Noi sapremmo
cosa fare
L’uomo vuole tutte le donne
mentre la donna vuole essere l’unica.
Sigmund Freud
SIRIUS
In un’altra vita, in un altro emisfero, in
un’altra galassia, in un’altra dimensione spazio-temporale, forse
avrei potuto innamorarmi di lei, penso mentre osservo la ragazza
che mi sono portato fin qui. Forse la mia vita sarebbe stata
migliore se mi fossi innamorato di una così.
Alta, cosce lunghe, vita sottile e un viso
carino, anche se ordinario. Capelli lunghi, neri e lisci, pelle
scura e carne soda. Si sta truccando con cura, anche se la gita in
barca in un’isola deserta a osservare uccelli rari non
richiederebbe un maquillage impeccabile.
«Non ti mettere i tacchi» suggerisco, o meglio
ordino, «cammineremo nella giungla. Mettiti scarpe da
ginnastica.»
Mi guarda delusa, ma non discute e si toglie
gli zoccoletti argentati.
No, forse nemmeno in un’altra galassia l’avrei
potuta amare.
Eppure ho fatto di peggio, rifletto,
infilandomi la polo nei bermuda. Ho amato una traditrice. Anzi: mi
sono rovinato la vita per una troia.
Ma la vita non è ancora finita. Ho quarantotto
anni, sono sano, forte e ho messo via anche quattro soldi,
facendomi il culo e rischiando la pelle. Posso ricominciare.
Siamo in un arcipelago esotico, lontani da
tutto, in un’atmosfera di vacanza da romanzo rosa. La mia vita,
però, è un romanzo nero.
Appena pronti, io e Paulette usciamo dal
bungalow. Una casetta nel verde di un villaggio turistico con una
stanza spaziosa, attrezzata di ogni comfort. Il luogo ideale per
scopare nell’immenso letto dalle lenzuola setose.
Stanotte l’ho scopata.
Non volevo farlo, ma poi mi sono detto che era
meglio così. Non è stata niente male, mi ha tolto quel velo di mal
di testa che mi tormenta da tempo.
La giornata è assolata, ma c’è una luce
strana.
Ho imparato a non fermarmi alle prime
sensazioni, ma a vedere oltre.
Il colore del mare è un insolito blu notte.
Ieri era turchese, come nelle foto del dépliant che consigliava
questo viaggio, così come è bianca e farinosa la sabbia che
lambisce la costa.
Tutto come promesso.
Si mangia bene, alla sera ci intrattengono con
musiche tribali e ci insegnano le danze indigene. Poi ci ritiriamo
nei nostri rifugi e chi può... sfoga gli istinti e libera i
sensi.
Oggi una barca ci aspetta in fondo a un molo
di legno. Una specie di barcone camuffato da nave pirata: un altro
giochetto per turisti beoti, bambini mai diventati adulti che hanno
bisogno di sognare, stordirsi, scottarsi sotto un sole crudele. Per
raccontarlo agli amici o ai nipoti, e compiacersi pensando: anch’io
sono stato in quell’arcipelago da sogno!
Due ragazzi di colore accolgono i turisti. Ci
porteranno a spasso per l’oceano facendoci sentire come Jack
Sparrow.
Non siamo gli ultimi a salire a bordo. Stanno
arrivando di corsa le due sorelle casiniste. Una delle due inciampa
e cade sul molo e l’altra, sghignazzando e deridendola, l’aiuta a
risollevarsi.
Mi sono simpatiche. Intanto non sono troie.
Non sono truccate, non sono vestite come la Barbie, non sono
sensuali: sono qui per osservare la Natura. Una delle due è una
fotografa professionista e lavora per un mensile di viaggi. La
sorella invece è una manager.
Poi abbiamo una celebre fotomodella. Quella,
già per il nome che ha, Avril, mi sta sui coglioni. Se la tira da
morire. Dice che ha bisogno di farsi una tintarella naturale, non
da lampada, per un servizio fotografico che le ha richiesto una
rivista internazionale. Lo ha detto lei, nessuno le aveva chiesto
come mai fosse qui, come un passero solitario, a cospargersi di
creme dalla mattina alla sera e a mangiare solo lattuga, spendendo
pure un sacco di soldi. Vive in bikini, anche al ristorante si
presenta seminuda.
Ha un bel corpo, senza dubbio, capelli lunghi,
biondi e ondulati. Sarà anche una top model, ma a me non piace: ha
la faccia da stronza, ti guarda come fossi una cacchetta finita
sotto le sue scarpe e ostenta la sua bellezza in modo
offensivo.
Ti vien voglia di prenderla a sberle.
Poi sono salite le due coppie sulla
sessantina. Due mi sono indifferenti, gli altri sono interessanti.
Almeno per me.
Infine sono saliti i due gay e il ragazzo da
solo. Gli omosessuali sono persone raffinate e affabili. Non li ho
mai visti scambiarsi effusioni in pubblico, ma quando si guardano
si vede che si vogliono bene. Sono sposati da poco e sono qui in
luna di miele. Credo siano olandesi.
Il ragazzo, invece, è uno sfigato che cerca di
compensare la sua bruttezza massacrandosi in palestra. Ha messo su
un buon fisico, ma è strabico e già stempiato. Guarda il culo di
Avril sbavando come un lama. Lei, se potesse, lo annegherebbe.
