene; questi uomini della Fondazione si lanciano all’attacco come vespe impazzite e combattono con coraggio. Ogni pianeta è difeso fino all’ultimo, ed anche una volta conquistatolo continue ribellioni rendono molto difficile l’occupazione. Ma poco a poco cedono e siamo in grado di controllare la situazione. Il vostro amico Seldon sta perdendo.

– Ma non ha ancora perso, però – mormorò Barr sottovoce.

– La Fondazione stessa pare meno ottimista. Mi hanno offerto milioni perché firmassi la pace.

– Così corre voce.

– Vedo che le notizie non tardano a diffondersi. Conoscete anche l’ultima novità?

– E quale sarebbe?

– Lord Brodrig, il pupillo dell’Imperatore, è diventato ora comandante in seconda.

Devers intervenne: – Comandante in seconda? E come mai? Comincia a piacervi, l’amico?

Riose replicò con calma: – No di certo. Il fatto è che ha comperato il suo incarico ad un prezzo che a me è parso sufficiente.

– Quanto ha pagato?

– Ha chiesto i rinforzi all’Imperatore.

Devers sorrise: – E così s’è messo in comunicazione con l’Imperatore? E così, voi state aspettando i rinforzi. Verranno da un giorno all’altro, vero?

– Non è esatto. Sono già arrivati. Cinque navi da battaglia in perfetta efficienza e con un messaggio personale di congratulazioni dell’Imperatore. Altre navi sono già in viaggio. Che cosa vi succede, mercante? – chiese il generale in tono ironico.

Devers rispose a denti stretti: – Niente!

Riose avanzò verso il mercante impugnando con forza il fulminatore.

– Ditemi che cosa c’è che non va, mercante. La notizia sembra avervi sconvolto. Non credo proprio che cominciate a interessarvi alla sorte della Fondazione.

– Infatti.

– Eppure, il vostro atteggiamento non è chiaro.

– Davvero, capo? – Devers sorrise mentre stringeva i pugni nelle tasche. – Ditemi cosa c’è che non va e io cercherò di chiarirvi ogni dubbio.

– Per esempio, siete stato catturato troppo facilmente. Vi siete arreso al primo colpo. Siete stato pronto a tradire il vostro mondo, senza ottenere nulla in cambio.

Interessante, non vi pare?

– Mi piace stare dalla parte del vincitore, capo. Sono una persona di buon senso, l’avete detto voi stesso.

Riose stava perdendo la calma. – È vero. Eppure, dopo di voi, nessun altro mercante è stato catturato. Le astronavi degli altri mercanti, se volevano, sono sempre state in grado di fuggire. Lo schermo protettivo di queste piccole navi mercantili ha dimostrato di poter sopportare qualsiasi colpo inferto da un incrociatore leggero. E tutti gli altri, quando hanno deciso di accettare battaglia, hanno sempre lottato fino alla morte. C’erano sempre dei mercanti a capo di ogni rivolta nei paesi occupati o alla testa dei commando che attaccavano improvvisamente le nostre retrovie.

«Voi quindi sareste l’unico uomo di buon senso? Non avete combattuto né siete fuggito, ma siete diventato un traditore senza subire particolari pressioni. Il vostro atteggiamento è veramente unico, tanto unico da sembrare sospetto.

Devers rispose con calma: – Capisco cosa intendiate dire, ma non avete prove contro di me. Sono qui da sei mesi e mi sono sempre comportato bene.

– Anche questo è vero, ed io vi ho ripagato con un buon trattamento. Ho lasciato la vostra nave intatta e non credo vi possiate lamentare. Eppure la vostra collaborazione è stata minima. Se mi aveste dato alcune informazioni sul funzionamento di alcuni oggetti che vendete, la cosa mi sarebbe stata molto utile. I princìpi atomici con i quali sono stati costruiti sono gli stessi di alcune delle armi più pericolose della Fondazione. Non è vero, forse?

– Sono solo un mercante – rispose Devers, – e non un tecnico qualificato. Io vendo la merce, non la fabbrico.

– Bene, lo scopriremo tra breve. Per questo sono venuto fin qui. Per esempio, abbiamo perquisito la nave per trovarvi un campo protettivo individuale. Voi non ne avete mai indossato uno; eppure tutti i soldati della Fondazione ne possiedono per lo meno un esemplare. Sarà interessante vedere che risposta mi darete questa volta.

Non vi fu una risposta ed il generale continuò: – E raccoglierò altre prove. Ho qui con me un Rivelatore Psichico. Tempo fa non funzionava, ma stando a contatto con il nemico si imparano molte cose.

Il tono della sua voce era minaccioso e Devers sentì la canna del fulminatore premergli contro le costole.

– Ora vi toglierete il bracciale – intimò Riose, – e tutti gli ornamenti metallici e me li consegnerete. Lentamente! I campi atomici possono essere deviati, questo lo sapete ed il Rivelatore Psichico può dare risultati negativi. Ecco, così va bene. Li prenderò io.

Il ricevitore del generale che stava sulla scrivania si accese ed una capsula contenente un messaggio ne balzò fuori di scatto, proprio vicino a Barr che ancora teneva in mano il busto tridimensionale dell’Imperatore.

Riose si avvicinò alla scrivania, sempre con l’arma puntata.

Disse a Barr: – Anche voi, patrizio. Il vostro bracciale vi condanna. Un tempo mi siete stato utile, ed io non sono vendicativo, ma giudicherò la sorte della vostra famiglia dai risultati del Rivelatore Psichico.

Mentre Riose si piegava per raccogliere la capsula, Barr sollevò il cubo di cristallo e lentamente, con precisione, lo calò sulla testa del generale.

Era avvenuto tutto così in fretta che Devers ne rimase sconcertato.

Era come se una forza demoniaca si fosse impadronita del vecchio.

– Fuori! – disse Barr, con un bisbiglio. – Presto! – Afferrò il fulminatore che Riose aveva lasciato cadere e se lo nascose sotto la giacca.

Il sergente Luk si girò mentre i due uscivano dalla porta in silenzio.

– Cammina, sergente! – disse Barr.

Devers chiuse la porta dietro le sue spalle.

