3.
All’una e mezzo di quella luminosa domenica, Antonio Carella si sentiva pronto a sparare a sua moglie, strangolare suo figlio, diseredare la figlia e mandare al diavolo il matrimonio.
Per prima cosa Tony doveva pagare tutto quello che c’era da pagare per la cerimonia e il ricevimento. Quella era la prima volta, e per grazia di Dio anche l’ultima, che si celebravano le nozze di una sua figlia femmina. Quando si era sposato Steve, erano stati i parenti di Teddy a pagare per i festeggiamenti. Ma questa volta toccava a lui, e Tony si era accorto che il matrimonio gli sarebbe costato, a occhio e croce, il guadagno di sei mesi di lavoro.
I ladri piú colossali erano quelli della Wedding-Fetes Incorporated e Tony aveva la mezza intenzione di chiedere a Steve di arrestarli tutti. Erano arrivati nella casa di Charles Avenue alle nove del mattino (dopo che Tony era rimasto in piedi tutta la notte a preparare il pane per la domenica) e avevano fatto di tutto per trasformare il giardino di casa Carella in un terreno terremotato. La casa dei Carella era piccola, ma il terreno sul quale sorgeva era forse il piú vasto di tutta la strada e si estendeva dietro la costruzione per un lungo rettangolo che raggiungeva il vicino gruppo di case. Tony era molto orgoglioso del suo giardino. C’era perfino una pianta di vite che avrebbe vinto qualsiasi confronto con quelle della sua città natale, Marsala. Curava personalmente e con amore anche alcuni alberi di fichi, che durante l’inverno avvolgeva con teli di protezione. E adesso quelli della Incorporated trafficavano sul suo terreno disponendo i tavolini, quelle stupide bandierine, i vasi di fiori e…
– Louisa! – urlò, chiamando la moglie. – Perché diavolo non abbiamo affittato una sala? Perché diavolo dobbiamo tenere qui il ricevimento? Una sala è andata bene per me e te, e anche per mio figlio. Ma Angela deve avere un ricevimento all’aperto! Quei disgraziati mi stanno massacrando la vite e i fichi. Roba da matti. Matti!
– Zitto! – rispose Louisa Carella in tono affettuoso. – Sveglierai tutti.
– Sono già svegli, – ribatté Tony. – E poi in casa ci siamo soltanto tu, io e Angela. E lei non sta dormendo di sicuro, visto che si deve sposare.
– Ti sentiranno i fornitori.
– Per quello che li pago ho il diritto di farmi sentire da loro, – protestò, e brontolando andò a vedere che cosa stavano combinando nel suo giardino e a supervisionare i tavoli, la pedana per la musica e quella per le danze. Scoprí in tal modo che erano degli strani tipi. Non solo stavano trasformando il suo bel giardino in una specie di set hollywoodiano tipo Il padre della sposa (con la partecipazione straordinaria di Antonio Carella, pensò cupo) ma stavano perfino costruendo una statua di ghiaccio alta quattro metri rappresentante una sirena, e dietro di essa un’altra scultura, anche questa di ghiaccio, rappresentante una barca, sarebbe servita a tenere fresche le bottiglie di champagne. Tony pregò Dio di non mandare un sole troppo forte, quel giorno, perché con gli occhi della fantasia vedeva la sirena colare tutta nella barca e mescolarsi allo champagne facendolo diventare acqua minerale.
All’una arrivarono suo figlio e sua nuora.