Quando lui le si siede accanto si sposta subito, non gli rivolge
sguardi né parole: non vuole essere contagiata dalla
bruttezza?
Ora, siamo tutti a bordo.
Si salpa per l’isola.
EVELYN
Da anni sognavo, e gli chiedevo, una vacanza
come questa.
Ma non era mai il momento, non si poteva
mai.
Prima bisognava farsi un nome e una clientela,
poi la clientela era necessario mantenerla... poi l’acquisto dello
studio aveva prosciugato i nostri risparmi. Poi... poi, poi...
sempre scuse.
Lui al lavoro.
E io a masticare solitudine.
Un chirurgo di fama non ha molto tempo libero.
Quante volte mi aveva ripetuto questa frase?
Seduta sulla barca mi guardo le gambe. Magre e
abbronzate, sì, ma la pelle delle mie ginocchia non è più elastica
e i bermuda un po’ stretti evidenziano una piega poco gradevole
sulle cosce. Io però non ho mai voluto farmi «ritoccare» da lui...
ho sempre voluto rimanere me stessa, nel bene e nel male, a ogni
età. Almeno in questo sono rimasta fedele ai miei principi.
Sospirando penso che l’invecchiamento per le ex belle è duro da
sopportare. Per chi bella non è mai stata è meno pesante, ne sono
certa.
Le due sorelle che ho sedute di fronte, ad
esempio, non si curano del proprio aspetto fisico e sembrano aver
rinunciato alla seduzione. Questo fa di loro due donne felici? Non
è facile giudicare, ma intanto ridono sempre.
Cambio posizione e controllo l’angolo visivo
di Colin. Ha passato la mattina controllando il cellulare, forse a
comporre lo stesso numero, a leggere SMS e WhatsApp e a mandarne...
evidentemente senza ricevere risposta, vista la piega preoccupata
che si è formata sulla sua fronte.
Ora tiene gli occhi fissi sulla ragazza bruna
e vistosa che sta con quello con i capelli a spazzola biondissimi e
gli occhiali neri, un tipo strano che chiamano Sirius.
Giovane, ammiccante, esotica... Anche lei
guarda compiaciuta mio marito, mentre il tenebroso sembra non
curarsene.
Vivo in un mondo infestato da donne in caccia
di maschio con i soldi. Non si fermano certo di fronte
all’età.
Colin è ancora piacente: tonico grazie alla
palestra che non trascura mai di frequentare, occhi azzurri
espressivi, dentatura a posto grazie alla cura maniacale che dedica
al suo sorriso, folti capelli brizzolati. A un primo sguardo
dimostra meno dei suoi sessantotto anni, anche perché qualche
ritocco se l’è fatto... se però si entra nel dettaglio... la sua
età si vede tutta! Ad esempio ci vede meno, cosa che inizia a
causargli qualche problema sul lavoro, anche perché si ostina a non
mettere gli occhiali – ritiene che lo invecchino - ma lui sa come
valorizzarsi. Il fascino della sua conversazione, unito a quello
del suo portafoglio, gonfio abbastanza da sopperire alle carenze
del suo attributo.
Le donne vanno nella sua clinica perché
vogliono migliorare il loro aspetto, rifarsi le tette, il naso, il
mento, gli occhi, i glutei... in realtà lo scopo è rifarsi il conto
in banca. Il cervello mai. Quello nessuno riesce a rifarlo a queste
maledette puttane.
Calma, Evelyn.
Vedi il lato positivo: alla fine ti ci ha
portato sull’isola dei tuoi sogni. Siete qui, tu e lui, con due
amici fidati e cari come Nicky e Donald.
Calma, Evelyn.
Il sole splende, anche se stanotte non ha
nemmeno provato a fare l’amore con me...
Calma, Evelyn.
Hai già preso la tua decisione...
Gli sorrido e gli prendo una mano. Mi ricambia
mostrandomi la bella dentatura. Falsa... come lui.
Pagherà tutto, anche quella.
Ecco, stiamo per salpare... Andremo a visitare
un’isola disabitata dove vivono specie rarissime di uccelli.
Mi giro verso Nicky che mi indica il colore
strano del cielo.
È vero... i colori qui sono particolari.
Nicky mi fa notare anche come la modella
bionda faccia di tutto per mettersi in mostra. Noi, e le altre
donne, persino la fidanzata di quel Sirius, ci siamo messe almeno
dei calzoncini, lei no... è rimasta in costume. E che costume...
praticamente è nuda! I suoi glutei che risucchiano il perizoma
argentato me li mette in faccia mentre si alza per scattare una
fotografia con il suo telefono tutto brillantini.
Colin e Donald si guardano e ridacchiano,
indicando il posteriore di Avril. Donald fa un leggero fischio e
Nicky gli dà una pacca sul braccio, fingendo un broncio. In realtà
credo possa fidarsi di Donald, e comunque so che il loro rapporto è
solido.
Nicky è ancora graziosa, l’età le ha regalato
classe e buon gusto, ma soprattutto è una donna spiritosa.
Mi spiace non poterle confidare le ombre che
ho nel cuore.
SIRIUS
Questo mare non mi piace.
