Via dell'angelo

Nell'infanzia, Antonia aveva perduto i genitori, e i suoi zii, dovendo trasferirsi all'estero e non sapendo dove metterla, la lasciarono nel convento di Via dell'Angelo. Un amico Gesuita, santo padre dalle spalle curve e dal viso impassibile e grigio come creta, incrociando le mani, la presentò alle suore. Egli stesso aveva consigliato quel convento, nel quale non c'erano che tre suore, oltre ad Antonia che pagava una piccolissima retta ed era qualcosa fra la servetta, l'educanda e la pensionante. Ma in quei paraggi sorgevano numerosi e vasti monasteri, popolati da suore diverse, di cui alcune portavano la cuffia arricciata, altre il velo e alcune il mantello. Proprio di fronte si elevava l'immmenso fabbricato delle prigioni, giallo e liscio e regolarmente interrotto dalle sbarre delle finestre; dinanzi al portone un guardiano insonne, il fucile in ispalla, camminava lavanti e indietro sui ciottoli con passo ferrato.

La via saliva di sghembo, e il sole, fatto più chiaro da quel colore dei muri, vi batteva da cieli sereni e freschi. Essa era detta «dell'Angelo», a causa di una statua di pietra, dalle gigantesche ali ripiegate, che si drizzava all'incrocio. Era un'informe figura, decapitata e monca, in atto di avanzare su larghi piedi anneriti. Ogni memoria si era perduta riguardo alle sue origini; forse era un antico Gabriele recante l'annuncio, avanzo di una chiesa distrutta, o forse una Vittoria, preda simbolica di battaglie. Ma si aggirava la voce che fosse un vero angelo, che Dio aveva scacciato dal Paradiso in seguito a qualche colpa grave, e condannato alla terra. Qua, per distrarsi un poco, egli si introduceva spesso nelle case, sotto le più varie forme, e rapiva la gente, specie i fanciulli. Impossibile riconoscerlo, ad ogni modo: ma nel passare davanti alla statua, molti si segnavano in fretta e dicevano una preghiera.

Del convento faceva parte una chiesa lunga ed echeggiante, con un bianco altar maggiore elevato sotto una stretta altissima cupola, al di là di una scalinata e di una balaustra di porfido. Piccole porte rosse a doppio battente feltrato si aprivano sulle pareti laterali. Per le funzioni solenni, venivano condotti a questa chiesa i prigionieri, con un fracasso di catene.

Proprio sulla Chiesa erano le stanzette intonacate del convento, adorne di crocifissi di legno nero, di lucerne ad olio, di cerei fiori e statue coperti da campane di vetro. Alcune finestre davano su un giardino angusto, folto di verdure impolverate e sfinite dal fumo dell'incenso. Forse per i cibi un po' scipiti e la vita monotona che si faceva là dentro, Antonia cresceva poco; solo i suoi capelli erano cresciuti, tanto che a causa delle nerissime trecce attorte la sua testa pareva di una grossezza eccessiva rispetto alla persona. Ché questa a sedici anni era ancora puerile, gracile, con braccia magroline e tutta spersa nelle sottane. E il volto appariva in quel nero cerchio di trecce bianco e patito, con rare scolorite efelidi, un piccolo mento rotondo e grandi occhi bigi sotto gli occhiali. Da questi occhiali esso riceveva un aspetto dottorale e insieme gattesco, per via del naso che, minuscolo e lievemente camuso, spuntava fra le due lenti. Era, il volto, sempre interrogativo e spaurito, benché saggio. Solo il sorridere, scontroso e nello stesso tempo leggermente furbesco, gli dava una cert'aria di intraprendenza e di fuga; pareva, un simile sorridere, per dir così, pareva ogni volta tentare il primo volo.

Di rado Antonia usciva dal convento; e quando usciva, il mistero delle strade, immerse in un remoto e febbrile mormorio, la turbava, così che ella preferiva guardare costantemente le proprie scarpe nere che avanzavano in fretta. Se talvolta sollevava gli occhi, le pareva di scorgere, su per la facciata della prigione, prigionieri aggrappati alle sbarre, con avide facce pallide, teste rase, occhi neri e fissi. E spesso, udendo dietro le spalle un frastuono, credeva che l'angelo della svolta, staccati con pena da terra i suoi piedi corrosi, la seguisse, con passi affaticati e lunghi che rintronavano sulle pietre. Le due ali pesanti, aprendosi e richiudendosi, rendevano un sordo sibilo. Ed ella tratteneva il fiato, senza il coraggio di voltarsi. Ma in realtà quei fischi e rumori le venivano dal suo stesso sangue.