Il sergente Luk li condusse in silenzio ai loro quartieri, poi, dopo una breve pausa, riprese a camminare; la canna del fulminatore gli premeva sul fianco, ed una voce secca gli bisbigliava: – Alla nave del mercante.

Devers superò il sergente ed aprì il portello mentre Barr diceva: – Rimani dove sei, Luk. Tu sei un brav’uomo, e non abbiamo intenzione di ucciderti.

Ma il sergente riconobbe il monogramma sul calcio della pistola.

Lanciò un urlo: – Avete ucciso il generale!

Gridando frasi incoerenti si gettò a corpo morto contro l’arma e, straziato, cadde a pochi metri da Barr.

L’astronave mercantile si stava già sollevando dal pianeta prima che fosse lanciato l’allarme.

I due videro diverse forme scure sollevarsi dal suolo e lanciarsi all’inseguimento.

Devers sorrideva. – Tienti forte, Barr... e vediamo se ce la fanno a starmi dietro.

Sapeva perfettamente che era impossibile.

Una volta raggiunto lo spazio aperto, la voce del mercante sembrò lontana e triste. – La storia che ho raccontato a Brodrig era troppo allettante. A quanto pare, ha deciso di mettersi d’accordo con il generale.

La nave continuò la sua corsa tra le stelle che popolavano la Galassia.

8

VERSO TRANTOR

Devers era chino su un piccolo globo opaco, aspettando che desse qualche segno di vita.

Il controllo direzionale stava sondando lo spazio lanciando segnali intermittenti.

Barr, seduto su una sedia in un angolo, aspettava pazientemente.

– Nessun segno delle navi nemiche? – chiese.

– Le navi dell’Impero le abbiamo seminate già da tempo – disse Devers. – Per la Galassia! Con il balzo alla cieca che abbiamo fatto siamo stati fortunati a non finire dentro qualche sole.

Non avrebbero potuto seguirci nemmeno se fossero stati più veloci di noi.

Si appoggiò allo schienale della sedia e si slacciò il colletto. – Non riesco a capire che cosa abbiano fatto agli strumenti quelli dell’Impero.

Probabilmente c’è qualche contatto fuori posto.

– Capisco, stai cercando di tornare alla Fondazione.

– No, sto chiamando l’Associazione... o per lo meno ci provo.

– L’Associazione? E di che si tratta?

– L’Associazione dei mercanti indipendenti. Non l’hai mai sentita nominare?

Ebbene, non sei il solo: non è ancora arrivato il nostro momento.

Rimasero in silenzio, osservando l’indicatore.

Poi Barr disse: – Riesci a captare qualcosa?

– Non lo so. Non ho la minima nozione di dove ci troviamo, e sto provando a caso. Per questo devo usare il controllo direzionale. Magari ci impiegheremo anni.

– Davvero?

Barr fece un segno e Devers si precipitò allacciandosi la cuffia.

Al centro della piccola sfera opaca apparve una minuscola luce bianca.

Per circa mezz’ora Devers seguì attentamente quel fragile filo che teneva uniti attraverso l’iperspazio due punti distanti tra loro più di cinquecento anni-luce.

Poi si tolse la cuffia e s’appoggiò allo schienale della sedia.

– Be’, cerchiamo di mangiare qualcosa. Se vuoi far la doccia, è là dietro: ma vacci piano con l’acqua calda.

Aprì una serie di armadietti allineati contro il muro e frugò all’interno.

– Non sarai vegetariano, spero?

– Mangio di tutto – rispose Barr. – Ma che è successo con l’Associazione? Hai perso il contatto?

– A quanto pare. Erano troppo distanti. Ma non importa molto però ho ricevuto tutte le informazioni che desideravo.

Depose due contenitori metallici sulla tavola. – Aspetta cinque minuti, dottore, poi premi il contatto. Si aprirà la scatola con dentro piatti, posate e cibo. Che ne dici? Mica male, soprattutto quando si ha fretta. Spero che non ti dispiaccia se non possiedo tovaglioli. Immagino che vorrai sapere che informazioni abbia ricevuto dall’Associazione, vero?

– Se non è un segreto.

Devers scosse la testa – Non per te. Riose aveva detto la verità.

– Circa l’offerta del tributo?

– Già. Riose ha rifiutato, però. Le cose si mettono male. Adesso si combatte vicino ai soli esterni di Loris.

– Loris è vicino alla Fondazione?

– Eh già, tu non lo sai: è uno dei quattro regni originali. Si potrebbe definire come una parte delle linee interne di difesa. Ma non è tutto. Stanno combattendo contro grosse navi mai viste prima. Il che significa che Riose non stava raccontandoci storie: ha davvero ricevuto rinforzi. Brodrig ha cambiato bandiera e siamo stati noi a complicare le cose.

Il suo sguardo era cupo.

Toccò il contatto del contenitore del cibo e la scatola si aprì: un odore di stufato si sparse per la stanza.

Ducem Barr stava già mangiando.

– Improvvisare – disse Barr, – non è servito a niente. Ora non possiamo traversare le linee nemiche per tornare alla Fondazione. Non ci rimane che aspettare pazientemente. Tuttavia, se Riose ha già raggiunto le difese interne non credo che ci sarà più molto da aspettare.

Devers posò la forchetta. – Aspettare, aspettare! – esclamò rosso di rabbia. – Per te va bene. Tu non hai niente da perdere.

– Sei sicuro? – rispose Barr sorridendo.

Devers tratteneva a stento l’irritazione. – Anzi, ti dirò, sono stanco di considerare la situazione come un qualcosa da analizzare freddamente al microscopio. Io laggiù ho molti amici che stanno morendo; laggiù c’è il mio mondo, la mia casa che stanno per essere distrutti. Tu sei uno straniero, non puoi capire.

– Anch’io ho visto i miei amici morire. – Il vecchio aveva appoggiato le mani sulle ginocchia e gli occhi erano chiusi. – Sei sposato?

– I mercanti non si sposano – disse Devers.

– Bene, io ho due figli ed un nipote. Li ho avvertiti, ma per ragioni loro non sono potuti fuggire. La nostra fuga significa la loro morte. Spero che mia figlia e i suoi due figli siano riusciti a mettersi in salvo, ma anche escludendo loro, non credi che abbia rischiato abbastanza?