I due marinai, se così vogliamo chiamarli,
parlano tra loro un dialetto stretto, ma io capisco qualche
parola.
Paulette mi sorride, ha un buon carattere, e
non credo sia mai stata in un posto come questo. Il suo entusiasmo
infantile e un po’ naïf me lo fa intuire.
Dopo circa un’ora e mezzo di navigazione
sbarchiamo sull’isola.
È piccola, almeno così appare, e non ci sono
altri turisti. È tutta per noi.
La prima a precipitarsi sulla spiaggia è la
sorella fotografa. L’altra le grida di aspettarla, ma quella già si
è addentrata nella giungla. Uno dei due marinai la avverte che
abbiamo solo un’ora di tempo per la visita. Il motivo della fretta
non viene specificato. Non so se la fotografa l’abbia sentito,
ormai non si vede più la sua figura vestita color kaki, come da
manuale.
Sua sorella si avvicina e mi conferma che fa
sempre così: quando immagina di poter riprendere qualcosa di
unico... non la ferma nessuno!
Io accenno di sì con la testa. Anche se, come
ho detto, provo simpatia per le due, non sono venuto qui per fare
nuove amicizie.
Avril estrae dallo zainetto un lungo e leggero
abitino che infila sopra il bikini. Non può rischiare di graffiarsi
o di essere divorata dagli insetti, dice, come per scusarsi se per
qualche istante ci priverà della gioia di ammirare le sue
grazie.
Noto lo sguardo sprezzante che le rivolgono le
altre donne.
Intanto siamo sbarcati tutti. I marinai ci
indicano l’ingresso della foresta e ci informano che i percorsi
sono indicati da cartelli ben visibili che riportano anche
spiegazioni sulle specie che potremmo incontrare. Suggeriscono di
restare in silenzio, per sentire il canto degli uccelli, e di
procedere in gruppo.
Uno dei due gay olandesi chiede se loro ci
accompagneranno. Il percorso è molto semplice, dicono le guide, ma
se insistiamo... Non sembra muoiano dalla voglia di camminare in
mezzo alle zanzare in una giungla umida che hanno visto già molte
volte e che su di loro non esercita nessun fascino.
Non siamo in grado di
fare da soli un giro di un’ora su un fazzoletto di terra?
chiede con supponenza Colin. Anch’io non ho certo paura di questo
tour da Disneyland, invece Paulette mi si stringe addosso
preoccupata.
Forza! In marcia,
esorta il vecchio Colin. Evelyn lo segue con scarso entusiasmo.
L’amica che chiamano Nicky, una bionda dagli occhi vellutati e dal
sorriso contagioso, e il marito, un allegro battutista, li seguono
in testa alla fila.
Non sono venuto qui per gli uccelli esotici,
anche se il loro canto mi affascina. Il calore e l’umido mi si
incollano addosso, e pure Paulette mi sta attaccata, in modo
fastidioso.
Cammino dietro agli altri e intanto
penso.
Si alzano gridolini di sorpresa ogni volta che
un battito d’ali, all’improvviso, spezza il ritmo della Natura e
qualche volatile ci sfreccia davanti.
Avril non fa fotografie, ma socchiude gli
occhi come ispirata, si sente una sacerdotessa della bellezza. Per
me è una vera cretina.
Un bivio, un cartello. Ci fermiamo a leggerlo.
Alcune didascalie e disegni descrivono la fauna locale e indicano
la direzione del percorso. La sorella rimasta si guarda in giro di
continuo sperando di ritrovare l’altra, di cui non abbiamo più
notizie da venti minuti, cioè da quando camminiamo nel fitto della
vegetazione.
I due gay procedono per mano, aiutandosi
quando il sentiero si fa impervio. Non dicono nulla e osservano gli
alberi. Uno dei due è bruno e magro, l’altro ha una lunga coda di
capelli brizzolati.
Lo sfigato sta appresso a Colin, forse gli dà
sicurezza.
«Bello, emozionante, meraviglioso» si esalta
Nicky rivolgendosi a Evelyn, che invece è di poche parole: per lei
parla a sufficienza il marito.
All’improvviso ci si para davanti un uccello
davvero immenso, una specie di pellicano. Sembra infastidito dalla
nostra presenza. Come dare torto al pennuto? Che ci fa un gruppo
come il nostro nel suo territorio?
EVELYN
Che orribile animale si è messo sulla nostra
strada!
Mi fa paura l’urlo stridente che emette
guardandomi: non voglio che mi tocchi! L’odore di sterco che emana
mi disgusta.
Desideravo questa vacanza, ma non perché sono
appassionata di Natura, no, volevo solo riposare dopo gli ultimi
mesi dolorosi e intensi, volevo guardare il mare turchese e la
sabbia bianca. Non amo gli uccelli.
Per fortuna il grosso albatro, pellicano o
cosa accidenti era, è volato via.
Riprendiamo il cammino,
ormai è ora di rientrare alla barca, sentenzia Colin
guardando il suo Rolex Submariner. Dovremmo trovare a breve il
cartello che ci indicherà il sentiero.
Un silenzio improvviso, però, ci gela il
sangue nelle vene.
Gli uccelli hanno smesso all’unisono di
cinguettare e si sente un fragore lontano, ma squarciante.
