Quindici
Invece, a svegliarlo, gli arrivò una telefonata da Nanni. «Che cosa fai per Ferragosto?»
«Dormo».
«Puoi dormire in barca con me?»
«Per dove?»
«Sardegna. Ci ha invitati Silvia Stordelli, la contessa di Roma. Ha una casa magnifica sul mare, e ospiti eccellenti. Ci vieni?»
«Ma non sei stufo di questi inviti? Tutte uguali le case, le donne, le cene…»
«Hai finito? Vuoi che ti porti a Rimini?»
«Magari. Almeno sarebbe divertente. Le tue contesse mi sembrano tutte finte».
«Ma dai… Questa no, di certo. Ho detto che ci saresti stato anche tu».
«Grazie per avermi fatto scegliere». Fece una risata. «Che cosa mi porto?»
«Del tipo?»
«Giacca…»
«Ma va’, cose da barca. Se hai una giacca leggera, magari sì, per prudenza. Da Silvia non sai mai chi trovi, ma sempre il meglio».
«A che ora?»
«Ti aspetto entro mezz’ora al porto, solito posto».
«Ci sarò, ciao». L’idea di quei giorni solo, a Napoli, gli sembrò a un tratto insopportabile. Telefonò a suo padre, per dirgli che sarebbe andato in barca con un amico. E telefonò a Laura.
«Si diverta, avvocato».
Durante il tragitto stettero a lungo in silenzio. Fu Max a chiedere a un tratto: «Hai notizie?» E con la mano accennò al nord, che era davanti a loro.
«Pare che il viaggio sia stato bellissimo, ora sono in Norvegia. Tornano il diciannove».
«Senza di lei tu mi sembri un po’ sperso. Perché non vi sposate?»
«Una vacanza separati fa bene, ogni tanto. Io non vedo l’ora che ritorni il mio Micio. Grimalda è certamente la donna meno… come dire?»
«Appariscente?»
«Sì, bravo: appariscente. La donna meno appariscente che abbia avuto. Ma è buona, intelligente, affettuosa, dolce. Insomma, non mi dà pensieri e non ne vuole. Io non vorrei, ma capisco che per lei conta: ci sposeremo. Una cosa quieta, tra di noi. Mi sembra giusto. Lei ha avuto molta pazienza, con me. Credo davvero che sia una buona cosa».
«Sì, lo credo anch’io. Grimalda mi piace, state bene insieme».
«E tu, perché sei sempre solo? Non hai uno straccio di ragazza?»
Max fece una smorfia. «Non amo gli stracci, forse è per quello». Guardò verso prua, il mare era una macchia nera. «Lascia perdere, non è il momento».
«Tu stavi bene con Costanza…»
«Nanni, ti prego».
«Eravate la coppia più bella del mondo… perché?»
«Te l’ho detto, le cose finiscono. Interessi diversi, una vita diversa… Pensa che non ci siamo più rivisti, neppure incontrati per caso. Parrebbe strano, lavorando e vivendo nello stesso ambiente. Non ci siamo evitati, ma non è più successo».
«L’hai amata?»
«Nanni, scusa. Non ho l’abitudine di parlare delle faccende mie. Scusa… godiamoci questa vacanza. È il mare più bello del mondo».
«Sì, scusa tu…»
Era ormai quasi buio quando arrivarono in vista della darsena di villa Stordelli Maugeri: le luci che avevano di fronte erano del patio e della villa. Si vedevano muovere molte figure che ogni tanto una luce scopriva all’improvviso. Spenti i motori, dalla villa arrivava improvvisa la musica. E molte voci.
«Una festa?» domandò Max Gilardi, lanciando la cima al marinaio che era sulla darsena.
«Qui è sempre festa, dalla mattina alla sera. Da quando ha divorziato, si sfoga. Ti piacerà, è una parvenue intelligente. Razza rara, simpatica e spiritosa. È l’amante di quello scrittore che è in classifica… quello straniero».
