INTRODUZIONE

 

Dashiell Hammett nasce il 27 maggio del 1894 a Saint Mary’s County, nel Maryland, da Richard Thomas e Annie Bon Dashiell, una famiglia cattolica con origini scozzesi e francesi (pare, infatti, che il nome Dashiell sia una americanizzazione del cognome francese Da Chiel). A quattordici anni lascia la scuola (il Polytecnic Institute di Baltimora) e, com’è nella tradizione di molti scrittori americani, comincia a guadagnarsi la vita praticando i mestieri più disparati: dallo strillone di giornali al commesso di negozio, dallo stivatore all’operaio delle ferrovie al copywriter. Nel 1914 risponde a un annuncio economico della più grande agenzia privata di investigazioni del tempo, la Pinkerton, della quale diventa “operator”, cioè proprio agente investigativo. Un mestiere che deve interrompere nel 1918 per lo scoppio della prima guerra mondiale, quando Hammett viene arruolato, col grado di sergente, nel Motor Ambulance Corps dell’esercito americano. La chiamata alle armi gli costa cara: contrae, infatti, una polmonite che presto si tramuta in una grave forma di tubercolosi, a causa della quale sarà costretto a lunghi ricoveri in sanatori militari.

Finita la guerra Hammett riprende il suo posto alla Pinkerton, ma quasi subito è costretto ad abbandonare definitivamente quel lavoro che si rivela ormai troppo faticoso per il suo fisico debilitato dalla malattia (ma c’è anche chi afferma che la sua decisione nacque dal rifiuto di uccidere, su commissione, un uomo, un capo sindacalista: uno di quei tanti compiti di “repressione” per i quali, non di rado, veniva utilizzata la Pinkerton).

Nel frattempo Dashiell Hammett si sposa con Annas Dolan, una delle infermiere che lo avevano accudito, e diventa padre di due bambine, Mary e Josephine.

E’ in seguito all’ozio forzato e alle necessità immediate, di pura sopravvivenza per lui e la sua famiglia, che egli decide di mettere a frutto la sua esperienza alla Pinkerton per scrivere racconti polizieschi che comincia a pubblicare nel 1923 su delle riviste popolari allora di moda, i cosiddetti “pulp magazines”, considerati - in alcuni casi a torto - di infimo ordine, ma di grande diffusione.

Tra queste riviste si distingueva «Black Masck» (Maschera Nera). Fondata nel 1920 da H. L. Menchen e George Jean Nathan, raggiunse vero prestigio tra il 1925 e il 1936, sotto la direzione del capitano Joseph T. Shaw, che diede un decisivo impulso a rompere il modello - fino allora considerato unico - del romanzo poliziesco inglese. Quest’ultimo, come si sa, propone storie incentrate su puri enigmi da risolvere in maniera logica e deduttiva. Strutturalmente risponde a uno schema preciso che prevede, nell’ordine, la successione degli elementi: del delitto (di solito un omicidio); della “detection”, cioè la raccolta e l’analisi dei dati; la risoluzione dell’enigma con lo smascheramento del colpevole. In sostanza, una formula astratta - di cui Agatha Christie è il campione incontrastato - priva di qualsiasi riferimento con la realtà e con la sua dinamica (ma qui, in questa “evasione” probabilmente sta anche la spiegazione del perdurante successo di questo tipo di giallo).

Contro tale impostazione si adoperò il capitano Shaw, il quale più tardi ricorderà: «Io e i miei collaboratori decidemmo di creare un nuovo genere di racconti polizieschi, diverso da quello inviso al tempo dei Caldei e più recentemente adottato da Gaboriau, Poe, Conan Doyle e da tutti gli altri, cioè il genere deduttivo tipo parole incrociate o puzzle che, deliberatamente, mancava di ogni valore emotivo umano».

Era il programma di quella che sarà definita la “hardboiled school”, la scuola dei duri, alla quale, più per vocazione propria che per semplice adesione, trovò piena rispondenza la narrativa di Hammett.

Praticamente è lui, con la lucidità e l’autorevolezza della sua pagina, e il profondo realismo delle sue storie, il vero fautore della rottura col poliziesco tradizionale. Il cambiamento è radicale: lo schema si fa aperto; la ricerca degli indizi e i procedimenti razionali sono sostituiti dall’azione; la vicenda, più che tendere alla scoperta di un colpevole si risolve nello scioglimento di alcuni nodi criminali; il riferimento con la realtà, specie quella sociale, è costante. Da tutto ciò conseguono situazioni non fittizie e personaggi estremamente vivi che hanno linguaggio, gesti, umori, degli uomini in carne e ossa. Ciò, naturalmente, non vale per tutta la narrativa “hardboiled”, ma vale certamente per tutta, o quasi, la narrativa di Hammett.

