13
Mentre Kurt aspettava sul fondo, una vibrazione sorda lo avvertì che il Massif si stava avvicinando.
Guardò il canale, in attesa di vederlo comparire. Dapprima notò la sagoma a V della prua, avvolta dalla schiuma. Poi riuscì a distinguere il dritto di prora. Sembrava che stesse frantumando il mare su cui navigava, invece di fenderlo.
Kurt aveva visto giusto: lo yacht avanzava a una velocità superiore ai tre nodi consentiti.
Cambiò posizione, tirandosi su come un poliziotto che in moto si prepara a inseguire un automobilista che ha superato il limite di velocità sull’autostrada. Toccò leggermente la manopola e l’elica partì, sollevando una nube di sedimento e spingendo in avanti Kurt che cominciò a muoversi, cercando di calcolare i tempi per l’intercettamento.
Sarebbe stato un avvicinamento impegnativo. Doveva riemergere accanto allo yacht, abbastanza vicino da restare nascosto sotto la sporgenza del ponte, ma non troppo da essere travolto. Il punto migliore sarebbe stata l’area protetta subito dietro il dritto di prora. Se fosse stato troppo avanti, l’onda lo avrebbe allontanato dallo scafo. Se invece si fosse posizionato più indietro, avrebbe rischiato di essere risucchiato dalla corrente violenta che si formava lungo le fiancate e poi spinto verso le eliche.
Il brontolio ritmato dello yacht si fece più vicino e Kurt accelerò. Quando diede un’occhiata all’indietro, capì che il Massif gli stava venendo addosso troppo in fretta. Accelerò ulteriormente e virò su un lato.
Mentre superava i sette nodi, Kurt si rese conto di un punto debole nel suo piano. La forza dell’acqua che minacciava di strapparlo via dallo scooter subacqueo era dieci volte più potente di quella che avrebbe avvertito a bordo di una motocicletta. Già così era come restare aggrappati contro una raffica di vento che soffiava a più di cento chilometri orari.
Si avvinghiò allo scooter. L’acqua scorreva velocissima. Ruotò la testa a fatica. Il Massif continuava a guadagnare terreno e la prua puntava inesorabile contro di lui come una gigantesca lama pronta a tagliarlo in due. D’un tratto la sua brillante idea tutto gli parve fuorché brillante.
Diede potenza allo scooter per mettersi alla stessa velocità dello yacht e quasi nello stesso istante una spia iniziò a lampeggiare.
Così imparo a usare un rottame abbandonato all’aeroporto, pensò.
Guardò la spia e poi di nuovo lo scafo che gli veniva addosso. Gli si avvicinò, nonostante lo spostamento d’acqua provocato dalla prua. Più si avvicinava e più era difficile controllare lo scooter. Già solo il rumore era terrificante: sembrava il boato di una cascata e di un treno merci messi assieme. Lo sentiva martellare nelle orecchie mentre la pressione dell’acqua gli premeva contro le spalle. Da gialla, la spia dello scooter diventò arancione.
Kurt rallentò, passando sotto l’onda di prua, e quasi perse il controllo del mezzo. Quando finalmente se la lasciò alle spalle, puntò verso lo scafo e cominciò ad avvicinarsi poco a poco. Appena emerse in superficie, l’attrito sullo scooter diminuì e lui acquistò un po’ di velocità.
Spinto di lato da un mulinello, però, andò a sbattere contro lo scafo e l’impatto per poco non lo sbalzò fuori. Riuscì a riprendersi e provò ancora una volta ad avvicinarsi. Ora la spia arancione lampeggiava. Stava per diventare rossa. La potenza del motore cominciò a calare.
In un ultimo tentativo disperato, Kurt virò verso lo scafo, si allungò in avanti e con le gambe spinse via lo scooter. Azionò coi pollici i due interruttori delle polsiere e si lanciò sullo scafo metallico dello yacht.
I due elettromagneti sugli avambracci toccarono per primi e fecero presa, seguiti un attimo dopo da quelli sulle ginocchia.
Ce l’aveva fatta: era a bordo, appena sopra la linea di galleggiamento. Un clandestino decisamente eccezionale.
Alzò lo sguardo e, da quanto riuscì a vedere, nessuno si era accorto di niente. Non era così probabile, in effetti, che succedesse. Anche perché, sopra di lui, la curva dello scafo a V salendo si allargava. Perciò, per vederlo, avrebbero dovuto sporgersi almeno di un metro fuori dallo scafo e guardare al di sotto.
Per un minuto buono non si mosse e cercò di raccogliere le forze mentre i potenti magneti lo tenevano attaccato. Quando si sentì pronto, azionò l’interruttore col pollice sinistro e staccò il braccio. Lo allungò verso l’alto e si attaccò di nuovo allo scafo. Un altro clic e tirò su la gamba destra.
Braccio sinistro, gamba destra, braccio destro, gamba sinistra. Continuò a salire in questo modo, lento ma costante.
Dalla forma e dalla violenza dell’onda di prua sotto di lui, Kurt capì che lo yacht stava accelerando. Calcolò che stesse facendo tra i quindici e i venti nodi. Continuò a salire. La parte più difficile era superata, si disse.
Quantomeno la prima parte più difficile.