Max fece una smorfia: non ricordava chi fosse in classifica in quel momento. «Ci sarà anche lui?»
Nanni gli gettò la sua sacca. «Prendi, scendiamo… no, non ci sarà. Sposato, straniero… no, non ci sarà».
«Non dormiamo in barca?»
«Tu e io, ospiti in villa. Alcuni eccellenti in barchessa, ci sono sette stanze, gli altri in barca» e Nanni accompagnò la frase con una smorfia molto significativa.
«Sono sicuro che qui almeno non ci sarà Ermeline Sarli: il marito è sparito un’altra volta».
«Hai un’ossessione per quella donna, tu».
«No di sicuro. Ma ora è nei guai. Dico sul serio, ha denunciato la scomparsa di suo marito. Che cosa sai di quelli che giocavano con lui?»
«Adesso, qui? Con i camerieri che vengono a riceverci? Smetti di far andare quelle rotelline nel cervello. Chiudi, avvocato! Ermeline… e chi se ne frega? Che sparisca anche lei, accidenti». Con un sorriso si rivolse ai due domestici che erano venuti a riceverli e a ritirare le loro borse. «Buonasera. Tutto bene, Alain?»
«Sì, signor barone. Grazie. Buon viaggio?»
«Il mare una tavola. C’è da mangiare?»
«Sì, signor barone. In salone, stasera. Gli ospiti arrivano domani».
«Andiamo». Prese sottobraccio Max Gilardi e lo sospinse verso la vetrata del salone, cercando con gli occhi la padrona di casa. Quando la individuò, richiamò la sua attenzione con un urlo; gli rispose la risata sonora di una bella donna sulla cinquantina, capelli biondi, viso abbronzato e lungo caftano di cotone indiano sui toni del turchese. Si strinsero in un abbraccio clamoroso per toni e gesti.
«Sei arrivato, mascalzone! Credevo che mi avessi dato buca… be’, sei qui. E il tuo amico? È lui il famoso avvocato?» Baciò sulle guance anche Max, intimidito da tante effusioni e ancor più dalla presentazione che ne seguì. «Statemi a sentire, ehi, fate silenzio: è arrivato il famoso avvocato Massimo Gilardi, quello che è sui giornali! È lui, non è fantastico?» Fece largo a chi si avvicinava. «Ecco, è lui… il senatore…» La presentazione durò a lungo, noiosa con gli uomini che gli esprimevano complimenti e gli ripetevano alcune delle sue frasi che i giornali avevano rese celebri: più gradevole e variopinta con le signore, alcune di mezza età ma ben conservate, altre più giovani, in trasferta estiva con amante attempato.
Max ebbe la netta sensazione che non si sarebbe divertito. Ma c’era il mare, lo sentiva battere contro gli scogli: un fragore cupo e improvviso, una pausa e il risucchio. Conosceva quel ritmo. Era stato da sempre il ritmo della sua vita. Alzò gli occhi al buio: non si vedevano stelle, la luna era seminascosta da qualche nuvola, le fronde degli alberi, immobili, segnavano lo spazio intorno come una cortina frastagliata. Oltre quel buio, le luci delle barche, la darsena, gli scogli.
Per qualche minuto sembrò che tutto ruotasse intorno a loro due, poi il ritmo riprese la sua normalità: musica, qualcuno tornò a ballare, altri si congedarono per la notte. Rimasero in pochi, sprofondati sul grande divano bianco, semicircolare, sotto il dipinto degli aironi in volo che lo sovrastava. La musica era soltanto un sottofondo gradevole, le voci si erano attenuate.
«Avete mangiato qualcosa?»
«Sì, tutto a posto».
In un angolo del salone una donna era accucciata in terra, di spalle: dal movimento del braccio si poteva intuire che stesse disegnando. «Chi è?» domandò Nanni.
«Paola, disegna alcuni dei miei gioielli e dei miei tessuti. È brava, domani te li faccio vedere così mi dai un parere».