Steve era un ragazzo sul quale Tony aveva sempre contato. Prima di andare nell’esercito, Steve di notte lavorava al forno, anche se di giorno doveva studiare. Sí, di Steve ci si poteva sempre fidare. Ma quel giorno, San Giacinto di California, anche Steve aveva congiurato contro di lui! Quel giorno, quando già c’erano quei pazzi che stavano distruggendo il suo giardino, quando già c’era Angela che vagava per la casa come una gallina senza testa, quando tutto il mondo di Antonio Carella stava sgretolandosi e crollandogli attorno, suo figlio Steve era arrivato con tre ospiti in piú! Non che a Tony importasse granché di una spesa supplementare. Per carità, di questo non gli importava affatto. Voleva dire soltanto che avrebbe lavorato altri quattro mesi al forno per coprire la nuova spesa. Ma bisognava dire a quelli della Incorporated che c’erano altre tre persone e che bisognava sistemarle rivoluzionando i tavoli. Steve era stato molto categorico su questo punto. No, lui non si sarebbe messo allo stesso tavolo dei suoi amici. E anche loro non dovevano stare insieme. No, bisognava metterli uno qua e l’altro là. Lui invece si sarebbe messo lí. Pazzo! Suo figlio era pazzo come tutti gli altri.
E il piú alto dei suoi amici poi, quello con la ciocca bianca fra i capelli! Mamma mia, avrebbe spaventato tutte le ragazze di Riverhead. E Tony avrebbe giurato di aver visto una rivoltella sotto la giacca di Testarossa quando si era chinato per allacciarsi una stringa. Una grossa rivoltella nera assicurata al fodero sotto l’ascella! Va bene che suo figlio era un poliziotto, ma perché mai i suoi amici dovevano portarsi dietro i cannoni quando andavano a un pacifico matrimonio cristiano?
E poi Angela aveva cominciato a dare i numeri. All’una e un quarto, esattamente un’ora e quarantacinque minuti prima del matrimonio, aveva preso a piangere come se la stessero scotennando. Louisa era corsa da basso torcendosi le mani.
– Steve, – disse la signora Carella, – vai su da tua sorella. Dille che andrà tutto bene, per l’amor di Dio. Vuoi andare? Vai, Steve. Vai da tua sorella.
Tony guardò suo figlio salire le scale. I singhiozzi provenienti dalla camera da letto del primo piano non smettevano. Al pianterreno Tony stava seduto in compagnia della nuora, pensando che ormai mancava pochissimo alla povera Teddy per mettere al mondo il bambino. Con loro c’erano i tre sconosciuti, il signor Hawes, il signor Kling e la signorina Maxwell. Lui beveva vino e si sentiva disposto a sparare a sua moglie, strangolare suo figlio, diseredare la figlia e mandare al diavolo quell’accidenti di matrimonio!
Continuò a fremere e ad agitarsi finché Teddy non posò una mano sulle sue. Allora si rivolse alla nuora e le sorrise, le fece un cenno rassicurante con la testa, frenò l’agitazione delle mani e si augurò che Dio gli permettesse di sopravvivere a quella giornata e che tutto andasse bene.
Nel corridoio, davanti alla camera della sorella, Steve ascoltava Angela piangere al di là della porta. Bussò leggermente, e aspettò.
– Chi è? – domandò Angela, con la voce rotta.
– Sono Steve.
– Che cosa vuoi?
– Entrare. Apri, Scricciolo.
– Vai via, Steve.
– Ah, no! Non riuscirai a cacciarmi via. Sono un funzionario di polizia incaricato di indagare su un caso di disturbo alla quiete pubblica –. Steve non ne fu molto sicuro, ma gli parve di sentire una mezza risatina dall’altra parte della porta. – Scricciolo? – chiamò.
– Cosa vuoi?
– Devo proprio buttarla giú a calci?
– Oh, aspetta un momento! – disse Angela. Steve sentí dei passi leggeri accostarsi alla porta. La chiave venne girata dall’interno, ma Angela non aprí il battente. Sentí i suoi passi che si allontanavano e poi le molle del letto lamentarsi. Steve aprí ed entrò. Angela stava distesa sul letto, con la faccia nascosta nel guanciale. Era in sottoveste, coi capelli neri sparsi sulle spalle, in disordine. La sottoveste un poco rialzata mostrava un elastico del reggicalze.
– Abbassa il vestito, – disse Carella. – Stai mostrando tutto.
– Non è un vestito, – rispose Angela. – È una sottoveste. E io non ti ho chiesto di guardare –. Ma si affrettò ad abbassare il piú possibile l’indumento.
Carella sedette ai piedi del letto. – Raccontami cosa succede.
