14
Ossessione
LE suore sciamarono nel corridoio e scomparvero nelle celle. Cosa avrebbero indossato per dormire? Cosa avrebbe trovato ciascuna di loro sotto il proprio velo? Non contente della mole di salmi recitati durante tutto il giorno, avrebbero salutato la notte con l’ennesimo segno della croce, affidando la loro anima a Dio? Magari rispettavano qualche rito particolare, come la sigaretta di Suor Maria Giulia, ogni sera, prima di coricarsi. Virginia riusciva a immaginarsela, minuta e tremante, maneggiare l’accendino e sputare il fumo dalla finestra, per fare in modo che l’odore non strisciasse scostumato fuori dalla porta.
Le sorelle non possedevano nulla, se non la libertà di vivere in quel piccolo spazio. E solo poco tempo per restare con se stesse.
Ma non hanno più curiosità.
A Vivì sembrava che il desiderio di Dio avesse tolto loro qualsiasi fremito. La preghiera riempiva ogni istante della loro giornata. Aveva assorbito i loro gesti, anche i più pratici. Si era impadronita anche del lavoro. Tutto ciò che facevano, ogni pensiero e azione, aveva un solo scopo: esaltare il Signore. Se dall’esterno questo l’aveva affascinata e attratta, ora, lì dentro, ne riconosceva i limiti. Le suore si erano svuotate di qualsiasi pulsione, per riempirsi del solo desiderio di Dio.
Questo pensava Virginia percorrendo gli ultimi metri che la separavano dalla sua cella, mentre dietro di lei le sorelle si rintanavano in assoluto silenzio.
Abbassata la maniglia della sua porta, si accorse subito di non riuscire a farla scorrere come sempre. C’era qualcosa che impediva al legno di scivolare. Applicò una leggera pressione e vide a terra una macchia bianca strisciare fin quasi sotto il letto, spinta dal movimento della porta. Accese la luce e capì.
Una lettera.
Sulla busta gialla non c’era alcun destinatario. All’interno, un foglio bianco era scritto a mano. Un messaggio lungo, pieno di cancellature. In più punti la carta era ancora umida, l’inchiostro spalmato a macchia.
Lacrime.
Seduta sul letto, Virginia si mise a leggere alla luce fioca della sua abat-jour.
Amore mio, non faccio altro che piangere al ricordo di te.
Mi sembra tuttavia di amare questo dolore di cui sei l’unica fonte; l’istante in cui ti ho rivisto, ti ho destinato di nuovo la mia vita e provo un certo piacere nel sacrificartela. Ti mando i miei sospiri mille volte al giorno, ti cercano ovunque e, come ricompensa, mi riportano solo la verità della mia scelta di vita, che crudelmente non sopporta che io mi lusinghi, e senza tregua mi dice: smetti, smetti di consumarti invano, di inseguire un amante che non vedrai mai più. Eppure non voglio accettare l’idea che tu mi abbia dimenticata. Come può accadere che i ricordi di momenti tanto dolci diventino così crudeli e debbano, contro la loro natura, tormentare il cuore? L’hai fatto fremere a tal punto che mi è sembrato compisse degli sforzi per separarsi da me e venire in cerca di te. Poi, mio malgrado, ho rivisto la luce, mi piaceva sentire che morivo d’amore, ma al tempo stesso mi rallegravo di non vedere più il mio cuore straziato dal dolore della tua assenza. Ma come evitare di stare male finché non ti rivedrò? Lo sopporto senza un lamento perché viene da te. Sono pronta a adorarti per tutta la vita. Ti assicuro che anche tu faresti bene a non amare più nessuna. Sapresti accontentarti di una passione meno ardente della mia? Probabilmente incontrerai maggior bellezza, ma non troverai mai più tanto amore; e tutto il resto è nulla.
Mi sono sbagliata!
Forse le suore avevano ridotto lo spazio per provare desideri, ma quei pochi che ancora sopravvivevano in loro erano travolgenti. Questa monaca ardeva d’amore per un uomo e chiedeva a Virginia di farsi messaggera.
Via email.
