Noi sapremmo cosa fare
L’uomo vuole tutte le donne
mentre la donna vuole essere l’unica.
Sigmund Freud
SIRIUS
In un’altra vita, in un altro emisfero, in un’altra galassia, in un’altra dimensione spazio-temporale, forse avrei potuto innamorarmi di lei, penso mentre osservo la ragazza che mi sono portato fin qui. Forse la mia vita sarebbe stata migliore se mi fossi innamorato di una così.
Alta, cosce lunghe, vita sottile e un viso carino, anche se ordinario. Capelli lunghi, neri e lisci, pelle scura e carne soda. Si sta truccando con cura, anche se la gita in barca in un’isola deserta a osservare uccelli rari non richiederebbe un maquillage impeccabile.
«Non ti mettere i tacchi» suggerisco, o meglio ordino, «cammineremo nella giungla. Mettiti scarpe da ginnastica.»
Mi guarda delusa, ma non discute e si toglie gli zoccoletti argentati.
No, forse nemmeno in un’altra galassia l’avrei potuta amare.
Eppure ho fatto di peggio, rifletto, infilandomi la polo nei bermuda. Ho amato una traditrice. Anzi: mi sono rovinato la vita per una troia.
Ma la vita non è ancora finita. Ho quarantotto anni, sono sano, forte e ho messo via anche quattro soldi, facendomi il culo e rischiando la pelle. Posso ricominciare.
Siamo in un arcipelago esotico, lontani da tutto, in un’atmosfera di vacanza da romanzo rosa. La mia vita, però, è un romanzo nero.
Appena pronti, io e Paulette usciamo dal bungalow. Una casetta nel verde di un villaggio turistico con una stanza spaziosa, attrezzata di ogni comfort. Il luogo ideale per scopare nell’immenso letto dalle lenzuola setose.
Stanotte l’ho scopata.
Non volevo farlo, ma poi mi sono detto che era meglio così. Non è stata niente male, mi ha tolto quel velo di mal di testa che mi tormenta da tempo.
La giornata è assolata, ma c’è una luce strana.
Ho imparato a non fermarmi alle prime sensazioni, ma a vedere oltre.
Il colore del mare è un insolito blu notte. Ieri era turchese, come nelle foto del dépliant che consigliava questo viaggio, così come è bianca e farinosa la sabbia che lambisce la costa.
Tutto come promesso.
Si mangia bene, alla sera ci intrattengono con musiche tribali e ci insegnano le danze indigene. Poi ci ritiriamo nei nostri rifugi e chi può... sfoga gli istinti e libera i sensi.
Oggi una barca ci aspetta in fondo a un molo di legno. Una specie di barcone camuffato da nave pirata: un altro giochetto per turisti beoti, bambini mai diventati adulti che hanno bisogno di sognare, stordirsi, scottarsi sotto un sole crudele. Per raccontarlo agli amici o ai nipoti, e compiacersi pensando: anch’io sono stato in quell’arcipelago da sogno!
Due ragazzi di colore accolgono i turisti. Ci porteranno a spasso per l’oceano facendoci sentire come Jack Sparrow.
Non siamo gli ultimi a salire a bordo. Stanno arrivando di corsa le due sorelle casiniste. Una delle due inciampa e cade sul molo e l’altra, sghignazzando e deridendola, l’aiuta a risollevarsi.
Mi sono simpatiche. Intanto non sono troie. Non sono truccate, non sono vestite come la Barbie, non sono sensuali: sono qui per osservare la Natura. Una delle due è una fotografa professionista e lavora per un mensile di viaggi. La sorella invece è una manager.
Poi abbiamo una celebre fotomodella. Quella, già per il nome che ha, Avril, mi sta sui coglioni. Se la tira da morire. Dice che ha bisogno di farsi una tintarella naturale, non da lampada, per un servizio fotografico che le ha richiesto una rivista internazionale. Lo ha detto lei, nessuno le aveva chiesto come mai fosse qui, come un passero solitario, a cospargersi di creme dalla mattina alla sera e a mangiare solo lattuga, spendendo pure un sacco di soldi. Vive in bikini, anche al ristorante si presenta seminuda.
Ha un bel corpo, senza dubbio, capelli lunghi, biondi e ondulati. Sarà anche una top model, ma a me non piace: ha la faccia da stronza, ti guarda come fossi una cacchetta finita sotto le sue scarpe e ostenta la sua bellezza in modo offensivo.
Ti vien voglia di prenderla a sberle.
Poi sono salite le due coppie sulla sessantina. Due mi sono indifferenti, gli altri sono interessanti. Almeno per me.
Infine sono saliti i due gay e il ragazzo da solo. Gli omosessuali sono persone raffinate e affabili. Non li ho mai visti scambiarsi effusioni in pubblico, ma quando si guardano si vede che si vogliono bene. Sono sposati da poco e sono qui in luna di miele. Credo siano olandesi.
