L'erede del deserto
CAROL MARINELLI
Trama
Il loro regno viene prima di ogni altra cosa.
Amy Bannester, allegra e spumeggiante, sembra aver dimenticato che le parole servitù e compostezza dovrebbero andare a braccetto nel palazzo di uno sceicco. Ma la cosa non sembra impensierire Emir Alzan, che ha le idee molto chiare a proposito della giovane tata delle sue due gemelle...
Il punto è che, nonostante l'attrazione che provano l'uno per l'altra, la legge del deserto non concede deroghe: Emir ha bisogno di un erede maschio, se vuole che il suo lignaggio abbia un futuro, ma questo è proprio quello che la dolce Amy non può regalargli.
L'IMPERO DELLE DUNE UN UNICO POTENTE LEGAME. DUE SIGNORI DEL DESERTO
1
«Lo sceicco Emir le concede udienza.» Amy alzò lo sguardo su Fatima, una delle domestiche che entrava nella nursery dove stava dando da mangiare alle due principesse. «Grazie. A che ora...?» «Subito» la interruppe Fatima con tono impaziente per l'indifferenza di Amy, sempre intenta alla cena delle gemelle.
«Stanno cenando...» cominciò Amy, ma rinunciò a proseguire... Dopotutto, cosa ne sapeva il re della routine delle sue figlie? Emir vedeva di rado le figlie e questo le spezzava il cuore.
Cosa ne sapeva di quanto ultimamente fossero bisognose di affetto e schizzinose con il cibo? Era uno dei motivi per cui aveva chiesto un incontro con il re...
Il giorno successivo sarebbero state affidate ai beduini, degli sconosciuti che le avrebbero tenute per la notte.
Era una tradizione che risaliva ai secoli precedenti, le aveva spiegato Fatima, una tradizione alla quale non ci si poteva sottrarre.
Bene, Amy ne avrebbe discusso.
Le due piccine avevano perso la madre quando avevano soltanto poche settimane e, dalla morte della moglie, Emir le aveva viste di rado. Era Amy a occuparsi di loro, Amy che stava con loro giorno dopo giorno, Amy della quale si fidavano. Non le avrebbe consegnate a una banda di estranei senza lottare.
«Mi occupo io della cena delle principesse» si offrì Fatima.
«Lei deve rendersi presentabile per l'incontro con il re.»
Fece scorrere uno sguardo di disapprovazione sul grembiule azzurro che era l'uniforme della bambinaia reale. Quel mattino era fresco e immacolato, ma ora aveva chiazze di colore perché nel pomeriggio aveva dipinto con Clemira e Nakia. Non era credibile che Emir si preoccupasse del suo aspetto. Doveva ben sapere che, se una bambinaia svolge con coscienza il proprio lavoro, l'aspetto può essere meno che perfetto. Ma, ancora... cosa ne sapeva Emir della vita della nursery? Erano settimane che non si faceva vedere.
Amy indossò un abito pulito e legò i capelli biondi a coda di cavallo, poi li coprì con uno scialle blu e si accertò che la cicatrice sul collo fosse nascosta dalla seta. Non sopportava che in ogni conversazione gli occhi andassero irrimediabilmente in quel punto, e soprattutto odiava le inevitabili domande che ne seguivano.
L'incidente e le sue conseguenze erano qualcosa che preferiva dimenticare piuttosto che discuterne.
«Sono troppo capricciose con il cibo» considerò Fatima mentre Amy rientrava nella nursery.
Amy soffocò un sorriso mentre con una smorfia Clemira afferrava il cucchiaio che Fatima le porgeva e lo buttava sul pavimento.
«Hanno bisogno di essere vezzeggiate» spiegò Amy. «Non hanno mai mangiato questo cibo.» «Devono imparare a comportarsi come si deve!» sbottò Fatima. «Quando mangeranno in pubblico, avranno gli occhi di tutti puntati addosso e domani partiranno per il deserto dove mangeranno solo frutta, e alla gente del deserto non piaceranno due principesse viziate che sputacchiano il cibo.» Guardò Amy da capo a piedi. «Si ricordi di chinare il capo quando entra e di tenerlo chino finché il re non parlerà. E di ringraziarlo per ogni suggerimento che le darà.»
Amy ingoiò una rispostaccia. Con Fatima sarebbe stata sprecata e dopotutto era meglio riservare le risposte per Emir. Mentre si avvicinava alla porta, Clemira, rendendosi conto che sarebbe rimasta sola con Fatima, la chiamò.
«Ummi!» piagnucolò. «Ummi!» Fatima guardò inorridita la bimba che usava il nome arabo di mamma.
«E così che la chiama?» «Non capisce il significato» si affrettò a spiegare Amy. Ma Fatima adesso era in piedi, la cena dimenticata, il viso distorto dalla furia.
«Cosa le ha insegnato?» l'accusò.
«Io non le ho certo insegnato a chiamarmi così» si difese Amy, colta dal panico. «Anzi, ho cercato di correggerla.» E lo aveva fatto realmente.
Negli ultimi giorni aveva ripetuto mille volte il proprio nome, ma le gemelle avevano scoperto una nuova versione.
Clemira doveva averla colta dalle varie storie che Amy raccontava e dagli incontri con gli altri bimbi che chiamavano così la loro mamma.
A dispetto di tutte le volte che le aveva corrette, Clemira insisteva con la nuova parola.
«Ha un suono simile» cercò di spiegare Amy, ma, non appena aveva creduto di aggiustare la situazione, Nakia, come al solito, imitò la sorella.
«Ummi» piagnucolò la piccola, unendosi alla protesta della gemella.
«Amy!» la corresse mentre percepiva il disgusto di Fatima.
«Se il re sente una cosa del genere, saranno guai» la mise in guardia Fatima. «Guai grossi.» «Lo so.» Lasciando la nursery, Amy respinse le lacrime.
L'incontro con il re era necessario, si disse mentre i nervi cominciavano a saltarle. Bisognava pur dire qualcosa.
Eppure, anche se era stata lei a chiedere udienza, tremava alla prospettiva. Lo sceicco Emir di Alzan non era certo disponibile alle conversazioni, almeno non dopo la morte di Hannah. Sulle pareti, erano allineati i ritratti dei re precedenti, uomini cupi e imponenti, ma dalla morte della moglie di Emir, nessuno era scostante come lui e di lì a poco avrebbe dovuto affrontarlo.
Era necessario, si disse Amy osservando le guardie davanti alla porta del suo studio. Per quanto difficile potesse essere quella conversazione, c'erano cose che dovevano essere dette e voleva farlo prima di recarsi nel deserto con lui e le piccole, perché questa era una discussione che doveva essere affrontata lontano da orecchie infantili.
Amy sostò di fronte alla massiccia porta intagliata e attese finché le guardie fecero un cenno e la porta si aprì.
Emir sedeva a un'immensa scrivania, con una veste nera, e portava la kefiah. Intorno a lui sedevano gli assistenti e gli anziani. In qualche modo, lei doveva trovare il coraggio di perorare la propria causa.
«Capo chino!» la riprese aspra una guardia.
Amy fece come le fu detto ed entrò. Non le era permesso guardare il re, ma percepiva il suo sguardo fisso su di sé mentre Patel, l'assistente anziano, faceva una rapida presentazione in arabo.
Amy rimase a capo chino finché finalmente il re parlò.
«Ha chiesto di vedermi, ma mi è stato detto che le gemelle non sono malate.»
La voce era profonda e l'inglese aveva un accento particolare. Da molto, Amy non lo sentiva parlare in inglese. Le sue visite alla nursery erano brevi e normalmente diceva qualche parola in arabo alle piccole e se ne andava subito. Sentendolo parlare di nuovo, Amy si rese conto con un sussulto nervoso di quanto si fosse persa
non udendo la sua voce.
Ricordava i giorni successivi alla nascita e come fosse stato disponibile. Emir era stato un padre premuroso e, soprattutto con una moglie malata, era stato grato per ogni suo suggerimento, tanto che spesso lei aveva dimenticato che fosse il re. Difficile credere ora che fosse stato così disponibile, tuttavia Amy si aggrappò a quella vecchia immagine mentre alzava la testa per guardarlo in viso, decisa a parlare con il padre piuttosto che con il re.
«Clemira e Nakia stanno bene» esordì Amy. «Be', fisicamente stanno bene...» Notò che lui aggrottava la fronte. «Volevo riferirle dei loro progressi e anche discutere della tradizione per cui...» «Domani ci recheremo nel deserto» la interruppe Emir.
«Resteremo là ventiquattro ore. Ci sarà tutto il tempo per discutere dei loro progressi.» «Ma desidero parlarne senza che le gemelle sentano.
Potrebbero agitarsi, ascoltando ciò che intendo dire.» «Hanno appena un anno» le fece notare. «Mi sembra ben difficile che capiscano i discorsi degli adulti.» «Potrebbero...»
Amy ebbe l'impressione di soffocare... sentiva la cicatrice sul collo che bruciava perché sapeva bene cosa significava giacere in silenzio, sapeva cosa significava ascoltare e non essere in grado di intervenire. Sapeva perfettamente come ci si sente quando discutono della tua vita e non sei in grado di partecipare alla conversazione. Non avrebbe permesso che succedesse alle gemelle. Anche se c'era solo una minima possibilità che capissero ciò che veniva detto, non voleva correre quel rischio. Comunque, era lì non solo per discutere dei loro progressi.
«Fatima mi ha informato che trascorreranno la notte con i beduini.» Lui annuì. «Non penso sia una buona idea»
proseguì Amy. «In questo periodo, hanno bisogno di affetto.
Si agitano persino quando lascio la stanza.» «Ed è proprio il momento di mettere in atto la separazione.» Emir era impassibile. «Tutti i reali devono trascorrere ogni anno del tempo con la gente del deserto.» «Ma sono così piccole!» «E una tradizione, sia per Alzirz sia per Alzan, e non è oggetto di discussione.» Non condivideva, ma non poteva far altro che accettare quella decisione, si rese conto Amy, perché in quella terra le regole e le tradizioni erano osservate alla lettera.
Poteva soltanto rendere la separazione meno traumatica possibile.
«Ci sono altre questioni di cui vorrei discutere con lei.» Amy si guardò intorno nella stanza. Anche se non sapeva quante guardie e quanti assistenti parlassero inglese, era consapevole che Patel conosceva perfettamente quella lingua. «Non potremmo parlarne in privato?» suggerì.
«In privato?» domandò Emir. Il tono irritato chiariva che non c'era niente di cui lei potesse discutere meritevole di sgombrare la stanza. «Non è necessario. Venga al punto.» «Ma...»
«Parli!»
Non aveva alzato la voce, tuttavia il tono era impaziente e rabbioso. Amy proprio non lo riconosceva, o almeno non riconosceva in lui l'uomo che aveva conosciuto un anno prima. Oh, era un re inflessibile, e un governante rigido, ma anche una persona sensibile alle necessità della moglie malata, che aveva anteposto al protocollo e al dovere. Quel giorno no. Lei non stava parlando con il padre e il marito che ricordava, bensì con il re di Alzan.
«Le bambine la vedono così raramente» esordì di fronte a un'audience critica. «Sentono la sua mancanza.»
«Glielo hanno detto loro?» La bocca stupenda era incurvata in una smorfia. «Non sapevo che parlassero già così bene.» Patel si lasciò sfuggire una risatina prima di fare un passo avanti. «Il re non ha bisogno di sentire queste sciocchezze» affermò. Ma Amy, sapendo che era l'unica possibilità che aveva di parlare prima della partenza, non si lasciò intimidire.
«Forse no, ma le bambine hanno bisogno del loro padre.
Hanno bisogno...»
«Non c'è niente di cui discutere.» Con un cenno della mano, Emir la congedò. Ma, invece di seguire la prassi di chinare il capo e uscire, Amy mantenne la posizione.
«Al contrario... ci sono un sacco di cose di cui dovremmo discutere!»
Udì il mormorio scioccato dei presenti, percepì la tensione che si era creata. Nessuno si sarebbe permesso di discutere con il re e certo non una bambinaia.
«Scusate, Altezza...» Patel si avvicinò ad Amy rivolgendosi al re con tono deferente, un tono che cambiò radicalmente quando si rivolse a lei imponendole di lasciare immediatamente la stanza.
«Deve ascoltarmi!» «Il re ha concluso il colloquio» ringhiò Patel.
«Bene, ma io non ho finito di parlare con lui!» Amy alzò la voce e subito vacillò incontrando lo sguardo del re mentre si permetteva di contraddirlo.
Era nervosa, terrorizzata, ma ormai si era spinta a un punto tale che le era impossibile fermarsi.
«Altezza, davvero ho bisogno di parlarle delle sue figlie prima che vadano nel deserto. Come saprà, sono giorni che ho chiesto un'udienza. Nel mio contratto c'è una clausola che stabilisce che abbia incontri regolari con i genitori delle gemelle per discutere qualsiasi problema.»
Era inorridita all'idea di essere costretta a chiedergli un appuntamento per poi essere congedata senza neppure avere avuto la possibilità di esporre le proprie motivazioni.
Sì, era proprio furiosa.
«Quando ho accettato l'incarico di bambinaia reale, era implicito che dovessi collaborare all'educazione delle gemelle che a quattro anni...» Si interruppe e ancora una volta Emir la ignorò. Si era rivolto a Patel e gli parlava in arabo. Amy rimase immobile mentre una cartelletta, presumibilmente quella che la riguardava, fu sistemata davanti al re che le diede una scorsa.
«Lei ha firmato un contratto per quattro anni» affermò Emir. «E rimarrà qui finché le gemelle partiranno per Londra per proseguire la loro istruzione. Così è stato stabilito.»
«Quindi devo aspettare altri tre anni prima di poter discutere delle bambine?» Amy dimenticò che stava parlando con il re, dimenticò tutto. Era così furiosa con lui da passare ogni limite. «Devo aspettare tre anni prima di far presente le mie richieste? Se lei vuole riferirsi al contratto, allora bene, ci atterremo al documento che entrambi abbiamo firmato e che, da parte sua, non è stato osservato!» sbottò sempre più adirata. «Non può prendere come riferimento soltanto le clausole che le tornano comodo.» «Basta!»
Era stato Patel a interromperla. Non poteva permettere che il suo re fosse disturbato per tali inezie. Chiamò le guardie intimando di portarla fuori di peso, se necessario.
Ma Emir impedì questa uscita ignominiosa. Non aveva bisogno delle guardie per trattare con una donna che si era permessa di tenergli testa, una donna che si era permessa di insinuare che lui, lo sceicco Emir di Alzan, aveva disatteso un contratto che portava la sua firma. «Mi dica dove ho
mancato alla parola data.» Lei eresse le spalle, un po' scossa, un po' senza fiato, ma grata per l'opportunità che le era offerta di essere ascoltata.
«Le gemelle hanno bisogno di un genitore...» Lui non batté ciglio. «Come ho detto, il mio compito è quello di collaborare alla loro crescita, sia qui a palazzo sia in eventuali trasferimenti a Londra.» Forse, decise Amy, sarebbe stato meglio cominciare con problemi meno emotivi. «E più di un anno che non torno a casa.» «Prosegua.»
Amy trasse un profondo respiro, rendendosi conto che adesso lui la stava ascoltando.
«Le bambine hanno bisogno più di quanto possa dare io...» Si domandò come proseguire. Le gemelle avevano bisogno di affetto, e di questo lei ne dispensava a iosa, ma era di un genitore che avevano particolarmente bisogno. In qualche modo doveva riuscire a dirglielo... doveva ricordargli cosa Hannah avrebbe voluto per le sue bambine. «Finché avranno quattro anni, per contratto devo collaborare alla loro educazione. Era stabilito che avessi due sere e due notti libere la settimana, invece...» Lui la interruppe di nuovo parlando in arabo con Patel, poi si rivolse a lei. «Molto bene. Fatima le darà una mano nella cura delle bambine. Avrà i suoi giorni di libertà e il mio personale valuterà un eventuale aumento di stipendio.» Non poteva crederci. Non poteva proprio credere che avesse girato le carte in tavola in quel modo. Aveva voluto intendere la sua protesta come una richiesta di aumento.
«E questo è tutto.»
«No!» Questa volta alzò la voce e il tono era fermo... Per il bene delle gemelle, Amy era decisa a farsi ascoltare. «Non è di questo che volevo discutere. Le ripeto che il mio ruolo è di collaborare con i genitori nell'educazione dei loro figli,
non di occuparmene da sola. Non avrei mai accettato una condizione del genere.» No, non lo avrebbe mai fatto.
Aveva creduto di entrare a far parte di una famiglia affettuosa, non una famiglia nella quale i figli erano del tutto ignorati. «Quando la regina Hannah mi ha assunto...» Emir impallidì e l'espressione tradì la sofferenza nel sentire il nome della moglie morta. Pareva che le parole fossero ghiaccio che cercava di inghiottire e vacillò. Ma, immediatamente, la sofferenza si dissolse e apparve la collera.
Si alzò. Non sarebbe stato necessario, perché Amy si era zittita immediatamente, rendendosi conto dell'errore che aveva commesso. Da dietro la scrivania, Emir dominava la stanza con la sua imponente figura.
Pareva un guerriero, un uomo indomabile del deserto. Ma era più che un guerriero, era un regnante, e lei si era permessa di ribattere, si era permessa di sollevare un argomento che era penosamente e definitivamente chiuso.
«Fuori!»
Ringhiò questa singola parola e questa volta Amy decise di obbedire all'imposizione perché gli occhi neri brillavano di furia repressa e la cicatrice che gli correva sul sopracciglio destro sporgeva, rendendo le sue fattezze ancora più minacciose. Amy sapeva di aver esagerato. C'erano talmente tanti limiti che non era concesso superare ad Alzan, ma parlare della regina Hannah, ricordare i tempi felici, far rivivere il passato con re Emir non era soltanto oltrepassare un limite... era un salto nel buio che solo gli stolti avrebbero commesso.
«Non lei.» La bloccò mentre stava uscendo. «Tutti gli altri fuori!»
Amy si voltò lentamente e incontrò gli occhi lampeggianti del re. Lo aveva sconvolto e ora poteva affrontarlo da sola.
«La bambinaia resti qui.»
2
La bambinaia...
Mentre aspettava di conoscere il proprio destino, Amy ripeteva nella mente quelle parole che le bruciavano terribilmente... era certa che avesse dimenticato il suo nome. Allevava le sue figlie e lui non sapeva niente di lei.
Non che glielo avrebbe rinfacciato. In quel momento, era fortunata se avesse conservato l'impiego. Il cuore accelerò il battito per il panico perché non sopportava l'idea di lasciare le gemelle. Non accettava di essere rispedita a casa senza neppure la possibilità di salutarle.
E fu questa riflessione a spingerla a scusarsi.
«La prego... di accettare le mie scuse.» Ma lui ignorò le sue parole mentre la stanza lentamente si svuotava.
«Patel, anche tu!» esclamò Emir notando che l'assistente indugiava mentre tutti erano già usciti.
Quando Patel con riluttanza seguì gli altri e chiuse la porta, per la prima volta dopo un anno, Amy si trovò sola con lui... ma questa volta era terrorizzata.
«Stava dicendo?» la sfidò.
«Che non avrei dovuto.» «E un po' tardi per il riserbo» considerò Emir. «Adesso ha la privacy che aveva chiesto. Ha la possibilità di parlare.
Allora perché, all'improvviso, ha perso la voce?» «Non l'ho persa.»
«Allora parli.»
Amy non riusciva a guardarlo, aveva esaurito tutta la spavalderia. Trasse un profondo respiro e si fissò le mani, poi si impose di alzare gli occhi. Il re aveva ragione, adesso
aveva ottenuto quello che aveva richiesto: la possibilità di parlargli in privato. Era certa che l'avrebbe licenziata, ma aveva la speranza che, se avesse ascoltato anche una minima parte di ciò che aveva da dirgli, le cose potessero cambiare.
Così si forzò a parlare.
«Sono stata assunta con il compito di coadiuvare all'educazione e alla crescita delle bambine.» La voce adesso era più calma, anche se il cuore batteva impazzito. «La regina Hannah è stata molto precisa per quanto riguardava le sue figlie e condividevamo le stesse idee...» Si interruppe, perché non avrebbe dovuto fare un raffronto tra lei e la regina. «O meglio, ammiravo il modo di vedere della regina... capivo ciò che voleva per le sue bambine e abbiamo parlato spesso del loro futuro. Per questo motivo ho firmato un contratto così a lungo termine.» «Prosegua» la incoraggiò Emir.
«Quando ho preso servizio, ho saputo che la gravidanza aveva indebolito la regina, che avrebbe avuto bisogno di tempo per riprendersi e che, al momento, non era in grado di fare tutto ciò che avrebbe voluto per le piccole.
Comunque...»
«Sono più che certo che la regina Hannah avrebbe preferito che l'aiutasse a crescere le bambine» la interruppe Emir.
«Quando l'ha assunta, non aveva, ovviamente, intenzione di morire.» Storse le labbra in una smorfia di disgusto e guardò Amy, la voce intrisa di sarcasmo. «Mi scuso per l'inconveniente...»
«No!» Amy non poteva permettergli di girare di nuovo le carte in tavola. «Se la regina Hannah fosse ancora viva, mi alzerei anche dieci volte per notte per le gemelle. Era una donna meravigliosa, una madre stupenda, e avrei fatto qualsiasi cosa per lei...» Amy era sincera. Aveva adorato la
regina e l'aveva ammirata per le scelte che aveva operato per assicurare la felicità delle sue bambine. «Avrei fatto qualsiasi cosa per la regina Hannah, ma...» «Avrà un aiuto» intervenne Emir. «Vedrò se Fatima...» Possibile che non capisse? Con coraggio, interruppe di nuovo il re. «Non è di una seconda bambinaia che le piccole hanno bisogno. È di lei! Sono stufa di alzarmi di notte quando il loro padre dorme.» «Il loro padre è il re.» Il tono era incredulo. «Il loro padre è impegnato a governare il paese. Sto creando un ospedale specifico per la maternità con un reparto di cardiologia in modo che a nessun'altra donna succeda quello che è successo a mia moglie. Oggi ci sono venti minatori intrappolati nella miniera di smeraldi e, invece di essere a fianco del mio popolo, devo ascoltare le sue lamentele. La mia gente è preoccupata per il futuro del paese e lei si aspetta che io, il re, mi alzi di notte per una bambina che piange!»
«Una volta lo faceva!» ribatté subito Amy. «Si alzava per andare dalle sue bambine.» Ed ecco di nuovo quell'espressione sofferente che questa volta non si dissipò. Aveva gli occhi chiusi e si premeva le dita sul naso mentre respirava con affanno. Amy si rese conto che, in qualche modo, dentro di lui c'era l'uomo che aveva conosciuto e voleva disperatamente entrare in contatto con lui, ritrovare il padre affettuoso che era stato...
Per questo motivo trovò il coraggio di continuare.
«Portavo alla regina una gemella da allattare mentre lei si prendeva cura dell'altra.» Emir rimosse le dita dal viso e si alzò, le mani serrate a pugno, il viso irrigidito tanto che un muscolo gli pulsava sulla mascella. E lei sapeva che quella era sofferenza e non rabbia.
«Comunque no, non mi aspetto che lei si alzi di notte per le sue figlie, ma è troppo chiederle di venire a vederle una volta al giorno? E troppo chiedere che assuma un ruolo più attivo nella loro vita? Cominciano a parlare...» Lui scosse il capo, un avvertimento forse che doveva interrompersi, ma lei doveva fargli capire tutto ciò che si stava perdendo, anche se le sarebbe costato l'impiego.
«Clemira adesso si alza aggrappandosi ai mobili e Nakia cerca di imitarla... batte le mani, sorride e...» «Basta.»
«No!» Non aveva nessuna intenzione di tacere.
Era troppo sconvolta per registrare la supplica nella voce del re, perché adesso stava piangendo. Il velo che le copriva i capelli era caduto a terra. Avrebbe voluto afferrarlo perché lo sguardo di Emir era sulla sua cicatrice il permanente ricordo dell'inferno ma non portò le mani al collo nel tentativo di nasconderla. Aveva cose più importanti per la testa.
Due gemelle alla cui nascita aveva assistito, due piccine che avevano conquistato il suo cuore, e la voce si spezzò mentre gli gettava in faccia la verità.
«Deve sapere cosa succede nella vita delle sue figlie. Tra due giorni è il loro compleanno e loro saranno nel deserto, terrorizzate per essere separate da me. E poi, quando torneranno a palazzo, saranno vestite a festa e portate in giro perché la gente le ammiri. Lei le terrà per mano e loro ne saranno felici, ma subito dopo tornerà a ignorarle...» Sarebbe stata licenziata, Amy lo sapeva, quindi tanto valeva togliersi tutti i pesi dallo stomaco. «Non sopporto di vedere come sono trattate.» «Sono trattate da principesse quali sono!» sbottò Emir.
«Hanno tutto...»
«Non hanno niente!» gridò Amy. «Hanno abiti stupendi,
giocattoli, mobili e gioielli, ma questo non significa niente, perché non hanno lei. Solo perché sono...» Amy si bloccò, ma era ormai troppo tardi.
«Vada avanti.» Le parole la invitavano a proseguire, ma non il tono e l'espressione.
«Credo di aver detto più che a sufficienza.» Non aveva senso aggiungere altro, si rese conto Amy. Emir non sarebbe cambiato. Il paese non avrebbe amato le sue principesse perché lei le amava. Quindi raccolse lo scialle e lo mise sui capelli. «Grazie per il suo tempo.» Si voltò per andarsene, ma lui la chiamò.
«Amy...»
Quindi ricordava il suo nome.
Si voltò e incontrò i suoi occhi neri. La sofferenza era ancora evidente, visibile testimonianza dell'agonia di quell'anno, ma questa volta svanì subito. Il viso si era irrigidito in un'espressione rabbiosa e il tono con cui l'aveva chiamata era cambiato.
Le parole erano aspre quando riprese. «Non è compito suo giudicare le nostre usanze.» «E quale sarebbe il mio compito?» «Quello di una dipendente.» Oh, aveva reso tutto brutalmente chiaro, ma se non altro pareva che lei avesse ancora un impiego... se non altro non sarebbe stata separata dalle gemelle. «Lo terrò presente in futuro.»
«Sarebbe saggio da parte sua» disse Emir osservandola mentre chinava il capo e poi usciva, lasciandolo solo nel sontuoso ufficio. Ma non per molto.
Patel entrò un attimo dopo che fu uscita Amy, pronto a riprendere il lavoro perché c'era ancora molto da fare.
«Mi scuso, Altezza» mormorò Patel entrando, «non avrei mai dovuto permetterle di parlare con lei... non deve essere
disturbato da questioni tanto banali...» Con un cenno, Emir lo interruppe. L'osservazione di Patel non faceva che esacerbare il suo inferno.
«Lasciami.»
A differenza di Amy, Patel si guardò bene dal discutere e fece come gli era stato detto.
Una volta solo, Emir si accostò alla finestra e guardò il deserto in cui l'indomani avrebbe condotto le gemelle.
Era terrorizzato all'idea.
Per motivi che non riusciva neppure a individuare, aveva il terrore del giorno successivo e del tempo che avrebbe trascorso con le bambine. Non temeva di doverle lasciare al popolo del deserto per la notte, ma i momenti precedenti...
vederle alzarsi in piedi, battere le mani, ridere, cercare di parlare come aveva descritto Amy.
Il colloquio lo aveva sconvolto, non perché lei si fosse permessa di parlargli in quei termini, ma perché aveva detto la verità.
Una verità di cui era consapevole.
Amy aveva ragione.
Si era alzato la notte quando erano appena nate, aveva trascorso parecchio tempo con loro. Benché non fosse mai stato detto apertamente, pareva che entrambi sapessero che lottavano contro il tempo, e aveva fatto in modo di dare a Hannah tutti i momenti preziosi con le bambine che era riuscito a ritagliarsi.
Guardò la foto sua, della moglie e delle bambine sulla scrivania.
Sembrava che lui sorridesse, ma i suoi occhi non sorridevano perché sapeva quanto fosse malata sua moglie.
Quando era incinta di quasi sei mesi, avevano scoperto che aveva il cuore malato. Pochi mesi dopo, era morta.
E pur sorridendo, nella foto Hannah aveva una grande
tristezza nello sguardo.
Sapeva che stava per morire?, si domandò Emir. Era stata la consapevolezza di avere ancora poco tempo da trascorrere con le sue bambine a portare quelle nubi scure negli occhi? Oppure la consapevolezza che il regno di Alzan aveva bisogno di un erede maschio per sopravvivere? Senza un erede maschio, Alzan sarebbe stato assorbito da Alzirz, governato dallo sceicco Rakhal.
Odiava le parole che Hannah aveva pronunciato alla nascita delle bambine... odiava il fatto che si fosse scusata per aver partorito due femmine.
Il cuore gli batteva impazzito, quasi fosse pronto per andare a combattere, mentre restava immobile permettendosi di ricordare le ultime parole di Hannah.
