3.

Il signor Soo

 

Fu una notte intensa per il Capitano Talham. Gli orologi battevano già le tre quando si accinse a fermare un taxi. Tillizinni lo raggiunse sul marciapiede e i due parlarono per un po'. Poi salirono sul taxi e partirono.

L'uomo che li aveva tenuti d'occhio dall'altra parte della strada li seguì. La sua auto aspettava in una viuzza laterale poco distante e raggiunse ben presto il taxi con i due passeggeri diretti verso la zona est della città.

Il taxi varcò il massiccio ingresso ad arco di Scotland Yard, mentre l'altra auto proseguiva lungo l'Embankment. A un ordine del passeggero, s'arrestò sulla Horse Guards Avenue e l'uomo vi scese.

Indossava un impeccabile abito da sera e aveva un fare sicuro e disinvolto. Percorse a piedi il breve tragitto fatto in auto, entrò a Scotland Yard senza esitazione e la guardia di turno accettò di buon grado di portare un messaggio a Tillizinni.

L'italiano ricevette l'ospite da solo, e questi si esibì in un inchino cerimonioso. Tillizinni a sua volta fece un inchino profondo, e così poté ben osservare l'altro da capo a piedi.

Lo sconosciuto era senza dubbio cinese, tuttavia non portava il codino che distingueva la razza Manchu prima della ribellione. Aveva un volto attraente, per essere un cinese, i lineamenti erano regolari e soltanto gli occhi tradivano la sua origine. Aveva labbra sottili, prive d'espressione, e Tillizinni notò che quello strano personaggio, vestito con il gusto della moda più ricercata, ma con la semplicità che distingue il vero gentiluomo, portava un monocolo con la montatura d'oro. Parlò senza il minimo accento straniero.

- Il signor Tillizinni? - chiese, e l'investigatore annuì. - Mi chiamo Soo, L'ang T'si Soo e sono, come può ben immaginare, un compatriota della sfortunata persona uccisa questa notte.

Tillizinni annuì di nuovo.

- Conoscevo il principe, anche se poco - aggiunse Soo, sedendosi - e, naturalmente, la tragica notizia mi ha sconvolto.

- Le notizie si diffondono davvero in fretta - replicò Tillizinni secco. - L'ambasciatore è stato ucciso poco fa.

Soo chinò il capo con un gesto molto naturale.

- Passavo davanti all'ambasciata e ho visto un gruppo di domestici in grande agitazione. Lei aveva incaricato uno di loro di cercare un poliziotto - spiegò. - Naturalmente i domestici, essendo gente del popolo, avvezza al pettegolezzo, hanno subito rivolto la parola al loro connazionale.

Era una spiegazione abbastanza plausibile. Tillizinni, in ogni caso, trovò che non faceva una grinza. Si chiese perché mai quel cinese tanto aristocratico fosse venuto da lui alle tre del mattino.

- È molto triste - continuò L'ang T'si Soo scuotendo il capo - che un uomo colto come Sua Eccellenza sia stato eliminato con tanta crudeltà.

- A me sembra ancora più triste - replicò Tillizinni - che abbia perso la vita anche Stella sopra lo Yamen.

Perché lo aveva detto, nemmeno lui poté spiegarselo. Non c'era motivo di menzionare la seconda vittima.

Ma la notizia ebbe sul visitatore un effetto inaspettato. S'alzò immediatamente e silenziosamente, gli cadde il monocolo e le sue palpebre s'abbassarono finché gli occhi divennero due fessure nere e brillanti.

- Stella sopra lo Yamen? - ripeté - Che cosa vorrebbe dire?

Tutta la dolcezza e l'eleganza del suo tono erano svaniti. La sua voce si era fatta aspra e metallica. Strinse le mani guantate di bianco così energicamente, che la delicata pelle di capretto per poco non si ruppe. C'era un che di animalesco in quella sua tensione, un che di felino in quel suo atteggiamento.

- Voglio dire - rispose Tillizinni lentamente - proprio quello che ho detto. Oltre all'ambasciatore, è stata uccisa un'altra persona. I suoi stessi complici devono avergli sparato alle spalle. Secondo la mia ricostruzione del crimine, gli assassini indossavano la livrea dell'ambasciata, così hanno potuto fuggire nella confusione seguita al delitto. Stella sopra lo Yamen è stato ucciso, probabilmente, perché possedeva qualcosa che interessava i suoi assassini. È stato identificato grazie a questo.

L'investigatore tolse di tasca un foglio e lo porse all'ospite. Soo osservò a lungo e attentamente l'iscrizione cinese.

- È stato copiato dallo hong della vittima. La vittima stessa ha dato il proprio hong al Capitano Talham questo pomeriggio.

Con un grande sforzo T'si Soo recuperò il controllo, rese il foglio senza una parola, con un gesto meccanico si rimise il monocolo e tornò a sedersi.

- È interessante - disse con calma. - Un tempo conoscevo un uomo che si chiamava Stella sopra lo Yamen, ma si tratta evidentemente di un altro. I caratteri della Cina del Nord sono leggermente diversi da quelli della Cina del Sud, e il mio amico non usa questo hong.

L'occhio osservatore di Tillizinni notò che il cinese si inumidiva le labbra secche.

- Certo lei si chiederà perché sono qui - disse - ed è giusto che le dica chi sono. Il suo amico...

- Il mio amico?