Il ragazzo, invece, è uno sfigato che cerca di compensare la sua bruttezza massacrandosi in palestra. Ha messo su un buon fisico, ma è strabico e già stempiato. Guarda il culo di Avril sbavando come un lama. Lei, se potesse, lo annegherebbe. Quando lui le si siede accanto si sposta subito, non gli rivolge sguardi né parole: non vuole essere contagiata dalla bruttezza?
Ora, siamo tutti a bordo.
Si salpa per l’isola.
EVELYN
Da anni sognavo, e gli chiedevo, una vacanza come questa.
Ma non era mai il momento, non si poteva mai.
Prima bisognava farsi un nome e una clientela, poi la clientela era necessario mantenerla... poi l’acquisto dello studio aveva prosciugato i nostri risparmi. Poi... poi, poi... sempre scuse.
Lui al lavoro.
E io a masticare solitudine.
Un chirurgo di fama non ha molto tempo libero. Quante volte mi aveva ripetuto questa frase?
Seduta sulla barca mi guardo le gambe. Magre e abbronzate, sì, ma la pelle delle mie ginocchia non è più elastica e i bermuda un po’ stretti evidenziano una piega poco gradevole sulle cosce. Io però non ho mai voluto farmi «ritoccare» da lui... ho sempre voluto rimanere me stessa, nel bene e nel male, a ogni età. Almeno in questo sono rimasta fedele ai miei principi. Sospirando penso che l’invecchiamento per le ex belle è duro da sopportare. Per chi bella non è mai stata è meno pesante, ne sono certa.
Le due sorelle che ho sedute di fronte, ad esempio, non si curano del proprio aspetto fisico e sembrano aver rinunciato alla seduzione. Questo fa di loro due donne felici? Non è facile giudicare, ma intanto ridono sempre.
Cambio posizione e controllo l’angolo visivo di Colin. Ha passato la mattina controllando il cellulare, forse a comporre lo stesso numero, a leggere SMS e WhatsApp e a mandarne... evidentemente senza ricevere risposta, vista la piega preoccupata che si è formata sulla sua fronte.
Ora tiene gli occhi fissi sulla ragazza bruna e vistosa che sta con quello con i capelli a spazzola biondissimi e gli occhiali neri, un tipo strano che chiamano Sirius.
Giovane, ammiccante, esotica... Anche lei guarda compiaciuta mio marito, mentre il tenebroso sembra non curarsene.
Vivo in un mondo infestato da donne in caccia di maschio con i soldi. Non si fermano certo di fronte all’età.
Colin è ancora piacente: tonico grazie alla palestra che non trascura mai di frequentare, occhi azzurri espressivi, dentatura a posto grazie alla cura maniacale che dedica al suo sorriso, folti capelli brizzolati. A un primo sguardo dimostra meno dei suoi sessantotto anni, anche perché qualche ritocco se l’è fatto... se però si entra nel dettaglio... la sua età si vede tutta! Ad esempio ci vede meno, cosa che inizia a causargli qualche problema sul lavoro, anche perché si ostina a non mettere gli occhiali – ritiene che lo invecchino - ma lui sa come valorizzarsi. Il fascino della sua conversazione, unito a quello del suo portafoglio, gonfio abbastanza da sopperire alle carenze del suo attributo.
Le donne vanno nella sua clinica perché vogliono migliorare il loro aspetto, rifarsi le tette, il naso, il mento, gli occhi, i glutei... in realtà lo scopo è rifarsi il conto in banca. Il cervello mai. Quello nessuno riesce a rifarlo a queste maledette puttane.
Calma, Evelyn.
Vedi il lato positivo: alla fine ti ci ha portato sull’isola dei tuoi sogni. Siete qui, tu e lui, con due amici fidati e cari come Nicky e Donald.
Calma, Evelyn.
Il sole splende, anche se stanotte non ha nemmeno provato a fare l’amore con me...
Calma, Evelyn.
Hai già preso la tua decisione...
Gli sorrido e gli prendo una mano. Mi ricambia mostrandomi la bella dentatura. Falsa... come lui.
Pagherà tutto, anche quella.
Ecco, stiamo per salpare... Andremo a visitare un’isola disabitata dove vivono specie rarissime di uccelli.
Mi giro verso Nicky che mi indica il colore strano del cielo.
È vero... i colori qui sono particolari.
Nicky mi fa notare anche come la modella bionda faccia di tutto per mettersi in mostra. Noi, e le altre donne, persino la fidanzata di quel Sirius, ci siamo messe almeno dei calzoncini, lei no... è rimasta in costume. E che costume... praticamente è nuda! I suoi glutei che risucchiano il perizoma argentato me li mette in faccia mentre si alza per scattare una fotografia con il suo telefono tutto brillantini.
Colin e Donald si guardano e ridacchiano, indicando il posteriore di Avril. Donald fa un leggero fischio e Nicky gli dà una pacca sul braccio, fingendo un broncio. In realtà credo possa fidarsi di Donald, e comunque so che il loro rapporto è solido.
Nicky è ancora graziosa, l’età le ha regalato classe e buon gusto, ma soprattutto è una donna spiritosa.
Mi spiace non poterle confidare le ombre che ho nel cuore.
SIRIUS
Questo mare non mi piace.