Il sangue gli rombò nelle orecchie, corse nelle vene e allora chiuse gli occhi mentre ancora una volta udiva la sua voce.
Promettimi che farai del tuo meglio per le bambine. E come?, chiese Emir a un'anima che rifiutava di aver pace.
A giorni, la moglie di Rakhal, Natasha, avrebbe partorito.
Ad Alzirz le leggi erano diverse, e una principessa poteva diventare regina e governare.
Come si sarebbe inorgoglito Rakhal quando fosse nato suo figlio, soprattutto se fosse stato un maschio!' L'espressione si incupì al pensiero del rivale.
Prese le due pietre che aveva sulla scrivania.
Benché fossero freddi, i due preziosissimi zaffiri rosa pareva gli bruciassero nel palmo.
Rakhal non era ancora re quando gli aveva fatto quel dono per festeggiare la nascita delle bambine... un regalo che era stato consegnato la mattina stessa in cui era morta Hannah.
Hannah aveva creduto che fossero rubini, si era convinta che i dissapori tra i due paesi fossero finalmente appianati.
Emir l'aveva lasciata in quella convinzione, le aveva
lasciato credere che quel dono fosse un gesto gentile da parte di Rakhal, benché lui avesse intuito benissimo il vile messaggio che si celava dietro quel regalo... gli zaffiri dovrebbero essere azzurri.
Senza un erede maschio, il regno di Alzan sarebbe finito.
Emir gettò rabbiosamente le pietre a terra, le udì sbattere contro il pavimento e si augurò che finissero in mille schegge, la stessa fine che gli pareva stesse facendo il suo cervello.
Odiava Rakhal, ma più ancora odiava la decisione che sarebbe stato costretto a prendere. Perché non era stata solo Hannah che lo aveva supplicato dal letto di morte, anche le ultime parole di suo padre gli ricordavano di fare del proprio meglio per il suo paese.
Due promesse che doveva mantenere.
La sua decisione non poteva non doveva essere basata sull'emotività, quindi prese in mano la foto, le diede un ultimo sguardo passando il dito sul volto di Hannah e su quello delle bambine. Poi la mise a faccia in giù in un cassetto e lo chiuse.
Non poteva guardarle. Non doveva.
In qualche modo doveva mettere da parte le emo zioni tenendo presente il futuro, non solo per le sue fi glie, ma per il paese che governava.
3
Faceva troppo caldo per dormire.
Il ventilatore sopra il letto muoveva a stento l'aria pesante della notte, inoltre Amy non aveva fatto che piangere da quando aveva messo a letto le piccole.
Aveva il viso arrossato e accaldato, così decise di alzarsi e uscire sul balcone, augurandosi che ci fosse un filo di aria fresca. Ma ad Alzan le notti erano calde e, nonostante una lieve brezza, la temperatura restava soffocante.
Il deserto era illuminato dalla luna piena e Amy fece scorrere lo sguardo in direzione di Alzirz... Laggiù le notti erano fresche, le avevano detto. Avrebbe voluto essere là, non tanto per l'aria fresca della notte, ma perché ad Alzirz le principesse potevano regnare.
Ad Alzan le femmine invece non erano considerate.
In realtà, non era del tutto vero. Sotto molti aspetti, Alzan si era modernizzato... c'erano università per le donne e, dopo la morte della regina Hannah, Emir aveva fatto costruire un ospedale dedicato a lei, con un reparto di maternità e cardiochirurgia.
A poco a poco, re Emir aveva fatto progredire il proprio paese, eppure, per alcuni aspetti, il re era rimasto aggrappato alle tradizioni degli anziani, legato a regole del passato.
Secoli precedenti, Alzan e Alzirz erano uniti, con il nome di Alzanirz, ma diverse generazioni prima erano stati separati e, attualmente, erano fieri avversari.
In qualche occasione, Amy aveva incontrato re Rakhal e la regina Natasha.
Natasha era sempre stata molto affabile, ma Rakhal, a dispetto della perfetta educazione, era guardingo.
L'avversione tra i due regnanti quando si trovavano nella stessa stanza era quasi palpabile.
Eppure non era Rakhal a preoccuparla quella notte, e neppure re Emir.
Era il suo stato d'animo.
Doveva andarsene.
Si era lasciata coinvolgere troppo.
Dopo che si era resa conto dell'impatto che quell'impiego aveva su di lei, sua madre insisteva per farla tornare a casa.
Ma mentre Amy faceva scorrere lo sguardo sulle sabbie del deserto era dilaniata da un doloroso conflitto. No, non poteva lasciare le gemelle.
Ummi.
Le faceva male sentire quella parola da Clemira e Nakia e sapere che non sarebbe mai stata madre.
Inspirò una boccata di aria, decisa a non ricominciare a piangere, tuttavia, benché in quegli ultimi giorni avesse dovuto affrontare problemi gravi, benché in apparenza fosse venuta a patti con il proprio destino, in notti come quelle la sofferenza riaffiorava. In quel caso poteva solo rimpiangere un tempo in cui la felicità le era sembrata a portata di mano.
Chiuse gli occhi e cercò di ricordare, cercò di scrutare nel buco nero dei mesi e delle settimane che avevano preceduto l'incidente.
Con penosa lentezza, ricominciava a ricordare i fatti...
aveva scelto l'abito da sposa, aveva mandato gli inviti... ma quelle che vedeva erano solo immagini.
Non poteva rivivere ciò che aveva provato.
Amy aveva sempre lavorato con i bambini e stava per sposarsi quando un incidente a cavallo aveva rovinato tutto.
Le speranze e i sogni, la sua relazione e persino la sua fertilità le erano state strappate via in un colpo solo.
Forse era meglio così, ragionò, forse era un bene non ricordare i tempi felici.
Era stato un sollievo andarsene da Londra, fuggire dalla pietà e dalla compassione. Tuttavia sua madre l'aveva messa in guardia a proposito di quell'impiego. L'aveva avvertita che era presto e che si trattava di un impegno troppo lungo, che stava fuggendo dai suoi problemi. Non era stato così.
La possibilità di trovarsi a contatto con due piccine fin dalla nascita, di avere un ruolo determinante nella loro crescita, era stata allettante.
La regina Hannah era stata ben consapevole della delusione del paese se fosse nata una femmina e l'aveva messa in guardia.
Hannah avrebbe voluto che le figlie fossero educate a Londra, che vivessero una vita normale. Il contratto prevedeva che lei si prendesse cura delle piccine per quattro anni ad Alzan, ma che poi avrebbero frequentato la scuola in Inghilterra. Amy sarebbe stata una figura importante nella loro vita, non una madre naturalmente, ma più che una zia.
Come poteva andarsene adesso? Come poteva andarsene perché non condivideva il modo in cui erano trattate?
E nello stesso tempo, come poteva restare? Percorse il corridoio per controllarle. Era un percorso che faceva diverse volte nel corso della giornata e della notte, soprattutto adesso che stavano mettendo i dentini. Ma, quando entrò nella nursery, rimase di ghiaccio perché la vista che le si presentò davanti era tutt'altro che familiare.
C'era Emir che le dava la schiena, con in braccio Clemira
che dormiva con il capo sulla sua spalla.
Emir era cupo e silenzioso ed emanava una tristezza della quale sicuramente non avrebbe voluto che lei fosse testimone, un affaticamento che aveva manifestato solo nei primi giorni dopo la morte di Hannah. Poi aveva osservato il tahir e si era recato nel deserto per un periodo di preghiera e di meditazione.
L'uomo che era tornato a palazzo era diverso... un uomo solitario che teneva le distanze e solo occasionalmente si degnava di andare nella nursery.
Ma era tutt'altro che distante mentre cullava Clemira.
Indossava dei pantaloni larghi neri di seta e nient'altro.
Amy lo aveva già visto vestito così in precedenza, però non le aveva mai fatto effetto.
Nei primi, caotici giorni seguiti alla nascita delle gemelle erano tutti e tre impegnati la notte con le due bambine.
Amy cambiava un pannolino e dava la figlia a Emir che a sua volta la metteva tra le braccia di Hannah perché l'allattasse.
La situazione era ben diversa allora... nonostante la preoccupazione per la salute di Hannah, il palazzo era colmo di amore e questo le mancava molto, le mancava l'uomo che aveva visto in lui.
Quella notte, per un attimo, forse quell'uomo era tornato.
Era dimagrito, notò. I muscoli erano meno sodi, ma c'era tanta tenerezza mentre teneva in braccio la piccola. Era la visione intima di un padre e una figlia, e di nuovo Amy dubitò che lui desiderasse dei testimoni.
Intuiva la sofferenza nella postura delle sue spalle, tanto che per un attimo avrebbe voluto avvicinarsi e dargli conforto.
Ma sapeva che non lo avrebbe voluto e, poiché indossava soltanto la camicia da notte, era meglio che si dileguasse velocemente.
«Sta pensando di andarsene?» Emir si era voltato proprio mentre lei stava per uscire. Amy non poteva alzare lo sguardo su di lui.
Normalmente aveva il capo coperto e anche il corpo. Si chiese se l'indomani sarebbe stata rimproverata per essersi presentata vestita impropriamente... ma per il momento Emir parve non farci caso.
Rispose alla domanda come meglio potè.
«Non so cosa fare.» Clemira si stiracchiò e lui la posò delicatamente nel lettino rimanendo a guardarla a lungo. Poi si rivolse ad Amy.
«Lei ha pianto.»
«Ci sono tanti motivi per cui piangere.» Gli occhi neri questa volta non la rimproveravano. «Non avrei mai pensato di prendere in considerazione l'idea di andarmene.
Quando Hannah mi ha assunto... voglio dire, quando la regina Hannah...»
«Hannah» la interruppe. «E così che voleva essere chiamata da lei.»
Amy gliene fu grata, ma non poteva parlare di questo davanti alle gemelle, non poteva discutere di queste cose senza andare in pezzi. Quindi gli augurò la buonanotte e si diresse verso la propria camera.
«Amy!» la chiamò.
Lei continuò a camminare e rimase scioccata quando lui la seguì in camera.
«Non può lasciare Alzan adesso. Penso che per le gemelle sarebbe meglio...»
«Certo che per loro sarebbe meglio se restassi!» lo interruppe, anche se non avrebbe dovuto. Ma era furibonda.
«Certo che dovrebbero avere qualcuno che si occupa di loro e che le ama... salvo che voler loro bene non è il mio compito. Io sono una dipendente.»
Notò che lui per un attimo chiudeva gli occhi, ma in fondo Emir aveva ragione. Lei non era che una dipendente e poteva essere licenziata in qualsiasi momento, poteva essere rimossa dalla vita delle gemelle nel tempo di un battito di ciglia.
Gli era grata per quella precisazione. D'ora in avanti, sarebbe stata al proprio posto.
Cercò di liberarsi dalla sua presenza rifugiandosi sul balcone, ma lui la bloccò.
«Lei non se ne va mentre le sto parlando.» «Faccio quello che voglio nella mia camera da letto!» Amy si voltò a fronteggiarlo. «Si dà il caso che questo sia l'unico luogo in questa prigione di palazzo dove sono io a stabilire le regole, dove parlo con chi decido io, e se lei non è d'accordo, se non vuole ascoltare, non ha che da andarsene.»
Voleva che uscisse dalla sua stanza e invece lui si avvicinò, costringendola ad arretrare, troppo consapevole della sua virilità, vergognosamente consapevole della risposta conflittuale del proprio corpo.
La collera divampò e dilagò, ma anche qualcos'altro, perché lui era un uomo affascinante e ovviamente lei se n'era resa conto... quale donna non lo avrebbe notato? Ma nel suo ufficio o nella nursery lui era il re, il padre delle gemelle, il suo datore di lavoro, invece qui, in quella camera, era qualcos'altro.
Non doveva tradirsi, così lo assalì verbalmente.
«Io amo le sue bambine, e mi strazia l'idea di lasciarle, ma è trascorso quasi un anno dalla morte di Hannah e non trovo più giustificazioni. Se fossero le mie figlie e lei le avesse ignorate, me ne sarei già andata. L'unica differenza è che le avrei portate con me...» Il viso era arrossato per la collera, gli occhi lucidi di lacrime, ma c'era qualcosa di più...
qualcosa che non poteva dirgli. Uno dei motivi per cui sarebbe dovuta andarsene: talvolta, quando lo osservava, voleva che l'uomo che era stato tornasse, e con un senso di vergogna e di rimorso, lo avrebbe voluto per sé.
Distolse lo sguardo, terrorizzata da ciò che avrebbe potuto leggerle negli occhi, ma Emir deliberatamente si avvicinò.
Soffocò l'impulso di andargli incontro, di sentire le sue braccia intorno a sé perché la proteggesse da quell'inferno.
A fatica uscì di nuovo sul balcone e inspirò l'aria augurandosi che fosse fresca, perché non solo il viso era in fiamme, ma tutto il corpo ardeva.
«Presto mi sposerò...» Emir vide che lei irrigidiva le spalle, notò che si aggrappava alla balconata mentre la brezza, muovendo la camicia da notte, delineava le sue curve. In quel momento, Emir non riuscì a parlare... era la prima volta che vedeva in lei la donna? No.
Ma era la prima volta che lo ammetteva.
L'aveva vista nella nursery qualche settimana prima quando aveva fatto visita alle bambine. Quel giorno aveya appena avuto un incontro con gli anziani, ed era stato informato che presto la regina Natasha avrebbe dato alla luce un figlio e che, di conseguenza, lui avrebbe dovuto risposarsi.
Non gli piaceva che gli fosse imposto qualcosa, e raramente succedeva.
In quel campo, però, era impotente.
Era andato nella nursery immerso in cupi pensieri. Ma vedendo Amy che leggeva una favola alle gemelle, gli occhi azzurri che si posavano su di lui, il sorriso che lo accoglieva, i pensieri cupi si erano dissolti.
Per la prima volta da mesi aveva avuto un momento di serenità. Sarebbe voluto stare con le sue bambine, con la donna a cui lui e Hannah le avevano affidate.
Avrebbe voluto nascondersi.
Ma un re non può nascondersi.
Adesso ciò che vedeva non era così rasserenante.
Adesso la sua prorompente femminilità non gli comunicava un senso di pace. Per un anno, la passione era stata sepolta con sua moglie nella sabbia. Per un anno, non aveva combattuto le tentazioni... perché non ce n'erano state. Ma qualcosa era cambiato quel giorno nella nursery, dal giorno in cui aveva notato non solo il suo sorriso, ma la sua bocca, non le sue parole, ma la sua voce.
All'inizio, quei pensieri si erano limitati a invadere i sogni su cui non aveva controllo, ora, invece, si erano fatti più insistenti e lo tormentavano anche di giorno.
L'aroma del suo profumo in un corridoio deserto poteva raggiungerlo all'improvviso indicandogli la strada che lei aveva percorso, ricordandogli i sogni sepolti. E il suo nome, quando aveva chiesto un'udienza, lo aveva mosso da pensieri nobili ad altri molto più prosaici.
E prosaici erano adesso i suoi pensieri, ma li combatté.
Cercò di prendere in considerazione il problema, non la tentazione che aveva davanti, la donna che gli dava la schiena. Avrebbe voluto afferrarla per le spalle e farla voltare verso di sé. Ma adesso non era prigioniero dei sogni.
Adesso aveva il controllo, e si sforzò di parlare.
«Ho riguardato il suo contratto e ammetto che ha ragione.
Non è stato rispettato.» Lei non si voltò. Voleva solo che se ne andasse... non se la sentiva di affrontarlo. «Dopo il loro compleanno, la situazione si farà ancora più caotica» considerò Emir.
«Quando sceglierà la moglie e si sposerà?» Lui non diede una risposta diretta.
«Sono tempi difficili per Alzan. Forse sarebbe meglio se le gemelle trascorressero una vacanza a Londra.»
Lei chiuse gli occhi, sapendo cosa avrebbe comportato. Un volo su un lussuoso jet, poche settimane a casa con le gemelle, del tempo per la sua famiglia, alberghi fantastici...
Che motivo c'era di rifiutare? Salvo che... Trasse un profondo respiro.
«Senza di lei?»
«Sì» rispose Emir.
Guardò l'uomo che aveva tanto amato le sue bambine, che adesso era così chiuso, così remoto, e decise che doveva capirne il motivo.
«Perché le ricordano Hannah?» chiese. «E per questo che la fa soffrire averle intorno?» «Lasci perdere» ribatté, augurandosi che la risposta fosse tanto semplice, che ci fosse qualcuno con cui potersi confidare. «Organizzerò il viaggio.» «In modo che possa allontanarle ancora di più dalla sua vita?»
«Non si permetta di parlarmi in questo modo.» «Invece lo faccio.»
«Quando sarò risposato, le gemelle avranno una figura materna...»
«Oh, per favore!»
Lui aggrottò la fronte alla sua esclamazione inappropriata, ma questo non le impedì di proseguire.
«Sta cercando una madre per le gemelle o una moglie che le dia un maschio?»
«Gliel'ho già detto. Non sta a lei sindacare le nostre usanze.
Cosa ne sa...»
«Ne sono molto» osservò Amy. «Quando avevo due anni, i miei genitori divorziarono e ricordo che andavo a casa di mio padre. Ricordo quando si è risposato con una donna che non nutriva alcun interesse per i figli del marito e che avrebbe preferito che non la disturbassero andando da loro
il sabato...»
Si interruppe. Non aveva senso. Qui si discuteva delle gemelle, non del suo passato.
Ma, invece di riprenderla, di farle notare che le sue parole erano fuori luogo, Emir la incoraggiò a proseguire.
«Come ha vissuto questa situazione da bambina?» le chiese, perché era importante. Lui voleva dare il meglio alle figlie.
«Era infelice? Era...» «Ignorata?» concluse Amy per lui, ed Emir annuì, invitandola ad andare avanti. «Papà mi aveva comprato una casa delle bambole...» Sorrise timidamente al ricordo. «... e trascorrevo molto tempo a giocarci. In quella casa, mamma e papà mangiavano e dormivano insieme. I bambini giocavano in giardino o in soggiorno, non nella loro stanza...»
Nella casa delle bambole era riuscita a raddrizzare la situazione.
Il sorriso svanì. In questo caso non poteva.
Sentì la sua mano sulla pelle nuda del braccio e i suoi pensieri andarono in tilt. Quel contatto era tutto, quando la sua mente sarebbe dovuta essere focalizzata esclusivamente sulle gemelle.
Soffocò quella sensazione.
«Posso chiederle, quando prenderà in esame le varie candidate, di pensare anche a loro?» «Certo.»
La voce era bassa e dolce, la mano calda ancora sul suo braccio... l'atmosfera era cambiata. La sensazione era che tra poco ci sarebbe stato un bacio.
Un bacio che non poteva che portare guai.
Era forse questo il suo piano?, pensò Amy scostandogli la mano, riportando la mente di nuovo al deserto. Forse voleva che lei si innamorasse di lui, un sistema comodo per
tenerla ancorata lì, per legarla ancora di più alle gemelle, per assicurarsi che non si licenziasse. Perché la riteneva il meglio per le bambine.
«Se ne vada!» esclamò. Emir non si mosse. «Se ne vada...» disse di nuovo, ma non ebbe nessun sollievo nel momento in cui lui uscì e udì la porta chiudersi alle sue spalle.
Amy ricacciò in gola lacrime di frustrazione. Avrebbe voluto richiamarlo, avrebbe voluto continuare la discussione... avrebbe voluto...
C'era un altro motivo che doveva tenere in considerazione se avesse deciso di andarsene.
Contro la propria volontà, a dispetto del comportamento che aveva tenuto in quegli ultimi mesi, nelle rare occasioni in cui Emir si era degnato di far visita alla nursery, alla sua vista il cuore le balzava stupidamente nel petto e, di recente, le fantasie si erano fatte ancora più intime. Le pareva impossibile provare dei sentimenti per un uomo che teneva in così poca considerazione le figlie, eppure...
Sentimenti proibiti.
Celati.
E così dovevano restare, si ripromise Amy, tornando a letto e augurandosi che le venisse sonno. Ma era nervosa perché al risveglio... l'indomani mattina, sarebbe stata sola nel deserto con lui.
4
«Entra.»
Fatima entrò senza restituire ad Amy il sorriso. «Sono quasi pronta.»
«Cosa sta facendo?» Fatima aggrottò la fronte, gli occhi scuri che valutavano la valanga di carta colorata sparsa sul letto di Amy.
«Sto preparando dei pacchetti regalo. Non ne ho avuto la possibilità prima.»
Non aveva avuto la possibilità perché, dopo una notte tormentata in cui si era girata e rigirata nel letto, chiedendosi se avesse frainteso la situazione, e cosa sarebbe successo se non avesse imposto a Emir di andarsene, alla fine si era addormentata e si era svegliata ben oltre il solito orario.
Normalmente si alzava prima delle gemelle, ma quella mattina erano state le loro chiacchiere, udite al baby monitor, a svegliarla e ora, dopo avergli fatto il bagnetto, averle vestite e aver dato loro la colazione, le aveva sistemate nei lettini per poter avvolgere i regali.
«La permanenza nel deserto è un evento solenne» precisò Fatima.
«Ma è il loro compleanno.» «Lo festeggeranno qui a palazzo.» Rimase eretta aspettandosi che Amy togliesse i pacchetti dal bagaglio. «Il re è pronto per partire.» Chiamò un inserviente a prendere i bagagli.
«Deve portar via anche quelli delle piccole» le fece presente Amy.
«Me ne sono già occupata.» Chiaramente Fatima non voleva far aspettare il re. «Venga adesso.» Forse si era immaginata gli eventi della sera precedente, perché Emir rivolse a stento un'occhiata alle gemelle mentre salivano con Amy in elicottero. Le bimbe erano abituate a volare, e anche Amy, ma questa volta non c'erano assistenti e neppure Patel. D'altra parte, questo viaggio, come le era stato ripetuto diverse volte, sarebbe stato diverso.
Amy poteva perdonargli il silenzio e la mancanza di interesse nei confronti delle bambine durante il volo, perché sapeva che quel viaggio avrebbe dovuto farlo in compagnia della moglie. Forse, più che distante, era pensieroso? Ma Emir era più che pensieroso.
Osservava il deserto con ripugnanza e aggrottò la fronte al sole che faceva capolino dalle dune in lontananza. Pensava ai ribelli che un tempo abitavano quei luoghi... uomini che si erano rifiutati di aspettare l'avverarsi delle profezie, che avevano voluto distruggere Alzan e avevano sconvolto la realtà con le loro mani insanguinate.
«È bellissimo» commentò Amy mentre si addentravano sempre più nel deserto. Lo aveva detto quasi tra sé, ma Emir le rispose.
«Da lontano. Non appena ci si avvicina...» Non concluse, ma riprese a guardare dal finestrino replicando nella mente le battaglie del passato, udendo gli zoccoli dei cavalli e le grida, sentendo la sabbia sulle ferite aperte, la loro storia in ogni granello. E, soprattutto, sentiva lei che leggeva un libro alle gemelle, udiva le sue bambine che ridevano mentre impazienti voltavano le pagine.
Avrebbe voluto abbandonarsi a quei suoni, dimenticare la sofferenza, mettere da parte il passato, ma come re aveva giurato di non dimenticare.
Non appena scesa dall'elicottero, Amy fu investita da una
ventata di aria bollente. Aveva in braccio Clemira ed Emir reggeva Nakia e, benché l'elicottero fosse atterrato vicino al complesso di tende, il tragitto fu difficile perché la sabbia rendeva arduo ogni passo.
Appena nella tenda, Amy tolse le scarpe e indossò delle ciabattine come le aveva suggerito Emir.
«Le bambine riposeranno prima di essere condotte dai beduini» le spiegò. «Qui accanto c'è una camera per lei.» Si trovavano in un ambiente che aveva l'aspetto di un salotto, la sabbia era celata da meravigliosi tappeti. I diversi ambienti erano separati da tendaggi colorati. Si aveva l'impressione di essere in un labirinto multicolore e lei già si sentiva persa.
«Ci sono delle bevande» proseguì Emir, «ma le bambine non possono berle. Oggi devono mangiare e bere solo prodotti del deserto.» Amy aveva smesso di ascoltare e si era voltata di scatto non appena aveva sentito partire l'elicottero. «Hanno dimenticato di scaricare i loro bagagli!» Corse fuori, ma andò a sbattere contro una tenda. «Deve fermarlo...
dobbiamo prendere i bagagli delle bimbe.» «Non hanno bisogno dei pacchetti che ha preparato per loro. Sono qui per apprendere le usanze del deserto. Tutto ciò di cui hanno bisogno è qui.» «Non ho solo preparato dei pacchetti!» Amy udiva in lontananza i rotori dell'elicottero. Bene, avrebbe dovuto chiamare qualcuno e farlo tornare. «Emir... voglio dire, Altezza» si corresse immediatamente perché si era rivolta a lui come faceva tanto tempo prima. «Non è tanto per gli abiti e i giocattoli che sono preoccupata, ma ci sono i loro biberon, c'è la loro cena.» «Qui berranno acqua da una tazza» affermò Emir.
«Non può permettere una cosa del genere!» Amy non
riusciva a crederci. «È troppo duro.» «Duro?» la interruppe Emir. «Questa terra è dura, brutale e non perdona, eppure la sua gente ha imparato a sopravvivere. Quando sei un re, quando sei un privilegiato, il minimo che puoi fare è che, almeno una volta all'anno, tu sia disposto a vivere la vera vita del deserto.» Dov'era finito, si domandò Amy, il padre affettuoso? Dov'era l'uomo che aveva cullato le piccole tra le sue braccia forti? Che persino la notte precedente aveva preso in braccio la sua bambina addormentata solo per il piacere di averla vicino?
Forse aveva sognato tutto, forse la notte scorsa era frutto della sua immaginazione, perché Emir rimase impassibile
quando Clemira e Nakia, percependo la tensione, cominciarono a piangere.
«Partiremo presto» l'avvertì.
«Ma a quest'ora fanno il sonnellino» obiettò Amy. Si aspettava di dover discutere, invece lui annuì.
«Partiremo quando si saranno svegliate.»
«C'è qualcuno che può mostrarmi dove farle dormire? Dov'è la cucina...»
«Ci siamo solo noi.» «Solo noi?» Amy sbatté le palpebre.
«C'è un inserviente che si occupa degli animali, tuttavia qui nella tenda e nel deserto dovremo badare a noi stessi.» Oh, glielo aveva detto che sarebbero stati soli nel deserto, ma aveva pensato soli secondo gli standard reali, e che ci sarebbero stati inservienti e cameriere ad aiutarli. Non avrebbe mai immaginato che sarebbero stati realmente soli, e per la prima volta la vastità del deserto e l'isolamento le fecero paura.
«E se succede qualcosa?» domandò. «Se una delle piccole si ammala?»
«I beduini mi hanno accordato la loro fiducia per le decisioni prese in merito alla loro terra e alla loro sopravvivenza. Mi sembra giusto che in cambio io accordi loro la mia.»
«Con le bambine?»
«Ancora una volta» la riprese Emir, «l'avverto di non mettere in discussione le nostre tradizioni. Ancora una volta devo ricordarle che lei è solo una dipendente.» Amy sentì le guance arrossarsi per la collera, ma si trattenne. Prese in braccio le piccole e andò a cercare la camera dove farle riposare.
Forse Emir aveva ragione, rifletté con un sorriso malevolo.
Forse lei aveva bisogno di trascorrere del tempo nel deserto, perché era troppo abituata a essere servita. E sì, era abituata a chiamare in cucina perché le preparassero i biberon.
Adesso, invece, doveva venire a patti con due piccine affamate in un ambiente sconosciuto.
Il vento faceva oscillare la tenda e le basse culle di legno non avevano niente a che fare con i lettini a cui le gemelle erano abituate, e neppure gli abiti che fece loro indossare.
Emir giunse con due tazze d'acqua per le bimbe, ma questo le mise ancora di più in agitazione e, una volta che se ne fu andato, Amy dovette dondolare a lungo le culle per farle addormentare.
La rabbia nei confronti di Emir aveva raggiunto il livello di guardia e quando uscì e lo vide coricato su dei cuscini non ne fu per niente colpita.
Lui la guardò, le labbra serrate, intuì la sua collera e offrì una rara spiegazione.
«Ci sono tradizioni che devono essere osservate. Si sieda.» Notò che lei stringeva le mani a pugno alla sua imposizione e saggiamente la riformulò. «Per favore, si sieda. Le spiegherò cosa succederà.»
Amy obbedì. Era difficile trovarsi a faccia a faccia con lui dopo l'altra sera... tuttavia, apparentemente, Emir non sembrava ricordare nulla, perché gli occhi non cercavano il suo viso. Pareva quasi annoiato per doverle spiegare la situazione.
«Lei lo giudica crudele, ma non lo è...» «Non ho mai detto crudele» lo corresse Amy, «ho detto che mi sembra troppo duro per le gemelle. Se avessi saputo prima come si sarebbe svolto il tutto, le avrei preparate, le avrei abituate a bere dalle tazze.» Emir annuì e adesso la guardava. Scorgeva non solo la collera, ma la preoccupazione per il bene delle sue bambine.