Colin si irrigidisce, e anche gli altri si
fermano.
Cos’è stato?
Ci affrettiamo, e poco lontano prendiamo il
sentiero indicato dal cartello blu, verso la spiaggia.
Qualche cinguettio è ripreso, ma non intenso
come prima.
Il mare è vicino, se ne avverte l’odore e si
sentono gli schiaffi delle onde che aggrediscono la rena.
Prendo la mano di Colin che me la stringe e mi
lancia un’occhiata rassicurante da uomo di mondo. Non è niente, tesoro, ora risaliamo sulla barca e
torniamo al villaggio, mi sussurra.
Questa gita non mi ha emozionata, no. Semmai
ha rinfocolato le mie paure.
Non ho l’animo dell’esploratrice.
Manca la fotografa.
Lo sguardo della sorella è teso. Sua sorella sarà già sulla barca, le dice Nicky,
che è sempre materna con tutti, anche con me.
I due marinai appena ci vedono uscire dalle
fronde si sbracciano e ci invitano a fare in fretta.
Non mi fido di questi indolenti. I loro
sguardi sono spenti mentre ci contano. Manca la fotografa, lo
sappiamo tutti...
La sorella allarga le braccia. Cosa ci può
fare se è una pazza scriteriata? I due neri la rimbrottano come se
fosse colpa sua, e continuano a ripetere che ci dobbiamo
spicciare.
Perché? chiedo
io.
No problem, no
problem, ripetono i due, ma si deve salpare.
Dove si è ficcata quella fotografa? Comincio a
pensare male.
Ci guardiamo tra noi.
La sorella è in imbarazzo. Scusate, mormora, posso
andare a cercarla, ma forse peggiorerei le cose, rischiando di
perdermi.
Infatti, lasci
perdere, le dice Sirius. Una delle poche volte che l’ho
sentito parlare. Ha una voce profonda. È un bell’uomo. Porta sempre
gli occhiali scuri e ha una bocca sensuale, ma reputo orribili quei
capelli a spazzola, che gli induriscono i lineamenti.
Non capisco cosa ci trovi in quella
sciacquetta che gli si attacca impaurita.
In realtà, sì, lo capisco...
La fotografa era stata avvertita che entro
un’ora era necessario ripartire, sostiene Donald, che è un
ottimista, starà arrivando, l’isola è minuscola, non può essersi
persa.
Basta che non le sia
accaduto qualcosa di sgradevole... mormoro io pensando
all’aspetto minaccioso del grosso uccello che ci si era parato
davanti. Se mi fossi trovata là in mezzo, da sola con l’albatro,
non mi sarei sentita a mio agio, no. Non so nemmeno se sarei stata
capace di trovare la strada, da sola. La giungla mi sembrava tutta
uguale.
Sento un forte prurito sul polpaccio. Vedo che
anche gli altri iniziano a grattarsi. La spiaggia è invasa da un
nugolo di moscerini pungenti. Proviamo a scacciarli con quello che
abbiamo in mano, mentre i due neri non sembrano turbati, piuttosto
continuano a guardare verso la foresta, sperando ne esca la
fotografa.
Avril sta per avere una crisi isterica, si
rifugia sulla barca e si copre tutta con i teli da spiaggia.
Anch’io vorrei salire a bordo... ma Colin mi
trattiene. Aspetta, mi dice,
non vorrei ti venisse il mal di
mare.
Meravigliosamente premuroso.
SIRIUS
Vado io a cercare la
signorina, propongo. Non ho certo problemi di
orientamento.
I marinai mi guardano con gratitudine;
Paulette invece sembra seccata. Non piantarmi
qui, mi sussurra.
Sto per inoltrarmi di nuovo nella giungla
quando infine la fotografa arriva, zoppicante. Si era arrampicata
sopra un albero per riprendere una coppia di pappagalli dai colori
mai visti prima ed è scivolata, ci racconta scusandosi.
La sorella la soccorre e la aiuta a salire a
bordo.
Salpiamo.
Il programma di visitare un altro isolotto
poco distante è saltato, a causa del ritardo della fotografa, ci
dice uno dei due accompagnatori. Meglio rientrare al
villaggio.
Già... anche secondo me.
Il colore del mare non mi piace affatto e ho
sentito altri tuoni lontani. Ho anche la sensazione che il vento
stia rinforzando.
Siamo a bordo, di nuovo in mezzo
all’oceano.
La fotografa si lamenta per il male alla
caviglia e così Colin le fa una fasciatura stretta con un
fazzoletto.
Poi il sole all’improvviso ci lascia.
Cumulonembi scuri sono comparsi dal nulla. Sembra sia scesa la
notte.
Questa gita si sta mettendo male.
Quanto manca al
villaggio? chiedo a uno dei due ragazzi. La risposta è uno
sguardo angosciato.
Bad storm, mi
dice uno dei due con un improbabile accento inglese.
Cattivo
temporale.
Sono un uomo di terra, ma altre volte mi è
capitato di trovarmi in mezzo a mari agitati, questo però sembra
molto brutto. La subitaneità dell’evento è sorprendente: fino a
pochi minuti prima il mare era appena increspato, ora le onde si
sono alzate e battono questa ridicola imbarcazione.