«Sì, domani. Ora noi andiamo a letto, Max voleva andare a dormire oggi alle sei».
«Va bene, ciao, a domani». La padrona di casa baciò entrambi sulle guance e si stirò la schiena, alzando le braccia. «E anche oggi è andata… ciao, fate come se foste a casa vostra, non badate a me. Diglielo tu, Nanni: lo sai come funzionano le cose qui. Ciao ciao».
«Un terremoto» commentò Max Gilardi, avviandosi nel corridoio verso il retro della villa, dove erano le camere da letto.
«Sì, non felice, purtroppo. Amava il marito, si sono lasciati per una cazzata… a volte le donne perdono la testa. Chi le capisce?» Si fermò davanti a due porte, una di fronte all’altra. «Tu le capisci?»
«Direi proprio di no, ma sono fuori gioco al momento».
«Bene, dormiamoci sopra. Questa è la mia stanza, quella è la tua. Qui in mezzo il bagno: io vado prima, faccio in fretta, e ti lascio tutto il tempo che vuoi».
«Ciao, ’notte».
«Anche a te, Domani alle dieci?»
«Io mi alzerò prima e andrò a farmi un bagno. Un mare così me lo sogno. Ci vediamo domani, ciao». Max alzò un braccio. «E, grazie».
«E vattene, va’…»
Il mattino seguente, poco prima delle otto, scese verso gli scogli. Il mare era striato d’azzurro, tra il verde e il turchese su uno sfondo che si tingeva di blu verso l’orizzonte. Una brezza leggera alzava piccole, incostanti increspature. Il sole faceva strisciare sull’acqua e sulla sabbia lunghi raggi appena tiepidi. Si tolse l’accappatoio e stirò i muscoli delle braccia e delle gambe. Nel momento in cui era pronto al tuffo, una voce alle sue spalle lo fece irrigidire.
«Ma è matto?»
Girò lentamente soltanto la testa. Una ragazza… no, forse era una donna molto giovane, in reggiseno e calzoncini arrotolati all’inguine, un berretto sgualcito in testa e gli occhiali scuri. Era dietro di lui e lo guardava con l’arroganza di chi è convinto di averti salvato la vita.
«Lei è completamente pazzo, vuole tuffarsi da qui?»
Max Gilardi guardò gli scogli, poi si girò nuovamente. «Perché?»
«Ma non vede che ci sono gli scogli? E qui l’acqua è alta, vuole annegare?»
Trattenne un sorriso, increspando appena le labbra. «Immagino che lei non sappia nuotare». La donna scosse appena la testa. «Già. Stia a vedere». Alzò le braccia e si slanciò in acqua con un tuffo perfetto. Quando riemerse fece qualche bracciata e alzò la testa. «Sono vivo» gridò.
«Uffa…»
«Non vada via». Max si arrampicò sugli scogli e tornò sul pianoro di pietra dal quale si era tuffato. «Questo è un punto fantastico per tuffarsi, un tratto di mare tra i più belli del mondo. Perché non prova?»
«No, fa freddo… e poi devo lavorare. Ciao». E la donna si allontanò verso casa con un’andatura pigra e molleggiata, muovendo il bacino. Max Gilardi restò a fissarla finché la vide scomparire dietro le tende della vetrata. Pensò che fosse una delle ospiti, certo un po’ diversa dalle donne che aveva incontrato la sera precedente.
Riemerse, dopo una lunga nuotata, quando sentì le voci di quelli che stavano facendo colazione sotto il portico. Lo attirò il profumo del caffè. Nanni stava parlando con la ragazza degli scogli.
Si avvicinò a loro, porgendo il piatto dei muffin. «Volete?» Stavano guardando una cartelletta di disegni. Su un foglio bianco c’era anche lui, somigliantissimo. «Ehi…»
«Questo sei tu, ti riconosci?»
«Sì, perfetto, direi… È lei che disegna?»