– Niente. Non c’è niente, – ribatté Angela. Poi si mise seduta fissando gli occhi scuri sul fratello. Erano occhi sorprendentemente orientali in un viso dagli zigomi alti. Si somigliavano molto e la stessa tinta scura della pelle testimoniava di scorribande arabe in Sicilia in un lontano passato. – Non voglio sposarlo, – disse. – È questo il guaio.
– E si può sapere perché?
– Non lo amo.
– Oh, porca miseria!
– Non mi piacciono le imprecazioni, Steve! E tu lo sai. Non sono mai stata capace di imprecare nemmeno quando eravamo ragazzi. Tu lo facevi sempre, apposta per farmi arrabbiare, insieme alla storia delle mutandine di cotone.
– Era vero che le portavi di cotone, – ribatté Carella.
– Ma non è bello dire a una ragazzina di tredici anni che non è una vera ragazza perché porta quelle cose di cotone!
– Ti volevo indirizzare sulla strada della maturità. È vero o no che dopo le mie battute hai chiesto alla mamma di comprartene un paio di nylon?
– Sí, ma lei si è rifiutata.
– E ha fatto bene.
– Però tu mi hai messo addosso un complesso d’inferiorità!
– Soprattutto ti ho schiuso una visione sul misterioso mondo della femminilità, – commentò Carella.
– Oh, porca miseria, – disse Angela, e Steve rise. – Non c’è niente da ridere, – protestò lei. – Io non lo sposerò. Non mi piace niente di lui. È persino peggiore di te! Impreca di piú. E poi… – s’interruppe. – Steve, ho paura. Non so cosa mi stia succedendo, ma sono terrorizzata.
– Su, andiamo! – disse Steve prendendo la sorella fra le braccia e accarezzandole i capelli. – Non c’è niente di cui aver paura.
– Ma Steve, lui ha ammazzato della gente!
– Anch’io.
– Lo so, ma… Lo sai che questa notte saremo soli? Soli in uno dei piú grandi alberghi del mondo… Proprio in questa città! E io non conosco niente dell’uomo che sto per sposare. Come posso permettergli di… di…
– La mamma non ti ha detto proprio niente, Scricciolo?
– Sí. Ho parlato con la mamma.
– E che cosa ti ha detto?
– Ha detto: «Quando si ama non si deve aver paura di niente».
– Ha ragione.
– Lo so, ma io non sono sicura di amarlo.
– La pensavo anch’io cosí, il giorno del mio matrimonio.
– Steve, ti ricordi quella sera? Avevo sedici anni e tu eri poliziotto da pochissimo. Ti ricordi? Io ero appena tornata a casa e stavo seduta qui a bere un bicchiere di latte prima di andare a dormire. Tu eri stato di turno dalle quattro a mezzanotte e quando sei tornato a casa, ti sei fermato a bere latte con me.
– Sí, mi ricordo.
– La luce in casa del vecchio Birnbaum era accesa. Dalla finestra potevamo vederla.
Steve guardò verso la finestra dalla quale, oltre il vasto terreno appartenente ai Carella, si poteva vedere la casa di Joseph Birnbaum, il piú intimo amico di Tony Carella e loro vicino da quarant’anni. Steve ricordava benissimo quella notte di primavera, con le cicale che frinivano nel buio, la luce accesa all’ultimo piano in casa Birnbaum, la sottile fetta di luna appesa sopra il tetto inclinato della casa.
– Io ti ho detto che cosa mi era successo quella sera, – riprese Angela. – Ti ho parlato del ragazzo con il quale ero uscita e di… di quello che lui aveva tentato di fare.
– Sí, mi ricordo.
– Non ho mai parlato alla mamma di quella storia, – disse Angela. – Tu sei l’unico al quale l’abbia detto. Ti ho chiesto se… se succedeva sempre cosí, se dovevo aspettarmi la stessa storia da tutti i ragazzi con i quali avessi accettato di uscire. Volevo sapere come dovevo comportarmi. Ti ricordi che cosa mi hai risposto?