Nel convento, ella imparava il cucito, oltre alle faccende casalinghe e a qualche santa canzone. Talvolta veniva in visita il padre Gesuita, e senza alzar gli occhi s'informava sul suo conto, le dava consigli, e le regalava immagini. Delle tre suore, la più autorevole era Madre Cherubina, anziana, piccola e rugosa nella sua cuffietta. Era magra, con movimenti nervosi e svelti e una voce stridula che, però, nei colloqui con gli estranei e col padre Gesuita diventava eccessivamente mielata. Le sue larghe palpebre si rialzavano come cortine sugli occhi arrossati agli angoli, le narici tremolavano, le labbra avevano un ipocrita e maligno sorriso. Questa suora pareva continuamente in preda al demone dell'inquisizione, era energica e spietata e grazie a simili qualità, oltre che per l'importanza del grado, era l'addetta ai castighi. In tali occasioni, dopo aver teatralmente smaniato in una minacciosa predica, essa taceva e con un sorriso celestiale sul volto e certi gesti secchi e meticolosi afferrava Antonia per il bavero o addirittura per il collo come si fa coi gatti e la batteva sulla nuca, due o tre volte, con le sue nocche ingiallite, levigate e sonore come i grani dei rosari. Compiuta questa esecuzione, essa prendeva Antonia per mano e, severa e rigida come un giustiziere, a gran passi la traeva in una cappelluccia dove, agitando febbrilmente i polsi e stralunando gli occhi, la rinchiudeva dicendo: - Prega, figlia! Prega per i tuoi peccati! - Né Antonia piangeva, che anzi si umiliava in un sorriso contrito e ubbidiente, e quando la suora gemeva:

- Prega per i tuoi peccati! Prega! Prega! - essa balbettava:

- Sì, madre.

La seconda, Suor Affabile, era una creatura misteriosa. Altissima e diritta, con un pallido viso regolare, la bocca molle ed esangue, parlava poco, non rideva mai e il suo passo non aveva suono. Quando appariva sulla soglia, anche se veniva dalla prossima stanza, sempre aveva l'aspetto di chi arriva da molto lontano e ha lasciato qualche cosa indietro. Per annuire, chinava appena i cigli, e il gesto della sua mano era così maestoso e languido che dava un senso di riposo. Anche la sua voce, sebbene ella dicesse cose molto comuni e semplici, era trasognata, come quella di chi dorme, e ad ascoltarla ci si sentiva lentamente rapire a ogni memoria.

Suor Maria Lucilla, la terza, che si occupava della cucina e degli altri servizi, era piccola e tondeggiante, piena addosso di odori casalinghi, e nel camminare muoveva i fianchi al modo delle galline. Aveva occhi azzurri, bocca vermiglia, un viso grasso e bianco che pudicamente si macchiava di rossori, e le mani corte e rosse, ognuna con cinque fossette sul dorso. Rideva spesso, e il suo doppio mento ne tremolava con dolcezza; e spesso anche piangeva, e allora il suo viso tutto impiastricciato faceva smorfie patetiche. Questa suora, di nascosto, cuciva per Antonia delle belle camicine celesti, e le ricamava anche, con disegni adatti, quali di colombelle bianche con becco e zampette rossi, e di fiorellini, per lo più casti gigli, con gli stami di filo giallo in cima al calice. - Oh, le belle palombe! - esclamava Antonia giungendo le mani, - oh, le belle foglie! - E tu portale sai, - raccomandava Suor Maria Lucilla, in segreto, - perché, va bene i vestiti neri e le scarpe grosse; eh, sì, queste cose, tutti le vedono, come il contegno. Ma, le camicine, chi le vede? Nessuno, fuorché Nostro Signore Iddio. E allora, che peccato vuoi che ci sia a portarle belle e di colore? Anzi, sarà tutto contento, il Signore, a vederne di così ben fatte e ricamate, che si portano in onor suo. Guardate qua. Ma che non lo sappia Madre Cherubina.

Tale era la vita di Antonia fra le monache. Ora avvenne che un giorno, avendo ella nel fare le faccende urtato e rotto una santa lucerna, fu acerbamente punita da Madre Cherubina. Scandalizzata e fanatica, additandola allo sdegno del cielo con una enfasi fiammeggiante, la Suora nocchieruta la rinchiuse infine dentro la solita cappella, e pronunciò la condanna, mentre un acre piacere le inumidiva gli angoli della bocca. - Resterai qui tutto il giorno, - impose levando in alto le pupille, - e scenderai solo per le funzioni. Prega, figlia, prega!