Devers era infuriato. – Lo so, ma tu hai fatto una scelta. Avresti potuto stare dalla parte di Riose. Io non ti ho mai chiesto...

Il siwenniano aveva aperto gli occhi e l’espressione della sua faccia era triste. – Un giorno, Riose venne da me; è stato più di un anno fa. Mi ha parlato di un culto basato sui maghi, ma non riuscì a scoprire la verità. Non si trattava di un vero e proprio culto. Vedi, sono cinquanta anni che Siwenna soffre sotto il giogo che ora minaccia voi. Cinque rivolte sono state soffocate nel sangue. Poi ho scoperto gli antichi documenti lasciati da Hari Seldon, così è incominciato il culto. Siwenna aspetta l’arrivo dei maghi e per quel giorno sarà pronta. I miei figli sono i capi di coloro che stanno aspettando. È questo il segreto che custodisco nella mia mente e che avrei rivelato sotto l’effetto del Rivelatore Psichico. Per questa ragione adesso dovranno morire come ostaggi; poiché altrimenti sarebbero morti come ribelli e con loro metà della popolazione di Siwenna. Come vedi non avevo scelta. E non sono uno straniero.

Devers abbassò gli occhi e Barr continuò: – È nella vittoria della Fondazione che i siwenniani sperano. È per la vittoria della Fondazione che io sto sacrificando i miei figli. Ed Hari Seldon non ha previsto la salvezza di Siwenna come ha previsto la vittoria della Fondazione. Io non posso dare al mio popolo una certezza, ma solo una speranza.

– Eppure sembri soddisfatto di rimanere ad aspettare anche quando la flotta Imperiale si trova ormai su Loris.

– Aspetterei con fiducia – disse Barr con semplicità – anche se gli Imperiali fossero atterrati sullo stesso pianeta Terminus.

Il mercante scosse la testa sconsolato. – Non capisco. Non può funzionare a questo modo; non come se si trattasse di magia. Psicostoria o no, loro sono terribilmente forti mentre noi siamo deboli. In che modo può aiutarci Hari Seldon?

– Non c’è nulla da fare: tutto è già stato fatto. Ora il Progetto sta semplicemente svolgendosi. Solo perché non senti la ruota del destino girare e le campane suonare non significa che esista minor certezza.

– Può darsi, ma sarebbe stato meglio che avessi dato una bella botta in testa a Riose tanto da farlo fuori per sempre. Lui rappresenta tutta l’armata.

– Avrei dovuto ucciderlo? Con Brodrig come comandante in seconda? – La faccia di Barr era contratta dall’odio. – Tutta Siwenna sarebbe divenuta un ostaggio. Brodrig ha dato prova della sua crudeltà già da tempo. Un pianeta cinque anni fa perdette un maschio ogni dieci persone semplicemente perché non erano state pagate le gravissime tasse imposte alla popolazione. Ed era Brodrig che s’occupava di riscuotere le tasse. No, possa Riose vivere a lungo: i suoi castighi al confronto sono opere pie.

– Ma siamo stati sei mesi, sei mesi alla base nemica senza riuscire a far nulla. – Devers strinse con forza i pugni. – Non abbiamo combinato nulla!

– Un momento aspetta. Mi viene in mente una cosa... – Barr si frugò nelle tasche. – Forse questa servirà a qualcosa. – E lasciò cadere una piccola sfera sulla tavola.

Devers l’afferrò. – Che cos’è?

– Un messaggio, quello che ha ricevuto Riose prima che lo stordissi. Pensi che servirà a qualcosa?

– Non lo so, dipende da cosa c’è scritto. – Devers si sedette e l’esaminò accuratamente.

Quando Barr uscì dalla doccia e si pose sotto l’asciugatore ad aria calda, vide Devers assorto al banco di lavoro.

Il siwenniano, massaggiandosi il corpo, si rivolse a Devers. – Che cosa stai facendo?

Devers sollevò gli occhi. Goccioline di sudore gli imperlavano la fronte.

– Voglio aprire questa capsula.

– Sei capace di aprirla senza le impronte caratteristiche di Riose? – chiese il vecchio sorpreso.

– Se non ci riuscirò darò le dimissioni dall’Associazione e non salirò mai più su un’astronave. L’ho già sottoposta ad analisi elettronica e ora mi metterò al lavoro con un aggeggetto che nessuno ha mai visto in tutto l’Impero. Non è la prima volta che faccio lo scassinatore: un mercante deve sapere fare tutti i mestieri.

Si chinò di nuovo sulla capsula e vi appoggiò sopra delicatamente, uno i strumento piatto che ad ogni contatto mandava piccole scintille.

Disse: – Questa capsula è un giochetto da bambini. Questa gente dell’Impero non sa fabbricare oggetti piccoli, lo si vede subito. Hai mai visto una capsula della Fondazione? È grande la metà ed all’analisi elettronica dà risultato negativo.

Poi s’irrigidì i muscoli si tesero per lo sforzo.

Aumentò la pressione.

La capsula s’aprì senza rumore e Devers si rilassò.

Tra le mani gli brillava la sfera con il messaggio srotolato.

– È di Brodrig – disse. Poi con disprezzo: – È un messaggio permanente. Nelle capsule della Fondazione il messaggio si ossiderebbe trasformandosi in gas in meno di un minuto.

Ma Ducem gli fece segno di star zitto mentre leggeva rapidamente.

«AMMEL BRODRIG, INVIATO STRAORDINARIO DI SUA MAESTÀ

IMPERIALE, SEGRETARIO PRIVATO DEL CONSIGLIO, SCUDIERO DEL

REAME.

A: BEL RIOSE, GOVERNATORE MILITARE DI SIWENNA, GENERALE

DELLE FORZE IMPERIALI E SCUDIERO DEL REAME.

PORGE I SUOI SALUTI.

IL PIANETA n. 1120 HA CESSATO DI RESISTERE.

I PIANI DELL’OFFENSIVA PROCEDONO SENZA SOSTA.

IL NEMICO SI È INDEBOLITO SENSIBILMENTE E PRESTO

RAGGIUNGEREMO LA META FINALE».