Nella testa di Vivì rimbalzarono tutti i volti delle sorelle. Chi aveva scritto quella lettera? Chi era in grado di descrivere emozioni così struggenti? Chi aveva il coraggio di affrontare il peccato dell’amore, contravvenire alla Regola di sant’Agostino ed esporsi così tanto senza temere di essere denunciata alla Madre Superiora e a tutta la comunità, con il rischio di una sicura espulsione?
Si fida di me.
Forse quella sorella temeraria era certa che, se anche Vivì l’avesse tradita, nel monastero tutto sarebbe stato messo a tacere per evitare uno scandalo.
Non è vero che non provano emozioni.
Vivì sentì tremare il sangue ai polsi per la delicata responsabilità che le era appena piombata addosso. Certo, solo lei poteva capire cosa stava provando quella donna. Solo lei aveva il cuore ancora così vivace da riuscire a sentirsi complice di quel sentimento inaccettabile. Avrebbe dovuto trovare il modo di inviare quel messaggio senza farsi scoprire da Suor Maria Elisabetta. E poi avrebbe cancellato ogni traccia dalla cartella «Posta inviata». Ma c’era bisogno di tempo per aprire il programma, scrivere il messaggio, verificare che non ci fossero errori nel testo, premere il tasto «Invio» ed eliminare l’email.
Nessuno deve saperlo.
Avrebbe conservato questo segreto, anche se dal giorno dopo – ne sono sicura – avrebbe guardato le suore in modo completamente diverso. Ogni loro gesto, ogni minimo sguardo, sarebbe stato un indizio per smascherare l’amante clandestina. Virginia si sentì al centro di un romanzo d’appendice, le tornò in mente Storia di una capinera, il film di Zeffirelli su cui aveva pianto fiumi di lacrime, accoccolata sul divano tra le braccia di suo padre, che nel frattempo si era addormentato. «Si può impazzire d’amore?» la domanda della protagonista che l’aveva ossessionata per anni, riaffiorò in quel momento. Si figurò la monaca innamorata come una bestia dentro una gabbia, fremente di desiderio, obbligata a nascondersi dietro il suo abito nero. Mentre avrebbe desiderato una vita a colori.
Ma perché non lascia il monastero?
L’abitudine, la paura, la vergogna, il dubbio, la nostalgia, l’orgoglio, l’egoismo, la bellezza, la fede… quanti erano i motivi per non rompere il patto stretto con Dio?
Virginia sapeva che avrebbe vissuto un’altra notte d’inferno, tormentata da pensieri e domande a cui soltanto con il tempo avrebbe – forse – trovato risposta.
Proprio come pochi giorni prima, la mattina seguente Vivì si ritrovò a passare in rassegna tutte le monache durante la colazione. Inutile provare a concentrarsi sulla Prima lettera ai Corinzi di san Paolo, che Suor Maria Ester declamava con trasporto.
«Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi l’amore, sarei un bronzo risonante o un cembalo squillante. Se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare le montagne, ma non avessi l’amore, non sarei nulla.
«L’amore è paziente, è benigno l’amore; l’amore non invidia, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, ma si compiace della verità; tutto tollera, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.»
Neanche avessi scelto io questo brano.
Questo era l’amore in cui credevano quelle donne, rintanate tra alte mura, erette anche per proteggere i loro sentimenti. Il loro amore riusciva a sopportare anche il dolore di non poter più vedere la persona desiderata: era un’emozione soffocata per tollerare la lontananza.
Virginia pensò che fossero le parole più adatte per cercare di individuare una qualche reazione che tradisse la sorella tormentata da quell’emozione impossibile. Mai come in quel momento desiderò avere il potere della profezia, anche senza l’amore.
Eppure, tutto sembrò procedere come ogni mattina: giri di cucchiai silenziosi, sguardi concentrati sul cibo, nessun sorriso, nessun rumore. Dodici persone sole a tavola, dodici lampade che non s’illuminavano l’un l’altra.
Andrea aveva saltato anche l’Ufficio delle letture delle sei e mezzo.
Terminato di mangiare, Virginia preparò la sua colazione sistemando sul carrello l’indispensabile.
«Digli che non può continuare così.»