«So che è stato un anno difficile, e sono contento che Clemira e Nakia abbiano avuto lei.» Fu disarmata da quell'improvvisa gentilezza e dimenticò di ringraziarlo come avrebbe dovuto fare. «Non ho riflettuto a sufficienza su questa tradizione e forse è per questo che non le ho dato spiegazioni. Non volevo pensarci, e neppure Hannah.» Amy sbatté le palpebre a quella rivelazione. «Hannah voleva accantonare il pensiero fino all'ultimo momento...
avrebbe preferito che fossero un po' più grandi. Io avrei voluto accontentarla... non ho pensato alle tazze...» Alzò le spalle.
«Comprensibile» gli concesse Amy. «Non mi aspettavo che ci pensasse. Ma se ci fosse stata più comunicazione, sarebbe stato tutto molto più semplice.» «Se Hannah fosse ancora viva, sarebbe stato comunque difficile.»
Amy leggeva la sua lotta interiore per mantenere un'espressione neutra, le pareva persino di percepire lo sforzo di escludere i sentimenti dalla voce.
«Se Hannah fosse stata qui, non avrebbe potuto allattarle e questo l'avrebbe profondamente turbata.» Amy aggrottò la
fronte mentre lui continuava. «Questo è il momento in cui i bambini...» Non conosceva il termine esatto. «... vengono separati dal latte materno.» «Svezzati?»
Emir annuì. «La tradizione vuole che per una settimana vivano ad acqua e frutta. La gente del deserto non approva che io consegni loro le bambine solo per una notte, e anche re Rakhal è contrario, ma ho spiegato che le mie figlie sono già state...» Si interruppe prima di ricorrere a una parola che era nuova per lui. «... svezzate a due settimane.» «E lui ha accettato di ridurre il periodo?» «Non certo per il loro bene.» La voce tradiva l'odio. «Credo lo abbia fatto perché sua moglie è incinta, perché gli ho ricordato che la tradizione vale anche per suo figlio.» Gli sfuggì uno dei suoi rari sorrisi. «Forse la regina Natasha è venuta a conoscenza di questa tradizione...» Amy gli restituì il sorriso.
C'era talmente tanto di lui che non conosceva, tante cose che aveva erroneamente dedotto. In quelle ultime settimane non aveva avuto in mente biberon e tazze, ma il bene delle sue figlie. Che questo re orgoglioso si fosse recato dal suo nemico per chiedere un favore la confondeva ancora di più.
«Natasha è inglese come lei.» Emir si intromise nelle sue riflessioni. «E immagino che sia contraria.» Il sorriso adesso era sarcastico. «Povero Rakhal!» «Povera Natasha» ribatté Amy, «se Rakhal è testardo come lei.»
Le fornì altri dettagli di ciò che sarebbe accaduto...
sarebbero partiti presto e avrebbero fatto colazione all'oasi.
«Dobbiamo partire subito perché si sta alzando il vento e dobbiamo raggiungere l'oasi oggi, in modo che tutto si svolga prima del loro compleanno.» Quindi aveva a cuore le sue bambine, si rese conto Amy,
anche se non voleva mostrarlo.
In ogni momento riusciva a confonderla. Per esempio, quando le gemelle si svegliarono, fu lui ad andare da loro, ad aiutarla ad avvolgerle negli scialli. Quando lo vide sorridere a Clemira, sembrava proprio l'Emir che aveva conosciuto un tempo.
Uscendo dalla tenda, Amy rabbrividì al nitrire di alcuni cavalli. Era un suono che un tempo le metteva allegria, ma adesso le provocava solo terrore.
«Cavalli?» Guardò gli animali. «Andiamo all'oasi a cavallo?»
«Certo.» Le porse Clemira, ignaro del panico nella sua voce.
«Altezza...»
«Emir» concesse lui.
«Emir... non posso. Credevo che saremmo andati in macchina.»
«In macchina?» Sbottò in una risata incredula. «Davvero non ha idea di dove ci troviamo.» «Non credo proprio di poter andare a cavallo» obiettò Amy.
«Allora venga a piedi, ma le suggerisco di camminare a fianco di un cavallo, perché dopo poco tempo deciderà sicuramente di non fare tanto la difficile.» «Non si tratta di questo!» Emir era così arrogante...
Era veramente difficile parlare con lui.
Non gli avrebbe raccontato dell'incidente. Non voleva una predica sul fatto che era meglio riprendere a cavalcare o qualche commento pungente oppure, peggio ancora, domande.
«Mi fanno paura i cavalli» dichiarò.
Emir si limitò ad alzare le spalle.
«Allora viaggerò da solo» decise. «Mi aiuti a sistemare in sella le gemelle.»
Amy si irritò. D'accordo, lui non doveva farle da balia, dopotutto non si occupava neppure delle gemelle... Si chiese se le piccine si sarebbero ribellate, invece sembravano divertirsi a quel nuovo gioco, mentre aiutava Emir ad assicurarle al petto. Era lei, invece, a essere a disagio, perché non gli era mai stata tanto vicino.
«Ecco Clemira.» Fece di tutto per mantenere un tono normale, sperando che non notasse le sue dita tremanti.
«Fatto?» le domandò.
«Quasi.» Assicurò la piccola saldamente alla sua spalla. «E sicuro di farcela con tutte e due?» «Ho portato ben più di due bambine.» Fece cenno a Raul, l'inserviente che si occupava degli animali, di portargli il cavallo.
Come montò in sella, le bimbe cominciarono ad agitarsi, forse rendendosi conto che erano separate da Amy.
«Andrà tutto bene» la rassicurò Emir.
Ma non era compito suo rendere quell'esperienza meno traumatica possibile? Per quanto le riuscisse difficile, voleva essere con loro quando sarebbero state consegnate a degli estranei.
«Vengo anch'io.» Le parole le fluirono suo malgrado.
«Penso sia meglio se sto con loro» mormorò.
«Sta a lei.» La voce di Emir non tradiva il sollievo.
Si era domandato come avrebbe gestito la situazione, non durante il viaggio, ma nel tempo da trascorrere all'oasi.
Quando la osservò avvicinarsi a un cavallo, si rese conto che il suo terrore era reale, quindi ritardò un poco la partenza per chiamare Raul, al quale parlò in arabo per poi tradurre ad Amy. «Gli ho chiesto di portarle Layyinah, che è una giumenta molto docile.» Layyinah era stupenda, bianca ed elegante, il più bel cavallo che Amy avesse mai visto. Aveva occhi immensi e Amy le
fece una carezza.
«E bellissima» commentò. «Davvero.» «Un puro cavallo arabo» dichiarò Emir, orgoglioso. «Sono adatti per questa terra. Noi riponiamo molta fiducia nei nostri cavalli e loro ci ripagano. Si prenderà cura di lei.» Adesso Amy aveva voglia di montare in sella, anche se continuava a essere nervosa.
Il movimento, un tempo tanto familiare, richiese un paio di tentativi, e le sembrava strano montare in sella con quegli abiti lunghi. Ma Emir ci era riuscito, si disse. Quando i suoi tentativi ebbero successo, notò che Emir era al suo fianco stranamente paziente e incoraggiante. La cavalla mosse alcuni passi come per abituarsi alla nuova amazzone.
«Kef.» Emir si sporse in avanti e tirò le redini. «Significa ferma» le spiegò mentre aspettava che Amy riprendesse fiato. «Come va?»
«Bene» ammise lei. «Ho un po' paura, ma va bene.» «Ce la prenderemo calma» la rassicurò Emir. «Non c'è motivo di essere nervosi.» Oh, ce n'erano eccome! Tuttavia preferì non dirlo.
Cavalcare sulla sabbia era molto diverso, eppure Amy ritrovò ben presto l'antica sicurezza.
L'equitazione era stato un aspetto importante della sua vita, ma non aveva mai pensato che sarebbe tornata a cavallo, non avrebbe mai immaginato che un giorno avrebbe trovato il coraggio di riprovarci.
Inspirò l'aria calda, notò la bellezza del paesaggio e per la prima volta accantonò la rabbia e le domande, semplicemente vivendo il momento.
Udì Emir che parlava con le bambine, sentì le loro risatine gorgoglianti mentre intraprendevano una nuova avventura.
Era piacevole soffermarsi sul fatto che si divertivano piuttosto che riflettere su ciò che avrebbero dovuto subire.
«È meraviglioso. C'è tanta pace.» «Quando decide di essere pacifico» fu la strana risposta di Emir. «Non si lasci sedurre dal deserto. Mio padre mi ha sempre detto che il deserto è come una bellissima donna che ti affascina e ti incanta, ma che può ingannarti e distruggere.»
«Cos'è accaduto a suo padre?» «E stato ucciso.» Emir indicò un punto in lontananza.
«Proprio là.»
Nonostante il caldo, lei rabbrividì.
«E sua madre?» Lui non rispose. «Emir?» «Non è qualcosa che si possa raccontare nella sua prima notte nel deserto.» Cambiò subito argomento. «Vede le ombre?»
«Non proprio» ammise Amy, ma poco dopo scorse delle ombre che in realtà erano alberi e cespugli.
«E adesso, cosa accadrà?» «Pranzeremo e poi aspetteremo la gente del deserto.» Osservò il dolce profilo di Amy e poi guardò le bimbe, cullate al sicuro contro il suo petto.
Si erano addormentate per il movimento del cavallo e non avrebbe mai voluto cederle ad altri... odiava diverse usanze della propria gente.
«Hanno sentito la sua mancanza.» Udì Amy, ma non rispose, perché anche a lui erano mancate molto, e non poteva condividerne il motivo con lei.
O forse avrebbe potuto.
La guardò. Adesso cavalcava sicura davanti a lui, lo scialle che continuava a scivolarle, i capelli mossi dal vento, e dovette ammettere di provare attrazione nei suoi confronti.
Ciò che in un paio di generazioni precedenti era proibito, adesso aveva qualche possibilità.
Dopotutto Rakhal aveva una moglie inglese. Forse ci sarebbe stato un modo...
Povero Rakhal?
Forse no.
Povera Natasha? Anche se dette scherzosamente, erano parole di Amy. Dalla loro conversazione sapeva che non era un tipo... obbediente, non avrebbe accolto la sua richiesta con gratitudine, semplicemente ne sarebbe stata lusingata se lui gliel'avesse posta.
Adesso il cavallo di Amy andava al trotto ed Emir aggrottò la fronte. Per una che era terrorizzata dai cavalli al punto da non voler montare in sella, si stava comportando decisamente bene. Sembrava che avesse cavalcato per anni.
Gli si aprì uno scorcio su un futuro diverso... cavalcare nel deserto di Alzan con lei, con Clemira e Nakia e i bambini che avrebbero avuto insieme.
Non doveva precipitare la decisione... e certo non doveva farle pressione.
Lei si voltò e gli sorrise, il viso arrossato dalla cavalcata, gli occhi per una volta completamente sereni.
Emir avrebbe voluto conoscere di più di lei e, accantonata la pazienza, spronò il cavallo per raggiungerla. La voleva libera e disinibita nel suo letto. OggiQuella notte l'avrebbe convinta. E mentre rallentava per stare al passo con lei, mentre notava che arrossiva al suo sguardo, mentre registrava che anche lei lo desiderava, ringraziò il deserto che gli aveva offerto una soluzione tanto semplice.
Forse, alla fin fine, il suo regno e la sua famiglia sarebbero potuti sopravvivere.
5
«La.» Emir rimproverò Nakia quando sputò il frutto che le aveva dato. «Vuol dire noi» Si stava rendendo conto che le gemelle capivano soprattutto l'inglese. «Imita sua sorella.» Amy non riuscì a nascondere una risata. Erano nel deserto, seduti nell'oasi, e davano alle piccole dei frutti che avevano colto dagli alberi rigogliosi... o almeno, cercavano di darli, perché un attimo prima anche Clemira aveva sputato tutto.
«Clemira è la leader.» Amy notò che Emir irrigidiva la mascella. Probabilmente aveva detto un'altra cosa che lui non approvava.
Le ore trascorse all'oasi non si rivelarono un successo. Non appena Emir l'aveva posata a terra, Clemira aveva cominciato a mangiare la sabbia e Nakia, che la imitava, se l'era buttata negli occhi.
Erano due principessine moderne, grazie ad Amy, abituate più a guardare uno dei DVD che si faceva spedire da casa o a imparare a nuotare nella fantastica piscina del palazzo, piuttosto che stare sedute in un'oasi in attesa che qualche anziano dei beduini venisse a prenderle per offrire loro perle di saggezza.
«Non conoscono le nostre tradizioni» considerò Emir, e Amy si morsicò la lingua per evitare di chiedergli perché mai fosse così. «Hannah era preoccupata per quest'esperienza. Aveva paura che digiunassero.» «Non digiuneranno» lo rassicurò Amy in tono pratico. «Se hanno fame, mangeranno. Vede che hanno cominciato a bere acqua?»
«Sono viziate» osservò Emir mentre Clemira di nuovo
sputava il frutto che le aveva dato.
«Lo so» ammise Amy, «ed è colpa mia... non posso farne a meno.»
Con sua grande sorpresa, lui scoppiò in una risata. Era da tempo che non lo vedeva ridere. Anche se le gemelle avevano fatto i capricci, da quando erano giunti all'oasi, Emir aveva cambiato atteggiamento. Pareva più rilassato, quasi un padre normale... e quando alzò gli occhi, notò che la stava osservando. Arrossì e abbassò lo sguardo.
Non aveva la minima idea che stava per essere sedotta, che l'uomo accanto a lei, calmo e rilassato, nutriva delle intenzioni nei suoi confronti.
«Non la stavo criticando» riprese Emir. «Sono contento che le abbia viziate. Ha ragione, avrei dovuto darle più informazioni. Avrebbe potuto prepararle.» «Pensandoci bene, non so come avrei potuto» ammise Amy.
«Saranno terrorizzate quando i beduini verranno a prenderle.»
«E un popolo con l'animo gentile. Non faranno loro del male.»
Ma non era sincero. Sentiva ancora il gusto amaro del terrore provato da bambino... ricordava le urla e i pianti quando un vecchio avvizzito lo aveva preso. Odiava le usanze che lo legavano al suo paese.
Odiava Rakhal.
Gli dava un po' di pace guardare Amy, immaginare un'altra possibilità.
«Cosa succederà domani, quando torneremo a palazzo?» chiese Amy a disagio per essere osservata e cercando disperatamente qualcosa da dire. «Sarà una grande festa?» «Sì. Dovrebbe partecipare anche mio fratello Hassan.» «Dovrebbe?»
«Ha la passione per i cavalli, per il gioco...» Emir sorrise,
amaro. «... e gli porta via molto tempo.» Aveva sentito parlare del principe Hassan e della sua vita anticonvenzionale, ma non lo aveva mai conosciuto, solo udito voci sul suo conto. Ovviamente, certi argomenti non venivano discussi, quindi Amy rimase in silenzio.
Si sorprese quando Emir ne parlò.
«Tuttavia non condivido questo suo interesse.» Lei, perplessa per quest'ammissione, si lasciò sfuggire una risatina. «Ha bisogno di crescere» considerò Emir.
«Forse è più felice così.» «Forse» ammise e, in quel momento, gli sembrò di capire di più il fratello.
Lo aveva affrontato diverse volte, senza nessun risultato.
Emir non provava come il fratello l'eccitazione della vittoria... non capiva perché Hassan dovesse frequentare tutti i casinò del mondo quando aveva ciò che poteva desiderare, e anche di più, ad Alzan.
Osservò Amy che giocherellava con una mano con la sabbia. Per la prima volta, Emir non era certo del risultato.
Non sapeva se sarebbe riuscito a sedurla, ma provava l'eccitazione della caccia, il fremito in attesa della vittoria.
Adesso capiva meglio Hassan.
«Ci sarà anche re Rakhal.» «Con sua moglie?» indagò Amy. Aveva conosciuto Natasha, ma subito ricordò di chi stava parlando. «Intendo dire, la regina Natasha?» «No.» Emir scosse il capo. «Partorirà presto ed è prudente che non viaggi. Sembra molto felice qui» proseguì intenzionalmente. «All'inizio penso che sia stato difficile, ma adesso sembra che si sia adattata bene al proprio ruolo.» «Posso farle una domanda?» Emir la stava sempre guardando, apparentemente compiaciuto di poter conversare.
«Perché se hanno una femmina, potrà governare?» «Le loro leggi sono diverse» spiegò Emir. «Lo sa che un tempo Alzan ed Alzirz erano un paese solo?» «Alzanirz.» Amy annuì.
«Ci sono stati diversi gemelli nella nostra discendenza» proseguì Emir. «Molte generazioni fa, il re ebbe due gemelli. Erano inaspettati e non furono immediatamente contrassegnati, così non si potè individuare con certezza il primogenito. Era un periodo difficile per il paese e il re studiò una soluzione. Decise che il paese fosse diviso e ogni gemello regnasse su una parte. Gli indovini del tempo predissero che un giorno il paese si sarebbe riunito... ci sono state date leggi diverse. Non appena una di queste leggi non sarà osservata, il paese si riunirà, sotto il re della dinastia che è sopravvissuta.» «Non mi pare giusto.» Amy lo fissò negli occhi, ma non vi trovò rimprovero, anzi, lui la incoraggiò a proseguire. «Se una principessa può regnare ad Alzirz, perché non qui?» «Hanno un'altra legge che li vincola» spiegò Emir. «Ad Alzirz il re può sposarsi una volta sola. La madre di Rakhal è morta di parto e lui è nato prematuro. Non si pensava che sopravvivesse... la profezia stava per compiersi.» «Invece è sopravvissuto?» Emir annuì. «Qui da noi...» Tacque un attimo prima di proseguire. «Qui da noi la legge sancisce che se la moglie del re muore, lui può sposarsi di nuovo.» La fissò negli occhi. «Come devo fare io.» «Deve?»
«Il mio popolo è in agitazione... soprattutto con questa nascita ad Alzirz.»
«Ma se lei non è pronto...» Amy si morse la lingua, ben sapendo che discuterne non aveva senso.
«Pronto?» Emir aggrottò la fronte. Chi era lei per porgli una
domanda del genere? Poi ricordò che apparteneva a un paese in cui si dava molta importanza all'attrazione. L'idea che gli era germogliata in mente mise radici. La risposta al suo dilemma gli sedeva accanto e la sua voce, notò, era un poco ansimante quando gli parlava.
«Forse un anno è troppo poco per...» Lei si umettò le labbra, si augurò che le gemelle potessero aver bisogno di lei perché questa conversazione si stava facendo troppo intima, ma loro giocavano tranquillamente. «Il matrimonio è un passo importante.»
«E un passo che io devo affrontare molto seriamente.
Benché...» Non doveva farle pressione, di questo Emir era consapevole. «... non pensi certo di sposarmi oggi.» Talvolta la confondeva. Talvolta, quando la guardava con quegli ardenti occhi neri, lei non poteva far altro che allacciare lo sguardo al suo. Talvolta era terrorizzata all'idea che potesse scorgere il desiderio che le ardeva dentro.
Non sempre, ma qualche volta.
E questa era una di quelle.
Talvolta, e anche questa era una di quelle, si cullava nel pensiero impossibile che potesse baciarla.
Il sole doveva averla fatta impazzire, perché le sembrava persino di assaporare la sua bocca...
Sì, decisamente quella conversazione era troppo intima.
Le parole successive la fecero fremere ancora di più.
«È preoccupata per questa notte?» le chiese Emir. «Per ciò che può succedere?» Scorse il lampo nei suoi occhi, vide che si mordicchiava le labbra. Avrebbe potuto baciarla in quel momento, percepiva il suo desiderio. Presto ne avrebbe avuto la conferma. «Staranno bene.» «Staranno?»
Amy socchiuse gli occhi. Le sue parole la confondevano, ed Emir intuì che nella sua mente lei era sola con lui nella
tenda.
Soffocò a stento un sorriso di trionfo.
«Baderanno a loro» la rassicurò.
Imbarazzata, lei distolse lo sguardo e fissò le acque limpide.
Avrebbe voluto immergersi, perché adesso aveva le guance infuocate ed era abbastanza onesta da capirne il motivo.
Forse era lei a non essere pronta per una nuova regina? Quanto era stata stupida a credere che stesse per baciarla! Che Emir potesse vederla sotto quell'aspetto! «Ho riflettuto su quanto mi ha detto... sul fatto che le bambine hanno bisogno di qualcuno...» Avrebbe dovuto portare pazienza, ma non ci riusciva. «Lei vuole bene alle mie figlie.»
Era un'enunciazione.
Amy fissò l'acqua e si chiese se fosse impazzita a cullarsi in certi pensieri... che Emir potesse prenderla in considerazione come amante, come mantenuta, una specie di madre sostitutiva per le sue figlie. Poi sentì la sua mano sulla guancia e il respiro si bloccò in gola. Sentì le sue dita sulla gola accarezzare la cicatrice che lei odiava.
«Come se l'è fatta?» Le sue dita forti erano sorprendentemente delicate, la pelle fresca contro la sua gola bollente e le sue domande, le sue carezze erano sia gentili, sia indagatrici.
«La prego, Emir...» La carovana dei beduini si stava avvicinando, il momento che entrambi temevano era ormai prossimo. Il bacio avrebbe dovuto aspettare.
Emir si alzò e li osservò mentre si avvicinavano, una lunga fila di cammelli e i loro conducenti. Sentì le risate delle sue bambine, ben sapendo che poco dopo si sarebbero mutate in lacrime e grida, e avrebbe voluto affondare il capo nei capelli di Amy. Avrebbe voluto il sollievo della sua bocca.
Ma adesso c'era il dovere.
Prese in braccio entrambe le bambine e le guardò negli occhi scuri e fiduciosi. Non ce la faceva a cederle, perché ricordava fin troppo bene di essere stato strappato dalle braccia dei genitori, le sue grida, i pianti, e poi l'accampamento e le strane facce, e rivisse il terrore di quegli attimi. In quel momento odiò il paese che governava, odiò le usanze degli anziani e le leggi che non potevano essere cambiate senza l'accordo di entrambi i sovrani.
Era sopravvissuto, si disse Emir, mentre il vecchio avvizzito si avvicinava. Le gemelle urlarono di terrore quando allungò le braccia verso di loro.
Emir si avvicinò al vecchio e gli parlò.
«Sono sconvolte. Dovete essere gentili» disse.
«E la tua paura che le spaventa.» Gli occhi scuri erano giovani nel viso rugoso. «Non desideri parlare con me?» «Ci sono decisioni che devo prendere da solo.» «Allora prendile!» ribatté il vecchio. «Sono molto difficili.» «Difficili se prese a palazzo, forse. Ma qui l'unico re è il deserto... che ti offre sempre delle soluzioni se gliele domandi.»
Emir tornò accanto ad Amy che sarebbe dovuta stare in silenzio, ma ovviamente non fu così.
«Chi è?» domandò.
«E il più anziano dei beduini» spiegò Emir. «Si dice che abbia centoventi anni.» «Impossibile.»
«Non qui. Dà saggi consigli a tutti coloro che si rivolgono a lui.»
«Anche a lei?» chiese Amy, poi balbettò delle scuse perché non doveva fare certe domande.
Ma Emir la degnò di una risposta.
«L'ho consultato alcune volte» ammise, «ma non
recentemente.» Alzò le spalle. «Le sue risposte non sono mai chiare...»
Il vecchio riempì due boccette con la sabbia che aveva benedetto ed Emir seppe che cosa stava per succedere.
Amy inorridì quando il vecchio prese le due bimbe singhiozzanti e si diresse verso l'acqua. «Cosa fa?» «Saranno immerse nell'acqua e poi condotte al campo.» «Emir... no!»
«Anche voi avete dei rituali, no?» ringhiò Emir. «In Inghilterra, i bambini non piangono?» Aveva ragione, ma in quel momento il cuore di Amy sanguinava sentendo il pianto disperato delle gemelle.
In realtà, non era solo sconvolta, era furibonda... per la parte che lei stessa aveva in questo, e furibonda con Emir.
«Ummi!» urlavano in lontananza, e il peggio fu resistere alla tentazione di correre da loro e prenderle in braccio.
«Ummi!»
Il pianto si perse in lontananza, ma adesso era lei a singhiozzare. Non le importava se Emir era in collera per come l'avevano chiamata. In quel momento soffriva disperatamente.
E lui rimase a guardarla mentre singhiozzava per le sue figlie mentre loro la chiamavano ancora.
In quel momento, Emir seppe che la decisione era quella giusta.
«Andrà tutto bene» cercò di confortarla. «Queste sono le leggi.»
«Pensavo che fossero i re a fare le leggi» lo rimbeccò, stizzita.
«Queste sono le leggi del nostro paese.» Avrebbe dovuto essere in collera, riprenderla, zittirla, invece fece di tutto per darle conforto. «Si prenderanno cura di loro. Impareranno la nostra storia.»
Le aveva posato le mani sulle guance. «E ogni anno che passa capiranno di più.» «Non me la sento di sopportare di nuovo una cosa del genere.» Amy era così sconvolta che non si concentrò su quel contatto, il pensiero fisso sull'anno successivo e su quello dopo ancora, mentre guardava le piccole che adorava strappate a lei da strane leggi. «Non posso farlo.» Era disperata. «Devo andarmene.» «No!» esclamò lui perché non poteva perderla. «Deve restare per loro... per confortarle e spiegare le nostre usanze.»
Avrebbe potuto, e lui lo sapeva. La risposta alla sua preghiera era lì, così abbassò il capo e assaporò le sue labbra, assaporò il sale delle sue lacrime e poi la bocca, e la paura per le bambine fu sostituita dal terrore.
Stava baciando un re! La bocca cercava un sollievo alla disperazione, e per un attimo lo trovò. La mente si focalizzò sulle sue labbra e sulle braccia che la tenevano stretta.
Lui non fece pressione perché socchiudesse le labbra. Si aprirono spontaneamente e lei sapeva bene dove avrebbe condotto tutto questo... conosceva il piano che aveva in mente.
La voleva per le sue bambine... voleva essere sicuro che rimanesse. Si scostò, seguendo quanto le suggeriva la mente perché era un gioco pericoloso.
In quel bacio, lei aveva messo il cuore.
«No.» Se ne sarebbe voluta andare, avrebbe voluto che quel momento non fosse mai esistito. Non poteva essere la sua amante... soprattutto quando lui, presto, si sarebbe trovato una moglie. «Non possiamo...» «Certo che possiamo.» Era insistente. Le labbra trovarono di nuovo le sue, e quel secondo assaggio fu la sua rovina, perché la rese estremamente debole.
Emir le aveva posato le mani sui fianchi e la tratteneva, la bocca che rendeva chiaro il suo intento, e lei non si era mai sentita tanto desiderata, tanto femminile...
La sua passione era il suo piacere, il suo desiderio ciò che le era mancato, ma non poteva essere il suo passatempo, non poteva confondere ulteriormente la situazione.
«Emir, no.»
«Sì.» Adesso aveva le idee molto chiare e si chiese perché avesse impiegato tanto a capire. «Andiamo nella tenda e facciamo l'amore.»
La baciò di nuovo. Si era sforzato di trovare una soluzione, ma la mente si era bloccata quando aveva assaporato le sue labbra.
Baciare Amy gli dava più del semplice piacere. Gli piaceva quando tratteneva il fiato. Gli piaceva la lotta che combatteva per il controllo.
La sua bocca era ferma, ma il corpo stava cedendo; dopo un'incertezza, anche la bocca cedette e per Emir questo fu qualcosa di inaspettato... un'emozione che non aveva mai sperimentato. Tutta la rabbia che lei aveva tenuto in corpo si liberò nella risposta.
Era un bacio selvaggio quello che gli restituì, un bacio diverso, e lui rispose in modo adeguato. I delicati preliminari che aveva avuto in mente, la tenera seduzione che si era prefisso cambiarono appena lei gli restituì il bacio.
Era sorpreso dall'intensità della sua passione, dal caos di emozioni che provava tra le sue braccia perché, benché lo respingesse, continuava a baciarlo.
Fu Emir a ritrarsi e fissò il suo viso arrossato e incollerito.
«Perché sei arrabbiata, Amy?» «Perché non volevo che tu lo sapessi!» «Che sapessi cosa?» La guardò e scorse nei suoi occhi il desiderio che aveva tenuto celato. Questo gli diceva che la
sua decisione era quella giusta. «Perché non volevi che lo sapessi?»
«Perché...» La bocca di lui era contro il suo orecchio, il suo respiro le sfiorava la pelle. Distolse il viso. «Non può portare a niente.»
«Sì, invece» la contraddisse Emir.
«Ti prego...» Le parole le fluirono dalle labbra, come se stesse pregando. «Riportami alla tenda.» Ma lui la voleva adesso e le fece scendere la tunica dalle spalle. I baci erano infuocati come il deserto, la passione cresceva a dismisura. Lei si aggrappò ai suoi abiti, percepì la pelle del fodero della spada e il potere dell'uomo che stava per fare l'amore con lei.