Barr alzò gli occhi dalla scrittura quasi microscopica ed imprecò amareggiato. – Sciocco! Presuntuoso ignorante! Che razza di messaggio!

– Uhm – borbottò Devers anche lui deluso.

– Questo messaggio non ha alcun significato – esclamò Barr. – Il nostro damerino di corte gioca a fare il generale. Adesso che Riose è lontano si sente comandante in capo e si mette a spedire rapporti pomposi di azioni militari a cui non ha partecipato affatto. «Il tale pianeta ha cessato di resistere», «L’offensiva continua», «il nemico s’è indebolito». Pallone gonfiato.

– Un momento, stammi a sentire.

– Getta via quella capsula. – Il vecchio si voltò dall’altra parte seccato. – Per la Galassia, non mi aspettavo certo che fosse una comunicazione di grande importanza, ma in guerra si suppone che anche un messaggio di ordinaria amministrazione che non venga recapitato possa provocare dei disguidi e dei ritardi che possono avere serie ripercussioni. Ma questo! Forse era meglio che non l’avessi raccolto. Per lo meno avrebbe fatto perdere a Riose un minuto prezioso che ora può adoperare in modo più costruttivo.

Ma Devers si era alzato. – La vuoi smettere di brontolare? Per Seldon...

Prese la capsula e la mise sotto gli occhi di Barr. – Leggila di nuovo. Che cosa vuol dire «presto raggiungeremo la meta finale»?

– La conquista della Fondazione, perché?

– Ah sì? Forse vuol dire la conquista dell’Impero. Tu sai bene che lui crede che sia quella la meta finale.

– Anche se così fosse?

Devers sorrise. – Guarda qui, ora te lo dimostrerò.

Sotto la lieve pressione di un dito il messaggio rientrò nella capsula. Con un piccolo scatto scomparve ed il globo ritornò liscio e senza fessure. La capsula sembrava non esser mai stata toccata.

– Ora non esiste modo di aprire la capsula senza conoscere le impronte caratteristiche di Riose, vero?

– Per gli uomini dell’Impero è così – disse Barr.

– Di conseguenza la prova che contenga la capsula è completamente sconosciuta a noi, e quindi autentica.

– Per l’Impero, sì.

– E l’Imperatore può aprirla, vero? Devono possedere uno schedario di tutti i funzionari governativi. Sulla Fondazione ne esiste uno.

– Anche nella capitale dell’Impero.

– Allora quando tu, patrizio siwenniano e scudiero dell’Impero, dici a Cleon che il suo consigliere privato ed il suo più onesto generale si sono messi d’accordo per eliminarlo, e gli consegni la capsula come prova, come pensi che interpreterà le parole «la meta finale»?

Barr si sedette sorpreso. – Un momento, non riesco a seguirti. – Si afferrò il mento con una mano e disse: – Non parlerai sul serio, per caso?

– Sono serissimo – rispose Devers eccitato. – Ascolta, nove degli ultimi dieci Imperatori hanno avuto la gola tagliata, o la testa spaccata per mano d’uno dei loro generali. Me l’hai detto tu stesso più di una volta. Il vecchio Imperatore crederebbe a noi immediatamente, e la testa di Riose non rimarrebbe per molto attaccata al collo.

Barr era talmente sorpreso che quasi non riusciva a parlare. – Ma allora dici proprio sul serio. Per la Galassia, ti rendi conto che non puoi battere una Crisi Seldon con un piano di burletta come il tuo? Immaginiamo che tu non fossi mai venuto in possesso della capsula. Immaginiamo che Brodrig avesse evitato di scrivere «meta finale». Il Progetto Seldon non è basato sulla fortuna.

– Ma se un colpo fortunato ci capita tra le mani, non c’è legge di Seldon che ti impedisca di farne uso.

– Certamente. Ma, ma... – Barr prese fiato e cercò di calmarsi. – Ascolta, in primo luogo, come pensi di arrivare su Trantor? Non sai dove si trovi nello spazio ed io di certo non ricordo le coordinate. Non sai nemmeno dove ti trovi ora nello spazio.

– Non ci si può perdere nello spazio – rispose Devers. Si era già seduto ai comandi. – Ci dirigiamo verso il pianeta più vicino, scendiamo a terra e, con i centomila crediti di Brodrig, ci comperiamo la migliore delle carte spaziai.

– E magari ci buschiamo anche un buco nella pancia. Probabilmente i nostri connotati sono già stati trasmessi in tutta questa sezione dell’Impero.

– Dottore – disse Devers spazientito, – non cominciamo a fare i guastafeste.

Riose ha detto che questa astronave si è arresa troppo facilmente, e ti assicuro io che non stava scherzando. Questa astronave ha abbastanza potenza di fuoco per tener testa a qualsiasi nave che possiamo incontrare in questa parte della Galassia.

Inoltre siamo in possesso di scudi protettivi individuali. I soldati dell’Impero li hanno cercati senza trovarli poiché non era certo nelle mie intenzioni di farli trovare loro.

– Va bene – disse Barr. – Va bene. Immagina di trovarli su Trantor. Come credi di riuscire ad avere udienza presso l’Imperatore? Pensi forse che faccia orario d’ufficio?

– Ci occuperemo di questo problema quando saremo arrivati su Trantor – rispose Devers.

Barr scosse le spalle scoraggiato. – D’accordo. In ogni caso era da cinquant’anni che desideravo visitare Trantor prima di morire. Faremo come vuoi tu.

I motori iperatomici vennero spenti.

Le luci ebbero un tremito ed i due provarono la lieve nausea che indicava il balzo dell’astronave nell’iperspazio.

9

SU TRANTOR

Le stelle nel cielo erano fitte come gramigna in un campo abbandonato.

Lathan Devers si era accorto dell’importanza dei decimali la prima volta che aveva dovuto calcolare i balzi dell’iperspazio.

Provava una specie di claustrofobia quando doveva compiere voli non più lunghi di un anno-luce. C’era qualcosa di impressionante in questo cielo dove si vedevano luci in tutte le direzioni. Era come perdersi in un mare di radiazioni.

Al centro di quella costellazione formata da diecimila soli ruotava l’immenso pianeta imperiale, Trantor.