La cappella era una semplice stanzetta quadra, intonacata, col soffitto a volta, e dava sul giardino per una vetrata ogivale. Su questa era istoriata una scala di tre angeli musicanti, che si levavano ciascuno più in alto, il primo con la tromba, il secondo con l'arpa, il terzo con la mandola. Tutti avevano lisce ed auree capigliature, i piedi nudi, e differivano solo nella veste, che il primo portava di un colore di foglia secca, il secondo vermiglia, il terzo turchino cupo. Passando attraverso questi colori la luce di ponente si posava sul soffitto bianco e sui lini dell'altare come un arcobaleno. E dentro, raggi sottili vi facevano una piana e alata festa, mescendosi con l'argento dei voti e il viola dei giacinti in tale ardore innocente, che ci si perdeva nel goderli, quasi volando in quella felice nube.

Senza pensar troppo a quello che faceva, Antonia, invece di inginocchiarsi, si sedette sull'inginocchiatoio di legno scolpito, e, per consolarsi nella solitudine, rimase a contemplare quel concerto degli angeli. Essa, pateticamente, sperava che da un momento all'altro per miracolo i loro strumentini si accordassero in una sonata vera, che le facesse trascorrere in letizia tutto il giorno; forse già la udivano le faville, che danzavano così beate. A questa idea, le lagrime trattenute cominciarono a scenderle sulle guance, ed ella si preparava con ghiotto abbandono ad un lungo desolato singhiozzare, quando, proprio sul principio, fu interrotta dalla campana dei Vespri, che rintoccava dal basso come dal fondo di un'acqua cupa e scintillante. Antonia si stupì che già tanto tempo fosse trascorso senza che ella se ne accorgesse; le pareva che si fosse appena rinchiuso l'uscio dietro la nera sottana di Madre Cherubina. Ma in fretta ringoiò il singhiozzo, si asciugò gli occhi, e, rimandato a più tardi quel pianto, si preparò a scendere.

La grande Chiesa di pietra grigia, solennemente parata e drappeggiata, era ancor piena della luce del giorno. Sugli scarsi inginocchiatoi alcune persone dimesse si segnavano in silenzio, con gesto compunto e grave. Anche il prete, ritto al di là della balaustra, taceva, e, volgendo la fronte all'altare, nella ricca stola listata d'oro, levava in alto le braccia. Allora Antonia si diresse all'inginocchiatoio più bello, coperto di un broccato rosso e di un merletto bianchissimo, che si usava di solito per il rito delle nozze. E, chinato il capo, congiunse le mani; ma sogguardando le pareti della Chiesa, vide che da una delle porticine laterali entrava in quel momento Suor Affabile. Dignitosa e alta, senza muovere il pallido viso, ella recava in mano un piccolo tabernacolo d'oro massiccio, coperto a mezzo da un lino, e camminava in quel suo solito modo assorto, quasi di dormiente. Si accostò dunque ad Antonia inginocchiata e si curvò appena su lei, alzando la mano in un leggerissimo cenno, e guardando in basso con una grazia ammonitrice fatta di arguto mistero. Antonia subito ubbidì, e la seguì attraverso la navata, che Suor Affabile percorreva in silenzio, movendo insensibilmente la sottile e nobile anca. Arrivate alla sacrestia:

- Eccola, - disse piano Suor Affabile, e piegò i cigli, e subito la sua veste nera strisciò via. E Antonia fece un timido inchino ed un sorriso malsicuro ad un signore che, seduto alla tavola della sacrestia, pareva aspettarla.

Dico «un signore», benché si trattasse appena di un giovinetto malvestito in abito borghese. Ma devo in qualche modo esprimere il senso di straordinaria riverenza e gratitudine dal quale Antonia fu presa appena lo vide. - Come sei giovane! - mormorò stupita, e questo perché non ebbe il coraggio di confessare: - Dio, come sei bello! - In realtà, mai viso umano le era apparso così giovane, né tale da potersi paragonare a questo. I lunghi occhi erano come due giacinti, e una simile bocca, nel ridere, tutta si intenerisce e s'infiora. Con grave attenzione egli osservava Antonia, ordinandole di rigirarsi; e pareva contento, perché incominciò a ridere. Poi le disse: - Andiamo, togliti codesti occhiali.