Un lampo accecante precede di poco un tuono
fragoroso. La pioggia scroscia su di noi con violenza.
Paura è la parola che mi viene alle labbra. Un
senso di assoluta impotenza di fronte alla collera del mare,
inaspettata e devastante.
I due gay si abbracciano, Colin è ancora
accanto alla fotografa e alla sorella, mentre Evelyn si guarda
intorno inquieta.
Avril è livida, altro che abbronzatura per la
rivista! Se si facesse fotografare ora, pur con il suo culo
stupendo, non produrrebbe alcun fascino su chicchessia. Paulette
digrigna i denti e ogni volta che un’ondata colpisce il barcone
chiude gli occhi e si aggrappa con le unghie al mio braccio.
Lo sfigato sta vicino ai marinai e al timone,
come volesse aiutarli.
In questo momento nessuno ha la forza di fare
polemiche, sono certo che tutti pensino che non sia stato prudente
affrontare l’oceano su una bagnarola governata da due ragazzi. E
non è stato prudente non tenere conto delle previsioni. Ormai però
questi pensieri sono inutili. Siamo in totale balia delle onde
impazzite.
Ci infiliamo i giubbotti di salvataggio e ci
copriamo con le cerate che troviamo, ma è inutile. Siamo fradici e
disperati. Diventa complicato persino restare a bordo, dobbiamo
aggrapparci con tutte le nostre forze agli appigli per non cadere
in mare.
Sento piangere.
Paulette singhiozza, batte i denti e mi
insulta per averla portata qui. Non voglio
morire... ripete come un mantra, e ha ragione.
Nicky sta vomitando l’anima. Non so se per la
paura o per il mal di mare. Il marito la guarda con terrore e anche
a lui salgono i conati.
Le due sorelle sono abbracciate e gemono
insieme.
Lo sfigato è così pallido che temo
svenga.
Con tutte le forze cerco di avvicinarmi ai due
marinai per prestare aiuto. Mi indicano dei buglioli che
distribuisco agli altri, dobbiamo evitare che il barcone si
allaghi...
EVELYN
Avrei mai immaginato tutto questo?
No, impossibile.
Non sappiamo cosa sarà di noi. Squassati dal
vento, dalla pioggia, dal freddo e soprattutto dalla paura.
Guardo i miei compagni, per quel poco che
vedo, e mi chiedo perché il destino mi abbia assegnato questa
compagnia per morire.
Sì, perché moriremo tutti, ne sono
certa.
Non era nei miei programmi...
Sento la voce rabbiosa di Colin gridare
improperi ai due marinai. Non so nemmeno se stanno più timonando,
vivo come in una bolla di terrore che mi separa dalla realtà.
Ma ecco... Intravedo la sagoma di un’isola...
forse siamo salvi, penso col cuore che
accelera.
Tutti urlano... le donne piangono...
Un’ondata più forte mi fa scivolare sulla
coperta e per poco non picchio la testa.
In una situazione simile come posso pensare
a... eppure sono proprio questi i pensieri che mi salgono alla
mente, mentre controllo un conato di vomito a secco. Ormai da mesi
mi tormentano, da quando ho scoperto l’ultimo tradimento di
Colin.
Avevo acceso il computer per caso e mi ero
trovata a leggere le e-mail che mio marito si scambiava con
un’altra donna.
Lui era in viaggio di lavoro e così avevo
avuto alcuni giorni per metabolizzare lo sconcerto e piangere come
non avevo mai pianto in vita mia. In quelle e-mail ero definita «la
rompicoglioni che gli faceva pipponi per tutto». Colin aspettava
solo che andassi in bagno o in cucina a preparare la cena per
mandare un WA all’amante, scrivendole: sono
blindato, non mi molla un secondo, ti chiamo più tardi dalla
palestra... oggi piove e in questa
casa triste mi annoio: noi sì sapremmo cosa fare... tutte
idiozie adolescenziali di cui non lo credevo capace: era sempre
stato un uomo di poca affettività, di poche smancerie e invece...
quell’uomo che avevo di fronte e che mangiava con gusto quello che
gli avevo preparato, quello che mi russava accanto da quarant’anni,
che abbracciava i nipotini, era lo stesso uomo che prendeva accordi
per un incontro in un hotel... che si rotolava nel letto con...
già, chi era la misteriosa creatura che lui chiamava amore e che salutava con un
mi manchi, ti amo?
Nell’ultima e-mail ipotizzava che io
sospettassi qualcosa e, per tacitarmi, aveva deciso di portarmi in
viaggio ai tropici con una coppia di vecchi amici a cui ero
affezionata, due anziani pallosi
che dimostrano i loro sessant’anni li
definiva lui, ma tu sei giovane, amore
mio, gli scriveva lei. Eh, dici così
perché ora mi vedi così prestante e mi vuoi bene, rispondeva
lui, ma hai venticinque anni meno di
me!
E mentre cerco di scacciare dai miei ricordi
questo lacerante passato, e di tenermi salda per non cadere in
mare, ecco...
Io lo vedo.
E immediatamente lo riconosco.
Ma non ho il tempo per riflettere su quello
che ho visto perché la barca vola sulla cresta di un’onda altissima
e infine si sfracella sulla spiaggia.