Ma era più di un pianeta: era il cuore pulsante di un Impero di venti milioni di sistemi stellari. Aveva una sola funzione: l’amministrazione; un solo scopo: il governo; produceva una sola cosa: la legge.

In quel mondo non esisteva essere vivente all’infuori dell’uomo, del suoi animali domestici, e dei suoi parassiti.

Non esisteva un filo d’erba, né una zolla di terreno che non fosse ricoperta da cemento o ferro, all’infuori delle cento miglia quadrate di giardini attorno al palazzo Imperiale.

Non esisteva un ruscello, sempre all’infuori dei giardini imperiali, che non fosse stato incanalato e raccolto nelle gigantesche cisterne sotterranee che fornivano acqua alla popolazione del pianeta.

Il lucido, indistruttibile, incorruttibile metallo che copriva tutto il pianeta costituiva l’armatura e le fondamenta di quelle colossali strutture che incastellavano il mondo.

Erano costruzioni collegate fra loro da autostrade, corridoi, giganteschi edifici adibiti ad uffici, sotterranei larghi miglia quadrate usati come grandi magazzini; attici destinati a ritrovi che ogni notte si illuminavano di luci.

Si poteva percorrere tutto Trantor senza mai uscire da quell’unico conglomerato di edifici, né vedere la città.

Una flotta di astronavi, la più grande di tutte le flotte che l’Impero avesse mai posseduto, atterrava con il suo carico su Trantor ogni giorno per fornire cibo ai quaranta miliardi di persone che non davano altro in cambio che il loro lavoro di burocrati del governo più complesso che l’umanità avesse mai conosciuto.

Il granaio di Trantor era costituito da venti pianeti agricoli.

Un universo intero serviva questa città...

Trattenute da ambo i lati dalle poderose braccia d’acciaio, le astronavi venivano lentamente guidate fino agli hangar.

Devers era già riuscito ad attraversare la barriera di complicazioni burocratiche che circondava questo mondo, dove ogni azione era registrata in quadruplice copia.

Erano stati fermati in un primo tempo ancora nello spazio, dov’era stato riempito il primo della lunga serie di questionari.

Avevano dovuto sottoporsi a centinaia di controlli, alla fotografia della nave, alla compilazione dei dati caratteristici dei due uomini, al conseguente incasellamento nello schedario, all’ispezione anticontrabbando, al pagamento della carta di identità e del visto turistico.

Ducem Barr era siwenniano e quindi suddito dell’Imperatore, ma Lathan Devers era uno sconosciuto sprovvisto di documenti.

L’ufficiale incaricato era profondamente dispiaciuto, ma Devers non sarebbe potuto entrare. Anzi, avrebbe dovuto essere sottoposto ad indagini ufficiali.

Dal nulla apparve un biglietto da cento crediti, garantiti dai possedimenti di Lord Brodrig, che cambiarono di mano rapidamente. L’ufficiale borbottò qualcosa e l’espressione dispiaciuta della sua faccia si trasformo in un sorriso.

Apparve una scheda completamente nuova.

Venne riempita rapidamente ed efficientemente, completa delle caratteristiche personali di Devers.

Finalmente il mercante ed il patrizio entrarono in Trantor.

Nell’hangar, l’astronave venne nuovamente fotografata, registrata, ed il suo contenuto inventariato. Vennero fotocopiate le carte di identità dei passeggeri e venne pagata un’altra tassa debitamente registrata.

Finalmente Devers si trovò su un gran terrazzo sotto un sole caldo insieme a donne che parlavano, bambini che urlavano ed uomini comodamente seduti che sorseggiavano una bibita ascoltando le notizie dell’Impero trasmesse da un colossale televisore.

Barr pagò il numero di monete di iridio richieste e prese un giornale dalla pila.

Era il Notiziario Imperiale di Trantor, organo ufficiale del governo.

Nel retro del chiosco, si sentiva il leggero ticchettio della macchina che stampava l’edizione straordinaria che veniva contemporaneamente composta negli uffici del Notiziario Imperiale lontani diecimila chilometri di corridoi - seimila in linea d’aria - mentre altri dieci milioni di copie venivano stampati in quello stesso istante in altri dieci milioni di luoghi simili, in tutto il pianeta.

Barr diede una scorsa ai titoli e disse: – Quale sarà la prima mossa?

Devers cercò di scrollarsi di dosso lo scoraggiamento che l’aveva preso.

Si trovava in un universo troppo lontano dal suo, in un mondo che lo opprimeva con tutte le sue complicazioni, in mezzo a gente le cui attività gli erano incomprensibili e della quale non riusciva quasi ad afferrare il linguaggio.

Le luccicanti torri metalliche che lo circondavano e che si estendevano a perdita d’occhio oltre l’orizzonte gli davano un senso di claustrofobia: la vita intensa e febbrile della capitale lo faceva sentire un pigmeo solo e privo di importanza.

– È meglio che ci pensi tu, dottore – disse.

Barr era calmo.

A bassa voce disse: – Ho cercato di spiegartelo, ma è difficile crederci finché non lo si sperimenta, lo so perfettamente. Sai quanta gente chiede udienza all’Imperatore ogni giorno? Un milione di persone all’incirca. E sai quanta gente l’Imperatore riceve ogni giorno? Dieci individui. Saremo costretti a passare attraverso i funzionari dell’amministrazione, il che è più difficile. Ma non possiamo permetterci di appoggiarci all’aristocrazia.

– Ma abbiamo quasi centomila crediti.

– Un solo scudiero del regno ti costerebbe quella somma, e ce ne vorrebbero per lo meno tre o quattro per arrivare all’Imperatore. Forse ci vorranno cinquanta commissari e altrettanti funzionari per arrivare allo stesso risultato, ma loro ci costeranno solo cento crediti ciascuno. Penserò io a parlare. In primo luogo, non capirebbero il tuo accento, secondo, non conosci l’etichetta che regola la corruzione. Si tratta di un’arte, te lo posso assicurare...

Si interruppe.

Nella terra pagina del Notiziario Imperiale aveva visto la notizia che cercava, e passò il giornale a Devers.

Devers lesse lentamente.

