Otto

La mattina dopo era piena di impegni in tribunale, di quelli che detesto. Affidamento di incarico a un perito in incidente probatorio; interrogatorio di un indagato alla sezione di polizia giudiziaria; processi davanti al giudice monocratico per abusi edilizi. Nei limiti del possibile, quando ci sono incombenze di questo genere, delego Consuelo e Maria Teresa, l’altra mia collega o, per le cose piú semplici, qualcuno dei praticanti. Quella mattina, però, le cose da fare erano troppe. Andammo tutti insieme al palazzo di giustizia alle nove e tornammo in studio verso l’ora di pranzo.

– Chi si è bevuto un’intera bottiglia di vino? – chiese Maria Teresa qualche istante dopo essere entrata in cucina per prepararsi un’insalata.

– Un cliente. Nuovo. Ci siamo bevuti la bottiglia parlando del suo caso. Dopo ti racconto. Comunque non ho portato ragazze in camerata. Giuro.

Maria Teresa roteò gli occhi, si strinse nelle spalle.

– Non trovo il numero di telefono di Annapaola Doria. Me lo dài per piacere? – dissi per esaurire l’argomento delle mie bevute notturne in studio assieme ai clienti.

– Vuoi che te la chiami?

– No, grazie. Faccio io.

Annapaola rispose al secondo squillo.

– Guido Guerrieri!

– Ti disturbo? È un orario sbagliato?

– No, anzi. In questi momenti se arriva una telefonata dico evviva.

– Quali sono questi momenti?

– Sono chiusa in un furgoncino, da due ore, attaccata a un binocolo e a una macchina fotografica con teleobiettivo. Mi fa compagnia una borraccia di acqua e sali minerali. Ho pensato fosse meglio della grappa, date le circostanze.

– Ma allora forse non puoi parlare?

– Posso, posso. Sono a un centinaio di metri dal bersaglio. Parlo e guardo. Tanto mi sa che dovrò stare qui un bel pezzo. E ’sticazzi.

– Il bersaglio?

– Aspetto che un tizio esca da un posto dove non dovrebbe essere. Uno dei casi che mi dànno da mangiare, anche se non sono proprio la mia passione.

– Infedeltà coniugale.

– Tecnicamente no. Non fino a quando non ci sarà una legge sui matrimoni gay.

Ci misi qualche istante per mettere a fuoco. – Ti chiedono di indagare anche su infedeltà di coppie omosessuali?

– Molto piú di quanto potresti immaginare.

– Perché? Mica possono utilizzarle in un processo per separazione.

– Anche le coppie etero spesso non sanno che farsene, processualmente, di queste indagini. Come sai meglio di me, servono solo per la separazione con addebito, per ridurre l’importo dell’assegno. Vogliono avere le prove dei loro sospetti, vogliono le foto, vogliono che siano certificate cose che gli sono già note. Vogliono nutrire il loro rancore. Una delle tante forme di masochismo. Poi, certo, sbattono le foto in faccia al partner e lo buttano fuori di casa o se ne vanno, a seconda. Una soddisfazione costosa e abbastanza folle. Per fortuna, però, perché almeno il cinquanta per cento del mio reddito dipende da queste cazzate.

Ci fu qualche istante di silenzio. Io pensavo a quello che mi aveva detto, lei riprendeva fiato.

– Scusa, ti ho travolto, ma stavo per dare fuori di testa. Il tizio non esce e io vorrei essere altrove. Molto altrove. Tu però, immagino, volevi dirmi qualcosa, non mi hai chiamato per darmi supporto psicologico.

– Avrei bisogno di parlarti per un possibile incarico. È una faccenda un po’ delicata. Quando ci possiamo vedere?

– Sei in studio nel pomeriggio?

– Sono in studio nel pomeriggio da piú di vent’anni.

– Ottimo. Non ti peserà aspettarmi, allora. Non so a che ora mi libero, dipende da questo sporcaccione. Appena mi sbrigo vado a farmi una doccia e vengo da te. Se sei impegnato con clienti aspetto. È la cosa che mi riesce meglio, del resto.

– Aspettare?