Siamo sbalzati sulla battigia... si sentono
gemiti e invocazioni d’aiuto... ma in qualche modo siamo tutti
salvi e corriamo verso l’interno dell’isola, il più possibile
lontano dal mare ruggente che disperde i pezzi della nostra
imbarcazione.
Ci fermiamo davanti a un provvidenziale
capanno ed entriamo.
La costruzione, forse il deposito di un
pescatore, ha le pareti in muratura e il tetto, di assi di legno e
frasche, regge ancora alla sferza del vento. Almeno per ora staremo
al coperto.
Quasi tutti sono feriti. Polsi o caviglie
slogati, tagli e lividi ovunque. Nicky e Donald sono pesti in modo
lieve, piangono e si abbracciano come più o meno fanno tutti. Lo
scampato pericolo rende euforici e crea un’affettività
imprevista.
Ci contiamo. Pare non manchi nessuno...
Ma io so che uno di noi manca.
Colin.
EVELYN E
SIRIUS
Dormono tutti, sfiniti dalla stanchezza.
Alcuni si lamentano nel sonno, qualcuno si
risveglia di colpo, per poi ricadere in un agitato
dormiveglia.
La pioggia batte ancora sul tetto del capanno
ed entra dalle fessure, ma in modo meno insistente.
Tra poco sorgerà l’alba.
Hanno trovato il corpo di Colin sulla
spiaggia. È stato trasportato qui, deposto in un angolo e coperto
pietosamente con una cerata.
Tutti mi hanno abbracciata e consolata, e io
ho risposto con compostezza al cordoglio comune e versato qualche
inevitabile lacrima. Poi mi sono chiusa in un contrito silenzio,
come ci si aspetta da una moglie in circostanze come questa, e
infine gli altri hanno ripreso a pensare ai loro malanni.
Dentro di me ho un uragano più violento di
quello da cui siamo appena scampati.
Prendo un lungo respiro e osservo Sirius: non
è ferito e non dorme. Fissa il vuoto e non si cura della ragazza
addormentata accanto a lui.
Dovrei chiamarlo Robert, perché questo è il
suo vero nome.
Lui percepisce i miei occhi su di sé e mi
guarda, inarcando le sopracciglia. Sul suo volto noto
un’espressione che non mi piace e distolgo lo sguardo.
Sto resistendo alla tentazione di raggiungerlo
e aprirgli il cuore. Non credo si sia accorto che l’ho visto... ma
non ne sono certa: chi ha ucciso può farlo di nuovo e io come
testimone potrei rischiare la sua vendetta. Sento però un bisogno
fisico di confidarmi con qualcuno... e poi, in fondo, la mia vita
non è più così importante...
Senza pensare ancora, decido di affrontarlo.
Lentamente mi avvicino a lui e gli siedo accanto.
«Ti ho riconosciuto, Robert» gli dico in un
sussurro, «e ti ho visto mentre gli spezzavi il collo.»
Lui non parla e non si muove. Si limita a
squadrarmi con quei suoi occhi duri.
«Geniale l’idea di ammazzarlo durante il
naufragio...» proseguo io, prima che il coraggio mi abbandoni
«verrà archiviata come una disgrazia. Hai agito da professionista.
Non sentirti in colpa, l’avrei ammazzato io: aspettavo solo il
momento giusto, ma tu mi hai preceduta. Senz’altro hai agito meglio
di quanto avrei fatto io e così forse mi hai salvata dalla
prigione. Ti ringrazio.»
Sirius ora mi fissa con un’espressione tra il
sarcastico e il sorpreso.
«Non so di cosa stia parlando, signora» dice
quasi senza muovere le labbra.
Prendo un respiro e continuo: «Io conosco il
tuo vero nome e anche il tuo passato. Eri un contractor, quindi non sei un tipo comune e io
sono consapevole che parlandoti apertamente metto a rischio la mia
vita... ma, quando saprai tutto, capirai che mi conviene tacere.
Negli ultimi mesi vi ho fatto pedinare e fotografare te e la tua
compagna, la puttana che con la complicità di mio marito ha
rovinato le nostre vite. Non ti offendi, vero, se la chiamo
puttana?»
La faccia di Sirius si fa di marmo. Continua a
fissarmi senza ribattere.
«Voglio raccontarti la mia storia...»
bisbiglio «Colin mi ha tradita per trent’anni, sai? Ti chiederai
perché non l’ho lasciato prima, perché ho tollerato gli altri
tradimenti e non quest’ultimo, perché non ho scelto la via legale
del divorzio invece di pensare a un omicidio... Non è facile
rispondere e non è il momento per le confessioni e le analisi, e
soprattutto immagino che non ti importi niente della mia vita
passata: per te sono diventata qualcuno dal momento in cui le vite dei nostri
partner si sono incrociate. Io però voglio confidarmi con te. Come
l’ho scoperto? Casualmente: a volte è il destino che decide se e
quando è il momento di ‘sapere’: Amore,
vedrai che risolveremo tutto... mi manchi, ti amo... Il
primo di tanti sms ed e-mail in cui si faceva riferimento a me, e
anche a te, come a due ostacoli alla loro felicità. Poi un
investigatore privato ha fatto il resto: una pratica deprimente e
umiliante, ma necessaria.»