Era scritto in uno stile strano per lui ma riuscì a capire.

Alzò gli occhi, il suo sguardo era preoccupato.

Batté un gran colpo con la mano sul giornale ed esclamò: – Pensi che ci si possa fidare di questo giornale?

– Entro certi limiti – rispose Barr calmo. – È molto improbabile che la flotta della Fondazione sia stata completamente distrutta. Può darsi che abbiano già pubblicato una notizia del genere più di una volta, sempre che il giornale segua la solita tecnica dei reportage di guerra in uso nella capitale lontana dalla zona di operazione. Probabilmente significa che Riose ha vinto un’altra battaglia, il che non era del tutto imprevedibile. Dice anche che Loris è stata conquistata. Sarebbe la capitale del regno di Loris?

– Sì – rispose Devers, – o per lo meno di quell’area che un tempo costituiva il regno di Loris. Non dista più di venti parsec dalla Fondazione. Dottore, dobbiamo muoverci in fretta.

Barr alzò le spalle. – Non si può lavorare in fretta su Trantor. Quando ci si prova, si finisce sempre con un fulminatore puntato contro le costole.

– E quanto ci vorrà?

– Un mese, se siamo fortunati. Un mese e centomila crediti, se ci basteranno. E questo sempre che all’Imperatore non venga in mente, nel frattempo, di trasferirsi nei pianeti estivi, dove non vengono accolte petizioni nel modo più assoluto.

– Ma la Fondazione...

– Riuscirà a cavarsela, come sempre. Vieni, ora dobbiamo andare a mangiare: io ho fame. Poi, la notte sarà nostra, e potremo metterla a frutto. Ricordati che non vedremo mai più un posto come Trantor.

Il commissario incaricato delle province esterne allargò le braccia grassocce in un gesto sconsolato e scrutò i due con sguardo miope. – L’Imperatore è indisposto.

È inutile che sottoponiate il vostro caso ai miei superiori: è una settimana che Sua Maestà non riceve visite.

– Ci riceverà – disse Barr, affettando un’aria sicura. – Si tratta di dare udienza ad un membro del seguito del segretario privato.

– È impossibile – disse il commissario con enfasi. – Ci rimetterei l’impiego. Se foste meno reticenti nello spiegare la natura della vostra richiesta forse si potrebbe fare qualcosa. Sono prontissimo ad aiutarvi, voi mi capite, ma naturalmente vorrei qualcosa di meno vago, qualcosa da poter presentare ai miei superiori.

– Se la mia missione fosse tale da poter essere comunicata a qualcun altro che non fosse l’Imperatore – rispose Barr con gentilezza, – sarebbe stupido chiedere udienza a Sua Maestà. Io vi propongo di correre il rischio. Vi ricordo che se Sua Maestà darà l’importanza che noi garantiamo a questa faccenda, voi verrete certo ricompensato per averci aiutato.

– Sì, ma... – ed il commissario si strinse nelle spalle senza più parlare.

– È un rischio – Ammise Barr. – Naturalmente ogni rischio richiede la sua ricompensa. È un favore veramente grande quello che vi stiamo chiedendo, e vi siamo già molto riconoscenti per la gentilezza mostrataci nell’averci dato l’opportunità di spiegare il nostro problema. Ma se vorrete permetterci di esprimere la nostra gratitudine per mezzo di questo modesto...

Devers scrollò le spalle.

Aveva ascoltato quel discorso, con varianti minime, per lo meno venti volte nell’ultimo mese. Finiva sempre in un rapido scambio di banconote seminascoste.

Ma questa volta l’epilogo cambiò.

Di solito il denaro spariva immediatamente, ora le banconote rimasero in vista mentre il commissario le contava esaminandole accuratamente da ogni lato.

La sua voce cambiò tonalità. – Garantiti dal segretario privato? Soldi ottimi!

– Per tornare alla richiesta... – incalzò Barr.

– No, no. Un momento – interruppe il commissario. – Andiamo per gradi.

Sinceramente mi piacerebbe sapere di che genere sia la vostra missione. Questi soldi sono nuovi, e voi dovete averne una bella quantità, poiché mi risulta che abbiate incontrato parecchi altri funzionari prima di me. Suvvia, ditemi.

– Non vedo dove vogliate arrivare – disse Barr.

– Vedete, potrei anche provare che vi trovate sul pianeta illegalmente, poiché la carta d’identità del vostro amico silenzioso non è certo in regola: lui non è un suddito dell’Impero.

– Lo nego nel modo più assoluto.

– Non importa quello che voi diciate – rispose il commissario, perdendo improvvisamente la calma. – L’ufficiale che ha firmato le sue carte, per la somma di cento crediti, ha confessato, dietro nostre pressioni, e ne sappiamo più di quanto voi non immaginiate.

– Se state cercando di farci capire che la somma che vi abbiamo chiesto di accettare è inadeguata in vista del rischio...

Il commissario sorrise. – Al contrario, è più che adeguata. – Mise i soldi da un lato. – Per tornare a quanto stavo dicendo, è lo stesso Imperatore che ha cominciato ad interessarsi al vostro caso. Non è forse vero, signori, che recentemente siete stati ospiti del generale Riose? Non è forse vero che siete scappati in maniera così strana e rocambolesca dal suo quartier generale? Non è forse vero che possedete una piccola fortuna in biglietti garantiti dai possedimenti di Lord Brodrig? In breve, non è forse vero che voi siete spie ed assassini mandati qui? Bene, sarete voi stessi a spiegare chi vi ha pagato!

– Non posso permettere – disse Barr facendo finta di controllare una falsa ira, – che un piccolo commissario mi accusi di crimini. Me ne vado.

– Eh no, non ve ne andrete. – Il commissario si alzò ed i suoi occhi parvero aver perso ogni miopia. – Per ora non dovrete rispondere a nessuna domanda: a questo penseremo più tardi e con metodi più convincenti. Inoltre, io non sono un commissario addetto alle province esterne, ma un tenente della polizia imperiale: siete in stato di arresto.

Nella sua mano destra apparve un fulminatore mentre il tenente sorrideva. – In questi giorni ci sono uomini ben più importanti di voi agli arresti. Siamo in procinto di fare un po’ di pulizia.