Non l’aveva sentita arrivare alle sue spalle. Suor Maria Elisabetta era così tesa che le tremava la voce. Tra il suono e le parole c’era un distacco straniante. Concetti chiari e precisi, espressi con un tono piuttosto insicuro. Vivì l’ascoltò senza girarsi. La suora sussurrava al suo orecchio.
«Questo non è un albergo. Un ritiro spirituale prevede una disciplina e mi pare che il nostro ospite non la stia rispettando. Ci sono regole da seguire, qui: la prima è la preghiera.»
«Va bene. Cercherò di farglielo capire.»
«Mi raccomando. Se continua a saltare gli appuntamenti, purtroppo dovremo chiedergli di andarsene.»
Vivì deglutì.
Stavolta ha ragione.
Non era affatto felice di consegnare il pasto ad Andrea. Sapeva già che non sarebbe stata capace di parlare in modo perentorio. Si sarebbe sciolta alla prima buona scusa che lui avesse accampato. Le era parso di capire che fosse molto bravo con le parole.
Aprì la porta che divideva la portineria dal parlatorio e, con sua grande sorpresa, lo trovò vuoto. Lui non c’era.
Se n’è andato? Non può essere.
Il dubbio la lasciò interdetta per un solo istante.
Questo è il momento giusto.
Accese il computer, aspettò che lo schermo s’illuminasse e cliccò sull’icona del modem per aprire la finestra in cui digitare la password e collegarsi a internet.
Le altre penseranno che sto parlando con Andrea.
Il PC gracchiò ed emise il sibilo che indicava l’inizio della connessione.
Vivì sfilò la lettera dalla tasca e la mise in equilibrio tra la tastiera e il monitor.
Le balenò l’idea di scrivere sotto il messaggio: «Non rispondere», per non rischiare che qualcuno intercettasse l’email di Paolo e scoprisse tutto.
Virginia, sei un genio.
«Nuovo messaggio»
Amore mio, non faccio altro che piangere al ricordo di te.
Le dita passavano veloci da una lettera all’altra. Virginia le teneva vicine ai tasti per limitare al minimo il rumore. I suoi occhi viaggiavano spediti dal foglio alla tastiera, dalla tastiera al foglio. A sua memoria, non era mai stata così concentrata nella scrittura. Si sentì un’eroina. Non aveva mai avuto tanta stima per se stessa. Era una piccola guerriera al servizio dell’amore, audace e coraggiosa.
Sei patetica.
Rileggeva ogni frase subito dopo averla composta. Fece attenzione alle virgole, agli spazi e alle lettere maiuscole. Riportò anche gli a capo del messaggio scritto a mano. Se avesse potuto, avrebbe inviato il foglio, con tutte le sue macchie di lacrime e le incertezze della mano. Ma non sapeva proprio come fare. Eppure quelle parole erano così intense che avrebbero sconfitto la freddezza di qualsiasi anonima email.
… tutto il resto è nulla.
In quel preciso momento suonò il campanello dell’ingresso.
Cavolo!
Se non avesse aperto subito, si sarebbe palesata Suor Maria Elisabetta e l’avrebbe scoperta. Doveva intervenire immediatamente.
Aprì lo sportello.
«Chi è?»
«Sono io, Andrea Rizzuto.»
«Ah, ma allora non è andato via!»
«Ehm, no. Sono qui per la colazione.»
«Sì, un attimo solo.»
Richiuse la grata, tornò al computer e mise mano al mouse per premere «Invia».
L’email si chiuse.
Inviata.
«Tutto okay?»
«Sì, sto apparecchiando. Solo un attimo.»
Spense il computer, sistemò la sedia, rimise la lettera nella busta e la nascose in tasca.
Un ultimo sguardo alla postazione.
Tutto in ordine.
A quel punto, aprì la porta.
«Ma dov’era finito? Non l’abbiamo vista né ieri per Compieta né all’Ufficio delle letture stamattina. Ci siamo preoccupate.»
«Ehm, lo so. Mi scusi davvero tanto.»
Non devi dirlo a me.