Ci guardiamo negli occhi per qualche istante,
senza parlare.
Mi lascio sfuggire un singulto, o meglio un
conato di vomito, poi riprendo: «Sai che, solo due mesi dopo
l’inizio della loro storia, c’è stata una gravidanza mandata a
monte?»
Gli lascio metabolizzare la notizia. Ho notato
che ha indurito la mascella. Una contrazione da poco, che a me non
è sfuggita.
«È stato un ulteriore colpo» continuo, «non
hanno nemmeno preso delle precauzioni! Forse Colin pensava di non
essere più fertile, e senz’altro quando lei gli ha dato la notizia
lui avrà negato la sua paternità perché...»
Ho un momento di esitazione, poi proseguo
ostinata.
«Perché tu sei stato tradito da Isabelle anche
prima della relazione con mio marito: quando Colin l’ha conosciuta
lei era l’amante di due uomini. E ce n’erano stati molti altri
prima. I nostri compagni avevano molte affinità, come la mancanza
di rispetto per noi e l’assenza di remore morali. Ma soprattutto
non ci amavano. Colin era un anaffettivo, provava attrazione e
tenerezza per le sue amanti, ma niente di più, e se non lasciava me
e la famiglia era solo perché temeva di perdere la sua
rispettabilità. Tradiva con la leggerezza di un adolescente
irresponsabile: voleva divertirsi e compiacersi del suo fascino,
provare emozioni nuove con donne diverse che lo adulavano e lo
facevano sentire un uomo di successo; e poi pensava di riuscire a
farla franca senza creare scompiglio nella nostra vita, anche
perché le sue storie si concludevano in pochi anni, e ormai la sua
carriera di libertino aveva i giorni contati perché la sua virilità
iniziava a scemare e non bastavano più i rimedi della chimica... mi
hai capito, vero? Isabelle però lo stava lavorando ai fianchi ed
era disposta a lasciarti... eppure per lei tu avevi divorziato da
una bella moglie, avevi perso non solo l’affetto di tuo figlio ma
anche il tuo lavoro rischioso e adrenalinico. Non credo ora ti
piaccia fare il consulente informatico...»
Noto che ho colpito nel segno perché Sirius
piega le labbra in un sorriso amaro. Decido di affondare ancora di
più la lama.
«E poi, scusami l’osservazione, ma, oltre il
nome, di ‘belle’ lei aveva poco, con quegli occhi estroflessi e
quei denti da coniglio! Non mi stupisco che mio marito si sia perso
dietro a una donna mediocre: era anziano e lei era giovane, e non è
difficile immaginare quali fossero le sue virtù. Colin nei suoi
messaggi sottolineava il miracolo
fisico che lei sapeva produrre in lui... a quanto pare a letto era
molto abile: era un’erotomane con l’attitudine a scegliere uomini
più anziani di lei, forse perché le davano sicurezza e le
ricordavano il padre. Una paranoia che avrebbe dovuto curare. Mi
stupisco invece che un uomo attraente come te abbia lasciato per
lei una moglie come la tua.»
Nei suoi occhi colgo una luce cattiva che mi
provoca un brivido.
«Isabelle lo faceva per amore o per
interesse?» continuo, ignorando l’angoscia che ho nel petto.
«Certo, mio marito poteva offrirle una vita molto agiata: lei avrà
pensato che l’avrebbe sposata e quindi avrebbe potuto
ereditare?»
Il mio sguardo diventa penetrante, ma si
scontra contro la banchisa dei suoi occhi. L’emozione mi sta quasi
soffocando, ma voglio continuare.
«E io e te chi siamo?» bisbiglio. «Molti
grandi uomini si sono persi dietro piccole donne, e viceversa.
Ammettiamolo, Robert, ci siamo sbagliati: non erano le persone
giuste per noi! Ormai però è inutile fare della psicanalisi:
entrambi fanno parte del nostro passato, non è così?»
Sirius mi fissa. Ho la certezza che abbia
capito ciò che vorrei sapere...
«Signora, la sua disperazione la fa delirare»
mi dice infatti. «Mi spiace che lei abbia sofferto e soffra, ma io
non so come aiutarla.»
Tocca a me ora sorridere amaramente.
«Mi hai già aiutata e io rispetto il tuo
silenzio. Come avrai notato, ho usato il passato parlando di lei:
anche se non ho nessuna prova, sento che Isabelle ha già pagato con
la vita la sua infedeltà. Io seppellirò questa vicenda insieme con
Colin. Nessuno ha visto niente e nessuno smentirà la mia versione.
Un’ultima cosa: hai bisogno di soldi? Io ne erediterò molti e mi
farebbe piacere darti ciò che...»
Sirius scuote la testa.
«Signora, la smetta. La conversazione finisce
qui.»
«Se mai ti servissero» continuo io, «la mia
offerta è sempre valida e tu sai come trovarmi. Immagino che ora
andrai lontano... me ne andrò anch’io in un altro continente, a
cercare la serenità. Mi basta questa: ormai all’amore non credo
più.»
Gli stringo furtivamente una mano, prima di
allontanarmi da lui.
«Addio, Robert, ti auguro di ritrovare te
stesso» sono le ultime parole che gli mormoro.