Devers storse la bocca e fece per afferrare la sua arma.

Il tenente di polizia scoppiò in una risata e chiuse il contatto.

Il raggio disintegratore colpì Devers in pieno petto, ma rimbalzò inoffensivo contro il campo di forza protettivo disperdendosi in una miriade di scintille.

Devers sparò a sua volta, e la testa del tenente cadde dal tronco del corpo completamente disintegrato. Le labbra erano ancora atteggiate al sorriso, mentre un raggio di sole illuminava la sua fronte passando attraverso il buco della parete.

Uscirono dalla porta di servizio.

– Presto, alla nave – disse Devers con voce rauca. – Tra pochi minuti sarà dato l’allarme. – Bestemmiò fra i denti. – E un altro piano va in fumo. Potrei giurare che gli spiriti maligni siano contro di noi.

Erano già fuori quando si accorsero di una grande folla che s’accalcava attorno agli enormi televisori pubblici.

Non avevano tempo da perdere non riuscirono ad afferrare le frasi sconnesse che giunsero alle loro orecchie.

Ma Barr riuscì a impadronirsi di una copia del Notiziario Imperiale poco prima di dirigersi a tutta velocità verso gli hangar, dove la loro nave torreggiava chiusa in un capannone coperto.

– Pensi di farcela? – gli chiese Barr.

Dieci astronavi della polizia si lanciavano al loro inseguimento.

L’apparecchio in fuga aveva scoperchiato l’hangar e, senza aspettare il segnale di via libera, filava a velocità superiore a quella consentita dalla legge.

Anche le navi del Servizio Segreto si unirono alla caccia.

– Sta’ a vedere – disse Devers, ed ingranò il comando che avrebbe lanciato l’astronave nell’iperspazio a sole duemila miglia dalla superficie del pianeta.

Il colpo, provocato dalla vicinanza della massa solida del pianeta, fece svenire Barr mentre Devers si contorceva per la fitta dolorosa, ma alcuni anni-luce più in là, lo spazio era libero.

Devers, provando un senso d’orgoglio per la sua astronave, esclamò: – Non c’è flotta Imperiale capace di fermarmi.

Poi aggiunse amaramente: – Ma dove possiamo scappare? Non possiamo combatterli. Che faremo ora? Nessuno può far nulla.

Barr si mosse lentamente gemendo dal dolore.

Gli effetti del contraccolpo ricevuto non erano ancora svaniti.

Aveva i muscoli indolenziti.

– Non dobbiamo far nulla – disse. – È finita. Leggi qui!

Mostrò a Devers la copia del Notiziario Imperiale che ancora stringeva tra le mani. A Devers bastò dare un’occhiata ai titoli di testa.

– Riose e Brodrig richiamati in patria ed arrestati – mormorò Devers.

Sì volse allibito verso Barr. – E perché?

– L’articolo non lo spiega, ma che importa? La guerra con la Fondazione è finita, ed in questo momento Siwenna è in rivolta. Leggi qua – la sua voce si fece debole. – Ci fermeremo in qualche provincia e c’informeremo su tutti i dettagli. Se non ti dispiace, ora vorrei sdraiarmi.

S’addormentò di colpo.

Con un balzo improvviso, la mercantile si lanciò nella Galassia diretta verso la Fondazione.

10

LA GUERRA È FINITA

Lathan Devers non si sentiva a suo agio e provava un vago senso d’irritazione.

Aveva ricevuto la sua medaglia ed aveva ascoltato con muto stoicismo il pomposo discorso del sindaco che gli aveva appuntato la decorazione.

Questo avrebbe dovuto porre termine al cerimoniale in suo onore ma, naturalmente, non avrebbe potuto andarsene senza mancare di rispetto alle autorità.

Ed era soprattutto questa atmosfera di formalismo - di quel genere che non gli permetteva di sbadigliare rumorosamente o di allungare le gambe sulla poltrona -

che gli faceva desiderare di essere di nuovo nello spazio.

La delegazione siwenniana, capitanata da Ducem Barr, firmò la Convenzione, e Siwenna divenne la prima provincia a passare dal dominio diretto dell’Impero sotto la sfera di influenza economica della Fondazione.

Cinque astronavi Imperiali - catturate quando Siwenna si era ribellata dietro le linee della flotta Imperiale di Confine - passarono sul cielo di Terminus, enormi e poderose, facendo tuonare le batterie in segno di saluto.

Ora non rimaneva che bere, rispettare l’etichetta, e darsi alla conversazione brillante.

Una voce lo chiamò.

Era Forell.

Quell’uomo, pensò tra se Barr, che poteva comperare dieci persone come lui con i soli guadagni di una giornata, ora gli stava facendo un gesto amichevole, invitandolo ad avvicinarsi.

Devers uscì sul balcone al vento fresco della notte e s’inchinò rispettosamente, mentre si tormentava la barba.

Anche Barr era sul balcone e sorrideva. – Devers – disse quest’ultimo, – devi venire in mio aiuto. Sono accusato di falsa modestia: un crimine atroce e contro natura.

– Devers – disse Forell mettendo di lato il grosso sigaro che stringeva fra i denti. – Lord Barr pretende di affermare che il vostro viaggio alla capitale di Cleon non abbia niente a che vedere con il richiamo di Riose.

– È vero, signore – tagliò corto Devers. – Non abbiamo mai visto l’Imperatore.

I rapporti riguardanti il processo, che abbiamo raccolto sulla via del ritorno, mostrano che si è trattato di una grande montatura. Si accusa genericamente il generale di essere in contatto con elementi sovversivi della corte.

– E così lui era innocente?

– Riose? – intervenne Barr. – Ma certo! Brodrig era un traditore nato, ma non certo colpevole delle specifiche accuse che gli sono state contestate. È stata una farsa giudiziaria, ma tuttavia necessaria ed inevitabile.

– Per una necessità psicostorica, immagino – Forell pronunciò la frase in tono divertito.