«Sì, disegna gioielli e tessuti per Silvia, guarda».
«Spiacente, questo non fa per me. Però il mio disegno è bello, posso tenerlo?» La guardò impacciato. «Forse dovrei chiedere quanto costa…» disse, abbassando il tono di voce.
La ragazza alzò una spalla. «Ma no, lo prenda. Lo faccio per tenermi in esercizio. Anche questi, allora». Sempre lui. In costume da bagno sugli scogli in tre momenti diversi, durante il tuffo.
«Perfetti, brava. Ma lei è brava davvero. Guarda, Nanni».
«Sì, sono belli anche i gioielli. Solo che con questa matta… dovrebbe lavorare per uno serio… Max, mi allunghi il caffè?» Prese la tazza e bevve un sorso, sfogliando la cartella che aveva di fronte. «Belli, accidenti… Guarda questi tessuti… Ma già, tu che ne capisci, avvocato?»
«Lei è avvocato?»
«Sì, il mio amico è l’avvocato più famoso d’Italia…»
«Hai dimenticato la Svizzera e l’Albania».
«Non fare il modesto. Lui è Max Gilardi».
La ragazza fece una smorfia. «Be’, piacere. Tenga i disegni, avvocato».
«Grazie. Però forse… per questi gioielli, invece, io conosco una signora… adesso lei è molto malata…»
«E ti pareva? Arrivo io e trovo il funerale».
Lo stupì il tono, come se ripetesse cose già dette. «No, aspetti. La fabbrica va avanti. Lei ha ceduto la direzione creativa alla nuora, che è bravissima. Di questo non si preoccupi. Capodimonte… sa dov’è?» Altra smorfia. «Vicino Napoli».
«Dove stai tu» disse la ragazza, guardando Nanni.
«Sì, abbastanza vicino».
«Io qui non ho indirizzo e numeri, ma se chiama il mio studio… chieda di Laura Licasi, è un avvocato che lavora con me. Lei sa tutto di questa azienda. Se le serve, può telefonare a nome mio. È una fabbrica molto importante, lavorano soprattutto i coralli. Io non capisco molto, ma l’ho visitata. Servono gioiellerie di prestigio in tutto il mondo…»
«Hai visto?» Nanni richiuse la cartelletta e la porse alla ragazza. «Una buona cosa, mi sembra. Tieni, segnati il suo cellulare, a parte che quello dello studio c’è anche sulla guida telefonica, mezza pagina. Hai scritto?» La ragazza accennò di sì con il capo. «Ecco, qualcosa di buono l’abbiamo fatta anche oggi». Stava ridendo. «La nostra buona azione… ora possiamo andare all’isola di Cavallo». Si rivolse alla ragazza. «Vieni anche tu?»
«No, grazie. Lavoro, così finisco i disegni per Silvia».
«Come vuoi. Se cambi idea, siamo al porto. Ciao».
La ragazza fece ‘ciao’ con la mano e si girò. A Gilardi sembrò scontenta. «Ma chi è?» domandò.
«Che ne so… in casa di Silvia trovi di tutto. Non male, un po’ rozza… ma disegna in modo fantastico, hai visto? I tuoi fogli mettili in barca, altrimenti qui vogliono tutti il ritratto e lei ci perde tempo e soldi. Chissà da dove viene, con quelle mani e quel talento. Strano connubio, non trovi?»
«Non l’ho esaminata così a fondo». E gli strizzò l’occhio. «Ma i disegni sono belli davvero».
«E quella ditta è seria?»
«Sì, molto. Li conosco bene. Stai tranquillo, può essere interessante per la tua protetta: la ditta è seria e loro hanno qualche ragione per riceverla, se va a nome mio. Poi sarà soltanto merito suo».
«Grazie, mi fa un po’ pena, così brava, nelle mani di Silvia. Mi sembra che meriti qualcosa di meglio».
«Quanti anni ha?»
«Non lo so. Ti piace?»