Stava baciando un re e questo la terrorizzava, tuttavia era stupendo, si sentiva consumare da un fuoco ardente, un fuoco che non si sarebbe spento.
«La mia gente finirà con l'accettarlo...» Adesso le stava baciando il collo, per poi scendere sul seno.
Lei desiderava disperatamente la sua bocca, desiderava abbandonarsi ai suoi baci esperti, ma la mente si dibatteva per comprendere quelle parole.
«La tua gente...?»
«Quando ti sposerò.» «Sposarmi!» Sarebbe stato meglio se l'avesse gettata in acqua. Si sentì precipitare nella confusione e lottò alla ricerca di un po' d'aria, sentì l'orrore della propria storia che si ripeteva. Stava succedendo di nuovo.
«No!»
«Sì.» Pensava che fosse sconvolta dalla sua proposta, non si rese conto che stava morendo tra le sue braccia. Ma, quando lei parlò, si sentì gelare.
«Non posso avere bambini.» Amy si rese conto che quelle parole lo avevano paralizzato,
vide le pupille restringersi e poi notò lo sforzo che faceva per non tradire le proprie emozioni.
Non la lasciò, ma le braccia erano rigide, mentre razionalizzava l'enormità di quella rivelazione.
«Ho avuto un incidente mentre andavo a cavallo e mi ha tolto la possibilità di avere figli.» In qualche modo era riuscita a trovare la voce, prima di cadere a pezzi.
«Mi dispiace.»
«Era dispiaciuto anche il mio fidanzato.» Con un singhiozzo si scostò da lui, si coprì il seno con la tunica e corse verso i cavalli. Non ebbe nessuna paura mentre montava la giumenta, perché la paura non era niente paragonata alla sofferenza.
Partì al galoppo. Poteva udire gli zoccoli del cavallo di Emir che guadagnava terreno, poteva sentire il suo richiamo perché si fermasse, e alla fine lo fece, rivolgendo verso di lui gli occhi straziati dal dolore.
«Sono stata collegata a un respiratore artificiale per cinque giorni e ho sentito il mio fidanzato parlare con sua madre. È stato così che ho scoperto di non potere avere figli, che non aveva senso sposarci...» Aveva il fiato corto per la cavalcata, eppure gridava. «Naturalmente non è questo che mi ha detto quando mi sono ripresa... ha sostenuto che l'incidente lo aveva fatto riflettere e che, benché mi volesse bene, non era innamorato di me, che la vita era troppo breve e non era pronto per un impegno.» Emir rimase in silenzio. «Ma io sapevo il vero motivo per cui mi lasciava.» «E stato uno stupido.» «E tu, cosa pensi?»
«Io sono un re» rispose Emir, ed era l'unica risposta che poteva dare.
Non appena le tende furono in vista, fu Emir a spronare il cavallo, a partire al galoppo nel deserto, e lei gli fu grata di
essere stata lasciata sola a singhiozzare e a riflettere.
A ricordare.
Il buco nero dell'incidente si stava penosamente colmando...
ogni passo di Layyinah la riportava al passato.
Era una futura sposa indecisa, una giovane donna che si domandava se non stesse commettendo un grave errore. La sabbia e le dune si mutarono in un paesaggio della dolce campagna inglese, udiva gli zoccoli del cavallo sulla terra e sentiva l'aria fresca della primavera mentre giungeva a una sconcertante conclusione.
Doveva annullare il matrimonio.
6
«Ti ho preparato il bagno.» Emir alzò gli occhi quando Amy entrò nella tenda. Aveva ordinato a Raul di tenerla d'occhio a distanza e dopo aver fatto la doccia aveva preparato il primo bagno della sua vita.
Ed era per un'altra persona.
«Grazie.»
Il suo sorriso mentre entrava nella tenda lo confuse. Si era aspettato che fosse in collera, amareggiata, invece sembrava calma.
E Amy era calma.
Più calma di quanto fosse mai stata dopo l'incidente.
Si tolse la tunica e si guardò intorno nella zona bagno. Era illuminata da candele, non era un gesto romantico di Emir, ma l'unico mezzo di illuminazione.
Si immerse nell'acqua profumata e chiuse gli occhi cercando, senza riuscirci, di non pensare alle gemelle, facendo del proprio meglio per non pensare a Emir e alla sua proposta.
Si concentrò sul passato... un tempo che adesso riusciva a ricordare perfettamente. Era una buona cosa essersi riappropriata del proprio passato.
Si lavò i capelli e uscì dall'acqua avvolgendosi nell'asciugamano. Consapevole di essere impresentabile, si augurò che Emir fosse nella zona notte, invece era seduto sui cuscini nella zona giorno e fu costretta a passargli accanto per andare a vestirsi.
Emir alzò gli occhi. «Va meglio?»
«Molto meglio.»
«Dovresti mangiare qualcosa.» Amy rivolse un'occhiata al cibo sistemato davanti a lui e scosse il capo. «Non ho fame» mentì.
«Non puoi rifiutare quando un re ti invita a cenare alla sua tavola.»
«Oh, posso farlo invece, quando un re mi ha appena rifiutato» ribatté Amy riuscendo a esibire un sorriso... un altro sorriso che colse di sorpresa Emir.
«Pensavo che saresti...» Non sapeva neppure lui cosa dire.
Si era aspettato che si sentisse umiliata, invece appariva serena come mai l'aveva vista.
«Davvero, sto bene» confermò. Era consapevole di aver ricevuto un'altra ferita al cuore, ma in quel momento era troppo penoso riflettere in proposito, quindi esplorò le sofferenze passate. «Per la verità, ricordo qualcosa di quando stavo cavalcando» spiegò. «Qualcosa che avevo dimenticato. Lottavo con la memoria... ma non riuscivo a ricordare le settimane precedenti l'incidente.» Scosse il capo.
«Non ha importanza.» Si accinse di nuovo ad andare a vestirsi, ma lui la fermò.
«Devi mangiare.» Le porse un piatto di lokum e Amy, vedendolo, aggrottò la fronte.
«Credevo che potessimo mangiare solo frutta.» «Sono le gemelle che devono mangiare solo frutta e bere solo acqua. Quando eravamo con loro, ho pensato che fosse meglio che tutti mangiassimo allo stesso modo.» Notò la tensione della mascella mentre parlava delle figlie.
Talvolta sembrava proprio un padre... talvolta questo re cupo e scostante era l'uomo che aveva conosciuto un tempo.
«Ma andrà tutto bene» disse quasi tra sé come se volesse convincersi.
«Ne sono sicura» concordò Amy. Quella notte, lui era
preoccupato per le piccole. Quella notte, nessuno di loro due voleva stare solo. «Vado a cambiarmi, poi torno a mangiare qualcosa.» C'era del sollievo nei suoi occhi quando annuì? Amy non aveva molta scelta. O indossava la camicia da notte o il grembiule azzurro della divisa. Decise per questo, spazzolò i capelli umidi e li legò sulla nuca, poi raggiunse Emir.
Lui era stufo di vederla con quella divisa. Voleva vederle addosso altri colori, voleva vederla con i capelli sciolti che le scendevano sulle spalle e le labbra rosse. O piuttosto, riconobbe onestamente mentre coglieva la fragranza della sua femminilità, voleva vederle le spalle, il colore della pelle nuda mentre era coricata sul letto assieme a lui. Ma ciò che gli aveva detto gli negava quell'opportunità.
«Mi scuso.» Emir andò subito al punto. «Mi dispiace che ti sia capitato una seconda volta.» «Onestamente...» Amy assaporava il dolce mentre parlava perché era realmente affamata. Era stata assente per così tanto tempo che ora le pareva che tutti i sensi fossero tornati a vivere. «Sto bene.» Si chiese come avrebbe potuto spiegare ciò che aveva appena scoperto. «Dopo l'incidente, mi sono sentita una vittima.» Era penoso e difficile esprimerlo a parole! «Non mi piaceva quella sensazione, non era da me.
Non mi piaceva la collera che provavo nei confronti del mio fidanzato.»
«Avevi tutti i motivi per essere in collera.» «No!» si ribellò Amy. «Ho capito che sbagliavo.» «Non ti seguo.»
«Quando ho udito quella conversazione, non potevo parlare, perché ero collegata a una macchina.» Emir notò che istintivamente si portava la mano alla gola.
«E qualche giorno prima avevo sentito i medici discutere
dell'intervento che avevo subito.» Era a disagio a parlare di un argomento del genere, quindi cercò di essere sintetica. «Il cavallo mi aveva disarcionato e hanno dovuto operarmi per asportare le ovaie. Ne hanno lasciato una minima parte in modo che non andassi...» «In menopausa.» concluse per lei Emir, sorridendo al suo imbarazzo. «Conosco queste cose.» «Lo so.» Si agitò, a disagio. «Semplicemente mi sembra strano parlarne con te.» Le era venuto naturale dargli del tu e lui non la rimproverò. «Comunque, io giacevo là incapace di parlare e sentivo il mio fidanzato discutere con sua madre... diceva che non sapeva cosa fare, che aveva sempre desiderato dei bambini. In seguito, quando sono stata dimessa dall'ospedale, mi ha detto che era finita, che era da tempo che aveva dei dubbi, che l'incidente non c'entrava niente. Invece io sapevo che il problema era la mia incapacità ad avere figli. O, perlomeno, così avevo sempre pensato.» Aggrottò la fronte alzando gli occhi. «Mentre cavalcavo, oggi ho ricordato l'ultima volta che sono montata a cavallo. Non ho memoria di essere caduta, ma ho ricordato quello che stavo pensando. Ero infelice, Emir.» Per la prima volta lo ammise. «Mi sentivo in trappola e mi domandavo come avrei potuto annullare il matrimonio. È a questo che pensavo quando sono stata disarcionata... aveva ragione lui a voler rompere la relazione. Non funzionava. E io non lo sapevo, fino a questo momento.» «Non eri innamorata di lui?» chiese Emir, e la osservò mentre scuoteva il capo. Un ricciolo le sfuggì dal fermaglio e lei lo risistemò.
«Lo amavo» rispose lentamente, perché stava ancora cercando di analizzare la situazione, di rimettere insieme i frammenti della propria vita, «ma non era il tipo di amore che volevo. Eravamo insieme da quando eravamo
adolescenti. Il nostro fidanzamento era sembrato la normale conclusione... entrambi volevamo dei bambini, entrambi volevamo le stesse cose. O almeno così credevamo. Gli volevo bene e immagino di essere stata innamorata di lui.
Ma non era...» Non riusciva a trovare il termine. «Non era un amore travolgente» mormorò. «Era...» Emir fece un tentativo. «Un amore tranquillo?» Non era questo il termine che cercava.
«Razionale» disse alla fine. «Era una sorta di amore razionale. Riesci a capire?» «Penso di sì» confermò Emir. «Quel tipo di amore che abbiamo qui... due persone che vengono scelte, che vengono considerate adatte l'una all'altra... e poi l'amore germoglia.»
Emir tacque per qualche istante.
La conversazione era così personale che lei si arrischiò a domandare: «Era questo il tipo di amore che c'era tra te e Hannah?».
«Qualcosa del genere» rispose Emir. «Lei era una moglie meravigliosa e sarebbe stata una madre splendida, oltre che una perfetta regina.» Amy percepì l'amore nella sua voce e respinse delle lacrime che non erano di gelosia. «Forse il mio fidanzato e io ci saremmo arrivati. Penso che il nostro sarebbe stato un buon matrimonio. Forse io inseguivo un sogno... una casa e dei bambini, comportarmi in modo diverso dai miei genitori.» «Una casa delle bambole di dimensioni reali?» suggerì Emir, e lei sorrise.
«Probabilmente volevo...» Ancora una volta non trovava la parola.
«Un amore irrazionale?» ipotizzò Emir.
«Direi di sì» confermò Amy, alzandosi.
«Resta» le disse, «non mi sono spiegato.»
«Non hai niente da spiegare, Emir» lo rassicurò. «So che non condurrebbe a niente. So che è imperativo per la sopravvivenza del tuo paese avere un figlio maschio.» Ma c'era un barlume di speranza. «Non potresti parlare con re Rakhal e convincerlo ad abrogare la legge?» Amy non si preoccupava di parlare a sproposito. «Adesso è un'epoca diversa.»
«La madre di Rakhal è morta di parto» le spiegò Emir, «e, come ti ho detto, sembrava che il bambino non sarebbe sopravvissuto. Il re di Alzirz è venuto da mio padre e gli ha chiesto di abrogare la legge che gli impediva di risposarsi...» Emir alzò le spalle. «Ovviamente mio padre si è rifiutato.
Voleva riunificare i due paesi.» «Ma tu ci hai pensato?» La guardò, e per la prima volta rivelò a un'altra persona ciò che aveva in mente. «Ho riflettuto a lungo. Quando mia moglie si è ammalata, mi sono rivolto a Rakhal, e la risposta è stata quella che puoi immaginare.» Scosse il capo ricordando quella conversazione. Gli pareva ancora di vedere il ghigno sul volto di Rakhal quando aveva sollevato l'argomento. Come si era goduto il disagio dell'avversario.
Come aveva gioito nel vedere un re orgoglioso disposto a supplicare.
Emir guardò Amy negli occhi e, in qualche modo, la frustrazione si attenuò, così rivelò l'altro fardello che gli gravava sulle spalle. «Ho riflettuto su diverse possibilità, in nome del bene non solo del mio paese, ma anche delle mie figlie.» Si era sbilanciato troppo, Emir se ne rese conto immediatamente, perché nessuno doveva sapere tutto.
Ma lei insistette. «Se non avrai un figlio maschio...» «È impensabile» ribatté Emir. Eppure era proprio a questo che stava pensando. Guardò i suoi occhi azzurri e forse furono il vento e il silenzio del deserto, forse fu la danza
delle ombre sulle pareti, comunque fosse, decise di confidarsi, di condurla nei luoghi oscuri della propria mente, di condividerli. Ma subito si bloccò perché non poteva. «Avrò un figlio maschio.» E questo significava che sua moglie non poteva essere lei. «Il matrimonio per me ha un significato diverso. Mi dispiace ferirti... non era nelle mie intenzioni.»
«Non ne faccio una questione personale...» Tuttavia all'ultimo momento la voce si spezzò... perché non era stata sincera. Era una sofferenza molto personale, qualcosa da razionalizzare in privato, nella solitudine della propria tenda. Là avrebbe potuto piangere questa nuova perdita.
«Buonanotte, Emir.» «Amy?»
Avrebbe preferito che non la richiamasse, ma questa volta non fu per dissuaderla, bensì per avvertirla di ciò che avrebbe potuto portare la notte.
«Il vento soffia forte stanotte... sa che tu qui sei un'estranea e giocherà dei brutti scherzi alla tua mente.» «Parli del vento come se fosse una persona.» «Alcuni sostengono che sia un insieme di anime.» Notò che lei non si impauriva. «Non allarmarti, volevo dirti solo questo.»
E lei non era impaurita... in un primo momento.
Era coricata sul letto e guardava il soffitto, un soffitto che si alzava e abbassava a ogni raffica. Sentiva la mancanza delle bambine più di quanto avesse ritenuto possibile, e le mancava ciò che sarebbe potuto essere.
Non una sola volta si era considerata una regina potenziale.
Aveva creduto che Emir la volesse come amante...
un'amante occasionale forse, e una madre sostituta delle sue figlie.
Invece Emir aveva avuto intenzione di sposarla. L'aiutava
questa sua richiesta, e la uccideva il fatto che non avrebbe mai potuto sposarlo.
Lottò per non piangere. Il vento soffiava a raffica, la luce delle candele creava delle ombre come se la stanza si muovesse, così chiuse gli occhi augurandosi che il sonno le venisse in aiuto. Ma il vento soffiava sempre più forte e talvolta il suo urlo somigliava al pianto delle gemelle. Amy pianse per loro.
Più tardi ebbe l'impressione di sentire le grida di una donna, le stesse grida che aveva udito la notte in cui erano nate le bimbe. Grida che si erano diffuse per il palazzo un anno prima, grida di una donna che sta partorendo, grida che lei non avrebbe mai emesso... ed era una tortura. Sapeva che il vento giocava brutti scherzi, ma le grida e il pianto erano qualcosa che non riusciva a sopportare.
Forse avevano tormentato anche Emir, perché quando aprì gli occhi era accanto al suo letto, completamente vestito, la spada al fianco.
Era immobile, un'ombra cupa nella notte, ma che non le faceva paura.
«Quando mi hai restituito il bacio, quando mi hai detto ti prego, cosa credevi che intendessi?» le domandò.
«Pensavo che cercassi sesso.» Non le importava di essere volgare. La sofferenza era troppo aspra per addolcirla con menzogne.
«Non è il nostro sistema.» Emir la fissò. «Ad Alzirz sono forse dissoluti. Ci sono gli harem e...» Scosse il capo. «Non voglio questo per te.» Non per la prima volta, ma per una ragione più riprovevole, lei avrebbe voluto essere là, avrebbe voluto che Emir fosse re di quel paese.
«Non ho mai pensato neppure per un attimo che mi prendessi in considerazione come moglie. Quando ci siamo
baciati... quando...» Deglutì a fatica. «Quando ci siamo baciati non pensavo al futuro, o alle gemelle, pensavo che fossi me che volevi...» Lui la guardò e il vento tacque, le grida e i pianti cessarono.
Almeno per una notte poteva ragionare come un uomo e non come un re. Emir rispose onestamente. «Era così.» Sì, all'inizio era stato un tentativo di seduzione, ma poi...
«Quando ti ho baciato, ho dimenticato.» «Dimenticato?»
«Ho dimenticato tutto salvo te.» Amy scorse il desiderio nei suoi occhi. Fissò il colore ambrato della sua pelle, le braccia che l'avevano stretta e desiderò di nuovo la sua bocca.
«So che non ci porterà da nessuna parte. So che...» Amy voleva semplicemente essere di nuovo una donna, voleva godere una volta con quell'uomo meraviglioso. «Solo una volta...» sussurrò, ed Emir annuì.
«Solo una volta» fu la sua risposta, perché così doveva essere, e con questo la prese in braccio e la portò sul proprio letto.
7
La fece adagiare e continuò a osservarla mentre si liberava della spada che lasciò cadere a terra. Amy distolse subito lo sguardo per il terrore che l'aveva assalita: la spada e le decorazioni le facevano capire che ciò che stavano per fare era sbagliato... ma lei voleva l'uomo, non il re, tuttavia ne era spaventata.
«Guardami» le impose Emir.
Lei obbedì e lo vide nudo, più bello di quanto avesse immaginato. Sotto il suo sguardo, lui si eccitò e lei osservò ammirata lo stomaco piatto, le gambe lunghe, le braccia che l'avevano tenuta stretta.
«E sbagliato» mormorò mentre lui si avvicinava.
«A me non sembra» ribatté Emir coricandosi al suo fianco.
Il fatto che fosse un amore proibito era un motivo di ulteriore eccitazione.
Si fece piccola quando le tolse la camicia da notte e chiuse gli occhi mentre scostava le coperte per poterla guardare.
Voleva conoscere ogni centimetro della sua pelle. Invece di baciarla sulla bocca, si dedicò al seno che aveva appena sfiorato con le labbra e lei si eccitò all'istante. Le baciò il ventre e poi più in basso e Amy si inarcò mentre lui la faceva sentire di nuovo donna.
Il corpo aveva spasimato così a lungo per il desiderio e lui glielo faceva rivivere.
Si era sentita intoccabile, vuota e ora lui la riempiva con la lingua, l'accarezzava intimamente con sensuale maestria.
Emir, dalla morte della moglie, non aveva mai condiviso con una donna la benché minima emozione, ma adesso era
diverso.
Si portava sulle spalle un fardello che neppure il più saggio dei consiglieri avrebbe potuto alleviare. Era una decisione che doveva prendere da solo, una decisione nella quale si dibatteva ormai da un anno...
Ora tutto fu dimenticato.
Sentì le sue dita nei capelli. I fianchi tentarono di sollevarsi, ma lui glielo impedì con la bocca finché Amy singhiozzò. A questo punto non potè aspettare oltre.
Si inginocchiò, la osservò con desiderio crescente, poi le divaricò le gambe. Il corpo di Amy era percorso da fremiti per quell'esplorazione intima e lo supplicò.
Si ritrasse perché doveva mettere la protezione, ma subito udì il suo bisbiglio.
«Non è necessario.» Per la prima volta, il fatto di non rischiare una gravidanza portò solo sollievo, perché nessuno voleva interrompere quel momento.
Le aveva sollevato i fianchi per penetrarla, ma poi la fece attendere.
«Emir...»
Il sorriso di lui fu devastante.
Si prese il proprio tempo, con sensuale crudeltà, mentre lei si agitava inutilmente sotto di lui. A quel punto, Amy socchiuse le labbra per supplicarlo di nuovo, per implorarlo, ma le parole svanirono quando la penetrò con forza, con la forza di chi pone fine alla propria privazione.
Emir dimenticò la potenza della propria erezione e di essere gentile, e lei gli fu riconoscente per questa dimenticanza.
La penetrò e la penetrò di nuovo.
Era sopra di lei e il bacio che, inizialmente, le aveva negato, per Amy fu la ricompensa, perché soffocò i suoi gemiti con la bocca, finché fu lui a non riuscire a tacere. Il piacere
adesso era suo, tutta la sofferenza cancellata, le preoccupazioni temporaneamente alleviate, la mente sgombra mentre i corpi si muovevano all'unisono.
Si perse in lei, si arrese al piacere e riversò il proprio seme gridando il suo nome mentre si abbandonavano all'oblio.
Adesso il vento era amico, perché soffiava forte intorno a loro, portando con sé le loro grida e i loro gemiti per seppellirli nel segreto della sabbia.
8
Naturalmente non sarebbe dovuto accadere.
E naturalmente non avrebbe dovuto ripetersi.
Ma poco prima dell'alba fecero l'amore di nuovo... Amy si era voltata a guardarlo finché ancora ne aveva la possibilità.
Gli fece scorrere un dito sulla cicatrice sotto l'occhio che l'aveva sempre incuriosita non avendo, però, il coraggio di domandare come se la fosse procurata.
«Cos'è successo?»
«Non si chiedono queste cose.» «Nuda vicino a te ne ho il diritto.» Forse era meglio che sapesse, pensò Emir. Forse avrebbe capito perché per loro non c'era alcuna possibilità.
«Alcuni ribelli decisero di non aspettare l'avverarsi della profezia e presero in mano la situazione.» Le parlava senza guardarla. Sentiva le sue dita sulla cicatrice e rivisse quei terribili momenti. «Decisero di annientare una dinastia.» Udì il suo gemito angosciato. «Ovviamente la mia gente li vide sopraggiungere e prese le armi. Mio padre, mio fratello e io eravamo con loro.» «E tua madre?»
«È stata uccisa nel suo letto.» Scostò la mano dal suo viso, scese dal letto e si vestì apprestandosi a pregare.
Aveva pregato il deserto di dargli una soluzione, e per un momento aveva creduto di essere stato esaudito, ma era stato un abbaglio. Doveva rispettare le regole, si rese conto mentre ricordava quella notte lontana e ciò che aveva ereditato.
Quindi pregò per il suo paese e per la sua gente.
Doveva dimenticare quel rapporto d'amore, la donna che aveva tenuto tra le braccia. Non si era mai sentito tanto unito a un altro essere umano, neppure con Hannah, e pregò per essere perdonato.
Pregò per le sue bambine e per la decisione che doveva prendere, ma non ne trasse conforto perché il cuore continuava a ripetergli che stava prendendo la decisione sbagliata.
Poi ripensò al motivo per cui suo padre aveva combattuto e seppe che doveva onorare la sua memoria... quindi pregò di nuovo per il suo paese.
Amy, in silenzio, si godeva gli ultimi attimi in cui era nel suo letto, inalava il suo aroma virile. Spostò le mani nel punto caldo in cui lui aveva dormito desiderando disperatamente che tornasse, che facesse di nuovo l'amore con lei, almeno un'ultima volta. Ma sapeva che sarebbe stato sleale, quindi si alzò e andò in camera sua.
Raccolse i capelli, e indossò la divisa. Era di nuovo la bambinaia.
Emir provò sia sollievo sia rincrescimento quando tornò dalla preghiera e vide il letto vuoto. E sempre rincrescimento misto a sollievo mentre condividevano la colazione. Lei non fece nessun riferimento alla notte, ma lui si sentiva morire nel vederla di nuovo con la divisa e sapere cosa nascondeva.
E nel momento in cui il silenzio si fece assordante, quando lei capì che se avesse incontrato il suo sguardo ancora una volta sarebbe finita con un bacio, gli augurò una buona giornata e tornò in camera. Si coricò sul letto e rimpianse che non ci fossero le gemelle in modo da ritrovare il buon senso e rientrare nel proprio ruolo.
Appena le bimbe tornarono e l'abbracciarono, si commosse
al punto che le scesero le lacrime. In quel momento si rese conto quanto fosse come una madre per loro.
«Cosa sono queste?» domandò a Emir cercando di avviare una conversazione normale, riferendosi alle boccette che adesso avevano al collo.
«Sono riempite con la sabbia del deserto e devono portarle fino a che andranno a letto questa sera, poi saranno riposte fino al giorno del loro matrimonio.» «Sono splendide.» Amy ne sollevò una tra le dita. «Che significato hanno?» «Per la fertilità.» Emir quasi ringhiò quelle parole, l'umore tornato cupo come la mattina in cui lo aveva affrontato nel suo ufficio, e non migliorò neppure quando l'elicottero si alzò in volo.
Le gemelle scoppiarono in lacrime appena l'elicottero si alzò.
«Non devono arrivare con le guance rigate di lacrime. Ci sarà molta gente ad accoglierle.» «Allora consolale!» sbottò Amy, ma Emir, il viso inespressivo come il granito, si voltò verso il finestrino.
«Emir, ti prego.» Amy parlò, anche se non avrebbe dovuto, ma il giorno precedente era stato tanto affettuoso con le bambine ed era preoccupata di essere la causa di quel cambiamento di umore. «Ti prego, non voglio che la notte scorsa...»
La zittì con un'occhiata, avvertendola di non continuare, e poi chiarì perfettamente la situazione.
«Credi davvero che ciò che è successo questa notte abbia qualche ripercussione sul mio comportamento con le bambine?» osservò incredulo scuotendo il capo. «Sei la bambinaia, sei nel mio paese e devi accettare le nostre leggi e le nostre usanze. Devono essere stoiche, forti.» Tuttavia prese Clemira sulle ginocchia e, quando la bimba
si quietò, così fece Nakia.
Amy sedeva in silenzio, e voltò il capo nel momento in cui il palazzo apparve. Fece saltellare Nakia sulle ginocchia, pronta a indicarle la gente, a dirle che le bandiere che ondeggiavano al vento erano per festeggiare lei e la sorella.
Ma le strade erano deserte.
Guardò Emir. Il viso impietrito, era in silenzio.
Scese dall'elicottero e Patel gli andò incontro.
Ciò che gli comunicò non doveva essere una buona notizia, perché l'espressione di Emir si inasprì ancora di più.
Amy non aveva la benché minima idea di cosa stesse succedendo.
Condusse le gemelle nella nursery e attese di sapere qualcosa, di essere informata sull'ora di inizio dei festeggiamenti, tuttavia con il passare delle ore la speranza si dileguava.
Aveva il cuore pesante e respinse le lacrime mentre preparava o dei dolci nella piccola cucina annessa alla nursery. All'ora di cena, cantò per loro Happy Birthday e le vide sorridere mentre aprivano i pacchetti che aveva preparato.
Quando Emir apparve sulla soglia, si irrigidì.
Lui osservò i regali, gli orsacchiotti e i DVD, vide Amy che si avvicinava, l'espressione tempestosa, e per un attimo temette che lo assalisse.
«Hanno tutto, vero?» lo sfidò. «Una bella festa!» «Mio fratello è troppo impegnato a Dubai con i suoi cavalli.»
Si avvicinò alle bimbe e le baciò sulla testa, parlando loro in arabo per qualche attimo. «Ho i regali per loro.» Chiamò i domestici e Amy gioì nel vedere i visi radiosi delle piccine che aprivano un enorme pacco. Si morse il labbro appena scorse una grande casa delle bambole, con l'aspetto
di un palazzo, con le porte, le scale, le camere.
«Ho pensato a quanto mi hai detto, a quanto ti ha aiutato.
Volevo che fosse così anche per loro.» «E come hai fatto a...?» Anche se le pareva che fossero trascorsi secoli, si trattava soltanto di un paio di giorni.
«Come hai fatto ad averla in così breve tempo?» «Essere re ti offre alcuni vantaggi, benché adesso...» Emir abbozzò un mezzo sorriso e poi cercò il suo sguardo, «non ne veda molti.»
Si alzò da dove era inginocchiato con le bambine, ma non la guardò. Si limitò a schiarirsi la voce e a dire ciò che doveva... a fare ciò che doveva essere fatto tempo prima.