I due marinai, se così vogliamo chiamarli, parlano tra loro un dialetto stretto, ma io capisco qualche parola.
Paulette mi sorride, ha un buon carattere, e non credo sia mai stata in un posto come questo. Il suo entusiasmo infantile e un po’ naïf me lo fa intuire.
Dopo circa un’ora e mezzo di navigazione sbarchiamo sull’isola.
È piccola, almeno così appare, e non ci sono altri turisti. È tutta per noi.
La prima a precipitarsi sulla spiaggia è la sorella fotografa. L’altra le grida di aspettarla, ma quella già si è addentrata nella giungla. Uno dei due marinai la avverte che abbiamo solo un’ora di tempo per la visita. Il motivo della fretta non viene specificato. Non so se la fotografa l’abbia sentito, ormai non si vede più la sua figura vestita color kaki, come da manuale.
Sua sorella si avvicina e mi conferma che fa sempre così: quando immagina di poter riprendere qualcosa di unico... non la ferma nessuno!
Io accenno di sì con la testa. Anche se, come ho detto, provo simpatia per le due, non sono venuto qui per fare nuove amicizie.
Avril estrae dallo zainetto un lungo e leggero abitino che infila sopra il bikini. Non può rischiare di graffiarsi o di essere divorata dagli insetti, dice, come per scusarsi se per qualche istante ci priverà della gioia di ammirare le sue grazie.
Noto lo sguardo sprezzante che le rivolgono le altre donne.
Intanto siamo sbarcati tutti. I marinai ci indicano l’ingresso della foresta e ci informano che i percorsi sono indicati da cartelli ben visibili che riportano anche spiegazioni sulle specie che potremmo incontrare. Suggeriscono di restare in silenzio, per sentire il canto degli uccelli, e di procedere in gruppo.
Uno dei due gay olandesi chiede se loro ci accompagneranno. Il percorso è molto semplice, dicono le guide, ma se insistiamo... Non sembra muoiano dalla voglia di camminare in mezzo alle zanzare in una giungla umida che hanno visto già molte volte e che su di loro non esercita nessun fascino.
Non siamo in grado di fare da soli un giro di un’ora su un fazzoletto di terra? chiede con supponenza Colin. Anch’io non ho certo paura di questo tour da Disneyland, invece Paulette mi si stringe addosso preoccupata.
Forza! In marcia, esorta il vecchio Colin. Evelyn lo segue con scarso entusiasmo. L’amica che chiamano Nicky, una bionda dagli occhi vellutati e dal sorriso contagioso, e il marito, un allegro battutista, li seguono in testa alla fila.
Non sono venuto qui per gli uccelli esotici, anche se il loro canto mi affascina. Il calore e l’umido mi si incollano addosso, e pure Paulette mi sta attaccata, in modo fastidioso.
Cammino dietro agli altri e intanto penso.
Si alzano gridolini di sorpresa ogni volta che un battito d’ali, all’improvviso, spezza il ritmo della Natura e qualche volatile ci sfreccia davanti.
Avril non fa fotografie, ma socchiude gli occhi come ispirata, si sente una sacerdotessa della bellezza. Per me è una vera cretina.
Un bivio, un cartello. Ci fermiamo a leggerlo. Alcune didascalie e disegni descrivono la fauna locale e indicano la direzione del percorso. La sorella rimasta si guarda in giro di continuo sperando di ritrovare l’altra, di cui non abbiamo più notizie da venti minuti, cioè da quando camminiamo nel fitto della vegetazione.
I due gay procedono per mano, aiutandosi quando il sentiero si fa impervio. Non dicono nulla e osservano gli alberi. Uno dei due è bruno e magro, l’altro ha una lunga coda di capelli brizzolati.
Lo sfigato sta appresso a Colin, forse gli dà sicurezza.
«Bello, emozionante, meraviglioso» si esalta Nicky rivolgendosi a Evelyn, che invece è di poche parole: per lei parla a sufficienza il marito.
All’improvviso ci si para davanti un uccello davvero immenso, una specie di pellicano. Sembra infastidito dalla nostra presenza. Come dare torto al pennuto? Che ci fa un gruppo come il nostro nel suo territorio?
EVELYN
Che orribile animale si è messo sulla nostra strada!
Mi fa paura l’urlo stridente che emette guardandomi: non voglio che mi tocchi! L’odore di sterco che emana mi disgusta.
Desideravo questa vacanza, ma non perché sono appassionata di Natura, no, volevo solo riposare dopo gli ultimi mesi dolorosi e intensi, volevo guardare il mare turchese e la sabbia bianca. Non amo gli uccelli.
Per fortuna il grosso albatro, pellicano o cosa accidenti era, è volato via.
Riprendiamo il cammino, ormai è ora di rientrare alla barca, sentenzia Colin guardando il suo Rolex Submariner. Dovremmo trovare a breve il cartello che ci indicherà il sentiero.
Un silenzio improvviso, però, ci gela il sangue nelle vene.
Gli uccelli hanno smesso all’unisono di cinguettare e si sente un fragore lontano, ma squarciante.