In questo quadro uno dei più grandi meriti di Hammett fu quello di adoperare una scrittura immediata, che rifletteva sulla pagina il parlato di uso corrente, fino ad arrivare alle espressioni più infimamente, ma efficacemente gergali. Una «lezione» che poi - in varia misura - sarebbe servita non solo a tutti gli scrittori americani, contemporanei e successivi, di gialli, ma anche ad autori non di genere, tra i quali, soprattutto per quanto riguarda il dialogato, lo stesso Ernest Hemingway.

Su « Black Mask» Dashiell Hammett pubblicò nel corso di circa dieci anni un centinaio di racconti, dei quali, quasi sempre, il protagonista è Continental Op, un detective senza nome, ma ben delineato fisicamente (alto e grasso) e moralmente (freddo, cinico), che lavora per la Continental Detective Agency, chiaramente modellata sullo schema della Pinkerton (e i racconti prendono spunto da molti casi sui quali Hammett e i suoi colleghi avevano indagato).

Saranno soltanto cinque, invece, i romanzi (ma più che sufficienti a far diventare il loro autore uno dei capisaldi della storia del romanzo poliziesco). I titoli di questi romanzi sono, nell’ordine di pubblicazione, “Piombo e sangue” (titolo originale “Red Harvest”); “Il bacio della violenza” (“The Dain Curse”); “Il falcone maltese” (“The Maltese Falcon”); “La chiave di vetro” (“The Glass Key”) e “L’uomo ombra” (“The Thin Man”). Il dato curioso è che tutti e cinque furono scritti nello strettissimo arco di anni che va dal 1929 al 1932. Accadde poi che d’allora fino al giorno della sua morte, avvenuta il 10 gennaio 1961, Dashiell Hammett scrisse soltanto pochi racconti. Sono, quelli, gli anni in cui la sua vita privata conosce altri importanti mutamenti. Innanzitutto, si separa dalla moglie, e da San Francisco si trasferisce a New York. Qui fa conoscenza con una giovane scrittrice di teatro, che diventerà nota in particolare per il lavoro “Le piccole volpi”. Si tratta di Lillian Helmann, alla quale, con alterne vicende, Hammett resterà legato per 31 anni, fino alla morte. Quando si conobbero lui aveva già cominciato a bere in maniera spropositata. Il giorno in cui si incontrarono Hammett usciva da cinque giorni di sbornia. E, più tardi, se nel loro rapporto ci furono dei periodi “bassi”, ciò dipese proprio dall’alcolismo dello scrittore, che provocò spesso delle rotture tra i due. Ma dopo ogni separazione lei tornava, perché sentiva di non poter abbandonare l’uomo che amava in quelle condizioni disperate. E’ probabilmente questa la causa-effetto per cui, d’allora, Hammett riuscì a scrivere pochissimi racconti e un solo romanzo, “L’uomo ombra”. Dei cinque romanzi, “Il falcone maltese” è generalmente considerato dalla critica il migliore che Dashiell Hammett abbia scritto, sebbene non sono pochi coloro che mettono al primo posto “La chiave di vetro”. Gioca a favore di quest’ultimo la realtà politica che affronta (una campagna elettorale condotta a colpi di pistola, ricatti, intimidazioni e bustarelle) e i riferimenti autobiografici che ne fanno quasi un romanzo a tutto tondo, non di genere. Rafforza questo giudizio anche il fatto che, per l’unica volta nella intera opera di Hammett, protagonista non è un detective di professione, bensì il galoppino di un boss politico. “La chiave di vetro” sarà anche il romanzo preferito da Hammett stesso.

Tuttavia, tra i due, “Il falcone maltese” è senza dubbio il più famoso. La sua notorietà è particolarmente legata all’omonimo film che nel 1941 John Huston ne trasse e, questo, nonostante il fatto che in precedenza, nel 1931 e nel 1936, ci fossero state altre due versioni cinematografiche, rispettivamente dei registi Ray Del Ruth e William Dieterle, entrambe poco fortunate. Niente faceva pensare che il film di Huston avrebbe conosciuto una sorte migliore. Lo stesso regista racconta: «Mi lasciarono fare la regia di “The Maltese Falcon”, un remake di scarso rilievo, soprattutto perché ero uno dei migliori sceneggiatori dell’epoca». E bisogna dire che se il film di Huston è diventato celebre, più che alla regia si deve alla magistrale interpretazione di Humphrey Bogart, che vestì i panni di Sam (Samuele) Spade, il detective privato cinico e duro protagonista del romanzo.