«Ma smettila… Accidenti, non so il tempo che non rivolgo la parola a una donna che abbia meno di cinquant’anni. Ma ti rendi conto?»
«Però, Ermeline Sarli…» Stava ridendo.
«Scherzaci. In studio ha scelto l’avvocato Laura Licasi, mi ha lasciato di riserva». L’aveva detto per scherzo e ne risero.
La riapertura dello studio dopo la pausa di Ferragosto fu, come sempre, una specie di festa. Un ricominciare pigro, fatto di molte domande, di nuovo ordine sulle scrivanie e negli scaffali, di caffè presi e distribuiti per riavere un contatto.
«Tutto bene?»
«Sì, benissimo, grazie».
«Vacanze?»
«Bene, sì… grazie».
Mancava soltanto Ricky, che sarebbe tornato il lunedì successivo.
«Vuole lo zucchero?»
«Di chi è questo caffè? Avvocato, il suo cellulare».
Era Nanni che lo invitata a cena. «L’ultima sera da scapolo, andiamo dai Massenzi, aspettano anche te, ciao. Alle nove passo a prenderti».
«Giurami che questa è l’ultima». Stava ridendo.
«Un giardino famoso in tutto il mondo, ma dove vivi? Che napoletano sei? Pagano il biglietto per visitarlo, e io te lo offro gratis, da protagonista. Avanti, giacca blu e cravatta, avvocato».
Gilardi spense il cellulare e cercò di ridere.
«Novità del venditore di cappelli?» domandò, soprattutto a Laura.
Laura gli rispose con una smorfia. «Niente. La polizia aveva cercato un nesso con quello che hanno trovato a Serrattiano…»
«Impossibile, Sarli era vivo e vegeto quando quell’altro era già cadavere… complimenti».
«Un tentativo… Scalzi dice…»
«Stai lavorando con lui?» Laura non rispose, e a Gilardi sembrò di vederla arrossire. «Va bene, prima o poi salterà fuori».
«Lei che cosa pensa?»
«Non ho idee, mi dispiace. L’unica cosa che mi sembra evidente è che se l’hanno fatto sparire si sono ispirati alla sua scomparsa precedente con ritorno a sorpresa… E la moglie?»
«Molto preoccupata, naturalmente. Era un buon matrimonio, a quel che dice. Credo che le siano rimaste anche poche risorse economiche. Scalzi storce il naso, la cosa non gli torna…»
«E a chi potrebbe tornare una cosa così assurda? Come può un uomo sparire… per quanto tempo?»
«Erano i primi d’agosto, quando è venuta da noi, si ricorda? Dovrei verificare… Sono più o meno quindici giorni».
«Ecco, secondo il copione precedente ora potrebbe tornare».
«Perché, a lei non sembra una cosa seria?»
«Non badare a me, non mi è simpatica la cavallona».
«Invece è gentile e molto intelligente. Le piacerebbe, se la conoscesse meglio».
«Dubito fortemente, ma sono contento che andiate d’accordo. Posso soltanto chiederti di non fidarti troppo di lei?»
«Perché? Ci sono cose che non so?»
Gilardi scosse la testa. «No, soltanto istinto di conservazione». E gli riuscì di ridere per tranquillizzarla.
Laura restò a guardarlo. «Come ha passato le vacanze?»
«Di chi parli?»
«Di lei. Perché non mi sembra contento e riposato?»
«Perché non sono contento e neppure riposato, accidenti. Due settimane in giro tra le case più belle e meglio frequentate della zona. Persino tre giorni in Sardegna. Ovunque ho trovato Ermeline Sarli…»
«In Sardegna?»
«No. In Sardegna, no. Ma è dovunque. Per questo non prendo troppo sul serio le sue lacrime».
«E questo c’entra con il fatto che lei sia stanco?»
«No, naturalmente. Ma avrei voglia di una vacanza a modo mio».
«Se la può permettere, avvocato: lei ha ancora dieci giorni liberi, da godere».