SIRIUS
Si è allontanata finalmente. Ancora un minuto
e non sarei più riuscito a reggere alla tensione. E avrei commesso
l’errore di ammettere che diceva la verità.
Sì, ero un contractor, e ho portato a termine ciò che mi ero
prefisso, ma mi è costata una fatica immensa perché in questi
ultimi mesi mi sono indebolito, per la delusione e il dolore. Non
ho ucciso solo due esseri umani, ho ucciso anche il mio passato.
Ora dietro di me c’è solo nero. Non sono pentito, lo rifarei perché
non mi sento un assassino, ma un giustiziere. Ho eseguito la
condanna che spetta a chi mi tradisce.
Una e-mail e una conversazione al cellulare
hanno cambiato la mia vita, come è successo a Evelyn. Io non ho
ingaggiato un professionista, ho fatto tutto da solo, ma, da quando
ho saputo del tradimento, niente di quel che i due si scrivevano e
facevano è rimasto un segreto per me. Ho i miei metodi e la mia
professionalità. Li ho anche pedinati: andavano ogni mese in un
Grand Hotel di un’altra città. Colin la trattava e si trattava
bene, letti a baldacchino e cenette romantiche. Lui la affascinava
con il peso del suo portafoglio e le sue arie da uomo di mondo.
Isabelle era una provinciale e si faceva abbagliare da questo.
Sapeva come usare il proprio corpo per rendere schiavo un uomo:
l’aveva fatto anche con me. Quando l’ho incontrata lei aveva
vent’anni e io quaranta, col senno di poi posso dire che avrei
dovuto ragionare più freddamente e non farmi intortare dalla sua
parlantina e nemmeno farmi irretire dalle sue doti di scopatrice.
Aveva bisogno di emozioni nuove per spegnere il fuoco che la
divorava... e progettava di continuare così, almeno finché l’età
glielo avesse concesso.
A me riservava solo un affetto fraterno,
nessuna passione, nessun sentimento. Per anni le avevo chiesto un
figlio, ma aveva sempre una scusa pronta... la vera spiegazione era
che un bambino le avrebbe impedito di continuare la sua vita di
puttana. Ora so che aveva rifiutato anche il figlio del vecchio
Colin! E pensare che con quello si sarebbe sistemata, ma lei non ne
voleva sapere di crescere e diventare una madre e non rimanere solo
una figlia, come dimostrava la sua inclinazione ad avere sempre
uomini molto più anziani di lei. Chissà come avrà reagito Colin?
Secondo me, si erano accordati prima: in caso di gravidanza si
ricorreva all’estremo rimedio. La pillola, diceva lei, le toglieva
la libido. E pensare che lui era un
medico, un uomo d’età ed esperienza eppure era incapace di
prevenire. Come aveva detto Evelyn: pensava di essere il re dei
furbi e di farla sempre franca e invece... Che coglione!
E coglione pure io! Con Isabelle ho preso il
più grande abbaglio della mia vita e l’ho pagato caro. Non l’ho mai
tradita, più per dare un senso alla mia sciagurata scelta di allora
che per convinzione, e anche per punirmi di aver fatto male, tanto
male a mia moglie e a mio figlio.
Guardo Evelyn mentre viene abbracciata dalla
sua amica.
Ho temuto che la mia vendetta la devastasse e
invece... l’ho liberata da un traditore che le ha rovinato
l’esistenza.
Era evidente che con le sue domande volesse
indagare sulla fine di Isabelle. Sì, avrei voluto gridarle, è morta
anche lei... e avrei voluto raccontarle del nostro viaggio in
Nepal... in auto verso l’aeroporto era loquace e parlava di foto,
di consigli che le avevano dato le amiche su cosa comprare, su cosa
visitare, ma aveva parlato per poco tempo. Arrivati a Kathmandu,
dopo la prima escursione in gruppo, l’ho convinta a fare una
camminata da soli e l’ho guidata lungo un sentiero sperduto e
ripido. Lei si fidava. Si fidava ancora quando mi sono chinato
fingendo di darle un bacio... e invece le ho stretto il collo per
soffocarla. Non le ho regalato una morte rapida: ho voluto vedere
il terrore nei suoi occhi scialbi; l’ho tenuta stretta mentre si
dibatteva tentando di liberarsi dalla morsa delle mie mani; non le
ho detto perché la stavo uccidendo, ma sono certo che l’ha intuito
un attimo prima di perdere il respiro e la vita.
Ora marcisce sottoterra, in un posto dove non
sarà ritrovata. Mai.
Gli inquirenti cercheranno inutilmente due
turisti svaniti tra le vette e i misteri del Nepal.
I miei vecchi contatti mi sono serviti per
ottenere una nuova identità: sparito il cornuto Robert, al suo
posto è rinato Sirius. Ora che è tutto finito volerò dall’altra
parte del mondo, dove si trova mio figlio, e tenterò di ricucire il
rapporto con lui. Cercherò di farlo anche con sua madre: sarà quasi
impossibile, ma la sfida è eccitante. E io non ho paura.
Ormai sta per sorgere l’alba, il mare si è
calmato e arriveranno i soccorsi.
Addio, Evelyn, mormoro lanciandole un ultimo
sguardo, cerca di dimenticare. Io lo sto già facendo.
fine