– Esatto – rispose Barr. – In un primo tempo non sono stato in grado di afferrare il problema, ma ora, a faccenda conclusa, la risposta mi è apparsa subito chiara. Voi, ora, potete benissimo rendervi conto come i fattori sociologici dell’Impero gli rendano impossibile una guerra di conquista. Sotto Imperatori deboli, lo Stato è smembrato da generali ambiziosi alla caccia del trono. Sotto Imperatori forti, il governo è paralizzato da un immobilismo assoluto dove il processo di disgregazione apparentemente finisce, ma a prezzo di sacrificare ogni possibile espansione.

Forell aspirò due grosse boccate dal sigaro. – Non riesco a capire, Lord Barr.

Barr sorrise. – Lo immaginavo, è abbastanza difficile per chi è digiuno di psicostoria: le parole sostituiscono troppo poveramente le equazioni matematiche.

Ma vediamo un poco...

Barr si buttò nei suoi ragionamenti mentre Forell si rilassava appoggiandosi alla ringhiera del balcone, e Devers aveva gli occhi fissi nel cielo vellutato considerando il destino di Trantor.

Poi Barr riprese: – Vedete, voi signore, ed anche Devers, e tutti gli altri, eravate convinti che per battere l’Impero bisognasse dividere l’Imperatore dai suoi generali. Ebbene, avevate ragione, per quanto riguardava il principio della discordia. Tuttavia, sbagliavate pensando che questa frattura interna sarebbe stata provocata da azioni individuali.

«Tu, per esempio, Devers, hai tentato attraverso la corruzione e le bugie, ti sei appellato all’ambizione e alla paura. Eppure, malgrado i tuoi sforzi, non hai ottenuto nulla. In effetti, dopo ogni tuo tentativo, la situazione sembrava peggiorare, e mentre ti dibattevi alla cieca alla ricerca disperata di una soluzione, il Progetto Seldon si sviluppava secondo i piani prestabiliti.

Barr voltò le spalle e si affacciò alla balconata che guardava sulle luci della città in festa.

Disse: – C’era una traccia ben definita che guidava tutti noi: il forte generale ed il grande Imperatore, il mio mondo e il vostro mondo, tutti sulla via che aveva spianato Hari Seldon. Egli sapeva che un uomo come Riose avrebbe dovuto fallire, poiché era lo stesso successo che comportava il suo fallimento: maggiore il successo, più certo era il fallimento.

– Non posso dire che vi siate spiegato molto più chiaramente di prima, – disse Forell.

– Un momento – disse Barr. – Esaminate bene la situazione. Un generale debole non avrebbe mai potuto costituire un pericolo per noi: è ovvio, mi pare. Ma neanche un generale forte al servizio dell’Imperatore debole ci avrebbe minacciato, poiché egli avrebbe diretto le sue forze verso un obiettivo ben più importante.

«Gli eventi hanno dimostrato che tre quarti degli Imperatori degli ultimi duecento anni erano o generali o viceré ribelli prima di diventare Imperatori. Di conseguenza, solo un Imperatore forte che possedesse un generale altrettanto capace avrebbe potuto minacciarci, poiché un Imperatore forte non può essere detronizzato con facilità ed il generale ambizioso e capace è spinto a volgersi verso i confini al di là delle frontiere.

«Ma che cos’è un Imperatore forte? Che cosa permette a Cleon di sopravvivere? È ovvio: egli non permette che fra i suoi sudditi ci sia gente più tenace di lui. Un cortigiano che diventi troppo ricco, od un generale che diventi troppo popolare, sono degli elementi pericolosi: tutta la storia recente lo dimostra.

«Riose vinceva le battaglie – continuò Barr, – e l’Imperatore diventava sospettoso. Tutta l’atmosfera dei tempi lo costringeva al sospetto. Bel Riose rifiutava di farsi corrompere? La diffidenza aumentava. Improvvisamente il più fidato dei suoi cortigiani cominciava a favorire Riose? L’Imperatore aveva ulteriori motivi di sfiducia. Non erano le azioni individuali che potevano intimorirlo, e per questa ragione tutti i nostri tentativi erano inutili: era il successo di Riose che lo minacciava. Per questa ragione l’ha richiamato, l’ha accusato, condannato e giustiziato. La Fondazione trionfa di nuovo. Non esistevano combinazioni di eventi che non portassero alla vittoria della Fondazione: era inevitabile, qualunque cosa avesse fatto Riose, o qualunque cosa avessimo fatto noi.

Il magnate della Fondazione annuì pensieroso. – Capisco. Ma che sarebbe accaduto se il generale e l’Imperatore fossero stati la medesima persona? Che sarebbe successo in quel caso? Non avete considerato questo caso, non avete provato niente.

Barr scrollò le spalle. – lo non posso provare nulla: non sono addentro nei calcoli della psicostoria. Tuttavia mi appello alla ragione. In un Impero dove ogni aristocratico, ogni uomo ambizioso, ogni pirata può aspirare al trono, e questo la storia ve lo dimostra, che ne sarebbe di quell’Imperatore forte che decidesse di condurre una guerra ai confini della Galassia? Quanto potrebbe rimanere lontano dalla capitale prima che una guerra civile lo costringesse a tornare in patria? Il substrato sociale dell’Impero non gli permetterebbe di star lontano per molto. Una volta dissi a Riose che nemmeno tutte le forze dell’Impero avrebbero potuto deviare il Progetto Seldon.

– Bene, bene! – esclamò Forell con enfasi. – Intendete dire che l’Impero non ci potrà mai più minacciare?

– A quanto pare – disse Barr. – Francamente, non credo che Cleon sopravviverà più di un anno, ed alla sua morte le dispute per la successione al trono potranno significare l’ultima guerra civile dell’Impero.

– Allora – disse Forell, – non esistono più nemici.

Barr era pensieroso, – C’è la Seconda Fondazione.

– All’altro capo della Galassia? Passeranno secoli.

Devers si voltò improvvisamente e la sua faccia era scura mentre parlava con Forell. – Forse ci saranno nemici interni.

– E chi sarebbero? – disse Forell con voce gelida.

– Quella gente, per esempio, a cui piacerebbe godere un po’ più di quella ricchezza che continua ad accumularsi nelle mani di pochi che non lavorano per procurarsela. Voi mi capite vero?

L’espressione soddisfatta di Forell si mutò in odio mentre fissava la faccia di Devers.