«Fatima ti darà una mano con le gemelle» annunciò, e in quel momento la donna fece un passo avanti.
«Parla un poco d'inglese, e comunque non lo parlerà con le bambine. Devono imparare la nostra lingua, le nostre usanze.»
Lei non capiva cosa stava succedendo. Per quanto la notte precedente fosse stata meravigliosa, avrebbe voluto cancellarla, avrebbe voluto che non fosse mai esistita se portava quei mutamenti tanto drammatici.
«Emir...» Notò che Fatima aggrottava la fronte per quella familiarità. «Voglio dire... ecco... Altezza...» Ma lui non le permise di parlare, di fare domande, e se ne andò senza voltarsi neppure quando le piccine cominciarono a piangere. Amy corse da loro.
«Le lasci stare» consigliò Fatima.
«Sono sconvolte.» Amy non aveva nessuna intenzione di cedere. «E stata una giornata difficile per loro.» «E stata una giornata difficile per il nostro paese» ribatté Fatima. «Non c'è stato solo il ritorno delle gemelle oggi... la regina Natasha, all'alba, ha partorito un maschio.» Per un curioso momento, Amy ricordò le grida che aveva
sentito nella notte, le grida che aveva pensato fossero di Hannah.
Ma era stata anche Natasha a urlare.
Ebbe l'impressione che il vento continuasse a giocarle brutti scherzi, che il deserto fosse sempre un passo avanti, e osservò immobile Fatima che metteva a letto le bambine per poi andarsene, indifferente al loro pianto.
Ecco perché non c'erano stati festeggiamenti, non c'era stata folla ad accogliere le principesse. Era una protesta silenziosa del popolo... una sorta di monito al loro re che doveva avere un figlio.
Fatima lo confermò mentre spegneva la luce. «A differenza di Alzan, il futuro di Alzirz è assicurato.»
9
«Non staranno tranquille per tutto quel tempo, a meno che le tenga in braccio.» Era stata una mattinata difficile per Amy. Avevano discusso il cerimoniale per i festeggiamenti del nuovo principe che si sarebbero tenuti l'indomani.
Fatima avrebbe accompagnato il re e le principesse. Amy aveva riordinato la nursery. Le finestre erano aperte e aveva udito le proteste delle piccole e i pianti perché volevano che il padre le tenesse in braccio. Alla fine, con riluttanza, Emir aveva chiesto che scendesse per calmarle.
«Sarà Fatima a occuparsene.» «Ma loro vogliono te.» «Non mi è possibile» ribatté Emir. Amy colse il suo sguardo e poi notò che serrava le labbra perché sì, sapeva cosa provava. «Io indosserò l'uniforme militare. Devo fare il saluto.» Smise di dare spiegazioni non solo perché si era ricordato di non averne l'obbligo, ma perché Nakia, che lo supplicava di prenderla in braccio, adesso tendeva le mani ad Amy.
Entrambi capirono che non ci sarebbero stati problemi se Amy fosse andata con loro.
Non che Emir fosse disposto ad ammetterlo.
Ma lei non poteva stargli vicino, non poteva sopportare di vedere l'uomo che amava così freddo e distante, non solo con lei ma anche con le bambine che chiedevano disperatamente il suo amore.
«Non puoi tenerne almeno una?» Amy cercò di celare l'esasperazione mentre abbracciava Clemira in lacrime.
«Ho provato, ma Clemira è gelosa» spiegò Emir mentre Fatima prendeva Nakia per darle qualcosa da bere.
«Se ne puoi tenere una, deve essere Clemira. Se lei è tranquilla, lo sarà anche Nakia.» Vide che lui aggrottava la fronte e trattenne a stento la collera perché le pareva impossibile che non sapesse una cosa così elementare delle sue figlie. «Tieni Clemira» ripetè porgendogli la bimba.
«Dio, mi sembra di parlare un'altra lingua.» «Una lingua che io non capisco» sibilò Emir.
Amy tornò a palazzo e dalla finestra vide, impotente, altre lacrime perché il suo ruolo si stava ridimensionando di minuto in minuto. Guardò la casa delle bambole e le venne voglia di prenderla a calci, di prendere a pugni le pareti, ma si limitò a sbottare in una risata isterica. Pulì il tavolo della nursery e cambiò le lenzuola, finse di essere impegnata.
«Ha funzionato.»
Si voltò al suono della sua voce e sbarrò gli occhi. Emir aveva in braccio le due gemelle, entrambe addormentate, il capo posato sulle sue spalle. Attese che comparisse Fatima, ma non la vide.
«Fatima è andata a prendere una pastiglia per il mal di testa.» Emir sorrise. «Le ho detto che le avrei portate io.» Che tristezza che fosse così raro, rifletté Amy. Che tristezza che qualcosa di così normale richiedesse una spiegazione! Si accinse a mettere a letto Clemira e lei andò ad aiutarlo.
«Non so come...» Erano quasi delle scuse.
«No.» Gli prese una bimba dalle braccia. «Non posso metterle a letto entrambe contemporaneamente, devi aiutarmi. Adesso sono troppo pesanti.» Incespicava nel parlare. Sentiva che lui le stava fissando la bocca, aveva paura di guardarlo... voleva solo che arrivasse Fatima.
«Amy...»
«La casa delle bambole è piaciuta molto.»
Amy tenne il capo chino perché sapeva cosa sarebbe successo se lo avesse alzato. Lo sapeva perché il giorno precedente era quasi accaduta una cosa del genere, e anche il giorno prima... momenti in cui era stato quasi impossibile negarsi, in cui si era sentita morire all'idea di non poterlo accarezzare, in cui sarebbe stato molto più semplice cedere.
Ma se lo avesse baciato in quel momento, si sarebbero ridotti a due amanti furtivi quando Fatima non era nelle vicinanze... E non era questo tipo di amore che voleva.
Le lacrime le inumidirono gli occhi. Cercò di convincersi che, pur piangendo, era sempre forte.
Fu lei ad andarsene, a tornare nella propria camera mentre Emir vigilava sulle bimbe.
«Hai bisogno di tornare a casa.» Invece che piangere, aveva telefonato a casa, alla disperata ricerca di un consiglio. Sua madre non era al corrente degli ultimi avvenimenti, ma, anche se lo fosse stata, il consiglio sarebbe stato lo stesso.
«Amy, non puoi cambiare le cose. Te lo avevo detto quando hai accettato l'impiego.» «Ma la regina Hannah...» «E morta.»
Le parole brutali ottennero un risultato e Amy rimase in silenzio.
«Anche la regina Hannah sapeva che il suo paese non aveva spazio per quelle povere piccine. Per questo ha deciso che sarebbero state educate in Inghilterra.» «Non posso lasciarle.» «Non hai scelta» cercò di persuaderla sua madre.
«Riusciresti davvero a reggere altri tre anni così?» No, non poteva e lo sapeva benissimo mentre riagganciava il ricevitore. Gli ultimi dieci giorni erano stati un inferno.
Con l'approssimarsi dell'anniversario della morte della
regina Hannah, l'attività di palazzo era calata, ma il peggio sarebbe venuto quando di lì a poche settimane ci sarebbe stato un nuovo matrimonio.
Come poteva restare? Non era possibile.
Invece di essere infastidita, Amy era sollevata perché era stata scelta Fatima per andare con il re e le bambine. Aveva stabilito di impiegare saggiamente il tempo che avrebbe trascorso da sola per riflettere, ma in realtà la decisione ormai l'aveva presa.
Sua madre aveva ragione: non le restava che tornare a casa.
Al mattino, però, era ancora in preda ai dubbi.
Entrò nella nursery mentre le gemelle erano ancora nei loro lettini e si commosse quando le mandarono tanti baci.
Risero e si dimenarono mentre faceva loro il bagno, sputacchiarono il cibo, gettarono via gli abiti nuovi e si strapparono i nastri dai capelli non appena Fatima le pettinò.
Amy era sempre più indecisa. Non sopportava l'idea di lasciarle.
Ma doveva farlo.
Preparò le borse per le bambine e mise dei costumi da bagno perché sapeva che ad Alzirz c'erano molte piscine.
«Non ne avranno bisogno» l'avvertì Fatima. «Non farò il bagno con loro.»
E non lo avrebbe fatto neppure il loro padre, pensò Amy mordendosi il labbro per non urlare.
Aiutò Fatima a condurle all'elicottero e attesero che arrivasse il re.
«Fate le brave!» Amy sorrise alle piccine quando avrebbe voluto stringersele forte al petto. Sapeva che era l'ultima volta che le vedeva, che era molto più semplice se se ne fosse andata mentre non c'erano.
Emir degnò a malapena di un'occhiata le bambine e, di sicuro, non guardò in direzione di Amy.
Indossava l'uniforme militare come richiedeva un evento formale e lei si odiò per provare dei sentimenti nei confronti di un uomo del genere.
Poi Patel lo chiamò.
«Lo.» Emir scosse il capo, la risposta immediata, e proseguì, ma Patel lo chiamò di nuovo e ci fu una breve conversazione frenetica. Poi Emir entrò nello studio con Patel al seguito.
«Vi saluto adesso.» Amy parlava alle gemelle perché cominciavano ad agitarsi. Doveva ricordare che non erano sue, che sarebbero state bene con Fatima, che non erano loro che doveva amare. Ma si sentì morire quando si voltò per salire la scalinata.
Era troppo difficile non tornare indietro, ma fece appello a tutta la sua forza d'animo per proseguire, solo per bloccarsi quando Patel le rivolse la parola.
«Il re vuole parlarle.» «Con me?» Lentamente Amy si voltò.
«Subito» la informò Patel. «E molto impegnato... non lo faccia aspettare.»
Le parve la camminata più lunga della sua vita.
Amy sentiva gli occhi puntati su di sé mentre scendeva di nuovo le scale, cercando di tranquillizzarsi, di non anticipare ciò che voleva Emir, benché il suo cuore lo sapesse. Non era mai stata convocata a colloquio, e non poteva che concludere che fosse giunto alla sua stessa conclusione... mentre loro erano assenti, era meglio che lei partisse.
Fu terribile trovarsi di fronte a lui. Dalla notte che avevano trascorso insieme, non erano rimasti mai soli, perché Fatima si aggirava sempre nelle vicinanze con
un'espressione di tacita critica.
Emir non era a disagio, pareva piuttosto disinteressato, e quando parlò, il tono era piatto.
«Sarai tu ad accompagnare le principesse alla cerimonia ad Alzirz.»
«Io?» Amy deglutì. Non era ciò che si era aspettata.
«Pensavo che fosse più adatta Fatima...» «Non è in discussione» la interruppe Emir. «Vai a fare velocemente i bagagli. L'elicottero aspetta e non ho intenzione di arrivare in ritardo.» «Ma...» Non capiva quel cambiamento di programma.
Aveva bisogno di stare sola e la innervosiva l'idea di viaggiare con lui.
«È tutto» la congedò Emir. «Come ho già detto, non ti ho chiamato per discutere.» Fu Patel a darle una breve spiegazione quando lasciò lo studio.
«La regina Natasha desidera discutere sulle bambinaie inglesi e vorrebbe il suo parere.» Questo aveva senso, perché ovviamente una richiesta della regina Natasha doveva essere esaudita.
Non aveva importanza se le si sarebbe spezzato il cuore.
Fece velocemente i bagagli. Anche se l'elicottero e il re erano in attesa, dedicò alcuni minuti per mettere in borsa i costumi da bagno delle bimbe perché, al contrario di Fatima, lei avrebbe fatto il bagno con loro.
Emir l'attendeva impaziente quando lo raggiunse all'elicottero e Fatima le rivolse un'occhiata astiosa perché era un onore viaggiare con il re.
Non fu il più piacevole dei viaggi, benché Emir tenesse in braccio Nakia mentre si avvicinavano a destinazione. Di nuovo Amy osservò le sue fattezze che si irrigidivano e ne intuì il motivo.
Alzirz era in festa come sarebbe dovuto essere Alzan il giorno del compleanno delle gemelle. Le strade adiacenti al palazzo erano affollate da gente eccitata che sventolava bandiere. Attendevano tutti di sapere il nome del nuovo principe.
Emir doveva sentirsi morire nello sforzo di esibire cortesia, pensò Amy mentre arrivavano a palazzo.
I due sovrani si baciarono su entrambe le guance, ma lei percepì tra loro l'odio che risaliva a diverse generazioni.
La regina Natasha pareva non accorgersene. Si comportava in modo del tutto informale e salutò sia Amy sia le gemelle come se fossero dei parenti in visita, più che una bambinaia e due giovani principesse. «Sono cresciute!» esclamò.
Aveva un aspetto fantastico, notò Amy, con un abito bianco intessuto di fiori. Non pareva certo una donna che aveva partorito qualche giorno prima e Amy si sentì sciatta al suo fianco.
«Entrate» le invitò Natasha notando che le gemelle erano un po' a disagio con tutta quella gente. «Vi accompagno nella nursery. Devo preparare il piccino.» Chiacchierava amabilmente mentre percorrevano i lunghi corridoi del palazzo. «Le presenterò la mia nuova bambinaia, Kuma. E bravissima, ma io voglio che mio figlio impari l'inglese.» Sorrise ad Amy. «Per caso, sta cercando un lavoro?» chiese spudoratamente.
«Sto molto bene dove sono» replicò Amy, benché fosse tentata di ribattere che Natasha avrebbe potuto trovarla di lì a qualche giorno sui gradini del palazzo.
No! Anche se Natasha era gentile e simpatica, anche se era facile parlare con lei, sia ad Alzirz sia ad Alzan le bambinaie reali dovevano obbedire ai comandi del re. E lei ne aveva abbastanza.
Kuma era molto più comunicativa e affettuosa di Fatima.
Sorrise quando vide le gemelle e si mise un dito sulle labbra facendo segno di stare zitte, poi le accompagnò ad ammirare il nuovo principe.
Nakia non era particolarmente interessata, ma Clemira batté le manine deliziata e quasi si buttò dalle braccia di Amy per avvicinarsi al bimbo. Era totalmente affascinata.
«È bellissimo!» esclamò Amy. La pelle era ambrata come quella di Rakhal, ma aveva i capelli biondi con riflessi ramati. All'improvviso Amy si domandò come sarebbe stato un bimbo suo e di Emir. Era disperata per ciò che aveva perso, poi si strinse al cuore Clemira e si rese conto che erano loro ciò che avrebbe perso andandosene.
«Vuole prenderlo in braccio?» le chiese Natasha.
«Dorme» mormorò Amy, terrorizzata. Se lo avesse preso tra le braccia, sarebbe caduta a pezzi.
«Devo svegliarlo» obiettò Natasha. «Voglio dargli il latte prima della cerimonia.» Prese tra le braccia il piccino addormentato e lo porse ad Amy che aveva ceduto Clemira a Kuma.
Nei primi giorni, aveva sofferto tenendo tra le braccia Clemira e Nakia, sapendo che non avrebbe mai potuto stringere a sé un bimbo suo, e adesso il dolore la dilaniò di nuovo, acuto come era stato all'inizio, soprattutto quando entrarono i due sovrani, Rakhal orgoglioso che sorrideva al proprio bambino ed Emir che ammirò il neonato, gli occhi che tradivano la sofferenza.
Amy lo capiva, ed era furibonda per quelle assurde leggi.
Leggi che, come il deserto, potevano essere crudeli.
«Vieni» le disse Emir, «dobbiamo raggiungere i nostri posti.» Il suo posto era al suo fianco, per l'ultima volta.
E lei rimase dove in futuro non sarebbe più stata: accanto alle bambine di Emir.
«Si sono comportate bene» riconobbe lui quando le
riportarono nella nursery.
«Certo!» Amy sorrise. «Ma anche se avessero pianto, avrebbe avuto importanza? Tariq ha strillato per tutto il tempo.»
«E vero.» Emir stava pensando la stessa cosa; riconosceva di essere troppo rigido con le gemelle. Tuttavia il suo paese si aspettava così poco dalle sue bambine e, in qualche modo, voleva mostrare alla sua gente cosa sapevano fare. «Questa notte baderà alle gemelle la bambinaia di Alzirz. Dovranno fare una breve comparsa alla festa, ma sarà lei a prendersi cura di loro.»
«Perché?» chiese Amy, e notò che lui assottigliava le labbra.
«Perché...» rispose Emir e quasi sibilò le parole, irritato nel percepire su di sé i suoi occhi azzurri interrogativi.
«Perché, cosa?»
Avrebbe voluto dirle che ne sapeva ben poco, che le complicazioni del protocollo reale talvolta lo confondevano.
Era stata Hannah a occuparsene, e proprio in giornate come quella era difficile essere un genitore solo. Eppure non poteva ammetterlo, quindi diede una risposta brusca. «La regina Natasha vuole che stiano insieme al suo bambino, e così deve essere. Se il principe Tariq verrà ad Alzan, tu baderai a lui durante la notte.» «Credevo che ci fosse ostilità tra voi.» «Certo» ammise Emir, «ma la regina Natasha è nuova a queste questioni e non si rende conto dell'astio che c'è tra noi. Anche se ridiamo e scherziamo e partecipiamo insieme alle cerimonie, tra noi non c'è nessun affetto.» «Proprio nessuno?» «Nessuno.» Il viso era cupo. «Le gemelle ti saranno riconsegnate domani mattina e tu mi raggiungerai alla colazione formale domani.» «Ma le bambine saranno a disagio in un nuovo...»
La fissò. Doveva essere impazzito anche solo ad aver preso in considerazione l'idea, perché lei non sarebbe mai stata una brava regina. Non c'era una sua frase che non contestasse, non un pensiero che le passava per la mente al quale non desse voce.
«Continuavi a chiedere una serata libera. Perché ti lamenti di averne ottenuta una?» Amy ricordò la propria posizione.
«Non mi sto lamentando.» Gli sorrise, radiosa. «Sono felicissima di avere una notte libera. Semplicemente non me l'aspettavo.»
«Puoi suonare e farti portare la cena in camera.» «Servizio in camera?» Amy conservò il sorriso, ricordando la propria posizione. «E ho anche la piscina personale...
Divertiti alla festa.» Ma Emir prevedeva che non si sarebbe divertito.
Era imbronciato quando entrò nel salone.
Aveva notato i cambiamenti che Natasha aveva apportato al palazzo, udito risate risuonare per gli ambienti e il mormorio di conversazioni rilassate, tutte cose che riuscivano a irritarlo.
Insieme a Kuma teneva le bambine, mentre Natasha aveva in braccio Tariq. Notò che Kuma era molto dolce con il piccolo e si disse che Fatima, forse, era troppo arcigna.
Probabilmente una bambinaia più affabile sarebbe stata più adatta, pensò, consapevole che Amy se ne sarebbe andata glielo aveva letto negli occhi e strinse di più a sé Clemira prima di cederla a Kuma. Aveva il cuore stretto perché le piccine non sarebbero dovute essere private della madre.
Era una decisione grave quella che doveva prendere, ma ce n'erano altre: la bambinaia, l'educazione delle sue figlie, i loro pianti, il loro dolore, il loro futuro. Avrebbe dovuto condividere queste responsabilità con un'altra persona che
le amava.
Da padre single, non sapeva da che parte cominciare.
L'umore era cupo quando i bimbi furono riportati nella nursery, e rivolse un'occhiata a Rakhal che aveva al fianco la moglie.
Non si era mai sentito tanto solo. Quella sera piangeva la perdita sia di Hannah sia di Amy, ed era così distratto da non accorgersi che Natasha si era avvicinata.
«Mi dispiace, deve essere molto difficile per lei.» Le rivolse uno sguardo sdegnato. Come si permetteva di insinuare una cosa del genere? Come si permetteva, così platealmente, di sottovalutare le sue bambine? Ma mentre stava per formulare una risposta acida, Natasha proseguì: «Presto sarà l'anniversario della morte di Hannah, vero?».
Chiuse gli occhi per un attimo, il dolore che lo consumava.
Annuì. «Sento molto la sua mancanza.» Natasha osservò quel re dallo sguardo triste, che stava in disparte, solo. «Dov'è Amy?» «Si gode la serata libera.» Cercò di chiudere l'argomento, perché non voleva pensare a lei quando desiderava averla al proprio fianco.
«Non intendevo che restasse nella sua stanza.» Natasha rise.
«Ho detto che la mia bambinaia avrebbe badato alle gemelle, perché speravo che Amy si unisse a noi.» «È la bambinaia» tagliò corto Emir, «è qui solo per badare alle piccole.»
«D'accordo, ma è inglese.» Natasha sospirò e alzò gli occhi al cielo. «Ha idea di quanto sia piacevole avere qui una connazionale? Non vedevo l'ora di chiacchierare con lei...
non ne abbiamo mai avuto l'occasione.» «Domani mattina porterà a colazione le gemelle» fece presente Emir, a disagio per questa familiarità.
Quando si recava in visita ad Alzirz, o quando il dovere imponeva che Rakhal si recasse ad Alzan, c'erano dei confini ben delineati, certi comportamenti da tenere, ma pareva che Natasha li ignorasse allegramente. Pareva che la nuova regina non capisse che era tutta una commedia tra lui e Rakhal, che c'era tra loro una profonda rivalità che risaliva alla necessità di proteggere i propri regni e la propria gente.
Natasha, semplicemente, non capiva che mentre conversavano educatamente, mentre partecipavano alle medesime cerimonie, era soltanto l'odio quello che li univa.
«Mando qualcuno a chiamarla» insistette Natasha. Emir poteva solo immaginare come avrebbe accolto la notizia Amy. Non le piaceva che le si dicesse cosa doveva fare, e meno che mai le sarebbe piaciuto in questa circostanza.
«È una dipendente» puntualizzò Emir, e questo avrebbe dovuto porre fine alla conversazione, soprattutto perché Rakhal si era unito a loro. Se non altro, Rakhal sapeva come ci si doveva comportare, avrebbe chiuso questo discorso inopportuno rendendosi conto che i confini erano stati oltrepassati... a differenza dell'ingenua moglie.
Ma cosa stava succedendo tra loro? Natasha sorrise al marito. «Stavo proprio dicendo a Emir che speravo che Amy si unisse a noi questa sera. Mi manca qualcuno con cui parlare del mio paese.» L'amore doveva averlo rammollito, pensò acido Emir, perché Rakhal, invece di squadrare l'avversario, invece di dare una risposta appropriata, invece di adeguarsi alle norme tacite, guardò la moglie.
«Allora perché non mandi qualcuno a chiederle se ha piacere di stare con noi?» suggerì. Solo in quel momento si rivolse a Emir. «Il fratello di Natasha e la sua fidanzata sarebbero dovuti essere qui, ma sono in Inghilterra per
un'altra ricorrenza di famiglia.» A Emir non importava un accidente, e non aveva nessun desiderio di sapere perché il fratello di Natasha e la sua fidanzata non fossero potuti intervenire.
Rakhal forse per un momento si era dimenticato che si trattava di una commedia? Che c'era più odio nell'aria di quanto potesse contenerne il salone? Poiché non poteva fare a meno di pensare alle proprie figlie, alla moglie morta e alle leggi che Alzirz rifiutava di abrogare, sarebbe stato felice di estrarre il pugnale.
«Non sarebbe giusto per lei.» Emir fece del proprio meglio per mantenere un tono indifferente. «Possiede soltanto la divisa.»
«Non sono così sprovveduta.» Natasha sorrise. «Le farò portare in camera alcuni abiti, e delle cameriere l'aiuteranno a prepararsi. Me ne occupo subito.» Avrebbe voluto ribattere con tono aspro... non era abituato che si mettessero in discussione le sue decisioni... ma il protocollo imponeva cortesia anche nella situazione più critica. Pensò ad Amy quando una cameriera avrebbe bussato alla sua porta trasmettendole l'invito di Natasha e, suo malgrado, sorrise, ma si irrigidì di nuovo e annuì alla regina.
«Molto bene, se desidera avere qui Amy, vado io ad avvertirla.»
Natasha gli restituì il sorriso ed Emir non riuscì a capire come facesse a non scorgere nei suoi occhi l'odio che provava. A rapidi passi, uscì dal salone.
Subito Rakhal si rivolse alla moglie.
«Ti stai intromettendo...» «Certamente no» mentì Natasha.
Il marito, però, la conosceva troppo bene. Anche lui era stato affascinato dal suo sorriso che risplendeva come il sole
nel deserto... tuttavia adesso capiva che stava complottando.
«Natasha? Non devi interferire in questioni del genere.» «Non lo sto facendo» insistette lei. «Tu devi occuparti degli invitati e a me farebbe piacere parlare con qualcuno del mio paese. Amy mi sembra deliziosa.» Ma, naturalmente, si stava intromettendo. Natasha aveva notato lo sguardo di Emir indugiare un po' troppo su Amy e aveva anche notato la tristezza che gli velava gli occhi. E sì, forse c'era anche un motivo egoistico che la spingeva a interferire un poco, ed era il pensiero di avere al fianco qualcuno del proprio paese in quelle interminabili cerimonie...
Sapeva che ben presto Emir si sarebbe dovuto sposare e se la regina fosse stata Amy... be', che male c'era a dare una spinta a Cupido? Adorava il suo paese di adozione, ma non riusciva a sopportare la rivalità tra le due nazioni, l'astio che aleggiava tra loro, e tutte quelle leggi impossibili... ed era certa che Amy condividesse il suo pensiero.
Dopo una cena in camera, Amy, non sapendo come trascorrere il tempo, era andata in piscina.
Era stato un bagno fantastico, la temperatura dell'acqua era splendida, l'area protetta da palme per una completa privacy. Adagiata sulla schiena, poteva vedere le stelle, ma proprio quando cominciava a rilassarsi sentì dei passi.
Forse era la cameriera che veniva a ritirare il vassoio, pensò uscendo dall'acqua. Aveva lasciato in camera l'asciugamano, così indossò una vestaglia trasparente e disse alla cameriera di entrare. Quando bussarono, pensò che non capisse l'inglese e aprì la porta, ma fu colta alla sprovvista trovandosi di fronte Emir.
«Non volevo disturbarti.» Sembravano quasi delle scuse, ma non proprio. Lui era il re che dava ordini a una dipendente,
si disse Emir. Solo il fatto che fosse salito personalmente era un onore. «Ti vogliono di sotto.» Amy aggrottò la fronte. «C'è qualche problema con le bambine?»
«No, assolutamente.» Si sentiva più che a disagio, soprattutto quando il tessuto della vestaglia si inumidì lasciando trasparire il corpo seminudo. «La regina Natasha chiede che tu ti unisca a noi nei festeggiamenti.» «No, grazie.» Amy esibì un sorriso tirato e fece per chiudere la porta, ma lui inserì il piede. «Scusami!» fu la replica aspra di Amy.
«Non capisci» riprese Emir rimuovendo il piede.
«Per questo sono venuto di persona a spiegarti la situazione.
E la regina che ha richiesto la tua presenza, non io. Sarebbe molto scortese...»
«Scortese per chi?» ribatté Amy, perché non voleva scendere, non voleva essere il piccolo progetto di Natasha per la notte. E, in particolare, non voleva trascorrere con Emir più tempo di quanto fosse strettamente necessario...
La situazione era già difficile...
E adesso Emir era alla sua porta e lei era consapevole della trasparenza della vestaglia. Intuì dal lampo nel suo sguardo che anche lui si era reso conto che era praticamente nuda.
Non vedeva l'ora che se ne andasse.
«Scortese è concedermi una serata libera e poi revocarla!» Tentò di chiudere la porta, non voleva prolungare quella discussione.
Emir non intendeva cedere e, a meno che lei gli avesse sbattuto la porta in faccia, lì sarebbe rimasto.
Non era poi tanto sorpreso dal comportamento di Amy, ma quando una cameriera imboccò il corridoio e gli fece l'inchino, provò una profonda indignazione. «Non è accettabile che mi si veda in piedi, davanti alla porta, a
discutere con una...» «Con una dipendente?» concluse Amy per lui. Ma capì che effettivamente poteva essere umiliante per un re, così gli aprì del tutto la porta. «Non ho niente da indossare per un party. Non ho fatto la doccia...» «Qualcuno si occuperà di queste cose.» Pose fine alle sue scuse. «La regina Natasha ti farà avere degli abiti.» Si voltò per andarsene. «Ti aspetto giù tra mezz'ora.» «Emir...»
C'era una supplica nella voce, una supplica che lui aveva sentito già una volta... come una preghiera.
Ricordò quando si muoveva sotto di lui e faticò molto a voltarsi.
«Non farmi una cosa del genere. Vai e divertiti... porgi le mie scuse alla regina. Non me la sento...» «Divertiti?» A questo punto, Emir si voltò. Avrebbe voluto che fosse vestita, che non fosse seminuda. Poteva scorgere i capezzoli, la pelle umida. Non sarebbe dovuto essere in quella camera per mille e una ragione, oltre al protocollo.
«Preparati.»
Quando lei scosse di nuovo il capo, perse la pazienza e le parlò con tono aspro. Era molto più semplice che spingerla sul letto.