- Il signore che attende nella stanza accanto - continuò l'elegante orientale - e che vi rimarrà finché non me ne sarò andato. Sua Eccellenza Ho-Tao, che, nella nostra lingua, significa il Mandarino del fiume o, come lo chiamate voi, il Capitano Talham, mi conosce. Sono il figlio del governatore di T'si-lu, e sono, a tutti gli effetti, governatore.

Tillizinni chinò il capo.

Aveva sentito parlare di quell'uomo, che aveva studiato a Oxford, viveva in uno degli appartamenti più lussuosi di Piccadilly ed era considerato ricco.

Soo s'alzò.

- Temo d'aver abusato del suo tempo con la mia curiosità e il mio interesse per il tragico destino del mio connazionale - disse. - Questo è il mio indirizzo: se crede che io possa aiutarla, mi mandi pure a chiamare.

Mise sulla scrivania il suo biglietto da visita e, con un piccolo inchino, si congedò.

Tre minuti dopo la sua auto correva veloce verso la zona est. Lasciato l'Embankment, attraversò il fiume sul ponte di Blackfriars. Il cinese scese vicino a Borough.

- Aspettami - ordinò secco, e l'autista dal volto coperto gli rispose in cantonese.

In una trasversale di Southwark Street c'era una fila di piccole botteghe che, a quell'ora del mattino, avevano le saracinesche abbassate.

Soo bussò a una di esse. Bussò lievemente, tuttavia la porta accanto alla vetrina venne aperta subito, e lui entrò. Il negozio era una lavanderia, una lavanderia cinese. Soo lo attraversò e passò in una sala, illuminata da una debole luce. Senza esitazione imboccò velocemente le scale che, dalla sala, conducevano nella cantina sottostante.

In fondo alle scale c'era una porta. Di nuovo lui bussò e di nuovo la porta venne aperta da un cinese in maniche di camicia. Appena Soo fu entrato, l'uomo si tolse la pipa di bocca e fece un profondo inchino.

Era un locale piuttosto grande, le pareti erano ricoperte con della carta rosso scarlatto, su cui erano dipinti in nero scene e ideogrammi che illustravano il canto funebre. C'era un tavolo, e sopra quello oscillava una lampada a olio. Intorno al tavolo sedevano una mezza dozzina di cinesi tutti in camicia o vestaglia. Infatti, sebbene fosse una notte fredda, la cantina era fastidiosamente calda: in un angolo del muro, dove molto tempo prima c'era stata una stufa, ardeva un braciere a carbone.

Appena videro entrare Soo, i cinesi si alzarono e nascosero le mani nelle ampie maniche delle camicie.

- Dov'è mio fratello? - chiese subito Soo.

Si era rivolto a un vecchio cinese dal volto cadaverico, che sedeva accanto al braciere.

- Signore - rispose l'uomo - il tuo illustre fratello non è ancora tornato.

- Dove sono Yung-ti e Hop-lee? - chiese ancora Soo.

- Signore, non sono ancora tornati - rispose l'altro. Soo guardò l'orologio da polso.

- Ming-ya dice... - cominciò il vecchio, ma poi s'interruppe, come se avesse pensato che era meglio tacere.

- Che cosa dice Ming-ya? - domandò Soo. - Rispondi, vecchio imbecille!

Il vecchio s'inchinò.

- Che le sette benedizioni del cielo proteggano la tua maestà - disse umilmente. - Ming-ya dice che né Yung-ti né Hop-lee torneranno.

Ming-ya, un giovane cantonese con l'occhio spento dell'oppiomane, annuì.

- È vero - fece con voce roca - perché li ho sentiti parlare tra loro, questa sera, mentre fumavo la mia pipa. Credevano che non li potessi sentire, ma questa notte tornano in Cina.

Soo tacque qualche istante, il volto chino sul petto, e parve riflettere.

Poi adocchiò un viso preoccupato, che era rivolto a lui dacché era entrato nella stanza. Era il volto di un giovane seduto al buio, poiché metà della lampada era stata coperta affinché sopra, dalla strada, non se ne potesse vedere la luce. Con un segno del capo Soo ordinò al giovane di seguirlo e, senza un'altra sola parola, i due uomini uscirono dalla cantina. La porta si richiuse dietro di loro con un clic.

Nella sala T'si Soo si rivolse al giovane.

- Lo-Rang, quei due uomini hanno ucciso mio fratello, e anche il tuo, poiché noi della Società dei buoni propositi siamo tutti fratelli e abbiamo giurato fedeltà l'uno all'altro come i nostri antenati. Hanno anche rubato un certo documento che li avevo incaricati di procurarmi.

Il giovane chinò il capo in un gesto d'obbedienza.

- Ho mandato mio fratello con loro perché temevo il loro tradimento. È stato lui, come ho appreso dagli stranieri, a trovare il documento e, poiché quei due ne avevano bisogno per tradirmi e non avrebbero potuto averlo in altro modo, lo hanno ucciso.

- Eccellenza - disse Lo-Rang umilmente - tutto questo lo so già. Che cosa debbo fare?

- Trova quegli uomini - ordinò Soo - e... shah!

Il giovane s'inchinò e andò nel retro del negozio. Ne tornò con un fagotto di vestiti e un lungo coltello dalla lama sottile e affilata.

- Con questo ho ucciso un uomo a Hoo Sin - dichiarò con orgoglio, e Soo annuì con approvazione.