– Sí, – disse Carella.
– Mi hai detto che dovevo fare soltanto quello che ritenevo giusto. E hai aggiunto che avrei capito da sola che cos’era giusto –. Angela fece una pausa, poi riprese: – Steve… io non ho mai…
– Tesoro, devo chiamare la mamma?
– No, voglio parlare con te, Steve. Io non so cosa fare questa notte. So benissimo che questo è molto stupido. Ho ventitre anni, ormai, e dovrei sapere come comportarmi, invece non lo so, e ho una gran paura che mi non mi amerà piú, che rimarrà deluso, che…
– Ehi, ferma il disco! Su, che cosa vuoi da me?
– Che tu mi dica cosa devo fare!
Carella la fissò negli occhi e le prese le mani. – Non posso, Scricciolo, – le disse.
– Perché?
– Perché tu non sei piú una bambina con le mutandine di cotone, e nemmeno una ragazza sgomentata dal suo primo bacio. Sei una donna, Angela. E non c’è uomo al mondo che possa dare a una donna istruzioni sull’amore. E poi non credo che ne avrai bisogno, tesoro.
– Credi che… che andrà tutto bene?
– Penso che andrà benissimo. E penso anche che se non ti sbrighi a vestirti, mancherai al tuo matrimonio.
Angela annuí con aria seria.
– Forza, dunque, – disse Steve. – Sarai la piú bella sposa che si sia mai vista in questo quartiere –. Steve Carella l’abbracciò, si alzò e si diresse alla porta.
– Teddy… era spaventata? – domandò Angela.
– Ti darò un consiglio fraterno, – rispose lui. – Non ti dirò affatto se Teddy era spaventata o incerta o sicura di sé o chissà cos’altro. E non te lo dirò perché il matrimonio è una faccenda strettamente privata, Angela, una faccenda costruita sulla fiducia piú di qualsiasi altra cosa. Tutto quello che accadrà fra te e Tommy, questa notte o in qualsiasi altro momento, dovrà riguardare soltanto te e lui, e nessuno deve saperne niente oltre a voi due. Questo è il lato piú terribile del matrimonio, ma è anche molto rassicurante –. Tornò accanto al letto e ancora prese tra le sue le mani della sorella. – Angela, non ti devi preoccupare, – aggiunse. – Tommy è pazzo di te. Ti ama, tesoro, ed è un bravo ragazzo. Hai scelto bene, credimi, sorellina.
– Anch’io lo amo, Steve. Soltanto…
– Soltanto niente. Che cosa diavolo vuoi? Una dichiarazione su carta da bollo che la vita è un bel cestino di ciliegie candite? Be’, non è cosí. Ma tu possiedi una lavagna pulita, sulla quale puoi scrivere le cose migliori –. Sorrise. – Non puoi sbagliare, vedrai.
– Okay, Steve, – disse lei, approvando energicamente con la testa.
– Incominci a vestirti?
– Sí.
– Brava.
– Però sei un po’ mascalzone a non volermi dare nemmeno una spintarella.
– Non sono un mascalzone. Sono un fratello affezionato.
– Mi sento meglio, Steve. Grazie.
– Per che cosa? Su, vestiti. A proposito, il tuo reggicalze è molto bello.
– Vai al diavolo, Steve, – gli strillò Angela e lui si chiuse la porta alle spalle, ridendo.
Si chiamava Ben Darcy.
Aveva ventiquattro anni, occhi azzurri e un sorriso attraente. Indossava un abito di lana blu. Attraversò il giardino a passi lunghi e si fermò davanti al portico dove Tony Carella stava seduto con i suoi ospiti.
– Buongiorno, – disse. – Che traffico, qui da voi! È agitato, signor Carella?
– Guarda un po’ cosa mi hanno combinato, – rispose Tony guardando il giardino che pareva trasformato in un’unica distesa di tovaglie bianche. – Sei in anticipo, Ben. Il ricevimento comincerà soltanto alle cinque.
– Ma la cerimonia è alle tre. Non crederà che voglia mancare al matrimonio di Angela, per caso.