Ella ubbidì, imporporandosi. - Vuoi che usciamo? - egli propose, e si alzò. Ma ella balbettò: - Se passeremo dalla Chiesa, le monache ci vedranno -. L'altro finse per un attimo di essere sopra pensiero: - Si può volar via, - disse infine, - volarsene dalla finestra, - e rise a un tratto a gola spiegata, un riso di sfida, amaro. Ma poi, ridivenuto serio, le aprì l'uscio della sacrestia: - Di qua si esce, - affermò rassicurante. E infatti, quell'uscio dava proprio sulla strada. - Se incontrassimo, - ella bisbigliò, - le suore? - Diremo, - egli rispose alzando una spalla, - che sono tuo fratello. Non siamo tutti fratelli in Dio? - E qui di nuovo rovesciò la testa indietro, e rise verso l'alto, selvaggiamente. Antonia chiese, sbigottita: - Ti beffi del Signore? - e si fece il segno della Croce.

Ma in verità, guardandolo, ora, non ne provava che compassione. Si accorgeva che quei suoi occhi erano commossi e offuscati, e che a momenti le labbra si piegavano in una smorfia di delusione e disgusto. Inoltre, egli camminava a stento, come chi trascina un peso, ed era pallido:

«Oh, figlio mio!», pensò Antonia. E non sapendo che cosa dirgli, suggerì: - Non passiamo per Via dell'Angelo?

- So io la strada, - egli rispose rabbuiato, guardandola di sbieco con uno strano sguardo vile: - Dammi la mano, - aggiunse bruscamente. C'era nella via che percorrevano una luce di crepuscolo che, ad ogni passo, sempre più calava nella notte. Ed essi andavano giù per una stretta scala tortuosa, addentrata in mezzo alle case che nell'aria quieta si perdevano altissime. Dalle innumeri finestre si vedevano lampade accendersi, ombre notturne gesticolare, e si udivano voci sommesse e stridule, simili ad un brusio di foglie secche. Poi le finestre si chiudevano ad una ad una con un fracasso attutito, si smorzavano le lampade, le pareti si alzavano intorno opache, e nell'infittirsi della tenebra cessava ogni rumore, soltanto, come un lento, remoto fiume, fluiva il respiro del sonno. Ella non aveva mai saputo prima che la città sprofondasse in così neri vicoli, né aveva il coraggio di esprimere i suoi dubbi, ma le sfuggi un sospiro. - Che c'è? - egli chiese subito. E attirandola a sé per rassicurarla; - La mia casa, - disse con un tono mortificato, piuttosto tremante, - la mia casa è un po' fuori mano, vero?

- Oh, no, - ella si affrettò a rispondere, invasa da un subitaneo senso di colpevolezza e di rimorso. Sempre più nella lunghissima discesa egli pareva stanco, nell'ombra si sentiva il suo passo ancora appesantito, e l'affanno del suo respiro. «Riposati un poco», ella avrebbe voluto dirgli; ma al termine di viottoli viscidi e contorti, finalmente egli mormorò esausto: - Siamo arrivati, - e si fermò davanti ad un usciolino verde, ammuffito, traendo una grossa e rugginosa chiave di ferro.

Così, attraverso un angusto corridoio, entrarono in una stanzetta dal soffitto basso in pendenza, nella quale per la finestra a vetri si diffondeva un chiarore notturno. A capo del letto, che era di ferro, coperto da una coltre logora, egli accese una lampada, illuminando scarsamente il pavimento di mattoni sconnessi, e nell'angolo della parete stinta e chiazzata di umidità un lavamani slabbrato accanto ad una sedia di paglia. Egli si sedette sul letto, per riposarsi; pareva infatti sbigottito dalla stanchezza, le sue labbra impallidivano e ne usciva un fiato che bruciava di febbre. - Perché oggi piangevi? - le chiese dopo un poco.

- Perché, - ella spiegò, - Madre Cherubina mi aveva offeso.

- Vergogna, - egli osservò sdegnato, - una suora che offende la gente -. E scosse la testa. - Bisognerà pure, - prosegui, - che io ti tolga le scarpe. Sono tutte impolverate -. E premuroso, si curvò. Su ogni cosa che vedeva, s'incuriosiva e commentava: - Che scarponi, - diceva, - che calze lunghe -. A un tratto, tutto rianimato e felice, prese a ridere. - Oh, che piedi piccoli, - gridò. - E che paura hanno! Come sono bianchi. Sembrano coniglietti. Non nascondetevi. Tu, lasciamici giocare. Ora, - dichiarò grave e deciso, - dobbiamo fare l'amore -. E devotamente rinchiuse i due piedi nel pugno.