«Credi davvero che abbia voglia di scendere? Pensi che mi diverta con conversazioni frivole, fingendo di non odiarli? Se non fosse per loro...» Gli occhi scuri incontrarono i suoi, furenti come il giorno in cui lo aveva affrontato per la prima volta, ma non la spaventarono. La collera non era rivolta a lei.
«Amy, ti prego...» Mai una volta l'aveva supplicata e le parole gli venivano dal cuore. «Ti prego di rendermi questa serata accettabile... Mi sembra di essere all'inferno, là sotto.»
Ed era così. Soffriva le pene dell'inferno e nessuno lo sapeva. Non poteva condividere il proprio fardello, doveva portarlo da solo perché era il re. Ricordò la propria posizione e si vergognò di quell'ammissione, della perdita di controllo.
Amy era allibita da quelle rivelazioni, le lacrime che le pungevano gli occhi. Aveva avuto un assaggio della sua sofferenza.
Non fu la sua bocca a incontrare quella di Emir, e nemmeno quella di Emir a cercare la sua. Nessuno dei due diede inizio al bacio. Semplicemente, si ritrovarono abbracciati e per un attimo trovarono l'oblio.
Lui aveva spasimato per averla da quella notte, l'aveva desiderata ogni attimo e, mentre le loro lingue danzavano insieme, capì che per lei era stata la stessa cosa.
L'uniforme era ruvida sotto le dita, la bocca disperata sulla sua, l'erezione fiera come la sua passione. Stava accadendo di nuovo e non avrebbe dovuto.
«Emir...» Si divincolò, distolse la bocca dalla sua, benché non volesse che smettesse di baciarla. «Avevamo detto una sola volta.»
«Allora vestiti» le ordinò e le tolse la vestaglia bagnata mentre le dita erano impegnate con la chiusura del bikini.
Lei gemette quando le accarezzò i capezzoli dolenti, poi le mani si posarono sulle natiche e la strinse a sé finché lei avvinghiò le gambe al suo corpo.
Era più di un bacio. Il letto pareva a una distanza impossibile, gli abiti la loro unica barriera.
Sentì il freddo dei suoi bottoni sulla pelle mentre la baciava sul letto, togliendole contemporaneamente il bikini. Poi Emir lasciò cadere la cintura e Amy lo aiutò a spogliarsi perché agiva senza pensare. Avrebbe preso delle decisioni in seguito, in quel momento semplicemente doveva avere lui.
E lo avrebbe avuto.
Lui l'avrebbe avuta.
Se qualcuno non avesse bussato alla porta.
Emir la guardò coricata sul letto, il respiro affannoso. Negli occhi di entrambi c'era delusione... non solo per l'interruzione, ma per ciò che stava per accadere.
«Non è successo» mormorò Amy. In realtà, non era così semplice e, ora più che mai, era impossibile per lei restare.
La notte nel deserto non poteva più essere considerata
un'avventura occasionale. L'attrazione tra loro era innegabile, eppure presto lui avrebbe preso moglie.
«Non accadrà più» affermò Emir.
Ma entrambi sapevano che mentiva.
Emir si allacciò la cintura, prese Amy per mano e la
sospinse in bagno. Controllò il proprio aspetto nello specchio e poi ordinò di entrare. Alle cameriere che portarono diversi abiti disse che Amy stava facendo la doccia e che avrebbero dovuto prepararla velocemente, poi la chiamò. Amy era in bagno, tremante, seduta sul pavimento.
«Devi prepararti in fretta.» Parlava come un re che si rivolge a un servo riottoso, cercando di ricordare la propria posizione, come doveva fare lei. «La regina Natasha ti aspetta.»
10
«Domani partiamo per il deserto.» Natasha lo irritava. Insisteva a chiacchierare come se fossero vecchi amici. D'accordo, doveva riconoscere che in quel momento avrebbe trovato irritante qualsiasi conversazione, perché aveva il pensiero fisso su Amy e su ciò che era successo.
Stupido, si disse. Stupido per non aver saputo resistere.
Stupido per essere stato debole.
E stupido perché quella sera l'avrebbe avuta, solo per perderla di nuovo al mattino.
Solo per vederla partire.
«Non vedo l'ora» insistette Natasha in quella conversazione a senso unico. «Dopo tutti i festeggiamenti conseguenti alla nascita, ci vuole un po' di pace.» A quel punto, Emir rispose e, deliberatamente, decise di fraintendere. «Sono sicuro che i beduini si prenderanno cura di lui.» Notò subito l'orrore sul viso della regina.
«Oh, non è per questo. E troppo presto anche solo per pensare di separarmi da lui. Accadrà solo quando avrà un anno.»
«Prima che compia l'anno» precisò Emir, la mente che correva di nuovo ad Amy. Ma doveva restare concentrato sulla conversazione invece di aspettare in ansia il suo arrivo.
Invece di ripensare a ciò che era appena accaduto. E forse era il momento di dare a Natasha un assaggio della sofferenza che aveva appena sperimentato.
«Ho dato le bambine ai beduini la settimana scorsa. Rakhal è stato molto comprensivo a permettere che rimanessero nel
deserto solo una notte, considerato ciò che è successo alla loro madre.» Notò che Natasha serrava le labbra mentre le ricordava, in modo non certo implicito, che suo figlio sarebbe rimasto nel deserto diverse notti... a meno che, naturalmente, perdesse anche lui la madre. A meno che fosse stato costretto a essere svezzato in anticipo come le sue bambine.
«Come l'hanno superata?» Natasha fece di tutto per farla apparire una semplice domanda di cortesia e non un interessamento personale per ciò che sarebbe accaduto a suo figlio.
Emir la capiva, e decise di non addolcire la realtà.
«Urlavano, supplicavano, piangevano» disse notando che Natasha impallidiva sempre più a ogni parola. «Ma queste sono le usanze.» Alzò le spalle. «Le mie figlie sono state costrette dalle circostanze a essere forti e quindi sono sopravvissute.»
A questo punto smise di girare il coltello nella piaga, non per evitarle un patimento, ma perché in quel momento gli parve che tutto si fermasse.
Si era chiesto spesso come sarebbe stata Amy con un abito che non fosse la divisa... se l'era immaginata non solo in camicia da notte o nuda sotto di lui, ma vestita come la sua regina.
Lei apparve nel suo campo visivo reclamando la sua attenzione e lui ebbe l'impressione di ricevere una coltellata al cuore.
Indossava un abito di velluto verde smeraldo, gli occhi leggermente truccati. Aveva i capelli sciolti, ma niente, neppure la migliore estetista, avrebbe potuto mascherare la luce del suo sguardo e il rossore delle gote che i loro baci avevano evocato.
Un'aureola di riccioli le incorniciava il viso.
Il mondo era crudele, decise, perché lo allettava con ciò che non poteva avere.
Gli mostrava come sarebbe potuta essere la sua vita, se la legge gli avesse permesso di averla al proprio fianco.
Poco più di un anno prima, lei sarebbe stata velata e nascosta, e non avrebbe patito vedendo la sua bellezza. Ma ad Alzirz c'era una nuova regina e i tempi erano cambiati.
Amy era cambiata.
Davanti ai suoi occhi, mentre lei chiacchierava con Natasha, si rese conto in pieno del potere di seduzione del suo corpo, vide che gettava indietro il capo e rideva e poi, come si era aspettato, si portava istintivamente le mani alla cicatrice sul collo.
Avrebbe voluto unirsi alla conversazione come avrebbe fatto se fosse stata la sua partner, circondarle la vita con un braccio, solo per ricordarle che presto la festa sarebbe finita e sarebbero rimasti soli.
Posò il bicchiere che serrava in mano invece di frantumarlo.
Le voltò la schiena, ma la sua risata gli risuonava nelle orecchie.
Emir cercò di ripensare alla donna timida che aveva fatto la sua comparsa a palazzo. Dapprima non l'aveva notata, o per lo meno non sotto quell'aspetto, perché era troppo preoccupato per il deperimento della moglie. La rivoleva così, la donna invisibile che era stata allora.
Adesso non era invisibile, anzi. Era lì, davanti ai suoi occhi, bellissima, seducente e non era per lui.
«Grazie per essere scesa.» Un paio d'ore dopo, Natasha baciò Amy su entrambe le guance. «Mi ha fatto molto piacere chiacchierare con lei.» «Il piacere è stato tutto mio» rispose Amy. «Grazie per l'invito.»
Mentiva su tutta la linea.
E anche Emir, quando ringraziò educatamente Rakhal prima di avviarsi alle scale.
Amy stava per esplodere. Uscì in un giardino fragrante, inspirò il profumo dei fiori e supplicò di avere un po' di pace.
Adesso capiva perfettamente cosa intendeva Emir quando le diceva di vivere un inferno. Stare separati mentre le menti erano unite, ignorare l'altro mentre il corpo spasimava, era un assaggio di ciò che avrebbe provato quando lui si fosse sposato.
Se fosse rimasta.
Tornò in camera, sapendo cos'avrebbe dovuto fare. Gli occhi percorsero il letto vuoto, ma l'aroma di lui tradì la sua presenza. Emir era accanto alla piscina, la giacca sbottonata, e gli occhi incontrarono i suoi.
Scosse il capo, perché non voleva soccombere a un amore proibito.
«No.»
Presa la decisione, si avvicinò a lui, la rabbia che aumentava a ogni passo, facendo di tutto per tener presente ciò che non accettava in quell'uomo. Cercò di convincersi che la passione era morta, sepolta.
«L'ho superata, Emir» si costrinse a dire. «Non mi piaci neppure più.» Lui si limitò a guardarla e il suo silenzio la spinse a proseguire. «Non potrei mai accettare un uomo che ignora le proprie figlie. Anche se potessi avere dei figli, non avrei mai accettato.» Mentiva, ma la mente supplicava che fosse vero. «Come posso amare un uomo che non si preoccupa delle sue piccine?» Notò che lui socchiudeva gli occhi. Forse non era il discorso che si era aspettato. Era una donna, un'amante che voleva, si disse Amy, non una discussione sulle bambine, e il suo cuore impazzito per un attimo si bloccò quando lui le diede
una risposta che non si aspettava.
«Non dire mai una cosa del genere.» Ebbe paura che le buttasse in faccia la bevanda che aveva nel bicchiere. Ed era come se lo avesse fatto, perché fu scioccata dalla passione che la voce tradiva quando proseguì. «Io amo le mie figlie.» Salvo che il comportamento non lo dimostrava, anche se le parole sembravano sincere.
«Lo dici...»
«Credimi, ho a cuore l'interesse di Clemira e Nakia.» Lei studiò il suo viso tormentato, gli occhi che lasciavano intravedere l'inferno. In un certo senso, gli credeva. A dispetto dell'evidenza dei fatti, gli credeva.
«Ti prego, Emir, vai via.» Quando le era vicino, non riusciva a ragionare, si perdeva nella confusione. «Vai» singhiozzò mentre entrava in camera da letto.
Ma sapeva di non avere speranza perché per uscire lui avrebbe dovuto passarle accanto, e farlo senza toccarsi sarebbe stato impossibile. «Vai» lo supplicò anche se si stava spogliando per lui, piangendo di vergogna per la propria debolezza.
Si liberò dell'abito mentre lui si avvicinava, comportandosi nel modo opposto a quanto diceva. Anche se scuoteva il capo, anche se negava, si tolse gli slip.
«No...» Mutò la sua supplica. Singhiozzava mentre lui la baciava sul letto. «Non dobbiamo...» Puntò le mani contro il suo petto, ma le dita finirono con l'accarezzarlo. «Emir, lo sai che non dobbiamo...» Lui le afferrò i polsi e glieli trattenne sopra la testa e la baciò quasi con rabbia. Poi la contraddisse apertamente.
«Dobbiamo, invece.» La sua affermazione era sincera mentre cercava di convincerla che in qualche modo avrebbe sistemato il tutto. «Staremo insieme...» «Non c'è alcuna possibilità...»
«Troverò un modo» la rassicurò. «Ti raggiungerò la notte e, nei prossimi anni, quando le bambine saranno a Londra, ci vedremo.»
«La tua amante?»
«Più che un'amante» sussurrò tra baci frenetici. «Tu ti occuperai delle gemelle, le alleverai.» Era possibile amare e odiare nello stesso tempo? Provare desiderio e odio perché lui la legava a sé, ma in una vita di menzogne?
Le offriva tutto, e nello stesso tempo non le dava nulla.
Una vita senza voce, si rese conto Amy, e fu in quel momento che trovò la forza. «No.» Lui lasciò cadere le mani, ma lei si aggrappò alla sua schiena. «Questo finisce questa notte.» Entrambi sapevano che mentiva.
Era tutta la sera che la desiderava e lei lo aveva aspettato.
Adesso si erano ritrovati e i loro baci erano intrisi dalla rabbia per il futuro che non avrebbero potuto condividere.
Era spinto dalla rabbia mentre la penetrava... rabbia nei confronti delle leggi che gli negavano la donna che voleva al proprio fianco. Ma al momento era uno sfogo, uno sfogo fisico. La penetrò e lei alzò i fianchi per andargli incontro.
Emir sapeva che avrebbe gridato, sentiva la sua tensione nella gola mentre affondava in lei, sentiva il suo grido ancora prima che lo emettesse, perché il suo corpo e la sua anima la conoscevano bene.
Lei venne come mai le era successo, mentre lui affondava ancora di più. Gli fu riconoscente per averle messo una mano sulla bocca, ma nello stesso tempo era furiosa che l'unica cosa che lui riuscisse a fare era soffocare le sue grida con la mano, una mano che lei non avrebbe mai potuto prendere.
Si disse che lo odiava.
Si convinse che non avrebbe mai voluto essere sua moglie.
Rimasero coricati l'uno accanto all'altro per qualche tempo, in attesa che il loro respiro tornasse alla normalità, che la pazzia si dileguasse, in modo che Emir potesse alzarsi e tornare in camera propria. Ma nel momento in cui si accinse a farlo, Amy gli posò una mano sul braccio e pianse, perché aveva mentito.
L'affermazione che quella volta sarebbe stata l'unica, al mattino era già stata smentita.
11
E il mattino giunse, che le piacesse o no.
Il sole non si curava di porre fine al loro amore.
Fece ciò per cui era stato creato... apparve nel cielo, stabilendo che il loro tempo era concluso.
Amy sapeva che Emir era sveglio accanto a lei, poi sentì la sua mano sul fianco. Chiuse gli occhi e si avvicinò. Percepì la sua erezione e rimpianse di non potersi svegliare ogni mattina accanto a lui. Non voleva far parte di un solo aspetto della sua vita, non voleva esserne parte in momenti stabiliti. Eppure, se il telefono non avesse squillato, sapeva che avrebbe acconsentito.
«Stanno arrivando le gemelle.» Il tono era pressante mentre riagganciava il ricevitore. «Kuma le sta portando qui.» Emir non aveva il tempo di vestirsi e andarsene. Prese l'uniforme e si rifugiò in bagno. Questa volta fu lui a nascondersi.
Con il fiato corto, Amy cercò qualcosa da indossare. Il panico si attenuò leggermente quando dal bagno si sporse una mano che reggeva una vestaglia.
«Cerca di rilassarti» le suggerì Emir.
Più facile a dirsi che a farsi, perché quando si stava allacciando la cintura udì un lieve bussare. Aprì la porta e si trovò davanti Kuma con le gemelle sorridenti, felici di rivederla.
«Sono state bravissime» spiegò Kuma. «Clemira è innamorata del nuovo principe, ma questa mattina desideravano un volto familiare. Com'è andata la serata? Ho saputo che l'hanno invitata al ricevimento.»
«È vero.» Amy annuì, cercando di mascherare il nervosismo.
Doveva sforzarsi di conversare con quella giovane donna come se non ci fosse il re di Alzan nascosto in bagno.
Ma, grazie al cielo, Kuma non si trattenne. Augurò una buona giornata e ricordò che le gemelle erano attese alla colazione.
«Spero che il suo soggiorno ad Alzirz sia stato piacevole» aggiunse mentre se ne andava.
Come due gattini curiosi, le gemelle si erano dirette subito verso il bagno, picchiando sulla porta, per scoprire il segreto che questa celava.
«Se n'è andata.» Amy aveva il viso in fiamme quando la porta si aprì e ne uscì Emir. Aveva immaginato che indossasse l'uniforme, invece aveva un accappatoio.
«Dirò che stavo cercando le gemelle, se qualcuno mi vede in corridoio... Se puoi mettere in borsa la mia uniforme...» «Certo.» Amy annuì dicendosi che così sarebbe sempre stato se avessero continuato la loro relazione.
Le gemelle erano entusiaste vedendo insieme le due persone che amavano.
E l'uomo che aveva assicurato di avere a cuore l'interesse delle sue bambine, anche se non sempre lo dimostrava, l'uomo che spesso non manifestava i propri sentimenti, la confuse di nuovo quando prese in braccio le piccole e le coccolò teneramente.
«Ho saputo che le porti tutti i giorni a nuotare a palazzo» disse ad Amy. «Sì, si divertono molto.» Vai, lo supplicò con lo sguardo. «Fatemi vedere.» Così lei fece loro indossare i costumi da bagno, mise il bikini e si avviarono alla piscina.
Emir, sorprendentemente, entrò in acqua con loro.
Amy, all'improvviso, provò una certa timidezza.
Le sembrava sbagliato stare nell'acqua con lui, sbagliato essere lì con loro. E sapeva perché era sbagliato: perché desiderava che così fosse per sempre.
Per un poco furono una famiglia, una semplice famiglia in vacanza che si lasciava tutti i problemi alle spalle. Quel mattino, Emir era solo un padre e le bimbe erano felici, circondate dal loro amore.
Mentre giocava, Emir si fermò un attimo e diede un bacio ad Amy.
La piscina era riparata dalle palme, ma il sole filtrava tra il fogliame e si specchiava nell'acqua.
«Voglio fare una foto» disse Amy.
Voleva che le bambine avessero una foto con il loro padre, una foto di loro tre insieme, felici.
Così sarebbe sempre dovuto essere, rifletté osservando l'immagine sul proprio cellulare, guardando quella che sentiva come la propria famiglia.
Quasi una famiglia. Ma non era sufficiente.
«Prepara le bambine» ordinò Emir nel momento in cui uscirono dall'acqua, «e poi conducile a colazione.» Lei sbatté le palpebre per il brusco cambiamento che si era verificato in lui, poi capì. Tra poco si sarebbero trovati con gli altri e lei avrebbe dovuto comportarsi come se tra loro non ci fosse niente.
Emir era di nuovo il re.
12
I festeggiamenti continuavano.
La nascita del nuovo principe richiedeva lunghe celebrazioni e Amy potè scorgere la stanchezza sul viso di Natasha mentre accoglieva una fila infinita di invitati.
Si trattava di una colazione semiformale. C'era un tavolo lungo e basso con tutte le vivande che recentemente Amy aveva imparato ad apprezzare, lei però non era lì per socializzare e per mangiare, ma per accertarsi che le bimbe si comportassero bene.
Era scontato che avesse fatto colazione prima che le principesse si alzassero.
Ovviamente moriva di fame.
Sono affamata, trasmise con gli occhi a Emir osservandolo mentre prendeva una sfiha.
Lui era al tavolo di Rakhal e sarebbe stato scortese non servirsi, ma il cibo aveva un gusto amaro sulla sua lingua.
Era troppo debole nei suoi confronti, Emir lo capiva.
E i re deboli non prendono decisioni sagge.
«Prenda qualcosa» insistette Natasha sedendosi vicino ad Amy mentre dava da mangiare alle bambine. «Per amor del cielo!»
«Ho già fatto colazione» rispose lei, «grazie, comunque.» «Insisto» riprese Natasha. Notò lo sguardo di avvertimento del marito, ma gli rivolse un sorriso, perché c'era qualcosa che Rakhal non sapeva, qualcosa che non aveva avuto il tempo di raccontargli.
Quando, quella mattina, il marito era andato a cavallo, lei aveva preso il tè sulla balconata... e aveva sentito le voci
allegre di una famiglia, aveva percepito nell'aria l'amore.
Sapeva fin troppo bene la disperazione di essere considerata una moglie poco adatta, ma ad Alzirz le cose stavano cambiando e avrebbero potuto cambiare anche ad Alzan.
Amy fece del proprio meglio per ignorare la fame, per non farsi affascinare dall'intonazione della voce di Emir, per non voltare il capo quando lui parlava. Cercò di comportarsi con l'educata reverenza di ogni dipendente.
Quando la colazione terminò, si apprestò a riportare nella nursery le gemelle per fare i bagagli per il ritorno a casa.
Non a casa, si disse. Ritornava a palazzo.
Solo per un attimo perse la concentrazione e si abbandonò a un sogno impossibile. Ovviamente Clemira notò la sua distrazione e cercò la sua attenzione.
«Ummi!»
Amy sbarrò gli occhi e pregò per un futile attimo che nessuno avesse sentito. Ma nel caso fosse stato così, Nakia, imitando come al solito la sorella, ribadì il concetto.
«Ummi!»
«Amy!» le corresse a quel punto cercando di essere pratica, in realtà aveva gli occhi lucidi di lacrime, il cuore che si stringeva perché le bambine insistevano a chiamarla con il termine arabo di mamma.
«Vado a prepararle per il viaggio.» Prese in braccio Clemira, le mani che le tremavano, riconoscente a Natasha per aver preso in braccio Nakia.
Natasha, da perfetta padrona di casa, si era resa conto immediatamente del passo falso delle piccine.
Facendo del proprio meglio per sminuire l'accaduto, seguì Amy. Ma quando passarono accanto al tavolo a cui sedeva Emir, Amy notò che il suo viso era una maschera di granito, l'espressione che minacciava tempesta, e una tempesta ci sarebbe stata.
Giunta in camera, la tensione era ormai al massimo.
Avrebbe voluto che Natasha se ne andasse, che non cercasse di avviare una conversazione, perché era sul punto di piangere.
«Spiegherò io la situazione» dichiarò Natasha in tono pratico. «So che talvolta tutto sembra così difficile, ma quando avrò fatto presente quanto simili sono le due parole...» Cercava di appianare la situazione, forse egoisticamente, nella speranza che Amy si confidasse con lei. L'unica cosa che le mancava era un'amica, qualcuno del suo paese con cui scambiare confidenze e impressioni.
«Comunque è abbastanza naturale che le bimbe la vedano in questo modo.»
«Ma io non sono la loro madre.» «Lo so.» Natasha fraintese le lacrime di Amy, o forse no.
Dopotutto, quella mattina avevano dato l'impressione di essere proprio una famiglia. «Deve essere difficile per lei...
mantenersi distaccata. Voglio dire, le ha viste nascere.» «Perché dovrebbe essere difficile per me essere distaccata?» Aggrottando la fronte, Amy cercò lo sguardo della regina, la barriera immediatamente alzata. Sembrava che Natasha realmente sapesse quanto fosse difficile per lei, tuttavia non doveva saperlo, nessuno doveva saperlo. «Sono una bambinaia reale, come Kuma.» Natasha sapeva di essersi spinta troppo oltre, ma il passo indietro fu tardivo. «Ovviamente deve esserci un distacco professionale.»
Amy non aveva nessuna intenzione di confidarsi con lei, si rese conto Natasha, così cercò di riorganizzare la conversazione come meglio poteva. «Prima o poi, lei avrà dei figli suoi, un giorno.» Amy era stanca, così stanca delle donne che ritenevano che la maternità fosse scontata, che fosse un diritto acquisito.
Forse era anche stanca di mascherare la propria situazione, di dire le cose giuste, di mettere gli altri a proprio agio, anche se si sentiva spezzare il cuore.
Guardò Natasha.
«Per la verità, non posso avere bambini.» Osservò l'ondata di rossore che colorava le guance della regina per poi evaporare e lasciarle bianche come un cencio. Aveva capito che, in qualche modo, Natasha sapeva di lei ed Emir... forse si erano traditi al ricevimento? Forse si erano ignorati troppo? O, semplicemente, il loro amore era tanto palese? Sì, amore, pensò Amy, l'amarezza che segnava le sue parole. «Mentre per qualcuno può essere sembrato sconveniente che le gemelle mi chiamassero mamma, a me ha spezzato il cuore. Adesso...» Voleva piangere in privato, perché Natasha non era una sua amica. «Se vuole scusarmi...»
«Amy...»
«La prego!» Non le importava se era la regina che stava congedando, non le importava se quella era la dimora di Natasha. Aveva bisogno di un po' di privacy, del proprio spazio. «Potrebbe lasciarmi sola?» Se avesse alzato lo sguardo, avrebbe visto delle lacrime negli occhi di Natasha mentre annuiva e si avviava alla porta. E aveva ancora gli occhi lucidi quando prese posto a tavola e notò l'espressione impassibile di Emir che tuttavia non riusciva a mascherare la sofferenza.
Aveva già visto quell'espressione. Era la stessa di quando aveva perso Hannah, i tratti del viso irrigiditi dal dolore.
Quando Emir alzò lo sguardo, quando vide la comprensione negli occhi di Natasha, capì che sapeva, che Amy doveva averle confidato la verità.
Che per lei era impossibile essere regina di Alzan.
13
Affrontò la giornata che più temeva alzandosi all'alba.
La preghiera fu sentita e accorata.
Il rimorso lo sferzava come una frustata sulla schiena. Non aveva neppure lasciato passare un anno prima di toccare un'altra donna, e pregava con fervore per invocare il perdono, come gli suggeriva l'anima.
Gli sembrava che Hannah lo sollecitasse dalla tomba, disperata, perché decidesse, affinché lei potesse riposare in pace.
«Prenderò la decisione giusta.» Ma non era solo questo ciò che lei voleva, lo spingeva a un'analisi più profonda. E lui non ne aveva il coraggio.
Si recò nella nursery. Amy, raggomitolata sul divano, leggeva un libro alle bimbe. Non riusciva a guardarla. Più tardi si recarono nel deserto per far visita alla tomba di Hannah.
Amy rimase in macchina e osservò il viso sofferente di Emir. Avrebbe voluto confortarlo, dirgli le cose giuste, ma non le spettava una confidenza del genere.
Erano trascorsi cinque giorni dal ritorno da Alzirz. Cinque giorni in cui l'aveva ignorata, rifletté Emir. Cinque giorni di sofferta privazione.
E una vita del genere a cui prepararsi.
Lei percepiva la sua sofferenza, e ancora una volta venne meno a quanto si era ripromessa.
«Mi dispiace che questa per te sia una giornata tanto difficile.»
Lui non riusciva a guardarla.
«Se...» Tacque, ma quella sola parola era esplicita. Se ti è insopportabile, se soffri troppo, se la notte è troppo lunga...
Lui la ignorò ed entrò nello studio e subito Patel e alcuni anziani gli posarono davanti delle carte. Emir sapeva di cosa si trattava. Le scorse rapidamente, un muscolo che gli pulsava sulla mascella.
«La sceicca principessa Jannah di Idam?» Gelò Patel con un'occhiata.
«Ha molti fratelli.» La voce di Patel era un po' troppo alta per il timore. Non gli piaceva neanche un poco essere oggetto della collera del suo sovrano. «Ha molti fratelli.
Anche suo padre ha molti fratelli...» «La sceicca Noor?» Emir parlava a bassa voce, ma nondimeno il tono era feroce.
«Anche qui una dinastia di maschi...» Patel parlava rapidamente. «... e una famiglia longeva.» «Oggi è l'anniversario della morte della regina Hannah e, invece di inginocchiarvi a pregare, siete qui a discutere della mia prossima moglie.» «Mi permetto di ricordarle, Vostra Altezza che è necessario.
Il popolo è impaziente. Oggi piange ma domani comincerà a fare domande...»
«Silenzio!» ringhiò Emir. Non era quel giorno che temeva, ma il domani, quando sarebbe dovuto andare avanti con la propria vita, e il giorno dopo ancora. «Dovete mostrare rispetto alla vostra regina, rendere omaggio alla madre delle principesse.»
«Certamente.»
«Qui non fate riferimento alle principesse, vedo» riprese Emir. «Non siete minimamente preoccupati che la nuova regina sia adatta a loro» accusò Patel che si affrettò a uscire subito seguito dagli anziani.
In un attimo, la stanza fu deserta e lui rimase solo. Non
voleva che si concludesse quella giornata, non voleva che si facesse notte, perché si sentiva morire per non poter andare da Amy, accogliere il conforto che lei sapeva dargli... non averla mai più.
Ma era un uomo d'onore e presto avrebbe scelto una moglie.
Osservò di nuovo l'elenco, cercando di immaginarsi accanto a una sposa, mentre la sua amante, la donna che realmente voleva gli era vicino, occupandosi delle bambine.
Non era mai stato così difficile essere re.
Prese il telefono e risposero fortunatamente all'istante, perché nel giro di qualche secondo avrebbe potuto cambiare idea.
«Voglio parlare con la bambinaia» disse e specificò: «Quella inglese».
Non poteva far altro e doveva farlo subito. Doveva portare la situazione a una conclusione quella sera, aveva bisogno di avere la mente sgombra per prendere una decisione. E con Amy a palazzo gli era impossibile. Non poteva trascorrere un'altra notte con lei vicino senza poterla toccare.