Colin si irrigidisce, e anche gli altri si fermano.
Cos’è stato?
Ci affrettiamo, e poco lontano prendiamo il sentiero indicato dal cartello blu, verso la spiaggia.
Qualche cinguettio è ripreso, ma non intenso come prima.
Il mare è vicino, se ne avverte l’odore e si sentono gli schiaffi delle onde che aggrediscono la rena.
Prendo la mano di Colin che me la stringe e mi lancia un’occhiata rassicurante da uomo di mondo. Non è niente, tesoro, ora risaliamo sulla barca e torniamo al villaggio, mi sussurra.
Questa gita non mi ha emozionata, no. Semmai ha rinfocolato le mie paure.
Non ho l’animo dell’esploratrice.
Manca la fotografa.
Lo sguardo della sorella è teso. Sua sorella sarà già sulla barca, le dice Nicky, che è sempre materna con tutti, anche con me.
I due marinai appena ci vedono uscire dalle fronde si sbracciano e ci invitano a fare in fretta.
Non mi fido di questi indolenti. I loro sguardi sono spenti mentre ci contano. Manca la fotografa, lo sappiamo tutti...
La sorella allarga le braccia. Cosa ci può fare se è una pazza scriteriata? I due neri la rimbrottano come se fosse colpa sua, e continuano a ripetere che ci dobbiamo spicciare.
Perché? chiedo io.
No problem, no problem, ripetono i due, ma si deve salpare.
Dove si è ficcata quella fotografa? Comincio a pensare male.
Ci guardiamo tra noi.
La sorella è in imbarazzo. Scusate, mormora, posso andare a cercarla, ma forse peggiorerei le cose, rischiando di perdermi.
Infatti, lasci perdere, le dice Sirius. Una delle poche volte che l’ho sentito parlare. Ha una voce profonda. È un bell’uomo. Porta sempre gli occhiali scuri e ha una bocca sensuale, ma reputo orribili quei capelli a spazzola, che gli induriscono i lineamenti.
Non capisco cosa ci trovi in quella sciacquetta che gli si attacca impaurita.
In realtà, sì, lo capisco...
La fotografa era stata avvertita che entro un’ora era necessario ripartire, sostiene Donald, che è un ottimista, starà arrivando, l’isola è minuscola, non può essersi persa.
Basta che non le sia accaduto qualcosa di sgradevole... mormoro io pensando all’aspetto minaccioso del grosso uccello che ci si era parato davanti. Se mi fossi trovata là in mezzo, da sola con l’albatro, non mi sarei sentita a mio agio, no. Non so nemmeno se sarei stata capace di trovare la strada, da sola. La giungla mi sembrava tutta uguale.
Sento un forte prurito sul polpaccio. Vedo che anche gli altri iniziano a grattarsi. La spiaggia è invasa da un nugolo di moscerini pungenti. Proviamo a scacciarli con quello che abbiamo in mano, mentre i due neri non sembrano turbati, piuttosto continuano a guardare verso la foresta, sperando ne esca la fotografa.
Avril sta per avere una crisi isterica, si rifugia sulla barca e si copre tutta con i teli da spiaggia.
Anch’io vorrei salire a bordo... ma Colin mi trattiene. Aspetta, mi dice, non vorrei ti venisse il mal di mare.
Meravigliosamente premuroso.
SIRIUS
Vado io a cercare la signorina, propongo. Non ho certo problemi di orientamento.
I marinai mi guardano con gratitudine; Paulette invece sembra seccata. Non piantarmi qui, mi sussurra.
Sto per inoltrarmi di nuovo nella giungla quando infine la fotografa arriva, zoppicante. Si era arrampicata sopra un albero per riprendere una coppia di pappagalli dai colori mai visti prima ed è scivolata, ci racconta scusandosi.
La sorella la soccorre e la aiuta a salire a bordo.
Salpiamo.
Il programma di visitare un altro isolotto poco distante è saltato, a causa del ritardo della fotografa, ci dice uno dei due accompagnatori. Meglio rientrare al villaggio.
Già... anche secondo me.
Il colore del mare non mi piace affatto e ho sentito altri tuoni lontani. Ho anche la sensazione che il vento stia rinforzando.
Siamo a bordo, di nuovo in mezzo all’oceano.
La fotografa si lamenta per il male alla caviglia e così Colin le fa una fasciatura stretta con un fazzoletto.
Poi il sole all’improvviso ci lascia. Cumulonembi scuri sono comparsi dal nulla. Sembra sia scesa la notte.
Questa gita si sta mettendo male.
Quanto manca al villaggio? chiedo a uno dei due ragazzi. La risposta è uno sguardo angosciato.
Bad storm, mi dice uno dei due con un improbabile accento inglese.
Cattivo temporale.
Sono un uomo di terra, ma altre volte mi è capitato di trovarmi in mezzo a mari agitati, questo però sembra molto brutto. La subitaneità dell’evento è sorprendente: fino a pochi minuti prima il mare era appena increspato, ora le onde si sono alzate e battono questa ridicola imbarcazione.