«È che ieri sera ho ricevuto una telefonata da mio padre. Mia madre ha avuto una piccola crisi e ho dovuto chiamare mio cugino perché andasse ad assisterli. Purtroppo sono molto anziani. Quando ho risolto la questione, si era fatto ormai tardi.»
Mentre parlava, Andrea non la guardava negli occhi. Si tolse la giacca, mise il suo taccuino sul tavolo e prese a servirsi la colazione. Era visibilmente imbarazzato.
Sei proprio bravo a inventare scuse.
«E stamattina?»
«Be’, mi sono immerso nella lettura e ho perso la cognizione del tempo.»
«Guardi, lei può fare davvero ciò che vuole, ma qui la comunità si aspetta che lei segua le regole del monastero.»
«Perché, ho fatto qualcosa di sbagliato?»
«Non proprio, però la preghiera è la regola principale qui dentro. Se manca agli appuntamenti, mi spiega quale ritiro spirituale fa?»
«Ah, sì, certo. Il ritiro. Ha ragione. Cercherò di essere puntuale d’ora in poi.»
«Le dico, io non ho problemi, ma le sorelle hanno notato la sua assenza.»
«Una in particolare, vero?»
Virginia non riuscì a trattenere un sorriso. Guardò il muro e notò l’orologio che segnava quasi le sette e mezzo.
«È tardi, stanno per iniziare le Lodi. Lasci tutto qui, che sparecchio dopo. Adesso ci aspettano in chiesa. E mi raccomando, non faccia tardi!»
Sarà pure un bugiardo, ma è così dolce.
Virginia fu l’ultima a sedersi. L’organo intonò il primo accordo appena aprì il salterio. Andrea c’era.
Ormai lei riusciva ad armonizzarsi con grande naturalezza, tanto che poteva anche gestire pensieri paralleli alla preghiera, mentre si trovava riunita con le altre monache nell’abside.
Pensò al viaggio intrapreso dalla lettera d’amore, all’espressione di Paolo quando avrebbe acceso il computer, alla delusione che lo avrebbe colto quando avrebbe letto la raccomandazione di non rispon…
Oh, no!
Il canto le rimase strozzato in gola.
L’arrivo improvviso di Andrea non le aveva dato il tempo di chiudere l’email come avrebbe voluto.
Non aveva scritto la raccomandazione di non rispondere.
E se arriva la risposta di Paolo?
Non voleva nemmeno pensare a cosa sarebbe successo.
Ho fatto un casino.
Nella fretta, non aveva nemmeno cancellato l’email dalla cartella «Posta inviata». Chiunque avrebbe potuto aprirla e leggerla. «Chiunque» significava Suor Maria Elisabetta.
Ma puoi essere più cretina?
La fretta, l’agitazione e la paura di essere scoperta l’avevano distratta.
Quando le sarebbe più capitato di poter accedere al computer senza nessuno intorno?
La preghiera delle Lodi assunse un altro significato. Diventò una richiesta accorata.
Madonnina mia, aiutami, ti prego.
Sarebbe venuto fuori che era stata lei a inviare quel messaggio: nessuno oltre lei ed Elisabetta sapevano usare il computer. Avrebbe fatto una figura meschina nei confronti di Pepa, Maria Giulia, Ester, Adele e di tutte le altre sorelle che si erano confidate con lei.
Da eroina, si sentì a quel punto un’ingrata. Aveva tradito la fiducia che la comunità le aveva riservato. Aveva messo il sentimento di una davanti all’interesse del gruppo. Non aveva rispettato le regole.
Sarò cacciata.
Provò a consolarsi, pensando che in fondo lei non era proprio parte della squadra.
Si sentiva come uno di quegli stormi che in quei giorni solcavano i cieli di Roma, disegnando nuvole nere nell’aria. Uno spettacolo eccezionale, che l’aveva sempre affascinata. Ecco, lei era dentro uno di quegli stormi, si accendeva a ogni minimo movimento e tentava disperatamente di seguire il flusso e «non pensare a niente», come diceva Ester. Ma ogni volta c’era qualcosa che la distraeva. Era ancora troppo piena di domande, dubbi ed emozioni. E adesso ci si metteva pure Andrea a complicare le cose.
Calma.