- Mi togli anche la veste? - ella domandò, vermiglia e senza fiato. - Sì, - egli disse, e girando gli occhi spensierati faceva grandi feste, e il suo viso prendeva colore. Pareva che egli fosse già esperto di tutte le asole e i ganci che fermavano i panni di Antonia, tanta era la bravura con cui le sue mani li ritrovavano e sfilavano le gonne. Ma disapprovando si beffava di quel nero; quando però giunse alla carnicina, divenne raggiante in viso per l'ammirazione:

- Questa si mi piace, - disse con un sorriso. - Oh, come è bella! E pure lavorata. E quante figure. Questi in fila che cosa sarebbero? Dei sonagli?

- No, - ella spiegò, - sono dei gigli di Sant'Antonio.

- Gigli. È vero. E chi te l'ha cucita?

Con orgoglio, ella rispose che era stata Suor Maria Lucilla; ma quel fanciullo parve di nuovo disapprovare, e la sua fronte si corrugò: - Vergogna, - disse infine, - una suora che cuce camicine per le ragazze. Una suora, - sentenziò, - deve cucire le pianete -. Antonia tacque, umiliata; ma subito l'altro parve dimenticare il suo rimprovero, e in uno splendido riso d'amore levò il volto: - Quanto sei bella! - le disse.

Chinando il capo: - Ho già il petto, - ella mormorò, compiaciuta. Egli la osservava, e, quasi pauroso di sciuparla, quando le sollevava la treccia subito lasciandola ricadere, quando col dito appena le sfiorava un piede. E confuso, a mezza voce, ripeteva parole interrotte quali: - Come sei gentile. Come sei bianca. Ora, - chiese arrossendo per timidezza, - devo spogliarmi anch'io?

- Sì, se tu vuoi, - ella disse piano. - Magari, - propose, - io mi volterò dall'altra parte, starò, ecco, alla finestra -. E si avviò alla finestra, senza più vergogna, anzi compiacendosi in segreto d'esser nuda, e levando sulle punte dei piedi il corpo sottile e candido. Si vedeva al di là dei vetri una valle deserta piena di un lontano misterioso chiarore, e Antonia, come una canna sul fiume, si specchiò in quella verde notte. Ma guardando alla montagna che chiudeva la valle, in cima ad inaccessibili alture, scorse a picco una casa solitaria, ricca di torri e contrafforti, allungata da altissime guglie, e che attraverso le pareti ferrigne e le vetrate lasciava tralucere splendori mattutini. Esaltati da queste luci, da ogni parte ne fuggivano voli come di rondini intorno ai nidi. Nessun'altra casa appariva di là, e tale fu lo stupore di Antonia, che stava per cadere in ginocchio:

- Che cosa è quel palazzo che si vede? — domandò a voce bassissima, perduta nel contemplarlo. - È forse una Chiesa? una Cattedrale? - Non è una Chiesa, - rispose bruscamente l'altro alla sua domanda, con una voce affannosa e rauca che pareva salire da un sotterraneo. Intimidita e turbata: - E quei milioni di ali, - proseguì Antonia più piano, - sono tutte rondini? E sono... d'oro?

- Non sono rondini, - rispose l'altro in fretta, in una specie di rabbioso singhiozzo. E faticosamente si accostò, e levò in alto verso quella casa il volto disfatto con uno sguardo di cui non si può esprimere l'orrore: esso era pieno del più infuocato desiderio, e assolutamente vuoto di speranza. Poi con uno sforzo adirato, che parve colmarlo di malessere e di amaro disgusto, egli torse gli occhi di lassù, e guardò in basso; ma irrequieto si agitava per la stanza, come un uccello che starnazzi in gabbia. - Non mi parlare di quella cosa, - esclamò infine fermandosi dinanzi ad Antonia e fissandola quasi con odio, - possibile che tu non sappia tacere? - Ella imbarazzata e spaurita si nascondeva, avrebbe voluto indietreggiare sempre più nel buio e cercava di coprirsi con le braccia, tanto ora si vergognava del suo corpo. - Non parlerò più, - bisbigliò umilmente, - se credi rimarrò sempre senza parlare seduta in quell'angolo, purché mi lasci qua -. Egli scosse più volte il capo, e intanto seguitava a spogliarsi sforzandosi di non guardare alla finestra, mentre gli occhi di Antonia s'ingrandivano per l'adorazione e la meraviglia: - Come sei giovane! - ripeté in una sommessa estasi. Di colore chiaro e fresco, di gentili forme allungate, il corpo di lui stava nella quieta luce notturna come un fiore nell'acqua di un lago. Certo non fu mai visto un così amoroso fiore; ma nell'abbassare gli occhi, Antonia rabbrividendo si accorse che le due caviglie erano strette da grosse e pesanti catene di ferro. Un tempo queste due catene dovevano essere saldate l'una all'altra, ancora si scorgeva il punto in cui l'anello era stato spezzato:

- Ma tu sei... - ella cominciò piena di paura.