Un lampo accecante precede di poco un tuono fragoroso. La pioggia scroscia su di noi con violenza.
Paura è la parola che mi viene alle labbra. Un senso di assoluta impotenza di fronte alla collera del mare, inaspettata e devastante.
I due gay si abbracciano, Colin è ancora accanto alla fotografa e alla sorella, mentre Evelyn si guarda intorno inquieta.
Avril è livida, altro che abbronzatura per la rivista! Se si facesse fotografare ora, pur con il suo culo stupendo, non produrrebbe alcun fascino su chicchessia. Paulette digrigna i denti e ogni volta che un’ondata colpisce il barcone chiude gli occhi e si aggrappa con le unghie al mio braccio.
Lo sfigato sta vicino ai marinai e al timone, come volesse aiutarli.
In questo momento nessuno ha la forza di fare polemiche, sono certo che tutti pensino che non sia stato prudente affrontare l’oceano su una bagnarola governata da due ragazzi. E non è stato prudente non tenere conto delle previsioni. Ormai però questi pensieri sono inutili. Siamo in totale balia delle onde impazzite.
Ci infiliamo i giubbotti di salvataggio e ci copriamo con le cerate che troviamo, ma è inutile. Siamo fradici e disperati. Diventa complicato persino restare a bordo, dobbiamo aggrapparci con tutte le nostre forze agli appigli per non cadere in mare.
Sento piangere.
Paulette singhiozza, batte i denti e mi insulta per averla portata qui. Non voglio morire... ripete come un mantra, e ha ragione.
Nicky sta vomitando l’anima. Non so se per la paura o per il mal di mare. Il marito la guarda con terrore e anche a lui salgono i conati.
Le due sorelle sono abbracciate e gemono insieme.
Lo sfigato è così pallido che temo svenga.
Con tutte le forze cerco di avvicinarmi ai due marinai per prestare aiuto. Mi indicano dei buglioli che distribuisco agli altri, dobbiamo evitare che il barcone si allaghi...
EVELYN
Avrei mai immaginato tutto questo?
No, impossibile.
Non sappiamo cosa sarà di noi. Squassati dal vento, dalla pioggia, dal freddo e soprattutto dalla paura.
Guardo i miei compagni, per quel poco che vedo, e mi chiedo perché il destino mi abbia assegnato questa compagnia per morire.
Sì, perché moriremo tutti, ne sono certa.
Non era nei miei programmi...
Sento la voce rabbiosa di Colin gridare improperi ai due marinai. Non so nemmeno se stanno più timonando, vivo come in una bolla di terrore che mi separa dalla realtà.
Ma ecco... Intravedo la sagoma di un’isola... forse siamo salvi, penso col cuore che accelera.
Tutti urlano... le donne piangono...
Un’ondata più forte mi fa scivolare sulla coperta e per poco non picchio la testa.
In una situazione simile come posso pensare a... eppure sono proprio questi i pensieri che mi salgono alla mente, mentre controllo un conato di vomito a secco. Ormai da mesi mi tormentano, da quando ho scoperto l’ultimo tradimento di Colin.
Avevo acceso il computer per caso e mi ero trovata a leggere le e-mail che mio marito si scambiava con un’altra donna.
Lui era in viaggio di lavoro e così avevo avuto alcuni giorni per metabolizzare lo sconcerto e piangere come non avevo mai pianto in vita mia. In quelle e-mail ero definita «la rompicoglioni che gli faceva pipponi per tutto». Colin aspettava solo che andassi in bagno o in cucina a preparare la cena per mandare un WA all’amante, scrivendole: sono blindato, non mi molla un secondo, ti chiamo più tardi dalla palestra... oggi piove e in questa casa triste mi annoio: noi sì sapremmo cosa fare... tutte idiozie adolescenziali di cui non lo credevo capace: era sempre stato un uomo di poca affettività, di poche smancerie e invece... quell’uomo che avevo di fronte e che mangiava con gusto quello che gli avevo preparato, quello che mi russava accanto da quarant’anni, che abbracciava i nipotini, era lo stesso uomo che prendeva accordi per un incontro in un hotel... che si rotolava nel letto con... già, chi era la misteriosa creatura che lui chiamava amore e che salutava con un mi manchi, ti amo?
Nell’ultima e-mail ipotizzava che io sospettassi qualcosa e, per tacitarmi, aveva deciso di portarmi in viaggio ai tropici con una coppia di vecchi amici a cui ero affezionata, due anziani pallosi che dimostrano i loro sessant’anni li definiva lui, ma tu sei giovane, amore mio, gli scriveva lei. Eh, dici così perché ora mi vedi così prestante e mi vuoi bene, rispondeva lui, ma hai venticinque anni meno di me!
E mentre cerco di scacciare dai miei ricordi questo lacerante passato, e di tenermi salda per non cadere in mare, ecco...
Io lo vedo.
E immediatamente lo riconosco.
Ma non ho il tempo per riflettere su quello che ho visto perché la barca vola sulla cresta di un’onda altissima e infine si sfracella sulla spiaggia.