– Penso che probabilmente sarà lei a mancare! – commentò Tony. – Conosci mia nuora Teddy? Teddy, questo è Ben Darcy.
– Mi pare di averla già vista, signora Carella, – disse Ben, e Teddy accennò di sí. Le reni la tormentavano. Avrebbe voluto chiedere una sedia a schienale rigido, ma sapeva che Tony le aveva dato la poltrona piú comoda e non voleva offenderlo.
– E questi sono amici di Steve, – aggiunse Tony. – La signorina Maxwell, il signor Hawes e il signor Kling.
– Chiamatemi Ben, – disse il giovane stringendo le mani che gli venivano tese. – Conosco tutti i Carella da cosí tanto che mi sembra quasi di essere della famiglia. Posso esserle utile in qualche cosa, signor Carella?
– In nulla, grazie, Ben. Solo cerca di stare alla larga da quei tipi che mi stanno sconvolgendo la casa. Per piazzare quattro tavoli e poche altre cianfrusaglie, mi hanno ridotto sul lastrico!
– Il signor Carella è l’uomo piú ricco del quartiere, – disse Ben sorridendo. – Lo sanno tutti.
– Oh, certo certo, – disse Tony.
– Quando eravamo bambini ci dava le caramelle passandocele dalla porta posteriore. Ma poi, quando siamo cresciuti, ha cominciato a pretendere i soldi. Niente piú caramelle gratis, adesso! – commentò Ben stringendosi nelle spalle.
– Questo era una specie di Esercito della Salvezza per la gola di tutto il vicinato inferiore ai dieci anni, – disse Tony. – Un giorno mi sono accorto che se ne andavano circa cinquecento caramelle la settimana, per via dei bambini che venivano a bussare alla porta posteriore! Mi è persino venuto in mente che fossero i genitori a mandarli a succhiare il sangue del povero Tony Carella. Da quel giorno, niente piú caramelle senza contanti. Non si fa credito nel mio negozio.
– Non dategli retta, – ribatté Ben Darcy. – Basta raccontare una storia commovente e a Tony Carella spuntano subito i lacrimoni e diventa disposto a dar via tutta la bottega!
– Certo, certo. Sono la Fondazione Rockefeller, io. Lavoro per ordine del medico!
Ben sorrise, poi domandò: – Anche i signori hanno una panetteria?
Prima di rispondere Kling guardò Hawes. Seduto lí tranquillamente, con la testa rossa al sole e la ciocca bianca che spiccava nettamente tra la fiamma dei capelli, Hawes poteva sembrare tutto tranne un fornaio.
Il poliziotto captò l’occhiata di Kling e disse: – No, non abbiamo una panetteria.
– Ah, già, – disse Ben. – Siete amici di Steve, vero?
– Sí.
– Siete poliziotti?
– Noi? – disse Hawes. Rise in modo convincente. – Nemmeno per sogno!
Teddy e Christine lo guardarono stupite ma non lasciarono trapelare il loro sbalordimento.
– Siamo agenti teatrali, – mentí spudoratamente Hawes. – Hawes e Kling. Forse avete sentito parlare di noi.
– No, mi dispiace.
– Già. Agenti teatrali, – ripeté Hawes. – La signorina Maxwell è una nostra cliente. Un giorno questa ragazza diventerà una grande stella.
– Davvero? – disse Ben. – Che cosa fa, signorina Maxwell, canta?
– Io… – cominciò a dire Christine, e poi s’interruppe.
– È una danzatrice esotica, – spiegò Hawes per lei, e Christine lo fulminò con un’occhiataccia.
– Esotica? – ripeté Ben.
– Fa lo spogliarello danzando con un serpente, – disse Hawes. – Abbiamo cercato di convincere il signor Carella a farla esibire per rallegrare il ricevimento, ma lui non crede che sia una buona idea.
Tony Carella rise. Ben Darcy aveva l’aria poco convinta.
– Hawes e Kling, – ripeté Hawes. – Se le interessa la carriera teatrale, ci faccia una telefonata.