Il disastro con l’email, ormai, l’aveva fatto.
Un barlume di fiducia la convinse che non sarebbe successo nulla e avrebbe trovato una soluzione. Doveva essere brava quanto la suora innamorata e non farsi scoprire.
Al termine delle Lodi, Andrea si accostò alla balaustra e le fece cenno di avvicinarsi.
«Allora, come le dicevo ieri, ci sarebbe la possibilità di visitare l’oratorio senza turisti?»
«Che ora è adesso?»
«Circa le otto e un quarto.»
«Be’, subito. Prendo le chiavi. Mi aspetti nel cortile.»
Virginia cercò Suor Maria Elisabetta, che si era attardata a sistemare l’altare.
«Rizzuto vorrebbe visitare l’oratorio prima che arrivino i turisti. Potrebbe farlo adesso?»
Suor Maria Elisabetta, che non aveva smesso di muovere libri e oggetti mentre Vivì le parlava, acconsentì distrattamente.
«L’importante è che tu vada con lui. Non mi fido di quell’uomo.»
Perfetto. Così potrò anche cancellare l’email!
Virginia indicò al ragazzo l’uscita e si spostò verso la portineria, mentre tutte le altre suore salivano nelle proprie celle per un’ora di meditazione.
Giunta in portineria, pensò di mettersi subito al computer, ma sentì Andrea sbattere i piedi a terra per difendersi dal freddo. Capì che non era il caso di farlo aspettare all’aperto e rimandò l’operazione email a un altro momento.
Tirò il chiavistello del portone e fece entrare il giovane, che aveva il suo taccuino in mano.
«Senta, ieri sera l’occhio mi è caduto sul suo taccuino. Perché ha scritto il mio nome e quello di alcune suore? Sembra che ci stia schedando…»
Il giovane ebbe una reazione che Virginia proprio non si sarebbe aspettata. Sembrò quasi ignorare la domanda di Virginia. Alzò gli occhi sulle pareti fissando gli affreschi dell’atrio d’ingresso. Fece qualche passo per la stanza, finse di non aver sentito.
Non apro l’oratorio finché non mi spieghi.
Il giro di Andrea terminò proprio davanti alla porta.
«Allora, non apre?»
«Veramente sto ancora aspettando una risposta da lei.»
«Cosa mi ha chiesto?»
«Le ho chiesto perché ha scritto i nostri nomi sul suo taccuino.»
Il ragazzo guardò il suo libretto nero, chiuso nella mano destra, e spalancò la bocca.
«Ah, il taccuino. Ha letto i vostri nomi?»
«Sì. Ieri.»
«No, vabbe’, sa com’è… io ho poca memoria e, se non mi scrivo tutto, rischio di dimenticarmi come vi chiamate.»
«Senta, lei potrà anche darla a bere alle monache, ma io non sono così scema. E per certe cose ho un’ottima memoria. Accanto al mio nome c’era scritto ‘Forse’. Che significa?»
Vivì l’aveva messo all’angolo.
Andrea si guardò i piedi.
«Sa tenere un segreto?»
Un altro.
«Apra, che glielo dico. Non voglio parlarne qui.»
Virginia girò la chiave nella serratura e invitò Andrea a entrare. Fuori si era ormai fatto giorno. L’interno dell’oratorio, però, era ancora buio. Fu necessario accendere le luci per rischiarare gli affreschi. Il giovane si accomodò su una delle panche e indicò alla postulante di sedersi accanto a lui, battendo il palmo della mano sul marmo.
«Allora? Qual è questo segreto?»
«Io non sono qui per un ritiro spirituale.»
«Guardi, non mi sorprende affatto. E magari non ha nemmeno i genitori moribondi in Abruzzo.»
«No, quello in realtà è vero, ma sono ben assistiti e non hanno bisogno di me.»
«E quindi, perché è venuto a disturbare una tranquilla comunità di suore? Spero che abbia davvero un buon motivo.»
«Sono qui per l’Aula Gotica.»
«Per cosa?»
«L’Aula Gotica. Non la conosce?»
«No. Ma è proprio sicuro che sia ai Santi Quattro Coronati?»