Siamo sbalzati sulla battigia... si sentono gemiti e invocazioni d’aiuto... ma in qualche modo siamo tutti salvi e corriamo verso l’interno dell’isola, il più possibile lontano dal mare ruggente che disperde i pezzi della nostra imbarcazione.
Ci fermiamo davanti a un provvidenziale capanno ed entriamo.
La costruzione, forse il deposito di un pescatore, ha le pareti in muratura e il tetto, di assi di legno e frasche, regge ancora alla sferza del vento. Almeno per ora staremo al coperto.
Quasi tutti sono feriti. Polsi o caviglie slogati, tagli e lividi ovunque. Nicky e Donald sono pesti in modo lieve, piangono e si abbracciano come più o meno fanno tutti. Lo scampato pericolo rende euforici e crea un’affettività imprevista.
Ci contiamo. Pare non manchi nessuno...
Ma io so che uno di noi manca.
Colin.
EVELYN E SIRIUS
Dormono tutti, sfiniti dalla stanchezza.
Alcuni si lamentano nel sonno, qualcuno si risveglia di colpo, per poi ricadere in un agitato dormiveglia.
La pioggia batte ancora sul tetto del capanno ed entra dalle fessure, ma in modo meno insistente.
Tra poco sorgerà l’alba.
Hanno trovato il corpo di Colin sulla spiaggia. È stato trasportato qui, deposto in un angolo e coperto pietosamente con una cerata.
Tutti mi hanno abbracciata e consolata, e io ho risposto con compostezza al cordoglio comune e versato qualche inevitabile lacrima. Poi mi sono chiusa in un contrito silenzio, come ci si aspetta da una moglie in circostanze come questa, e infine gli altri hanno ripreso a pensare ai loro malanni.
Dentro di me ho un uragano più violento di quello da cui siamo appena scampati.
Prendo un lungo respiro e osservo Sirius: non è ferito e non dorme. Fissa il vuoto e non si cura della ragazza addormentata accanto a lui.
Dovrei chiamarlo Robert, perché questo è il suo vero nome.
Lui percepisce i miei occhi su di sé e mi guarda, inarcando le sopracciglia. Sul suo volto noto un’espressione che non mi piace e distolgo lo sguardo.
Sto resistendo alla tentazione di raggiungerlo e aprirgli il cuore. Non credo si sia accorto che l’ho visto... ma non ne sono certa: chi ha ucciso può farlo di nuovo e io come testimone potrei rischiare la sua vendetta. Sento però un bisogno fisico di confidarmi con qualcuno... e poi, in fondo, la mia vita non è più così importante...
Senza pensare ancora, decido di affrontarlo. Lentamente mi avvicino a lui e gli siedo accanto.
«Ti ho riconosciuto, Robert» gli dico in un sussurro, «e ti ho visto mentre gli spezzavi il collo.»
Lui non parla e non si muove. Si limita a squadrarmi con quei suoi occhi duri.
«Geniale l’idea di ammazzarlo durante il naufragio...» proseguo io, prima che il coraggio mi abbandoni «verrà archiviata come una disgrazia. Hai agito da professionista. Non sentirti in colpa, l’avrei ammazzato io: aspettavo solo il momento giusto, ma tu mi hai preceduta. Senz’altro hai agito meglio di quanto avrei fatto io e così forse mi hai salvata dalla prigione. Ti ringrazio.»
Sirius ora mi fissa con un’espressione tra il sarcastico e il sorpreso.
«Non so di cosa stia parlando, signora» dice quasi senza muovere le labbra.
Prendo un respiro e continuo: «Io conosco il tuo vero nome e anche il tuo passato. Eri un contractor, quindi non sei un tipo comune e io sono consapevole che parlandoti apertamente metto a rischio la mia vita... ma, quando saprai tutto, capirai che mi conviene tacere. Negli ultimi mesi vi ho fatto pedinare e fotografare te e la tua compagna, la puttana che con la complicità di mio marito ha rovinato le nostre vite. Non ti offendi, vero, se la chiamo puttana?»
La faccia di Sirius si fa di marmo. Continua a fissarmi senza ribattere.
«Voglio raccontarti la mia storia...» bisbiglio «Colin mi ha tradita per trent’anni, sai? Ti chiederai perché non l’ho lasciato prima, perché ho tollerato gli altri tradimenti e non quest’ultimo, perché non ho scelto la via legale del divorzio invece di pensare a un omicidio... Non è facile rispondere e non è il momento per le confessioni e le analisi, e soprattutto immagino che non ti importi niente della mia vita passata: per te sono diventata qualcuno dal momento in cui le vite dei nostri partner si sono incrociate. Io però voglio confidarmi con te. Come l’ho scoperto? Casualmente: a volte è il destino che decide se e quando è il momento di ‘sapere’: Amore, vedrai che risolveremo tutto... mi manchi, ti amo... Il primo di tanti sms ed e-mail in cui si faceva riferimento a me, e anche a te, come a due ostacoli alla loro felicità. Poi un investigatore privato ha fatto il resto: una pratica deprimente e umiliante, ma necessaria.»