E’ interessante notare che tra il Sam Spade di Hammett e Bogart non c’è nessuna somiglianza fisica: mentre il primo viene descritto alto un metro e ottantacinque, largo quanto grosso, con gli occhi giallo-grigi e i capelli castano chiari, Bogart, invece, era piccolo, magro e scuro di capelli. Ma, evidentemente, l’attore calzava alla perfezione, con la sua sprezzante ironia, un certo velo malinconico, il fare brusco e liquidatorio (anche nei confronti delle donne) quello che era lo spirito, il carattere del personaggio. Un personaggio che poi servirà da prototipo a tanti detective che si succederanno nei gialli d’azione americani, siano essi romanzi o film.

“Il falcone maltese” ha un inizio che DOPO sarebbe diventato convenzionale: il detective privato, con tanto di fida segretaria-guardiana in anticamera, che riceve un cliente, il quale dopo essersi sentito chiedere «Cosa posso fare per lei?» e un primo momento di disagio, comincia a esporre il suo caso. Alla fine, naturalmente, il discorso scivola sulla parcella… Nel romanzo di Hammett il cliente è una donna, rossa di capelli e dall’aria un tantino misteriosa, che dice di chiamarsi Wonderly. Questa esordisce con la storia bislacca di una sorella diciassettenne fuggita da casa, da New York a San Francisco (città dove è ambientata tutta la vicenda) con un piccolo gangster violento e pericoloso. A Spade chiede di sottrarla dalle grinfie di quel tipo che, tra l’altro, tiene nascosta la ragazza in un luogo segreto.

Miles Archer, socio di Spade, entrato in ufficio in tempo per ascoltare tutta la storia, attratto, con cattivi propositi, dalle forme della signorina Wonderly e dai primi biglietti da cento dollari che le vede tirar fuori dalla borsetta, si offre, al posto di Spade, di occuparsi della faccenda. Del resto, tutto lascia credere che si tratti di un lavoro semplice.

Che non sia, invece, tale, ce ne rendiamo conto subito, al secondo capitolo, quando in un vicolo di Bush Street, Miles Archer viene trovato ucciso da otto colpi di una calibro 38. La scena del ritrovamento del cadavere del socio di Spade, il modo come Spade riceve e reagisce alla notizia, è sintomatico del procedere narrativo di Hammett: Spade viene svegliato in piena notte dallo squillo del telefono; non sappiamo chi c’è dall’altra parte del filo; seguiamo soltanto il detective che risponde assonnato all’interlocutore: «Pronto?… Sì, con chi parlo… Morto?… Sì… Un quarto d’ora. Grazie»; Spade riaggancia e con cartina e tabacco - un gesto al quale ricorrerà spesso nel romanzo - si prepara una sigaretta e l’accende; quindi si veste e chiama il taxi con il quale, tra le nebbie, raggiunge Bush Street. Quali emozioni e sentimenti Sam Spade provi in quel momento per la morte del socio non è detto, ma il fatto che non si agiti molto, né dia altri segni di turbamento, già lascia abbondantemente immaginare - intanto una cosa: che Spade è un duro, che non si commuove tanto facilmente. E, forse, non soltanto questo. Il fatto che, in realtà, non gli interessasse molto della morte dell’amico e, addirittura, ci ricavasse soddisfazione lo veniamo ad apprendere più avanti quando scopriamo che già da un pezzo se la faceva con la non meno cinica moglie di lui, ora vedova tutt’altro che inconsolabile; e, ancora, quando a Effie Perine, la segretaria, rivela: «Ho sempre avuto la mezza idea che se Miles se ne fosse andato a morire in qualche posto, noi avremmo avuto migliori prospettive di successo».