«Sei di nuovo nei pasticci?» le chiese Fatima quando Amy tornò dalla piscina con le gemelle.
Cominciava a piacerle Fatima, e le gemelle si stavano affezionando anche a lei...
Era severa, ma anche onesta e gentile e, cosa più importante, voleva bene alle bambine.
«Nei pasticci?» Amy sorrise immaginando che la cucina avesse sporto qualche lamentela sulle sue scelte del cibo per le bambine. O forse avevano fatto troppo rumore in piscina in un giorno di lutto. «Probabilmente. Perché?» «Ho appena ricevuto una telefonata: il re vuole parlarti immediatamente.»
In un certo senso, se lo era aspettato. Dentro di sé aveva saputo che era solo questione di tempo prima che accadesse, ma non aveva immaginato che fosse quel giorno.
Si era illusa di poter avere ancora quella notte con lui, ma quella chiamata spegneva ogni fantasticheria.
Contrariamente al suggerimento di Fatima, decise di non asciugarsi i capelli e cambiarsi.
«Non credo che sia necessario.» Non aveva senso quando stava per essere licenziata.
Si guardò intorno nella nursery dove Fatima stava dando dell'uva alle gemelle, contando ogni acino in arabo.
Sarebbero state bene, si disse mentre si avviava allo studio del re.
Le guardie le aprirono la porta e le ricordarono di abbassare il capo finché il re non avesse parlato.
Suggerimento che lei non tenne in nessun conto.
Entrò nello studio a testa alta, decisa ad andarsene con dignità. Salvo che, vedendolo vicino eppure così remoto, provò di nuovo il desiderio di essere la sua amante, di far tesoro di quel poco che avevano.
Aprì la bocca per perorare la propria causa, ma l'occhiata che lui le rivolse la zittì.
«Partirai nel tardo pomeriggio. Ho fatto organizzare il viaggio. Hai il tempo di trascorrere qualche ora con le bambine. Tra qualche giorno arriverà una nuova bambinaia. Aiuterà Fatima.» Si era ripromessa di accettare in silenzio il licenziamento, ma a quest'ultimo colpo vacillò.
Non sopportava l'idea che un'altra donna si prendesse cura delle sue bambine.
«No! Sai bene che le bambine stanno meglio con me... lo hai riconosciuto anche tu.» «Non mi ero reso conto che imparassero solo l'inglese, che
non sapessero niente delle nostre usanze...» «Ne saprebbero molto di più se tu trascorressi più tempo con loro. Non serve un'altra bambinaia!» «Sarà molto più adatta. Dobbiamo attenerci alle tradizioni degli anziani.»
«E cosa mi dici di Londra? Della loro istruzione e di tutto ciò che la regina Hannah voleva per loro?» «Questo è il loro paese.» Non le avrebbe più riviste, era un addio definitivo, allora dimenticò di aver deciso di essere forte e coraggiosa.
«Quello che mi hai detto una volta... sulla possibilità che diventassi la tua amante...» Non tollerava l'idea di doversene andare, avrebbe dato qualsiasi cosa, persino l'orgoglio, pur di restare. Perché stava perdendo le persone che più amava. «E quando sostenevi che mi sarei occupata delle bambine a Londra?» «E il genere di cose che un uomo dice quando vuole una donna nel proprio letto, quando non ha la mente chiara.» Privo di qualsiasi emozione, le buttò in faccia le parole più dolorose, una raffica di pallottole che la colpirono dirette al cuore. Ma lui non era ancora soddisfatto. «Credi realmente che avrei scelto te per quel ruolo?» Uscì in una risata incredula al solo pensiero. «Qui un'amante è la valvola di sfogo di un uomo, una donna dalla quale recarsi per rilassarsi e non per essere bombardato con mille recriminazioni. Tu saresti la meno adatta.» Aveva ragione.
Il colore le defluì dalle guance mentre si riattizzava il fuoco nell'animo... un fuoco che era stato spento dall'incidente, che era divampato solo occasionalmente negli ultimi tempi.
Ma adesso ardeva fiero, dandole il coraggio di tenergli testa.
«Sarei sì un'amante poco adatta.» Raccolse quello che restava della propria dignità e se lo tenne ben stretto. «Sarei
un'amante terribile, in effetti. Ti ossessionerei con le notizie sulle tue figlie. Vorrei condividere con te ogni traguardo, ogni lacrima. Ti tormenterei la mente con i miei pensieri e le mie opinioni e...» Si avvicinò a lui che alzò il capo ma non la guardò. Le sue parole gli dicevano tutto ciò che si sarebbe perso. «E non potresti mai rilassarti.» «Vattene!» urlò Emir senza guardarla.
Amy ne comprendeva il motivo. Resisteva al desiderio che provava per lei, rifiutando il conforto che aveva a portata di mano.
«Vai dalle gemelle.» «Vado a fare i bagagli» ribatté Amy. «Trascorrerò il pomeriggio all'aeroporto.» Non c'era nient'altro da aggiungere, nessuna supplica avrebbe avuto effetto, non avrebbe potuto fare niente per quelle povere piccine.
Era una dipendente, ecco tutto.
Ma era stata anche la sua amante.
«Sappiamo entrambi perché vuoi che me ne vada oggi stesso, Emir. Sappiamo entrambi che questa notte saresti stato nel mio letto e voglia il cielo che tu non mostri qualche emozione, che non mi confidi cosa succede nella sfera intima della tua mente. Bene! Adesso puoi smetterla di preoccuparti in merito... nel giro di un'ora me ne sarò andata. Tutte le tue tentazioni saranno rimosse.» «Ti illudi. Credi di essere più di ciò che sei.» «Per la verità, non l'ho mai fatto, ma adesso comincerò.» Amy aveva letto che le persone colpite da un proiettile talvolta non se ne rendono conto, e continuano a camminare spinte dall'adrenalina, senza accorgersi di essere ferite a morte. All'epoca non ci aveva creduto, adesso capiva che era vero.
Preparò i bagagli e fece chiamare una macchina per andare
all'aeroporto. Non aveva molto da riporre. Era arrivata con poche cose e se ne andava con poco di più... un cuore spezzato.
E poiché era la bambinaia reale, poiché in quel paese esistevano certe usanze che bisognava osservare, Emir scese con in braccio Clemira mentre Fatima teneva Nakia.
Amy baciò entrambe le piccole cercando di sorridere.
Avrebbe dovuto inchinarsi al re, ma non lo fece. Salì subito in macchina e, dopo un saluto con la mano alle bambine, non si voltò più indietro.
Mai gli avrebbe permesso di vederla piangere.
14
Nel cuore della notte, Emir sentì le gemelle piangere e singhiozzare. Non era suo compito, ma si ritrovò ad andare nella nursery diverse volte perché Fatima non riusciva a calmarle.
Anche lui non riusciva a confortarle e non sapeva cosa fare.
Uscì dalla nursery e si diresse alla camera di Amy. Era un tragitto che aveva compiuto con la mente mille volte ogni notte. Era una porta che si era imposto di non aprire.
Adesso era aperta e la camera era vuota. Le portefinestre erano spalancate per cambiare l'aria, quindi non potè neppure inalare il suo profumo.
L'armadio era vuoto, come i cassetti. Il bagno era stato ripulito. Come un pazzo, passò dal bagno alla camera e poi di nuovo in bagno, ma non c'era nulla di Amy.
Tornò nella nursery dove le bimbe stavano ancora strillando, mentre Fatima cuciva. Quando lei si alzò, le ordinò di continuare il proprio lavoro e prese in braccio le gemelle.
Accese la luce.
Alle pareti erano appese le foto delle bambine e i loro disegni, ma nessuna foto di Amy... neppure un disegno portava la sua firma.
A quel punto, Emir seppe che Amy era uscita per sempre dalla sua vita e da quella delle gemelle.
Clemira gli batteva i pugni sul petto perché voleva Amy, e Nakia, ovviamente, la imitava.
Osservò il cielo dalla finestra, quel cielo che lei stava attraversando per tornare a casa. Se avesse preso il jet,
probabilmente sarebbe giunto a Londra prima di lei. Ma Amy aveva ragione, sarebbe stata un'amante terribile, dovette riconoscere con un sorriso mesto.
Sarebbe dovuta essere sua moglie.
«Ummi?» singhiozzava Clemira. Adesso aveva due madri da piangere. Tenne in braccio le piccine finché Nakia, sfinita, si addormentò. Non Clemira. Aveva gli occhi aperti, esausta, ma sempre con un'aria di sfida. Sì, era una leader nata.
Come era Emir.
Salvo che le leggi non gli permettevano di esserlo.
«Vado nel deserto» informò Fatima lasciando la nursery.
«Tra due giorni inizierà la nuova bambinaia.» Fatima chinò il capo. Non chiese quando sarebbe tornato, non insistette perché la informasse per poterlo dire alle gemelle. Così sarebbe dovuto essere, ma non gli stava bene, si rese conto Emir.
Raggiunto il deserto in elicottero, si fece portare da Raul il suo cavallo e cavalcò nella notte. All'alba era all'oasi. Era trascorso un anno e doveva riprendere la propria vita.
Pregò mentre aspettava il vecchio beduino, perché sapeva che sarebbe venuto.
«Hannah non riesce ad avere pace.» Il vecchio annuì.
«Prima di morire, mi ha fatto promettere che avrei fatto del mio meglio per le mie figlie.» Osservò gli occhi del vecchio.
«E il meglio per me.» «E lo hai fatto?»
«Prima devo pensare al bene del mio paese.» «Perché sei il re?» Emir annuì.
«L'ho promesso a mio padre quando era in punto di morte.» Ricordava la perdita e la sofferenza che aveva patito allora.
E le sue promesse erano state pronunciate con decisione. «Il meglio per me sarebbe sposare Amy. E sarebbe anche il
bene delle mie figlie. Ma non per il mio paese» proseguì spiegandone il motivo. «Non può avere bambini.» Attese che il vecchio scuotesse il capo, che gli dicesse che era assurdo, che era inutile porsi il dilemma, invece restava in silenzio. «Non può darmi un figlio» ribadì a quel punto.
«E la moglie che prenderai sì?» indagò il vecchio. «Non potrebbe darti anche lei delle figlie come la regina Hannah?»
«Senza un maschio, la mia stirpe si esaurisce. Alzirz si impossesserà di Alzan e le due terre si riuniranno.» «Questa è la profezia» sentenziò il vecchio. «Non puoi combatterla.»
Emir era nauseato dalle profezie, dalle leggi assolute, dal destino suggellato nella sabbia e nelle stelle. «Non deve accadere» disse. Pensò alla sua gente... quella gente che aveva respinto le sue bambine. Eppure non era gente cattiva, solo spaventata. Emir questo lo sapeva. Amava il suo popolo e il suo paese, e loro avevano bisogno di lui.
«Non posso voltare loro le spalle. Ci sono delle leggi per Alzan...»
«Anche per Alzirz» gli fece presente il vecchio ed Emir rimase in silenzio. «Tu sei re per un motivo.» Gli ricordò i propri insegnamenti ed Emir rifletté. Poi si alzò. Il vecchio rimase seduto.
«Saprai cosa fare.»
Lui sapeva solo cosa doveva fare adesso e niente poteva fermarlo.
Montato a cavallo, lo spronò e si diresse verso una terra dove non era ben accetto se non invitato. Nessuno lo avrebbe fermato.
Quando entrò ad Alzirz, le guardie gli si misero a fianco, ma non lo fermarono.
Re Rakhal fu subito allertato ed Emir lo vide ad attenderlo.
Aveva a fianco la moglie che rifiutava di rientrare, eppure sarebbe stato saggio, perché entrambi i sovrani avrebbero estratto le spade se costretti, avrebbero combattuto fino all'ultimo respiro per difendere ciò che era loro.
Emir scese da cavallo e fu lui a fare la prima mossa, afferrando non il pugnale ma i due preziosi zaffiri che gli erano stati inviati in regalo per schernirlo per aver avuto due femmine, e li gettò ai piedi di Rakhal.
«Non insultarmi mai più!» Rakhal rise, sarcastico. «Come può averti offeso un mio regalo? Sono gli zaffiri più preziosi che sia riuscito a trovare.»
«Mi sono stati recapitati il giorno della morte di Hannah.
L'offesa era anche per lei.» Sputò nella sabbia in direzione delle pietre e poi sputò di nuovo. Quindi fissò negli occhi Rakhal. «Presto mi sposo.» «Non vedo l'ora di partecipare ai festeggiamenti» disse Rakhal. «Posso chiedere chi è la fortunata?» «La conosci» rispose Emir. «Amy.» «Congratulazioni!» esclamò Rakhal e poi, poiché evidentemente sua moglie glielo aveva detto, sorrise. «Non dovresti anche tu congratularti con me? Dopotutto, Alzan presto sarà mia.»
«No.» Emir scosse il capo.
«Cosa? Stai prendendo in considerazione tuo fratello quando ti farai da parte? Quel reprobo! Hassan non riuscirebbe a stare lontano da un casinò o sobrio a sufficienza per pronunciare i voti.» Rakhal rise di nuovo.
«Presto sarai costretto a farmi le congratulazioni.» «Non nel corso della mia vita» affermò Emir. «E ho intenzione di vivere molto a lungo. Sono re e morirò da re.
Alzan cesserà di esistere alla mia morte.» Osservò il sorriso sarcastico di Rakhal. «Auguro una lunga vita a tuo figlio,
che erediterà quello che gli trasmetterai. Prego perché le leggi siano benevole con lui e sposi una donna che gli dia tanti figli. Prego perché anche lei abbia una lunga vita, perché tuo padre si è sentito molto solo quando sua moglie è morta, no? Ma a causa delle vostre leggi, non ha potuto risposarsi. E prego perché la storia non si ripeta per tuo figlio.» Udì Natasha piangere, ma Rakhal rimase immobile.
«La tua gente non sarà contenta, non accetterà...» «Del mio popolo me ne occupo io» lo interruppe Emir. «E continuerò a pregare per tuo figlio. Spero che il tempo che trascorrerà nel deserto sia fruttuoso e lo irrobustisca e lo prepari a quello che dovrà affrontare. Sì, il mio popolo sarà infelice quando il re non ci sarà più. Si solleverà e combatterà quando la sua terra verrà invasa.» Notò che per la prima volta Rakhal vacillava rendendosi conto del fardello che trasmetteva al suo piccino, il peso che entrambi i sovrani portavano sulle spalle sarebbe passato a uno solo.
«Siamo re, ma senza potere. Per adesso cercherò di governare al meglio e fare ciò che posso per le mie figlie.» E ne era convinto. Sapeva che era la cosa giusta da fare.
Non poteva più opporsi alle profezie.
Cavalcò nel deserto con l'animo in pace. Percepiva che anche Hannah era finalmente in pace.
Improvvisamente bloccò il cavallo, rendendosi conto di non aver discusso la questione con Amy. Be', inutile preoccuparsi, si disse. Nessuna donna avrebbe rifiutato una proposta del genere.
Ma lei non era della sua terra, ed era diversa da qualsiasi altra donna avesse mai conosciuto. Le ultime parole che le aveva rivolto erano state brutali, inoltre avrebbe potuto rifiutare di governare al suo fianco su un popolo che, a ogni anno che passava, si sarebbe fatto sempre più pressante.
Avrebbe anche potuto preferire vivere in un paese in cui la
fertilità, o la sua mancanza, non rivestivano un'importanza dinastica.
E per la prima volta gli passò per la mente che Amy avrebbe anche potuto rifiutare.
15
Era un inferno essere di nuovo in Inghilterra.
No. Era piacevole vedere di nuovo gli amici e soprattutto essere di nuovo a casa in compagnia della mamma, cercò di convincersi Amy.
Per circa un giorno, sette ore e trentasei minuti.
Ma quando la madre le ripetè per l'ennesima volta che l'aveva avvertita di non affezionarsi alle gemelle, quasi fossero come i porcellini d'India che un giorno aveva portato a casa per accudirli durante le vacanze scolastiche, Amy capì che doveva andarsene.
Nel giro di una settimana si installò in un appartamentino ammobiliato, in attesa di trovare qualcosa di definitivo che potesse essere definito casa. Per il momento, il suo cuore era ancora a palazzo.
Alla notte spasimava di essere accanto a Emir e dormiva sempre con un orecchio teso per cogliere un eventuale pianto delle gemelle. Sapeva che doveva smetterla, che doveva riprendere la sua vita. Lo aveva già fatto una volta, la seconda sarebbe stato più facile. Doveva essere più facile.
Uscì, si mise al corrente delle novità. Acquistò un nuovo guardaroba e andò persino a farsi sistemare i capelli.
Gli amici le ripetevano che era fantastica.
Non era mai apparsa così bella, ma l'apparenza non rispecchiava lo stato d'animo.
«Sei fantastica» le disse l'ex fidanzato.
Se avesse sentito ancora una volta quella frase, avrebbe urlato, ma sapeva di dover approfittare dell'occasione per scusarsi con lui.
«Per cosa?» le domandò.
Per gli anni di amarezza che aveva trascorso inutilmente...
Aveva avuto ragione a porre fine alla relazione, e Amy glielo disse.
«Ne sei proprio sicura?» le chiese mentre l'accompagnava a casa. Aveva appena interrotto una relazione con una madre single e aveva rivisto i suoi programmi di paternità, così aveva suggerito che avrebbero potuto riprovare.
Ma lei non era d'accordo e glielo spiegò, perché non era un affetto profondo che voleva.
Era la passione.
Adesso sapeva cos'era l'amore.
L'incidente, la perdita del fidanzato, il periodo successivo non entravano neppure nell'equazione. Erano stati solo un piccolo assaggio del dolore vero.
Sentiva la mancanza delle bambine, come fossero le sue.
Le sembrava di aver tradito Hannah, non per essere andata a letto con Emir, ma per aver abbandonato le sue figlie.
Era stufa di sentirsi ripetere che doveva riprendere la propria vita come se l'amore che provava non contasse niente, come se nel giro di qualche giorno si sarebbe svegliata senza sentire la loro mancanza ma in qualche modo doveva almeno provarci.
E non avrebbe pianto, si ripromise.
La settimana successiva avrebbe cercato un lavoro.
Si sarebbe data da fare. Avrebbe ripreso in mano le redini della sua vita.
Cercò il cellulare nella borsa, non lo trovò, rovesciò freneticamente il contenuto sforzandosi di ricordare quando lo aveva usato l'ultima volta. Forse lo aveva lasciato al ristorante?
No, ricordava di aver dato un'occhiata alle foto in macchina.
Non era la perdita del cellulare che la preoccupava, era la foto di Emir, Clemira e Nakia che non poteva perdere.
Stava per cedere al panico, quando il campanello squillò.
Corse alla porta, convinta che fosse l'ex fidanzato che, avendolo trovato in macchina, era venuto a riportarglielo e abbozzò persino un sorriso di sollievo. Ma quel sorriso evaporò nel momento in cui vide di chi si trattava.
«Emir?»
C'erano così tante domande dietro quella singola parola, invece riuscì solo a pronunciare il suo nome. Non era neppure sicura che fosse lui. Per un attimo si domandò se non fosse suo fratello, perché l'uomo che stava sulla porta era un Emir che non aveva mai visto, con l'aspetto più giovane e rilassato, e sorrideva alla sua espressione scioccata.
Come si permetteva di essere così felice? Come si permetteva di apparire così diverso? Non lo aveva mai visto con un abito europeo ed era bello da togliere il fiato.
«Non sono l'uomo che aspettavi?» «Per la verità, no.» Non doveva dargli spiegazioni perché, anche se lui aveva visto il suo ex accompagnarla a casa, non erano affari suoi.
«È stato molto difficile trovarti.» «Sì?»
«Tua madre non mi ha dato il tuo indirizzo.» «Ha fatto bene. E come mi hai trovato?» «Con mezzi poco ortodossi» ammise.
Era talmente potente da ottenere tutto ciò che voleva e lei doveva fare attenzione a tenere la barriera innalzata. Non era disposta ad aggiungere dolore a dolore, ma doveva saperlo. «Le bambine stanno bene?» «Stanno bene» confermò Emir. «Be', sentono molto la tua mancanza.»
Ricordò quando si era trovata nel suo studio, quando gli aveva detto praticamente la stessa cosa, e ricordò anche che non era cambiato niente. Eppure doveva sapere, doveva chiedere perché fosse lì, doveva affrontare quella conversazione nella speranza di poter un giorno riprendere la propria vita.
«Sono a Londra?»
«No.»
Emir affossò la sua speranza, ma forse era meglio così, perché non avrebbe retto a dire loro addio una seconda volta.
«Hanno una nuova bambinaia, più giovane e meno severa di Fatima. Cominciano ad abituarsi a lei e non penso...» «Emir, ti prego...» Alzò una mano per interromperlo. Non voleva sapere quanto velocemente si fossero affezionate alla sua sostituta. «Mi fa piacere che stiano bene.» Si sforzò di sorridere, poi, per la prima volta da quando era comparso alla porta, ricordò che era un re e che non sapeva come comportarsi con lui.
Consapevole dell'arredamento di poco prezzo, si chiese se un caffè istantaneo fosse adatto, poi ricordò le buone maniere e gli sorrise.
«Vuoi qualcosa da bere?» «Sono venuto per parlarti.» «Avresti potuto farlo per telefono.» D'accordo, ma lei il suo lo aveva perso... Tuttavia, ciò che un attimo prima le era parso devastante, adesso era una sciocchezza. «Siediti. Ti preparo qualcosa da bere.» «Non sono venuto per un drink.» «Be', io ho voglia di bere qualcosa.» Aprì il frigo, prese del tè freddo e recuperò dei bicchieri. Era sollevata di avere qualcosa da fare, aveva bisogno di qualche minuto da sola per riprendersi. Non voleva che lui
fosse testimone del suo cuore spezzato.
«Cosa stai pensando?» le domandò Emir.
«Vuoi realmente saperlo?» «Sì.»
«Che per fortuna avevo questa bottiglia...» «Amy!»
«E mi sto chiedendo se non avessi fatto la spesa che cosa sarebbe successo.» Era più sicuro che pensare all'uomo che aveva di fronte, perché a lui non sapeva resistere.
«A cos'altro stai pensando?» «Che è ingiusto che tu sia qui» confessò Amy. «Che non voglio essere la tua amante.» Stava facendo un gran caos.
Gli occhi erano colmi di lacrime e non riusciva a vedere bene, così li chiuse e, quando la sua mano le sfiorò il braccio, si ripromise di essere forte mentre alzava il viso su di lui. «E penso di aver fatto bene ad andarmene, che non voglio stare con te.» «Non ti credo.»
La sua bocca era troppo vicina, e subito si sentì priva di forze. «Non vorrei neppure essere tua moglie.» «Non credo neppure a questo.» «Te lo assicuro.» Cercò di convincersene. «Come ti ho già detto, se tu fossi mio marito e Clemira e Nakia le mie bambine, me ne sarei andata da un pezzo.» «Ti ho spiegato che c'erano dei motivi per cui non potevo essere il padre che avrei voluto, ma adesso non valgono più.»
Lei scosse il capo. «Non ti voglio, Emir.» «Non è questo che dice il tuo corpo.» Le accarezzò il braccio, poi si scostò. Lei ebbe un brivido, perché solo sfiorarlo la faceva ardere.
«E non è ciò che ti leggo negli occhi.» Allora lei li nascose chinando la testa e alzò le mani per
respingerlo, senza toccarlo. «Vattene, Emir. Non posso ragionare quando mi sei vicino.» «Lo so.»
Scosse il capo perché come poteva sapere Emir come si sentiva? Dopotutto era calmo e controllato mentre lei era una massa tremolante.
«So quanto è difficile prendere una decisione saggia quando sei annebbiato dall'amore.» Lei non alzò gli occhi, pur scioccata nel sentirlo parlare d'amore, ma alle sue successive parole si lasciò sfuggire un gemito, perché disse ciò che un re mai dovrebbe dire.
«Ho preso in considerazione di abdicare.» «No.» Non poteva pensare una cosa del genere e tantomeno dirla. Sapeva, in seguito alla permanenza ad Alzan, le implicazioni e quanti problemi si sarebbero creati. Ma Emir proseguì imperterrito. Quell'uomo così distaccato la trasse a sé, le fece posare il capo contro il petto e condivise con lei il proprio inferno.
«Ogni volta che vedevo le gemelle felici, o tristi e con le lacrime agli occhi, avrei voluto che venissero al primo posto... non volevo governare un paese deluso dalla loro nascita, un paese che non festeggia il loro compleanno, un paese che sarebbe appagato soltanto dalla nascita di un maschio. Quando sono con le mie bambine, l'unica cosa che desidero è abdicare.» «Ma non puoi!»
«Non sono tanto sicuro di voler governare un paese in cui non posso cambiare le leggi. Non sono sicuro di voler dare alla mia gente il figlio che vogliono, solo per trasmettere a lui il fardello che mi pesa sulle spalle.» Scosse il capo. «No, non posso fare una cosa del genere a mio figlio.» Le alzò il mento per guardare negli occhi la donna che amava e ne fu del tutto certo. «Ti amo, e non posso perdere di nuovo la
donna che amo.»
E aveva ragione, pensò Amy, ricordando Hannah, le sue paure, la sua ansia. Ne aveva parlato con tanta tenerezza che lei non potè fare a meno di piangere.
«E non posso neppure far soffrire di nuovo Clemira e Nakia» proseguì. «Tu le hai rese felici, ti chiamano mamma, ed è così che deve essere.» La guardò mentre lei scuoteva il capo. «Non appena sei partita, avrei voluto seguirti, ma poi ho preferito riflettere. Governerò Alzan nel miglior modo possibile finché vivrò, e se la gente mi si rivolterà contro, se la situazione si farà troppo difficile per te, allora mi vedranno ben poco... perché dividerò il mio tempo tra il mio paese e qui.»
«No...» negò Amy, ma le era vicino e lei era debole con lui accanto.
«Sì» ribadì Emir, tenendola stretta. «Comunque avremo il tempo di studiare la situazione. Per diverso tempo, nessuno saprà che non puoi avere figli.» «L'ho confidato a Natasha.» Amy pensò che lui avrebbe mostrato la propria irritazione, invece sorrise. «Lo so.» «Ero stufa che tutti pensassero...» «Lo so.» Adesso non sorrideva più. «Ho affrontato Rakhal, gli ho spiegato il mio modo di vedere.» «E lui, cos'ha detto?» «Che Alzan sarà sua.» Emir alzò le spalle. «Gli ho fatto presente che un giorno sarà anche di suo figlio.» Il tono era carico di odio. «E gli ho anche detto che se informerà la mia gente che tu non puoi avere un figlio... avrà a che fare con me.»
«Non posso sposarti, Emir» ribadì Amy. «Non sopporto l'idea di deludere la tua gente.» Il fatto che lui l'amasse a tal punto le dava conforto e timore
nello stesso tempo, ma che lasciasse il proprio paese al suo destino non poteva accettarlo.
«Avevo preso in considerazione questa eventualità ancora prima che nascessero le gemelle. Il cuore di Hannah era così debole che non avrei potuto imporle un'altra gravidanza.
Quindi non è per causa tua. Abbiamo tempo prima che la gente lo scopra, tempo per trovare il sistema migliore per comunicarlo.»
Stava facendo del proprio meglio per rassicurarla, ma anche se la sua decisione era giusta, lei intuiva la sofferenza che lo tormentava.
«Non posso farlo, Emir.» «Puoi, con me al tuo fianco. Ti proteggerò come proteggerò le gemelle. Sarai una regina meravigliosa. Il popolo non potrebbe averne una migliore.» Presa la decisione, Emir aveva il cuore in pace.
Avrebbe fatto tutto ciò che poteva per il suo popolo, ma il cuore apparteneva alle sue bambine ed era forte a sufficienza per porre fine a quella pazzia.
Mai avrebbe caricato quel fardello su un figlio suo.
Ecco quell'amore irrazionale che lei voleva.
L'amore è una strana cosa: ti rende forte e debole. Forte per restare aggrappata alle proprie convinzioni... debole abbastanza per cedere.
Salvo che si trattava di Emir, e anche se talvolta si dimenticava che era un re, che governava un popolo e che questa sarebbe stata per sempre la sua vita.
Mentre si dibatteva nell'indecisione, squillò il campanello.
Amy aprì la porta all'uomo che un tempo aveva amato e sbatté le palpebre quando gli vide in mano il cellulare.
«Grazie.»
Notò che lui guardava oltre la sua spalla, notò che aggrottava la fronte e poi, senza una parola, si voltava e
usciva.
Amy chiuse la porta.