Ci guardiamo negli occhi per qualche istante, senza parlare.
Mi lascio sfuggire un singulto, o meglio un conato di vomito, poi riprendo: «Sai che, solo due mesi dopo l’inizio della loro storia, c’è stata una gravidanza mandata a monte?»
Gli lascio metabolizzare la notizia. Ho notato che ha indurito la mascella. Una contrazione da poco, che a me non è sfuggita.
«È stato un ulteriore colpo» continuo, «non hanno nemmeno preso delle precauzioni! Forse Colin pensava di non essere più fertile, e senz’altro quando lei gli ha dato la notizia lui avrà negato la sua paternità perché...»
Ho un momento di esitazione, poi proseguo ostinata.
«Perché tu sei stato tradito da Isabelle anche prima della relazione con mio marito: quando Colin l’ha conosciuta lei era l’amante di due uomini. E ce n’erano stati molti altri prima. I nostri compagni avevano molte affinità, come la mancanza di rispetto per noi e l’assenza di remore morali. Ma soprattutto non ci amavano. Colin era un anaffettivo, provava attrazione e tenerezza per le sue amanti, ma niente di più, e se non lasciava me e la famiglia era solo perché temeva di perdere la sua rispettabilità. Tradiva con la leggerezza di un adolescente irresponsabile: voleva divertirsi e compiacersi del suo fascino, provare emozioni nuove con donne diverse che lo adulavano e lo facevano sentire un uomo di successo; e poi pensava di riuscire a farla franca senza creare scompiglio nella nostra vita, anche perché le sue storie si concludevano in pochi anni, e ormai la sua carriera di libertino aveva i giorni contati perché la sua virilità iniziava a scemare e non bastavano più i rimedi della chimica... mi hai capito, vero? Isabelle però lo stava lavorando ai fianchi ed era disposta a lasciarti... eppure per lei tu avevi divorziato da una bella moglie, avevi perso non solo l’affetto di tuo figlio ma anche il tuo lavoro rischioso e adrenalinico. Non credo ora ti piaccia fare il consulente informatico...»
Noto che ho colpito nel segno perché Sirius piega le labbra in un sorriso amaro. Decido di affondare ancora di più la lama.
«E poi, scusami l’osservazione, ma, oltre il nome, di ‘belle’ lei aveva poco, con quegli occhi estroflessi e quei denti da coniglio! Non mi stupisco che mio marito si sia perso dietro a una donna mediocre: era anziano e lei era giovane, e non è difficile immaginare quali fossero le sue virtù. Colin nei suoi messaggi sottolineava il miracolo fisico che lei sapeva produrre in lui... a quanto pare a letto era molto abile: era un’erotomane con l’attitudine a scegliere uomini più anziani di lei, forse perché le davano sicurezza e le ricordavano il padre. Una paranoia che avrebbe dovuto curare. Mi stupisco invece che un uomo attraente come te abbia lasciato per lei una moglie come la tua.»
Nei suoi occhi colgo una luce cattiva che mi provoca un brivido.
«Isabelle lo faceva per amore o per interesse?» continuo, ignorando l’angoscia che ho nel petto. «Certo, mio marito poteva offrirle una vita molto agiata: lei avrà pensato che l’avrebbe sposata e quindi avrebbe potuto ereditare?»
Il mio sguardo diventa penetrante, ma si scontra contro la banchisa dei suoi occhi. L’emozione mi sta quasi soffocando, ma voglio continuare.
«E io e te chi siamo?» bisbiglio. «Molti grandi uomini si sono persi dietro piccole donne, e viceversa. Ammettiamolo, Robert, ci siamo sbagliati: non erano le persone giuste per noi! Ormai però è inutile fare della psicanalisi: entrambi fanno parte del nostro passato, non è così?»
Sirius mi fissa. Ho la certezza che abbia capito ciò che vorrei sapere...
«Signora, la sua disperazione la fa delirare» mi dice infatti. «Mi spiace che lei abbia sofferto e soffra, ma io non so come aiutarla.»
Tocca a me ora sorridere amaramente.
«Mi hai già aiutata e io rispetto il tuo silenzio. Come avrai notato, ho usato il passato parlando di lei: anche se non ho nessuna prova, sento che Isabelle ha già pagato con la vita la sua infedeltà. Io seppellirò questa vicenda insieme con Colin. Nessuno ha visto niente e nessuno smentirà la mia versione. Un’ultima cosa: hai bisogno di soldi? Io ne erediterò molti e mi farebbe piacere darti ciò che...»
Sirius scuote la testa.
«Signora, la smetta. La conversazione finisce qui.»
«Se mai ti servissero» continuo io, «la mia offerta è sempre valida e tu sai come trovarmi. Immagino che ora andrai lontano... me ne andrò anch’io in un altro continente, a cercare la serenità. Mi basta questa: ormai all’amore non credo più.»
Gli stringo furtivamente una mano, prima di allontanarmi da lui.
«Addio, Robert, ti auguro di ritrovare te stesso» sono le ultime parole che gli mormoro.