«Sicurissimo. Sono anni che studio questo monastero. Qualche mese fa sono incappato in un testo di un cardinale del Duecento, che racconta di aver soggiornato nel palazzo cardinalizio ai Santi Quattro e aver celebrato cerimonie pubbliche in un salone enorme. Un ambiente completamente affrescato. La cosa incredibile è che in nessun altro documento ho trovato traccia di questo luogo. Allora ho deciso che l’unico modo per scoprirlo era venire qui.»
«Ma perché non l’ha detto subito?»
«Non è normale che nessun testo, neanche recente, parli di questo salone. Deve esserci qualche motivo preciso, se le monache lo tengono nascosto. Ma lei è sicura di non averlo visto? Non mi ha detto ieri che entra dappertutto?»
«Sì, è così. O almeno credo.»
«Be’, quel ‘Forse’ sul mio taccuino si riferiva al fatto che lei è la mia unica possibilità di visitare l’Aula Gotica.»
«Ma perché le interessa così tanto?»
«Sono uno storico dell’arte.»
«Ah, ora si spiega perché nell’email ha detto di conoscere bene il monastero!»
«Se pubblico un saggio sull’Aula Gotica, potrei finalmente ottenere quell’attenzione degli studiosi che ancora non ho. Si potrebbero aprire per me le porte dell’università, forse di un museo. Diventerei una celebrità nel mio campo.»
Ambizioso, il ragazzo.
«Sono nelle sue mani.»
Prima la suora innamorata, ora lui: ma perché tutti mi chiedono aiuto? Chi aiuta me?
Ma in fondo a Virginia era sempre piaciuto sentirsi utile. Fin da quando aveva dodici anni e si era messa in testa che avrebbe colmato il vuoto lasciato in suo padre dalla morte della mamma. Con lui aveva scoperto di avere il potere di lenire dolori e cambiare l’umore delle persone. Finché il loro rapporto non era degenerato, era riuscita a tenere sotto controllo il suo mondo e condurlo dove le sembrava più opportuno. Aveva scelto chi amare e quando era arrivato il momento di smettere. Non sapeva cosa significasse davvero lasciarsi andare né perdere il controllo. Proprio nel momento in cui le stavano sfuggendo le redini della sua vita, aveva deciso che la soluzione migliore fosse chiudersi in un monastero e recuperare la calma.
Mi sono sbagliata.
A pelle, non si fidava di Andrea: le scuse che accampava di continuo, quel taccuino misterioso, l’impossibilità di capire fino in fondo quali fossero le sue intenzioni non la facevano stare tranquilla. E poi, mai avrebbe voluto che qualcuno violasse il mondo ovattato e contraddittorio che le suore si erano costruite. Ma il sospetto che quell’Aula Gotica esistesse davvero e potesse nascondere un segreto inconfessabile cominciò a farsi strada nella sua mente. Non poteva tollerare che le rimanesse oscuro.
«Va bene, chiederò alle sorelle. Lei, però, mi deve promettere che d’ora in poi non perderà nemmeno una delle preghiere.»
«Promesso.»
E, così dicendo, il ragazzo raccolse le mani di Vivì e le strinse in un pugno.
Una scossa percorse le braccia della postulante fin sul collo.
Si destò subito da quel contatto.
Gli fece cenno di uscire e richiuse la porta dietro di sé. Questa volta fece molta attenzione a non lasciare nessuna serratura senza giri di chiave.
Ora è il momento.
Si mise al computer, sollevata dall’angoscia che non l’aveva abbandonata per tutta la conversazione con Andrea. Accese, mosse la freccetta e digitò: monachessquattro. Invio.
Niente. La finestra non si chiuse. Il tono del telefono non partì. Quel maledetto cursore continuò a lampeggiare accanto alla fila di puntini.
Riproviamo.
Questa volta scrisse più lentamente: «monachessquattro».
«Invio.»
Ancora niente.
Ma quando ha cambiato la password?
Disprezzò quei puntini come gli anelli di una catena che la tenevano prigioniera.
Si sentì in trappola.
Spense il computer e odiò Elisabetta con tutta se stessa.
Maledetta.