«Avevo dimenticato il cellulare...» Percepiva su di sé la forza di quegli occhi scuri e non aveva il coraggio di incontrare il suo sguardo. «Eravamo usciti insieme...» «Ti ho visto tornare» disse Emir. «Ti stavo aspettando in macchina. Dunque, stavamo dicendo...» «Non è successo niente» lo interruppe Amy, «voleva solo...» «Non mi importa.» Lei aggrottò la fronte perché doveva importargli. «Discutevamo del nostro matrimonio...» «Emir!» lo interruppe. «Il mio ex fidanzato è appena venuto a casa mia, sai che siamo usciti insieme ieri sera e non ti importa?» Non poteva credere alle proprie orecchie. «Non mi fai delle domande?» «No» rispose Emir.
Amy era scioccata.
Un po' di gelosia sarebbe stata comprensibile... dopotutto era uscita con l'ex fidanzato.
«Immagino di dover considerare un complimento il fatto che tu abbia tanta fiducia in me» borbottò a denti stretti.
«Potresti avere mille amanti, Amy.» Adesso era stato Emir a interromperla. «Ma tutti ti deluderebbero.
Non sarebbero niente paragonati a me.» «Ne sei così sicuro?» «Assolutamente» confermò. «Penseresti sempre e solo a me.»
E, dannazione a lui, aveva ragione, perché quella sera non aveva fatto altro che pensare a Emir, nonostante gli sforzi per partecipare alla conversazione.
«E se ti baciassero...» Posò la bocca sulla sua. «Vorresti che fosse un altro a farlo.» Lei chiuse gli occhi e aprì la bocca per negarlo, perché per loro non c'era futuro.
Stava per dire che avrebbe trovato un altro amore, ma la sua lingua si insinuò nella bocca che protestava dandole un assaggio, poi subito si ritrasse.
«Mi rimpiangeresti per sempre.» «No» lo supplicò, anche se sapeva che era la verità.
«Rimpiangeresti la decisione per il resto della tua vita.» «No» insistette Amy, benché sapesse che aveva ragione.
«Ci sposeremo» concluse Emir.
Gli ci era voluto un tempo che gli era parso un'eternità per giungere a quella conclusione, e ora voleva chiudere.
La strinse a sé, così vicino che lei percepiva il battito del suo cuore, poi la baciò, per supplire a tutte le volte che avrebbe voluto farlo e non gli era stato possibile.
Amy cominciò a piangere.
Lui la tenne sempre stretta a sé e con le labbra le asciugò le lacrime.
Voleva confortarla come avrebbe voluto fare durante la colazione ad Alzirz quando Clemira l'aveva chiamata mamma e lei aveva sofferto per non potere avere un bambino suo.
La tenne stretta come avrebbe voluto quel giorno.
«Non dovrai più affrontare questa sofferenza da sola» si impegnò.
Poi la baciò di nuovo, il viso stretto tra le sue mani, come avrebbe voluto baciarla quando era partita... Poi si fermò.
«Tornerai ad Alzan e ci sposeremo.» «Non mi devi dire cosa devo fare. Questa non mi sembra una proposta di matrimonio» sbottò Amy «Dovresti inginocchiarti e...»
«Non nel mio paese» affermò Emir.
Le prese la mano e la posò sulla propria erezione.
«Puoi accettare» disse, «o puoi dirmi addio.» Lei non riuscì a trattenere un sorriso.
«Dimmi di sì, Amy.» «Non posso.»
«Allora non potrai avermi.» La baciò di nuovo, mandandola in confusione.
La bocca era sulla sua mentre lei ancora obiettava, le baciò gli occhi quando lei avrebbe voluto guardarlo, la baciò mentre la conduceva sul letto facendola coricare per spogliarla.
«Emir...»
«Dimmi di fermarmi e lo farò.» Lei rimase con le mani a mezz'aria.
«Dimmi che non dobbiamo stare insieme» proseguì Emir togliendole il reggiseno, «e me ne andrò.» Lei sentì il suo sguardo sul seno e avrebbe voluto che ci fosse anche la bocca, ma rimase in silenzio.
Lui cominciò a spogliarsi.
«Non mi avrai finché non mi dirai di sì.» Con esasperante lentezza, Emir si tolse la cravatta e si sbottonò la camicia.
Le diede tutto il tempo possibile per dirgli di smetterla, ma lei taceva. Ormai nudo, si coricò su di lei. «Non riesco a sentirti, Amy.»
«Perché non ho detto niente» rispose.
Come poteva non accettare? Come poteva non essere sua moglie? Cercò di immaginare il futuro, quando sicuramente avrebbe rimpianto questa decisione, e il sì che stava per sfuggire rimase in gola.
Lui le tolse gli slip e si inginocchiò tra le sue gambe e le baciò le cosce finché lei si dimenò sotto di lui, desiderandolo al centro della propria femminilità.
Ma Emir giocava sleale. Si scostò e si concentrò su se stesso, e lei assisteva disperata, travolta dal desiderio.
«Non posso aspettare in eterno» l'avvertì. E aveva ragione.
Non ci sarebbe mai stato un amante migliore.
La sua mente sarebbe sempre tornata a lui. Il respiro si fece affannoso.
Lo voleva più di qualsiasi altra cosa al mondo e odiava quel gioco che stava conducendo.
«Non puoi sedurmi per farmi dire di sì.» «Sì che posso.»
«Sì!» supplicò Amy perché voleva disperatamente accoglierlo in sé.
«E le buone maniere?» Quanto era crudele il suo sarcasmo.
«Le ho dimenticate» urlò Amy e subito gridò di nuovo perché lui la penetrò. La passione era travolgente.
Lei non ebbe modo di pensare, di trarre un respiro, di riconsiderare.
Ogni affondo confermava che gli apparteneva e sapeva che era ciò che anche lei voleva.
«Ti prego...» singhiozzò, le gambe avvinghiate ai suoi fianchi.
Raggiunsero insieme il piacere, persi nel vortice di un orgasmo che suggellava la loro unione.
Poi rimasero coricati l'uno accanto all'altro come d'ora in avanti sarebbe sempre stato.
Emir si abbandonò a un sonno sereno perché sapeva di aver fatto la cosa giusta.
Ma Amy non riuscì a dormire. Sentì ogni macchina che passava e la pioggia che sferzava i vetri fino alle prime ore del mattino.
Era pietrificata per ciò cui aveva acconsentito.
Sarebbe stata regina.
16
«Hai bisogno di tornare a casa» fu il suggerimento di Emir quando gli confessò i propri timori. E lei capì che aveva ragione, che Alzan era il luogo dove voleva essere.
Non rimasero a lungo a Londra, solo il tempo per sistemare le cose e, per Amy, di convincere la mamma che andava tutto bene, che aveva preso la decisione giusta.
E come sarebbe potuto essere diversamente?, si chiese. Le pareva così giusto avere Emir al proprio fianco.
Per Amy, il viaggio fu come avvolto in una nebbia, così come la gente che si era radunata per salutare il re e la futura regina.
Emir la tenne per mano mentre entravano nel palazzo per dirigersi subito alla nursery.
Lui entrò per primo e lei, alle sue spalle, sorrise alla reazione delle piccine alla vista del padre. Stavano giocando con la casa delle bambole, ma il gioco fu subito dimenticato.
Il papà era tornato.
E poi la videro.
«Ummi!» Fu Nakia la prima a gridare. Clemira aggrottò la fronte e guardò la sorella con aria di rimprovero perché sapeva che quella era una parola proibita.
Poi Clemira seguì lo sguardo della sorella e dimenticò di essere la leader, scoppiò in lacrime e si precipitò ad abbracciare Amy.
«Va tutto bene.» Amy la prese in braccio mentre Nakia, che non si reggeva ancora molto bene sulle gambe, piangeva a dirotto. Prese in braccio anche lei mentre entrambe le
baciavano il viso rigato di lacrime. Anche Emir aveva gli occhi lucidi.
Aveva perduto talmente tanto... i genitori, la moglie e per poco anche lei. Che potesse di nuovo credere nell'amore era un miracolo, e la sua decisione era quella giusta, si disse Amy stringendosi alla nuova famiglia.
Eppure, il mattino delle nozze, Amy si svegliò con la morte nel cuore.
Riusciva a capire perché Emir non aveva deciso quando lei gli era vicino. Con lui accanto, le sembrava così giusto che si sposassero, convinti che l'amore fosse la soluzione. Ma Emir aveva trascorso la vigilia del giorno del matrimonio nel deserto e, senza di lui, Amy era preda dei dubbi.
Aveva l'impressione di ingannare la gente di Alzan.
La domestica venne ad aprire le finestre e la camera fu invasa dall'aria calda del deserto. Si sentì soffocare quando dovette mangiare, come voleva la tradizione, dei frutti del deserto.
Le cameriere la osservavano mentre beveva pozioni per la fertilità e, a ogni sorso, Amy sentiva montare la nausea.
Ogni elemento relativo alle tradizioni nuziali la faceva star male.
Fece il bagno, le acconciarono i capelli e la truccarono. Ma il viso era pallido e il rimorso si acuì quando le sistemarono un bocciolo tra i capelli...
«Per l'innocenza» le spiegarono le cameriere. Amy chiuse gli occhi riflettendo che lei vergine non lo era. Un'altra menzogna.
Le fecero indossare un abito intessuto di fili d'oro pallido e lei pensò a sua madre. Aveva fatto di tutto per dissuaderla, l'aveva avvertita dell'errore che stava commettendo e si era offerta di riaccompagnarla a casa. Il popolo, che adesso la festeggiava, tra qualche tempo le si sarebbe rivoltato contro
e forse anche suo marito.
«No.» Amy di questo ne era certa. «Emir mi ama.» Eppure provava rimorso ad accettare quell'amore. Quello che sarebbe dovuto essere il giorno più felice della sua vita era oscurato dalla consapevolezza di non essere la regina che quella gente voleva.
E ora i tocchi finali.
Udiva l'eccitazione della gente per le strade, perché il matrimonio si sarebbe celebrato nei giardini e tutti si erano radunati intorno al palazzo.
«La gente è felice» considerò una cameriera quando si sentì un prolungato applauso.
«Stanno arrivando re Rakhal e la regina Natasha» la informò una cameriera spiando dalle finestre. «C'è anche il principe Tariq.» Guardò Amy e sorrise. «Non si glorieranno a lungo.»
E ora una cameriera le legò al collo una boccetta. Amy ne conosceva già il significato perché Clemira e Nakia avevano ricevuto qualcosa di simile nel deserto.
«Per essere sicuri che la sabbia rimanga come Alzan.» Amy percepì il pulsare della gola nel punto in cui le era stata sistemata la boccetta, udiva le grida della gente che aumentavano di volume, sentiva il sudore che le rovinava il trucco e l'aria calda del deserto che la soffocava.
«Amy?»
Intuì la preoccupazione nella voce della cameriera, e il gemito scioccato delle altre che si erano rese conto di quanto lottasse con se stessa.
«Non posso farlo» fu tutto quanto Amy ricordò di aver mormorato prima di accasciarsi sul pavimento.
17
«È in ritardo.»
Emir udì i bisbigli della folla e guardò fisso davanti a sé.
Anche se apparentemente calmo e controllato, si sarebbe preso a calci perché non avrebbe dovuto lasciarla sola la notte precedente. Sapeva che Amy era in ritardo perché stava riconsiderando il loro matrimonio. Forse, per lei, era troppo presto... dopotutto, lui aveva impiegato un anno a prendere la decisione. Ma non poteva perdere il suo amore per una profezia, sapeva di aver ragione e sarebbe andato da lei a riconfermarle che la decisione era quella giusta.
«Non è necessario» lo informò Patel. «Apparentemente adesso sta bene. Le hanno dato dei sali e qualcosa da bere e tra poco sarà qui.»
Quando Amy apparve, Emir ricordò la prima volta che l'aveva vista, pallida e quieta, ma forte.
Lo aveva aiutato molto nei momenti difficili e adesso anche lui avrebbe voluto aiutarla, toglierla da quella folla soffocante, parlarle, tranquillizzarla e rassicurarla, ma ovviamente era impossibile.
«Stai bene?» le chiese prendendole la mano quando lo ebbe raggiunto.
Lei si commosse per quel gesto, perché le aveva spiegato che quella giornata sarebbe stata improntata allo stretto protocollo, che non si dovevano esibire i sentimenti, perché abitualmente ad Alzan l'amore sbocciava in seguito.
«Un po' nervosa» ammise Amy.
L'importanza della celebrazione la colpì di nuovo mentre attraversava i giardini fragranti sotto gli occhi attenti della
folla assiepata intorno, e per un attimo ebbe il timore di svenire di nuovo.
C'era Hassan, il fratello reprobo, eretto e silenzioso al fianco di Emir, re Rakhal e Natasha, splendida e regale, ma lei li guardò a malapena. Per prima cosa aveva cercato con lo sguardo le gemelle, con un abito color paglierino, sedute sull'erba con in mano dei fiori, ma benché si sentisse sciogliere alla loro vista, fu Emir a catturarle totalmente il cuore.
Anche lui indossava una tunica dorata e sul capo aveva la kefiah, e un'ondata di tenerezza e amore la travolse alla vista di tanta bellezza. Non vedeva l'ora che fosse notte, per essere nel deserto con lui, ma ovviamente era necessario assolvere diverse formalità.
Per un paese con tradizioni così radicate, la cerimonia fu sorprendentemente semplice.
«Chiede» le tradusse Emir, «se sei d'accordo su quest'unione.»
«Sì» disse Amy e poi ricordò che doveva rispondere al giudice. «Na'am.»
«Chiede se mi obbedirai.» Emir notò la lieve smorfia che le increspava le labbra, perché avevano spesso discusso di questo.
Lei gli premette il pollice sul palmo per rammentargli i loro accordi e poi rispose: «Na'am».
«Chiede se alleverai i frutti della nostra unione...» Emir scorse le lacrime nei suoi occhi e avrebbe voluto stringerla tra le braccia, ma non potè far altro che premerle il pollice sul palmo per rassicurarla che andava tutto bene.
Lei non poteva vedere re Rakhal accanto a Natasha, così guardò il futuro marito e rispose a lui. La pressione del pollice era una conferma di quanto lui l'amava, così ripetè anche questa volta: «Na'am».
Il giudice parlò per alcuni minuti e lei attese, poi la mano di Emir fu sulla sua schiena, per indicarle che doveva voltarsi.
«Cosa succede adesso?» domandò Amy.
«Torniamo al palazzo.» «Al palazzo?» Amy era confusa. «Ma il matrimonio...?» «Siamo sposati» le disse Emir e poi andò contro la tradizione.
Le circondò brevemente le spalle con un braccio e la baciò.
Non fu il tossicchiare degli anziani a porre fine al bacio, ma le gemelle che richiedevano l'attenzione.
Tornarono al palazzo, ciascuno tenendo per mano una bimba, e lei vide che Emir osservava il cielo.
Sapeva che stava dicendo a Hannah che adesso poteva riposare in pace, che aveva fatto il bene delle bambine come lei aveva chiesto.
Amy avrebbe voluto restare sola con lui, voleva la loro notte nel deserto, ma c'erano ancora il cerimoniale da rispettare, i diversi discorsi. Alla fine fu Rakhal a pronunciarne uno e Amy serrò le dita sul bicchiere che aveva in mano. Si chiese che frecciata avrebbe scoccato, non che lei l'avrebbe capita, perché ovviamente parlava in arabo.
Emir gliel'avrebbe tradotta.
Trasse un profondo respiro quando Rakhal, invece, cominciò a parlare in inglese.
«Mia moglie lo aveva previsto. Lo aveva detto il giorno in cui l'ha conosciuta. Il giorno della morte di mio padre.» Amy sbatté le palpebre perché si trattava di tanto tempo prima, molto prima che provasse dei sentimenti per Emir. O forse era già così? Ricordava quel giorno. Emir aveva porto le condoglianze e lei aveva scambiato qualche parola con Natasha.
A quell'epoca era così confusa e amareggiata, così in collera con Emir per l'indifferenza che mostrava nei confronti delle
bambine...
«E io le ho detto che si sbagliava.» Rakhal guardò la nuova regina di Alzan. «E di nuovo le ho detto che si sbagliava alla cerimonia per la nascita di mio figlio. E invece era una previsione che si è dimostrata vera.» Rakhal guardò Emir.
«Vostra Altezza, mi congratulo.» Adesso parlava di nuovo in arabo e lei capiva solo qualche parola... lunga vita, ottima salute... e poi di nuovo Rakhal parlò inglese. «Il regno di Alzirz festeggia con voi questa giornata.» Com'era difficile sorridere mentre lui alzava il bicchiere per un brindisi!
Difficile anche chiacchierare con Natasha che pareva così decisa a esserle amica.
«Ha un aspetto meraviglioso.» Natasha le sorrise, ma Amy non potè fare a meno di essere fredda, non poteva fingere amicizia quando erano rivali. «Rakhal mi ha detto che trascorrerete la luna di miele a Londra...» «Sì, è così.»
«Con le bambine?»
«Certo» rispose Amy.
«Quando tornate, desidero che i bambini si frequentino, Clemira è così affezionata a Tariq e...» «Vedremo.» Amy le offrì un sorriso tirato. «Ora, se vuole scusarmi...»
Si voltò e andò a sbattere contro il petto di Emir che veniva a chiederle un ballo.
«Dovevi essere cortese» l'ammonì. «Lo sono stata.» «No.» Aveva colto il ghiaccio sotto il suo sorriso mentre parlava con Natasha. «Quando una regina ti rivolge la parola...»
«Anch'io sono una regina.» Lui sorrise al suo viso imbronciato. «Ti spiegherò più tardi.
Per adesso, ti suggerisco di essere cortese.»
«Emir, non cominciamo...» brontolò.
La infastidiva la familiarità di quel giorno tra Emir e Rakhal... oh, sapeva che si trattava di una commedia, ma le urtava i nervi. Tuttavia sorrise perché le pareva impossibile dover tenere il broncio quel giorno.
Il palazzo era in festa, si festeggiava per strada e, benché non vedesse l'ora di essere sola con Emir, era la serata più importante della sua vita.
Così partecipò ai festeggiamenti, e quando Rakhal le baciò la mano, gli sorrise come Emir le aveva imposto, sorrise e parlò più gentilmente con Natasha mentre si preparavano a partire per il deserto. Era il momento di salutare le gemelle.
Dio quanto le amava! Nakia adesso letteralmente seguiva passo passo la sorella ed entrambe erano felici di poterla chiamare ummi. Avrebbero sempre saputo della loro vera madre, però era una benedizione non doverle correggere in continuazione, ma solo prenderle tra le braccia. E Amy lo fece, baciò i loro visetti spiegando che sarebbero tornati il giorno successivo.
In un certo senso temeva la notte nel deserto, aveva sempre l'impressione che il deserto sapesse qualcosa di cui lei era all'oscuro, come se fosse sempre qualche passo avanti a lei.
«È buio.»
L'ultima volta che era stata nel deserto, la luna illuminava la sabbia, e c'erano le stelle, ma quella notte il cielo era scuro... non che Emir se ne preoccupasse.
«Pioverà, ed è un bene» disse. «Dopo la pioggia, la vegetazione germoglia.» Cominciò a piovere mentre atterravano, una pioggia battente che per un attimo mise in difficoltà l'elicottero e in seguito le inzuppò gli abiti.
Appena entrata nella tenda, le cameriere che l'aspettavano l'avvolsero in scialli mentre la festeggiavano. C'erano ancora
mille cose da fare, e lei voleva stare sola con Emir per parlargli. Lui doveva averlo intuito, perché congedò la servitù e la prese tra le braccia.
«Potrei essere offeso per il fatto che mia moglie non ha apprezzato il giorno del matrimonio.» «È stato splendido, Emir.» Amy alzò lo sguardo su di lui.
«Ogni attimo.»
«Ogni attimo?»
«Ho cercato di essere cortese con Natasha e Rakhal.
Capisco che è necessario, che senza comunicazione...» Non voleva parlare di questo la notte di nozze, ma, sì, forse era stata un po' scostante. «Quando mi rendo conto che c'è un'ingiustizia, faccio fatica a tacere e a comportarmi come se niente fosse.»
«Questo l'ho capito» osservò Emir. «So che nella mente ti frullano mille pensieri e per tutto il giorno avrei voluto parlarti, tuttavia non c'è stato il momento adatto.» «Oh.» Amy stava per dire la stessa cosa. «Emir, c'è qualcosa...»
«Zitta» la interruppe, perché la notizia era troppo importante per non condividerla. «Sai che ho trascorso l'altra notte nel deserto, no? Normalmente la sera prima che un re si sposi è dedita ai festeggiamenti; io invece l'ho trascorsa insieme a Rakhal» le rivelò.
«E non avete sguainato le spade?» Emir ignorò la nota di scherno nella sua voce.
«Rakhal ha riflettuto a lungo su quanto gli ho detto qualche giorno fa e ha stabilito che, benché sia felice, non vuole trasmettere il fardello che porta sulle spalle al proprio bambino. Ha convenuto che siamo re senza poteri, a meno che ognuno di noi promulghi le leggi per la propria terra.» Emir prese con le dita la boccetta che Amy aveva al collo, intuendo la terribile pressione che era stata esercitata su di
lei. «La nostra decisione sarà rifiutata dagli anziani, naturalmente, ma quando due re sono in pieno accordo, non c'è modo di tornare indietro.» «Non capisco.»
«Le profezie sono sbagliate» riprese Emir. «Alzan ed Alzirz sono due paesi forti e orgogliosi, ed è il momento di liberarsi dalle leggi degli anziani. Naturalmente il popolo sarà scontento. Crede...» «Emir, aspetta!» Occhi colmi di angoscia si levarono su di lui. «E stata una giornata stupenda, e mi sono goduta ogni attimo, e se talvolta sono parsa distratta...» Amy trasse un profondo respiro. «Non ho perso i sensi perché hanno ceduto i nervi.» Non riusciva ancora a dirgli la novità che le aveva impegnato la mente tutto il giorno. «Be', forse un poco, ma quando il medico di palazzo mi ha visitato...» Non avrebbe mai immaginato di pronunciare quelle parole.
«Sono incinta, Emir.» Adesso piangeva a dirotto. «Il medico ha effettuato il test, ed è certo... pare che quella prima notte...»
«Ma hai detto che era impossibile.» Adesso era lui a non capire.
«Evidentemente c'era una piccola possibilità» spiegò Amy.
«Non ho sentito tutto ciò che dicevano i medici e nemmeno il mio fidanzato, e non sono mai tornata a chiedere spiegazioni.»
Emir la tenne stretta mentre si scioglieva in lacrime. La notizia era scioccante e gli ci volle qualche attimo per razionalizzarla.
«Si può evitare di cambiare le leggi. Potrei avere un maschio. Presto lo sapremo.» «Non c'è bisogno di saperlo» riprese Emir, «perché sia maschio o sia femmina avrà tutto il nostro amore. Le leggi cambieranno.» Il tono era deciso. «Clemira è una leader
nata e Nakia sarà un ottimo supporto per lei. È giusto che sia la seconda in linea di successione.» «Ma le profezie...»
«Sono solo questo, profezie» affermò Emir guardando la donna che gli aveva sanato il cuore ferito, la donna che si era precipitata nel suo studio mettendo in discussione il suo modo di agire con le figlie. Avrebbe voluto baciarla, stringerla a sé e spazzare via le sue paure, ma aspettò un attimo assimilando appieno la notizia. E allora le disse per quale motivo le profezie erano sbagliate. «Non hanno tenuto conto del fatto che un re possa innamorarsi.»
Epilogo
«È bellissimo» considerò Emir.
Amy non riusciva a smettere di ammirare il suo piccino...
non poteva credeva di stringere tra le braccia un bimbo suo.
Tenendolo accanto a sé, dimenticò tutte le sofferenze del passato e il dolore delle ultime ventiquattro ore era completamente cancellato.
«Sei sicuro che sia mio?» scherzò, perché il piccino era l'immagine del padre. Alzò gli occhi ed Emir la baciò dolcemente. Amy si cullò in una felicità ancora più grande perché amava lei e le sue bambine con o senza il dono di un figlio.
Emir prese il neonato in braccio e lo tenne a lungo. Amy gli leggeva in viso l'orgoglio, ma anche la sofferenza, perché sicuramente ripensava all'ultima volta che aveva tenuto tra le braccia un neonato.
«Non voglio perdermi un solo momento della sua vita» affermò. «Mi sono perso troppo delle gemelle, quasi un anno.»
Chiuse gli occhi, colpito dal rimpianto.
«Emir, c'era un motivo.» Adesso lo capiva.
«Ogni volta che le vedevo, ogni volta che le tenevo in braccio, avrei voluto fare tutto il possibile per loro, tuttavia avevo la responsabilità del mio paese.» «Deve essere stata un'agonia.» «Era meglio affidare a te la responsabilità. Quando sei partita, quando se n'è occupata Fatima, quando abbiamo osservato le leggi degli anziani, ho capito che non potevo governare un paese che non dava valore alle mie figlie.
Poteva funzionare in passato, non adesso. Ma la decisione che dovevo prendere richiedeva una mente sgombra e una certa distanza.»
«E vero» convenne Amy. «Avrei voluto che tu ne parlassi con me...» Si interruppe, perché Emir aveva ragione. Era una decisione che doveva prendere da solo. «Adesso è tutto sistemato.» Osservò il suo piccino addormentato. «Non è necessario che cambino le leggi.» «Cambieranno» affermò Emir, «perché non voglio che mio figlio un giorno si trovi a dover fare una scelta come sono stato costretto a fare io. Gli indovini si sbagliavano: è meglio che i due paesi siano separati. Sono felice di avere un maschio per mille motivi, ma questa è la dimostrazione che abbiamo deciso di cambiare la legge perché è giusto, non perché è necessario. Il popolo lo amerà come ora ama le gemelle... come amano te.» I cambiamenti degli ultimi mesi erano stati meno tumultuosi di quanto Amy avesse temuto.
Il vecchio beduino aveva riso quando Emir e Rakhal lo avevano consultato. Aveva alzato le spalle e scosso il capo quando gli avevano detto che le profezie erano sbagliate. Il popolo aveva accettato i cambiamenti, rassicurato dal fatto che i due sovrani erano uniti e concordi nelle loro decisioni.
E, anche prima che sapessero che Amy aspettava un maschio, aveva festeggiato le gemelle. Un giornale aveva, addirittura, titolato un articolo alla futura regina Clemira.
«Posso portare le gemelle a conoscere il loro fratellino?» chiese Emir.
«Certo» disse Amy, eccitata all'idea di vedere la loro reazione.
Sorrise quando le bimbe entrarono. Le amava talmente tanto, le aveva amate da quando erano nate... almeno quanto il piccino che teneva tra le braccia. Notò che il
visetto di Nakia si illuminava vedendo il fratellino. Era affascinata e lo copriva di baci, Clemira invece pareva quasi indifferente. Lo guardò per un attimo o due e poi si mise a giocare. Ovviamente Nakia la seguì. Emir chiamò la bambinaia perché le conducesse nella nursery.
«Credi che sia gelosa?» le domandò Emir sistemando il piccolo nella culla, per poi sedere sul letto accanto a lei. «Lo ha guardato a malapena.» «E presto» considerò Amy. Non c'era posto migliore al mondo che essere coricata su un letto accanto a Emir con il piccolo addormentato al loro fianco. «Comunque, mi sorprende. Si è innamorata subito di Tariq. Immagino che dovrà abituarsi...» Non concluse perché colta da uno sbadiglio.
Emir l'abbracciò. «Hai bisogno di riposo.» «Resta qui.»
«Naturalmente» mormorò, «ma tu devi dormire finché ne hai la possibilità. La prossima settimana sarà intensa...
arriveranno i tuoi per la cerimonia e Natasha ha telefonato che vuole venire ancora prima. Non vede l'ora di conoscere nostro figlio.»
Semiaddormentata, Amy sorrise. Tutto era perfetto nel suo mondo. Le faceva piacere la visita di Natasha, perché ormai erano amiche e si incontravano spesso. I loro figli giocavano insieme.
«Mi farà molto piacere vederla e Clemira sarà felicissima di rivedere Tariq...» Si interruppe di nuovo, ma stavolta per un motivo diverso, un pensiero assurdo che prendeva forma tra il sonno e la veglia. «Emir?» «Dormi» le disse, ma Amy non poteva.
«Se Clemira sarà ancora così attratta da Tariq... diciamo tra una ventina d'anni...» Alzò lo sguardo e vide che lui aveva sbarrato gli occhi. Il
cipiglio che si era formato svanì, sostituito da un sorriso.
«Complicherebbe molto le cose.» «Davvero?»
«Oppure le semplificherebbe.» La baciò sui capelli. «Adesso dormi» ordinò. «Non è una decisione che dobbiamo prendere per loro.»
«Ma se accadesse?» incalzò Amy. «Allora i due paesi si riunirebbero.»
«Forse» borbottò Emir.
Amy chiuse gli occhi, smettendo di pensare al futuro e godendosi il presente.
Fu Emir a spezzare il silenzio, quella possibilità che gli frullava ancora in mente.
«Dici che mi sbagliavo?» considerò, stringendola a sé, finalmente con il cuore in pace. «In fondo, chi sono io per affermare che, quando gli indovini hanno profetizzato, non hanno tenuto conto dell'amore?»