Dunque, al pari di quanto avviene con la sceneggiatura di un film - dove si leggono solo i dialoghi e ciò che «vede” l’obiettivo della cinepresa - anche il romanzo di Hammett, sebbene in forma narrativa, è condotto con lo stesso rigoroso metodo. Una tecnica attraverso la quale i vari personaggi - la loro psicologia, il loro spessore umano, sia pure negativo - non si manifestano attraverso una analisi o descrizione dei loro sentimenti o di altre motivazioni interiori, bensì attraverso la pura gestualità, l’azione, vale a dire il comportamento, i dati esterni, dei quali fa parte anche il dialogo, e al quale soltanto sarà affidato il compito di rendere espliciti i dati interiori. E con questo modo indiretto, per così dire, di tratteggiarli, Hammett è riuscito a dare dei personaggi, tutti, del suo romanzo ritratti perfetti, molto vivi.

Nonostante la poca stima che ha sempre provato nei confronti del suo socio, Spade si sente punto sull’onore di trovare l’assassino. Fa parte del particolare codice morale al quale Spade aderisce (dirà a un certo momento: «Miles era un figlio di puttana», ma «quando viene ucciso il socio di un tale, ci si aspetta che questi si dia da fare in qualche modo. Non importa che cosa pensi tu del morto»).

Così, Spade prende personalmente in mano il caso della signorina Wonderly, tanto preoccupata della scomparsa della sorellina, per vedere un po’ cosa c’è realmente dietro. E a poco a poco, infatti, salta fuori tutta un’altra storia: non esiste nessuna sorella, tanto meno scomparsa; la cliente non si chiama Wonderly, bensì Brigid O’Shaughnessy, che nel frattempo propinerà a Spade altre bugie; il gangster, ucciso poche ore dopo Miles Archer, era un suo amico; ed entrambi facevano parte di una banda dalla quale avevano proditoriamente defezionato, portandosi dietro un enorme bottino rappresentato da un antico e preziosissimo falco d’oro, tempestato di gioielli: si tratta di un oggetto che i Cavalieri di Rodi - da qui cacciati nel 1523 da Solimano e approdati, dopo giorni di navigazione, a Malta - offrirono in dono all’imperatore Carlo Quinto in cambio della ospitalità sull’isola che gli apparteneva.

Il falco, in tutta la sua esistenza aveva conosciuto mille passaggi e vicissitudini, e per tutto il romanzo sembra che - tra nuove sparizioni e trafugamenti reciproci - la serie di queste continui, scatenando ancora gli appetiti e le rivalità di tutti, compresa quella di Sam Spade che alzerà il prezzo della sua controversa e ostacolata prestazione professionale. Alla fine, naturalmente, non mancherà il doppio o, se vogliamo, triplo colpo di scena, che solo in maniera rassegnata e, per certi versi, malinconica e stizzita, dà ragione alla giustizia.

Il che conferma Sam Spade come personaggio disilluso del mondo che ha intorno e di se stesso. Per renderci conto delle ragioni di questo atteggiamento - che è poi una costante dei personaggi di Hammett - è da tener presente l’epoca in cui furono scritti i suoi libri: quella della recessione e del crollo di Wall Street, quando disoccupazione, gangsterismo, violenza e corruzione imperversavano e la fiducia nei valori che fino allora avevano sorretto la società non era più così totale (e, in questo senso, Hammett, come ogni vero scrittore, è anche testimone del suo tempo).

Ne consegue che anche i metodi d’indagine di cui Spade fa uso non hanno certo il fair-play di un Poirot, ma sono condotti con gli stessi sistemi violenti e scorretti dei suoi concorrenti e rivali, che poi sono un po’ tutti: dalla polizia ufficiale ai clienti, dal procuratore distrettuale ai vari informatori, prezzolati o meno che siano, alle donne. Proprio la conoscenza di questa fauna umana e dell’ambiente, anzi del “territorio” («So di che parlo. Si tratta della mia città e del mio mestiere» dirà a un certo momento Spade), lo fanno agire con circospezione, sospetto e cinismo.

Dirà ancora Sam Spade a Brigid O’ Shaughnessy, con la quale è stato a letto: «Supponi pure che io ti ami: e con questo? Può darsi che il mese prossimo non ti ami più. Ci sono già passato… quando pure è durato tanto. Che cosa accadrebbe allora? Penserei di essere stato un idiota».

Un tipo, dunque, da prendere con le molle. Forse un personaggio poco edificante. Ma dopo la lettura di questo romanzo, si vedrà che varrà anche per noi quanto un personaggio del romanzo ha detto di Sam Spade: «Perdio, signore. Lei è un tipo che val la pena di aver conosciuto».


Diego Zandel