SIRIUS
Si è allontanata finalmente. Ancora un minuto e non sarei più riuscito a reggere alla tensione. E avrei commesso l’errore di ammettere che diceva la verità.
Sì, ero un contractor, e ho portato a termine ciò che mi ero prefisso, ma mi è costata una fatica immensa perché in questi ultimi mesi mi sono indebolito, per la delusione e il dolore. Non ho ucciso solo due esseri umani, ho ucciso anche il mio passato. Ora dietro di me c’è solo nero. Non sono pentito, lo rifarei perché non mi sento un assassino, ma un giustiziere. Ho eseguito la condanna che spetta a chi mi tradisce.
Una e-mail e una conversazione al cellulare hanno cambiato la mia vita, come è successo a Evelyn. Io non ho ingaggiato un professionista, ho fatto tutto da solo, ma, da quando ho saputo del tradimento, niente di quel che i due si scrivevano e facevano è rimasto un segreto per me. Ho i miei metodi e la mia professionalità. Li ho anche pedinati: andavano ogni mese in un Grand Hotel di un’altra città. Colin la trattava e si trattava bene, letti a baldacchino e cenette romantiche. Lui la affascinava con il peso del suo portafoglio e le sue arie da uomo di mondo. Isabelle era una provinciale e si faceva abbagliare da questo. Sapeva come usare il proprio corpo per rendere schiavo un uomo: l’aveva fatto anche con me. Quando l’ho incontrata lei aveva vent’anni e io quaranta, col senno di poi posso dire che avrei dovuto ragionare più freddamente e non farmi intortare dalla sua parlantina e nemmeno farmi irretire dalle sue doti di scopatrice. Aveva bisogno di emozioni nuove per spegnere il fuoco che la divorava... e progettava di continuare così, almeno finché l’età glielo avesse concesso.
A me riservava solo un affetto fraterno, nessuna passione, nessun sentimento. Per anni le avevo chiesto un figlio, ma aveva sempre una scusa pronta... la vera spiegazione era che un bambino le avrebbe impedito di continuare la sua vita di puttana. Ora so che aveva rifiutato anche il figlio del vecchio Colin! E pensare che con quello si sarebbe sistemata, ma lei non ne voleva sapere di crescere e diventare una madre e non rimanere solo una figlia, come dimostrava la sua inclinazione ad avere sempre uomini molto più anziani di lei. Chissà come avrà reagito Colin? Secondo me, si erano accordati prima: in caso di gravidanza si ricorreva all’estremo rimedio. La pillola, diceva lei, le toglieva la libido. E pensare che lui era un medico, un uomo d’età ed esperienza eppure era incapace di prevenire. Come aveva detto Evelyn: pensava di essere il re dei furbi e di farla sempre franca e invece... Che coglione!
E coglione pure io! Con Isabelle ho preso il più grande abbaglio della mia vita e l’ho pagato caro. Non l’ho mai tradita, più per dare un senso alla mia sciagurata scelta di allora che per convinzione, e anche per punirmi di aver fatto male, tanto male a mia moglie e a mio figlio.
Guardo Evelyn mentre viene abbracciata dalla sua amica.
Ho temuto che la mia vendetta la devastasse e invece... l’ho liberata da un traditore che le ha rovinato l’esistenza.
Era evidente che con le sue domande volesse indagare sulla fine di Isabelle. Sì, avrei voluto gridarle, è morta anche lei... e avrei voluto raccontarle del nostro viaggio in Nepal... in auto verso l’aeroporto era loquace e parlava di foto, di consigli che le avevano dato le amiche su cosa comprare, su cosa visitare, ma aveva parlato per poco tempo. Arrivati a Kathmandu, dopo la prima escursione in gruppo, l’ho convinta a fare una camminata da soli e l’ho guidata lungo un sentiero sperduto e ripido. Lei si fidava. Si fidava ancora quando mi sono chinato fingendo di darle un bacio... e invece le ho stretto il collo per soffocarla. Non le ho regalato una morte rapida: ho voluto vedere il terrore nei suoi occhi scialbi; l’ho tenuta stretta mentre si dibatteva tentando di liberarsi dalla morsa delle mie mani; non le ho detto perché la stavo uccidendo, ma sono certo che l’ha intuito un attimo prima di perdere il respiro e la vita.
Ora marcisce sottoterra, in un posto dove non sarà ritrovata. Mai.
Gli inquirenti cercheranno inutilmente due turisti svaniti tra le vette e i misteri del Nepal.
I miei vecchi contatti mi sono serviti per ottenere una nuova identità: sparito il cornuto Robert, al suo posto è rinato Sirius. Ora che è tutto finito volerò dall’altra parte del mondo, dove si trova mio figlio, e tenterò di ricucire il rapporto con lui. Cercherò di farlo anche con sua madre: sarà quasi impossibile, ma la sfida è eccitante. E io non ho paura.
Ormai sta per sorgere l’alba, il mare si è calmato e arriveranno i soccorsi.
Addio, Evelyn, mormoro lanciandole un ultimo sguardo, cerca di dimenticare. Io lo sto già facendo.
fine