– Aspettare. Ciao avvocato, a dopo.

L’appostamento dovette durare parecchio perché Annapaola comparve in studio dopo le sette. Era in jeans scoloriti e giubbotto di pelle nera. Aveva con sé un casco nero integrale dall’aspetto minaccioso.

– Com’è andato l’appostamento?

– Ho fatto almeno cento foto, poi una doccia davvero molto lunga. A volte mi chiedo perché sia cosí difficile, per me, trovare un lavoro onesto.

– Ma ti diverti, no?

– All’inizio mi divertivo, solo che io mi stufo in fretta. Di che volevi parlarmi?

Le spiegai di che si trattava. Lei mi ascoltò con attenzione, immobile sulla sua poltrona, senza neppure un cenno di assenso, finché non terminai.

– Scusa, lasciami capire. Tu vorresti che io facessi degli accertamenti, un po’ di domande, che chiedessi a…

– Non voglio sapere a chi chiedi, ammesso che tu possa chiedere a qualcuno e, prima ancora, ammesso che tu accetti l’incarico.

– Va bene. Vorresti che io chiedessi a qualcuno che tu non vuoi sapere se presso la Procura di Lecce esiste un procedimento a carico del presidente Pierluigi Larocca per il reato di corruzione, se è originato dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia finora sconosciuto di nome Capodacqua e… che altro? Qui dentro non si può fumare, vero?

– Si può. Mi ricorda i bei tempi in cui fumavo anch’io. Questo studio non ha mai avuto il privilegio di essere immerso nel fumo azzurrino che galleggia nella luce della sera. Ho smesso prima, quando ancora stavo in quello vecchio.

– Ammazza, poetico. Il fumo azzurrino che galleggia nella luce della sera. E chi sei, la Szymborska? Se vuoi ne arrotolo una anche a te.

– Meglio di no. Ti piace la Szymborska?

– Molto.

– Anche a me. Prendo un posacenere e apro la finestra.

Si fece la sigaretta, l’accese, ne fumò una metà e la lasciò spegnere.

– Se non hai voglia di farlo posso capire. Ho già detto a Larocca che non garantivo che avresti accettato. Lo so che ti sto facendo una richiesta inconsueta, ma d’altro canto comprendo la condizione di spirito dell’uomo. Per uno che fa quel lavoro è una bella botta scoprire di essere invischiato in una storiaccia simile.

– Certo che parli un sacco. Ti ho detto che non ho voglia di farlo? Stavo solo… sottolineando la singolarità dell’incarico che forse mi accingo ad accettare. Vi costerà, però.

– Larocca insiste per versare un acconto.

– Bravo. Mi hai detto quello che ti ha raccontato lui, ma non mi hai detto quello che pensi tu, – disse riaccendendosi la sigaretta.

– Non ho elementi sufficienti per pensare qualcosa.

– Lui non è simpatico.

– Non molto, in effetti. Ma sarei davvero stupito se scoprissi che si è venduto un processo.

– Perché?

– Può darsi che io sia schiavo di un pregiudizio positivo, ma non riesco a pensare che uno cosí bravo e cosí lanciato nella carriera corra il rischio di sputtanare tutto per arraffare un po’ di quattrini come un mariuolo qualsiasi. Non sto dicendo che lo considero moralmente incapace di farlo. Non ne ho idea. Ne faccio una questione… di strategia personale, di intelligenza, di capacità di soppesare i pro e i contro delle situazioni. Lui è uno intelligente e uno intelligente non fa una tale cazzata. Per come la vedo io.

– Dicono che potrebbe diventare il prossimo presidente del tribunale.

– Appunto. Chi è che mette a rischio una prospettiva del genere per un colpo da rubagalline?

– D’accordo, proviamoci. Stare lontana per qualche giorno dalle storie di cornuti desiderosi di vendetta mi farà solo bene. Faccio qualche domanda in giro e vediamo che salta fuori. Ti chiamo io appena so qualcosa o appena mi rendo conto che non riuscirò a sapere nulla. E grazie, mi è piaciuto fumare in pace una sigaretta in un posto diverso da un balcone o dall’ingresso di un ristorante.