– Lo farò, – rispose Ben. – Ma credo che non mi dedicherò mai al teatro. Sto studiando per diventare dentista.
– Nobile professione, – sentenziò Hawes. – Ma manca del fascino necessario per avvincere l’attenzione del mondo.
– Anche i denti, però, possono essere affascinanti, – disse Ben.
– Ne sono sicuro, – approvò Hawes, – ma non è paragonabile al fascino della febbre che coglie tutti la sera di una prima. Ah, no, niente supera l’emozione che anima il mondo dello spettacolo!
– Probabilmente ha ragione lei, – ammise Ben, – ma io sono felice di diventare dentista –. Una pausa. – Sapete che è stata Angela la prima a convincermi a scegliere una libera professione?
– Non lo sapevo, – disse Hawes.
– Proprio cosí. Uscivamo spesso insieme. Diavolo! Ho cominciato a portarla fuori quando aveva diciassette anni, e credo di aver alloggiato per cinque anni buoni sugli scalini di casa Carella. Non è stato forse cosí, signor Carella?
– Sí, era un’autentica peste, questo ragazzo, – approvò Tony.
– Angela è una ragazza meravigliosa, – riprese Ben. – Tommy è un uomo fortunato. Non ci sono tante ragazze come lei in giro.
La porta alle spalle di Ben sbatté e il giovane si voltò di scatto. Steve Carella uscí nel portico.
Suo padre sollevò la testa a guardarlo. – Tutto bene? – domandò.
– Tutto bene, – confermò Steve.
– Ragazze! – esclamò Tony scuotendo la testa.
– Ciao, Ben, – salutò Steve. – Come stai?
– Bene, grazie. E tu?
– Cosí cosí. Sei arrivato un po’ in anticipo o mi sbaglio?
– Lo penso anch’io. Ma sono uscito a fare due passi e ho pensato di fermarmi da voi per vedere se serviva aiuto. Angela sta bene?
– Benissimo, – rispose Steve.
– Anche a casa di Tommy sembra che tutto sia a posto. La macchina per la cerimonia è già là.
– Ah, sí?
– Sí. Era nel vicolo di fianco alla casa, quando sono passato.
– Bene. Allora sarà meglio avviarsi –. Steve si rivolse a Teddy. – Tesoro, Bert e io andiamo da Tommy, va bene per te se ti lascio per un po’?
Teddy lo fissò. Steve era abituato a capire i suoi pensieri dalle lievi sfumature che passavano per il suo volto molto espressivo. Priva del dono della parola fin dalla nascita, il viso di Teddy era diventato il mezzo per comunicare istantaneamente, tramite l’espressione, ciò che le labbra non potevano dire.
Steve si era aspettato di vedere delusione negli occhi della moglie, ma leggendole in volto scorse soltanto incertezza e si rese conto che lei non l’aveva «sentito». Steve aveva parlato standole alle spalle e lei non aveva potuto seguire il movimento delle sue labbra. S’inginocchiò accanto alla poltrona.
– Bert e io verremo in chiesa con la macchina di Tommy, – disse. – Va bene, per te?
Ancora il volto di Teddy non dimostrò dispiacere. Era rimasta l’incertezza, mentre il sospetto le incupiva gli occhi. Steve capí in quel momento di non essere riuscito a ingannarla. Non le aveva riferito l’incidente del ragno, ma Teddy Carella, chiusa nel suo mondo silenzioso, si era già accorta che le era stato nascosto qualcosa. La presenza di Hawes e Kling non era dovuta alla necessità di arricchire un intrattenimento mondano. Erano lí come poliziotti e non in veste di invitati. Teddy annuí e si sporse per baciare il marito.
– Ci vediamo in chiesa allora, – disse Steve. – Ti senti bene?
Annuí ancora. La schiena le faceva terribilmente male, ma capiva che in quel momento Steve doveva pensare a cose molto piú gravi che non ai disturbi della sua maternità. Lo rassicurò con un sorriso raggiante. Carella le strinse le mani.
– Andiamo, Bert, – disse.