L'altro arrossi violentemente, invaso dall'angoscia: -Zitta! - la interruppe con un gesto impaziente, e, con un grido di sgomento fanciullesco, avvilito cercò di nascondersi nel buio. Anche questa volta, ella provò un rimorso oscuro e atroce: - Perdonami, - supplicò pietosamente. Allora egli si accostò, in un sorriso confuso pieno di mitezza, e le prese la mano: - Vuoi, - propose, incerto, - che andiamo a letto? Vuoi... dormire?

- Sì, - ella disse. E insieme si distesero. E Antonia, che come un rifugio cercava il petto di lui, fu incantata dal profumo della sua pelle; essa odorava d'infanzia e di giardino, come le erbe che nascono. Specie nella gola, tale odore si faceva ancora più tiepido e ingenuo: - Mi piace tanto, - ella disse con un timido sospiro, - di riposare vicino alla tua spalla. C'è un profumo più buono dei fiori. Non credevo che un simile profumo potesse esistere. Lasciami riposare un poco -. E la sua faccia si annidò sotto il mento di lui. - Dormi, andiamo! - egli le disse, - oppure fingi di dormire. Intanto io ti accarezzo con la bocca. Fa' come se dormissi, come se fossi inanimata -. Ella chiuse gli occhi, e giacque ferma, raccogliendo in sé tutti i suoi spiriti, e trepidando si lasciava toccare sul viso dalla bocca dell'altro, che ancora scottava di febbre. Ogni tanto egli si fermava, forse per guardarla, e aveva un affettuoso e sommesso ridere. Ed ella pensava: «Oh, mio caro!» Ma se appena lei levava le palpebre, infuriandosi lui scuoteva il volto deluso, e la esortava ansiosamente a dormire. Così giacendo, Antonia sentì quella carezza attenuarsi via via, diventando una minima blandizie, quasi appena l'alitare di un fiato; e poi perdersi del tutto in uno stanco respiro. Finalmente osò aprire gli occhi, e vide che il suo ospite si era addormentato; e allora si accorse che quel viso, di cui nessuno potrebbe esser più giovane, appariva alla luce tutto umiliato, quasi da percosse. E dal mento al pallore della fronte, l'ostinazione e il fiammeggiare di un empio orgoglio erano vinti dai segni di una stanchezza sconsolata, di un pianto irrimediabile. Quel fanciullo faceva davvero pensare ad un insetto luminoso a cui bruciarono il lume, e che batte cieco da un'ombra all'altra.

Antonia rimase a mirarlo, intenta e smarrita, studiando uno ad uno, con impegno estremo, quei solchi astrusi e tragici. Poi, pensando, scese in silenzio dal letto e si accostò alla finestra; e volgendo il viso per non guardare di fuori, ne chiuse ermeticamente gli sportelli. Alquanto sollevata, si aggirò ancora in punta di piedi nella stanzuccia, ripiegando con cura sulla sedia gli abiti sparsi; ma nel momento di insinuarsi nuovamente sotto le lenzuola, fu punta da un penoso sospetto. Credette, cioè, d'indovinare perché il suo compagno desiderava che lei dormisse; forse lui voleva, di nascosto, nella notte, alzarsi e lasciarla per sempre. E lei, al risveglio, sarebbe rimasta come prima, sola.

Allora, con un piccolo e selvaggio sorriso, preso un capo dello spago che le legava la treccia, Antonia lo annodò attorno al polso inerte dell'altro. Con un simile accorgimento, sarebbe stata avvertita, anche nel sonno, di ogni movimento di lui. Ora poteva addormentarsi in pace, e già infatti con un dolce murmure risaliva lungo un sonno che era come una vertiginosa, girante scala. E al piede, laggiù, si vedeva Suor Maria Lucilla, con la faccia tutta stravolta, che singhiozzava, versando compunta lagrime grosse come acini d'uva. E cuciva pianete.

Inizio